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Ciao Mr. Tambourine,
ecco dei sentiti , spontanei e specialissimi auguri
scritti da Dylan di suo pugno per i lettori di Maggie's Farm.
Buon Natale a tutti da Zimmy !
e da Michele
"Napoleon in rags" |
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DALLA
FATTORIA A TUTTI I MAGGIESFARMERS
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The Beards Vi augurano Buone Feste!!
Ciao Mr. Tambourine & Maggie's Farm,
ti ringraziamo per il tuo sostegno e auguriamo a tutti Buone Feste
e un Felice Anno Nuovo!
Un cordiale Saluto
Emanuele, Max e Andrea. |
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tanti auguri a tutti gli amici della fattoria
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Tanti Auguri di Buon Natale a tutti i cari amici della Farm , Marina |
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Giovedi 25 Dicembre 2008
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Mercoledi 24 Dicembre 2008
Natale con Dylan
By Bland Simpson
E 'stato pochi giorni prima di Natale 1968, io e la mia famiglia eravamo
tutti assieme. Il soggiorno è stato riempito con un pò di tutto , regali ,
incensi , l’odore resinoso dell'albero di Natale. Avevo 20 anni , e la mia
mente era piena di musica. Steso sul divano ho pensato: devi andare a
trovare Bob Dylan , deciditi a farlo.
Ho deciso di fare un pellegrinaggio a Woodstock, New York, per vedere Dylan.
C’era poco da dire , lui era l’uomo che mi ispirava nello scrivere le mie
canzoni , le mie poesia , volevo stringergli la mano, che Natale sarebbe
stato !
L'ordine del giorno era , partenza al pomeriggio , con non più di 50
dollari, così avevo stabilito. Sono partito con due amici dell’università ,
ho pagato la mia parte di benzina , 26 cents per gallone , cinquanta dollari
sarebbe bastati.
Questo è stato veramente il mio secondo pellegrinaggio da Dylan e Woodstock.
per il primo ero partito diverse settimane prima, nel giorno del Ringraziamento.
Faceva un freddo che dava sui nervi, così ho deciso di ritornare a casa.
Sulla strada di casa mi son divertito a prendere un pò in giro un insegnante
nero che mi aveva dato un passaggio di notte sulla strada 81 attraverso la
Shenandoah Valley. Abbiamo bevuto una birra insieme prima che lui mi
lasciasse giù , e abbiamo convenuto che ci poteva essere un rapporto
migliore fra le razze , o almeno speravamo che si potesse.
Poi un camionista mi ha portato da Hillsville alle Blue Ridge Mountains , ci
siamo fermati in un Motel , abbiamo cenato , una tazza di caffè e poi via di
nuovo. Mi ha lasciato a Winston-Salem verso le quattro del mattino , non
prima di avermi dato qualche bottiglietta di liquore che teneva sotto il
sedile.
Quasi subito un cacciatore con un enorme cestone sul tetto della sua
Chevrolet Impala mi ha tirato su.Un paio di minuti più tardi ha detto:
"Spero che ti piaccia la musica” . Ha messo su una di quelle vecchie
cassette ad otto tracce che era piena di canzoni che avevo imparato a
cantare da piccolo , dalla "Battaglia di New Orleans" ad "Affondate la
Bismark!" , "A Nord Alaska" e via di seguito. L'insegnante e il camionista
mi ha fatto pensare in modo più positivo al modo di viaggiare facendo
l’autostop , così è finito il mio primo pellegrinaggio .
E 'stato alcune settimane più tardi, la sera del 10 dicembre, quando io ed
il mio amico abbiamo caricato il suo "65 Rambler” e siamo partiti rombando
fono a Three Laned 1 , un strada ancora non terminata , appena a sud della
Turnpike Petersbourg. Su e giù, tutta la notte, il primo viaggio a lungo
raggio che avevo sognato molte volte , su per la costa orientale. Sono stato
stupito dalle dimensioni e dalla magnificenza del grande ponte a Wilmington,
un paesaggio abbagliante , un paesaggio lunare, razzi di segnalazione ed i
fuochi dei gas si alzavano verso il cielo nell’aria del New Jersey. Il mio
compagno ha esclamato con orgoglio e disgusto mentre guardava la scena
"L'America mostra i suoi muscoli!" Dal George Washington Bridge abbiamo dato
uno sguardo su Manhattan. Un anno dopo sarei andato ad abitare lì , ma
quella notte mi ha fatto sentire completamente fuori luogo. Abbiamo
attraversato il ponte e ci siamo diretti verso il buio del Connecticut ,
stava leggermente nevicando. Abbiamo tirato fuori gli alcolici , dopo tutto,
mi trovavo in missione.
Il piano era quello di lasciarmi a New Haven dove le grandi strade si
biforcano a forcella, ma all'ultimo minuto il mio compagno , che doveva
andare a Boston , ha ritenuto di fare la strada più a nord , girando a
destra per Storrs.
Mi ha lasciato ad un distributore di benzina al primo semaforo, in un’alba
grigia , sei o otto centimetri di neve sul terreno e stava nevicando ancora.
Ho dormito al motel , poi , la mattina successiva , dopo la prima colazione
, ho trovato un passaggio fino alla Masachusetts Turnpike in compagnia di
uno studente della Goddard che guidava una Volkswagen con gli sci legati sul
retro.
Doveva fare un corso , mi ha detto , di sci per un periodo di sei- otto
settimane , per ottenere un diploma di insegnante. Mi ha portato verso
ovest, New York e la Hudson, e, prima che mi lasciasse giù all’uscita di
Saugerties , avevo visto oliveti e betulle dal tronco bianco per la prima
volta.
Una coppia di artisti, un uomo e una donna, in una vecchia Pontiac dingy mi
hanno portato da Saugerties a Woodstock. Essi hanno detto di essere amici di
Bob, e tutto improvvisamente è diventato molto familiare. Gli artisti
facevano parte di un gruppo chiamato Two-One-Two, anni dopo avrei visto
l’annuncio di un loro concerto sul Village Voice. Mi hanno lasciato al
centro di Woodstock , così ho chiesto al fornaio la strada per la casa di
Bob Dylan. ”E’ un pò fuori città – mi ha detto – devi attraversare un ponte
di legno poi vedrai un cartello con scritto “The old opera house” , quella è
la strada per la sua casa”. A metà pomeriggio la temperatura era sotto-zero
, e non ero vestito in modo adatto. Allora ho comperato un cappotto da
marina in un negozio negozio di roba usata a sud di Wake Forest, un
cappellaccio , un paio di stivali snakeproff , sembravo un cow boy del
Montana orientale. Qualcuno mi ha portato fino al cartello
“ The old opera house”, dove c’erano sei o sette passi carrai , senza nomi
scritti sulle mail-boxes , e non c’era l’indicazione con scritto
“ questa è strada per la casa di Bob Dylan”. Ho spettato per una ventina di
minuti , poi un uomo magro è arrivato con la sua vecchia automibile. L’ho
fernato e gli ho chiesto : “Mi scusi, lei sa quale di queste strade portano
alla casa di Bob Dylan ?"
"Quella " Mi ha indicato una strada che andava verso il basso.
"Grazie."
"E 'Bob, uh, in attesa di te?"
"No"
"Hunh. Non so se sarà facile per te... Andare fino a casa sua".
Era scoraggiante, ma cosa potevo fare? “ Torna alla panetteria e telefona
per un appuntamento? Mi ha detto .
“Vengo dal North Carolina” ho detto.
"Oh". Egli ha rinunciato all’idea della telefonata ed abbiamo proseguito a
piedi. A poche centinaia di metri nel bosco la strada aveva una bifircazione
, lui ha puntato verso il basso dove c’era una lunga costruzione di tronchi
scuri che sembrava un padiglione di caccia. "Questa è la casa di Bob ,
ciao". Poi scomparse oltre la collina.
Sulla strada davanti alla casa di Bob c’era una Mustang blu del 66 tutta
impolverata con due uomini piegati nel vano sotto il cofano alzato, uno di
loro piccolo e sparuto , l’altro grosso e barbuto, stavano lavorando sul
motore. Mi sono fermato ma nessuno di loro mi ha guardato. Dopo un paio di
minuti che stavo alle loro spalle ho chiesto “ Sono a casa di Bob ?” Il
piccolo non ha risposto , ma quello grande con la barba si è voltato e mi ha
detto “Si”.
Sono andato all’entrata ed ho bussato : Sara Dylan ha aperto la porta, mi ha
dato uno sguardo vuoto, e l’ha richiusa. Circa due minuti più tardi Bob
Dylan stesso si è affacciato sul portale della piccola entrata. Egli
indossava blue jeans, una camicia bianca con bottoni scuri e un giubbotto di
pelle, era molto amichevole e rilassato.
”Mi chiamo Bland , Simpson Bland , vengo dal Nord Carolina
per vederti” gli ho detto.
"Ti chiami Bland. Che tipo di nome è?"
”E’ il nome della mia famiglia” ho detto. Quindi solo per assicurarsi di
aver capito bene me lo ha fatto ripetere.
"Bland. Bene, me lo ricorderò". Parlava di persona proprio come se stesse
cantando "La ballata di Frankie Lee e Judas Priest."
"North Carolina......è un lungo viaggio"
” Si , ma volevo stringerti la mano e dirti che ammiro il tuo lavoro , mi
ispira per scrivere le mie canzoni”.
"Che cosa facevi prima di avere questa idea di scrivere canzoni?"
"Andavo a scuola di diritto".
"Beh", ha detto, con piglio serio “ Il Paese ha bisogno di un sacco di buoni
avvocati. Forse dovresti ripensarci".
Non era quello che volevo sentirmi dire dopo aver fatto centinaia di miglia
. Ho cominciato a fare domande. “ Vivi a Woodstock tutto il tempo?”, “ La
maggior parte del tempo “ ha detto “ Ma sto pensando di andare a New
Orleans”,“ Quando uscirà il tuo nuovo album ?”, “ In primavera” , "Sono
davvero felice per questo."
Lui poi mi ha parlato di Nashville Skyline, l’album che aveva appena finito.
Ho chiesto notizie su un brano inciso dai Byrds , una canzone che avevo
sentito in Wyoming l'estate prima. "Sì, lo so quello che intendi , ma non
riesco a ricordarne il titolo , è qui da qualche parte" disse indicando la
mente. Abbiamo risolto l’enigma , la canzone era “You ain’t goin’ nowhere”.
Abbiamo parlato per quasi 45 minuti, durante i quali avevo profondamente
freddo. Dylan era vestito di shirtsleeves, ma lui non sembrava accorgersi
del freddo . Deve avere capito la mia testa era piena di culto-eroe per lui
, ed è stato così gentile da lasciare che il mio tempo con lui non fosse
limitato. Il tempo della mia visita era finito , come la marea che si
ritira. Sono stato immensamente grato, e lo ringrazio ancora.
Il pellegrino è pronto a tornare a casa. Ho tirato fuori la mia mappa, l’ho
spiegata , e mentre abbiamo parlato su quale fosse il modo migliore per
tornare a casa , è arrivato uno dei due meccanici , ha ignorato me
rivolgendosi a Bob . La mia mente era già sulla strada del ritorno , ma
avevo il desiderio di un’altima parola con Bob . Dylan mi ha fatto una
relazione su tutte le cose che non andavano nella macchina , poi il grosso
ha detto: "Penso che possiamo farla partire se attacchiamo i cavi al
caricabatteria."
"OK", ha detto Dylan. "E 'in garage".
"Lo so , ho già ha cercato di collegarli , ma anche con un cavo lungo non ci
arriviamo. Abbiamo bisogno di un altro cavo di prolunga."
"Prolunga", ha detto Dylan, ha pensato alla richiesta per qualche istante,
quindi ha scosso la testa.
"Gee, Doug", ha detto "Ho paura che abbiamo appena utilizzato l'ultima
prolunga per l’albero di Natale dei bambini".
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Bland Simpson, insegna scrittura creativa a UNC-Chapel Hill. Egli è uno
scrittore, uno storico e un musicista-cantautore, in particolare
è un membro del leggendario Red Clay Ramblers. Il suo lavoro più recente è
Ghost Ship della Diamond Shoals. "Natale con Dylan" è attualmente incluso
nella antologia dei 12 racconti di Natale degli scrittori della North
Carolina edito da Down Home Press.
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Bob Dylan - Nowhere Man (John Lennon)
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John Lennon - Knockin' on Dylan's door
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Gospel, tra nuove idee e tradizione
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Raccolte, cofanetti e dischi in vinile
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1991 gossip - Venduta la casa natale di Bob Dylan
E’ stata infine venduta la casa natale di Bob Dylan: a
vincere l’asta (organizzata su internet) è stato Bill Pagel, fan del
menestrello di Duluth impiegato in un sito dedicato al cantautore ,
boblinks.com . Lo “sfizio” è costato a Bill qualcosa come 82.000 dollari
americani (più di 160 milioni di lire): una cifra che in Italia può far
sorridere, ma che negli States è decisamente alta per un’abitazione in
periferia. “E’ veramente un fan irriducibile: un tipo come lui farebbe la
felicità di qualsiasi venditore”, ha dichiarato Barb Hanson, agente
immobiliare di Duluth che ha gestito la transazione.
NAPOLEON IN RAGS !!!!! Tu dov'eri
????????? :o) |
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Martedi 23 Dicembre 2008
Bob Dylan's new album, Tell Tale Signs: the verdict
Penso che adesso che la polvere si è depositata dovrebbe
essere il tempo giusto per dare uno sguardo in dettaglio all’ultimo volume
delle Bootleg Series di Dylan.
Avendo avuto l’occasione di vivere con il Cd negli ultimi mesi , mi sembra
che la Sony abbia voluto la torta e che se la sia anche mangiata.
Credo che il raccolto sia troppo scarso per seminarlo in tre Cd , e mentre
ci sono alcune gemme nel disco tre , è vergognoso che la Sony abbia
approfittato dell’occasione per caricare in modo eccessivo ( 100 dollari)
per il terzo disco del set a tre CD. Se mai , la cosa che balza agli occhi
di questo set è l’incertezza di cosa realmente sia.
La mia opinione è che qui ci sono due dischi scoppiettanti , e si puo solo
speculare su quante altre gemme ci siano ancora negli archivi.
E’ una raccolta di canzoni mai pubblicate ? E’ un set con le versioni live
del Never Ending Tour ?
E’ un set di canzoni mai pubblicate prima in un album di Dylan? Bene , un pò
di tutto questo , e questo potrebbe essere il problema.
Divertente anche il fatto che la copertina ricicli un’immagine di Dylan già
apparsa nella versione de luxe di Modern Times!
CD1
1) Mississippi #1
La selezione delle diverse versioni della canzone. I Testi sono a posto (
come già sentito su Love and Theft ) ma la semplicità dell’arrangiamento a
due chitarre si adatta perfettamente alla canzone. Un canto intimo , che
dimostra quanto poco sia servita per la sua voce la produzione di Lanois in
Oh Mercy e Time out of mind. Superba.
