Blind Willie McTell - Dylan
Dogs
Señor - Gianni Zanata
Things Have Changed - Mr.AntonDjango's Band
Don't Think Twice (It's Alright) - Slow Train Band
Everything is Broken - Sub-Terranei
This Wheel's on Fire - The Beards
Workingman's Blues #2 - The Blackstones
Slow Train - Maggie's Farm Southern Band
la Battaglia si svolge a
votazioni , quindi è importante che tutti i Maggiesfarmers si colleghino a
radiodylam.com ed esprimano il loro voto per la loro band/artista preferito
. Essendo l'elenco arrivato a 44 artisti ( per ora) le canzoni verranno
tramesse a gruppi la prima settimana , troverete l'ordine su dylanradio.com
, le canzoni che avranno ricevuto più voti passeranno il turno alla
settimana successiva e così via . quindi è importantissimo che cominciate a
votare da subito dopo l'inizio se volete che la vostra band/artista vada
avanti nella battaglia.
nella barra menù in
testa alla pagina cliccate Web-Player, collegate il PC ad un buon impianto
stereo e buon ascolto
Come votare
Prima di tutto dovete essere registrati , andate alla homepage della radio
http://www.dylanradio.com/ , sulla
destra in alto c’è “Log-in” e subito sotto “Register now” , cliccate su
“register now” e fate la registrazione , la risposta alla domanda
antispam è - zimmerman -.
Ogni utente può esprimere solo un voto , quindi se avete due o tre
indirizzi e-mail fate tre registrazioni.
Quando trasmetteranno le canzoni ( le trasmetteranno a gruppi in diversi
momenti della giornata , nella finestra verde centrale della homepage dove
c’è scritto “Now Playing” ci sarà un link che vi porterà all’elenco delle
canzoni in gara che stanno trasmettendo in quel momento , cliccando il link
appare l’elenco , e di fianco ad ogni titolo e Band/artista ci sarà il
buttom “vote” , cliccatelo ed il vostro voto sarà registrato. Ricordo che
non si può esprimere più di un voto con lo stesso indirizzo e-mail , quindi
ripeto , se avete diverse mail fate più registrazioni , oppure coinvolgete
più amici possibile. Portare una delle nostre band in finale sarà dura ma
non impossibile , ma con il vostro supporto forse ce la faremo.
Domani 1 Febbraio scatta La Battaglia , sono salite a 44 le bands/artisti partecipanti
, come dice dylanradio , successo oltre ogni previsione ,8 di queste sono italiane , ricordatevi di
votare per le nostre bands !
1 Not Dark Yet (4:17) Ben Schuurmans
2 Like a Rolling Stone (7:35) Blood on the Tracks
3 I Was Young When I Left Home (5:39) Chris Leone
4 Blind Willie McTell (5:56) Dylan Dogs
5 Tomorrow Is A Long Time (3:41) Dylanesque
6 Oben Auf Dem Wachturm (All Along The Watchtower) (3:48) Ernst Schultz
7 Man In The Long Black Coat (4:13) Gerry Markopoulos
8 Tonight I'll Be Staying Here With You (3:58) Ghosts of Electricity
9 Señor (2:29) Gianni Zanata
10 Ballad of a Thin Man (5:27) Group Therapy
11 Subterranean Homesick Blues (2:41) Highway 61 Revisited
12 Lovesick (6:07) How many roads
13 Simple Twist of Fate (4:34) Jacques Mees
14 Tangled Up In Blue (4:49) Jeremy Mayle
15 It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry (3:40) Kokomo
16 Slow Train (5:23) Maggie's Farm Southern Band
17 Du Liesst Mich In Der Tür Stehen, Heulend (Standing in the Doorway)
(8:38) Manfred Maurenbrecher
18 Desolation Row (10:46) Many Bright Things
19 Make You Feel My Love (3:43) Mickey The Hat
20 Tangled Up In Blue (4:19) Mike Rice
21 Things Have Changed (4:01) Mr.AntonDjango's Band
22 Most Likely You Go Your Way and I'll Go Mine (6:14) My Bootheels
23 Buckets of Rain (4:33) Nathan Wayne
24 Things Have Changed (Russian) (5:14) Oksana Mysina and Oxy Rocks
25 I Want You (4:19) Pat Guadagno
26 Just Like A Woman (4:20) PetTommy
27 All Along The Watchtower (8:11) robobob
28 To Make You Feel My Love (3:07) Sebbo
29 Don't Think Twice (It's Alright) (4:42) Slow Train
Band
30 Positively 4th Street (3:44) Steph Buhé
31 Everything is Broken (4:21) Sub-Terranei
32 This Wheel's on Fire (5:39) The Beards
33 Workingman's Blues #2 (6:13) The Blackstones
34 Shot of Love (3:29) The Devilish DoubleDylans
35 Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (4:08) The Duet
36 Seeing the Real You at Last (4:02) The Highlights
37 Blind Willie McTell (4:41) The New Fools
38 Hurricane (8:07) The Phantom Engineers
39 Ballad of a Thin Man (7:05) The Royal Alberts
40 Jokerman (6:28) Tokyo Bob with Never Mending Tour Band
41 When The Deal Goes Down (5:15) Tony Villiers
42 Gotta Serve Somebody (5:44) WilBurt&Co.
43 Blind Willie McTell (5:34) Zelda Smyth
44 Tight Connection To My Heart (3:58) Zimming Point
Norman Raeben è stato uno dei personaggi più influenti nella vita di Bob
Dylan. Fu Norman Raeben, ebbe a dichiarare Dylan, che - alla metà degli anni
'70 - fu capace di rinnovare la sua abilità nel comporre canzoni. Dylan fece
capire anche che l'insegnamento e l'influenza ricevuti da Norman alterarono
in maniera così profonda la sua visione della vita che sua moglie Sara non
riuscì più a comprenderlo, e questo fu uno dei fattori che contribuirono
alla dissoluzione del matrimonio di Dylan. E' alquanto strano che, data
l'importanza dell'influenza di Norman Raeben su Bob Dylan, egli non viene
mai menzionato nelle biografie pubblicate negli anni '80.
Dylan parlò per la prima volta di Raeben nel corso di alcune interviste che
egli rilasciò nel 1978 per promuovere il suo film, Renaldo & Clara, sebbene
per un certo periodo di tempo egli non volle identificare in maniera
specifica quell'uomo. "Non c'è nessuno come lui", raccontò Dylan a Pete
Oppel, giornalista del Dallas Morning News.
"Preferisco non dire il suo nome. E' davvero una persona speciale, e non
voglio creargli problemi".
"Era solo un vecchio" - disse Dylan a Ron Rosenbaum di Playboy - "Il suo
nome non significherebbe niente per te".
L'interesse di Dylan nei confronti di Norman iniziò in un certo giorno del
1974, quando alcuni amici di Sara arrivarono a casa loro per una visita:
"Parlavano di verità, di amore e di bellezza e di tutte quelle parole che
avevo sentito per anni, e riuscirono a definirle tutte quante al punto che
io non riuscivo a crederci... Chiesi loro "Dove avete trovato queste
definizioni?" e loro mi risposero raccontandomi del loro maestro".
Sufficientemente impressionato, Dylan cercò di mettersi in contatto con
l'insegnante la volta successiva che si trovò New York. Era la primavera del
1974 quando Dylan fece capolino con la sua testa dietro la porta di Norman:
"Norman mi disse "Vuoi dipingere?" e allora io risposi "Beh, sai, pensavo a
qualcosa del genere". Norman mi disse "Bene, non so nemmeno se meriti di
essere qui. Fammi vedere quello che sei in grado di fare". Così mi mise
davanti questo vaso e mi disse: "Vedi questo vaso?". E me lo lasciò davanti
per circa 30 secondi e poi lo fece sparire e mi disse "Disegnalo". Beh,
voglio dire, iniziai a disegnarlo ma non ero in grado di ricordare un cazzo
di quel vaso. Lo avevo osservato ma non lo avevo visto. Poi Norman diede un
occhiata a quello che avevo disegnato e disse "OK, puoi restare". E mi disse
di fare tredici quadri... Beh, io non ero andato lì per dipingere, ero
andato lì solo per vedere che succedeva. Andò a finire che rimasi lì per due
mesi. Quel tizio era straordinario..."
Quando Dylan ripensò a quello che era successo durante quei due mesi arrivò
alla conclusione che era stato trasformato al punto che per sua moglie era
diventato uno sconosciuto:
"Quella cosa mi cambiò completamente. Andavo a casa e mia moglie non
riusciva a capirmi. Non riuscì a capirmi dopo di allora. Fu in quel momento
che il nostro matrimonio cominciò ad andare a rotoli. Sara non sapeva mai di
cosa stessi parlando, o cosa stessi pensando. Nè io ero in grado di
spiegarglielo".
Dylan parlò di Norman a Pete Oppel, descrivendo con parole più che casuali
quale fosse la tecnica di insegnamento che Norman utilizzava nel suo studio
all'undicesimo piano della Carnegie Hall:
"Cinque giorni alla settimana andavo nel suo studio, e nei rimanenti due
giorni della settimana non facevo che pensare a quando ci sarei andato. In
genere rimanevo lì dalle otto alle quattro. Ho fatto questo per due mesi..."
"In quella classe c'erano persone come vecchie signore, ricche vecchie
signore che venivano dalla Florida, che sedevano vicine ad un poliziotto
fuori servizio, che sedeva vicino ad un autista di autobus, che sedeva
vicino ad un avvocato... Tutti i generi di persone. Uno studente di arte che
era stato cacciato da ogni università. Giovani ragazze che lo adoravano. Un
paio di tipi seri che venivano lì e pulivano dopo le lezioni, pulivano solo
il posto. Un sacco di differenti tipi di persone che tu non avresti mai
pensato fossero interessate alla pittura. Ed infatti non si trattava di
pittura, era qualcos'altro..."
"Norman parlava in continuazione, dalle otto e trenta alle quattro, e
parlava sette lingue. Mi diceva cose a proposito di me stesso mentre io
stavo facendo qualcosa, disegnando qualcosa. Io non ero in grado di
dipingere. Pensavo di esserne in grado. Ma non sapevo disegnare".
Sembra, allora, che Norman fosse interessato più alla metafisica che alla
tecnica. Il suo metodo di insegnamento aveva a che fare con le realtà
estreme che potevano essere espresse in una varietà di modi. Non è certo che
Norman fece di Dylan un pittore più bravo ma chiaramente lo cambiò:
"Avevo incontrato diversi maghi, ma questo tipo è più potente di qualsiasi
mago che io abbia mai incontrato. Ti guardava e ti diceva quel che tu eri. E
non giocava al riguardo. Se tu eri interessato a venirne a capo, potevi
stare lì e sforzarti di venirne a capo. Facevi il lavoro tutto da solo. Lui
era solo una specie di guida, o qualcosa del genere..."
Fu solo un po' di tempo dopo che riuscii finalmente ad identificare il
misterioso uomo che Dylan chiamava Norman, come Norman Raeben, nato in
Russia nel 1901, che era venuto in vacanza negli U.S.A con la propria
famiglia quando aveva tre anni e a 14 anni vi si era trasferito
permanentemente. Il padre di Norman era il famoso scrittore Yiddish, Sholem
Aleichem (1859-1916), un uomo oggi meglio conosciuto per aver creato il
personaggio di Tvye, la cui vita romanzata venne adattata per il musical "Il
violinsita sul tetto". Il cambiamento più notevole che derivò dai mesi che
Dylan passò nello studio di Norman Raeben riguardava la maniera in cui
componeva i testi delle sue canzoni.
Dylan disse a Jonathan Cott di Rolling Stone che, dopo il suo incidente
motociclistico del 29 luglio 1968, scoprì di non essere più in grado di
comporre liberamente come aveva fatto fino a quel momento:
"Da quel momento in poi ebbi una sorta di amnesia. Ora puoi prendere questa
dichiarazione letteralmente o metafisicamente come meglio credi ma questo fu
quello che mi successe. Mi ci volle un sacco di tempo prima che riuscissi di
nuovo a fare in maniera consapevole quello che prima facevo in maniera
inconsapevole".
Dylan ripetè il concetto a Malt Damsker:
"E' come se fossi stato colto da amnesia all'improvviso... Non ero in grado
di imparare a fare quello che ero sempre stato capace di fare in maniera
naturale, cose come Highway 61 Revisited. Voglio dire, non puoi sederti e
scrivere quelle cose in maniera consapevole perchè è qualcosa che ha a che
fare con la sospensione del tempo..."
Nel corso di un'intervista con Jonathan Cott, Dylan descrive i suoi album
John Wesley Harding e Nashville Skyline come delle prove:
"...per afferrare qualcosa che mi conducesse laddove pensavo che avrei
dovuto essere... ma non mi portò da nessuna parte. Ero convinto che non
avrei più fatto niente altro..."
Fu con questa sensazione di quasi disperazione per non riuscire più a
comporre come faceva un tempo che Dylan ebbe la "buona sorte" di incontrare
Norman, "che mi insegnò come riuscire a vedere":
"Mise insieme la mia mente, la mia mano ed il mio occhio, in una maniera
tale da permettermi di fare in maniera consapevole quello che sentivo in
maniera inconscia".
Il tempo trascorso insieme a Norman aiutò la psiche di Dylan tanto da
ridirigerla in maniera sufficiente a fargli scrivere alcune nuove canzoni,
le canzoni che furono poi incluse in quello che è ancora oggi il suo album
più celebrato, Blood On The Tracks:
"Tutti furono concordi nel dire che quel mio album era un qualcosa di
davvero diverso dal solito, e quel che era diverso era il fatto che esisteva
un codice nei testi, ed anche che non esisteva il senso del tempo..."
Dylan fece ulteriori tentativi per spiegare il concetto di "assenza di
tempo" nelle sue nuove canzoni in una conversazione con Matt Damsker:
"Con Blood On The Tracks feci in maniera consapevole quel che in genere
facevo inconsciamente. Non lo eseguii bene. Non avevo la capacità di
eseguirlo correttamente. Ma avevo scritto le canzoni... quelle che avevano
quella frammentazione del tempo, in cui il tempo non esisteva, nel tentativo
di rendere il centro della narrazione come una magnifica lente sotto il
sole. Fare questa cosa in maniera consapevole è un trucco che io ho
utilizzato per la prima volta con Blood On The Tracks. Sapevo come fare
perchè avevo imparato la tecnica... In realtà avevo un insegnante per
quello..."
Nel libretto allegato a Biograph un commento di Cameron Crowe a proposito di
Blood On The Tracks sembra essere il risultato di un'osservazione non
accreditata dello stesso Dylan:
"Ispirato a detta della stampa e della gente dalla rottura del suo
matrimonio con Sara, l'album deriva molto del proprio stile dall'interesse
di Dylan per la pittura. Le canzoni affondano in profondità ed il loro senso
della prospettiva e della realtà è in continuo mutamento".
"I continui mutamenti" sono il risultato del senso di assenza del tempo che
caratterizza il LP. Parlando con la sua amica Mary Travers (di Peter, Paul
and Mary) il 26 aprile del 1975, Dylan fece un commento a proposito del
concetto di tempo, spiegando che egli aveva cercato non solo di fare in modo
che "il passato, il presente ed il futuro esistessero tutti", ma anche che
"fossero tutti presenti nello stesso momento", qualcosa che egli aveva
appreso da Norman.
"Tu hai ieri, oggi e domani tutti nello stesso spazio e c'è molto poco che
non puoi immaginarti succeda".
L'affermazione rilasciata da Dylan a Matt Damsker secondo la quale non aveva
eseguito le canzoni di Blood On The Tracks particolarmente bene può essere
sorprendente ma, proseguì Dylan, "esse potevano essere modificate...".
Infatti, Dylan ha continuamente rielaborato quelle canzoni, cambiando i
testi più volte come ad esempio in brani come "Simple Twist Of Fate" e
"Tangled Up In Blue". Dylan lega insieme l'idea di tempo e di cambiamento
all'idea di canzone-come-un-quadro con specifico riferimento a "Tangled Up
In Blue" nelle note di Biograph, dove dice a proposito della canzone:
"Stavo solo cercando di scriverla come fosse un quadro in cui tu puoi vedere
le diverse singole parti ma puoi anche vedere il totale del dipinto. Con
quella canzone in particolare era quello che stavo cercando di fare... con
il concetto di tempo, ed il modo in cui i personaggi cambiano dalla prima
persona alla terza persona, e non sei mai sicuro del tutto se stia parlando
la terza o la prima. Ma quando getti uno sguardo d'insieme al totale non ha
molta importanza".
Il dissolvimento dei personaggi e del tempo nelle canzoni dell'album Blood
On The Tracks fu un traguardo notevole; Dylan cercò di applicare la stessa
tecnica al suo film Renaldo & Clara. Parlando dell'influenza del pensiero di
Norman Raeben, Dylan richiamò l'attenzione di Jonathan Cott su Renaldo &
Clara:
"...anche in quel film ho utilizzato quella caratteristica dell'assenza di
tempo. E credo che quel concetto di creazione sia più reale e vero di quella
che invece possiede il senso del tempo... Il film crea e contiene il tempo.
Ecco quel che dovrebbe fare, dovrebbe contenere il tempo, respirare in quel
tempo e fermare il tempo nel farlo. E' come quando osservi un quadro di
Cézanne, ti perdi in quel dipinto per un certo periodo di tempo. E nel
frattempo respiri, il tempo passa ma tu non te ne accorgi. Sei come sotto
l'influsso di una magia".
Non c'è da stupirsi, dunque, se Dylan fu molto scocciato da coloro che
criticavano il film per la sua eccessiva durata e forse non è inappropriato
menzionare una sua dichiarazione di fastidio più recente rivolta a coloro i
quali tentavano di etichettare una delle canzoni senza tempo e senza
personaggi di Blood On The Tracks:
"'You’re A Big Girl Now', beh, ho letto che questa canzone parlerebbe di mia
moglie. Vorrei che la gente mi chiedesse il permesso prima di uscirsene con
cose del genere".
Dylan un tempo era in grado di creare canzoni in cui era assente il concetto
di tempo e che avevano le caratteristiche di un dipinto. Molte volte egli
fece dei paralleli tra la canzone e la pittura, come per esempio nella
presentazione del brano "Love Minus Zero/No Limit" nei concerti del 1965
durante i quali introduceva la canzone definendola un "dipinto castano e
argento" o ancora un "dipinto porpora", ma solo dopo aver studiato con
Norman Raeben egli fu in grado di ricatturare la sua apparentemente perduta
capacità di scrivere canzoni simili, ora con la notevole differenza di una
composizione consapevole. E se Blood On The Tracks fu il primo tentativo di
tradurre in canzone quello che Dylan aveva appreso da Norman, fu
Street-Legal a rappresentare il culmine di questa tecnica di
tempo/non-tempo. Così Dylan dichiarò a Matt Damsker:
"Mai fino a Blood On The Tracks ero riuscito ad ottenere quello che volevo
ottenere, ed una volta che ci riuscii, questo non avvenne nè con Blood On
The Tracks nè con Desire. Fu con Street-Legal che giunsi più vicino a quello
che volevo esprimere con la mia musica. E' qualcosa che ha a che fare con
un'illusione di tempo. Voglio dire che le canzoni sono necessariamente
caratterizzate da una illusione di tempo. E' stato un vecchio che mi insegnò
tutto ciò ed io cercai di imparare tutto quello che potevo..."
Bert Cartwright
Titolo: Highway 61 Revisited Autore: Bob Dylan Produttore:
Bob Johnston Anno: 1965 Etichetta: Columbia Elemento:
Recensire un album di Bob Dylan, o anche instaurare una discussione sulla
sua vita e le sue opere, può rivelarsi problematico. Per il semplice motivo
che non parliamo di un autore qualsiasi di canzoni più o meno riuscite, ma
di una figura che è entrata a far parte del panorama iconografico del '900,
al fianco di altri personaggi come Papa Giovanni Paolo II, Maradona o Nelson
Mandela. Egli è il folk singer per eccellenza, il "portavoce di una
generazione" (ruolo che egli ha sempre disprezzato) colui che ha l'elevato
l'invettiva e la polemica ad arte, coinvolgendo nel frattempo milioni di fan
pronti a decifrare i suoi allucinati deliri lirici e a seguire, ora con
rabbia, ora con ammirazione, i suoi continui cambiamenti stilistici. Dylan,
da par suo, non si è mai piegato alle regole di nessuno: al Newport Folk
Festival del 1965 si presenta sul palco con una vera e propria band rock e
martella i presenti con un sound dalla durezza senza precedenti nel suo
stesso catalogo. La reazione fu spaventosa: fischi e urla dal pubblico,
composto da fanatici che vedevano nella chitarra elettrica il simbolo del
commercialismo più barbaro, e che consideravano ormai Dylan come colui che
disprezzava i potenti e la Bomba, quello pungente e moralizzante di "Masters
Of War", il paladino del folk impegnato. Durante la lavorazione di "Another
Side Of Bob Dylan", nel 1964, dichiara: "Ora c'è un mucchio di gente che fa
canzoni di accusa. Capisci, accusando tutte le cose sbagliate. Io non voglio
più scrivere per la gente. Capisci, essere un portavoce.... d'ora in poi
voglio scrivere dall'interno". E in quella direzione si muove anche "Highway
61 Revisited". è uno degli album più apprezzati dalla stesso Dylan: "Non mi
verrà mai un altro album come quello. è pieno di roba che io ascolterei".
Non a caso.
"Highway 61 Revisited" rappresenta una svolta nella carriera di Bob Dylan, e
l'iniziale "Like A Rolling Stones" ci tiene a dirlo ben chiaro: dopo un
secco colpo di rullante una chitarra rigorosamente elettrica accompagna il
tempo incalzante dettato dai tambourine, e il folk acustico degli anni
precedenti si trasforma in una miscela acida e urbana, perfetta
accompagnatrice del pungente ritratto dipinto da Dylan, quello di una
ragazza che ha perso tutto ed è costretta ad adattarsi alle durezze di ogni
giorno:
"Once upon a time you dressed so fine
You threw the bums a dime in your prime, didn't you?
People'd call, say, "Beware doll, you're bound to fall"
You thought they were all kiddin' you
You used to laugh about
Everybody that was hangin' out
Now you don't talk so loud
Now you don't seem so proud
About having to be scrounging for your next meal.
How does it feel
How does it feel
To be without a home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?"
Coverizzata da Rolling Stones (d'obbligo, si direbbe) e Jimi Hendrix, ci si
chiede se questa aspra ballata rock non sia rivolta da Dylan a Dylan stesso,
quello che ha abbandonato la strada vecchia per quella nuova. Resterà un
enigma. La ruvidezza del sound si trasferisce anche alla seguente "Tombstone
Blues", un country rock a tutta velocità che mette in mostra il pallino di
Dylan per il surrealismo e quel ritornello enigmatico che sembra riprendere
per un attimo le sue tematiche "politiche":
"Mama's in the fact'ry
She ain't got no shoes
Daddy's in the alley
He's lookin' for the fuse
I'm in the streets
With the tombstone blues"
La struttura riprende quella della canzone precedente: la musica fa da
sottofondo al delirio torrenziale di Dylan, le parti strumentali sono
limitate. Il blues malinconico di "It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train
To Cry" riprende una classica immagine della "musica del diavolo" ed è
appena più contenuta del solito, l'armonica graffiante di Dylan fa il resto:
una perla minore incastonata in un album di diamanti. Ma un altro dei brani
storici di Dylan è "Ballad Of A Thin Man", un pianoforte cupo e misterioso
introduce il tremolo della chitarra e i sibili sinistri delle tastiere, con
la batteria sciatta e strascicata e sostenere i versi sarcastici di Dylan:
"You walk into the room
With your pencil in your hand
You see somebody naked
And you say, "Who is that man?"
You try so hard
But you don't understand
Just what you'll say
When you get home
Because something is happening here
But you don't know what it is
Do you, Mister Jones?"
Il testo non da alcun indizio per identificare il Signor Jones vituperato da
Dylan nel testo, più probabile che egli ce l'avesse con la classe
giornalistica in generale, con la quale il non proprio accomodante Robert
Zimmerman aveva avuto qualche problema. Un'altra delle classiche litanie di
Dylan, la musica va più o meno per conto suo in un delirio free form di
tremolo e tastiere che ha il compito di sceneggiare sonoramente il racconto
del cantante. Di tutt'altra fattura il rock dolce e ritmato di "Queen Jane
Approximately", la quale potrebbe essere una canzone d'amore, di gelosia,
rimpianto o addirittura di tutt'e e tre le cose:
"When your mother sends back all your invitations
And your father to your sister he explains
That you're tired of yourself and all of your creations
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?
Now when all of the flower ladies want back what they have lent you
And the smell of their roses does not remain
And all of your children start to resent you
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?"
Ancora una volta, la Regina Jane è un personaggio che solo Dylan potrebbe
identificare con certezza. Ma dietro all'enigmaticità delle parole colpisce
il dolce rimpianto delle chitarre, il pianoforte al tempo stesso gioioso e
malinconico, la dizione nostalgica e appassionata di Dylan e il suo
scatenato assolo all'armonica posto in chiusura. Seguendo la prassi dei
cambiamenti più o meno bruschi ma ben concatenati che regola quest'album,
tutt'altro che disposto a ripiegare su questa o quelle sonorità soltanto, la
title-track è una versione amfetaminica e demente di "Tombstone Blues", il
ritmo trascinante fa da sfondo ai suoni scoppiettanti e assurdi delle
chitarre e al fluire spigliato delle note del pianoforte, mentre il testo è
un altro dei pastiche surreal-drogati di Dylan:
"Well Mack the Finger said to Louie the King
I got forty red white and blue shoe strings
And a thousand telephones that don't ring
Do you know where I can get rid of these things
And Louie the King said let me think for a minute son
And he said yes I think it can be easily done
Just take everything down to Highway 61."
Dylan decide, dopo questa straniante fetta di rock'n' roll, di proseguire
con un brano ancora diverso: "Just Like Tom Thumb's Blues" è un altro rock
contemplativo e soffice come "Queen Jane", in cui Dylan dimostra che,
nonostante la sua immagine hipster e il suo sarcasmo surreale da drogato ad
oltranza, egli è interessato anche alla parte meno dolce dell'amore, allo
smarrimento della solitudine:
"When you're lost in the rain in Juarez
And it's Eastertime too
And your gravity fails
And negativity don't pull you through
Don't put on any airs
When you're down on Rue Morgue Avenue
They got some hungry women there
And they really make a mess outa you"
Sembra quasi di sentire il Jim Morrison di "Strange Days" in questi versi
sconsolati, quelli dell'uomo che trova consolazione solo nel sesso. è una
canzone commovente chiusa ancora una volta da un assolo di armonica cortesia
dello stesso Dylan, perfetta introduzione all'ultimo, fluviale brano
dell'album: "Desolation Row". è inutile citare brandelli di testo, riportare
le bizzarre citazioni di Dylan (tra le quali si contano Einstein, T.S. Eliot
ed Ezra Pound, Ofelia e il Titanic) per descrivere quella che è,
sostanzialmente, una visione apolittica ed altrettanto impenetrabile
rispetto alle altre creazioni che compogono "Highway 61". Il vero colpo sono
le sonorità che egli impiega per sceneggiare il suo discorso: non più i
suoni grezzi della chitarra elettrica, ma quelli caldi e al tempo stesso
mesti della chitarra acustica, nello stile del Dylan pre-Newport Festival,
per confezionare il suo personalissimo "bestiario" della razza umana:
scienzati, poeti e figure bibliche si trovano tutte nello stesso Vicolo
della Desolazione, dove Dylan riduce tutti allo status di figure vuote e
insignificanti, come a voler ridurre al nulla il loro valore: non più
un'invettiva, dunque, ma una sorta di anti-manifesto dell'umanità, umiliata
nei suoi miti e dipinta come un truce ammasso di mostruosità alla ricerca di
un senso. Resta uno dei brani più difficili e visionari della musica tutta.