2) Most of the Time # 1
Probabilmente la cosa più radicale del set , Dylan “suona” fresco come negli
anni 70’ , con inserimenti di una armonica spezzacuori. Di nuovo , il
cantato è intimo e superbo , ed è notevole sentire questa canzone con un
arrangiamento acustico.
3) Dignity
Di nuovo , la miglior versione di queta canzone sottile , da numero di
Dylan. Questa versione guadagna tantissimo dalla voce intima
( sembra che lui sia nella stanza con voi! ) e dall’accompagnamento del
pianoforte.
4) Someday Baby
Ipnotica , con la voce di Dylan matura come mai. La linea melodica è
appiattaita al punto da sembrare sempre uguale , ma questa ha una base più
recente , e nasconde le origini come “Trouble no more” di Muddy Waters – la
versione di Modern Times era troppo gonfiata per i miei gusti.
5) Red River Shore # 1
Una delle gemme di questa raccolta , questo è il Dylan classico. Di nuovo ,
la voce è intimale e dimostra che le voci sul crollo della sua voce sono
esagerate. L’arrangiamento della canzone è costruito in progressivo ed è
difficilissimo trovare qualcosa fuori posto . Mi ricorda Angelina , e di
nuovo ti chiedi perchè questa non ha trovato posto su Time out of Mind.
6) Tell Ol' Bill
Piano meraviglioso e una bella vocalità minimalizzata. Ancora , questo è un
miglioramente della versione precedentemente pubblicata. Liricamente , è una
delle canzoni più interessanti di questa raccolta , che evita l’abitudine di
Dylan di riciclare le parole delle vecchie canzoni blues.
7) Born In Time
Qui c’è la gemma di Under The Red Sky che Lanois aveva vestita a festa nel
suo bagliore . Non buona come la precedente versione pubblicata ,
performance piatta , priva di alti e bassi.
8) Can't Wait
Un’altra gemma di questo set , si può sentire Dylan consigliare “ falla in
si bemolle” prima che il piano apra la canzone . Un’altra superba
prestazione vocale , nuda senza i trucci di studio di Lanois , una canzone
che crea più sentimento lirico della versione pubblicata.
9) Everything is Broken
Non ci sono motivi per raccomandare l’inclusione di questo pezzo . una
canzone debole , comunque all’interno dei canoni dylaniani.
10) Dreamin' of You
Prende il via con una serie di colpi di rullante e un tappeto ipnotico di
piano , prima che Dylan , in anticipo vocale , si lanci in qualcosa che
sembra un sound secco per l’inferiore Standing in the doorway che ha visto
la luce ai tempi su Time out of Mind. Questa versione sovrasta l’altra dal
capo alle spalle – Dylan in totale controllo vocale , qualche lirica
fantastica e una grande produzione . Superba.
11) Huck's Tune
Questa suona come una vecchia canzone folk – una bellissima melodia ed un
arrangiamento sensibile , superba parte vocale di Dylan. Una delle ganme di
questo set , questa canzone è un grande pugno emozionale nel senso del testo
malinconico , il suono folky e l’accorato cantato vanno bene assieme.
12) Marchin' to the City
Un’altro Highlight , questa è una prima versione di Til i fell in love with
you ma è di molto superiore alla versione di TOOM. Segata la produzione di
Lanois , questo è un Dylan vintage – quasi vicino alla vostra faccia – e
parte come una canzone di Saved. I testi sono misteriosi e magici e di molto
superiori della ordinaria Til i feel in love with you. Un’altro dei misteri
di Dylan “ Perchè non l’ha pubblicata ?”.
13) High Water
Una fumosa versione live di questo pezzo di Love and Theft. Dylan ci mette
un pò a partire , ma una volta scaldato attacca il testo con gusto. Una
vetrina per la sua band vintage 2003 , Dylan si appoggia ai vocals nel modo
più fine possibile.
CD2
1) Mississippi # 2
Di nuovo , liricamente perfetto , ma l’arrangiamento sembra non essere
giusto , Dylan sembra cantare in una tonalità che non funziona per la sua
voce - forse troppo bassa – questa versione dell’ultimo capolavoro di Dylan
fa capire perchè Dylan l’abbia scartata da Time out of Mind.
2) 32-20 Blues
Una grande outtake da World gone wrong , in fin dei conti bello riaverla
qui.
3) Series of Dreams
Questa è dove il picking iniziale sembra essere più leggero . In ogni modo
certamente inferiore alla precedente versione delle Bootleg Series. Infatti
, la voce mi sembra la stessa come nell’altra versione , non credo che Dylan
sia in grado di rifare la stessa canzone nello stesso modo due volte , anche
se lo volesse. La sola differenza è nella seconda strofa , che è stata
ovviamente esclusa dalla versione precedente.
4) God Knows
Come in Born in Time , questa è la dimostrazione di cosa diventa una canzone
( criminalmente sottovalutata in Under the red sky) nelle mani di Lanois .
Dimenticabile.
5) Can't Escape From You
La partenza sembta quella di Can’t help falling in love – Dylan brontola
nella sua migliore interpretazione del fascino di Tom Waits , e la
cantilenante melodia ricorda la natura folky di Huck’s tune. La mia unica
riserva su questo pezzo è che lui sembra essere in difficoltà vocalmente in
diverse strofe. Ma , al di là di tutto , una interessante versione.
6) Dignity
Terribile versione rockabilly di un Dylan-number. Basso gommoso , con Dylan
che canta senza cura , una ciofeca.
7) Ring Them Bells
Dylan dal vivo nel 1992 al Supper Club mostra come stia andando verso il
folklore , come dimostrato durante il Dylan Unplugged alla MTV , questa
versione è stata anche filmata.
Ho sperato a lungo che questo concerto fosse utilizzato per le Bootleg
Series la versione sincera di questa canzone sembrava suggerirlo, la
voce di Dylan è in perfetta armonia con la steel-guitar di Bucky Baxter.
Amabile.
8) Cocaine Blues
Una versione simile era stata realizzata precedentemente per Love Sick e
questa versione non aggiunge niente.
9) Ain't Talkin’
Molto simile alla versione di Modern Times , con un tocco un pò più rock –
di fatto la base è simile a What was it you wanted. Non sono sicuro che
aggiunga molto alla precedente versione.
10) The Girl On the Green Briar Shore
Bella versione live , ricorda il Dylan che suonava la chitarra da solo .
Questo è un rimando a quei giorni.
11) Lonesome Day Blues
Suona come una registrazione dal vivo , forse un pò troppo metallica – I
collezionisti conoscevano già questa versione che di solito era disponibile
nella ora sadicamente defunta sezione-performance del sito ufficiale di Bob
Dylan. Detto questo , questa track è che è una versione fumosa di quella di
Love and Theft , con Dylan che aggredisce la parte vocale e con il
vertiginoso aumento delle chitarre che scalciano colpi come una racchetta
che tira un diritto dietro di lui.
12) Miss the Mississippi
Altre sessions che si sono spinte a fondo nel folklore , quelle registrate
da Dylan e Dave Bromberg nel 1992 – prima che lui realizzasse Good as I been
to you. Questa è stata disponibile per i collezionisti per diversi anni , ma
è davvero una buona canzone – bella produzione e canto superbo da parte di
Dylan. Non è sicuro che il resto delle Bromberg sessions , dalle quali
questo pezzo proviene , saranno pubblicate ufficialmente.
13) The Lonesome River
Una bella registrazione , con Dylan in bella forma vocale. Naturalmente ,
questa è stata pubblicata precedentemente sull’album di Ralph Stanley.
14) Cross The Green Mountain
Un’altra gemma dell’ultimo periodo dylaniano, che mescola la melodia , un
simpatico arrangiamento e una superba prestazione vocale di Dylan. Questa
canzone esuma la Guerra di Secessione da tutti i pori – emozionale – un tour
de force cinematografico. Superba
CD3
1) Duncan and Brady
Una pietra miliare dalle Bromberg sessions , con il profumo di Under the red
sky. Cantata scioltamente con una voce da oca da Dylan , grando tocchi di
chitarra , grande divertimento , fantastica. Un modo superbo di lanciare il
più costoso disco che Dylan abbia mai realizzato!
2) Cold Irons Bound
Una grande versione live di questo classico da Time out of mind. – Dylan
davvero focoso che attacca il cantato , e la base dei musicisti è un
turbinio che sale con un grande crepitio.
3) Mississippi # 3
Un terribile suono di reggae circonda questa canzone , la peggiore della
raccolta. Liricamente completa , Dylan mette ancora a fuoco il suo gran
potere narrativo. Per coloro che non vogliono perdere proprio niente.
4) Most of the Time # 2
Un pò come la versione di Series of dreams sul CD2 , a me suona come se
fosse esattamente la stessa versione vocale della versione su Oh Mercy. Il
fraseggio e l’intonazione sono identici – la sola differenza è qualche riga
di tresto cambiata , che sono stati ovviamernte cambiati nell’incisione di
Oh Mercy. Infatti , riascoltando questa versione , suona come se i nuovi
versi fossero caduti dentro in questa versione . Superflua.
5) Ring Them Bells # 2
Una lunga introduzione , sarebbe stata migliore più corta , cantato spoglio
di Dylan – inizia come una superba take alternativa, mentre la prima strofa
è chiaramente una versione diversa , il resto della canzone è lo stessa
incisione del cantato della versione ufficiale realizzata su Oh Mercy.
Vergogna.
6) Things Have Changed
Non sono mai stato un fan di questa canzone. La base della backing band è
grande ma la voce di Dylan è in grosa difficoltà . non una grande
performance , Dylan sembra avere innestato il pilota automatico.
7) Red River Shore # 2
Un’altra versione di questo capolavoro , più silenziato di quello della
versione sul CD1. Dylan suona come se l’avesse cantata una volta di troppo ,
e l’arrangiamento non è bello come la versione precedente.
8) Born In Time
Un’altra pugnalata di Lanois a questa canzone , comunque inferiore alla
superba versione di Under the red sky.
9) Trying To Get To Heaven
Questa mi da sui nervi perchè Dylan fa quello di cui è spesso accusato –
rilavora completamente la melodia della canzone facendola diventare
un’altra. Questo è Dylan come Sinatra , una versione da sala da ballo di
questo capolavoro di Time out of mind. Cantato impegnato , superbamente
realizzata , ha fatto a questa canzone quello che ha fatto ad I want you ed
a Tangled up in blue nel tour del 1978 , magica e spezzacuore.
10) Marchin’ to the City # 2
Comincia con la batteria come Rainy day women , e si appoggia sul suono
dell’organo , non così buona come la versione sul CD1 , intrigante ma niente
di più.
11) Can't Wait # 2
Introduzione spettrale di organo , voce spettrale di Dylan. Il fascino
serpeggia dappertutto in sensi misteriosi e commoventi. Dylan come supremo
cantante blues , davvero grande.
12) Mary and the Soldier
Un’altra fantastica e toccante performance dale sessions realizzate per
World gone wrong. Impeccabile.
by Martin Cowan
(fonte: musicforgrownups.co.uk)
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IL DIAPASON - Meglio regalare musica
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Milton Glaser, come dire: I Love New York
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Aretha canterà per Barack
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Trittico natalizio dal gusto «british» per la Verdi
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Give me a room at The Chelsea Hotel
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Leonard Cohen , Fabrizio De Andrè : I due volti di Suzanne
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Arthur Rimbaud , il poeta maledetto
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DVD : THE BEATS - L' urlo ribelle
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Lunedi 22 Dicembre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 437
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I nuovi video di The Beards
Ti segnaliamo 3 nuovi video girati durante la nostra performance al
Teatro Italia di Dolo, Venezia il 13 Dicembre 2008 per il concerto in
memoria del nostro caro amico Pierluigi
Secco.
FOREVER YOUNG
AIN'T ME BABE
GIRL FROM NORTH COUNTRY
The Beards
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La linea sottile che unisce Dylan a Bach - di Dario
Twist of fate
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La Fiera della musica chiama Bob Dylan
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TTS : BORN IN TIME # 1 , traduzione in italiano - di
Mirella Spencer
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Domenica 21 Dicembre 2008
ERIC CLAPTON
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Sabato 20 Dicembre 2008
Lettera aperta al manager di Dylan
Una lettera aperta a Jeff Rosen , i contabili , gli
spacca numeri , coloro che infilano le matite e a chiunque possa interessare
: riferimento - Entrata veloce differenziata.
Girano voci di un probabile sovrapprezzo per un’entrata veloce differenziata
.Qual’è l’affare qui ? Che cosa sta succedendo ? Perchè dobbiamo pagare 100
dollari in più sul prezzo del biglietto per qualcosa che è in contrasto col
concetto di Ammissione Generale allo show ? Quali sono gli autentici
risultati ?
Se Dylan è stanco di vedere sempre le stesse facce notte dopo notte in tour
fermate tutto ( oppure girare le luci in modo che Dylan non veda nessuno del
pubblico in faccia). Storicamente Dylan è sempre stato un artista che attira
numerosi elementi marginali . Sono sicuro che non è una novità quando dico
che le uniche persone che pagheranno queste esorbitanti tariffe per avere il
diritto di “entrata veloce” non saranno quelle che aspettano ore ed ore in
qualunque condizione atmosferica per entrare per primi. Questi altri,
ricchi personaggi locali , è gente che viene agli show solo per farsi vedere ed aggiungere una
nuova tacca al loro status. Gente che verrà per sentire un 23enne da solo
sul palco con una chitarra acustica che canta “Everybody must get stoned” e
“Like a rolling stone” esattamente come suonano sul disco , e come saranno
contrariati quando questo non avverrà. Gente che vorrà sentire “ Hei , come
va stasera CLEVELAND!!!!!!!!! E che sicuramente se ne andranno quando
avranno realizzzato che l’uomo di 67 anni non suona più come quello di 25,
quelli che appena usciti diranno “ Non ho capito una parola e tutte le
canzoni erano diverse , irriconoscibili”.
Quali sono quelli sbagliati ? Quelli 15 file più indietro che capiscono
tutte le parole , guardano come è fatto ogni accordo , o quelli che si
troveranno in un club pieno di snob il giorno dopo solo per mostrare il loro
biglietto agli altri ? ( ma non potrebbero questi ricchi personaggi essere
anche loro davvero interessati alla musica di Dylan ?) Certamente , ma
allora , perchè non arrivano prima agli show , evitando il sovrapprezzo
differenziale , non si mettono in fila ad aspettare come tutti gli altri per
entrare per primi ed avere i posti davanti al palco ?
Stai cercando di attirare gente giovane agli shows , ancora una volta Dylan è
in cerca di un pubblico giovane ? Bellissimo , ma di nuovo , questo non è
certamente il modo per farlo. I Giovani non pagano così tanto per vedere le
loro bands preferite ( e della loro stessa età). Ed al riguardo ,
probabilmente non hanno un reddito proprio , perciò si accontentano dei
posti da 40 dollari , ed una volta entrati tutti si troveranno in quarta o
quinta fila , mentre davanti ci saranno sempre le stesse facce stanche che
cercheranno di giustificare in qualche modo questa “sodomia” dell’"entrata
rapida".
So che questa è l’industria musicale , so che i tour hanno dei costi elevati
, ma mi sembra che tutto sia andato sempre bene anche prima di questo
sfacelo. Ma l’idea fondamentale di General Admission è in contrasto tra
quelli che sono venuti prima perchè lo volevano e quelli che hanno pagato in
più per avere qualcosa da fare il venerdi sera. E se tutto questo è fatto
per spillare più dollari da ogni poro , allora è una cosa disdicevole.
Mi sono deciso a scrivere questa lettera ( che avevo in mente da molto
tempo) a causa delle voci sul prossimo tour . So che negli ambiti precedenti
c’è stata l’entrata anticipata , ma questa non è costata un centesimo di più
e non ha cambiato le facce davanti al palco .
Personalmente non voglio e non posso comperare questi ”Hot Tickets” che
considero uno schiaffo in faccia , non per me , ma per la gente che affronta
lunghi viaggi per venire da molto lontano . So che Dylan non leggerà questa
lettera , ma certe figure manageriali dovrebbero capire queste cose , e
questo è l’unico modo per farti sapere l’opinione circolante al riguardo.
BobZimmerman
(fonte: expectingrain.com)
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Le risposte a BZ :
Capisco la tua indignazione BZ , e sono totalmente d’accordo
con te che la verità debba essere conosciuta. Penso che tutta la faccenda
riguardante le pre-vendite sia una merdata ed anche non necessaria.
Sfortunatamente , penso che la ragione di questa “Entrata anticipata” non
sia nient' altro che una benna per raccogliere soldi.
Nappy
°°°°°
A Santa Monica , coloro che si potevano permettere gli
early-entry-tickets se ne stavano a gironzolare al bar invece che fare la
fila. Dopo tutto , io sono riuscito facilmente a raggiungere la prima fila.
Vedila in questo modo , adesso è una grande sfida arrivare in fronte al
palco , noi lo faremo comunque!
stewart69
°°°°°
Sono spiacente , devo chiedere , anche se mi rendo conto che
suona un pò stupido….
Questo pacchetto-VIP vuol dire che puoi entrare prima degli altri ?
Oh gente , non voglio pensarci.......
actually nicole
°°°°°
Cose simili sono successe nell’autunno del 2000. A Portsmouth c’era una
corsia accanto a quella della gente in fila per entrare. Poco prima
dell’apertura dei cancelli , alcune persone sono state fatte entrare da
questa corsia, suppongo che questo sia stato fatto per permettere a questa
gente di prendersi le file davanti. Suppongo sia stato giusto , anche perchè
nella fila in attesa non c’erano più di 50 persone , e non hanno dovuto
pagare niente per questo , sono solo stati fortunati.
Pochi giorni dopo , quando il tour è venuto in Germania , avevano messo
delle barriere nella sala che separavano i posti nelle file in fronte dal
resto della sala. Quello era giusto , almeno in linea di principio , perchè
ha evitato che molta gente spingesse in direzione delle prime file. Il
problema era che solo pochi hanno potuto entrare in quella specie di
“gabbia”. Non era – prima arrivi e prima sei servito – ma all’ingresso c’era
gente della security che decideva chi poteva entrare e chi no. Non sembrava
essere una cosa regolare ( eccetto per le persone portatrici di
handicap e ad altre con bambini alle quali era stato permesso l'accesso) –
in molti casi dipendeva se la tua faccia piaceva o no alla security! E’
stato molto più che spiacevole.
Prendere più soldi per l’entrata anticipata è disonesto – almeno finchè non
si potrà comperare questi biglietti sul libero mercato , senza doverli
comprare come pacchetto completo con l’alloggio in Hotel etc. Penso che
questa cosa vada fermata ( inoltre suppongo che in questo modo fanno un
sacco di soldi).
Ma al di là di tutto , non penso che molte persone compreranno questo tipo
di pacchetto. Forse 50 o 60 per ogni show. Un terzo di questa gente arriverà
in ritardo , un altro terzo andrà immediatamente alla sbarra d’ingresso e il
resto si troverà in prima fila , dove di solito il suono è cattivo....
Slewan
°°°°°
Il Management di Dylan sta cercando di caricare il costo dei biglietti per
chiunque sia in grado di pagare , "chiunque2 significa che gli strizzeranno
fuori il denaro. La questione non è che Dylan sia stanco di vedere sempre le
solite facce nelle prime file , o se sta cercando di attirare nuovi gruppi
di giovani fans. Loro vogliono vendere i biglietti alla massima cifra
possibile. Fine della storia.
I biglietti per Dylan erano incredibilmente a costi bassi se paragonati a
quelli per lo spettacolo dei Rolling Stones. Un biglietto per gli Stones vi
costerà un centinaio di dollari per una brutta sedia.
I biglietti per Dylan sono sempre stati meno costosi perchè è sempre in tour
, così non è mai il grande evento come lo è il tour dei Rolling Stones ogni
4 anni.
Ma Dylan si sta gradatamente avvicinando alla fine dei suoi tours e sono
sicuro che è per questo che vogliono spremere ogni goccia di sangue
possibile essendo vicini probabilmente all’ultimo tour europeo di Bob.
Bob sta invecchiando , viaggiare è stremante , lui ha un sacco di gente da
pagare , trarne il maggior profitto è quello che vogliono fare. Per quanto
si sia dedicato ai concertti , Dylan non ha mai suonato gratuitamente.
Nessuno del suo Management o della sua casa discografica sta pensando alla
sacra natura tradizionale dei concerti , e nemmeno di creare una nuova basa
di fans. Pensano solo ai numeri , non illudetevi.
Questo non vuol dire che io pensi che qualcosa di questo non sia elegante o
sgradevole al palato dei suoi fans più leali. Non mi piace sentire parlare
di prezzi come si è accennato per il tour europeo , o di “hot tickets”
venduti qui. Io dico solamente : non pensate che sia un motivo idealistico
quello che caricano sul costo dei CDs , delle magliette , del merchandise ,
dei biglietti o di qualunque altra cosa , lui verrà solo se comperate i
biglietti. Ma questo deve dare soddisfazione al pubblico. Bob non ha
dimostrato di valere il costo del biglietto – chi può sapere quanto vale ? –
essendo filantropico con il suo talento. Tenete a mente , in realtà , Bob è
il padrone della proprietà e l’affitta volta per volta. Lui è interessato al
denaro come ogni altro misicista girovago. Bob ha accettato denaro per
reclamizzare alcuni prodotti. Vuole un milione di dollari per suonare ad una
festa di compleanno.
E’ giusto pensare che i biglietti siano troppo costosi. Questo non vuol dire
che Jeff stia obbligando Bob a suonare questi concerti contro la sua
volontà. Questo potrebbe anche non piacervi , ma Bob è sempre in grado di
sbarazzarsi di queste persone , ma non l’ha fatto. Questo è tutto quello che
c’è bisogno di sapere.
therelevator
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Zimmerman’s Circus
Nidaba Theatre 15/12/08
Matteo Callegari - chitarra, voce
Cristiano Callegari - tastiera
Paolo Terlingo - chitarra, voce
Fausto Soncini - batteria, percussioni
Betti Verri - voce, cori
Set list :
1. Rainy Day Woman
2. Most Likely you go your Way
3. My Back Pages
4. Tombstone Blues
5. Masters of War
6. Stuck inside of Mobile
7. Just Like a Woman
8. Seven Curses
9. Senor
10. It’s all over now Baby Blue
11. One more Cup of Coffee
12. Oh, Sister
13. I want you
14. Subterranean Homesick Blues
15. I shall be released
16. Hard Rain
17. Like a rolling stone
18. Don’t think twice
19. Visions of Johanna
Intorno alle 22.15, in una bagnata notte di lunedì sono entrato nel piccolo
e confortevole Nidaba Pub-Theatre per la prima volta.
La ragione della visita in quest’area di Milano (Porta Ticinese, Via E.
Gola) era una serata acustica con una band chiamata “Zimmerman’s Circus”,
sperando di sentire alcune delle mie canzoni preferite di Dylan.
La prima impressione del Nidaba, con tutti i suoi inserti in legno e poster
di musicisti, attori e artisti, era quella dei vecchi pub inglesi che avevo
frequentato. Così, sedendomi al tavolo con una buona doppio malto e la
compagnia di un mio caro amico per scambiarci dei commenti, ci siamo
preparati per una serata che è poi risultata essere molto interessante.
Ad iniziare la serata è stata una versione quasi totalmente solo di “Rainy
Day Woman” di Matteo, suonata con la chitarra acustica, con gli altri membri
del gruppo che si sono man mano inseriti verso la fine della canzone. Questa
versione blues/jazz di questo classico degli anni ’60 è stata probabilmente
la partenza perfetta, che pian piano ha creato un’atmosfera che ha permesso
alla seconda canzone, “Most Likely you go your Way”, di raggiungere il
livello più alto della serata, che secondo me, non è stato mai superato
durante l’esecuzione –seppur eccellente- delle successive 17 canzoni;
suonata in una maniera blues e rilassata e cantata perfettamente, i
Zimmerman’s Circus hanno omaggiato tutti con questo raro gioiello di
canzone, spesso lasciata in disparte da altre band-tribute. Questa versione,
che non ho mai sentito prima, era pressoché imbattibile, decisamente un
“highlight” della serata.
“Tombstone Blues” ha seguito una eccellente “My Back Pages”, mentre “Masters
of War”, “Stuck inside of Mobile” e “Just Like a Woman” sono scivolate via
una dopo l’altra, tutte suonate e cantate molto bene.
Alla volta di “Seven Curses”, un nuovo membro si è aggiunto al gruppo, con
Betti Verri che ha dato un originale twist femminile a questa canzone di
Dylan dei primi anni ’60.
Aiutando con “Senor”, “It’s All over Now”, “One more Cup of Coffee” e “Oh,
Sister”, Betti è poi rimasta sul palco e ha dato una mano con i cori,
aggiungendo una sfumatura al suono generale della serata, che, va detto, è
stato al top, con Fausto e Cristian che riempivano tutte le canzoni al punto
giusto, rendendole molto godibili.
I “Want You” è stata seguita da “Subterranean Homesick Blues” e, alla fine,
“I Shall Be Released”. Poi, dopo molti applausi e senza troppa esitazione,
l’encore è seguito con una molto bella “Hard Rain” e “Like a Rolling Stone”,
quando un coro ruggente si è levato dal pubblico e il verso “How Does it
Feel” è rimbombato in tutto il teatro!
“Don’t Think Twice” e “Visions of Johanna” hanno chiuso lo spettacolo, che è
stato di prima categoria… con una citazione speciale a Matteo e Paolo per la
loro performance.
Nel complesso: i Zimmerman’s Circus sono senz’altro da vedere!
“Remember, support your local band!”
Dean Spencer News
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Jakob Dylan - Seeing Things
Alla fine ce l’ha fatta. Dopo essersi “nascosto” per qualche lustro negli
album dei suoi Wallflowers, Jakob Dylan ha deciso di utilizzare quel cognome
così ingombrante sulla copertina di un disco. Grazie anche allo zampino
magico di Rick Rubin, era però lecito aspettarsi qualcosa in più dal debutto
solista del figlio del genio di Duluth. Invece “Seein Things” è solo un buon
disco: non affonda, raramente emoziona come invece dovrebbe fare un lavoro
volutamente dimesso come questo, in cui le canzoni devono fare la
differenza. Più vicino alle corde dello Springsteen più intimo ed acustico
che a quelle del padre, e fin qui era quasi ovvio, Jakob non convince fino
in fondo, manca un guizzo, è inutile nasconderlo.
Certamente non mancano buoni passaggi, “Valley Of The Low Sun”, ad esempio,
ma è difficile non pensare a tutti quei loser americani che hanno regalato
lavori molto più importanti di questo che sono passati totalmente
inosservati. E senza Rubin in cabina di regia. E’ chiaro, qui siamo di
fronte al figlio di Bob, e pur senza voler far paragoni - nessuno vorrebbe
azzardarli nemmeno ora - è difficile tacere il suo esordio senza la
“copertura” della storica band.
Il suo songwriting è ottimo, non è questo il problema, già si sapeva. Ma le
canzoni si trascinano, rimangono impigliate tra le stesse radici che Dylan
Jr, qui mesto osservatore e laconico cantore, vuole omaggiare. Tra spruzzate
folk e pennellate blues, quel che resta è un quadro sul quale è difficile
soffermarsi troppo. Insomma, se Rubin ha ridato vita (e che vita) a Johnny
Cash, se ha riacceso e reinventato Neil Diamond, qui il suo lavoro (perfetti
i suoni) non basta.
Perché Jakob non è suo padre ma nemmeno Cash o Diamond. Con coraggio e
onestà, procedendo inversamente rispetto a papà Bob, Jakob ci ha mostrato
anche la sua veste acustica. Ma la stoffa non è la stessa, e una volta per
tutte bisognerà farsene una ragione. I Wallflowers erano una buona band (a
tratti ottima), Jakob Dylan è un buon cantautore. Come tanti altri.
di: Maurizio Pratelli
(fonte: mescalina.it)
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Jakob Dylan - Seeing Things
Godetevi un disco che vi farà sognare. Sedetevi, tagliate ogni ponte con il
mondo esterno ed immergetevi nella prima fatica solista di Jakob Dylan. Il
ragazzo (chissà perché ci vien ancora di chiamarlo così…) si allontana
momentaneamente dai suoi Wallflowers (ultimamente in caduta libera) e sforna
un disco dalla bellezza cristallina (alla produzione Rick Rubin).
“Seeing Things” è un disco maturo, un disco che mette in evidenza il talento
compositivo del figlio del menestrello americano. Jacob si sveste da tutti
gli orpelli che affollano di solito i pezzi del suo gruppo per sciogliersi
in un delicato abbraccio acustico. Il suono che ne viene fuori è un qualcosa
di assolutamente godibile e apprezzabile.
La vera chicca del lavoro è Valley of the low Sun. Siamo di fronte ad una
ballata acustica dolce e dal vivace piglio Folk. La voce di Dylan Jr si
fonde con gli arpeggi della sua chitarra creando un ponte verso atmosfere
rilassate e dai forti richiami Beatlesiani (un po’ ci ricorda le invenzioni
di Blackbird). Non aspettatevi tuttavia colpi di scena. Il lavoro viaggia
sui binari di una semplice gioco voce chitarra che ci trascina piacevolmente
in una dimensione raccolta e dai sapori molto intimi. Tutto è ridotto
all’osso. Le buone melodie (che entrano in testa al primo ascolto) si
stagliano tra arpeggi solari e rilassati. La voce di Jacob d'altronde si
dimostra ancora una volta all’altezza della sua fama, tendendo la mano
all’ascoltatore e avvolgendolo in un caldissimo abbraccio.
I difetti? Chiaramente il disco avrebbe guadagnato in termini di originalità
se Dylan avesse avuto il coraggio di colorare maggiormente il suo lavoro,
fornendo al lotto qualche valvola di sfogo verso lidi dalle sonorità più
varie. Il cd invece mantiene ben salde le proprie intenzioni. La spina
dorsale del lavoro infatti non si discosta per tutta la sua durata dagli
ambienti Folk e per certi versi Country che il “ragazzo” chi ha regalato.