Dylan percorrerà ancora una lunga strana dopo quest'album (le atmosfere
impalpabili e metafisiche di "Blonde On Blonde", il fascino delle allusioni
bibliche e della scarna semplicità di "John Wesley Harding", i
deliri-prediche di stampo grettamente religioso dei suoi "album della
conversione", come "Saved" e "Slow Train Coming", o l'incomprensibile e
sconnesso ammasso di stranezze che è "Self Portrait" fino al più recente e
vendutissimo "Modern Times") ed egli ne combinerà un po' di tutte i colori:
un libro ("Tarantula") qualche film da attore in cui egli è stato giudicato
più che altro come "dilettantesco" e "ridicolo" (il suo "Renaldo And Clara")
e le sue più recenti collaborazioni con personaggi come Slash ("Under The
Red Sky") e Daniel Lanois ("Oh Mercy"). In questo colorito panorama "Highway
61 Revisited" sopravvive non solo come la geniale reinvenzione personale di
un artista mai pronto a soddisfare le aspettative altrui, sempre alla
ricerca di una personalissima voce, ma anche come quello che ha reso la
figura del cantautore popolare quanto i gruppi pop come Beatles e Beach
Boys. Egli ne ha avuto per tutti: lo slang stradaiolo dei giovani, le aspre
invettive politiche che il "Movement" degli anni '60 voleva far proprie, i
criptici ma affettuosi ritratti d'amore del folk tradizionale, la malinconia
agonizzante del blues, il moralismo rigido e talvolta un po' bigotto del
country. Ma in nessun caso egli ha copiato questi generi. Bob Dylan piegava
anche loro alla sua sensibilità. Finchè ogni album non era,
inequivocabilmente, un'altra pagina della sua storia e anche della nostra,
come appassionati ascoltatori di musica.
01. Like a Rolling Stone
02. Tombstone Blues
03. It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry
04. From a Buick 6
05. Ballad of a Thin Man
06. Queen Jane Approximately
07. Highway 61 Revisited
08. Just Like Tom Thumb's Blues
09. Desolation Row
Sono saliti a 34 le bands/artisti partecipanti ,sono sette italiane , ricordatevi di
votare per le nostre bands !
1 Not Dark Yet (4:17) Ben Schuurmans
2 Like a Rolling Stone (7:35) Blood on the Tracks
3 Blind Willie McTell (5:56) Dylan Dogs
4 Oben Auf Dem Wachturm (All Along The Watchtower) (3:48) Ernst Schultz
5 Man In The Long Black Coat (4:13) Gerry Markopoulos
6 Señor (2:29) Gianni Zanata
7 Ballad of a Thin Man (5:27) Group Therapy
8 Lovesick (6:07) How Many Roads
9 Simple Twist of Fate (4:34) Jacques Mees
10 Tangled Up In Blue (4:49) Jeremy Mayle
11 Du Liesst Mich In Der Tür Stehen, Heulend (Standing in the Doorway)
(8:38) Manfred Maurenbrecher
12 Desolation Row (10:46) Many Bright Things
13 Tangled Up In Blue (4:19) Mike Rice
14 Things Have Changed (4:01) Mr.AntonDjango's Band
15 Most Likely You Go Your Way and I'll Go Mine (6:14) My Bootheels
16 Buckets of Rain (4:33) Nathan Wayne
17 Things Have Changed (Russian) (5:14) Oksana Mysina and Oxy Rocks
18 I Want You (4:19) Pat Guadagno
19 Just Like A Woman (4:20) PetTommy
20 All Along The Watchtower (8:11) robobob
21 Don't Think Twice (It's Alright) (4:42) Slow Train
Band
22 Positively 4th Street (3:44) Steph Buhé
23 Everything is Broken (4:21) Sub-Terranei
24 This Wheel's on Fire (5:39) The Beards
25 Workingman's Blues #2 (6:13) The Blackstones
26 Shot of Love (3:29) The Devilish DoubleDylans
27 Seeing the Real You at Last (4:02) The Highlights
28 Blind Willie McTell (4:41) The New Fools
29 Hurricane (8:07) The Phantom Engineers
30 Ballad of a Thin Man (7:05) The Royal Alberts
31 When The Deal Goes Down (5:15) Tony Villiers
32 Gotta Serve Somebody (5:44) WilBurt&Co.
33 Blind Willie McTell (5:34) Zelda Smyth
34 Tight Connection To My Heart (3:58) Zimming Point
Quando la Battle comincerà vi diremo come fare a votare
per la vostra band preferita
Title: Blood on the tracks
Data Uscita: 2003
Genre: Cantautore
Production: Columbia Sony
Tracklist
1. Tangled Up in Blue - 5:40
2. Simple Twist of Fate - 4:18
3. You're a Big Girl Now - 4:36
4. Idiot Wind - 7:45
5. You're Gonna Make Me Lonesome When You Go -- 2:58
6. Meet Me in the Morning - 4:19
7. Lily, Rosemary and the Jack of Hearts - 8:50
8. If You See Her, Say Hello - 4:46
9. Shelter from the Storm - 4:59
10. Buckets of Rain - 3:29
MUSICISTI
Artista
* Bob Dylan - voce, chitarra, armonica, tastiere
Altri musicisti
* Bill Peterson - basso
* Eric Weissberg - banjo, chitarra
* Tony Brown - basso
* Charlie Brown - chitarra
* Bill Berg - batteria
* Buddy Cage - chitarra steel
* Barry Kornfeld - chitarra
* Richard Crooks - batteria
* Paul Griffin - organo, tastiere
* Gregg Inhofer - tastiere
* Tom McFaul - tastiere
* Chris Weber - chitarra, chitarra 12 corde
* Kevin Odegard - chitarra
Da un precursore come è stato Bob Dylan è facile aspettarsi sempre e
comunque di tutto.Anche che a metà anni '70 pubblichi un lavoro che potrebbe
essere benissimo di dieci anni prima. Sì perché "Blood On The Tracks" odora
di folk cantautorale come poco materiale del menestrello.
E' essenzialmente il disco più acustico mai fatto da Dylan, ma ciononostante
non è un passo indietro nella produzione artistica di Mr. Robert Allen
Zimmerman. E' un album costruito interamente sul tema della delusione
amorosa, e la sua esecuzione (quasi totalmente chitarra e voce) può, ad un
primo ascolto, far pensare ad un lavoro amatoriale. Ed è questo l'esito al
quale vuole pervenire Dylan, per il quale le origini (della musica in
generale non solo della sua) sono sempre state punto di riferimento perenne,
mai rinnegate dalle svolte rock.
Dylan, reduce da lavori male accolti dalla critica a cavallo tra anni '60 e
'70, quando per alcuni era già artisticamente vecchio, ci fa riassaporare in
queste ottime dieci tracce, il suo lato migliore di folk-singer
sentimentale. Il titolo stesso ("Blood On The Tracks" è significativo della
passione che travolse l'autore nella composizione di questo lavoro
indubbiamente molto ispirato.
I successi non mancano a partire dall' iniziale "Tangled Up In Blue",
ritmica composizione folk-blues, che ci racconta il flashback di un incontro
problematico fra un uomo ed una donna. L'uomo, povero (in tutti sensi) e
disperato (personaggio tipico in molti brani anche precedenti di Dylan) e la
donna, solitamente diversa da come appare ad un primo incontro, sono un po'
il filo conduttore dell'intero lavoro.
Nel secondo pezzo, "Simple Twist Of Fate", forse uno dei migliori brani
fingerpicking di Dylan, si cerca di rendere più comprensibili le delusioni
(in particolare amorose) e di prendere la vita come viene, tanto ciò che
succede è solo un banale "attorcigliarsi" del destino.
Dedica alla figura femminile anche nel terzo brano "You're A Big Girl Now"
(il cui inizio mi ricorda ogni volta "Giorno di pioggia" di Francesco De
Gregori, peraltro precedente) nel quale si arriva alla conclusione che le
stranezze della donna sono motivate semplicemente dal fatto che lei non è
altro che una ragazza cresciuta.
Dylan in questo disco è un uomo maturo, che riesce più lucidamente a capire
l'altro sesso e non come nei dischi della gioventù dove sarcasmo e ironia
sull'argomento abbondano. Qui la riflessione è più seria ma mai comunque
banale e scontata, come anche nella quasi-arrabbiata cantata di "Idiot
wind".
Il folk esasperato di "You're Gonna Make Me Lonesome When You Go" che può
sembrare un ritorno alle ironie giovanili, è invece una serena constatazione
di come un uomo rimane dopo l'abbandono da parte della sua amata. La maniera
distaccata del canto di Dylan può far sì che le canzoni non siano sentite
dall'artista, pur essendo invece tutte autobiografiche.
Non può mancare il più classico dei blues della desolazione che qui è "Meet
Me In The Morning". Nel successivo brano, "Lily, Rosemary and the Jack of
The Tearts", che pecca di eccessiva lungaggine, l'atmosfera è western e
l'armonica iniziale è suonata in maniera molto innovativa, quasi distorta.
Il ritmo complessivo è decisamente trascinante ma come già detto, è forse
eccessiva la durata del pezzo.
Le ultime tre canzoni sono forse le migliori di un album che ha decisamente
pochi colpi bassi. La prima del trittico conclusivo,"If You See Her Say
Hello" è probabilmente la più bella canzone d'amore scritta da Dylan
(commovente l'arpeggio iniziale di circa quaranta secondi). Il brano è un
indiretto colloquio con l'amata, tramite una persona terza. Dylan vuole
negare il suo stato d'animo da uomo deluso di fronte alla donna che l'ha
lasciato, pur provando una disperata nostalgia per lei. Bellissima la
versione italiana di Franceso De Gregori (vero e proprio discepolo di Dylan)
che si intitola "Non dirle che non è così" (che poi oltre ad essere un verso
tradotto della canzone originale, è anche il significato della stessa).
Altro cult è la celeberrima "Shelter From The Storm", bellissimo racconto
dell'incontro con l'amata che gli offre apparentemente la serenità e la
felicità. Si chiude con "Buckets Of Rain" in cui la metafora della pioggia
dovrebbe rappresentare le lacrime versate per colpa dell'amore. La pioggia
come le lacrime lavano il vecchio e lasciano posto al nuovo: bisogna quindi
lasciare il passato alle spalle. La conclusione è perfetta con questo brano
che testimonia la logica fine di un amore che non può mai comunque
prescindere l'incerdere della vita.
Dylan, se mai con questo album abbia voluto azzerarsi, ci è riuscitio come
meglio non poteva. Essere capace di tornare alle origini, pur con la
consapevolezza di avere dieci anni di più, è il pregio che ha l'autore nello
stendere questo lavoro. Testimonianza viva di come Dylan sappia ogni volta
partire da zero, nella discografia del menestrello questo disco è seriamente
candidato al posto di capolavoro assoluto.
In questo periodo non ci sono news
succose , solo robetta di routine , notiziole dove viene citato il nome di
Bob Dylan , articoli che sfruttano il suo nome per avere un pò più di
attenzione. Anche le fonti ufficiali hanno poco da dire , il sito ufficiale
niente , expectingrain è pieno di link su Obama , Beatles , artisti vari
collegati in qualche modo a Bob, boblinks è fermo dalla fine del tour
dell'anno passato. Anche loro non sanno dove andare a pescare , e allora
accontentiamoci di rimestare nel passato , in fondo ci sono saggi
piacevolisssimi da rileggere e che magari erano finiti nel dimenticatoio.
Una rispolverata non può fare che piacere , in mancanza di novità attuali.
Scrivevano.....
BOB DYLAN: POKER SERVITO
di Michele Murino
Soltanto 4 anni fa Bob Dylan raccoglieva premi a man bassa
nel corso della serata dedicata alla consegna dei Grammy Awards al Radio
City Music Hall di New York per il suo pluricelebrato album "Time out of
mind", unanimemente riconosciuto da critica e pubblico come uno dei grandi
capolavori dell'artista americano.
All'epoca sarebbe stato alquanto azzardato anche solo ipotizzare che l'album
successivo sarebbe stato di un livello addirittura superiore
a "Time out of mind"...
Sarebbe stato un pò come dire, ritornando agli anni 70, che il disco
successivo a "Blood on the tracks" gli sarebbe stato superiore... C'era il
rischio di essere tacciati di blasfemia...
Ed invece quel diavolo di un Dylan (perchè ormai è chiaro che ha fatto un
patto con Messer Satanasso) ci ha lasciati di nuovo tutti a bocca aperta e
ci ha buttato lì con non-chalance un poker servito portandosi a casa il
ricco piatto mentre noi ancora stavamo guardando le nostre carte...
Il poker servito in questione è "Love and Theft", il nuovo album del
cantautore americano (com'e limitativo questo termine) e non sembri fuori
luogo il paragone con il tavolo da gioco dal momento che in un recente video
promozionale per il nuovo album Dylan appare appunto intento a giocare a
poker con Ricky Jay, un celebre "maestro delle carte" americano.
Dylan, che ha da poco compiuto sessant'anni ed è fresco di un prestigioso
premio Oscar per "Things have changed" dalla colonna sonora del film "Wonder
Boys", sembra aver sublimato in una sorta di "distilleria della musica"
oltre 70 anni di musica
americana in un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti con meta finale il
delta del Mississippi, "riportando tutto a casa" ancora una volta
(come nel caso del rivoluzionario "Bringing it all back home", album della
metà degli anni '60), riscoprendo le radici della musica americana e
riconsegnandocele in 12 brani che sono tra i migliori dell'intera produzione
dylaniana Il disco è già ascoltabile in anteprima sulla Rete grazie agli
innumerevoli siti che, come sempre avviene in queste occasioni, riescono a
mettere a disposizione dei navigatori le canzoni prima ancora che il disco
esca nei negozi (uscita prevista in Europa il 10 settembre ed in U.S.A. il
giorno successivo).
12 perle, quelle di "Love and Theft", le più splendenti delle quali sono
senza dubbio "Mississippi", "High Water" e "Sugar baby"...
Il primo è un classico pezzo alla Dylan che inchioda l'ascoltatore alla
sedia dalla prima all'ultima nota con un ritmo lento ed assolutamente
affascinante, memore in taluni passaggi delle atmosfere di "Oh Mercy", altro
pluricelebrato album dylaniano del 1989.
E pensare che "Mississippi" era un brano scartato da Bob ai tempi di "Time
out of mind" e "regalato" a Sheryl Crow che ne aveva fatto una bella
versione qualche anno fa, ma che naturalmente sparisce al confronto con
questa di Dylan il quale ha completamente riveduto e corretto la canzone
riscrivendone la melodia ed ottenendo quello che diventerà senza dubbio uno
dei suoi capolavori di sempre.
Di "High Water" colpisce soprattutto la voce di Dylan che ricorda certi
blues che cantava quando aveva 20 anni oltre al "terrificante" tappeto
sonoro che martella tutto il brano con banjo e chitarre e che gli conferisce
un sound assolutamente suggestivo.
"Sugar Baby" è una dolce ballata che ha anch'essa reminiscenze di "Oh Mercy"
e, comunque, del sound di Daniel Lanois (produttore di quell'album così come
di "Time out of mind"). Il testo trasuda poesia in più di una strofa.
Un secondo trio di gemme rare, dal sapore antico, è costituito da
"Moonlight", "Po' boy" e "Bye and Bye".
La prima è una delle migliori canzoni di "amore e non amore" di Dylan,
sorretta da una melodia vecchio stile assolutamente affascinante e da un
cantato di Bob che trasmette allo stesso tempo infinita dolcezza e
malinconia.
"Po' boy", forse la migliore dell'album in quanto a performance canora, vede
Dylan ritornare a certi fraseggi tirati, a certi "inside jokes"
tipici delle sue canzoni degli anni '60, sorta di strofe al limite della
parodia come nel caso di quella che recita: "Otello disse a Desdemona:
"Ho freddo... Dammi una coperta ... Ad ogni modo cosa ne è stato di quel
vino avvelenato?", lei rispose: "L'ho dato a te, l'hai bevuto..".
Quanto a "Bye and Bye", in questo caso Bob si diverte in parte a fare il
verso alla celebre "Blue Moon" col risultato di rischiare di oscurare
l'originale.
Poi c'è la corposa parte rock/blues dell'album che presenta alcune delle
cose migliori realizzate da Dylan in questo genere, da "Lonesome day blues"
(un martellante blues che non avrebbe sfigurato su "Blonde on blonde"), a
"Summer days" (un trascinante rock'n'roll in stile Elvis in cui Bob canta in
maniera superba le veloci strofe del brano), da "Tweedle Dee and Tweedle
Dum" (un rock-a-billy caratterizzato ancora una volta da una superba
performance canora oltre che da un intrigante giro di chitarre) a "Cry
awhile" fino alla potente, travolgente, tiratissima "Honest with me", un
infuocato blues che cita addirittura un verso di Sinatra nella prima strofa.
E poi c'è un altro pezzo di eccelsa fattura come "Floater" in cui è da
segnalare il bellissimo violino di Larry Campbell che fa da contrappunto
alle strofe della canzone.
A proposito dei musicisti, oltre al chitarrista Larry Campbell già citato
hanno suonato Tony Garnier (basso) Charlie Sexton (chitarra) Dave Kemper
(batteria) - ossia la band che accompagna Dylan in tour - con l'aggiunta di
Augie Meyers, già presente in Time out of mind, che ha suonato le tastiere.
Un grandissimo album dunque che a differenza del precedente "Time out of
mind" spazia a 360 gradi sia dal punto di vista musicale che dei testi e che
ci riconsegna un Dylan molto più "vitale" e "raggiante" rispetto a quello di
4/5 anni fa che sembrava essersi un pò ripiegato su se stesso in una sorta
di angolo oscuro in cui l'atmosfera non poteva che essere malinconica e
crepuscolare (e che gli aveva permesso di realizzare con "Time out of mind"
uno dei suoi migliori album di sempre).
Un album che per certi versi stupisce dal momento che, pur muovendo da
epoche antiche, è caratterizzato da una freschezza ed immediatezza come
pochi album di Dylan. Non a caso la Columbia, casa discografica produttrice
dell'album, ha rilasciato dichiarazioni che definiscono "Love and Theft"
come un "album per le masse", non indirizzato, dunque, esclusivamente ai
fans di Dylan.
Numerose sono le citazioni ed i rimandi che Dylan sembra essersi divertito a
disseminare nei 12 testi di Love and Theft, da Frank Sinatra a Charlie
Patton, da Shakespeare a Lewis Carroll, da F. Scott Fitzgerald a Big Joe
Turner fino al "demoniaco" bluesman del Delta, Robert Johnson.
Una nota finale merita il titolo dell'album, alquanto inusitato
apparentemente, ma che potrebbe essere spiegato come una dichiarazione
di Dylan che "ruba" dal passato pescando a piene mani dai classici della sua
epoca (ma anche di quelle precedenti) quasi come se Bob volesse dirci che "è
lecito rubare per amore".
Michele Murino
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Torna Bob Dylan, il poeta scomodo che non vuole essere
un mito
Giorni fa s'e' presentato in scena vestito di nero, il
cravattino a fiocco come un giocatore di poker nel vecchio West, la chitarra
imbracciata come un fucile e l'immancabile armonica a bocca. Bentornato, Bob
Dylan. Sfiorando i 60 anni (ne ha 58), domenica sera il patriarca del rock
si riaffaccia a Roma, nella stessa scalinata del Palazzo della Civilta' del
Lavoro all'Eur in cui si era esibito nel giugno 1989, per il Roma Live
Festival. In due ore scarse, intensissime, Bob Dylan non disse una parola al
pubblico, offrendogli per la maggior parte del tempo la schiena. The times
they are a changin', i tempi stanno cambiando, canta Dylan, ma non per lui,
che resta il solito vecchio ruvido, irsuto ragazzo contro. In questo tour
Dylan, come d'abitudine, cambia scaletta ogni volta. In Danimarca nel bis,
davanti a 70 mila persone, ha risuonato Blowin' in the wind, che prima
divenne l'inno dei militanti per i diritti civili in Usa e poi si trasformo'
in una poesia studiata nei licei americani. Sfiorando i 60, Dylan dimostra
tutte le cicatrici del tempo: il volto segnato, la voce arrochita e
inasprita da una malattia poi superata. Che cosa resta, in fondo, dopo i
suoi versi? La sua rivoluzione e' quella di un orizzonte espressivo molto
piu' largo rispetto a prima. Folksinger di protesta? Anche, ma non solo.
Pacifista? Anche, ma non solo. Poeta scomodo certo. Scomodo, elusivo,
segreto, si e' sempre rifiutato di farsi fissare in un archetipo. Il suo
ebraismo e' nel suo essere sempre altrove. E diventato un modello, un leader
ideologico contro la sua volonta'. Bob Dylan e' la voce degli uomini soli.
Nella sua vita non ha mai fatto quello che la gente si aspettava da lui. Dal
tradimento di Newport, quando contamino' il folk con i ritmi del rock, si e'
cucito sulla pelle un nuovo stile. Ogni volta reinventa i suoi pezzi,
rendendoli irriconoscibili, asciugando la sua anima. Cosi' qualche fan si e'
perso per strada, e le anime ingenue hanno detto che Dylan ha fatto a pezzi
il suo mito. Una parabola che richiama quella di Igor Stravinsky. Gli anni
della rabbia e dei sit in ribelli non ci sono piu'. Una volta disse che non
ha nulla a che fare con i Sixties, di cui non aveva compreso il senso. C'e'
piuttosto l'America visionaria di Melville. Quello che io posso fare di
eroico ha detto in una delle sue rare interviste e' trascinare la gente con
la mia chitarra. Dylan continua a dare l'impressione di essere un uomo solo.
Nel Giovane Holden, il romanzo della generazione che per prima ha ascoltato
Bob Dylan, la piccola sorellina Phoebe domanda a un autista di taxi: Dove
volano le anatre del Central Park quando il lago e' ghiacciato?. Il primo
Dylan non e' lontano dal giovane Holden. Ma nessuno, finora, ha scoperto il
luogo dove egli si nasconde quando il lago e' ghiacciato. Dylan torna dopo
il concerto del 6 giugno '91 al Palaeur. Domenica i nostalgici andranno a
rincorrere la loro gioventu'. Settemila posti all'Eur. I biglietti (nelle
abituali prevendite) costano 40.000 lire.
Cappelli Valerio - Pagina 47 (3 luglio 1998) - Corriere della Sera
Alcuni di loro sono morti. Altri si sono ritirati dalle
scene. Nessuno, comunque, è stato più in grado di superare quello che,
musicalmente, questi uomini e donne avevano fatto fino a quel giorno. Che
era il 25 novembre 1976, quando uno dopo l’altro sfilarono sul palco del
Winterland di San Francisco i più brillanti esponenti di una generazione che
con le loro canzoni avevano cantato utopie, speranze, disillusioni di un
momento storico unico di quel secolo, il 900. Stavano dicendo addio, ma non
lo sapevano. Ma suonarono come se fosse stata l'ultima notte della loro
vita, meglio di ogni altra volta.
Fu la sera dell’ultimo valzer, quando Van Morrison scalciando come un
indemoniato terrorizzò quanti lo stavano guardando. Quando Eric Clapton
tornò a suonare la chitarra solista da dio, come non faceva da anni.
Sembrava non volersi fermare più. Quando Neil Young si presentò sul palco
con il naso impolverato di cocaina (che il regista abilmente fece
scomparire, su sua richiesta, dalle immagini del film). Quando Bob Dylan con
i suoi vecchi amici con cui aveva sconvolto il mondo esattamente dieci anni
prima, tornò a suonare “fucking loud”, facendo riecheggiare la voce di Walt
Whitman su un palcoscenico rock. E quando Ronnie Hawkins lanciò ancora una
volta quell’urlo, quello del rock’n’roll. Joni Mitchell seduceva e
incantava, mentre, pacioso e con lo sguardo di chi sapeva già come sarebbe
andata a finire, Muddy Waters benediceva tutti e The Band mandava in scena
l’ultima esibizione di un’America che era già scomparsa con i morti della
Guerra di secessione.
Fu l’ultimo valzer del rock, e il regista di Taxi Driver lo coglieva con
capacità a tutt’oggi insuperabile: non si vedono mai gli spettatori, nel suo
film. Questa è una celebrazione di quegli uomini sul palco.
“Ecco cosa è L’ultimo valzer” dice nel film Robbie Robertson. “Sedici anni
on the road. Un numero che ti fa paura. Non potrei vivere per vent’anni
sulla strada. Non penso di poter neanche discutere una cosa del genere”.
Avrebbe tenuto fede a quelle parole. Non sarebbe più tornato on the
road.
Presentato come "l'incredibile Roger McGuinn", qualche sera fa, nella città
dove risiede da anni, Orlando, Florida, l'ex leader e fondatore dei Byrds -
"negli anni 60 l'unico gruppo americano di cui essere orgogliosi" come
diceva Tom Petty - è salito sul palco della E Street Band. Nel corso del
tour americano 2008, in quasi ogni città dove si trova a suonare,
Springsteen ha preso la bella abitudine di invitare qualche gloria locale.
Sono particolarmente contento, ad esempio, del duetto a Houston con il
formidabile Alejandro Escovedo, uno che non ha mai raccolto abbastanza
rispetto ai bellissimi dischi incisi.
Roger McGuinn, ovviamente, è più di una gloria locale, è una gloria
mondiale. "Quando avevo 15 anni" dirà Bruce ad Orlando "comprai il primo
disco dei Byrds e lo ascoltai circa 200 volte consecutive nei giorni
seguenti". Feci così anch'io quando avevo 14 anni e comprai (solo perché
vidi che c'erano diverse canzoni a firma Bob Dylan, non sapevo manco chi
fossero) quel disco. Non me ne sono mai stancato e a quello ho aggiunto via
via tutti i dischi dei Byrds (e quelli di Roger McGuinn, peraltro, e quelli
meravigliosi di Gene Clark, e quelli di David Crosby e anche un paio di
Chris Hillman). Sono stati certamente il più grande gruppo americano di
tutti i tempi, e non solo nella fase iniziale, ma anche quando, andati via
uno dopo l'altro, rimase solo McGuinn con musicisti occasionali, che poi
rispondevano sempre a nomi di grandissima classe, ad esempio Gram Parsons.
Hanno attraversato tutto quello che c'era da attraversare, dalla psichedelia
affrontata ben prima dei Beatles, all'invenzione del country-rock, il tutto
con quel magico suono jingle jangle che ancora oggi si sente in giro, ad
esempio nell'ultimo dei REM.
Eccoli, in tutta la loro gloria giovanile, a dar vita a una avventura senza
paragoni, a bordo di una magica nave roteante.
TUTTA LA GRANDE FEDE IN UNA PICCOLA GRANDE ESIBIZIONE DI
BOB DYLAN
di David Zard
Non voglio dilungarmi su quello che tutti o quasi tutti hanno visto in
televisione, ma voglio fare un racconto di quello che succedeva dietro il
palco fino all'esibizione di Bob Dylan.
Dopo molte peripezie sono riuscito ad entrare, ad un certo punto l'ingresso
era stato bloccato perché arrivava S.S. il Pontefice, poi finalmente
entriamo e ci dirigiamo verso i camerini degli artisti situati dietro il
palco.
Incontro Barry Dickins, agente europeo di Dylan, poi incontro il suo Manager
Jeff Kramer e così, via via, tutti i componenti dell'entourage di Dylan, ma
di lui nemmeno l'ombra: era rinchiuso nei camerini assalito da mille dubbi
ed indecisioni. Mi informano che nelle ultime due ore la scaletta era
cambiata cinque volte e l'unica canzone fissa era Forever Young che Bob
Dylan voleva dedicare al Papa.
Blowin' in the wind era una richiesta degli organizzatori dell'evento, ma é
sparita dalla lista delle canzoni non appena i ragazzi hanno rivolto delle
domande a S.S. basate sulla poesia di Dylan ed il Papa ha risposto come
tutti abbiamo visto.