(fonte: musicyes.org)
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IL SONDAGGIO DI MF : DYLAN PRO E CONTRO
aggiornato con la mail di Marco
Ho comperato Tell Tale Sign ( versione per i poveri ) e
devo dire che più lo ascolto e più lo apprezzo , ma allo stesso tempo devo
ammettere che si tratta del Dylan di qualche anno fa , non parlo del livello
di ispirazione ( quello lo potremo valutare all’uscita del prossimo album )
, ma a livello di cantante , dov’è finita la sua splendida voce ? Quel suo
suono ormai trasformato in qualcosa da balera country ? Pro per Tell Tale
Signs , CONTRO per l’uomo che ha permesso che la sua casa discografica
facesse una ca...ta grande come il Mississippi !!!!!!!
Marco C.
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Video : Tom Petty And The Heartbreakers - License To
Kill
clicca qui
|
a |
Vernerdi 19 Dicembre 2008
TELL TALE SIGNS - Bootleg Series Vol.8
Finalmente è arrivato !!!
Yap , è Tell Tale Signs Volume 8 , l’incredibile Bootleg Series di Bob
Dylan.
Ho ordinato il Cd e sto ascoltando il primo assaggio !!
.....si è solo un assaggio , Record Company del cazzo !
E’ una fantastica collezzione , meglio di quello che mi aspettavo e di
quello che speravo !
In precedenza avevamo già postato in anteprima due grandi pezzi di questo LP
, la magnifica Dreamin’ of you e Mississippi , e questo è il vero affare !
Tell Tale signs è una bella collezzione di 27 canzoni , rare e mai
pubblicate tracce di Dylan del periodo 1989-2006 – un periodo davvero
fruttifero quando la musa era ritornata da Bob Dylan più forte che mai ,
raggiungendo un’apoteosi in termini di magnificenza con il sublime Modern
Times del 2006.
La qualità delle tracce è notevolmente alta e , incredibilmente , quasi
tutte buone , se non migliore del materiale incluso negli album ufficiali di Dylan
realizzati negli ultimi 17 anni.
Tuttavia , come veri fans di Dylan , siamo fottutamente incazzati per la
decisione della Sony per il cofanetto a tre CD al disgustoso prezzo di 130
dollari ! 5 volte il prezzo della confezione a due CD !
Così i fans di Dylan sono costretti a pagare 100 dollari extra per poche
tracce “ Queste Record Company non impareranno mai ! Cercano di metterlo in
c..o ai veri fans , fanculo !
Pagherò 130 dollari ! Nessuno dovrebbe pagarli ! I giorni nei quali le Major
continuano a fottere i veri fans non sono ancora finiti !
Quindi , a farsi fottere vadano le grandi Major ed un grande Hurrah per il file sharing !
Così....ahemmm(dopo essermi calmato !)....se qualcuno gentilmente ci
mandasse un 320kbps link per i tre dischi potremmo essere fottutamente
felici !
Abbiamo già pubblicato una buona recensione sull’eccellente UNCUT Magazine.
Qui ce n’è un’altra per “The Observer”.
Che Bob Dylan è ? Il film dell’anno scorso , I’m not there , presentava sei
incarnazioni del cantante . il giovane Dylan che voleva essere Woodie
Guthrie , il Dylan rinato , il Dylan che suonava il thin wild mercury sound
( interpretatao da Cate Blanchette ) e via così , ma nel corso della seconda
metà della decade passata , si è manifestato a noi in diversi e molteplici
aspetti.
C’è il Dylan star della TV , il Dylan alla radio , il Dylan pittore , Dylan
l’autore , e naturalmente il Dylan sempre in tour con la sua band. Si
potrebbe pensare ad un Dylan in franchising ? Perchè la potenzialità
commerciale del 67enne artista non è mai stata così alta negli ultimi 30
anni.
E’ un punto di vista che abbraccia anche la violenta denuncia apparsa su un
sito web concernente l’ultima uscita delle Bootleg Series : due dischi ( gli
unici due disponibili per questo recensore) sono prezzati normalmente , ma
c’è un’altro set contenente 3 CD per circa la misera cifra di 101 dollari ,
che cazzo fai Bob ? Questo è un set che va contro il Bob Dylan conosciuto da
noi attraverso le sue canzoni nel periodo coperto da questa Series . Tell
Tale Signs mette assieme incisioni rare e mai pubblicate di materiale dal
1998 al 2006. Questo periodo dovrebbe comprendere le sessioni per sette
albums – Oh Mercy 1989 , Under the red sky 1990 , i due dischi di cover di
folk songs Good as i been to you 1992 e World gone wrong 1993 , Time out of
mind 1997 , Love and Theft 1991 e Modern Times 2006. Ma Under the red sky e
Love and Theft sono essenzialmente rappresentati da momenti , che pensare ,
non è da lui essere così scivoloso ignorando le outtakes di tre album
originali. Considerata come una trilogia queste registrazioni danno una
singolare visione dell’artista . Lui è “The man in the long black cloak” ,
mormorando qualcosa al riguardo del fatto che non è ancora abbastanza buio
ma sta per arrivare , sempre alla periferia delle vostre visioni.
Come farà questo tesoro a riconcigliarci con Dylan ? Tra le 27 tracce c’è
posto per due versioni di “Mississippi” dalle sessioni di Time out of mind
con Daniel Lanois come produttore – e la prima in particolare è meravigliosa
, suonata in acustico , si sente Dylan cantare magnificamente , usando la
chiave del sentimento : “But my heart is not weary , it’s light and it’s
free”. E si capisce perchè questa takes non è stata messa nell’album Time
out of Mind ma su Love and Theft. Allo stesso modo “Red river shore” , il
pezzo , secondo i dylanogisti , più atteso di Tell Tale Signs. La narrazione
scorre per sette straordinari minuti , raggiungendo l’apice della delizia ,
misteriosamente , su faccende teologiche ( ho sentito di un ragazzo vissuto
molto tempo fa....che se qualcuno vicino a lui era morto , lui sapeva come
riportarlo alla vita. E alla fine , Dylan , il grande narratore di Storie trova una nota di ottimismo : - qualche volta penso che nessuno mi ha mai
conosciuto veramente , eccetto la ragazza sulla riva del fiume rosso - .
Quindi , non tutto è sempre ciò che sembra , con Dylan stesso che cita un
altro poeta “ Io è un altro” ( Rimbaud). Ma imperscrutabile come è lui a
volte , egli rimane sempre l’ intoccabile cantante e scrittore di canzoni
che è. Non tutto è perfetto in Tell Tale Signs , peccatp per i cinque pezzi dal vivo ,
scelte non particolarmente azzeccate. Ma potreste perdervi
in queste registrazioni.
by Caspar Llewellyn Smith - The Observer
Altre recensioni:
Tell tale Signs sembra avere il potere di colpire positivamente i più noti
giornalisti :
Rolling Stone's Mikal Gilmore
....Tell tale Signs sembra essere un’ antologia più che un album. Sembra
disegnato per raccontare una storia che affina ed amplia la vista della
decadente disintegrazione culturale che è stato il tema più importante di
Time out of Mind , Love and Theft e Modern Times – forse la musica più
audace che abbia mai scritto. Tell Tale Signs evidenzia che Dylan conosce
bene i capricci del mondo nel quale vive , ora più di prima.
Los Angeles Times' Robert Hilburn
L’ultima collezzione del materiale di Bob Dylan dalle sua passate pagine
musicali , Tell Tale Signs , è una ricca rivelazione di come il Maestro dei
cantautori mette insieme uno dei più drammatici momenti creativi del suo
rinascimento nella storia della musica popolare....”Tell tale Signs” non è
un “extra” Dylan , è l’essenza di Dylan.
Entertainment Weekly's Chris Willman
Solo un set può essere paragonato alle Bootleg Series di Dylan negli annali
della musica popolare , e questo potrebbe essere la collezzione “Anthology
" dei Beatles , così simile da aprire una finestra sul mondo deve le grandi
registrazioni di studio vengono fatte. Ma con i Fab Four , si ha
l’impressione che ci sia solo una possibile soluzione per la versione
perfetta di ogni canzone , il fascino sta nel sentire come certi pezzi si
trasformano in classici , il tutto dovuto ad una serie di ritocchi finali e
trascendentali.
Ascoltando gli scarti di Bob Dylan , anche se , si avverte la non finitura
dei pezzi , ancora da sgrossare in maniera definitiva , i suoi scarti sono
delle valide alternative alle versioni ufficiali...Le ultime due Booltleg
pubblicate , mettono a fuoco il Dylan degli anni 60’ , ma i fans hanno già
tutto di queste cose ( Shhh , non parlare della loro voglia di avere altre
cose ). Emozionalmente , Tell Tale Signs salta le decadi in modo di offrire
una storia alternativa dell ‘ultimo periodo appena passato : il rinascimento
creativo che è cominciato attorno al 1980 e sta ancora dando i suoi frutti.
The Independent's Andy Gill
L’ottava rata delle Bootleg Series di Dylan copre gli anni dal 1989
riportando i suoni di Oh Mercy ai giorni nostri , un periodo nel quale si è
adoperato per conquistare il favore dei critici entrando a far parte del
vasto catalogo della musica e delle radici popolari americane , e
ultimamente per trovare la strada per la “indian summer” di Time out of Mind
, Love and Theft e Modern Times....è una collezzione notevole....
The Telegraph's David Cheal
C’è roba qui che fa chiedere all’ascoltatore : perchè non
mai ho sentito queste cose prima d’ora ?
Da cos’era posseduto , per esempio , per escludere “Red River Shore” dal suo
Time out of Mind ?
E’ un inquietante classico , lo stesso si può dire di “Born in Time” ( dalle
sessions di Oh Mercy ).....qui c’è racchiuso tutto l’inquieto spirito
creativo dell’uomo , lui non si ferma mai.
The BBC's Chris Jones
Se vi piace la trilogia di Time out of Mind , Love and Theft e Modern Times
sono sicuro che adorerete questo disco. Si svela il processo che ha portato
Dylan a rivistare non solo il suo lavoro in primo luogo , ma lo ha associato
alla sua immagine : la Certer family (Tell ol’Bill) e tanti altri....come
compagni di viaggio dei suoi lavori migliori del periodo essenziale. Sta
bene anche con gli altri album della sua produzione – un uomo innamorato
ancora una volta della sua musa ispiratrice – senza la paura di affondare la
mano fino alle radici. Bello , coraggioso e seducente.
The Guardian's Dave Simpson
L’ottavo tesoro della Dylan’s Bootleg Series di materiale mai pubblicato e
versioni alternative , dimostra ulteriormente che non c’è una versione
definitiva di una canzone di Dylan , solo un flash dei diversi stati d’animo
di quest’uomo che riportano Dylan alle sue classiche forme. La straordinaria
“Red River Shore” – che aveva già suscitato una febbrile eccitazione fra i
Bobcats – suona come il prodotto di un cuore spezzato , misteriosamente
rimasto chiuso in un cassetto per 11 anni . Quattro Stelle.
(fonte: stupidd.blogspot.com)
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Dicevano di Love and Theft......
Dylan, viaggio alle radici della musica americana
Attenzione, nel nuovo disco di Bob Dylan in uscita l'11 settembre (il primo
di canzoni nuove dopo il
pluripremiato Time out of mind del 1997 - tre premi Grammy, incluso quello
di disco dell'anno), noterete
che il titolo in copertina è virgolettato: Love and theft. Non è un
particolare da poco; la virgolettatura,
normalmente, sta a intendere una citazione, una presa in prestito da un
altro autore di una frase o,
appunto di un titolo. Love and theft (Amore e furto) Bob Dylan l'ha preso in
prestito dal libro del
professore dell'Università della Virginia (inglese, ma insegnante in
America) Eric Lott che ha come
sottotitolo Blackface minstrelsy and the american working class, «I
menestrelli di colore e la classe
lavoratrice americana».
Si tratta di un apprezzato studio sugli spettacoli musicali itineranti, i
cosiddetti minstrel show, assai
popolari nell'America del 19° secolo, dalla cui tradizione si sarebbero poi
sviluppate, nel 20° secolo, le
forme musicali del blues, del jazz, del country, e un bel giorno, da tutto
questo melting pot, il rock'n'roll.
Lott esamina il ruolo dei minstrel show di colore nelle lotte politiche che
condussero alla Guerra civile
americana.
Cosa c'entra tutto questo con l'ex menestrello dei diritti civili, con il
rocker di Like a rolling stone, con il
poeta visionario di Mr. tambourine man? C'entra, perché Bob Dylan ha
prodotto un bellissimo e
raffinato disco che paga tributo alle radici profonde dell'America,
immaginandosi musicalmente (e
liricamente) tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, tra
musica western swing, una versione
ritmata della musica country & western, tra elegantissimi motivi con
l'incedere tipico del crooner che
strizzano un'occhio a Frank Sinatra e infine con qualche accelerata rock
blues più elettrica e sferzante.
Un disco profondo, pieno di significati e di rimandi, a tratti
intellettuale, a tratti «popolare»: Bob Dylan, a
sessant'anni, dimostra di essere ancora la coscienza dell'America.
Un disco affascinante, che si avvicina, musicalmente, a quanto sta già
avvenendo in America da qualche
anno a questa parte, e cioè un revival di certe forme sonore (il western
swing e lo swing in generale) che
sta ricevendo un successo clamoroso, basti pensare al caso dell'ex
punk-rockabilly Brian Setzer (quello
degli Stray Cats) che si è inventato la Brian Setzer Orchestra pagando
tributo con swingatissimi ed
elettrizzanti brani a certi eroi musicali come Louis Prima. Oppure a gruppi
come i Br-49s, assai popolari
e che sembrano schizzare fuori direttamente dagli anni Quaranta, alfieri del
miglior country western
swing.
Dylan, però, è più colto e più raffinato: le canzoni del nuovo disco lo
vedono immaginarsi come un
personaggio del XIX secolo che ti invita nel suo elegante salotto per
raccontarti storie e avventure dei
tempi della Guerra civile, con divertenti aneddoti e sagaci resoconti. In
tutte le canzoni infatti abbondano
i riferimenti gettati volutamente a casaccio su quel periodo storico, su
luoghi e su personaggi d'epoca,
come se un ipotetico sopravvissuto a quei tempi lì fosse in qualche modo
apparso oggi per le strade di
Los Angeles o di New York e parlasse con la lingua di un mondo ormai
scomparso («Instaurerò la mia
legge / Attraverso la guerra civile»; «Scappano da qui in ogni modo / La
pioggia fredda può darti i
brividi / Se ne sono andati giù sull'Ohio, sul Cumberland sul Tennessee / In
tutti gli altri fiumi dei ribelli»;
«Mio padre è morto e mi ha lasciato, mio fratello è stato ucciso in guerra»;
«Il mio capitano è uno
decorato / Non è un sentimentale, non gli dà affatto fastidio quanti suoi
compagni siano stati uccisi»;
«Risparmierò gli sconfitti, parlerò alle masse / Insegnerò la pace ai
conquistati, domerò i superbi»).
Nelle nuove canzoni di Dylan immagini di duecento anni di storia americana
si mischiano, a volte in
modo caotico, a volte illuminante, come nell'epocale High Water (For Charley
Patton). Charley Patton,
a cui il brano è evidentemente dedicato, è stato negli anni Venti e Trenta
uno dei primi e più importanti
padri della musica blues del Delta del Mississippi; nel 1927 scrisse un
brano dal titolo omonimo,
Highwater, dedicato alla grande inondazione del Mississippi che uccise
migliaia di persone e provocò
anche un certo cataclisma politico nel paese. Dylan costruisce una serie di
efficaci immagini (su una
superba melodia di stampo folk blues con tanto di banjo) in cui i tentativi
dell'uomo, anche le cose più
grandi come le libertà costituzionali, diventano nulla davanti al destino
che ci chiama: «La gente perde le
sue proprietà e sta lasciando la città / La riforma (..) dice: "Balla con
chi ti dicono di ballare o non ballare
per nulla" / "Non cercare di appoggiarti a me / Non vedi che sto affogando
anch'io / Acque alte
dappertutto».
Si permette anche il lusso, Dylan, questo uomo che ha sempre immesso un
profondissimo senso
religioso nella musica rock, di prendere in giro lo studioso inglese del XIX
secolo George Lewes,
sostenitore di Charles Darwin (citato anch'esso nella stessa canzone) e
soprattutto propugnatore
dichiarato delle dottrine che volevano la separazione della teologia dalle
scienze. Dylan sbatte Darwin e
Lewes sull'Highway 5, mentre uno sceriffo dà loro la caccia, dicendo: «Li
voglio vivi o morti».
A un certo punto (nella bellissima e conclusiva ballata acustica Sugar Baby)
spunta anche l'arcangelo
Gabriele, e il messaggio, adesso, è fin troppo chiaro: «Alza gli occhi,
alzali, cerca il Creatore, prima che
Gabriele suoni la sua tromba».
In questa sorta di circo che attraverso l'America e la sua storia (ma non
solo: qua e là per le canzoni
spuntano anche Romeo e Giulietta, Otello e Desdemona, Tweedle Dee e Tweedle
Dum, due
protagonisti, questi ultimi, di «Alice nel paese delle meraviglie» di Lewis
Carroll), non a caso la canzone
forse più bella si intitola Mississippi (incisa qualche anno fa da Sheryl
Crow a cui Dylan la regalò in
anteprima): una dolce dedica al grande e maestoso fiume che spezza in due
gli Stati Uniti e sulle cui rive,
nel bene e nel male, si è costruita una nazione. Una nazione che Bob Dylan
sta ancora cantando, come
quarant'anni fa.
Paolo Vites
(fonte: http://www.maggiesfarm.it/ltv.htm)
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BOB DYLAN - Love And Theft (Sony/Columbia, 2001)
di Matteo Cavallari
Bob Dylan, ovvero: andare avanti guardando indietro. A sessant'anni appena
compiuti Mr. Zimmerman riesce a stupire e soprattutto a divertire i suoi
fans (e non solo) con questo "Love And Theft". Mentre i vecchi leoni del
passato si azzuffano per cercare di rincorrere le ultime ed effimere mode,
aggiornare il proprio sound, Dylan si presenta nel nuovo millennio come un
bonario e sornione entertainer navigato, capace di raccontare in dodici
battute storie vere ed improbabili, commedie e tragedie, amori e furti.
Il "furto" a cui si riferisce Dylan nel titolo dell'album è quello della
tradizione afro-americana, preziosa eredità trasmessa a quei "figli bianchi"
che l'hanno resa (se ciò era possibile) ancor più grande. In questo disco,
Dylan si appropria di questa eredità e compie un viaggio immaginario
nell'anima musicale dell'America, dalle strade polverose che portano a
Nashville, fino alle paludi fangose del Mississipi. Il brano d'apertura
"Tweedle Dee & Tweedle Dum" è un indiavolato rockabilly che fa indovinare
subito lo spirito di questo disco: l'immediatezza, la spontaneità del "buona
la prima", e soprattutto la voglia di divertirsi e di divertire. Al suo
fianco, una band di virtuosi e fidati veterani come Charlie Sexton alla
chitarra, Tony Garnier al basso, David Kemper alla batteria e il tastierista
Augie Meyers. Grazie al supporto di questi illustri compari, Dylan riesce a
ricreare nel disco un'atmosfera "live" impareggiabile, scaraventando
l'ascoltatore in un chiassoso locale del West.
Ma il viaggio è appena iniziato. Si prosegue con "Mississipi", placido
country risalente alle sessioni di "Time Out Of Mind" e già inciso da Sheryl
Crow, per poi passare a "Summer Days", irresistibile "boogie" in stile Sun
Records, seguito da "Bye And Bye", elegante "shuffle" in cui Dylan si
diverte a riprendere la melodia di "Blue Moon". Già a metà disco si capisce
che il gioco funziona; Dylan si trova perfettamente a proprio agio tra
banjo, chitarre dobro e mandolini, e lo dimostra regalando una dopo l'altra
delle piccole perle che sembrano già avere una storia, come "High Water",
tesissimo country tanto antico da sembrare il padre di "Gallows Pole" dei
Led Zeppelin, o "Lonesome Day Blues", altro irresistibile "shuffle" che
sembra provenire dalla stessa fucina da cui ha attinto Eric Clapton per il
suo "From The Cradle". Ma in questo caso, signori, si tratta di brani
originali; che sia ancora possibile scrivere dei classici?
Il Bob Dylan del 2001 è un poeta meno incazzato, ma non per questo meno
sarcastico. Dietro ai ritmi molleggianti di "Love And Theft" si respirano
ancora le storie di una provincia americana reale o fittizia che sia, unita
alle nostre vite dalla "Highway 61". Finalmente un disco di Dylan da godersi
preferibilmente in compagnia di una birra gelata piuttosto che di Fernanda
Pivano.
(fonte: kalporz.com)
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Love & Theft
di Christian Verzeletti
Spesso nello scrivere recensioni si è tentati da eleganti
parole che comunichino la sensazione della musica, dilemma che poi si
complica in casi di dischi non all'altezza: il rischio è di creare un
divario tra la qualità della musica e quello che si mette per iscritto.
Nel parlare dell'ultima uscita di Bob Dylan, si vorrebbe, e in un certo
senso si dovrebbe, attingere ad un linguaggio netto, scarno con qualche
improvvisa impennata poetica, ma più continuo ad ascoltare "Love and theft"
più ho la sensazione che parole e suoni questa volta non riescano a
sollevarsi.
In seguito alla recente tournèe e alle dichiarazioni dello stesso Dylan, si
era creata una grande attesa attorno a questo disco, e mi devo tuttora
sforzare per mantenere un ascolto distaccato dai desideri. Tutti vorremmo
che Dylan facesse un disco con lo stesso suono che ci ha incantato durante
le serate italiane, ma ci vorrebbe un live e in quel caso bisognerebbe
riconoscere il peso che hanno in scaletta i suoi cavalli di battaglia.
I musicisti che suonano su "Love and Theft" sono la stessa band che da anni
accompagna Dylan on the road (Charlie Sexton, Larry Campbell, Tony Garnier e
David Kemper), solo che in studio si trovano a dover rispettare le strutture
rigide delle canzoni, senza poterle spogliare e vestire a piacimento. A
tratti si percepisce il talento della band, che però deve giocare molto
sulla ripetizione per creare ritmi e tappeti in grado di supportare i versi
di sua maestà.
Dylan infatti torna a sgranare le parole, ad incalzare le canzoni con un
susseguirsi di concatenazioni, soprattutto nei brani più sostenuti. Non so
se la scelta sia causa od effetto del gioco delle citazioni, ma alla lunga
risulta un po' tediosa e seriosa. Entrare nel linguaggio di questo disco
significa camminare in un labirinto di incastri, forse neanche tutti voluti:
sono chiari i riferimenti a Lewis Caroll, a Shakepseare, a Frank Sinatra, a
Big Joe Turner, a Charlie Patton, a Eric Lott, a Fitzgerald, a Darwin e a
Tennesse Williams, mentre rimangono dubbiosi quelli a Hemingway e a Blake.
Un po' snob, un po' intellettuale, un po' bluesman e anche un po'
sentimentale sembra essere il personaggio che Dylan stavolta rappresenta con
la sua musica: le canzoni infatti si dividono tra brani di stampo più blues
e altre ballate più lente che ricordano il canto crooner della prima metà
del secolo scorso.
L'album riesce ad uscire dall'ordinarietà solo con "Summer days", uno swing
veloce che corre su chitarre in stile Django Reinhardt, e con "High water",
un brano enorme ricamato da dobro e banjo.
Prezioso il lavoro alla fisarmonica di Augie Meyers in "Sugar baby" e la
trama di percussioni che apre il disco nell'iniziale "Tweddle Dee and
Tweddle dum", ma non basta a fare di "Love and theft" il capolavoro che
tutti aspettavamo.
Dylan pesca a piene mani nelle radici della musica americana, come ha sempre
fatto, solo che questa volta sembra si sia divertito a risuonare pezzi e
autori di cui è innamorato da tempo: è futile il richiamo a "Blue moon"
nella stereotipata "Bye and bye" e troppo monocordi certe sue
interpretazioni. Si sa, la voce di Dylan sale e scende e il suo fascino sta
nei risvolti che riesce a creare proprio quando prende fiato o si incrina
nelle sue asprezze. Sarà faticoso, non solo per i dylaniani, accettare che
anche quella risulta troppo normale.
Alla fine a salvare il disco è quel senso di imminenza sprigionato dai
testi, ma come ci si può accontentare di una fitta parafrasi da parte di
un'artista che ha scritto storia e poesia a tempo di rock?
Abbinare parole e musica non è un compito facile per nessuno.
(fonte: mescalina.it)
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BOB DYLAN - Love & Theft
di Marco Malaguti
“Love and Theft” è un buon disco, suonato in modo
esemplare e ricco di canzoni che ti entrano in testa già dal primo ascolto.
I musicisti coinvolti sono i medesimi dell'ultima formazione usata da Dylan
per il Neverending Tour: Charlie Sexton, Larry Campbell, Tony Garnier, David
Kemper con l'aggiuta del tastierista dei Texas Tornados Augie Meyers.
L'inizio è abbastanza carico e il rock-blues di “Tweedle dee & tweedle dum”
è costruito sulla falsa riga di “Political world”, brano d'apertura di “Oh
Mercy” capolavoro del 1989. Con “Mississippi” sembra veramente di tornare
indietro di parecchi anni; un folk elettrificato che sembra un outtake di
“Highway 61 revisited”, se non fosse per la pulizia del suono e le influenze
texane dei musicisti presenti. E' una classica composizione di Dylan, così
classica che quasi ti viene di anticipare la melodia, ma sfido chiunque a
scrivere qualcosa del genere. Con il terzo brano non si riesce a credere
alle proprie orecchie: “Summer days” è un rockabilly-swing molto anni '50 e
fa un certo effetto sentirlo cantare dalla voce rauca, sofferta ma molto
espressiva di Dylan. I musicisti si immergono completamente nel ruolo ed il
brano risulta coinvolgente e persino ballabile. Si continua con le atmosfere
anni '50, anche se più rilassate, di “Bye and bye”con la band che swinga
alla grande ed il suono diventa molto jazzato. Impressiona la bravura e la
duttilità dei musicisti (prettamente rock); in particolare Charlie Sexton
infila una serie di assoli ben inquadrati nell'ambiente creato dal
produttore Jack Frost e dalle particolari composizioni del vecchio Bob.
Il brano successivo è il meno convincente: “Lonesome day blues” è (come dice
il titolo) un blues elettrico suonato con professionalità, ma abbastanza
ripetitivo e lungo (ben 6 minuti). “Floater (too much to ask)” ci riporta
ancora più indietro nel tempo; l'introduzione di violino, la ritmica che
swinga e la solista che lavora di fino creano un'atmosfera anni '30 molto
particolare. Il brano è molto orecchiabile e gli stacchi inseriti ci danno
ancora una misura del genio del cantautore di Duluth. Chitarrra e banjo,
voce nasale, rauca e sofferta introducono “High water (for Charlie Patton)”,
un brano che non avrebbe sfigurato nella colonna sonora di “Pat Garrett &
Billy The Kid”; tra country, blues e il crescendo ritmico del brano,
scorrono i 4 minuti abbondanti del brano. Ritorniamo ancora ad atmosfere
anni '30 con “Moonlight” brano che sembra essere stato scritto da George
Gershwin, tanto è presente una componente “classica”; sembra quasi che negli
ultimi tempi Bob Dylan non abbia ascoltato altro che Django Reinhardt o i
dischi cantati di Chet Baker... Si ritorna di colpo a un brano sullo stile
di “Highway 61 Revisited” con la slide e la ritmica tirata; “Honest with me”
ricorda anche alcuni pezzi di John Mellencamp, nonostante la struttura sia
quella ultra-classica del blues a 12 battute.
Dopo la sfuriata elettrica si torna all'acustica “Po' Boy”, caratterizzata
ancora da una scrittura che ricorda i classici della prima parte del '900 e
cantata in una tonalità alta. La band imbraccia ancora una volta
l'attrezzatura elettrica per un blues molto strano: “Cry a while” alterna un
ritmo tranquillo molto bluesy ad una ritmica in 2/4 con chitarre in levare.
Chiude il disco la ballata “Sugar baby” che riesce a non tediare nonostante
i quasi 7 minuti di durata. Chitarra, organo fisarmonica per un brano di
atmosfera con una costruzione melodica pregevole.
(Fonte: ondarock.it)
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Video : Bob Dylan Brownsville Girl
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Giovedi 18 Dicembre 2008
Bob Dylan a Milano
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TTS : Huck's Tune - La traduzione in italiano
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Toccato dalla grazia sul Fiume Rosso - di Paolo Vites
Stanotte non ho dormito quasi niente. No, non era perché
assillato – come mi succede quasi ogni notte – dai debiti e dalle tante
bollette che faccio fatica a pagare ogni mese. Era perché mi sono messo ad
ascoltare alcuni dei brani che compongono il Bootleg Series 8. Erano decenni
che canzoni di Bob Dylan non mi colpivano così. Questo disco contiene alcuni
dei vertici del più grande autore di canzoni rock di tutti i tempi. In
particolare le due versioni di Mississippi, Marchin’ To The City, Can’t Wait
e Red River Shore. Una per una, spero, le analizzerò tutte. Questa notte
però mi sono fermato sulle rive del fiume rosso.
Questi brani, che appartengono alle session del disco Time Out Of Mind
rivelano molti segreti, quelli di una “restless mind” alla ricerca della
bellezza. Hanno spesso dei versi che poi sono stati riciclati in altre
canzoni dello stesso disco, a testimonianza di come Dylan lavora alle sue
canzoni, componendole, nel 1997 come nel 1966, direttamente in studio. E
come sempre, è nel grande mare della tradizione americana che il musicista
va a pescare.
The Red River Shore è una antica ballata che si può trovare sull’antologia
Folk Songs of North America curata dal musicologo Alan Lomax. È nella
sezione “The West”, in una sottosezione chiamata “Prairie Farmers”. Canzoni
dei cowboy, insomma.