Ero seduto nei camerini di Dylan, quando Jeff Kramer mi chiede se era
obbligatorio fare come tutti gli artisti, e cioé omaggiare il Papa dopo la
loro esibizione, ed io gli ho risposto che sarebbe stato brutto o almeno di
cattivo gusto non farlo, allora mi é stato detto che Dylan non poteva
baciargli la mano o l'anello dato che Dylan non era Cristiano né tanto meno
Cattolico; ed io gli ho confermato che sarebbe bastato un segno di riverenza
e di rispetto.
- l'incontro "Bob wants to see you", ed allora mi alzo assieme a mio figlio
e mi dirigo
verso il suo camerino. Dylan mi stava aspettando fuori dalla porta e,
vedendo mio figlio Clemente, gli dice che se lo ricordava molto più piccolo
e Clemente: "Are you Bob Dylan ?" E lui: "No Bob is in the lunch room eating
pickles" ("No, Bob e nella sala da pranzo che mangia dei sottaceti"). Poi si
rivolge a me e mi chiede informazioni su cosa hanno scritto i giornali
riguardo la sua partecipazione all'evento, perché "sai due anni fa ero stato
invitato a cantare per i Buddisti in Giappone ed hanno scritto che ero
diventato Buddista", allora io gli ho spiegato che lui non rende la vita
facile ai giornalisti, dato che raramente rilascia interviste e allora loro
si devono inventare qualche cosa. Un pacato risolino, e poi mi chiede come
sta mia madre e se fa ancora il Cous Cous; io per tutta risposta lo invito a
passare le prossime festività ebraiche a casa mia e lui mi risponde che per
Rosh Asshana (il capo d'anno ebraico) sarà a Londra ma Yom Kippur lo deve
passare con i suoi figli in America ed è solo per questa ragione che ha
rinunciato ad esibirsi in altri paesi d'Europa.
Arriva l'ora di salire sul palco, il Papa ha appena iniziato il suo
intervento e Dylan mi chiede cosa ha detto, io traduco le parole di Blowin'
In The Wind e lui mi interrompe dicendo che le conosce ma quando il Papa
inizia a parlare di Cristo sempre sui toni della canzone dice: "Queste non
le ho scritte io".
"Cosa ne pensi se cantassi il Kol Nidre, usciamo vivi da qui?"
Io allora: "Perché hai accettato di fare questa manifestazione, non sapevi
che era una manifestazione religiosa ?"
"Io canto per tutti, gli ebrei non discriminano e non hanno mai discriminato
nessuno. E poi le benedizioni da chiunque arrivino sono sempre benedizioni.
Blessings are blessings". E si avvia sul palco, dopo aver accarezzato sulla
testa Clemente, mio figlio, quasi volesse benedirlo.
Recensione di: mien_mo_man , (Friday, January 02, 2009)
E' il 1973 e Roger McGuinn ci prova in tutti i modi. Scioglie i Byrds per
com'erano ormai composti, ricompatta la vecchia line up, sebbene non
abbastanza per dar vita ad un progetto serio, e poi finisce per provarci
pure in solitario. Mentre David Crosby e Gene Clark avevano già dischi
solisti all'attivo, e mentre tutti gli altri erano stati in altre bands,
duos o consorzi vari, il più egotico degli Uccelli aveva scelto di non
staccarsi dal "suo" monicker fino alla fine, forse perché convinto che i
Byrds fossero lui, chissà. Resta il fatto che in "Roger McGuinn" il nostro
risulta avere una freschezza compositiva che nelle ultime prove della sua
band non venne registrata, e men che meno la si trovò nel disco del tentato
ritorno ai vecchi fasti. Omonimi, i due ultimi dischi, "Roger McGuinn" l'uno
e "Byrds" l'altro, il primo tutto sommato indovinato ed il secondo
nient'affatto.
Qui, seppur limitatamente, Roger dà sfogo alle sue predilezioni musicali,
cimentandosi nella folk song in puro stile mentore-Dylan "I'm So Restless",
in cui il vecchio Bob ci piazza un'armonica a bocca, o nel jazz-rock di "My
New Woman", e d'altronde si sapeva dell'amore di Roger per il sax di
Coltrane sin dai tempi di "Eight Miles High".
C'è pure il root-rock senza fronzoli di "Lost My Drivin' Wheel", non il più
carico del pianeta root-rock ma comunque con un discreto incedere, quindi un
surf rock nostalgico (in questo disco ci suona pure Bruce Johnson), un folk
vecchio di un decennio che parte raga-rock ed invece diventa purissima
Byrds' melody.
C'è un po' di tutto, dunque, dal country contemporaneo di "Bag Full Of
Money", al bluesuccio acustico ed anche piuttosto scazzato di "Hanoi
Hannah"; anche un esperimento caraibico, ed immancabilmente due
traditionals, specialità tipica del nostro, grande professional del
riarrangiamento.
L'unico cruccio è che i brani sono quasi tutti un po' troppo facili,
prevedibili, passabili, per un easy listening efficace ma che non può
paragonarsi affatto alla grandiosità dei giganti del suo tempo, a cominciare
dai suoi ex compagni d'avventura, per proseguire quindi coi suoi acerrimi
rivali dei tempi d'oro, e per finire col suo mentore (e migliore amico nel
music business) Bob Dylan.
Anzi no, non per finire con Dylan, ma per finire con se stesso, il Roger
McGuinn che, senza Gene Clark e senza David Crosby, prese il fidato Chris
Hillman ed assieme a lui creò l'eccezionale "The Notorious Byrd Brothers".
Un autore, allora e purtroppo per l'ultima volta, capace di molto di più di
quanto raccolto in questo disco.
Parte il 1° Febbraio la prima Battle of the Dylan Cover
Bands , ecco l'elenco dei partecipanti :
1 Not Dark Yet (4:17) Ben Schuurmans
2 Like a Rolling Stone (7:35) Blood on the Tracks
3 Oben Auf Dem Wachturm (All Along The Watchtower) (3:48) Ernst Schultz
4 Señor (2:29) Gianni Zanata
5 Ballad of a Thin Man (5:27) Group Therapy
6 Lovesick (6:07) HOW MANY ROADS
7 Simple Twist of Fate (4:34) Jacques Mees
8 Tangled Up In Blue (4:49) Jeremy Mayle
9 Desolation Row (10:46) Many Bright Things
10 Tangled Up In Blue (4:19) Mike Rice
11 Most Likely You Go Your Way and I'll Go Mine (6:14) My Bootheels
12 Buckets of Rain (4:33) Nathan Wayne
13 Things Have Changed (Russian) (5:14) Oksana Mysina and Oxy Rocks
14 I Want You (4:19) Pat Guadagno
15 Just Like A Woman (4:20) PetTommy
16 Don't Think Twice (It's Alright) (4:42) Slow Train
Band
17 Positively 4th Street (3:44) Steph Buhé
18 This Wheel's on Fire (5:39) The Beards
19 Workingman's Blues #2 (6:13) The Blackstones
20 Shot of Love (3:29) The Devilish DoubleDylans
21 Seeing the Real You at Last (4:02) The Highlights
22 Blind Willie McTell (4:41) The New Fools
23 Hurricane (8:07) The Phantom Engineers
24 When The Deal Goes Down (5:15) Tony Villiers
25 Gotta Serve Somebody (5:44) WilBurt&Co.
26 Blind Willie McTell (5:34) Zelda Smyth
27
Tight Connection To My Heart (3:58) Zimming Point
In rosso sono le bands italiane partecipanti , please ,
quando avrete un attimo di tempo votate per una delle nostre bands ,
vi faremo sapere come fare quando la battaglia partirà.
Per richiedere l'ascolto di uno di questi pezzi è semplice ,
seguite le istruzioni :
2) In alto , nella Home page , nel menù cliccare su "Browse
songs"
3) In cima alla pagina ci sono le lettere dell'alfabeto ,
cliccare la lettera scelta ( esempio : Don't think twice della Slow Train
Band - cliccare la D )
4) Seguire l'elenco delle canzoni finchè troverete quella
desiderata
5) Di fianco all'elenco dei titoli , per ogni canzone
troverete la scritta "request"
6) Cliccate su "request" , si aprirà la finestra della
canzone scelta , a questo punto è sufficiente digitare ( se volete , non è
obbligatorio ) il vostro nome e il testo della dedica e cliccare il bottone
"dedicate it" , entro un'oretta la canzone da voi scelta verrà messa in
onda.
Cliccate , sempre nel menù in cima alla Home Page la scritta
"Web Player" , si aprirà una finestrella e , collegando il computer al
vostro impianto HIFI potrete ascoltare tutte le canzoni che volete 24 ore su
24.
Stasera la piazza è più ordinata e silenziosa, forse per i posti seduti,
forse per il rispetto che si deve a un concerto di Bob Dylan. Faccio fatica
a pensare ad una serata migliore di quella di ieri con Neil Young, ma, se è
vero che Bob era nel backstage, non dovrebbe essere da meno. In tirbuna vip
si vedono Fernanda Pivano, Dori Grezzi e Lawrence Ferlinghetti seduti
vicini, poi Francesco De Gregori, Giorgio Cordini, mentre tra il pubblico
questa volta scorgo Alberto Fortis. Qualcuno indossa anche un cappello di
pelle di leopardo.
Mi sento già fremere al pensiero.
Poco dopo le 21.00 compare Charlie "occhi azzurri" Sexton in un elegante
completo grigio, seguito a ruota da Larry Campbell, capelli lunghi e aria
misteriosa, aumentata dal lungo abito nero. Alla batteria spunta un basco,
mentre Tony Garnier fa il suo ingresso quasi coperto dal contrabbasso. Non
riesco a vedere da quale parte entri Bob, ma me lo trovo davanti in un
completo nero con l'unica concessione di una righina bianca sul fianco dei
pantaloni all'insegna della massima professionalità artistica. Mentre le
casse stanno ancora diffondendo "La sinfonia del nuovo mondo" di Dvorak,
parte un mezzo bluegrass, spinto dal contrabbasso; solo nel finale riesco a
riconoscere "Rovin' gambler".
Uno sguardo per iniziare "The times they are a-changin'" in una versione
densa in cui il leggendario brano folk si tramuta in una sostenuta
country-song; Dylan appare svogliato, accenna qualche assolo, poi lascia
perdere e va a dire qualcosa a un roadie, per tornare al microfono con la
folla che lo acclama. "Desolation row" aumenta i giri, Bob tira la sua
acustica fino al blues, gratta ogni singola parola con una voce seccata dal
tempo e mostra il ghigno a chi lo osanna dalle prime file.
Non ci sono stati saluti, nemmeno una parola, anche il gruppo mantiene la
stessa serietà che distingue chiunque suoni con Dylan. L'arte richiede tutta
la dedizione possibile e nessuno come lui ne è conscio.
Il tempo che Bob imbracci una Fender e Charlie Sexton una Gibson nera che
comincia a sussultare un boogie sporco, pieno di accordi secchi: "Maggie's
Farm"! Bob la parla per intero e mette tutto il fiato in un incredibile
finale in cui detta gli stacchi con l'armonica a polmoni aperti. Non si fa
in tempo ad esultare che la slide di Larry Campbell introduce "Just like a
woman", rovinata solo dalle stelline che qualcuno accende dai balconi
attorno, ma il bridge cantato da Bob su "It was raining from the first / And
I was dying there of first" è talmente cupo e intenso da spazzare via tutto,
prima delle commoventi note conclusive dell'armonica.
Non riesco a capacitarmi di come il gruppo stia suonando alla grandissima:
Larry Campbell passa dalla slide al violino, Sexton lavora su non so quante
chitarre, basso e batteria spingono come meglio non si può. "If you see her
say hello", "Don't think twice, it's all right", il blues stoppato di
"Masters of war", graffiata anche da un dobro, e "One too many mornings"
formano una sequenza che vorrei riuscire a registrare dentro di me in ogni
nota. "Stuck inside of mobile" inizia la parte più elettrica del concerto ed
è una delle cose più belle della serata: Dylan e Sexton eseguono
contemporaneamente diversi assoli alle chitarre producendo un impasto di
grande qualità. Bob spezzetta ogni singola parola con una pausa aumentando
così l'effetto delle battute del "Memphis blues".
Con "Positively 4th street" e "Drifter's escape" scoppia il caos sotto il
palco, nessuno rimane seduto, anche chi ha prenotato le poltroncine blu è
costretto ad alzarsi. Ad ogni sguardo verso Sexton, Bob entra con un assolo
che poi trattiene forse per evitare il plauso della folla e per andare a
riprenderlo da un angolo diverso. "Rainy day women # 12 & 35" è una
ulteriore accellerata e anche l'occasione per presentare la band prima di
scendere dal palco.
Si ricomincia con "Things have changed" più sporca e nera che su disco; qua
Bob si concede una Fender personalizzata con tanto di firma sul manico.
"Like a rolling stone" non ha invece nulla della concessione, ma una potenza
che Dylan aumenta quasi urlando "you got no secrets to conceal": la voce di
Bob non è mai stata bella, ma proprio quell'essere così roca e nasale ne ha
fatto di riflesso l'unica in grado di cantare parole come arte. L'esecuzione
è magistrale con i musicisti in riga sul fronte del palco a puntare gli
strumenti verso il pubblico.
Qua ce ne sarebbe già più che abbastanza, ma Sexton e Campbell si avvicinano
ai microfoni e intonano un profondissimo coro: "Knockin' on heaven's door"!
La versione che Bob ne fa è romantica e decisa allo stesso tempo, dettata
dal basso acustico di Tony. Dylan praticamente parla il testo, mentre i due
chitarristi ripetono ai cori la melodia del ritornello.
Degli accordi ruvidissimi ed elettrici lanciano nella piazza "All along the
watchtower" con Sexton che ribalta il famoso riff spaccando l'aria fino al
maestoso finale. I ritmi della band e il canto di Bob dissacrano i suoi più
grandi successi e rendono arduo ogni tentativo della folla di accompagnare
le canzoni che così riescono a meravigliare ancora di più. Questi mutamenti
permettono tra l'altro a Dylan di riaffermare se stesso e il suo talento di
fronte a un pubblico che non smetterebbe mai di volerlo come in passato.
E allora "I shall be released" si veste di un lieve blues che poi si libera
nel toccante ritornello, sostenuto ancora dai cori celesti di Sexton e
Campbell. "Highway 61 revisited" è una botta continua di boogie e bluegrass
con tutte le luci accese sulla piazza; mi dà i brividi sentirmi addosso gli
sguardi di Sexton e anche gli occhi stretti di Bob girati nella mia
direzione. Il finale è esaltante e Garnier sale letteralmente sulla batteria
per le ultime battute.
Le chitarre acustiche tornano a distendersi per "Blowin' in the wind",
arricchita da una serie di brevi assoli che Dylan lancia all'interno della
canzone. Tutto finisce con un lungo coro a tre voci a ripetere il ritornello
più famoso della storia del rock: "the answer my friend is blowin' in the
wind".
Mi fermo un po' in piazza per cercare di prendere coscienza di quanto ho
visto, vorrei che restasse nella memoria il più possibile. L'aria sembra più
leggera, come dopo un improvviso cambiamento atmosferico, ma mai ho
assistito a un temporale di una tale bellezza.
Mi accendo una sigaretta e me ne resto qui, ancora per qualche minuto,
accanto a queste canzoni.
Articolo di: Christian Verzeletti
(fonte: mescalina.it)
"Play fucking loud!!!". Con questa frase entrata ormai nella leggenda del
Rock un Bob Dylan rabbioso si rivolse a Robbie Robertson ed ai suoi
"complici", membri di "The Hawks" (la futura "The Band", immortalata nel
celebre film "The Last Waltz" di Martin Scorsese) prima dell'esecuzione di
una rovente Like a rolling stone che riversò sul pubblico inglese una
travolgente marea sonica dalla dirompente ed inarrestabile potenza dopo la
velenosa incitazione di Dylan: "Suonate fottutamente forte!!!" ("Play
fucking loud!!!", per l'appunto).
Era il 17 maggio del 1966. Il luogo: la "Free Trade Hall" di Manchester,
Inghilterra.
"Complici" abbiamo scritto. Ma qual era il "crimine" di cui si erano
macchiati questi talentuosi ragazzotti canadesi guidati dall'anfetaminico
Dylan della metà degli anni 60, l'artista che "indicava la strada" (come
ebbe a dire John Lennon) e che solo un anno prima aveva gettato alle ortiche
la sua chitarra acustica, con la quale aveva rinnovato la musica folk,
imbracciando una lucente chitarra elettrica e spiazzando al Festival di
Newport del 1965 i suoi fans "fondamentalisti", i cosiddetti puristi del
folk che solo anelavano di ascoltare le dolci ballate inglesi, irlandesi ed
appalachiane o quelle impegnate e politiche di Woody Guthrie e Pete Seeger,
tra gli altri, che costituivano la base dei primi lavori del giovane Dylan?
Il crimine in questione era stato il "tradimento" di Dylan, il rinnegato
vendutosi al sistema per far soldi e diventato nel giro di un anno e di un
paio di album una rockstar con tanto di occhiali scuri, abbigliamento "punk"
ed atteggiamenti da divo e che aveva, a dir loro, rinnegato gli ideali ed i
vecchi amici pur di arricchire e diventare un'icona della musica rock.
Quella sera del 17 maggio del '66, a Manchester, la contestazione che aveva
accompagnato il tour inglese di quell'anno raggiunse l'apice quando iniziò
una vera e propria guerra a distanza tra il pubblico da una parte e Dylan
and The Hawks, dileggiati, fischiati e contestati dai fans inglesi nel set
elettrico della seconda parte dello show,dall'altra.
Finchè uno spettatore più intraprendente degli altri si rivolse direttamente
a Dylan gridando a pieni polmoni il celebre insulto: "Judas!!!", entrato
anch'esso di diritto nella storia e nella leggenda del Rock e provocando la
reazione di Dylan di cui parlavamo all'inizio con la risposta della rockstar
sibilata tra i denti: "I don't believe you!"... "You're a liar!" (Non ti
credo... Sei un bugiardo) e poi con quel furente"Play
fucking loud!!!" rivolto a The Hawks frementi sui loro strumenti e che diede
inizio alla torrenziale "Like a rolling stone".
Negli anni recenti un'interazione simile tra Dylan ed il pubblico sì è
andata facendo sempre più improbabile. Fatta eccezione per rari casi come
quelli degli show a cavallo tra la fine dei '70 e l'inizio degli '80 in cui
il Dylan "predicatore" (quello che si era convertito alla religione dei
"Cristiani Rinati", lui ebreo di nascita) dialogava col pubblico tenendo
lunghi sermoni.
Era il periodo del cosiddetto "Gospel Tour" (il tour evangelico) con Dylan
che, tra una canzone e l'altra, predicava la Verità della Bibbia parlando
della fine del mondo, della battaglia finale dell'Armageddon e del nuovo
Avvento di Gesù Cristo. Il suo tentativo di "convertire" i propri fans venne
commentato ironicamente dalla critica che non credette alla sincerità
dell'artista (il premio per l'originalità, come
sottolineato da Clinton Heylin nel suo "Jokerman - Vita e arte di Bob Dylan
", andò al New Musical Express che titolò: "Dylan è Dio! E' ufficiale!").
Per il resto, soprattutto negli anni '90 ed in questo primo scorcio degli
anni 2000, i concerti di Dylan hanno visto un artista quasi completamente
disinteressato del pubblico, chiuso nel suo mutismo (con la sola eccezione
delle poche rituali parole per la presentazione dei musicisti che lo
accompagnano) e concentrato esclusivamente sull'esecuzione dei brani.
Eppure nel recente concerto del Filaforum di Assago del 20 aprile è accaduto
qualcosa che, fatte le debite proporzioni, ha riportato con la mente a
quella lontana, leggendaria sera di Manchester, col pubblico milanese che ha
fischiato Dylan e con l'artista che, proprio come nel 66, ha iniziato tutta
una serie di plateali gesti di "vendetta" nei confronti dell'audience, una
serie di ripicche che hanno instaurato un dialogo a distanza con gli
spettatori, ciò che come dicevamo prima era diventato sempre più improbabile
in tempi recenti.
All'uscita di Dylan e della band sul palco del Filafourm, mentre già Charlie
Sexton (chitarra solista), Larry Campbell (chitarra, slide, violino,
mandolino...), George Receli (batteria) e Tony Garnier (basso) avevano dato
il via ai primi accordi di "Humming Bird", un traditional che di recente
Dylan propone sovente in apertura del proprio show, una sigaretta accesa
vola dalle prime file dell'audience "minacciosamente" in direzione di Dylan
appena posizionatosi al microfono.
La reazione è stata immediata e teatrale. Dylan visibilmente adirato tira
platealmente indietro il microfono e si posiziona sul fondo del palco, molto
lontano dalla prima fila di spettatori. Parlotta con uno dei tecnici di
palco dando ordine di puntare fortissime ed accecanti luci sugli spettatori,
allerta la security per individuare eventuali responsabili di gesti
sconsiderati.
Potrebbe sembrare esagerata la reazione di Dylan se non che si deve tenere
conto di tutta una serie di elementi che in parte la giustificano. Solo il
giorno prima del concerto di Dylan a Milano un aereo si era schiantato
contro il grattacielo Pirelli con una dinamica dell'episodio che aveva
tragicamente ricordato quella degli aerei di linea dirottati dai terroristi
e schiantatisi contro le torri gemelle del World Trade Center di New York
l'11settembre 2001 causando migliaia di morti.
Un episodio, quello del "Pirellone", che nel momento in cui Dylan sale sul
palco di Milano non è ancora chiarito tanto che l'ipotesi dell'attentato,
nel momento in cui scriviamo, è ancora al vaglio degli investigatori. Solo
poco tempo prima del concerto di Dylan proprio a Milano erano stati
arrestati terroristi presumibilmente affiliati ad Al-Qaeida,
l'organizzazione terroristica dietro la tragedia dell'11 settembre. La
guerra tra Palestinesi ed Israeliani di quei giorni vedeva proseguire la sua
escalation di terrore e morte.
E Dylan è ebreo, oltre che cittadino americano. E la sua posizione
filo-israeliana è addirittura diventata una canzone, quella "Neighborhood
bully" dall'album "Infidels" in cui Dylan si schierava dalla parte di
Israele cantando: "Bè, il bullo del quartiere è solo uno. I suoi nemici
dicono che è sul loro territorio. Loro sono più numerosi circa un milione
contro uno. Lui non ha nessun posto dove scappare, nessun posto dove
correre. Il bullo del quartiere è stato sbattuto via da ogni terra. Girovaga
per il mondo, è un esiliato. Ha visto disperdere la sua famiglia, la sua
gente perseguitata e dilaniata. È sempre sotto processo per il solo fatto di
essere nato. C'è un cappio al suo collo ed un fucile puntato alla sua
schiena. E la licenza di ucciderlo è concessa a qualsiasi maniaco".
Laddove il "bullo del quartiere" è naturalmente Israele.
Inoltre come scritto dal giornalista ed esperto "dylanologo" Paolo Vites
"solo qualche giorno prima proprio a Milano un concerto di Mary J. Blige era
stato annulllato per “paura di attacchi terroristici ai cittadini
americani”. Tutti ricordiamo l’allarme lanciato dal governo americano nei
giorni di Pasqua di possibili attentati in territorio italiano. Ovviamente
Dylan e il suo management erano bene al corrente di queste cose; inoltre il
riff che Charlie Sexton, chitarrista della band di Dylan, esegue quando
cominciano All
Along the watchtower presenta alcune note che riprendono la colonna sonora
del famoso film di Otto Preminger, Exodus, degli anni cinquanta, un film che
celebra la nascita dello stato di Israele.
E’ ovvio che si tratta di una dichiarazione di sostegno totale da parte di
Dylan allo stato di Israele in questa guerra che sta divampando in questi
mesi in medio oriente. Quindi Dylan va sul palco in questo tour europeo con
una grande paura di essere bersaglio di qualche sostenitore dei
palestinesi".
Dunque mentre Larry Campbell e Charlie Sexton (che oltre a suonare la
chitarra fanno le seconde voci ed i cori in alcuni pezzi nei concerti di
Dylan) attaccano a cantare "Humming Bird", clamorosamente Dylan resta muto
tanto che anche gli altri non cantano più una volta resisi conto della cosa.
La scelta polemica di Dylan è evidente. Si rifiuta di cantare in segno di
protesta. Il brano diventa così uno strumentale e Dylan si aggira per il
palco visibilmente adirato mentre il pubblico si chiede cosa stia
succedendo. Quando poi
Dylan si tira indietro l'asta del microfono verso il fondo del palco
posizionandosi il più lontano possibile dal pubblico i fantasmi di
Manchester si materializzano.
Sembra una dichiarazione di guerra e gli accecanti riflettori puntati sul
pubblico fanno il resto, tanto
che dopo le prime canzoni ed in particolare sul brano "Visions of Johanna"
(neanche a farlo apposta una canzone del lontano '66 eseguita anche nel
famoso concerto della contestazione di Manchester) avviene l' impensabile: il
pubblico fischia Dylan.
La contestazione avviene in particolare da parte delle ali di pubblico
posizionate sui lati del palco nei posti a sedere. Costoro sono
evidentemente accecati dalle luci e praticamente non riescono a vedere il
palco. La tensione è palpabile. Dylan non sembra darsene per inteso e
continua a suonare in maniera cattiva, concentrato, duro, magari tornando
con la mente ad oltre 25 anni prima ed a quei fischi di Manchester.
Dopo questa apertura shock il concerto prosegue con la consueta (per questo
tour) "The Times they are a-changin'" e l'altrettanto "solita" It's all
right mà (I'm only bleeding). La prima perla dello show è Love minus zero/No
limit seguita dal brano che molti attendevano di sentire in questo tour:
"Solid rock", un brano del "periodo cristiano" prima citato e che solo
qualche giorno prima Dylan aveva ripescato dopo la bellezza di 21 anni.
Un riferimento forse all'attuale situazione mondiale... Ai morti israeliani
e palestinesi in Terra Santa (nel brano Dylan parla infatti di "popoli che
aspettano che giunga una falsa pace" e dice "Io sono aggrappato ad una
solida roccia creata prima della creazione stessa del mondo/ E non la
lascerò, non posso lasciarla, non la lascerò").
Il sesto brano è Positively 4th street, altro brano "cattivo" del periodo
acido dei '60, forse "dedicato" al
pubblico che fischia? Poi il primo dei brani da "Love and theft" il
nuovissimo e pluriosannato album di Bob: Lonesome day blues che al pari di
Solid Rock scatena pubblico e band. Seguono una "consueta" Stuck Inside of
Mobile with the Memphis Blues Again ed una bellissima Visions of Johanna
sulla quale come detto i fischi del pubblico si fanno sempre più sonori.
Seguono Masters of war, Boots of spanish leather e Summer Days, altra perla
del nuovo album, travolgente e bellissima come a Ravenna il giorno prima.
Poi la tenera Make you feel my love e la tiratissima The Wicked Messenger
con tanto di grande armonica di Bob. A chiudere la prima parte ancora un
brano dagli anni '60 (anni che la fanno da padrone in questo tour, ed in
genere negli show degli ultimi
anni): Leopard-skin pill-box hat. I bis iniziano con una cover di Buddy
Holly, Not fade away e prosegue e si conclude con i soliti classici,
osannati dal pubblico, quali Knockin' on Heaven's door, Blowin' in the wind
ed All along the watchtower. E naturalmente Like a rolling stone. E chissà
che, prima del brano, anche stavolta Dylan non abbia esclamato proprio come
in quella lontana serata del 66: "Play fucking loud!!!".
Tempo fa ero al bar con gli amici e come al solito , nel
nostro gruppo , non si parla di calcio ma di musica. Il discordo era su Bob
Dylan ed ognuno di noi scavava nei meandri della sua memoria per trovare i
momenti più belli che Bob gli aveva regalato , quelle cose che , senza
sapere il preciso perchè , ti rimangono dentro per tutta la vita. C’era uno
appoggiato al bar che ascoltava , chissà se capiva , improvvisamente si
avvicina al nostro tavolo e chiede “ Chi è Bob Dylan”.:
E' la domanda più scema, ma è anche allo stesso tempo la più tremenda che si
possa fare. Chi è Bob Dylan? Ma come , porco giuda mondo cane , come si fa a
chiedere chi è Bob Dylan , .......ma soprattutto come si fa a
rispondere.....?
“ Da che banda egnet pò te ? “ ha chiesto Ernesto nel suo slang bresciano
d.o.c..
“ Io viene da Senegal “ ha risposto il poverino quasi impaurito dalla
domanda di Ernesto.
“ Ecu , bravu , turna a cà tua “ ha detto Ernesto , che non è razzista per
niente , ma voleva solo dire che è impossibile , così sui due piedi ,
rispondere ad una domanda del genere.
Il caro Senegalese , una persona a modo che da anni vive nella mia città e
che conosco molto bene , se n’è andato mortificato , biascicando tra le
labbra sottovoce un bel vafanculo.
“Però - dico io – non facile rispondere , anche per noi che ci tacciamo di
sapere tutto , da che parte si comincia a rispondere a questa domanda ?”
“ Non si risponde-– dice Elio - al mio paese si dice “Chi sà sà , chi sà mia
ciapa soeu el va a cà”-
“ Troppo comoda - dico io - te la cavi con un proverbio e buonanotte ai
suonatori , ma se dovessi rispondere davvero ? Fai il caso che a chiedertelo
, invece del Senegalese , fosse stata una bionda calibro 44 ?”.
“ Uhmmmmm....certo che la cosa cambia....non si può fare la figura di merda
davanti ad una sventola del genere!”.
“ Già – lo incalzo . ed allora ?”.
“Bha...le direi...ti và di uscire con me , in un paio di mesi ti spiego
tutto!”.
“Dopo.....“ dicono sorridendo gli altri facendo girare l’indice teso.
“ Perchè , tu cosa le diresti ?” dice Elio rivolto a Maurizio detto Mau.
Le direi “ Ce l’hai un computer ?
( Lei risponde “ Si” )
“ Allora digita www.maggiesfarm.it , c’è tutto quello che riguarda Bob Dylan
, quando hai letto tutto , fra tre mesi torna qui , ti offrirò una coppa di
Champagne”.
Risata generale.
“Bene ragazzi , è l’ora della pappa , a domani”.
“A domani “ rispondono mentre indossano i loro cappotti.
Gia , come si fa a rispondere ad una domanda del genere...........?
Libri : Bob Dylan. La repubblica invisibile
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Bob Dylan e il Poker - di Dario Twist of Fate
clicca qui
Nuova edizione con un intero dvd di immagini inedite del primo e più
importante documentario rock
“Eravamo in un parco di Londra” racconta D.A. Pennebaker “e un poliziotto si
infilò tra la telecamera e Bob. Allora andammo sul tetto del Savoy Hotel
dove alloggiavamo ma c’era un vento infernale e i fogli che Dylan doveva
tenere in mano volarono per tutta Londra. Alla fine andammo in un vicolo
dietro l’hotel e riuscimmo nell’impresa”. Quello che l’ottantenne regista di
questo film-documentario (nonché di Monterey Pop Festival e tanto altro
ancora) racconta è la storia dietro uno dei primi (e ancor oggi formidabile)
videoclip della storia, quello del primo brano elettrico inciso da Bob
Dylan, Subterranean Homesick Blues, un video copiato un po’ da tutti. Dei
due filmati abortiti, quello relativo alla scena sul tetto è presente nella
nuova edizione di Don’t Look Back.
Bob Dylan e Pennebaker sono proprietari al 50% dei diritti inerenti questo
documentario, autentica applicazione del concetto di cinéma vérité alla
musica rock – inutile dire che si spera che tutti i lettori di questa
rivista l’abbiano già visto almeno una volta – e quando ne viene prodotta
una nuova edizione si ritrovano insieme a discuterne i dettagli.
Don’t Look Back era infatti stato già ristampato su dvd alcuni anni fa, con
unica novità i commenti dello stesso regista e dell’allora tour manager di
Dylan, Bob Neuwirth.
Anche questa volta i due si sono ritrovati, e visto che il progetto
prevedeva l’inserimento di circa un’ora di nuove immagini rimaste in
archivio (Pennebaker ha ancora materiale per circa 25 ore di filmati) come
sempre in questi casi, l’autore di Blowin’ In The Wind ha fatto il diavolo a
quattro. Ha raccontato infatti Pennebaker che Dylan voleva tagliare quasi
tutto, al che l’anziano regista è sbottato in un “Finiscila di rompere le
palle. Se mi lasci usare queste immagini ti regalo il mio pianoforte”. Dylan
avrebbe accettato lo scambio, per chiedersi il giorno dopo: “Ma che cavolo
me ne faccio di un altro pianoforte?”.
Anche relativamente alle nuove immagini ci sono i commenti di Pennebaker e
di Neuwirth; mancano ovviamente anche questa volta quelli del cantautore.
Quello che esce da questi nuovi filmati è un Dylan più amichevole con fan e
giornalisti (ad esempio lascia sedere sul palco alcune ragazze che non erano
riuscite a trovare i biglietti per il concerto) di quello che si decise di
presentare quarant’anni fa: la domanda che già circola fra dylanologi a buon
mercato, sconvolgendo i sonni di chi evidentemente ha pochi pensieri per la
testa, è perché allora si decise di dare un’immagine del musicista così
“antipatica”. Non è che Bob Dylan fosse antipatico e scortese: se ancor oggi
Lou Reed va in giro dicendo “I’m Lou Reed, I’m cool”, ci si dimentica che la
“coolness” applicata alla musica rock l’ha inventata proprio Dylan durante
quello che fu il suo ultimo tour acustico, nella primavera del 1965, appunto
il soggetto di Don’t Look Back. Onestamente, chi scrive trova più
affascinante questo modo di porsi della bonarietà “pacche sulle spalle” di
uno come Bruce Springsteen…
Del nuovo materiale va sottolineata la presenza di una Nico ancora in era
pre Velvet Underground (anche qui Lou Reed è arrivato dopo: con lei Dylan in
quel periodo ebbe una breve love story sottolineata dal brano I’ll Keep It
With Mine che a lei dedicò) intenta a discutere con Albert Grossman (se
Dylan in questo film “inventa” il ruolo della rock star, il serafico manager
inventa il ruolo appunto del “rock manager”, un autentico rullo compressore
che passa sopra tutto e tutti per fare gli interessi del proprio artista –
nonché i suoi ovviamente). Musicalmente invece piace la scena in cui Dylan
esegue, su richiesta di un imberbe Donovan, la sua Let Me Die In My
Footsteps senza riuscire a ricordarsi le parole, ma soprattutto Dylan che
esegue al pianoforte per Tom Wilson il brano Phantom Engineer che poi uscirà
con titolo diverso sull’album Highway 61 Revisited.
C’è qualche duetto carino con Joan Baez (in uno, Dylan sembra sfoderare la
vocina country che poi debutterà ufficialmente solo su Nashville Skyline) e
ci sono ben cinque performance dal vivo in più rispetto alla prima edizione:
It Ain’t Me, Babe; It’s All Over Now, Baby Blue; Love Minus Zero / No Limit;
To Ramona; Hattie Carroll, quest’ultima era stata tagliata nel film
originale.
Oltre a una edizione standard in doppio dvd, Don’t Look Back è disponibile
in edizione deluxe contenente un libro di 168 pagine con la sceneggiatura
originale del film e circa 200 foto (riproduzione di quello che veniva
venduto quando il film uscì la prima volta al cinema, nel 1968) e un
“flipbook” con le immagini del video di Subterranean Homesick Blues
Accogliamo tutto questo con gratitudine; ci permettiamo di chiedere ai due
soci in affari (Dylan & Pennebaker) se adesso non sarebbe l’ora di mettere
su dvd l’intero Eat The Document (vedi foto in questa pagina) il film che
girarono durante il tour inglese del 1966 e che giace a prendere polvere da
qualche parte da quasi quarant’anni…
(fonte: jamonline.it)
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Don’t Look Back - 65 Tour DeLuxe Edition - Bob Dylan
di Riccardo Bertoncelli
Nella primavera del 1965 Bob Dylan intraprese un lungo
tour in Gran Bretagna, il suo primo di sempre. Vi restò più di un mese, dal
26 aprile al 2 giugno, tenendo una dozzina di concerti, girando due special
per la BBC e incontrando giornalisti e musicisti, accompagnato da alcuni
amici e dalla piccola troupe del regista Donn Pennebaker. L’idea era quella
di documentare il viaggio nella Terra Promessa del rock di allora, la
Swingin’ Britain di Beatles, Animals, Stones e di girare anche un videoclip,
ma allora non si chiamava così, per il primo singolo tratto dal nuovo album
appena uscito, Subterranean Homesick Blues. Dylan aveva visto uno Scopitone,
il buffo juke box con immagini che girava in Francia e in Italia, e gli era
piaciuta l’idea di sceneggiare la sua musica. Nacque così quella ripresa
celebre di Bobby impacciatissimo che gira grandi fogli di carta con il
riassunto del testo, in un vicolo londinese in compagnia di Ginsberg e Ringo
Starr.
In un sondaggio che mi sto inventando, credo che il 90 per cento dei
dylaniani non hard core risponderebbe di conoscere quel promo (e le sue
citazioni - vedi Ligabue nel video di Almeno credo) ma di non avere mai
visto il film che Pennebaker finì per ricavare e che andò a chiamarsi Don’t
Look Back. La cosa è tutt’altro che misteriosa. Dylan viaggiava a una
velocità supersonica in quei giorni, giusto il tempo di montare il film e di
sottoporlo all’approvazione e la storia era già appassita. Tre mesi soltanto
(Newport, 25 luglio 1965) e il ragazzetto timido con la chitarra acustica
non c’era più, spazzato via dal turbine della tempesta elettrica; e tempo 15
mesi, 29 luglio 1966, un fortunato incidente in moto lo avrebbe levato
proprio fisicamente dalle scene, e per un pezzo. Quando Pennebaker allestì
la prima di Don’t Look Back era il maggio 1967, i mesi della clausura più
severa dell’abate Dylan, e in mezzo erano venuti Highway 61, Blonde On
Blonde e un altro tour britannico, questa volta elettrico - erano passate
due ere geologiche, insomma, più una dinastia Ming. Anche per quello il film
fu accolto tiepidamente e prese subito la via delle sale d’essai e delle
gallerie d’arte. Svanì abbastanza in fretta, anche se finì per incassare un
milione di dollari, rivelandosi un buon affare. Ogni tanto ricompariva, ma
sempre clandestinamente, e ogni tanto il signor D ne parlava, sfogliando la
margherita delle sue lune: gli era piaciuta, non gli era piaciuta, si poteva
fare meglio, andava bene così.
Negli ultimi anni Dylan ci stupisce, le sue margherite finiscono sempre con
il petalo giusto. Così, in occasione del quarantennale, Don’t Look Back
viene riproposto in un delizioso cofanetto di 2 DVD con tutta una corona di
bonus e di extra intorno alla versione originale. C’è un molto divertente
commentary in cui Pennebaker e Neuwirth appuntano i loro ricordi mentre
scorrono le immagini, come se fossero sul divano accanto allo spettatore: ci
sono cinque bonus con registrazioni dal vivo di quel tour, purtroppo solo in
audio; una versione alternate del promo che dicevamo, questa volta in
campagna, con Dylan imbranatissimo che proprio non riesce a star dietro alla
musica; e c’è un intero Don’t Look Back "alternativo", 65 Revisited, montato
apposta per questa edizione con una (minima) parte del girato rimasto
quarant’anni negli archivi - in tutto pare fossero una ventina di ore,
volendo c’è materiale per altre edizioni, se i pronipoti vorranno.
Pennebaker fu bravo e gli andò bene, la sua creatura è invecchiata con
grazia. In quella primavera del 1965 non era ancora il maestro riconosciuto
del cinema a luce rock (vedi Monterey Pop) ma un originale emergente che
venerava il cinema veritè e predicava un’arte del documentario slegata da
precise sceneggiature. Il film doveva farsi quasi da sé, questa la sua idea,
la camera e gli eventi dovevano portare il regista, non il contrario. Così
fece per Don’t Look Back e fu bersagliato dalle critiche, per l’assenza di
un plot vero e proprio e per l’atmosfera enigmatica che finì per
caratterizzare le riprese. Io trovo invece che quel montaggio nervoso,
sconnesso, sia un elisir di lunga vita cinematografica, specie nella prima
parte, e che la vaghezza del racconto, la sua non linearità siano un segno
caratteristico (e una felice intuizione, anche, del personaggio Dylan come
sarebbe poi venuto a delinearsi).
Tutto è scombinato, tutto appare e scompare, niente è spiegato con
precisione ma il quadro che ne viene è trasparente. Si vede Dylan
ossessionato dall’idea del "messaggio", che implora di ascoltare
semplicemente le sue canzoni. Parlano chiaro, giura, ma nessuno gli crede: i
giornalisti che gli girano intorno sono generici di un’altra generazione,
lontani anni luce dal suo pensiero e da ogni feeling con la nuova
generazione. Dylan si sforza di essere gentile, anche se sbotta ferocemente
con un redattore del Time, ma è parco di risposte, elude, divaga, esagera.
Spiega di essere "un buon cantante, come Caruso", giura di "non credere a
niente", non ricorda bene se ha fratelli e sorelle. A una reporter che tocca
un filo giusto e gli domanda se ha mai letto la Bibbia, risponde: "Una volta
l’ho sfogliata."
Suonano diverse canzoni nel corso del film, un mix giudizioso di vecchio
Dylan folk e nuovo Dylan chissà-che, di Times They Are A Changin’ e Bringing
It All Back Home. Non sono mai riprese complete, è sempre un mordi e fuggi
perchè "non era al centro del palco che si svolgeva la storia", per usare le
parole del regista, "ma fuori, intorno". La camera preferisce infilarsi in
auto, nei camerini, in hotel, andare a riprendere un litigio ubriaco durante
una festa o ficcare il naso nelle trattative del manager Albert Grossman con
Granada e BBC per uno special televisivo. C’è un pizzico di Beatlemania,
anche, ragazzine invasate che passano il tempo fuori dall’hotel e si
emozionano davanti al loro idolo. Ma Dylan è ben di più che un pupazzetto
teenage, è un culto per i musicisti e per il mondo dello spettacolo, ed ecco
una sfilata di Re Magi al suo cospetto: Alan Price, Paul Jones, John Mayall,
naturalmente Donovan, "la risposta Brit a Dylan", che viene scherzosamente
tirato in ballo fin dall’inizio e a un certo appare, ed è anche bravo, canta
una To Sing For You da fermare il respiro ricordandoci che in quella
primavera del 65 tante cose giravano bene nel mondo della musica nuova, non
solo Dylan.
Non dimenticheremo Joan Baez. È al seguito del tour, ride, scherza e suona
dietro le quinte, viene presa in giro per la sua voce spaccacristalli ma
Dylan non la chiama mai in scena a duettare, come tanto avrebbe voluto. Il
23 maggio tiene lei un concerto a Londra e potrebbe essere finalmente
l’occasione: ma Bobby non c’è, è malato, in quelle cinque settimane di Gran
Bretagna (più un viaggio in Portogallo) ci sta anche un ricovero in
ospedale.
Pennebaker fu bravo, lo abbiamo detto, ma anche fortunato. Intercettò Dylan
nel momento cruciale della sua vita, immortalò il suo cambio di livrea, per
usare un termine zoologico. In certe scene del film lo si vede ancora
fragile e tenerello, in una sequenza presa a prestito da un altro regista
appare come sulla copertina di Times They Are A-Changin’, giovane vecchio
figlio di Guthrie. Cambia la musica, girano vertiginosamente i pensieri,
cambia l’immagine. Prima che finisca Don’t Look Back Dylan è diventato la
Sibilla giacca stretta e occhiali scuri che ci accompagnerà nell’anno più
pazzo e felice della sua esistenza, l’Amleto beat che Jan Persson
immortalerà in quella foto emblematica al castello di Elsinore. Non so per
voi, ma per me quella stagione è il Dylan più Dylan, nel cuore più ricco e
vibrante del rock. Con questi due DVD in aggiunta al documentario di
Scorsese, non posso chiedere di meglio.
Quando nel 1967 viene presentata la prima di “Don’t Look
Back” nella sala del Presidio Theatre di San Francisco, Bob Dylan non c’è.
Coerentemente con il fatto che il Dylan ripreso nella pellicola di D.A.
Penenbaker non esiste più, è solo un bel ricordo. Nel 1967 siamo infatti già
oltre il nuovo capolavoro “Blonde on Blonde” e quel ragazzino con la lingua
lunga e il sorriso strafottente che fa impazzire i giornalisti durante il
tour inglese del 1965, è già consegnato al passato.
D’altra parte nel luglio del ‘65, a soli due mesi da quelle riprese, Bob ha
già abbandonato la sua chitarra acustica per lanciarsi nelle tanto
contestate fughe elettriche di Newport.
Inseguire i suoi ritmi è impossibile, un anno dylaniano corrisponde ad
almeno un lustro umano. Solo l’incidente motociclistico, come noto, riesce a
dilatare i suoi ritmi serrati. Ed è proprio per questo motivo che “fermarlo”
in queste riprese è un vero e proprio miracolo, un sorta di impresa
cinematografica. Insomma tutti i fan di Dylan dovrebbero essere eternamente
riconoscenti al regista americano per questo preziosissimo lavoro che ha
trovato quest’anno, a 40 anni dalla sua originaria pubblicazione, una
meravigliosa ristampa Deluxe Edition con un secondo importante dvd inedito.
Perchè se è vero che il Dylan acustico è una meravigliosa meteora, è
altrettanto vero che quel Dylan, soprattutto quel Dylan, rimane protagonista
di uno dei momenti più importanti della storia della musica moderna. Il suo
sbarco in terra inglese è un momento imperdibile, sia dal punto di vista
musicale, sia dal punto di vista culturale. Perchè al centro dell’attenzione
non ci sono solo le sue canzoni, ma ciò che Dylan, negli anni ’60, secondo
molti dovrebbe rappresentare. Nessuno riuscirà però a chiuderlo in qualche
gabbia, tanto meno in quella del cantautore di protesta che tanto sarebbe
piaciuta a Joan Baez.
Dylan si lancia così in sproloqui (a volte persino divertenti) con i
giornalisti, discute animatamente con i fan e qua e là è ripreso durante
qualche concerto. Spezzoni memorabili in cui le sue canzoni brillano sotto
un solo riflettore che illumina un “piccolo uomo” armato di chitarra,
armonica e microfono, solo sul palco.
Dopo essersi chiesto “Who is Donovan?”, se lo ritrova in albergo mentre
timidamente prova ad accennare “To Sing for You”. Poi si riprende la
chitarra e con l’aria di quello che sembra dire “aspetta ora te la faccio
sentire io una canzone...”, intona “It’ All Over Now Baby Blue“.
C’è qui tutto un costume d’altri tempi: un futuro sindaco di Londra che gli
chiede se qualche canzone la scrive lui..., c’è Albert Grossman, il manager
di Dylan, che cerca ingaggi da duemila sterline attraverso Tito Burns,
ossequioso produttore inglese, e c’è un pubblico, molto british, ancora in
giacca e cravatta.
Quel Dylan che abbiamo subito perso, quel menestrello che ancora tanti
rimpiangono, è qui. In questo documentario che testimonia semplicemente la
sua grandezza.
Repubblica — 27 agosto 1997 pagina 43 sezione: SPETTACOLI E
TV
BOLOGNA - A 56 anni, Bob Dylan accetta di cantare davanti al Papa. E il
lento viaggio ch' era iniziato nel '79, quando con Slow Train Coming il
figlio di ebrei russi immigrati in America aveva annunciato al mondo la sua
rinascita in Cristo, giunge a compimento. Gli organizzatori del concerto del
27 settembre prossimo a Bologna, annunciano che "la trattativa è
avanzatissima", e si stanno discutendo particolari tecnici come l' ampiezza
del palco e le caratteristiche del service.
Reduce da una malattia, l' istoplasmosi, che in primavera ha fatto temere
per la sua vita, Bob Dylan farà ritorno in Italia dopo sette anni. Quest'
oggi suona a Indianapolis, una delle ultime date del tour americano. Il 30
settembre uscirà il suo nuovo album, il quarantunesimo, Time out of Mind.
Tre giorni prima, il 27 a Bologna e in mondovisione tivù, davanti al Papa,
con Bob Dylan canteranno anche Lucio Dalla e Andrea Bocelli, accompagnato
dall' Orchestra Toscanini di Parma. Adriano Celentano è disposto a fare
altrettanto solo se la Rai, con la quale ha una causa in corso, non lo
riprenderà. Ieri ha suggerito che la sua esibizione sia collocata in
apertura di serata, così da non interferire con la diretta, ma la Rai, per
voce del capostruttura Mario Maffucci non intende accettare condizioni: "E'
l' ultima delle cose che potranno accadere". "Celentano canterà se farà la
pace con la Rai", taglia corto monsignor Ernesto Vecchi, provicario del
cardinal Biffi e grande motore dell' evento bolognese.
Finora il Papa non ha mai assistito a un concerto rock. Per la prima volta,
in occasione del Congresso Nazionale Eucaristico - un evento di preghiera
promosso dalla Chiesa di Bologna sul tema di "Gesù Cristo unico Salvatore
del mondo ieri oggi e sempre" - la musica rock e la musica dei "nuovi
comunicatori" viene accolta e considerata un tramite tra il messaggio
evangelico e i giovani. La Curia preferisce non parlare di concerto, bensì
di "veglia musicale" per 300mila giovani che trascorreranno la notte in un'
immensa area alle porte di Bologna in attesa della messa dell' indomani
mattina. E la presenza di Bob Dylan acquista un valore simbolico senza
eguali. Monsignor Vecchi spiega che "la Chiesa accoglie tutto quel che di
vero, di bello e di buono giunge dalla società, poiché tutto quel che è
vero, bello e buono giunge da Dio", e la musica di Bob Dylan non solo "è
vera ed è bella", ma dà voce a "un' evoluzione spirituale molto
interessante". Distingue tra un primo Dylan, che aderì a Woodstock e "al suo
messaggio di liberazione attraverso il sesso e la droga" e un secondo
ravveduto Dylan, "che è cresciuto, è cambiato, si è avvicinato al
cristianesimo e ha rivisto le sue idee anche in materia di contraccezione e
aborto". Allo stesso modo, continua il vicario di Biffi, "esiste un rock
demenziale, deteriore, e un rock capace di esprimere contenuti poetici e
spirituali". A quest' ultimo la Chiesa rivolge la sua attenzione: "Abbiamo
pensato che l' incontro in musica tra il Santo Padre e i giovani potesse
poggiare su quattro pilastri: Bob Dylan, Andrea Bocelli, Lucio Dalla e
Adriano Celentano. Celentano professa la sua fede in maniera un po'
originale, ma noi speriamo che faccia la pace con la Rai".
Repubblica — 29 luglio 2001 pagina 7 sezione: PALERMO
TAORMINA : Stivali da cow boy, giacca e pantaloni neri, camicia tutta
abbottonata: alle 9,40 della sera Bob Dylan, il Mito, appare sul palco del
Teatro antico e l' ala sinistra della platea, che conta un centinaio di
americani, va in visibilio. Basta aspettare un po' e Mister Tambourine si
esibisce in un assolo di armonica che dura cinque minuti buoni. Proprio
Dylan che nel 1965 al festival di Newport sconvolse i puristi del folk
presentandosi con una band elettrica, adesso sembra salvare l' anima alle
sue canzoni grazie alla sincerità della versione acustica, anche se gli
arrangiamenti elettrici non sono del tutto accantonati. Tutt' attorno il
palco si consuma la festa del gran revival dei Settanta. Alle 7 della sera
un uomo brizzolato, con la barba di tre giorni arriva davanti al bar
Trinacria. Si ferma e ad alta voce domanda: «Posso salutare un vero reduce
degli anni Settanta?». L' effetto è travolgente: si girano sei uomini (anche
loro più o meno brizzolati) da altrettanti tavolini. Ognuno convinto di
essere lui il «vero reduce» di cui alla domanda. Alle 7 della sera, Bob
Dylan sta ancora giocando ai quattro cantoni in una delle sue tre suite e il
suo popolo di reduci ha tutto il tempo di mangiare una granita o bere una
birra. L' Etna ruggisce dietro il Teatro antico, si intravede il suo magma
maestoso che inquieta e affascina tutti. Compreso il signor Allen Zimmerman
che durante il concerto ha dovuto dare le spalle al vulcano ma, prima e dopo
la performance, se l' è goduto fino in fondo. Cioè s' è fatto recintare una
terrazza del Timeo, proprio vicino alla passerella che lo ha portato dall'
albergo al teatro. In quella terrazza, Dylan s' è gustato l' Etna. In
silenzio, senza curiosi né reduci. Alla bellezza del teatro, hanno detto
quelli della sua crew, era preparato ma al vulcano in eruzione no. Al centro
delle due contemplazioni magmatiche, si è incastonato il concerto. Alle
21,40 il ritornello "Glory glory" suona come un' adunata intimista per tutti
quelli che dal pomeriggio attendono l' evento e gli inevitabili evergreen
del repertorio li premiano come s' aspettavano e com' era giusto che fosse.
Dylan non può fare a meno di raccontare quello che succedeva trent' anni fa.
Quando un terzo degli spettatori del suo concerto dietro al vulcano non era
nemmeno nato. L' idea di affidarsi a strumenti acustici anche per altri due
suoi, immensi successi come Knockin' on heaven' s door e l' immancabile
Blowin' in the wind, sembra il modo migliore per raccontare un pezzo di
storia che resiste nel tempo. Anche ai pentimenti e ai ripensamenti di chi
visse gli anni formidabili. «Ho rinnegato tante cose del Sessantotto - dice
Paolo Guzzetta, arrivato da Palermo a metà mattina - praticamente quasi
tutto. Ma Dylan no. Lui è la mia coerenza rivoluzionaria». «Siamo arrivati a
Taormina da Barcellona alle 10 di mattina - racconta, con finta irritazione
Luca Sidonti, 25 anni, una laurea alla Bocconi e un amico che lo ha
precettato per il concerto - Sono un grande appassionato di Dylan ma saremmo
anche potuti andare al mare prima di presidiare il teatro». Luca si rifarà
come buona parte dei reduci, con le birre del dopo concerto, mentre Bob
starà lì, sulla terrazza del Timeo a contemplare la lava.
Massimo Morello
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Un tempo immemorabile. A Seattle
di Paolo Vites
The phone don't ring
And the sun refused to shine
Never thought I'd have to pay so dearly
For what was already mine
For such a long, long time
We made mad love
Shadow love
Random love
And abandoned love
Accidentally like a martyr
The hurt gets worse and the heart gets harder
The days slide by
Should have done, should have done, we all sigh
Never thought I'd ever be so lonely
After such a long, long time
Time out of mind
Nell’autunno del 2002 Bob Dylan si apprestava a riprendere la strada per una
nuova serie di concerti. Non era niente di nuovo, apparentemente, solo una
nuova tappa del Never Ending Tour che questa volta sarebbe cominciata da
Seattle, nord California.
Niente di nuovo, ma in realtà molto di nuovo. Quella serie di concerti
avrebbe segnato un nuovo, ma drammatico, cambiamento, nell’approccio live
del cantautore americano. Niente di nuovo neanche qui, visto che era tutta
la vita che Dylan lo faceva. Per alcuni (probabilmente solo io) l’inizio
della sua parabola discendente.