È una versione aggiornata di New River Shore che risale al 1910 e la cantava
una certa Minta Morgan di Bells, Texas, Forse la ragazza del fiume rosso di
cui canta adesso Dylan. Nel 1965 il Kingston Trio, un popolare gurppo folk,
ne fece una versione. È interessante notare come il pezzo contenga i versi:
“She wrote me a letter. She wrote it so kind and in that letter these words
you will find. ‘Come back to me, darling, you're the one I adore. You're the
one I will marry on the Red River shore’”.
She wrote me a letter. She wrote it so kind, Dylan le avrebbe inclusi nella
sua Not Dark Yet sempre su TOOM.
Il pezzo è una dolcissima nenia di stile tex-mex, la musica al confine fra
Texas e Messico cantata da Dylan con una intensità da brivido. Come nelle
sue migliori canzoni, sei portato fuori dalla realtà contingente per
addentrarti in una realtà che probabilmente neanche il cantante ha mai visto
di persona ma che lui fa in modo di rendere possibile. Il Red River esiste
veramente, e si trova nel Texas. È il miracolo delle migliori canzoni rock:
“Tutto il mondo è contenuto in una canzone che dura tre minuti”. Greil
Marcus lo ha detto, e ha ragione. Meglio ancora se la canzone di minuti ne
dura più di sei, come questa.
Stamattina ho aperto il computer e ho trovato una e-mail dell’amico Giorgio
Natale. Great minds think alike. Anche lui deve aver dormito poco stanotte.
Le sue parole valgono le mie, anzi meglio:
“Qualcuno spegne la luce e si affida al bagliore della luna piena”, canta
Dylan. Il tono è di quelli che hanno a che fare con la morte e gli angeli.
“Di tutte le belle ragazze che mi volevano una sola ne ho mai voluta e ho
provato a farne mia moglie”. Subito, di schianto, ho capito che era lei:
“Più vera di un gran sogno che non so dove sia finito lei era vera alla
vita, era vera a me”. E non posso più sfuggire la memoria dell’unica che
adorerò per sempre: “Viviamo all'ombra dei ricordi, intrappolati nelle cose,
e io ho sempre cercato di non ferire nessuno, di stare lontano dal male”.
“Ma dopo aver fatto e detto tutto, io non so quale sia il punteggio, quale
sia il punto, tutto quello che so è che ogni nuovo giorno senza di lei èun
giorno perso”.
“E anche se sono straniero in terre sconosciute so che quello è il mio
posto, girando e vagando vicino a lei. Ma quando ho provato a tornare là,
per sistemare la faccenda, la gente mi guardava senza sapere di chi
parlassi”.
La grazia di un incontro così non la posso ricreare io.
“Come vorrei aver passato ogni giorno della mia vita con lei!”.
E sarà che l’unica possibilità di salvezza viene da un altro mondo (“Le
carte che hai in mano non valgono niente a meno che non vengano da un altro
mondo” dà un altro significato, cantava nell’epocale Series of Dreams che
appare in una versione alternata in questo BS); sarà la struttura melodica
che ricalca perfettamente il ritornello; o sarà che, come quella, mi ha
colpito dritto al cuore, ma qui c’è qualcosa di Series Of Dreams.
E finisce: "Ho sentito di un tipo vissuto tanti anni fa, un uomo capace di
tanto dolore, che se qualcuno fosse morto vicino a lui sapeva come
riportarlo in vita. Non so che linguaggio usasse o se queste cose succedano
ancora, a volte mi sembra che nessuno mi abbia mai guardato, mai conosciuto,
tranne la ragazza sulle rive del fiume rosso”.
(fonte: gamblin-ramblin.blogspot.com)
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Time Out Of Mind (Columbia, 1997)
di Marco Pavan
Avete presente quei pub fumosi, con le luci soffuse pieni di gente di mezza
età che si trovano nella provincia americana? Bene allora avete una certa
idea per l'ideale locazione di questo fantastico disco blues di Bob Dylan.
Il blues appunto, quella musica del diavolo che tanto fece scalpore con i
suoi primi vagiti attorno agli anni 40.
E' un blues d'annata quello propostoci dal menestrello, senza fronzoli o
contaminazioni da altri generi musicali: blues puro, verace, sporco,
trascinato più che cantato, sofferto. Canzoni emblema del disco sono
indubbiamente l'iniziale "Love Sick", aggiornamento riveduto e corretto allo
stile classico dei blues della desolazione tanto famosi per Dylan, e la
finale cavalcata senza fine (16 minuti!) di "Highlands" uno dei punti più
alti del lavoro, dove la voce del nostro è il quinto strumento dopo
chitarre, contrabbasso, batteria ed organo.
Non mancano però alcuni punti romantici dove Dylan ci propone le sue
classiche ballads: innanzitutto "Standing In The Doorway" (la cui unica
pecca, rinvenibile in una così soffice melodia retrò ed un songwriting come
al solito impeccabile, è forse un'eccessiva monotonia), la pianistica "Make
You Feel My Love", la classica (violino e armonica in evidenza) "Tryin' To
Get To Heaven", per finire con l'immancabile gioiellino del disco quella
"Not Dark Yet" dall'assolo chitarristico finale davvero di disarmante
bellezza.
Dicevamo appunto di un blues verace di spaventosa originalità pur nella sua
fedeltà agli stilemi classici; le contaminazioni a ben vedere ci sono, anche
se ben mascherate, a partire dalle taglienti chitarre elettriche del pezzo
probabilmente più duro (se così è definibile) "Cold Irons Bound", o le vaghe
atmosfere reggae che si respirano in "Can't Wait".
"Million Miles" è un altro pezzo che vale il disco con quella sua sonorità
da scantinato, quei suoi piatti appena sfiorati a scandirne il ritmo,
quell'organo a pompa lento ma costante come il battito del cuore di un
grosso animale. Nel complesso con "Tme Out Of Mind" assistiamo davvero ad un
tempo fuori da qualsiasi memoria storica perché l'originalità di Bob Dylan
scavalca ogni possibile recriminazione di aver composto un disco che sa di
già sentito.
Non possiamo che inchinarci ancora una volta davanti a delle sonorità così
avvolgenti, così cool che immergono l'ascoltatore in una dimensione
desolante ma calda. E dobbiamo riconoscere a Bob di avere qui dato prova di
essere oltre che un grande cantautore, un vero e proprio musicista di
grossissima levatura che nulla ha ad invidiare ai mostri sacri dello storico
blues americano (New Orleans per intenderci); merito tutto ciò anche della
raffinatissima produzione di Daniel Lanois.
(fonte: kalporz.com)
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MY FAVORITE SONGS
By – John Lennon
The Rolling Stone Interview
Quali pensi siano le migliori canzoni che hai mai scritto?
La migliore di sempre?
La migliore di sempre. Qual è la migliore canzone che tu abbia mai scritto?
L’unica, la migliore canzone?
Ci hai mai pensato?
Non so. Se qualcuno mi chiedesse qual è la mia canzone preferita, se è
Stardust o altro… non potrei… questo tipo di decisione non riesco a
prenderla. Mi è sempre piaciuta “Walrus”, “Strawberry Fields”, “Help”, “In
my Life”. Queste sono alcune delle preferite, lo sai.
Perchè “Help”?
Perchè lo pensavo veramente, ed è reale. Il testo è valido oggi tanto quanto
lo era allora. Non è diverso, sai, e mi fa sentire bene il fatto di sapere
che ero già così assennato allora, o meglio, così cosciente di me stesso.
Ero solo io che cantavo “help” e lo pensavo davvero. Non mi piace più di
tanto la registrazione, ma la canzone sì. L’abbiamo fatta troppo in fretta
per cercare di essere commerciali. Mi piace “I Want To Hold Your Hand,”
l’abbiamo scritta insieme ed ha una bellissima melodia.
Potrei rifare “I Want To Hold Your Hand” e “Help” ancora, perchè mi
piacciono, le canto, quelle sono le tipologie di canzoni che canto.
Perchè “Strawberry Fields”? Pensavi fossi vera?
Perchè è vera, sì. Era vera per allora, ed è… credo sia come parlare, sai… è
come quella di Elton John in cui lui canta…non so.. parla a se stesso,
canticchiando, cosa che pensavo carina.
Canzoni come “Girl”?
Si, quella mi piaceva.
“Run for Your Life”?
“Run for Your Life” l’ho sempre odiata.
Perchè?
Non lo so. Era una di quelle canzoni che ho buttato fuori tanto per scrivere
qualcosa, ed era finta. Ma “Girl” è vera. Non esiste “la ragazza”, era un
sogno, ma le parole sono ok. Si parlava di “was she taught when she was
young that pain would lead to pleasure, did she understand it,” (=le è stato
insegnato quando era giovane che il dolore ti porta al piacere, e lei
l’aveva capito) ecc... Sono una sorta di citazioni filosofiche. Era
ragionevole, ci stavo pensando quando le ho scritte. Non era solo una
canzone, ed era su quella ragazza (che poi è risultata essere Yoko alla
fine) ma quella che molti di noi stavano cercando. Ci sono molte canzoni che
mi piacciono che mi dimentico. Mi piace “Across the Universe” anche.
Perchè?
Perchè è uno dei migliori testi che abbia mai scritto. Anzi, forse potrebbe
essere il migliore, non so. È uno dei migliori, è poesia, o qualsiasi cosa
tu voglia chiamarla, senza fronzoli, sta in piedi da sola. Vedi, quelle che
mi piacciono sono quelle che stanno in piedi anche senza la melodia, che non
hanno bisogno della melodia. È poesia, sai, potresti leggerle.
In un’intervista che avevi fatto con Jon Cott hai detto qualcosa a proposito
di “Ticket to Ride”, che era una delle tue preferite.
Si, mi piaceva perchè era un sound leggermente nuovo all’epoca. Non è la mia
preferita. Se la ascolti ora non è così male, ma se mi dessi la traccia ora
e te la remixassi, ti mostrerei cos’è veramente, ma lo si poteva già
sentire, io volevo solo usare il suono “jangling” del pianoforte e delle
chitarre. Mi piacevano il suono delle chitarre e della batteria pesante
insieme.
In I Am the Walrus ...
“I Am the Walrus” era il lato B di “Hello, Goodbye,” puoi crederci?? Il lato
B di “Hello, Goodbye”!!
English version
MY FAVORITE SONGS
By – John Lennon
The Rolling Stone Interview
What do you think are your best songs that you have ever written?
Ever?
Ever. What is the best song you have ever written?
The one best song?
Have you ever thought of that?
I don’t know. If somebody asked me what is my favourite song, is it
“Stardust” or something...I can’t...that kind of decision making I can’t do.
I always liked “Walrus,” “Strawberry Fields,” “Help,” “In My Life.” Those
are some favourites, you know.
Why “Help”?
Because I meant it, it’s real. The lyric is as good now as it was then. It’s
no different, you know, and it makes me feel secure to know that I was that
sensible, or whatever, not sensible, but aware of myself then. It was just
me singing “Help” and I meant it. I don’t like the recording that much, the
song I like. We did it too fast, to try to be commercial. I like “I Want To
Hold Your Hand,” we wrote that together, it’s a beautiful melody. I might do
“ I Want To Hold Your Hand” and “Help” again, because I like them, I sing
them, they are the kinds of songs I sing.
Why “Strawberry Fields”? Did you think that was real?
Because it’s real, yeah. It was real for then, and it’s ... I think it’s
like talking, you know ... it’s like that Elton John one where he’s singing,
oh I don’t know, he talks to himself, sort of singing, which I thought was
nice, which reminded me of that.
Songs like “Girl”?
Yeah, I liked that one.
“Run for Your Life”?
“Run for Your Life” I always hated.
Why?
I don’t know, it was one of them I knocked off just to write a song, and it
was phoney. But “Girl” is real. There is no such thing as the girl, she was
a dream, but the words are all right. It’s about “ was she taught when she
was young that pain would lead to pleasure, did she understand it,” and all
that. They’re sort of philosophy quotes. It was reasonable, I was thinkin’
about it when I wrote it; it wasn’t just a song, and it was about that girl,
that happened to turn out to be Yoko in the end, but the one that a lot of
us were looking for. There’s many songs I forget that I do like. I like
“Across the Universe” too.
Why?
Because it’s one of the best lyrics I’ve written. In fact, it could be the
best, I don’t know. It’s one of the best, it’s good poetry, or whatever you
call it, without chewin’ it, it stands. See, the ones I like are the ones
that stand as words without melody, that don’t have to have any melody. It’s
a poem, you know, you could read ‘em.
In an interview that you did with Jon Cott, you said something about “A
Ticket to Ride” being a favourite song of yours.
Yeah, I liked it because it was slightly a new sound at the time. It’s not
my favourite song. If you hear it now, it doesn’t sound too bad, but if you
give me that track now and I remix it, I’ll show you what it is really, but
you can hear it there, I just wanted to use jangling piano and guitars, I
used to like guitars and heavy drums together.
In “I Am the Walrus” ...
“I Am the Walrus” was the B-side of “Hello, Goodbye,” can you believe it?
The B-side of “Hello, Goodbye”!
Dean Spencer News
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Album : Sarah-Jane Morris - MIGRATORY BIRDS
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Libri : Storie Rock
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Video : Bob & Sara from Renaldo & Clara
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Video : Man of Constant Sorrow live at Hammersmith
Odeon
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Mercoledi 17 Dicembre 2008
Series of Dreams: The Vision Songs of Bob Dylan
Visions of Bob Dylan
Dec 12 2008 by Sara Bain, Dumfries Standard Friday
Il leggendario Bob Dylan , probabilmente il più influente cantautore
dell’era , ha recentemente dichiarato che la poesia “My love is like a red
red rose” , scritta da Robert Burns in Dumfries nel 1794 , è stata il testo
che ha avuto il maggior impatto sulla sua vita.
L’ispirazione di Dylan , annunciata anche dal music store HMV’s My
inspiration Campaign , è forse il punto più alto di un’affinità che Bob ha
avuto con la musica tradizionale scozzese dagli inizi degli anni 60’, quando
vi fu introdotto da un’altra grande cantante di traditional folk songs ,
l’americana Joan Baez , la cui madre era scozzese.
Quindi sarebbe stato particolarmente conveniente se qualcuno avesse scritto un libro
che esplorava il significato dei più grandi testi di Dylan , il libro doveva
essere scritto da una persona che insegnava inglese nella città dove Burns
scrisse quella che probabilmente è la sua più bella poesia d’amore , e
doveva essere pubblicato da un editore locale.
Ma la connessione locale non è stata la maggior fonte di ispirazione per
Series of Dream : Le canzoni delle visioni di Bob Dylan.
Interrogato su cosa sia costretto a scrivere su un artista che è già stato
soggeto di tanti altri libri , lo scrittore John Burns ricorda che per quasi
50 anni le canzoni di Dylan si sono confrontate con la società , la politica
e le idee spirituali sul mondo nel quale viviamo.
John ha esaminato tutti i maggiori album di Dylan dal 1960 ad oggi ,
esplorando come un grande cantautore trasforma in maniera filosofica e
musicale le idee in una visione artistica che può cambiare il nostro modo di
vivere.
Poeta , critico ed insegnante di Inglese e Tai Chi , John è stato
affascinato da Bob Dylan fin da quando vide la sua prima performance dal
vivo a Glasgow nel febbraio 1991. Il fascino trasuda da tutto il libro che
si apre proprio con la descrizione di quel concerto.
L’editore Glen Murray , anche lui fan di Dylan. , ha detto : “ Ho ascoltato
Dylan sin da quando andavo a scuola , ma questo libro aggiunge una nuova
dimensione, e da un contributo importante nella comprensione del lavoro di
uno degli artisti più significativi che ci siano”.
Series of Dream è stato presentato domenica alla McGill Duncan Gallery a
Castle Douglas , ed è disponibile presso i rivenditori locali oppure on
line ai seguenti indirizzi :
http://www.glenmurraypublishing.co.uk/seriesofdreams.htm
http://www.amazon.co.uk/Dreams-Vision-Songs-Bob-Dylan/dp/0955318351
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Concerto alla London O2 Arena : spettacolare o
potenziale imbarazzo ?
Il 25 aprile 2009 al London 02 potrebbe essere
spettacolare – se la qualità del suono e gli schermo giganti saranno così
belli come lo sono stati per lo show di Leonard Cohen.
Ma se gli schermi non saranno usati la qualità dello spettacilo potrebbe
essere povera ed imbarazzante. Il mio posto proprio si fronte al palco , fra
i 20.000 posti era perfetta per lo show di Leonard Cohen. Ma se allo show di
Dylan mancheranno gli schermi giganti i musicisti sul palco saranno
virtualmente invisibili , e questo creerà molto dipappunto.
Molti lettori del Dylan Daily condividono le mie preoccupazioni :
*Martin Cowan : sarà interessante vedere come Dylan sosterrà il confronto con
Cohen allo 02 , io per primo sarei sorpreso se consentirà l’uso degli
schermi giganti , conoscendo la sua fobia per macchine fotografiche e roba
del genere.
*Non saprei dire, ma penso che la sua musica sarebbe sentita meglio in
posti più piccoli. Mi viene in mente la Brixton Academy nella primavera del
1995.
*Gordon Macniven : Dopo aver finito con quelli che sembrano essere posti di
merda , io sarei interesato a rilevare ognuno dei posti indesiderati.
* Lei , o qualcuno dei suoi lettori sapete :
Quanti concerti Dylan ha tenuto in tutti questi anni ?
In quanti paesi ha suonato ?
In quante città ?
In quanti posti diversi ?
*Cornelia Grolsch : Vi auguro una piacevole serata alla 02 Arena di Londra.
Non è il vecchio stadio del Millennium ? ( Si , lo è , Gerry Smith ) . Ho
visto anche Leonard Cohen , in ottobre a Berlino allla 02 Arena , la più
grande nuova arena con 15.000 spettatori. Sono stata un pò spaventata da
questa arena , ma è stato il miglior concerto al quale ho assistito.
* "Buonissimo suono ( in fondo di fronte al palco ) e gli schermi giganti ci
hanno fatto apprezzare tutto il resto :-o)
* “ Sfortunatamente Bob Dylan suona in un’altra arena a
Berlino , la Max-Schmelinghalle , lo stesso posto del 2007 , con un suono
non buono. Ma poichè la hall è pressapoco sold-out , potrà essere che
cambierà con la 02m World ? Bobby imparerà qualcosa da Leonard ? Lenny è
stato cos’ bello per la folla.
Gerry Smith
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Parlando di Oh Mercy
Bob Dylan: Oh Mercy
Recensione di: benzo24 , (Sunday, January 02, 2005) | Voto: ●●●●●
Correva l'anno 1989 ed era dai tempi di Infidels che Bob Dylan non
pubblicava lavori all'altezza delle sue capacità e della sua fama: una serie
di dischi poco curati distrutti da scellerate produzioni di cattivo gusto.
Il primo passo fu quindi dare un "suono" che esaltasse le qualità delle
canzoni e così la produzione fu assegnata al geniale Daniel Lanois, il disco
che ne uscì è Oh Mercy ed il risultato fu sbalorditivo!
Fin dalle prime note l'ascoltatore è introdotto in un mondo magico, fatto di
suoni densi e caldi, mentre passano in rassegna brani di una bellezza
dirompente, di un'intensità superiore che solo Dylan riesce a dare con il
suo tocco.
Come non rimanere attoniti di fronte a "Man In The Long Black Coat", gente
come Tom Waits o Nick Cave (per fare solo due nomi) è da sempre alla ricerca
di scrivere momenti così splendenti e vigorosi.
Oh Mercy, un disco, la realtà, un sogno reale o meglio: la realtà di "una
serie di sogni" che ci racconta di posti dove cadono le lacrime, di montagne
piene di pecore smarrite, di campane che scandiscono la perdita
dell'innocenza, di gente che soffre e lotta nella notte a causa della
malattia della Vanità, confini invisibili, strade incorniciate da alberi
africani in cui soffiano delle brezze minacciose.
Un mondo dove tutto è un compromesso, in cui tutto è spezzato, dalle strade
ai cuori, un mondo senza amore, senza dignità in cui non si distingue più il
bene dal male, un mondo sovrastato dalla figura dell'uomo con il lungo
cappotto nero, ladro di sogni, ladro d'amore, che ci lascia soli con i
nostri rimpianti e i nostri ricordi, soli in mondo di stelle cadenti, che
bruciano in pochi istanti e svaniscono nell'immensa oscurità, dove una
solitaria voce sussurra, grida, invoca e ripete sempre la stessa parola:
pietà!
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Bob Dylan: Oh Mercy
Recensione di: Viva Lì , (Friday, July 21, 2006) | Voto: ●●●●●
"Oh Mercy" è uno di quei dischi che non ti aspetti, che pensi non sarebbero
mai potuti arrivare e poi, tutto d'un tratto, te li trovi tra capo e collo
senza nemmeno capire il perchè e il per come, però ti piacciono, e questo ti
basta. Frasetta un pò troppo romanzata? Può darsi, ma assolutamente
corrispondente a verità. Perchè non è opinione isolata sentire molti vecchi
fans di Dylan affermare: "Dopo "Infidels", Bob non ha più imbroccato mezzo
disco", e un po', per chi conosce "Oh Mercy", vengono istantaneamente i
brividi.
Dall'incontro tra David Lanois (storico co-produttore degli U2, artefice del
grande successo di "The Joshua Tree") e Bob Dylan, in pratica la leggenda
del folk cantautoriale, non poteva che nascere un capolavoro, come
puntualmente è avvenuto. In effetti, gli umori e le armonie musicali
inseguite da Lanois Dylan le conosce bene: pochi lo sanno, ma fra Dylan e
gli U2 videro la luce alcune interessanti collaborazioni musicali (per la
band di Bono Dylan si improvviserà anche provetto suonatore d'organo). E
così, quando ormai gli anni Ottanta stanno volgendo inesorabilmente al
termine, la zampata leonina di Dylan appare, se possibile, ancora più
vigorosa e incisiva. E mentre in Italia ci si chiedeva "Cosa resterà di
questi anni Ottanta?" (poco, in verità), Bob Dylan cantava "Where Teardrop
Falls". Capite la differenza?
"Oh Mercy" è un disco doppio, nel senso che presenta due condizioni
musicali: ritmico e classicheggiante nella prima parte, più lento e
intimista nella seconda. Dylan si rifà a vecchi amori di gioventù: dalle
atmosfere alla Creedence Clearwater Revival, ai vecchi miti come Guthrie o
Hank Williams. I brani sono tutti impeccabili e sontuosi, spesso addirittura
spiazzanti: "Political World" è un blues distorto e affascinante,
"Everything Is Broken" dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, essere il brano
cardine dell'intero album, ma, sebbene stupendo, non è nè migliore nè
peggiore di altri, forse solo un pò più ritmato e incalzante. Ma sarebbe un
errore ignorare ballate come "Ring Them Bells", tenera e stringata, veloce
ed essenziale. Le emozioni ritornano prepotentemente in primo piano con la
bellissima "Man In The Long Black Coat", e questa volta, come in una sorta
di miracolosa trasformazione vocale, Dylan canta persino in maniera pulita e
poco traballante. La voce è roca, ma chiara e puntuale, precisa nel
tratteggiare suoni e odori di una storia umida e bagnaticcia, come lo è
l'America cantata, sempre con partecipazione e mai con distacco, da un Dylan
in effervescente stato di grazia.
La seconda parte, appunto. Pezzi lenti dicevamo, eppure ancora una volta
stupendi. Si potrebbe accusarlo di inconcludenza e si potrebbe persino dire
che tutti i brani di questa seconda parte un pò si assomigliano (ed in parte
è vero), ma la freschezza compositiva e la ritrovata serenità musicale,
impediscono qualsiasi critica negativa. "What Was It You Wanted" è
bellissima, ma ad eccellere è la mestissima "Shooting Star", uno dei più bei
brani firmati Bob Dylan da molti anni in qua. La mano di Lanois è presente,
ma non è un peso: sotto la guida esperta di un produttore furbo e astuto,
Dylan riesce finalmente a ritrovare la propria vena cantautoriale, seppur
dolente e invecchiata (ma è prevedibile), rispetto ai tempi in cui sobillava
le folle con "The times they are a changin". Si può dunque tranquillamente
gridare al miracolo, peccato però che il successivo album, "Under The Red
Sky", sia vacuo e a tratti persino pietoso. "Oh Mercy" è l'ultimo grande
acuto di un Dylan che, per qualche attimo, sembra aver ritrovato la sua
forma migliore. Che sciuperà, come spesso in questi ultimi anni gli è
accaduto, in quattro e quattr'otto.
(fonte: debaser.it)
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Springsteen , quei maledetti 22 minuti - di Paolo
Vites
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Video : Bob Dylan Man In The Long Black Coat
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Martedi 16 Dicembre 2008
Nel Mississippi un giorno di troppo
di Paolo Vites
“È la canzone più triste, ma anche la più coraggiosa, che abbia mai
sentito”. Così mi scriveva qualche giorno fa un amico inglese, raccontandomi
di aver ascoltato, saputa la notizia della grave malattia di un suo
conoscente, a lungo la nuova versione di Mississippi (incisa originariamente
durante le session del disco Time Out Of Mind, nei primi mesi del 1997)che
uscirà sul BS 8 il prossimo 3 ottobre.
Quello di “canzone coraggiosa” è un sentimento che Mississippi, già nella
splendida versione che apparve su Love & Theft, aveva sempre ispirato anche
a me. Non so bene perché. C’è un senso di stoicità, quello di un uomo che
guarda facendosi forza in faccia le avversità che lo colpiscono, che ho
sempre percepito uscire da quel brano, forse per il modo veemente con cui
Dylan la esegue appunto nella versione di L&T. È un urlo strozzato in gola
quello che si sente durante momenti come “Got nothing for you, I had nothing
before, don’t even have anything for myseeeeelf anymore” oppure “Last night
I knew you, tonight I doooon’t!”.
L’immagine che affiora alla mente è quella di un uomo abbandonato da tutti,
pure da Dio, e che non ha più nulla da offrire. Un uomo sulle cui tracce
potrebbe esserci un demonio, per citare Robert Johnson.
E non dimentichiamoci un verso che Nostradamus avrebbe pagato per scrivere
lui, in una canzone messa nei negozi l’11 settembre 2001: “Sky full of fire,
pain pourin’ down”. Come non pensare alle Torri Gemelle in fiamme e a quei
corpi disgraziati che da esse volavano giù, carichi di straziante dolore?
La versione che si ascolta grazie a questa outtake cambia – apparentemente –
le carte in tavola. Non c’è più la banda di fieri accompagnatori che
tracimano note furiose cercando di incalzare il cantante: l’immagine che
Greil Marcus diede dei musicisti di The Band intenti a eseguire il brano
Baby Please Don’t Do It è quanto mai calzante anche questa volta: ascolti
Charlie Sexton, Larry Campbell e soci e ti sembra di vedere un gruppo di
soldati ribelli malconci che vanno coraggiosamente verso il nemico,
consapevoli che hanno a disposizione una sola opzione: la morte sicura.
Ci sono solo Dylan e Daniel Lanois seduti uno di fronte all’altro, questa
volta. Il primo imbraccia una chitarra acustica, il secondo una elettrica.
Si sente distintamente il piede di Dylan battere sul pavimento per tenere il
tempo. Stanno suonando un tempo di blues, deciso e inquietante. L’immagine,
adesso, è quella di Robert Johnson seduto che guarda il muro mentre incide
le sue canzoni. I soldati sono andati via, o devono ancora arrivare. La
guerra non è ancora scoppiata.
Se il tempo è quello di un blues (e ben si adatta a un demonio che si fa
pressante, sulle tracce del protagonista), la melodia che il cantante esegue
è la medesima della versione che inciderà quattro anni dopo, anche le parole
sono le stesse. Dagli evidenti errori nelle parti di chitarra si desume che
questa registrazione è una prova, delle tante che si fanno in studio, per
immaginare poi come suonarla con la band. Da come la canta Dylan,
magnificamente, senza esitazione alcuna, è invece evidente che per il
cantante il pezzo è già definitivo: a differenza della sua incurabile mania
di riscrivere le sue canzoni registrazione dopo registrazione, Dylan non
toccherà la melodia, il tempo, neanche un verso, nei successivi quattro
anni. Lui sa che va bene così.
E di cosa canta, in queste session del 1997, Bob Dylan, in quello che è
definitivamente uno dei suoi capolavori assoluti di tutti i tempi, uno di
quei “masterpiece” che sembrava avesse dipinto solo negli anni 60 e in
qualche sparuta occasione nei 70? Ascoltatelo come modella le parole durante
i versi conclusivi, “nothing you can sell me, I’ll see you arOOound”, con
l’intonazione da consumato esecutore di Appalachian ballads, la stessa
passionalità che aveva messo qualche anno prima nelle incisioni dei due
dischi di vecchi traditional Good as I been to you e World gone Wrog. Solo
che questa volta la canzone è sua, ma non fa differenza. “Se non hai quel
tipo di fondamenta, se non sei ancorato nella tradizione, non andrai da
nessuna parte” aveva detto una volta. Ed è così. Questa Mississippi è antica
come i canti della Carter Family, ancora di più. Questa Mississippi è di una
tristezza infinita, ma anche di una commozione insostenibile. Per chi sta
cantando Bob Dylan?
Lui ha detto che il pezzo ha a che fare con la Carta costituzionale degli
Stati Uniti, con la dichiarazione di indipendenza e con i diritti civili
(nel Mississippi, negli anni 60, si svolsero le più accese battaglie per i
diritti dei neri, vedi anche il bel film Mississippi Burning); Lanois
probabilmente la sentiva una dichiarazione a una donna, visto che gli chiese
di inciderne una versione “più sexy”, al che Dylan lo mandò a cagare
decidendo di tenere fuori questo capolavoro dal disco finito. Su Internet
una volta ho letto che il protagonista del brano potrebbe essere uno schiavo
di metà dell’800 che sta scappando verso la libertà, il nord, e in effetti
se letto da questo punto di vista, il testo di Mississppi sembra adattarsi
quasi a perfezione, inclusa l’immagine dei compagni che erano salpati sul
mare insieme al protagonista, che potrebbero essere schiavi strappati via
dall’Africa. E il nero che si racconta, che sogna Rosie, che vorrebbe essere
nel letto di Rosie, magari è uno schiavo che ha avuto l’ardire di flirtare
con un donna bianca e, condannato a morte e liberato magari da lei stessa,
sta cercando di scappare al “diavolo che è nel cortile”. Immagini calzanti,
se ci pensate bene. La desolazione che emerge da questa versione del 1997
può essere solo la voce di un condannato a morte.