La sera del 4 ottobre, a Seattle, quando sul palco si notò la presenza di un
pianoforte elettrico modello Casio, tutti si chiesero se Dylan avesse
assoldato un tastierista. Invece sarebbe stato lui a mettersi dietro alle
tastiere. Non lo avrebbe fatto per tutta la serata, ma ben presto sì, quello
sarebbe diventato il suo strumento preferito, e addio alla chitarra. Il che
dura tutt’oggi, anche se nel tempo Dylan ha imparato a conoscere i vari
tasti che la caratterizzano, adesso preferendo la sonorità “organo” a quella
“pianoforte”. Con un solo problema: Bob Dylan non sa suonare né il
pianoforte né l’organo. Il suo, quella sera, era un “plink plonk”
scoordinato e fuori tempo, il più delle volte tenuto saggiamente nascosto
nel mixeraggio complessivo degli strumenti dal palco.
Non era solo lo strumento del cantautore che cambiava, ma anche la voce.
Nulla di nuovo ancora una volta: in quarant’anni di carriera Bob Dylan aveva
più volte cambiato la voce di quante volte io abbia cambiato automobile in
vent’anni (e ne ho cambiate parecchie). Ogni volta, però, era una sfumatura,
un approccio, un qualcosa di diverso, ma che fondamentalmente lasciava
intatta la voce. Che non è mai stata bella, per gli standard di Tin Pan
Alley, ma affascinante, inquietante, tagliente, sardonica, con quel
fraseggio unico che nessuna ha mai avuto nel campo della musica popolare.
Adesso invece era solo una voce affaticata. Che mostrava, sera dopo sera,
gli inevitabili segni di un deterioramento impossibile a fermarsi. Qualche
spiritoso gli affibbiò un nuovo (niente di nuovo…) soprannome: The wolfman,
l’uomo lupo. A volte gli mancava il respiro, altre quella voce un tempo
orgogliosa e sprezzante crollava a terra in un rantolo doloroso.
E se vi sembra abbastanza, no, non lo è ancora. Non era finita qua. Quella
sera a Seattle avrebbe mostrato altro ancora. Dopo una iniziale, rara, ma
suonata recentemente anche in Europa, Solid Rock, il quarto pezzo in
scaletta lasciò il pubblico a domandarsi se stesse ascoltando un inedito di
Dylan. Solo quelli, là in mezzo, che conoscevano uno dei più grandi
songwriter americani di sempre (a volte mi viene da pensare, il più grande –
dopo Dylan naturalmente) ebbero un sussulto. Erano le note, seppur
affaticate nella versione di Dylan, della straordinaria Accidentally like a
Martyr. L’autore? Mister Warren Zevon.
Non sarebbe finita lì, perché nel corso della stessa serata di Zevon avrebbe
eseguito anche la violenta Boom Boom Mancini e la dolcissima, tristissima
Mutineer.
Che sta succedendo qui, mister Jones? Il mondo dei fan si sarebbe scatenato
a cercare la risposta su Internet, per scoprire che Bob Dylan aveva deciso
di omaggiare un amico morente. Warren Zevon era stato dichiarato malato
terminale: il tumore che lo aveva colpito gli lasciava pochi mesi di vita.
Per tutto quel tour autunnale Dyan avrebbe continuato ad omaggiarlo, senza
mai perdersi in banali discorsetti dal palco sul perché e percome avesse
deciso di cantare quelle canzoni: era la musica che parlava, non c’era
bisogno di aggiungere altro. Come dire: queste canzoni sono troppo belle
perché vadano dimenticate e se adesso il suo autore non può più cantarle,
allora lo farò io, un'ultima volta. E poi, le sere dopo,inserendo altri
pezzi di Zevon in scaletta, ad esempio Lawyers, Guns and Money. Mai, nella
storia del rock, si era assistito a una cosa del genere. Di solito, i
tributi si fanno quando l’amico è già nella cassa. Interrogato (Zevon si
sarebbe recato a vederlo quando il cantautore avrebbe suonato a Los Angeles,
qualche sera dopo), Warren avrebbe detto che queste esecuzioni di sue
canzoni da parte di Bob Dylan erano il punto più alto della sua carriera.
Se Mutineer la si può ascoltare nel tributo su cd Enjoy Every Sandwich, fu
Accidentally like a Martyr il momento più commovente di questo evento. Ogni
sera Bob Dylan, cercando di recuperare ciò che restava della sua voce,
avrebbe lasciato srotolare la splendida e maestosa melodia del brano, fino
al punto in cui la canzone dice “time out of miiiiiiind”. Già, proprio come
il titolo del suo disco di qualche anno prima, Time out of Mind. Un tempo
immemorabile, dove risiedono la pietà, la bellezza, il sogno e la speranza.
Della vita che non muore. Dove esiste quella “tower of song” di cui canta
Leonard Cohen, Dove i poeti, i santi e i peccatori si ritrovano. In un tempo
immemorabile. Dove ogni sera trovava rifugio, nel cantarla, il cuore
addolorato di Bob Dylan.
Che si può ascoltare qua: http://www.box.net/shared/static/t5sjjbdc3i.mp3
Quel tour avrebbe visto Dylan, sin dalla serata di Seattle, affrontare altre
cover: una sorprendente, esplosiva e virulenta Brown Sugar degli Stones; Old
Man di Neil Young (che sembrava cucita apposta per lui visto l’argomento
toccato…) e finanche una incredibile End of the Innocence, del cantante
degli yuppie per eccellenza, Don Henley. Che nella versione di Bob Dylan
diventava magnificente.
Era diventato il “cover tour”, il tour delle cover, e in modo sorprendente
erano proprio questi brani altrui che Dylan eseguiva nel modo migliore,
lasciando noia e routine alle sole sue canzoni. Per quando il tour avrebbe
raggiunto New York, per le sue ultime date, era morto un altro grande amico,
George Harrison. Nella sera del 13 novembre una nuova cover sarebbe stata
aggiunta, per una sola e unica volta: Something.
Warren Zevon, invece, sarebbe morto undici mesi dopo quella sera di Seattle,
il 3 settembre 2003. Nel suo ultimo disco, registrato durante la malattia e
pubblicato postumo, ringraziava Bob Dylan cantando la canzone di chi si
appresta al grande e ultimo viaggio, Knockin’ on Heaven’s Door.
Neil Young, arriva il nuovo album ‘Fork in the road’.
Il portavoce di Neil Young ha confermato a fonti USA che
“Fork in the road” è sia il titolo dell’imminente nuovo singolo del
menestrello canadese, sia quello dell’album. Young ha recentemente postato
su YouTube, e anche –in apertura- sul suo sito ufficiale, un divertente
video in cui interpreta la canzone mentre mangia una mela in cui sono state
posizionate delle cuffie. “Fork in the road” va così ad aggiungersi alla
variegata e complessa discografia del bardo di Toronto, che comprende tre
volumi della serie “Archive performance series” ai quali sono poi da
aggiungere 34 album solisti, 3 di studio e 3 compilation con i Buffalo
Springfield, 6 complessivi come Crosby, Stills, Nash & Young, 1 accreditato
alla Stills-Nash Band, 4 colonne sonore interamente o parzialmente sue, 6
live non d’archivio e 3 compilation. Per il video del nuovo brano clicca
qui:
Libri : Lenny Bruce , come parlare sporco e influenzare
la gente
Lenny Bruce (1925-1966), uno dei miti della 'controcultura Hip' degli anni
'60 e '70, uno dei più importanti e rivoluzionari show man degli USA , colui
che trasformò il modo di ridere degli americani e che li costrinse a
guardare nei loro lati oscuri, si racconta in questa autobiografia,
pubblicata in edizione economica con una presentazione di Daniele Luttazzi.
La sua ossessione nel combattere e demistificare il sistema
dell'american-way-of-life lo trasformò in una delle più illustri vittime
della censura americana: Bob Dylan gli dedicò una canzone, Dustin Hoffman
nel 1974 gli diede il volto nel bel film di Bob Fosse intitolato
semplicemente "Lenny". Chi era Lenny Bruce? Bruce è stato il più acuto
"intaccatore di tabù" in attività di servizio nel mondo dello spettacolo
americano degli anni '60. Fu un iconoclasta, un demolitore della stupidità
che emerse in un momento di profondo conflitto della società statunitense:
una classe in conflitto, in attrito, contro un'altra classe come l'ignoranza
contro il sapere, la stupidità contro l'intelligenza, il puritanesimo contro
il piacere, la maggioranza contro le minoranze, la comoda ipocrisia contro
l'ardua sincerità, i bianchi contro i neri, lo sciovinismo contro
l'internazionalismo, il prezzo contro il valore, le vendite contro i
servizi, il sospetto contro la fiducia, la morte contro la vita... Chiamato
anche il John Coltrane del cabaret, Bruce fu un personaggio geniale,
spregiudicato e blasfemo e in anticipo sui tempi: considerato un sovversivo,
trascorse la maggior parte della sua vita d'artista a combattere contro le
accuse e i processi per oscenità e oltraggio al pudore. Bruce fu un
personaggio controverso ma brillante, che rivoluzionò l'idea di comicità
nella cultura americana e fu sabotato dalla censura fino alla morte: morì a
41 anni, devastato dai fallimenti personali, dalla mole di processi, dalla
censura, dall'ostruzionismo professionale e dalla droga: una delle sue frasi
più celebri contro la censura rimane: "If you can't say 'fuck', you can't
say 'Fuck the governement'".
Wood , Young e Dylan nel prossimo album di Jerry Lee lewis
Jerry Lee Lewis ha assunto il chitarrista dei Rolling Stones Ron Wood come
collaboratore per il suo prossimo album. Neil Young , il bassista Richy
Rosas , Bob Dylan , il batterista Jim Keltner hanno inoltre collaborato
all’album , ancora senza nome , di futura uscita.
Da Jakob Dylan a Lisa Marie Presley nessuno riesce a
seguire le orme paterne
Sono cresciuti all' ombra dei miti rock e pop, non si fanno condizionare,
però la fama dei padri li schiaccia. Nessuno riesce a essere altrettanto
grande. Solo Jeff Buckley ha superato papà Tim, tragica voce folk. Poi, a 31
anni, è annegato nel Mississippi. Destino o maledizione? Colpa del complesso
d' Edipo o del talento che non si trasmette con il dna? La storia dei padri
e figli del rock è lunga e ha esempi illustri: Nancy e Frank Sinatra, Nat
«King» e Natalie Cole, Bob e Ziggy Marley. E se Harper Simon, erede di Paul,
ha preso la strada del cinema, nella musica scalpitano le nuove generazioni.
Non contano i nomi: Enrique, Sean, Jakob, Nona. Ma i cognomi: Iglesias,
Lennon, Dylan, Gaye. Ahmet & Dweezil Zappa hanno organizzato un tour per
suonare la musica di papà Frank. Il successo l' ha
raggiunto Enrique Iglesias, che dopo aver venduto 15 milioni di dischi (ma
Julio è a quota cento) ha pure sposato la bella Anna Kournikova. In autunno
pubblica il nuovo album. Della sua adolescenza ha un ricordo anonimo: «Sono
stato un ragazzo normale. Non vedo spesso mio padre, però lo ammiro come
uomo e come artista, perché ha saputo bilanciare le due cose». «Se nasci in
mezzo alla musica e l' ami, ti appartiene. Che tu abbia successo o no», ha
detto Otis Redding III, figlio della celebre voce soul. Negli anni Ottanta
formò un trio con il fratello maggiore Derek e il cugino Mark Locket.
Gravita ancora nel mondo della musica, suona la chitarra e compone canzoni.
Ma di lui si sa poco. Schivi e taciturni, i figli del rock, quando possono,
evitano la prima linea. Jakob Dylan, che assomiglia a Bob com' era trent'
anni fa, ha cancellato il suo nome entrando nei Wallflowers. Anche lui, come
il papà, compone, canta e suona la chitarra. «Non mi nascondo in una band»,
sostiene lui, che con il gruppo ha appena pubblicato il quinto album «Rebel,
sweetheart» e ha sempre schivato le domande sull' inarrivabile genitore.
Ultimamente si è aperto: «Era affettuoso. Veniva a tutte le partite di
baseball quando ero piccolo». Ha scelto l' «invisibilità» Zack Starkey, che
suona la batteria con Who e Oasis ed è pure salito su un palco con l'
augusto genitore, Ringo Starr. Più tormentate le vicende in casa di un altro
Beatle: Julian Lennon, il 43enne figlio di John e della sua prima moglie
Cynthia, dopo una discreta carriera negli anni ' 80 ora vuole ripubblicare i
suoi vecchi album. Non ha un bel ricordo di Lennon senior: «Da lui ho
imparato come non essere un padre». Anche il fratellastro Sean (la mamma è
Yoko Ono) voleva fare il musicista. Ha inciso due album negli anni ' 90, poi
il silenzio. Fra le donne preme Nona Gaye che aveva nove anni quando Marvin
Gaye fu ucciso dal proprio padre. Anche se è stato il cinema a darle la fama
( Ali e i sequel di Matrix) sta incidendo il secondo album: «La musica è lo
specchio della mia eredità familiare. Recitare riguarda soltanto me». Si sta
facendo largo, a fatica, Shana Morrison, discendente di Van Morrison: «I
discografici volevano che aggiungessi alle mie canzoni un contributo di
papà. Ho risposto che era occupato». La prende con filosofia Kelly che non
disdegna di cantare con il padre Ozzy Osbourne dei Black Sabbath. Lisa Marie
Presley invece ha pagato caro il confronto con «King» Elvis. Il suo primo cd
l' ha inciso nel 2003, a 35 anni, ed è stato un flop: «Mi terrorizzava il
paragone con Elvis». In Italia è andata male ai figli di Celentano e a
Massimo Modugno, figlio di Domenico. Marco Morandi ha preferito darsi al
musical. Più fortuna ha avuto Cristiano De Andrè. Dj Francesco - il padre è
Roby Facchinetti dei Pooh - da Sanremo è approdato all' «Isola dei famosi».
Ultima arrivata, Irene Fornaciari, figlia di Zucchero: «Il giudizio di papà?
Non lo temo».
Cesarale Sandra
Pagina 37 - (27 luglio 2005) - Corriere della Sera
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Video : Bob Dylan Aosta 2008 -Like a rolling stone
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Venerdi 16 Gennaio 2009
L'inventore della "Stratocaster" morto a L.A.
Don Randall , l’uomo che ha inventato il nome
“Stratocaster” per la Fender , rendendola un marchio inconfondibile su tutti
i palchi del mondo , è morto il 23 dicembre nella sua casa di Santa Ana (
California) per cause dovute all’età , aveva 91 anni , così riferisce il Los
AngelesTime.
Randall ha disegnato per Leo Fender la chitarra elettrica che più ha avuto
successo sul mercato mondiale , usata dai più famosi musicisti come Ritchie
Valens , Eric Clapton e Jimi Hendrix , che hanno dato fama e risalto al
marchio Fender negli ultimi tre decenni..
Tom Wheeler , ex-redattore della rivista Guitar Player , dice che Randall ha
cambiato il modo di vedere e suonare la chitarra , e aggiunge “ E’ altamente
improbabile che la Fender avesse potuto raggiungere il successo che ha avuto
in tutto il mondo senza Randall”.
Randall era nato il 30 ottobre 1917 , a Kendrick , Idaho , venendo in
California al seguito della sua famiglia qualdo aveva 10 anni.
Tutto
iniziò in California a Fullerton, vicino Los Angeles, dove era ubicata la
sede della FENDER MUSICAL INSTRUMENT COMPANY. Almeno 3 persone furono gli
artefici di questo prodotto di straordinario successo: Leo Fender (foto a
sinistra), Freddie Tavares e Bill Carson. Altre persone hanno avuto un ruolo
ma solo da quando iniziò la produzione nel ‘54, Donald Randall, George
Fullerton e Rex Galleon.
Quando iniziò tutto quanto?
“Cominciammo a lavorare alla Stratocaster nel 1951 - disse Leo Fender -
perché avevamo bisogno di un nuovo tipo di chitarra con il vibrato come
risposta all'offensiva del Bigsby (Il Bigsby è quella leva di aspetto retrò
che permette il vibrato, Fender ne sviluppò uno tutto suo). Fu molto prima
che Freddie (Tavares) venisse a lavorare con noi, deve essere stato nel '51.
Avevamo già realizzato i disegni del manico e della cassa, anche i pick up,
lo ricordo bene perché fu prima che ci trasferissimo da Pomona Street, avevo
la maggior parte del materiale già nel magazzino.” Freddie Tavares
contraddisse però Leo: “Incontrai Leo Fender nel Marzo del ‘53, suonavo la
steel guitar in un club e mi fu presentato da un musicista di nome Noel
Boggs. Noel mi disse che Leo cercava qualcuno che lavorasse con lui ad un
progetto di una nuova chitarra elettrica. Il primo effettivo compito che
ebbi fu quello di realizzare la Stratocaster sul tavolo da disegno, era
Aprile o Maggio del ‘53, Leo disse che avevamo bisogno di una nuova
chitarra, io gli dissi quanto distanti dovessero essere le corde tra loro,
quanto lontano il ponte. Avevo tutti quei parametri e dissi quale fosse la
scala della chitarra e il posizionamento delle corde, partimmo da lì”.
Comunque la Stratocaster non cominciò a prendere forma fin quando Tavares si
unì a Leo.
C'è perfino una terza versione, quella di Bill Carson, chitarrista country &
western: “Cominciammo a parlarne nel ‘52 ma non si fece nulla di veramente
concreto fino agli inizi del ‘53, come ben ricordo”. Abbiamo quindi tre
versioni diverse sul “big bang” della Stratocaster, 1951, 1952 e 1953. E'
innegabile che Fender volesse una nuova chitarra, una chitarra elettrica di
nuova concezione estetica e tecnica, chiaramente superiore alla Telecaster e
provvisto di una leva per il vibrato (assente nella Tele) per soddisfare le
esigenze dei nuovi chitarristi.
Bill Carson rivendicò la quasi totalità delle idee che portarono alla
realizzazione della Stratocaster:
“Il 95% delle idee applicate alla Stratocaster sono mie, non potevo
realizzarle perché non avevo alcuna nozione di meccanica né di
progettazione, non intendevo nemmeno farne un prodotto commerciale. Leo
pensò che avrebbe potuto essere prodotta in serie.”
Bill Carson fu più tardi indicato dalla CBS/FENDER come “l’uomo per il quale
la Stratocaster fu ideata”, quando uscì nel 1979 l’Anniversary Stratocaster.
E' un fatto certo che Leo Fender tenesse in grande considerazione l'opinione
dei chitarristi, come affermò Tavares: “Una delle ragioni del successo di
Leo fu che ogni musicista da lui conosciuto è sempre stato il benvenuto
nella nostra fabbrica.”
Cosa permise di riconoscere a prima vista la Stratocaster? Era diversa da
ogni tipo di chitarra realizzata prima: la cassa armonica fu ristretta
rispetto alle concorrenti, venne realizzata con due spalle mancanti al posto
di una sola. La spalla mancante è quell'incavo che permette l'alloggiamento
della mano del chitarrista sul manico mentre suona le note acute in fondo al
manico. La Gibson Les Paul, per esempio, ha un incavo solo (fatta eccezione
per il modello SG), l'originale “Comfort Contour Body” (la parte della
chitarra che appoggia sul fianco del chitarrista è scavata, in modo da
risultare più comoda), la leva del vibrato (antagonista della leva Bigsby),
l'alloggiamento delle corde, che non partono dal ponte ma attraversano tutta
la cassa della chitarra, i sei piroli non sono alloggiati a tre per volta ma
sono tutti e sei disposti sulla paletta in un'unica fila.
La realizzazione del vibrato causò dei problemi, venne realizzata unendo una
leva al ponte e mettendo 5 molle in un alloggiamento creato nella parte
posteriore della cassa. Il primo modello non diede garanzie sufficienti,
venne quindi realizzato il secondo. Il 30 Agosto 1954 Leo Fender presentò
richiesta di brevetto per un “Tremolo device for stringed instruments”
(meccanismo di tremolo per strumenti a corda) e il 10 Aprile 1956 la
realizzazione di Fender venne brevettata con il numero 2,741,146.
Veniamo ai pickups Fender. La Stratocaster ha 3 pickups, perché? Per una
“geniale” intuizione di Leo Fender: “Avevo nel magazzino una scorta di
selettori solo a 3 posizioni”
Riportò Tavares: “Leo disse che era normale che una chitarra elettrica
avesse due pickups quindi ne volle tre!”.
La scelta cadde su avvolgimenti a singola bobina, i “single coil”, che danno
quel suono "bright" così riconoscibile, meglio ancora se abbinato ad un
ampli valvolare Fender, tipo il Twin Reverb (mio modesto parere) o ad una
testata Hiwatt DR-103 (sempre mio parere...).
Nel 1954 si partì con la commercializzazione, con due versioni: con il
vibrato (“Tremolo”) e non (“Hardtail”). Il prezzo era di 249.50 dollari per
il modello con il Tremolo e 229.50 per quello senza. Inizialmente si scelse
la colorazione “sunburst”, un tono di giallo e uno di nero che sfumano
verso l'estremità del body (2-color sunburst).
Possiamo dividere la vita della Fender Stratocaster in vari periodi
cronologici:
- La prima emissione con manico in acero. 1954 - 1959
- Il periodo pre-CBS con la tastiera (applicata sul manico) in palissandro.
1959 - 1965
- I primi anni del periodo CBS. 1965 - 1971
- Il periodo CBS con il “Tilt Neck”. 1971 - 1981
- Il periodo canto del cigno CBS 1981 - 1985.
- L'inizio dell'era post-CBS 1985 - …
Dylan contro un
film in uscita: «Mi diffama» La storia racconta di una sua presunta storia
d'amore con Edie Sedgwick, una modella che morì suicida nel 1971.
WASHINGTON - Un film in uscita ha messo in allarme Bob Dylan,
che ha chiesto ai suoi avvocati di bloccare il lungometraggio su una delle
attrici di Andy Warhol che, a suo dire, lo diffama. Il film «Factory Girl»
racconta la tragica storia di Edie Sedgwick, una delle modelle preferite
della celebre "Factory" artistica di Warhol, che dopo un breve momento di
fama non riusci a uscire dalla tossicodipendenza e si suicidò nel 1971 con
una overdose.
LA STORIA D'AMORE FATALE - Nel film, con Sienna Miller nel ruolo della
protagonista, viene dato ampio spazio alla storia d'amore tra Bob Dylan e la
ragazza, che secondo alcuni venne celebrata da Dylan nella canzone "Just
like a woman". Stando alla sceneggiatura Edie Sedgwick venne abbandonata in
tronco dal cantante che la lasciò piombare nella depressione più cupa. Nel
film il personaggio di Dylan è chiamato con un altro nome, Danny Quinn, ma
chiunque veda la pellicola non ha il minimo dubbio sulla identità del cinico
amante della modella. I legali di Dylan hanno chiesto che il film non venga
proiettato perché «diffamatorio». "Factory Girl" dovrebbe uscire sugli
schermi americani il 27 dicembre prossimo.
Video : Al Diesan & Pino Tocco "Oh Sister" - Trevignano
July 12th 2008
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Giovedi 15 Gennaio 2009
ROURKE AND DYLAN'S LATE NIGHT PHONE CALLS LED TO
FRIENDSHIP
01/12/2009 07:16:58 PM
Mickey Rourke ha ricevuto una inaspettata telefonata nel
cuore della notte da Bob Dylan e conseguentemente la loro conversazione si è
svolta sui casi della vita e sulla loro lunga amicizia.
La Wrestler-star è apparso nel leggendario film Masked and Anonymous del
2003 , e la coppia parlava spesso del carattere di Rourke.
Ma l’attore , che descrive Dylan come la persona più interessante del mondo
, è rimasto scioccato dall’aver ricevuto una telefonata notturna dal
cantante.
Rourke ha detto . “ L’ho conosciuto diversi anni fa ed abbiamo parlato di
lui al telefono. Bene , lui non è un gran parlatore al telefono , non è
stata una gran chiacchierata. Ho avuto l’opportunità di avere una parte in
un suo film e l’ho sfruttata. Mi ha chiamato nel mezzo della notte ed io ho
detto “ Chi è ?” e lui ha detto “ Bob” ed io ho detto “ Bob chi ?” allora
lui ha detto “ Lo sai....Bob! Oh fuck...Bob Dylan”.
Mi voleva chiedere cosa avrebbe dovuto fare in una scena dove non aveva
nessun dialogo , ed io gli ho detto , “ Perchè non fare qualche attività ?”
Gli ho dato qualche piccolo consiglio su cosa fare , siamo davvero amici da
lungo tempo ”.
ROMA - Il telefono squilla, e dall' altra parte del filo una inconfondibile
voce nasale annuncia: "Hallo, I' m Bob Dylan". Ecco una di quelle situazioni
che non ci saremmo mai sognati di poter vivere. Abbiamo al telefono Bob
Dylan, che chiama dalla Grecia, nella imminenza del suo breve tour italiano
(debutterà domani a Napoli, e poi sarà sabato a Pisa e domenica a Milano).
Ci racconta che in Grecia fa molto caldo ma sta andando tutto bene. Lo
stupore è d' obbligo, non tanto per la mitica incorporeità del personaggio,
proverbialmente distante e irraggiungibile, ma proprio perché nella sua
introversa carriera di interviste ne ha concesse così poche da poterle
contare sulle dita di una sola mano. Unico precedente, in Italia, una folle
conferenza stampa a Verona nel corso della quale rispose evasivamente e
sarcasticamente alle domande dei giornalisti. Il motivo di questa decisione,
considerando che da decenni Dylan è braccato da richieste di colloqui,
rimarrà un mistero. Eppure sta accadendo, e perdipiù lui è anche
cortesissimo, disponibile a chiacchierare, anche se le risposte sono molto
sintetiche, com' è nel suo stile. Ne approfittiamo subito. Mister Dylan, nei
suoi concerti si ha l' impressione che le sue canzoni, anche le più antiche,
siano sempre diverse. Perchè questi continui cambiamenti? "Il tempo permette
che ci siano sempre nuovi significati nelle canzoni, anche in quelle di
molto tempo fa, ed è importante cercare sempre questi nuovi significati.
Certo, il corpo della canzone è sempre lo stesso, il significato centrale
non cambia, anche se indossa nuovi vestiti". Dylan parla lentamente, ed è
perfino comprensibile, molto di più di quanto non lo sia sul palco dove
stravolge e rende irriconoscibili anche i suoi testi più celebri. Come mai
ha scelto di incidere un disco come Good as I been to you, tutto acustico e
con canzoni non sue? "E' successo assolutamente per caso. Mi è bastato un
po' di tempo in studio per incidere queste canzoni che per me sono molto
importanti, che mi hanno accompagnato per anni. E le ho trattate come
canzoni, non come delle cover. Ci ho messo poco ad inciderle perché in fondo
sono dei pezzi folk e non hanno bisogno di molti ornamenti". A proposito di
dischi acustici. E' vero che le hanno proposto di registrare un concerto '
unplugged' ? "Sì, ne abbiamo discusso. Ma ora non so bene, diciamo che,
quando sarà il momento, è una cosa che potrebbe accadere". Non si è sentito
talvolta prigioniero di un' immagine che non le corrispondeva del tutto? "L'
importante è riuscire a fregarsene, a non porre molta attenzione su questo.
Seguendo la propria strada, ogni giorno è diverso. Sì, un tempo mi succedeva
di non sentirmi compreso, è vero, era un problema, ma adesso non ci penso
più, anche perché è cambiata la gente. Non sono visto alla stessa maniera di
un tempo. Mi sento molto più libero da queste limitazioni". Considerato il
suo travagliato rapporto con la religione, cosa ne pensa oggi che la
religione viene usata come strumento di guerra? "Il fatto è che c' è molta
politica nella religione, com' è sempre stato. Non è possibile diversamente.
La politica è dovunque". A proposito di questo ha un' idea di quello che sta
capitando in Italia? "Sì, lo so, la politica sta traboccando". Crede che la
musica possa fare qualcosa per questo? "Dipende da quale musica sia. Ma di
sicuro ogni musica ha la possibilità di superare le barriere". Per la prima
volta si è esposto accanto ad un politico, come nel caso di Bill Clinton.
Come mai? "Mah, è successo perché era stato già eletto, non ho partecipato
alla campagna elettorale. Se era la prima volta? Forse sì, forse no, ma
comunque il fatto è che prima nessuno mi aveva invitato lì". Il dialogo
scorre lieve, leggero. Dylan ci racconta dei vecchi tempi, della difficoltà
di essere cresciuto in una famiglia non musicale, e non risparmia battute ad
effetto: "Contrariamente a quanto spesso si dice, la prima importante
folgorazione musicale l' ho avuto ascoltando Elvis Presley". Ancora più
stupefacente è la risposta alla domanda sui libri che più lo hanno
influenzato agli inizi della sua carriera. Ne ricorda uno soprattutto: Il
Principe di Machiavelli. Quando gli chiediamo di specificare il suo disco
preferito tra tutti quelli che ha inciso, risponde elusivamente: "Quello che
devo ancora fare" ma spende parole di elogio per il suo pubblico italiano:
"Mi piace molto. Gli italiani capiscono, hanno sempre capito". Non è mai
stato a Napoli prima d' ora ma si ricorda tutte le città in cui ha suonato:
Bologna, Milano, Roma, Pisa, un paio di volte a Verona, Aosta, Genova. Ci
racconta che sta lavorando ad un nuovo disco che uscirà entro la fine dell'
anno e che sta preparando un grande tour insieme a Santana. Al pubblico
italiano non vuol dire nulla di particolare perché: "Tutto quello che ho da
dire lo dico nelle mie canzoni". Ma c' è ancora una sorpresa, e forse la più
stravagante di tutte. Dichiara che in questo periodo ascolta molta musica
classica, e quando gli chiediamo di rivelarci i suoi sogni, riprende a
parlare con piacere: "Oggi non ci sono più sogni, la maggior parte dei sogni
è finita. Ma per quanto riguarda la musica ci sono dei sogni che vorrei
realizzare, per esempio un disco di musica classica. Per questo sto già
lavorando con un' orchestra filarmonica. Tra non molto vorrei realizzare un
disco del genere, chissà...". E la telefonata finisce tra cordiali saluti e
arrivederci in Italia, lasciandoci un inevitabile dubbio: ma sarà stato
davvero Dylan?
di GINO CASTALDO
pubblicato: domenica 11 gennaio 2009 da Simona in:
Anticipazioni Attori Cinema News Europeo Biopic.
Kristin Scott Thomas e Anne-Marie Duff sono entrate nel
cast di Nowhere Boy, debutto alla regia di Sam Taylor-Wood, biopic che
ripercorre gli anni dell’infanzia e della gioventù del più celebre dei
Beatles: John Lennon.
La sceneggiatura porta la firma di Matt Greenhalgh e parla approfonditamente
del periodo in cui Lennon ha vissuto con zia e mamma e del fondamentale
rapporto di amicizia con Paul McCartney, negli anni precedenti la conquista
del successo.Vedremo Kristin Scott Thomas nei panni della zia del
cantautore, Mimì, mentre Anne-Marie Duff in quelli di sua madre Julia. Nel
ruolo di Lennon, il giovane Aaron Johnson.
Le riprese avranno inizio a Liverpool il prossimo marzo, agli Ealing Studios
di Londra.
Video : Mississippi - Bob Dylan / Tell Tale Signs: The
Bootleg Series Vol. 8
clicca qui
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Mercoledi 14 Gennaio 2009
Intervista a Jon Sulkow , il creatore del sito di Bob
Dylan
By James Sullivan - Globe Correspondent / January 13,
2009
Di notte , Jon Sulkow e Will Claflin suonano il basso e la chitarra per la
rock band di Boston “Dear Leader”. Di giorno , questi signori miti ed
educati fanno widgets. Sulkow è il fondatore della PROD4ever , una compagnia
in rapida crescita specializzata nel progettare e realizzare siti web per i
musicisti. Dopo essere partiti con lavori locali per la Fenway Recordings
and Mission of Burma , la compagnia ha raggiunto i fasti dei grandi siti
internet , creando i siti per Bob Dylan , Madonna , Radiohead e numerosi
altri.
Abbiamo parlato con Sulkow , 39 anni , su come si svolge il suo lavoro.
D: Così Bob Dylan vi ha inviato una e-mail per cambiare i caratteri del sito
?
R: (ridendo) No , raramente parliamo con gli artisti. Con Dylan , stiamo
lavorando con il suo manager...e con la Columbia Records. Abbiamo sentito
cose come “ Bob vi vuole per realizzargli un sito pulsante”.
D: Per il sito , che non è di pop-music , avete lavorato con la” storia
vivente”.
R: Questa è stata l’idea. Il suo nome e qualcuna delle sue canzoni sono così
significanti , evocative per molta gente , volevamo che il sito esprimesse
questo sentimento , ora è quasi un blog.
D: Stranamente , il sito dei Dear Leader è di base un blog.
R: (ridendo) Non ho fatto io il sito , ho scelto di essere separato da
quello , come lo stato con la chiesa.
D: Quabdo hai iniziato ad essere interpellato dalle maggiori
etichette discografiche ?
R: I ragazzi dei “Dispatch” ci hanno presentato a quelli di Guster della
Warner Bros. Abbiamo realizzato un piccolo audio player per loro , così la
Warner bros. Ha cominciato a chiamarci diverse volte. Una volta hanno detto
“ Vi piacerebbe lavorare per Madonna.com ?”.
D: Venendo da un mondo diverso , c’è stata una parte di te
che ha esclamato “ Oh , grande. Madonna?”.
R: No. L’ho vista come una grande opportunità. Stavo leggendo tutti quei
libri giapponesi ed ho applicato un sacco di cose scritte li , sono finite
dentro al sito , costantemente revisionato , e questo ha dato un ottimo
responso. Mi sento come se facessi siti che appaiono luminosi solo dal di
fuori , ma lavorando con un artista puoi scavare più a fondo.
D: Hai appena fatto la votazione online per la NHL’s . Lo sport
professionistico ha capito davvero qual’era il suo mercato , come rendere i
loro marchi più interessanti allineandosi alla cultura pop.
R: Quello che faccio non è limitato alla musica….Tutte le Companies
vorrebbero essere delle rock star , ed io le aiuto a diventarlo.
Il brano 'battuto' per 30mila euro
La registrazione inedita di 'Just Because’ di Lloyd Price cantata dal Beatle
alticcio è andata a ruba. L'interpretazione messa in vendita risale al
"weekend perduto": i famosi 18 mesi dopo la rottura del cantante con Yoko
Ono.
New York, 22 dicembre 2008 - Un brano di Lennon 'battuto' all'asta per
30mila euro. La registrazione inedita di 'Just Because’ di Lloyd Price
cantata dal Beatle ubriaco è andata a ruba.
La portavoce della casa d'aste Bonhams and Butterfields ha commentato:
"Erano sei minuti e 16 secondi di John che cantava molto ubriaco e
improvvisando un nuovo testo, quindi è anche una canzone divertente da
sentire’’. La canzone nella versione "ufficiale" è stata pubblicata
nell'album di cover 'Rock' N' Roll' del 1975.
L'interpretazione messa in vendita risale invece al "weekend perduto": i
famosi 18 mesi dopo la rottura del cantante con Yoko Ono, quando si trasferì
in California con la segretaria di Yoko, May Pang. Il catalogo descrive il
brano come "una musicassetta standard di colore arancione con un audio di
Lennon dell’autunno del 1973 che canta 'Just Because' di Lloyd Price".
Ora che gli hanno assegnato il Pulitzer, a Stoccolma avranno
tirato un sospiro di sollievo. Il suo premio Bob Dylan l'ha avuto e
l'Accademia svedese potrà continuare a regalare Nobel alla Jelinek e a
Saramago, a Dario Fo e a Doris Lessing, facendo finta che uno dei più grandi
poeti del '900 sia solo una rockstar con molto talento e notevole
immaginazione.
Non è dato sapere se Dylan abbia gradito il Pulitzer, né si conoscono i suoi
sentimenti nei confronti dei parrucconi scandinavi. Probabilmente, il signor
Robert Zimmerman (questo il suo vero nome) di tutto ciò se ne infischia. Ma
non è detto: anche i grandissimi hanno le loro vanità e i loro risentimenti,
come insegna la vicenda di Philip Roth, un mostro sacro della letteratura
che a ogni Nobel sfumato non risponde al telefono per un mese.
Roth e Dylan, è noto, hanno entrambi un brutto carattere. Sappiamo poi come
Dylan sia un tipo piuttosto vendicativo. Nel 1965 scrisse una canzone in cui
derideva acidamente l'ex amico Izzy Young, reo di avergli rimproverato
l'abbandono del folk per il rock: "Vorrei che anche solo per una volta tu
potessi metterti nei miei panni, così potresti comprendere quanto è tragico
guardarti".
Bob Dylan, in realtà, è un mistero. Per chi non ha provato a scandagliare a
fondo gli abissi della sua imprevedibilità, è un'icona incorruttibile. Nella
memoria collettiva e più superficiale rimane cristallizzato nella figura di
un giovane e impertinente menestrello folk con la faccia imbronciata e i
riccioli ribelli che schitarrava canzoni di protesta come Masters Of War e
The Times They Are A-changin' all'alba della guerra in Vietnam, sul solco
tracciato vent'anni prima da Woody Guthrie (il cantautore che aveva girato
gli Stati Uniti con una chitarra su cui stava scritto: "Questa è una
macchina ammazza-fascisti").
L’ho postato anche su Sophie Ladder. E’ un commento su tre canzoni d’amore
di Dylan . Penso possa esere istruttivo anche per i nostri rapporti con Dio.
Vi invito a leggere i testi ed ascoltare le canzoni. Come saprete , pensate
al vostro rapporto con Dio e come c’è similitudine fra un rapporto fra uomo
e donna.
Le romantiche canzoni d’amore di Dylan sono cronache della fede , ma il
percorso dell’amore è sempre un campo minato.
GIRL OF THE NORTH COUNTRY
Dylan dice di lei “ una volta era il mio vero amore. Era sincero visto che
ora si sono separati ?
La situazione , nauiralmente si può applicare a tutti noi. Cos’ ha a che
fare il nostro tempo con le nostre scelte e la nostra integrità ? Lui e lei
una volta avevano a cuore un’altra parsona , lei era importante tempo fa per
la sua vita , lui si preoccupava di lei e state sicuri che era una cosa
calda , lei non era una semplice conoscenza , ora per chi scalderà il suo
cuore ?
Lui si ricorda ancora di lei e si preoccupa , così sembra. Lui si chiede se
bisogna pagare un pedaggio per le devastazioni del tempo , come diceva
Shakespeare , i suoi capelli sono ancora lunghi e scendono sul suo seno ?
Che tipo di mondo è quello in cui viviamo se lei non si ricorda più di lui ?
Non è la nostra memoria , sono le nostre priorità , il nostro amore che
possono incagliarsi nelle sabbie del tempo. L’amore può fallire allora ? No
, questa è la speranza , lei può aver dimenticato , ma Dylan no. Deve essere
in questo modo se l’amore era reale.
TO RAMONA
Ramona piangeva . Si è illusa pensando che ci sono vincitori e vinti ,
ingannata dai fiori della città che sembrano essere il respiro della vita ,
ma realmente trasmettono la morte. Dylan spesso cerca una scappatoia da
quello che sembra volerlo imprigionare , ma qui è in grado di offrire
conforto ad una donna impigliata nella trappola della vincita.
E’ un mondo che onestamente non esiste , una illusione , un trappola
preparata per bene.
La sua mente è confusa come quella dei cani randagi che girano per la città
, illusa che ci sia un obbiettivo che si possa realizzare , che ci si possa
provare una volta , una volta per tutte. No , non ci sono cose di questo
genere. L’unica cosa che può realmente sconfiggerci sono i nostri pensieri e
qualche volta non siamo capaci di soffocarli.
I DON’T BELIEVE YOU (SHE ACTS LIKE WE NEVER HAVE MET)
Oltre il tentativo del mondo di distruggere l’amore con gli inganni , c’è
l’incostanza dele persone che possono rovinare un storia d’ amore ancora
prima di iniziarla. Con questa canzone , cominciamo a capire che l’amore è
un campo minato da attraversare , e chi ce la fa è veramente degno di tutti
gli onori. Non è questa una cosa parallela a Dio ? Non ci sono mille insidie
? le canzoni di Dylan sono la cronaca della fede.
Le passioni sono intorno a noi nelle notti pazze e selvagge , ora lei si
comporta come non si fossero mai incontrati. Lei sembra non essere mai più
la stessa persona. Ora c’è solo il silenzio , perchè lei dovrebbe parlare?
Ci permettiamo cose che ci separano da Dio , per una qualsiasi ragione , e
dopo dobbiamo affrontare la nostra separazione. Ci ritroviamo aggrovigliati
nelle illusioni dimenticando la vera natura Divina , seguiamo falsi idoli ,
a volte sinceramente. E qualche volta , è Dio che si nascone a
noi , in silenzio osserva , aspettando che ritorniamo a Lui , o forse siamo
noi che lo mettiamo in stand-by.
( by Masha )
Uccise donna nera e scontò solo 6 mesi
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John Lennon ex baronetto: ritrovata la medaglia che
restituì alla regina
di Roberto Bertinetti
ROMA (6 gennaio) - La medaglia a forma di croce, ricevuta nel 1965, venne
restituita da John Lennon alla regina Elisabetta nel novembre 1969,
accompagnata da una lettera nella quale il leader dei Beatles scriveva tra
l’altro: «Vostra Maestà, le restituisco l’insegna del MBE per protestare
contro il coinvolgimento inglese nel conflitto africano tra Biafra e Nigeria
e il supporto offerto agli americani in Vietnam. Con amore, John Lennon».
Per molto tempo si è pensato che la medaglia, simbolo del più alto
riconoscimento nazionale britannico (il Most Excellent Order of the British
Empire), fosse andata perduta, magari perché utilizzata di nuovo in seguito
per un altro baronetto. Il Times rivela invece oggi che per quasi
quarant’anni è rimasta in un cassetto della Cancelleria centrale degli
ordini cavallereschi del palazzo di St James insieme alla celebre lettera.
Secondo quanto dichiarato da un portavoce di Buckingham Palace, «prima di
decidere se la medaglia possa essere messa in mostra da un museo occorre
stabilire a chi spetta la sua proprietà». Che, ha aggiunto, dovrebbe essere
di Yoko Ono, vedova di Lennon e sua esecutrice testamentaria. Documenti
scoperti di recente hanno rivelato che John Lennon inizialmente non voleva
accettare la nomina a baronetto, ma venne convinto da Brian Epstein, manager
del gruppo.
L’idea di inserire i “Fab Four” nel 1965 ristretto elenco degli inglesi
illustri da premiare “per aver dato lustro alla patria” fu del premier
laburista Harold Wilson, che era da poco arrivato a Downing Street e aveva
bisogno di rafforzare la sua immagine nei confronti degli elettori più
giovani mostrandosi in sintonia con il “sound” del momento. Wilson durante
la campagna elettorale del 1964 aveva promesso la rinascita della nazione
dopo un lungo periodo di supremazia conservatrice e i Beatles gli apparvero
un simbolo della nuova era che si stava aprendo. Un punto di vista
evidentemente condiviso a corte, visto che Elisabetta non si oppose alla
nomina.
Nel corso degli ultimi sessant’anni, precisa il Times sono stati oltre
trecento i sudditi che hanno restituito o rifiutato la medaglia che segnala
l’appartenenza al ristretto club dei baronetti. Tra essi, aggiunge il
quotidiano, ci sono lo scrittore James Ballard, il cantante David Bowie e
l’attore Albert Finney. Nel 2007 lo stilista Joseph Corre decise a sorpresa
di non accettare il Most Excellent Order of the British Empire pochi giorni
dopo aver ricevuto la comunicazione ufficiale della nomina in segno di
protesta contro le scelte del premier Tony Blair, definito in una lettera
“politicamente corrotto”.
McCartney: "Il pacifista dei Beatles? Altro che John
Lennon, ero io..."
Il baronetto, noto come l'anima 'commerciale' dei Fab
Four, rivendica la politicizzazione del gruppo e la fa risalire a un
incontro avuto con Bertrand Russell, allora novantenne.
Roma, 14 diccembre 2008 - Il più pacifista dei Beatles? Non era John Lennon.
E neppure il più politicizzato. A rivelarlo, in un’intervista all’autorevole
rivista britannica Prospect, è nientemeno che Paul McCartney, che si
autoptoclama il pacifista del gruppo .
La notizia, che ha fatto il giro dei domenicali del Regno, stride
decisamente con la tradizione che ha sempre dato Paul come l’anima
commerciale dei Fab Four, a comporre azzeccati motivi tipo ‘Ob-La-Di,
Ob-La-Da’, mentre Lennon era quello delle canzoni impegnate genere
‘Revolution’.
McCartney oggi rivela che la sua coscienza politica risale a un incontro con
Bertrand Russell, allora novantenne, nella sua casa londinese a metà degli
anni Sessanta. Il filosofo era uno degli esponenti più autorevoli del
movimento pacifista ed era stato in carcere durante la Prima guerra mondiale
perché si oppose alla partecipazione dell’Inghilterra.
All’ex beatle, Russell raccontò del ruolo degli Usa nella guerra in Vietnam
di cui il musicista sapeva allora molto poco. Quando McCartney rientrò negli
storici Abbey Road studios, sostiene di aver raccontato “ai ragazzi, a John
in particolare, di questo colloquio e come quella fosse una guerra
sbagliata”. Il musicista spiega che il suo gruppo appoggiò sempre il
movimento e le cause pacifiste.
La versione del baronetto di Liverpool contrasta con quella di altri
testimoni dell’epoca, come scrive il Sunday Times che ha sentito, nel
merito, l’ex leader del Gruppo Marxista Internazionale che organizzava le
manifestazioni di piazza: “Mi suona del tutto nuovo - commenta l’oggi
celebre intellettuale Tariq Ali - Non abbiamo mai sentito opinioni di Paul
in quel periodo. Era John Lennon quello preoccupato per la guerra. Non ha
mai menzionato McCartney e per questo non ho mai pensato di chiedergli di
unirsi a noi”. Quanto a Paul, lui ritiene di aver ormai passato il testimone
a star della contestazione più giovani come Bob Geldof e Bono degli U2.
Voci di spiaggia : Il cantante e scrittore Bob Dylan è riportato essere in
vacanza nelle Marlborough Sounds.
Le Marlborough Sounds sono belle , non sarebbe grande cercare di
condividerle con le celebrità in vacanze orivate ? Beh , può essere il caso.
Alcune voci suggeriscono che Bob Dylan e Shania Twain stanno passando
separatamente alcuni giorni di vacanza nelle Sounds.
Il gossip dice che il grande super-yatch blu che è ancorato nella Onahau Bay
vicino a Picton ospiterebbe Bob Dylan , ma gli operatori degli scafi-taxi e
i visitatori al Lochmara Lodge dicono di non aver individuato il musicista ,
nemeno hanno sentito nulla al riguardo della sua visita.
Tuttavia , la notte scorsa , la vigilanza-Bob è stata intensificata , quando
una limousine si è fermata davanti alla The Crow Tavern in Nelson Square a
Picton e due uomini , che sembravano “animatori” , sono scesi entrando nella
taverna.
Il nome di Dylan era di nuovo sulle labbra di tutti.
Il proprietario della taverna Noddy Robertson dice i frequentatori del pub
hanno detto che Bob era stato li e che lui aveva parlato con loro ,
lasciando il posto alle 8 p.m. “ Non l’ho visto , ma lo avrei desiderato”.
Un residente di Picton , Jess Looms , era seduto davanti alla finestra in
Nelson Square è ha visto il fatto.
La signora Looms dice che ha guardato fuori dalla finestra ed ha visto un
uomo coi capelli lunghi ed una maglietta blu entrare nella limousine. Lei
pensa che era l’autore ed il cantante di Forever Young.
La band locale Freight Train stava suonando quella sera ed aveva annunciato
che Dylan sarebbe venuto li.
Il cantante e chitarrista dei Freight Train , dave St John , è stato cauto
nel parlare con la stampa dicendo che sperava che Dylan avrebbe fatto una
apparizione.
Una piccola folla è rimasta ad aspettare , ma Dylan non si è fatto vedere.
La limousine è stata vista più tardi parcheggiata davanti ad una casa
sull’angolo fra Waikawa Rd e Suffolk St. I reporters sono rimasti in attesa
tutta la notte , tuttavia questa mattina , si è scoperto che la limousine
apparteneva ad un veterinario che viveva ad Hastings.
A 28 anni dalla morte John Lennon è il protagonista di un
videoclip in cui invita gli americani a sostenere la campagna "Un laptop per
bambino", che mira a far arrivare computer portatili a energia solare
all'infanzia del Terzo Mondo.
Morto William Zanzinger , il presunto assassino di Hattie
Carrol
Il fatto :
(The Telegraph - traduzione di Michele Murino)
In breve segnalo che viene confermato che Zanzinger aveva
con sè un bastone di legno con il quale imitava Fred Astaire, durante la
serata all'Emerson Hotel di Baltimora (una serata di beneficenza) quell'8
febbraio del 1963.
Tra l'altro viene riportato che Zanzinger dopo aver infastidito un'altra
cameriera, Ethel Hill, colpendola con il bastone e ferendola ad un braccio,
avesse colpito sulla testa con una scarpa anche sua moglie. E poco dopo
aveva colpito anche un altro ospite della festa che aveva tentato di
calmarlo.
Una curiosità: la Carroll aveva 11 figli mentre Dylan gliene attribuisce
dieci forse per ragioni metriche.
Nell'articolo viene riportato che soffriva di ipertensione arteriosa e aveva
problemi alle coronarie.
Quando Zanzinger le chiede di versargli da bere lei gli dice di aspettare
perchè è occupata e lui la insulta e la colpisce con il bastone sulla testa
e sulle spalle. La Carroll chiede aiuto ed accorre un compagno di lavoro al
quale ella biascica poche parole in stato confusionale e poi sviene. Poco
dopo viene chiamata un'ambulanza e la polizia. La Carroll viene portata
all'ospedale (Baltimore Mercy Hospital) e Zanzinger viene arrestato dalla
polizia per aggressione e mentre viene condotto nella centrale di Pine
Street egli aggredisce i poliziotti ferendone uno alle gambe (tale Warren
Todd) e ricevendo in cambio un occhio nero.
L'imputazione che gli viene ascritta è "aggressione con un bastone di legno
nei confronti di Ethel Hill e Hattie Carroll".
Alle 9.15 di quella mattina Hattie Carroll muore in ospedale per sospetta
emorragia cerebrale senza aver mai ripreso conoscenza. L'articolo riporta
che la notizia della morte non era giunta alla Corte quando Zanzinger viene
rilasciato dietro cauzione di 600 dollari. Quando la polizia apprende della
morte di Hattie va ad arrestare Zanzinger con l'accusa di omicidio. Era tra
l'altro la prima volta nella storia del Maryland che un uomo bianco veniva
accusato dell'omicidio di una donna di colore.
Zanzinger chiese tramite i suoi avvocati difensori che il processo non
avesse luogo a Baltimora dove gli anti-segregazionisti erano alquanto attivi
ma nel "terreno neutrale" di Hagerstown.
La difesa di Zanzinger fu semplice, basata esclusivamente sul fatto che egli
era ubriaco e nemmeno ricordava di aver colpito sua moglie, un poliziotto ed
una cameriera. La difesa sostenne che Hattie Carroll era una donna grassa
che aveva problemi di pressione e che avrebbe potuto subire un infarto in
qualsiasi momento. Il fatto che l'avesse avuto dopo i colpi di bastone di
Zanzinger era solo una coincidenza.
I tre giudici tuttavia ritennero Zanzinger ugualmente colpevole anche se non
di omicidio di primo grado bensì di secondo grado e lo condannarono a sei
mesi di prigione.
Per approfondire la storia leggi i seguenti commenti :
Zanginger (molto probabilmente ) non ha ucciso Hattie
Carrol - di Alessandro Carrera
clicca qui
William Zanziger non ha ucciso Hattie Carrol - di Paolo
Vites
clicca qui
Eravamo sul posto e Terre Grilli portò una fotocopia per
paragonare la scena ai giorni attuali. “Una cosa che ho notato sono gli
alberi” disse lei “ Non c’erano alberi nel quartiere nel 1963”. E al posto
del pulmino VW blue sulla destra c’era un SUV con i vetri neri oscurati.
Era una giornata di neve quel giorno di febbraio del 1963 , nel cuore del
Greenwich Village , New York City. Il fotografo , Don Hunstein , preparò
tutto sulla West 4th Street poi venne giù della Jones Street , mentre Bob
Dylan e la sua ragazza , Suze Rotolo , camminavano in mezzo alla strada in
fronte alla macchina fotografica. Bob aveva le mani affondate nelle tasche
dei jeans , Suze era attaccata al suo braccio , ed il risultato fu una delle
più famose copertine di un album.
Il fotografo della copertina del secondo LP di Dylan , The Freewheliin’ Bob
Dylan , ha fermato il tempo in quel luogo.
Per un periodo di quasi mezzo secolo questo reticolo di strade , un paio di
chilometri quadrati in tutto , ha generato un sacco di energia che ha
forgiato la sensibilità artistica di Dylan. “L’aria era maledettamente
fredda , intorno agli zero gradi , ma il fuoco nella mia mente ardeva sempre
“ ha scritto Bob nelle sue memorie , “Chronicles”.
Il Greenwich Village , o anche solo il Village , è un posto diverso oggi e
Dylan se n’è andato all’ovest molto tempo fa. Ma il mix architettonico delle
classiche case di ringhiera , stile-federale delle case è ancora immutato. E
lo spirito dell’”originale vagabondo” che arrivò e visse qui nel gennaio del
1961 , le canzoni e le parole del quale mostrarono un nuovo modo di guardare
il mondo moderno , è ancora aggrappato alle scale anti-incendio , ai ciotoli
delle viuzze ed a moltri altri caratteri delle strade.
Terre Grilli , una 52enne entusiasta per la musica Folk , fa la guida
turistica nel Village incarnando quello spirito.
I Tours sono organizzati privatamente e sono impostati come ai tempi andati
, con molto dello spirito “Freewheelin’” di quei giorni degli anni 60’. “ E’
un tipo di lavoro che amo” dice lei “ Non faccio pubblicità , è una cosa
solo per i fans”.
Ci siamo incontrati fra la Hudson St. E la West 11th , vicino alla strada
della taverna “White Horse”. Questo tuffo nei vecchi “longhorsemen” (il
fiume Hudson è solo a tre isolati ad ovest) ha un impeccabile pedigree
bohemian : nel 1950 Dylan Thomas , prima che il suo nome fosse usato da un
piccolo ragazzo venuto dal Minnesota di nome Robert Zimmerman , ha bevuto il
suo ultimo bicchiere in questo bar pochi giorni prima di morire , Norman
Mailer ha creato il giornale “Village voice” proprio qui , ed era anche il
ritrovo dei poeti beat. E’ stato qui che Dylan ha sentito i “Clancy
Brothers” cantare “Rousing rebel songs that would lift the roof”.
Il White Horse è ancora soddisfacentemente grungy , le sue pareti sono
coperte di fotografie che ritraggono Dylan Thomas nei suoi “momenti”. Un
paio di porte più in là , un negozio vende borse di Dolce & Gabbana per
diverse migliaia di dollari , mentre un agente immobiliare , dalla finestra
sull’altro lato dell’Hudson , un appartamento (“Mi spiace per le condizioni
ante-guerra“ dice) , per oltre un milione di dollari. Il basso costo degli
affitti che aveva attratto giovani sognatori come Bob dylan è scomparso
molto tempo fa.
E’ stata la sua ex-amante , Joan Baez , a chiamarlo vagabondo. La parola
esprime il modo col quale lui girava per la “città che avrebbe dato forma al
mio destino” , con un notevole numero di storie riguardanti se stesso , e ,
per sua stessa affermazione , “una mente che catturava tutto come una
trappola”.
“E’ venuto in città senza un posto dove andare ed è finito a dormire sul
pavimento” dice Terre portandomi in giro, in Perry St., “ Non aveva soldi
per un appartamento”. Al 129 di Perry , vecchi mattoni sudici , scale
antincendio pitturate di verde , ha dormito sul pavimento di Carla Rotolo ,
la sorella maggiore di Suze. E’ qui che ha incontrato Suze , mentre
saccheggiava la vasta collezzione di dischi folk di Carla per trarre alcune
idee per il suo primo disco , Carla è stata una grande sorella per lui.
Il folk singer Dave Van Ronk , che Dylan ha descritto come “il re della
strada” , viveva alcuni isolati a nord-est , in Waverly Place. Terre indica
il numero 190 , un palazzo grigio con le finestre arancioni , “ Bob dormiva
sul divano qui” dice Terre , “ Tom Paxton era solito venire qui , ma chi si
ricorda di queste cose ?” Terre punta il pollice dietro le spalle , “ Dietro
di noi , al 191 , abitava il giornalista Bob Shelton , lui era il reporter
del New York Times che ha scritto la recensione che ha catapultato Bob nel
mondo della musica”. Apre la sua borsa , ed ecco una copia del giornale con
le foto di Bob che suona al sul palco del famoso Gerde’s Folk , nel
settembre del 1961 – un cantante di 20 anni è il nuovo volto luminoso del
Village – dice la didascalia.
Il Gerde’s non esiste più da tempo , ha chiuso nel 1987 , ma come facevano
molti dei locali dell’epoca , aveva un cestino sui tavoli dove la gente
metteva i soldi per gli artisti che si esibivano sul piccolo palco , oppure
gli artisti passavano col cappello in mano. I locali principali erano il
Cafè Wha? , in Macdougal St. , dove Dylan si diresse appena arrivato a New
York. Qui suonava l’armonica per Freddy Neil , che più tardi scrisse
“Everybody’s Talkin’” , resa popolare dal film “ Midnight Cowboy”, per un
pubblico di segretarie in pausa pranzo , marinai e turisti.
“Devi sapere , che tutta Macdougal St. era un susseguirsi di queste
coffehouses “ dice Terre , “ Al 116 , nella cantina , c’era il Gaslight ,
che adesso si chiama Alibi. “ Dura da credere ma questo era il primo posto
per suonare”. Il Gaslight non aveva la licenza per servire bevande , così
dopo , andavano tutti insieme nel locale di fianco , il Kettle of Fish , che
ora si chiama Esperanto Cafe”.
“ E’ stato al Gaslight che Bob ha suonato per la prima volta A hard rain’s
a.gonna fall ”.
Il tour di Terre è esauriente ed affascinante – l’ex-Commons coffeehouse in
Minetta St. Dove scrisse Blowin’ in the wind , l’ex-Hotel Earle dove visse
per un pò , e del quale Joan Baez , nella sua amara canzone d’amore su Dylan
, Diamond and Rust , raccontava di questo “ lurido Hotel vicino a Washington
Square”, il punto magico sulla West 4th dove lui e Suze Rotolo hanno fatto
la foto nella neve per Freewheelin’”.
Dodici mesi dopo che la foto per la copertina dell’album era stata scattata
, Dylan ruppe con Suze , che gli aveva ispirato Tomorrow is a long time. “ I
giorni delle mitiche coffeehouses se ne sono andati ormai” dice Terre.
“ Lui non ha lasciato nessun segno tangibile al Village , niente placche ,
niente statue o negozi di memorabilia , ma questo è in armonia con lui -
tutto è sempre nuovo , sempre in cambiamento - ha scritto in Chronicles ,
non c’è mai la stessa gente per le strade”.
Ciao a tutti,
In attesa della puntata speciale di "Che tempo che fa" che domenica 11 sarà
dedicata al Grandissimo Fabrizio, vi riporto uno stralcio di un'intervista a
Dori Ghezzi pubblicata nei giorni scorsi sull'Unità (3 gennaio).
GIORNALISTA: Che musica ascolti oggi?
DORI GHEZZI: Ascolto molto Bob Dylan, non mi stanca mai.
G: Lo ascoltavi anche con Fabrizio?
DG: .... Lui amava Dylan, ma non più di Leonard Cohen o dei francesi, Brel e
Brassens. Ha inciso due cover di Dylan, ma furono prima De Gregori e poi
Bubola a convincerlo.
Il "menestrello" del rock se la prende con le band in
classifica: «Non sanno dove sia la musica»
WASHINGTON - Ancora oggi il menestrello della folk-song fa parlare di sé.
Lui da sempre personaggio schivo e scontroso, saltuariamente acconsente a
progetti in contrasto con la sua persona. Solo un anno fa il "menestrello"
di Duluth ha stupito fan e critici accettando di apparire in uno spot di una
notissima marca di intimo femminile americana: sulle note di un remix della
sua "Love slick" il poeta rock a stelle e strisce si presentato circondato
da seducenti modelle vestite solo di biancheria intima. Tra i fan lo
sconcerto fu grande: «Non posso crederci, roba da farsi saltare le
cervella», commentò John Baky, direttore del Museo Dylan di Philadelphia.
Oggi, l'autore della canzone più bella di tutti i tempi ("Like a rolling
stone" secondo la rivista Rolling Stone) parla delle rock-band contemporanee
affermando: «Sono tutti dilettanti». Il mitico cantautore americano, pronto
a ripartire in tournee , sostiene che «ci sono complessi che si trovano in
testa alle classifiche e che vengono presentati come i redentori del
rock'n'roll, ma sono veri dilettanti. Non sanno da dove viene la musica».
Dylan sostiene che avrebbe fatto un altro mestiere se fosse nato 40 anni
dopo: «Non ci avrei pensato neanche un attimo a diventare musicista in
questi tempi... Mi sarei occupato di matematica, mi interessa. Anche
l'architettura mi piace, o altre cose di questo tipo».
Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, nasce a Duluth, nel Minnesota, il
24 maggio 1941 e presto inizia a suonare pianoforte e chitarra. Dopo
un'adolescenza trascorsa suonando a Minneapolis, dove frequenta l'Università
e i circoli dei giovani intellettuali della New Left, Dylan dopo aver letto
la biografia di Woody Guthrie si trasferisce a vivere a New York, dove
approda nel 1961. Il contratto discografico con la Columbia arriva quasi
subito e nel 1962 Bob Dylan pubblica il suo primo album. Il successo arriva
nel 1963 con "The Freewheelin' Bob Dylan", che comunica al mondo la nascita
di un nuovo eroe della folk-song di protesta e di una personalità di
riferimento nell'allora nascente movimento beat, entrambi ruoli che Dylan
conserva ancora oggi nell'immaginario collettivo prima ancora che nella
tematica delle canzoni, fattesi con il trascorrere degli anni sempre più
personali. Il resto è storia.
Video : Don't think twice it's all right - The Blackstones
clicca
qui
a
Mercoledi 7 Gennaio 2009
BOB DYLAN – MICHELE MURINO
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Bob Dylan, il via alla caccia ai biglietti
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"Million Dollar Bash" racconta la rockstar americana
Sid Griffin, uno dei più quotati giornalisti rock al
mondo, ha scritto un libro rivelatorio su Bob Dylan, dall’incidente
motociclistico alla pubblicazione di John Westley Harding, soffermandosi
soprattutto sul perchè ad un certo punto il cantante avesse dato un alt
decisivo alla sua carriera.
di Ernesto De Pascale
Musicista, già leader dei The Long Ryders, uno dei gruppi
base del movimento Paisley Undergorund americano degli ottanta, Sid Griffin,
senza aver mai smesso di fare musica, è oggi uno dei più quotati giornalisti
rock al mondo. Con base a Londra il lavoro di Sid, dopo essersi rivolto a
tutti gli aspetti della vita di Gram Parsons, è da qualche anno virato
decisamente verso quelli meno conosciuti dell’attività e della vita di Bob
Dylan. Lo abbiamo incontrato in una caffetteria alla moda di King’s Road per
una lunga chiacchierata intorno al suo ultimo libro “Million Dollar Bash”
(edizioni Backbeat, che sarà presentato domenica 16 dicembre al Cinema
Alfieri di Firenze, nell’ambito di una due giorni dedicata all’artista), un
volume rivelatorio sull’anno sabbatico passato da Bob Dylan a Woodstock che
l’artista impegnò nella registrazioni di nuove straordinarie canzoni,
collezionate come The Basement Tapes. Anche se le cose, ci spiega Sid, non
andarono esattamente solo così.
Ovunque al mondo è il momento di Dylan. Gli anni dei Basement Tapes
rimangono come un oscuro ma intenso periodo delle vita di Bob Dylan. Cosa ti
ha mosso ad andare in profondità ?
Nessuno sa cosa stesse pensando Dylan durante i Basement Tapes. Il libro di
Geil Marcus, per quante bellissimo, trattava le registrazioni poi pubblicate
illegalmente e dava una visione politica e sociale dell’America di quel
periodo. Greil fece un ottimo lavoro. Il mio libro tratta esclusivamente la
figura di Bob, dall’incidente motociclistico alla pubblicazione di John
Westley Harding. Nel 1967 Dylan passò più tempo in studio che in ogni altro
anno della sua lunga carriera ( lo studio era la casa dove viveva!), scrisse
più canzoni di quante ne abbia mai scritte, scrisse più belle canzoni in un
solo anno che in ogni altro anno della sua carriera e, comunque, non
pubblicò alcun disco. Rimase in incognito. Chi si era mai comportato prima
così ? Forse Elvis nei primi anni sessanta ? Lennon nel 1975 ma cosa
sappiamo di Dylan ? Pochissimo. Il mio libro racconta quei 18 mesi. La
verità è finalmente rivelata!
Quanto tempo hai impiegato a realizzare il volume ?
Dopo i preparativi iniziali, iniziate le interviste ho trascorso 13 mesi di
lavoro continuativo sul progetto. Certo mi sono anche dedicato alla mia
band, Coal Porters e a registrare con loro un novo album che esce a gennaio
2008 con la partecipazione di Chris Hillman ma, soprattutto, gli ultimi 6
mesi sono stati duri. Ho passato interi giorni a rifinire e a verificare.
Quale è stata la finalità principale della tua ricerca ?
Le mie due finalità principali erano scoprire perché Dylan avesse fermato il
suo tour mondiale del 1966, perché avesse fermato il progetto Tarantula,
perchè avesse smesso di editare il documentario della ABC TV Eat The
Document, perché più in generale avesse dato un alt così decisivo alla sua
carriera. Dovevo perciò contattare artisti come Robbie Robertson che erano
lì con lui all’poca a dargli una mano. La mia seconda finalità era perciò
convincere Robertson a parlare. Molti libri su Dylan usano frasi da altri
libri su Dylan e molti esprimono solo l’opinione dell’autore mentre io
volevo che le persone presenti in quei giorni raccontassero la storia. E
loro lo hanno fatto!
E la tua scoperta più importante ?
La mia più importante scoperta è che i Basement Tapes iniziarono non perché
Dylan voleva fare musica ma perché chiamò i ragazzi in The Hawks, poi The
Band, di venire a Woodstock per essere con lui NON per la musica ma per
partecipare a un film che lui stava girando. Un po’ come avrebbe fatto in
anni successivi con Renaldo & Clara, Dylan usava i suoi amici come attori
per improvvisare le scene: Robie Robertson si trovava già a Woodstock dove
persone come il mio amico Bob Neuwirth e Howard Alk, adesso deceduto,
stavano aiutando Bob a diventare un filmmaker mentre gli altri musicisti
vennero chiamati per il motivo che ti ho appena detto. E naturalmente
nessuno ha mai visto un metro di quel materiale girato. Secondo un sistema
caro a Dylan da sempre!!!!!
E’ stato facile mettersi in contatto con i protagonisti di quella beve
stagione della vita di Dylan ?
No, non è stato facile incontrare Robbie Robertson, il produttore della Band
John Simon, il tecnico Rob Fraboni e molti molti altri che aprissero al
memoria e scavassero il passato: All’inizio erano tutti riluttanti Tutti
sono immersi nel presente non volevano tornare sui propri passi.. Inoltre
alcuni non ricordavano molto di quegli eventi di 40 anni fa …
Chi hai più esattamente intervistato per Million Dollar Bash ?
Ho incontrato Robbie Robertson molte volte, John Simon, Rob Fraboni, il
manager e produttore dei Fairport Convention Joe Boyd, Roger McGuinn, Chris
Hillmand, Manfred Mann, Tom McGuinness, l’archivista di Dylan e dei CSNY
Joel Bernstein. Ho potuto usare un’intervista inedita a Rick Danko,
realizzata dal mio amico e collega Barney Hoskins un anno prima della
scomparsa del grande Rick. Inoltre il filmmaker Barry Feinstein e il
pubblicista della CBS Billy James. Le voci del coro sono state insomma
molteplici
Chi ha declinato l’offerta di partecipare al libro ?
Ho espressamente fatta richiesta all’ufficio di Bob Dylan per avere una sua
testimonianza ma lui ha declinato l’invito. Bob Neuwirth nonostante sia un
caro amico e un fantastico artista grafico si è rifiutato pure lui. Ma va
bene così. Amo entrambi!!!
Le persone che hai intervistato ti hanno dato l’impressione di essere consce
dell’importanza di quel periodo della vita di Dylan e della musica
realizzata ?
Gli artisti che hanno poi inciso le canzoni che Dylan compose durante i
Basement Tapes sono ancora tutti perfettamente consci dell’importanza di
quelle sessions! Per quanto riguarda Dylan e amici non penso che fossero
consci di quanto importanti, influenti, senza tempo potessero rivelarsi
essere The Basement Tapes e questo è un peccato
Sid, ritieni che l’anno che Bob passò a Woodstock fu uno stop necessario ma
in qualche modo consigliato dal manager Albert Grossman per ridiscutere
contratti, royalties e durate ? ( dal 1968 la percentuale di Bob dylan sale
al 16 % una cifra che nessuno aveva mai contrattualizzato all’epoca per un
contratto artistico ndr)
No, non credo. Dylan si ritirò - questo è vero - reduce dall’incidente
motociclistico che era davvero un ragazzino. Albert Grossman era un
innovatore nel su campo ma sarebbe stato pazzo a interrompere una carriera
così ricca di successi per suggerirgli di smettere di incidere, fare
tournee, di tornare in studio a NYC o a Nashville, di finire il film per la
ABC-TV. Dylan era alle costole dei Beatles in quel momento della sua
carriera e se avesse continuato in quel modo li avrebbe forse sorpassati in
popolarità ed influenza. Dopotutto non dimenticare che il primo concerto che
Bob avrebbe dovuto fare, se non fosse sopravvenuto l’incidente
motociclistico, sarebbe stato allo Shea Stadium di NY, proprio come i
Beatles
Da una prospettiva odierna che significato ebbero quelle registrazioni per
Dylan ?
Da una prospettiva odierna, prospettiva immaginativa visto che lui non si
mai è espresso direttamente a proposito di esse, ritengo che The Basement
Tapes abbiano avuto per lui una funzione rilassante. Certo, le composizioni
furono un moo per continuare a far affluire soldi nei conti di Grossa e in
quelli di Dylan senza dover stare on the road ma non vedo altra risposta
E per te ?
Personalmente ritengo The Basement Tapes il miglior lavoro di Dylan in
assoluto, e senz’altro un momento chiave nella nascita di quel genere che
oggi definiamo Alt.Country o Americana. Immagina un artista che scrive nello
stesso anno This Wheel’s On Fire, I Shall Be Released, You Ain’t Goin’
Nowhere, I’m Not There (1956), Tears Of Rage, The Mighty Quinn, Down In The
Flood, Nothing Was Delivered e All Along The Watchtower. Per certi artisti
solo queste composizioni sarebbero bastate a fare un’intera carriera! E per
Dylan parliamo di un solo anno, con tanti capolavori già scritti alle spalle
e tanti ancora a venire
Viste dall’esterno si ha l’impressione - anche leggendo Marcus - che le
sessions di Woodstock non unirono molto The Band e Bob sul piano personale e
le due parti non si esibirono insieme per diversi anni a venire. Forse
Dyalna un certo unto della permanenza voleva solo andarsene a Nashville o
altrove ? Tipico di Dylan, no ?
Posso solo risponderti sui motivi per cui Dylan non avrebbe usato più The
Band/The Hawks per un bel po’! Il gruppo era già una forza integra a quel
punto. Sally Grossman, la moglie di Albert se ne era innamorata e stava
spingendo il marito affinché trovasse loro un contratto discografico
indipendente. Addirittura rifiutarono l’offerta di Dylan che si propose come
cantante e pianista nel loro album d’esordio perchè ritennero che la
connection fra loro sarebbe andata troppo oltre per una carriera appena agli
inizi. Volevano liberarsi dell’ombra di Dylan e questo è comprensibile. Ciò
che è curioso è il perché Bob non li volle più usare. Quando tornarono con
lui per “Planet Waves” fu un evento sonicamente speciale. Probabilmente lui
stava andando in una direzione più country & western, più acustica e non
riteneva aver bisogno di una band di Ryhm & blues ma di sicuro quando
ascoltò l’album “Music form The Big Pink” completato deve aver pensato”bey,
questa è la miglior band al mondo che possa accompagnarmi!”. Ma la carriera
di The Band era oramai partita e ci volle qualche anno prima che tornassero
a lavorare insieme …
Credi che Dylan stesse deliberatamente gli altri musicisti a fare del
proprio meglio per registrare del buon materiale o pensi che nella sua testa
ci fossero altri progetti per queste canzoni ?
Dylan probabilmente era alla ricerca della sua musa ispiratrice, cercare di
scrivere delle belle canzoni, a casa, senza l’uso di stimolanti o senza
l’eccitazione e la pressione di vivere sulla strada. Era solito giocare e
dire “questa canzone è per Ferlin Husky” oppure “questa canzone è per The
Everly Brothers” ma io credo che lui registrò The Basement Tapes in uno
stato di ricerca interiore. Altrettanto Albert Grossman desiderava che i
migliori artisti suonassero queste canzoni che Bob Dylan stava componendo a
Woostock in quel momento e si dette un gran da fare in prima persona
affinché queste canzoni andassero a finire nella mani giuste, di gente come
Fairport Convention, Manfred Mann, The Byrds
Ci sono eventi a noi sconosciuti fino ad oggi che, grazie al tuo lavoro, ci
possono permettono di vedere l’anno a Woodstock sotto una prospettiva
differente ?
The Hawks, o per meglio dire The Crackers come si fecero annunciare, erano
annunciati come gruppo supporto di Allen Ginsberg alla Carnagie Hall nel
settembre 1967. Robbie giura che il gruppo non partecipò a quel concerto ….
Chissà, forse uno dei vostri lettori era lì … la cosa mi ha molto colpito!
Mi hai accennato a un ulteriore libro che hai in preparazione dedicato alla
Rolling Thunder Revue. Ce ne puoi parlare ?
Mi è stato chiesto di scriver un altro libro su Dylan e nei primi mesi del
2008 inizierò questo volume sulla Rolling Thunder Revue. Quello fu un
momento in cui Bob si comportò in maniera simile a come si era comportato a
Woodstock nel 1966 e 1967; suonava un nuovo genere di musica con i suoi
amici e suonava in situazioni molto informali. Stava girando ed editando un
film, preparando un TV Show(Hard Rain) per un network americano … le
similitudini sono molte. Non esiste inoltre un libro che valuti per intero
questo periodo della carriera di Bob e credo che sul mercato manchi un
volume simile
Ci sono punti di contatto fra The Basement Tapes e The Rolling Thunder Revue
?. Dieci anni sono una infinito, soprattutto per chi come Dylan non si è mai
fermato….
Bob Neuwirth fu coinvolto in entrambi i progetti. Lui e Bob sono buoni amici
sin da quando si incontrarono all’Indian Neck Folk Festival del 1961. E
ancora sono ottimi amici. E? Bob Neuwirth la persona che ha portato Bob nel
mondo del cinema, o meglio, della cinematografia. Voglio ricordare a quanti
non lo sanno che l’operatore di D.A.Pennabaker che girò la sequenza di Jimi
Hendrix a Monterey Pop fu proprio Bob Neuwirth. Era lui che se ne stava lì
davanti a Jimi, in piedi su una scatola di legno a girare la storia del
rock!!! Perciò, per tornare a ciò che unisce The Basament Tapes e La Rolling
Thunder revue diciamo che il punto in comune è proprio Bob Neuwirth.
Come si fa a scrivere "un commento" su Bob? Quanti mondi
ci vogliono? Dopo di Lui "nessuno". Nobel o non Nobel, fra 200 anni si
parlerà ancora di Bob Dylan e si ascolterà la Sua musica, o meglio, le sue
poesie..perchè Bob non è un cantante, lo sappiamo, ma un Poeta..lo scorso
giugno è stato qui a Trento..l'avevo già visto e sentito..ma è sempre
un'emozione. Ciao a tutti fans di Bob. Ivano
Zack Snyder a Los Angeles per girare il video di
Desolation Row
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"Semper Faber"
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Robert Crumb in musica
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Giovedì 8 gennaio Stanley Brinks al Jarmusch Club clicca qui_______________________________________________________________________________________________________________
I fans di Bob Dylan potranno adesso possedere una parte dei
beni immoboliari di famiglia , il figlio Jakob ha messo in vendita la sua
casa di Los Angeles.
La casa in del frontman del Wallflowers in Brentwood è sul mercato al prezzo
di 11 milioni di dollari.
La proprietà comprende la casa principale con 5 camere da letto e due
fabbricati minori per gli ospiti , al momento una di questi è usato come
studio di registrazione.
Il Los Angeles Times segnala inoltre che ci sono 8 bagni , sette caminetti e
una piscina con stazione termale.
Quale Dylan ? Bob Dylan o il coniglio spaziale Dylan ?
I nomi più scelti per i nuovi nati , ancora una volta,
mostrano la deprimente influenza dalla cultura delle celebrità.
Un sondaggio fra i nuovi nati del 2008 , trova che nomi come Connie e Ruby
sono tornati popolari , e per i maschi Zac e Dylan. Connie e Ruby hannno un
sapore piacevolmente Edoardiano , ma probabilmente sono stati scelti perchè
Connie Fisher ha vinto una gara televisiva per nuovi talenti e Ruby è il
nome che Charlottte Church ha dato alla sua piccolina. Zac viene da Zac
Efron che ha recitato in “High School Musical”. Il nome di molte celebrità televisive è il
più scelto dalle nuove aspiranti mamme.
E Dylan ? Nel 1965 una canzone satirica di Paul Simon parlava di un uomo “
così sconosciuto che quando dicevi Dylan parlavi di Dylan Thomas , chiunque
sua stato”. Oggi , un bambino , dovrebbe essere grato a Bob Dylan di essere
stato chiamato col suo nome , o anche al coniglio spaziale Dylan , ispirato
a Bob , della
trasmissione televisiva per bambini “The magic tournaround” , piuttosto che con quello di momentanee celebrità
televisive.
I risultati finali del sondaggio di Expectingrain sui 75
miglior concerti di Bob Dylan
In breve: The Top 10 Dylan Concerts
October, 1962 – Gaslight Café, New York, NY
May 16, 1976 – Tarrant County Convention Center Arena, Fort Worth, TX
November 16, 1979 – Fox Warfield Theater, San Francisco, CA
April 20, 1980 – Massey Hall, Toronto, CA
June 30, 1988 – Jones Beach Music Theater, Wantaugh, PA
November 16-17, 1993 (both) – The Supper Club, New York, NY
March 11, 1995 – Congress Hall, Prague, Czech Republic
March 31, 1995 – Brixton Academy, London, England
October 7, 2002 – Tehama County Fairgrounds, Red Bluff, CA
November 24, 2003 – Hammersmith Apollo, London, England
Questi i concerti che hanno ricevuti più di 10 voti ognuno , ovviamente la
lista completa :
The Final List: The Top 75 Dylan Concerts
November 4, 1961 – Carnegie Chapter Hall, New York, NY
July 2, 1962 – Finjan Club, Montreal, Quebec
October, 1962 – Gaslight Café, New York, NY
April 12, 1963 – Town Hall, New York, NY
October 26, 1963 – Carnegie Hall, New York, NY
May 7, 1965 – Free Trade Hall, Manchester, England
July 25, 1965 – Newport Folk Festival, Newport, RI
September 3, 1965 – Hollywood Bowl, Los Angeles, CA
December 4, 1965 – Berkeley Community Theater, Berkeley, CA
April 12, 1966 – Sydney Stadium, Sydney, Australia
May 16, 1966 – Gaumont Theatre, Sheffield, England
May 17, 1966 – Free Trade Hall, Manchester, England
January 20, 1968 – Woody Guthrie Memorial Concert, New York, NY
August 31, 1969 – Isle of Wight, England
February 14, 1974 (afternoon) – The Forum, Los Angeles, CA
October 31, 1975 – War Memorial Auditorium, Plymouth, MA
November 11, 1975 – Palace Theater, Waterbury, CT
November 21, 1975 (evening) – Boston Music Hall, Boston, MA
December 1, 1975 – Maple Leaf Gardens, Toronto, Ontario
December 8, 1975 – Madison Square Garden, New York, NY
May 3,1976 - The Warehouse New Orleans, Louisiana
May 16, 1976 – Tarrant County Convention Center Arena, Fort Worth, TX
May 23, 1976 – Colorado State University, Fort Collins, CO
July 6, 1978 – Pavillon de Paris, Paris, France
December 10, 1978 – Charlotte Coliseum, Charlotte, NC
November 16, 1979 – Fox Warfield Theater, San Francisco, CA
April 20, 1980 – Massey Hall, Toronto, CA
November 15, 1980 – Fox Warfield Theater, San Francisco, CA
June 29, 1981 – Earls Court, London, England
July 25, 1981 – Palace des Sports, Avignon, France
November 10, 1981 – Saenger Performing Arts Center, New Orleans, LA
November 12, 1981 – The Summit, Houston, TX
June 28, 1984 – Minestadio, Barcelona, Spain
February 24, 1986 – Entertainment Centre, Sydney, Australia
September 12, 1987 – Autodroma, Modena, Italy
June 10, 1988 – The Greek Theater, Berkeley, CA
June 30, 1988 – Jones Beach Music Theater, Wantaugh, PA
October 19, 1988 – Radio City Music Hall, New York, NY
February 8, 1990 – Hammersmith Odeon, London, England
May 9, 1992 – State University, San Jose, CA
September 12, 1993 – Greet Woods Performing Arts Center, Mansfield, MA
November 16, 1993 (both) – The Supper Club, New York, NY
November 17, 1993 (both) – The Supper Club, New York, NY
August 14, 1994 – Woodstock ’94, West Saugerties, NY
October 8, 1994 – Orpheum Theater, Boston, MA
March 11, 1995 – Congress Hall, Prague, Czech Republic
March 30, 1995 – Brixton Academy, London, England
March 31, 1995 – Brixton Academy, London, England
June 17, 1996 – Tempodrome, Berlin, Germany
December 8, 1997 – Irving Plaza, New York, NY
December 19, 1997 – El Rey Theater, Los Angeles, CA
May 19, 1998 – San Jose Arena, San Jose, CA
June 9, 1998 – Globe Arena, Stockholm, Sweden
April 28, 1999 – Hala Tivoli, Ljubljana, Slovenia
June 14, 1999 – University of Oregon, Eugene, OR
November 14, 1999 – Centrum Arena, Worcester, MA
March 10, 2000 (late) – Sun Theatre, Anaheim, CA
March 15, 2000 – Civic Auditorium, Santa Cruz, CA
March 16, 2000 – Civic Auditorium, Santa Cruz, CA
September 24, 2000 – Guildhall, Portsmouth, England
September 25, 2000 – Guildhall, Portsmouth, England
October 1, 2000 – Halle Muensterland, Muenster, Germany
October 6, 2000 – Wembley Arena, London, England
October 5, 2001 – Spokane Arena, Spokane, WA
February 9, 2002 – Phillips Arena, Atlanta, GA
October 7, 2002 – Tehama County Fairgrounds, Red Bluff, CA
November 13, 2002 – Madison Square Garden, New York, NY
November 23, 2003 – Shepherds Bush Empire, London, England
November 24, 2003 – Hammersmith Apollo, London, England
November 25, 2003 – Brixton Academy, London, England
July 10, 2004 – Estadia Municipal Escribano Castilla, Motril, Spain
November 13, 2004 – Rochester Institute of Technology, Rochester, NY
November 27, 2005 – The Point Theatre, Dublin, Ireland
November 12, 2006 – Agganis Arena, Boston, MA
November 20, 2006 – New York City Center, New York, NY
Bob Dylan Tell Tale Signs: The Bootleg Series Vol 8
Una della tante cose che amo si Bob Dylan scrittore è che non ha mai eretto
una barriera protettiva tra le sue emozioni e gli ascoltatori.
"Every step of the way, we walk the line/Your days are numbered, so are
mine/Time is pilin' up, we struggle and we scrape/We're all boxed in,
nowhere to escape," canta in “Mississsippi” , e noi capiamo esattamente cosa
sta provando. La sua leggendaria voce vi arriva come se fossi fuori dagli
altoparlanti , come un fantasma nel vostro passato. Un profeta itinerante di
una sbiadita tradizione della coscienza sociale , Bob è la voce di tutti gli
Americani.
Bruce Springsteen una volta ha descritto l’entrata di Like a rolling stone
come “ un colpo di rullante che suona come se qualcuno avesse dato un calcio
alla porta della vostra mente”. Con Tell Tell Signs , Npn continua a
scalciare. Speriamo che il 67enne vecchio ragazzo di Hibbing , Minnesota ,
abbia un’altro grande album dentro di se prima che debba scendere dalla
montagna per la valle delle ombre.
Rullo di tamburi in attesa dei due concerti irlandesi in Maggio.
Una collaborazione da favola potrebbe presto realizzarsi tra
due icone del rock. Stiamo parlando di Bob Dylan e di Paul McCartney,
ex Beatles, che sono fra gli artisti che parteciperanno a un nuovo album a
scopo benefico, assime ad latre stelle come Brian Wilson dei Beach Boys.
L'album conterrà delle cover e i proventi delle vendite saranno devoluti
all'associazione "War Child". Si tratta del secondo progetto musicale di
questo genere. La prima uscita avvenne infatti nel 1995 con il titolo di
"Help Album". Secondo il magazine inglese Sun, ogni artista realizzerà la
cover di un pezzo famoso.
Ho lasciato l'ufficio l'anti vigilia di Natale con una
copia del nuovo disco di Van Morrison, Astral Weeks Live at Hollywood Bowl,
che uscirà a metà di febbraio 2009. E' la documentazione dei due concerti
tenuti dall'irlandese lo scorso novembre per ricordare il quarantennale di
uno dei dischi più affascinanti e misteriosi di tutti i tempi, Astral Weeks
appunto.
Il risultato, tenuto conto che in vent'anni circa non sono mai riuscito a
vedere un concerto di Morrison degno del suo nome - e ne ho visti tanti -,
dell'età dell'artista e della difficoltà dell'esecuzione di un disco così
particolare, è sopra ogni aspettativa. Formidabile. Da sottolineare - anche
se non c'entra niente con Astral Weeks - uno dei due bis finali, una
versione di Common One da brivido, degna di quel capolavoro assoluto che fu
uno dei più grandi dischi di tutti i tempi, It's too late to stop now, da
cui in questi giorni sto ascoltando a ripetizione un estratto di Astral
Weeks lì presente, la pazzesca e mozzafiato esecuzione della bellissima
Cyprus Avenue. Che termina appunto nell'urlo rauco e possente: "ITS TOO LATE
TO STOP NOW!". Quando la musica faceva paura.
Così, affascinato da queste musiche, ho recuperato anche un bel dvd, Van
Morrison a Montreux nel 1980, che presenta una sua performance di altissimo
livello. In particolare una It Stoned Me a tempo accelerato davvero
esaltante.
Bob Dylan, il vecchio maestro che odia il passato e le
nostalgie
Repubblica — 26 aprile 2007 pagina 15 sezione: MILANO
Il rito di Bob Dylan in concerto sembra consumarsi uguale ed enigmatico come
sempre, ogni volta che l' eroe con la chitarra e le parole affilate come
lame si ripresenta sul palco. Domani è di nuovo ad Assago: seimila biglietti
già venduti, se ne trovano ancora nei due ordini di posti, forse non sarà
tutto esaurito, ma non è male per un sessantaseienne (il 24 maggio) un po'
provato dalla turbolenta esistenza. Anche perché esibizioni come queste, nel
suo caso, si ripetono una o due volte all' anno negli ultimi tempi. Ma
ritrovare il vecchio Bob, maestro carismatico di tutti i folksinger dagli
anni '60 ad oggi, è come scrutarsi allo specchio e capire come siamo
diventati noi, dentro. Non è solo ammirazione per l' antico paladino della
canzone di protesta, poi ripudiata e corretta nelle intenzioni, dando la
colpa agli altri che non avevano capito. è una guerra sottile dei nervi, mai
dichiarata, tra chi si professa fedele per sempre al passato, età dell' oro
e della gioventù, e chi senza ripudiarlo, cerca con forza qualche bagliore
nuovo all' orizzonte. Bob Dylan è stato un artista enorme, ha scritto
canzoni superbe, interpretate con voce premeditata e vetrosa che faceva
fremere anche i più duri di cuore, ma non è più quello di un tempo. Ogni
tanto fa un buon disco come l' ultimo "Modern times", ma è sempre più
straziante, a volte crudele e autolesionista nella spasmodica volontà di non
alimentare la nostalgia e non adagiarsi sul mito. A volte sorprende con una
prova degna del suo calibro, ma più spesso snocciola pallide e indecifrabili
caricature dei successi memorabili. E allora perché tanta morbosa curiosità
e attesa ogni volta che Mr. Tambourine torna in città? Il desiderio di
restare giovani non spiega tutto. Anche perché è lo stesso Dylan a
scoraggiare l' illusione. Cupo, impenetrabile, neanche una parola o, se
gliene scappa qualcuna, è un brontolio indistinto. Il canto è sempre più
sgraziato e le canzoni vengono maltrattate fino a renderle irriconoscibili.
Eppure il suo pubblico è attento a carpire le parole per riafferrare i fili
di una leggenda mai tradita. E quasi ogni performance dell' idolo si
trasforma in una prova di resistenza, una battaglia a distanza tra ieri ed
oggi, tra l' età dell' oro e l' era dei cloni belli, bravi e senza fantasia
che durano una stagione. E alla fine, molti se ne tornano a casa frastornati
e un po' delusi, ma anche convinti di avere vissuto lo spettacolo autentico
di un ex grande che non ce la fa a mollare ed è disposto anche a rischiare i
fischi pur di continuare la missione di menestrello acido e antiretorico.
Per reazione gli inconsolabili potranno consolarsi con le chicche storiche
che l' editoria continua a ripescare dell' eroe stanco. La Feltrinelli ha
ristampato "Tarantula", il visionario libro di poemi che Dylan pubblicò nel
1971. Un doppio dvd restaura il classico "Don' t look back", il
film-documentario di D.A.Pennebacker girato durante il tour inglese del
1965. Senza contare i continui omaggi a Dylan da parte di colleghi famosi.
Tra i più recenti un cd intero di Bryan Ferry, "Dylanesque", e Patti Smith
che canta Changing of the guards nel suo disco di cover "Twelve". Nello show
di stasera al Forum il palco è aperto a giro su un pavimento con al centro
una rosa dei venti gialla e nera. Dylan alla chitarra e tastiere,
accompagnato da Denny Freeman e Stu Kimball alla chitarra, Tony Garnier al
basso, Donnie Herron al mandolino e chitarra slide, dovrebbe suonare
(condizionale d' obbligo) tra l' altro: Tweedle dee and tweedle dum, It ain'
t me, babe, Just like Tom thumb blues, It' s alright Ma (I' m only
bleeding), When the deal goes down e Spirit on the water da "Modern times",
Stuck inside of mobile with the Memphis blues again, John Brown, Rollin and
tumblin, Tangled up in blue, Nettie Moore, Summer days e l' indimenticabile
Like a rolling stone. Domani al DatchForum di Assago, ore 21, biglietti da
40 e 34 euro più prevendita.
The phone don't ring
And the sun refused to shine
Never thought I'd have to pay so dearly
For what was already mine
For such a long, long time
We made mad love
Shadow love
Random love
And abandoned love
Accidentally like a martyr
The hurt gets worse and the heart gets harder
The days slide by
Should have done, should have done, we all sigh
Never thought I'd ever be so lonely
After such a long, long time
Time out of mind
Nell’autunno del 2002 Bob Dylan si apprestava a riprendere la strada per una
nuova serie di concerti. Non era niente di nuovo, apparentemente, solo una
nuova tappa del Never Ending Tour che questa volta sarebbe cominciata da
Seattle, nord California.
Niente di nuovo, ma in realtà molto di nuovo. Quella serie di concerti
avrebbe segnato un nuovo, ma drammatico, cambiamento, nell’approccio live
del cantautore americano. Niente di nuovo neanche qui, visto che era tutta
la vita che Dylan lo faceva. Per alcuni (probabilmente solo io) l’inizio
della sua parabola discendente.
La sera del 4 ottobre, a Seattle, quando sul palco si notò la presenza di un
pianoforte elettrico modello Casio, tutti si chiesero se Dylan avesse
assoldato un tastierista. Invece sarebbe stato lui a mettersi dietro alle
tastiere. Non lo avrebbe fatto per tutta la serata, ma ben presto sì, quello
sarebbe diventato il suo strumento preferito, e addio alla chitarra. Il che
dura tutt’oggi, anche se nel tempo Dylan ha imparato a conoscere i vari
tasti che la caratterizzano, adesso preferendo la sonorità “organo” a quella
“pianoforte”. Con un solo problema: Bob Dylan non sa suonare né il
pianoforte né l’organo. Il suo, quella sera, era un “plink plonk”
scoordinato e fuori tempo, il più delle volte tenuto saggiamente nascosto
nel mixeraggio complessivo degli strumenti dal palco.
Non era solo lo strumento del cantautore che cambiava, ma anche la voce.
Nulla di nuovo ancora una volta: in quarant’anni di carriera Bob ylan aveva
più volte cambiato la voce di quante volte io abbia cambiato automobile in
vent’anni (e ne ho cambiate parecchie). Ogni volta, però, era una sfumatura,
un approccio, un qualcosa di diverso, ma che fondamentalmente lasciava
intatta la voce. Che non è mai stata bella, per gli standard di Tin Pan
Alley, ma affascinante, inquietante, tagliente, sardonica, con quel
fraseggio unico che nessuna ha mai avuto nel campo della musica popolare.
Adesso invece era solo una voce affaticata. Che mostrava, sera dopo sera,
gli inevitabili segni di un deterioramento impossibile a fermarsi. Qualche
spiritoso gli affibbiò un nuovo (niente di nuovo…) soprannome: The wolfman,
l’uomo lupo. A volte gli mancava il respiro, altre quella voce un tempo
orgogliosa e sprezzante crollava a terra in un rantolo doloroso.
E se vi sembra abbastanza, no, non lo è ancora. Non era finita qua. Quella
sera a Seattle avrebbe mostrato altro ancora. Dopo una iniziale, rara, ma
suonata recentemente anche in Europa, Solid Rock, il quarto pezzo in
scaletta lasciò il pubblico a domandarsi se stesse ascoltando un inedito di
Dylan. Solo quelli, là in mezzo, che conoscevano uno dei più grandi
songwriter americani di sempre (a volte mi viene da pensare, il più grande –
dopo Dylan naturalmente) ebbero un sussulto. Erano le note, seppur
affaticate nella versione di Dylan, della straordinaria Accidentally like a
Martyr. L’autore? Mister Warren Zevon.
Non sarebbe finita lì, perché nel corso della stessa serata di Zevon avrebbe
eseguito anche la violenta Boom Boom Mancini e la dolcissima, tristissima
Mutineer.
Che sta succedendo qui, mister Jones? Il mondo dei fan si sarebbe scatenato
a cercare la risposta su Internet, per scoprire che Bob Dylan aveva deciso
di omaggiare un amico morente. Warren Zevon era stato dichiarato malato
terminale: il tumore che lo aveva colpito gli lasciava pochi mesi di vita.
Per tutto quel tour autunnale Dyan avrebbe continuato ad omaggiarlo, senza
mai perdersi in banali discorsetti dal palco sul perché e percome avesse
deciso di cantare quelle canzoni: era la musica che parlava, non c’era
bisogno di aggiungere altro. Come dire: queste canzoni sono troppo belle
perché vadano dimenticate e se adesso il suo autore non può più cantarle,
allora lo farò io, un'ultima volta. E poi, le sere dopo,inserendo altri
pezzi di Zevon in scaletta, ad esempio Lawyers, Guns and Money. Mai, nella
storia del rock, si era assistito a una cosa del genere. Di solito, i
tributi si fanno quando l’amico è già nella cassa. Interrogato (Zevon si
sarebbe recato a vederlo quando il cantautore avrebbe suonato a Los Angeles,
qualche sera dopo), Warren avrebbe detto che queste esecuzioni di sue
canzoni da parte di Bob Dylan erano il punto più alto della sua carriera.
Se Mutineer la si può ascoltare nel tributo su cd Enjoy Every Sandwich, fu
Accidentally like a Martyr il momento più commovente di questo evento. Ogni
sera Bob Dylan, cercando di recuperare ciò che restava della sua voce,
avrebbe lasciato srotolare la splendida e maestosa melodia del brano, fino
al punto in cui la canzone dice “time out of miiiiiiind”. Già, proprio come
il titolo del suo disco di qualche anno prima, Time out of Mind. Un tempo
immemorabile, dove risiedono la pietà, la bellezza, il sogno e la speranza.
Della vita che non muore. Dove esiste quella “tower of song” di cui canta
Leonard Cohen, Dove i poeti, i santi e i peccatori si ritrovano. In un tempo
immemorabile. Dove ogni sera trovava rifugio, nel cantarla, il cuore
addolorato di Bob Dylan.
Che si può ascoltare qua: http://www.box.net/shared/static/t5sjjbdc3i.mp3
Quel tour avrebbe visto Dylan, sin dalla serata di Seattle, affrontare altre
cover: una sorprendente, esplosiva e virulenta Brown Sugar degli Stones; Old
Man di Neil Young (che sembrava cucita apposta per lui visto l’argomento
toccato…) e finanche una incredibile End of the Innocence, del cantante
degli yuppie per eccellenza, Don Henley. Che nella versione di Bob Dylan
diventava magnificente.
Era diventato il “cover tour”, il tour delle cover, e in modo sorprendente
erano proprio questi brani altrui che Dylan eseguiva nel modo migliore,
lasciando noia e routine alle sole sue canzoni. Per quando il tour avrebbe
raggiunto New York, per le sue ultime date, era morto un altro grande amico,
George Harrison. Nella sera del 13 novembre una nuova cover sarebbe stata
aggiunta, per una sola e unica volta: Something.
Warren Zevon, invece, sarebbe morto undici mesi dopo quella sera di Seattle,
il 3 settembre 2003. Nel suo ultimo disco, registrato durante la malattia e
pubblicato postumo, ringraziava Bob Dylan cantando la canzone di chi si
appresta al grande e ultimo viaggio, Knockin’ on Heaven’s Door.
McCartney ad Abbey Road : con Sir Paul nel regno dei
Beatles
clicca qui
a
Venerdi 2 Gennaio 2009
2009 : Cosa aspettarci da Bob ?
La domanda è questa , come sarà il Bob-2009 ?
Cambierà qualcosa ? Rimarrà tutto uguale ? Difficile poter rispondere , anzi
, impossibile. Razionalmente qualcosa dovrebbe cambiare nell’attività live ,
lo show di Bob sicuramente non è all’altezza della fama e del nome , su
questo non ci piove più da lungo tempo ormai. Mancano troppo cose per lo
spettacolo del più Grande , manca la presenza scenica di Bob che ti inchioda
sulla sedia con la forza delle sue parole , della sua musica . Si , manca
Bob Dylan , quello vero , al quale eravamo abituati , questo è ancora
leggermente indigesto , al suo posto una curiosa ed indefinibile figura
vestita da Hidalgo spagnolo , nascosto dietro una stupida tastiera ,
difficilmente visibile per gli sèettatori. Manca Dylan con la sua voce , con
le sue canzoni , con la sua caratteristica musica , col suo particolare modo
di suonarla , col suo tipico suono. Non è più un mistero che la voce se ne
sia andata in fanteria da un bel pezzo , il tempo fa il suo lavoro senza
risparmiare nessuno , nemmeno sua Bobbità ha potuto sottrarsi a questa legge
, ma non è questo il problema più importante. Possiamo tenerci la voce di
Bob così com’è , e farcela anche piacere , apprezzarla nel suo declino ,
strana era da giovane ma ti dava una scossa indimenticabile , un perpetuo
elettroshock dal quale non ne uscivi più. Per assurdo quell’incredibile voce
che era tutto meno che la voce di un cantante è diventata quasi normale per
un non cantante , per uno storyteller quale è Dylan oggi.
Superato questo ostacolo ne rimangono altri .
Usare schermi giganti in modo che la gente lo possa vedere ed apprezzare
meglio ? Non lo sò , c’è chi dice si e chi dice no , Bob sicuramente ,
conoscendo la sua avversione per cineprese e reporters sul palco , sarà
contrario , ma il pubblico rumoreggia da troppo tempo. Sarebbe una soluzione
non male , gli schermi non sono dispersivi , a volte riescono a tenere fissa
l’attenzione perchè ti offrono qualcosa da guardare , da vedere da vicino ,
per vivere il momento più profondamente. Ricordo a Pistoia , in fondo alla
piazza non vedevo niente, Bob era una cosa minuscola confusa e nascosta su
un palco scialbo ( l’ho visto solo per qualche minuto grazie ad un binocolo
prestatomi da un cortese turista inglese ) , unica concessione oltre il
niente , il “mindeye” logo gigante alle sue spalle. Oggi lo spettacolo di
una vera icona come è Dylan non può reggersi su poche cose e su formule
antiche , le luci da sole non bastano a rendere uno spettacolo godibile ,
serve altro.
Serve anche la musica , soprattutto , e qui si entra nel campo minato da
puristi , dotti , medici e sapienti , che magnificano qualunque cosa faccia
il nostro Faro di Alessandia.
Massacrare sistematicamente le canzoni come sta facendo Dylan non è la cosa
più simpatica , a meno che non sia voluta , o necessaria per qualche oscura
ragione , vero che la prima caratteristica positiva di un artista è la sua
libertà di espressione , ma anche qui ci sono dei paletti , oltre i quali
si sconfina nell' errore.
Ho sentito arrangiamenti delle canzoni più famose assolutamente
irriconoscibili , di difficile decriptazione anche da parte di tutti , anche
per i più incalliti. Praticamente si va al concerto per sentire delle
canzoni e se ne sentono delle altre completamente sconosciute ed a volte
anche “buttate là” nel peggiore dei modi. Tutta colpa di Dylan ? Non saprei
dire , certo la logica dice che una buona parte ce l’ha anche lui in questo
impietoso massacro della sua opera , visto , che piaccia o meno , che sul
palco c'è lui e la presentazione e per il Columbia Recording Artist......di
his band non si parla nemmeno.
E a questo proposito , l’impersonalità ( intesa come mancanza di charisma
personale ) dei musicisti che ha scelto per fare da background alla sua
musica è quanto di più noioso e monotono si possa ascoltare oggi su un
palco. Dove sono finiti i Musicisti con M maiuscola , quelli che hanno
prestato il loro nome ed il loro suono migliore alla musica di Dylan
contribuendo a renderla immortale ? Non faccio nomi perchè non è necessario
, certo gli attuali sono sul gradino più basso della storia musicale
dylaniana.
Ora mettiamo tutto assieme , l’età , la voce notevolmente deperita ,
gracchiante e la maggior parte delle volte un borbottio solo a tratti
comprensibile , il palco scarno , quell’orribile pianola dietro alla quale
sta nascosto , i musicisti di serie B , allora mi chiedo , tutto questo è
Bob ? La mia risposta è no , e spero che dei ritocchi siano fatti
all’impianto dello show , diminuendo il numero dei concerti e migliorandone
la qualità.
Questo è quello che spero io , ma non solo il solo . Molti fans come me
vorrebbero Dylan ancora al centro di uno show formidabile , del quale andare
fieri ed orgogliosi , qualunque sia la voce , Bob non può perdere il
confronto , e i numeri delle presenze parlano chiaro , con Neil Young o
Leonard Cohen , o Springsteen , o chiunque altro sia stato in qualche modo
suo discepolo , lui è stato il Maestro e l' ispiratore.
Ma per saperlo dovremo aspettare il prossimo tour per gioire o per spargerci
ancora una volta la cenere sul capo , per constatare le capacità di
rinascita di Bobby o la sua resa al lento ed inesorabile declino.
Diceva giustamente Cicerone : De gustibus non disputandum est , e con questo
intendo sottolineare come i gusti non si discutano , essendo assolutamente
personali e riferibili perciò alla sensibilità propria di ciascuno.
Per i fondamentalisti dylaniani , aggiungo - Credo quia absurdum - la frase
di Tertulliano secondo il quale certe cose vanno sostenute con convinzione
tanto maggiore quanto meno sono comprensibili alla ragione.
Il 10 gennaio allo Spazio Gloria e il 17 a Cantù l'omaggio
di tanti artisti locali e non.
Un'immagine d'archivio di Fabrizio De Andre'.... morto la scorsa notte a
Milano. È specialmente in gennaio che ritornano le voci.
È specialmente in gennaio che ci allagano i ricordi. È specialmente in
gennaio che mi manchi un po’ di più. Specialmente in gennaio porto il tuo
giaccone blu».
Parole, anzi, liriche di Massimo Bubola, composte qualche anno fa per
ricordare l’amico, collaboratore, maestro e mentore Fabrizio De André che
tutti ricordano, specialmente in gennaio, in questo gennaio imminente dove
si commemoreranno i dieci anni della scomparsa inattesa e dolorosa del più
amato poeta della canzone. Si moltiplicano le iniziative, da sottolineare
quella dello stesso Bubola che ha ripreso i brani composti a quattro mani
nel disco <Dall’altra parte del vento>, e anche il circolo Arci Xanadù non
poteva essere da meno visto che, già in passato, aveva scelto di dedicare
sempre un’occasione ai brani del genovese, fin dal giorno dell’apertura che
salvò dall’oblio una gloriosa sala cinematografica trasformandola nel centro
multifunzionale che è oggi. Ancora prima, al circolo di Mirabello, non era
stato reso omaggio solo all’artista ma anche alla ricca tradizione culinaria
ligure (quella, per intendersi, che viene snocciolata in un gustoso verso di
<Creuza de mä>). Entrambe le iniziative torneranno alla fine di questo primo
decennio senza De André, senza nuovi dischi, né quello dedicato agli autori
brasiliani, né quello che avrebbe dovuto coinvolgere ben quattro compositori
(tra cui Luigi Nono), né le altre cose lasciate a metà di cui si è
vociferato in tutto questo tempo. Sabato 10 gennaio (dopo la mezzanotte
scade la data fatidica, che è l’11 gennaio quando in tanti ci svegliammo,
accendendo distrattamente la televisione, assistendo al raro spettacolo di
un Vincenzo Mollica in lacrime con il faccione di Fabrizio alle sue spalle,
abbastanza per capire che era successo l’irreparabile) sarà lo Spazio Gloria
di via Varesina a presentare <...dai diamanti non nasce niente>.
Parteciperanno artisti locali e non: i Sulutumana, Luca Ghielmetti, la bella
promessa Lelecomplici, gli Atarassia Grôp in versione acustica, poi ancora
Giovanni <Cigno>Ardemagni, Andrea Sigona, Bricchi, Gorri & Lambricchi e
Renato Franchi & l’Orchestrina del Suonatore Jones che, da tempo, conducono
una particolare rivisitazione del repertorio. Nel corso dell’evento sarà
anche proiettato <Faber nostro>, il primo “corto” dedicato a De André,
diretto da Lino Pinna (ingresso a 10 euro, tesserati Arci a 7 euro, info e
prenotazioni allo 031/44.91.080). Secondo appuntamento la settimana dopo,
sabato 17 gennaio a partire dalle 20, all’Arci Mirabello di via Tiziano 5,
Mirabello di Cantù: <Cose da beive, cose da mangià>, come ricordato, non è
solo un’occasione musicale ma anche enogastronomica: note innaffiate dal
Vermentino, profumi genovesi e, sul palco alcuni dei protagonisti già
ricordati e anche Massimo Morselli da Modena, Arienti & Folli, da Milano,
Pippo Urso da Varese, Beans, Bacon & Gravy da Busto Arsizio, Sopralenote da
Milano, Lele Ravera Band, proprio da Genova mentre giocano in casa i
canturini Dasinkhanè (ingresso, tessera e cena 12 euro, per prenotazioni, a
partire dal 2 gennaio, Arci Como tel. 031.264921 e-mail como@arci.it).
Cantante , scrittore di canzoni , produttore , Delaney
Bramlett che ha scritto classici del rock come “Let it rain” e ha lavorato
con musicisti come George Harrison ed Eric Clapton ( Clapton fu la sua
chitarra solista nel gruppo Delaney & Bonnye ) è morto , aveva 69 anni.
Bramlett è morto sabato poco dopo le 5 a.m. all’ UCLA Ronald Reagan Medical
center di Los Angeles in seguito a complicazioni dopo un’operazione alla
vesica , ha detto sua moglie Susan Lanier-Bramlett.
Nato in Mississippi , Bramlett cominciò la sua carriera musicale che durava
da oltre 50 anni.
Era tra l’altro famoso per aver scritto famosi standard come “Superstar”
scitto con Leon Russel , che fu inciso da Uscher , Luther Vandross , Bette
Midler , The Carpenters e più recentemente Sonic Youth in una versione
eseguita ai Grammy-nominated per la colonna sonora del film “Juno”.
Inoltre scrisse “Let it Rain” con Eric Clapton , che la incise , e “Never
ending song of love” che fu registrata da più di 100 artisti , inclusi Ray
Charles , George Jones , Tammy Wynette , Patty Loveless e Dwight Yoakam.
Durante la sua carriera , ha suonato , scritto o registrato con star del
calibro di Jimi Hendrix , Janis Joplin , John Lennon , Dave Mason , Billy
Preston , The Everly Brothers e Marc Davis, inoltre ha prodotto numerosi
artisti tra i quali Etta James ed Alvin Bishop.
Recentemente aveva pubblicato l’album “ A new kind of blues” , con
l’etichetta indipendente Magnolia Gold Records.
Lascia la moglie , le tre figlie Michelle , Suzanne e Bekka , Il figlio
Dylan Thomas e il fratello John.
Video : Delaney, Bonnie & Friends - Comin' Home
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Delaney & Bonnie with the future Derek and the Dominos (Eric
Clapton, Jim Gordon, Carl Radle, Bobby Whitlook) plus George Harrison
playing the classic song "Comin' Home" live
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Video : Delaney & Bonnie with Eric Clapton - I don't know
why
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