Ma poi chi può dirlo veramente?
“Ciascuno dei dischi che ho fatto è emanato dal panorama complessivo di ciò
che rappresenta l’America per me” ha detto Dylan in una intervista relativa
proprio al disco L&T. “L’America per me è una marea montante che solleva
tutte le navi, e non ho mai davvero cercato ispirazione in altri tipi di
musica”. Mississippi è la conferma che Bob Dylan è stato la più grande voce
del suo Paese, almeno dai tempi di Walt Whitman, e ancora non si vede un
erede adeguato. In migliaia ci hanno provato, ma nessuno ha raggiunto le
vette su cui Dylan si è seduto per scrivere un brano come questo.
Non resta che mettere questa versione del brano in repeat e ascoltarla fino
allo sfinimento. Prima o poi, magari, ci svelerà il suo segreto.
(fonte: gamblin-ramblin.blogspot.com)
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Audio : 15 grandi cover da ascoltare
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Bob Dylan in Italia per una breve tournèe
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Dionne Warwick al Concerto di Assisi
(ANSA) - ASSISI (PERUGIA), 13 DIC - La cantante Dionne
Warwick e' la protagonista del Concerto di Natale nella Basilica di
S.Francesco ad Assisi. Il concerto, che sara' trasmesso il 25 dicembre su
RaiUno, e' stato registrato oggi. Dopo l'apertura con il tradizionale
'Stille Nacht' sono in programma musiche di Morricone, Galante, Hendel,
Berliotz, oltre a 'Withe Christmas' di Irving Berlin e 'Blowin'
in the wind' di Bob Dylan. A dirigere l'orchestra sinfonica nazionale della
Rai e' Wayne Marshall.
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Battisti, Dylan, prosecco e cous-cous. Veltroni con i suoi
amici di Facebook
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Video : The Who - The Seeker
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il testo della 2° strofa: I asked
Bobby Dylan
I asked The Beatles
I asked Timothy Leary
But he couldn't help me either
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Bob Dylan : Red River Shore - di Dario Greco
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Lunedi 15 Dicembre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 436
- clicca qui
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I FANTARACCONTI DYLANIANI
La curiosa vita di Numero 3
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Big screens at London O2 show: “slim chance”
Thanks to Matthew Zuckerman:
”Ma se gli schermi giganti non saranno usati lo show di Dylan potrebbero
essere imbarazzante e povero”.
La possibilità che Dylan usi gli schermi al London 02 sono sottili. Come
sottili ?
Ebbene lui ha sempre insistito in tutti questi anni che gli schermi giganti
fossero spenti in tutti i festival ai quali ha partecipato . Così sarebbe un
grande cambiamento. ( Non dimentichiamo che ha consentito l’uso di
telecamere al Woodstock 2 , e quanti avrebbero scommesso --specie in questo
clima economico—contro la possibilità che Dylan avrebbe scritto le sue
memorie , che avrebbe partecipato ad un programma radiofonico o ad una
pubblicità per intimo femminile....fino al momento che l’ ha fatto ?).
Questo potrebbe essre fastidioso per la gente più distante , particolarmente
se Bob sta dietro la tastiera tutta la sera , come ha fatto la maggior parte
delle volte negli show di questi ultimi anni, ma questo è il suo modo di
lavorare. Questo è ciò che ha fatto sul palco , si è preso la libertà di
agire nel modo che più gli piace. E il modo che gli piace è quello di avere
tutto favorevole perchè possa avere la massima concentrazione nelle sue
prestazioni.
Questo significa :
1) Niente macchine fotografiche che gli buttano flash negli occhi ( ci sono
migliaia di telefonini puntati su di lui , ma non fanno flash e sono
abbastanza lontani per essere ignorati).
2) Niente cameramen vestiti di nero che si muovono nelle
sue vicinanze col le steady-cam sulla spalla che sembrano tanti Quasimodo (
ho sentito che gli piace avere meno persone possibile attorno al palco ,
come è successo con Willie Nelson e Merle Haggard quando è stato in tour con
loro pochi anni fa , che aprivano il backstage dopo i concerti).
3) Niente scambio di parole col pubblico ( solo un
“Grazie” ed i nomi dei membri della band , più una manciata di parole ogni
morte di vescovo se c’è qualcosa che vuole davvero dire , come nella notte
delle elezioni).
4) niente contatto visivo col pubblico ( questa penso sia una delle ragioni
per le quali preferisce stare dietro la tastiera , a lato del palco e di
profilo al pubblico. Poche le volte che è venuto al centro del palco o a
guardato versodi noi , ma è lui a decidere se farlo o no).
Ora , se siete posizionati in fondo alla Earl’s Court , al
NEC o alla 02 Arena , perderete la maggior parte del concerto se non sarete
così fortunati di avere un posto nelle file in fronte , ma questo è il suo
modo di stare sul palco.
Sarebbe meglio se suonasse nei posti più piccoli e lasciasse le Arene ai
Rolling Stones , U2 e----finchè non sarà a suo agio con le telecamere e le
grandi folle----Leonard Cohen ? Con lui sarebbe possibile avere un biglietto
, ma se Bob Dylan smettesse di suonare nelle arene la richiesta di biglietti
diventerebbe feroce e molti resterebbero senza ( bisognerebbe raddippiare il
numero dei concerti per compensare !).
Io ho visto Dylan alla Guidehall di Portsmouth e all’Urawa Bunka Center
appena fuori Tokio , entrambe piccole sale , e le performances sono state
meravigliose. Ma non migliori di quella del 2005 al cavernoso NEC di
Birmingham , quasi sicuramente la migliore degli oltre 50 concerti ai quali
ho assistito.
P.S. So di essere un pò strano ( preferisco il vinile al digitale per
esempio ) , ma quando ho visto i Rolling Syones allo stadio di Tokio nel
1994 avevo un posto eccellente circa in decima fila proprio in fronte , ed
anche quella volta mi sono ritrovato a guardare le immagini sugli schermi
giganti. Risultato ? Potrebbe essere atato un grande show cinematografico ,
ma non sarebbe il tipo di performance che mi aspetterei da un concerto di
Dylan.
Al fine di raggiungere un aspetto standard attraente , nei supermarket
sacrificano spesse volte il vero sapore della frutta , e corriamo lo stesso
rischiamo di fare con la musica. Se guardate uno schermo gigante , qualcosa
nella vostra mente vi suggerisce che state vedendo un film o un preogramma
televisivo , e diverrete sempre meno presenti . Gradite il fatto di essere
nella stessa stanza con Bob , anche se siete in fondo.
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An Argument for Dylan
From GypsyNester.com
Quali sono le possibilità ? Guidando lungo la strada si vede un grande
cartello illuminato che dice : “Bob Dylan in concert”.
Dato che non l’ho mai visto e forse non avrò un’altra opportunità , ho
pensato che sarei stato un idiota a non approfittare di quest’occasione ,
lui è , al di là di tutto , una vera leggenda vivente.
Veronica non era molto entusiasta perchè l’aveva visto già diverse volte (
suo papà è la quintessenza di un vecchio hippy cha va in pellegrinaggio
tutti gli anni nei luoghi Dylaniani ).
Ho cercato di provocala in tutti i modi per vedere la sua la sua reazione
sul fatto di spendere un centinaio di dollari e passare due ore della sua
vita ad ascoltare i testi incomprensibili borbottati da un vecchio di 67
anni.
Ho provato con la leggenda vivente , ma lei l’aveva già vista
,così....parlando , sono incappato in quella che credo sia la vera ragione
per chiunque sia interessato a vedere Dylan , anche se non particolarmente
per la sua musica.
Poche persone , nella storia dell’arte , hanno portato cambiamenti
significativi come Dylan , lui è una di queste poche . Fondamentalmente ha
cambiato il modo di scrivere le canzoni , non musicalmente ma liricamente.
C’è una notevole differenza fra le canzoni prima e quelle dopo la sua
influenza. Prima di Dylan , i testi raccontavano storie in maniera chiara e
semplice. L’uso delle immagini era riservato al potere della musica , con
l’uso standard della struttura melodica e degli accordi. Lui ha cambiato
tutto questo.
Ora è comune per i testi essere usati come veicolo per “dipingere un quadro”
, tanto quanto l’atmosfera della struttura musicale. Bob Dylan ha messo una
mano enorme per far sì che questo avvenisse.
Questo punto ha avuto un impatto notevole su Veronica e adesso lei aspetta
con impazienza di vedere lo show (ho deciso di non far cenno al fatto che
non sarebbe stata in grado di decifrare una parola di quello che avrebbe
cantato , nonchè di perdere l’intero testo senza capire l’argomento della
canzone).
Siamo arrivato poco tempo prima dell’inizio dello show , senza biglietti ,
ma siamo stati fortunati a troverne due in terza fila. Che posso dire ,
viviamo una vita affascinate. La prima cosa che ho notato prima di entrare
nell’arena è stata la gente.
Era molto tempo che non andavo più in uno stadio per un concerto rock , ma
mi ricordo ancora com’era , ma stavolta non era così. Mi sentivo come uno
dei giovani che c’erano lì fuori . Probabilmente sarebbe stata una buona
serata. Niente soliti casini , fumi strani dalle pentole , la sicurezza
girava in bicicletta , c’era una vasta rappresentenza , per altro tranquilla
, degli studenti del locale college disposti ad aspettare tutto il
tempo dello show pur di avere i biglietti ai prezzi più convenienti. Qualche
piccolo fumo di erba , poca roba insomma.
Per lo show , è stato più o meno quello che mi aspettavo , salvo il fatto
che Dylan si è reinventato il ruolo di tastierista in questo tour. Ha
usato la chitarra solo in un paio di canzoni , ed ha usato principalmente
l’armonica per dare colore alle canzoni. La gente impazziva ogni volta che
prendeva l’armonica , così andavano le cose.
E’ stata dura riconoscere i brani per tutto lo show , solo qualche
hardcore-fan riusciva a farlo , così siamo stati felici quando ci ha
graziato con “Highway 61 revisited” , “Like a rolling stone” e “All along
the watchtower”.
La nostalgia ti rimanda certamente indietro nel tempo a certi momenti
particolari della vita. Veronica ha trovato dei ricordi durante “Rainy day
women # 13 & 35” (huh ? , oh yeah , “Everybody must get stoned”) ,
ricordando lo scock di sua madre quando aveva visto suo padre ascoltare
quella canzone davanti a loro. Il padre spiegò in modo semplice che la
canzone parlava di Gesù , cosa divertente perchè era più o meno vero. Un bel
ricordo d’infanzia per Veronica , che l’ha fatta sorridere.
Può essere un pò fuori dagli schemi il modo col quale Dylan non apprezza il
suo pubblico , lo ignorava come se lui stesse facendo una prova invece di
uno show , questo può essere bello o no , dipende dai punti di vista ,
personalmente trovo la cosa sgradevole.
Le luci erano scarse , non abbiamo potuto vederlo bene contro il nero dello
sfondo del palco.Sembrava quasi che la gente fosse solo una necessità.
Si poteva vedere come dopo anni di esecuzioni dal vivo , come Dylan usasse
un fraseggio tale da far in modo in modo che non fosse possibile cantare
assieme . Inoltre i giovani del college e qualche vecchio hippy avrebbero
dovuto smettere di gridare le loro richieste , perchè ottenevano esattamente
l’effetto contrario.
Dylan non è stato vibrante , inoltre non sembra più un “vecchio ragazzo” ,
come ha detto Veronica “ attempatamente giovane”. Lui è dopo tutto , come
dice la sua presentazione , il poeta laureato del rock and roll , la voce
della nascente controcultura degli anni 60’ , il ragazzo che ha costretto il
folk a diventare rock , che si faceva il make-up negli anni 70’ , che è
scomparso in una nuvola di fumo di sostanze stupefacenti ed è riemerso
cercando Gesù.
E alla band calci nel culo.
David & Veronica, GypsyNester.com
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Guido Hatari : "De André ? Difficile incontrare uno così"
Il fotografo Harari , l 'autore degli scatti del tour con
la Pfm intervistato da 4minuti
di Lara Ferrari
MILANO (9 dicembre 2008) - Tra gli artisti italiani che hanno lasciato alle
cronache un ricordo indelebile c'è certamente Fabrizio De Andrè. Bohémien
dall'aria distante, difficile, agli inizi rifuggiva il contatto con il
pubblico, se non fosse stato per alcuni fidati amici, che sapevano
avvicinarlo nel momento giusto. Tra questi, Guido Harari, suo fotografo
personale per vent'anni, che ha raccontato con l'obbiettivo i più grandi: da
Bob Dylan a Lou Reed, da Pavarotti a Vasco, tra l'altro grande fan di De
Andrè. Harari ha pubblicato insieme a Franz Di Cioccio il libro "Fabrizio De
André & Pfm. Evaporati in una nuvola rock". La storia e le foto di una
tournée indimenticabile (1978 - '79)", edito dai tipi di Chiarelettere. Dopo
la "prima" milanese, autori e volume sono salpati in un tour letterario che
li porterà in alcune città italiane a cavallo tra 2008 e 2009.
Perché questo titolo? Nel libro Di Cioccio dice "Evaporato in una nuvola di
malto", riferendosi al vizio alcolico del genovese. Evaporati in una nuvola
rock, quindi?
Sì era puro malto, abbiamo parafrasato il primo verso da "Amico fragile" e
via via, di parafrasi in parafrasi, sul concetto di evaporato ci abbiamo
ricamato un po' e ci siamo allargati.
Che cosa legava lei e De Andrè?
Uno dei motivi che mi lega di più a lui, a quella tournée, è che ha segnato
il mio incontro con il cantautore e l'uomo, che fino a quel momento non
avevo mai fotografato: all'inizio condividevo con il pubblico quella
percezione generale, secondo cui Fabrizio era "invisibile". Una percezione
errata, naturalmente, e quando mi rimetto a sfogliare il volume "Una goccia
di splendore" scopro che lui in quell'occasione si è fatto ampiamente
intervistare. Grazie all'amicizia con Franz e Pfm mi ci buttai a capofitto,
decisi di propormi io stesso alla casa discografica, cosa adesso impensabile
per un fotografo giovane con la mia stessa passione. L'amicizia con De Andrè
è stata sempre all'insegna della disponibilità e della leggerezza fin
dall'inizio, cosa difficile da immaginare, a causa dell' ambiente musicale
che pone dei limiti di accesso agli artisti. Entravo a far parte di una
famiglia. Cercavo di fare il mio mestiere rendendomi invisibile. Questo mi
dava accesso ad un punto di vista privilegiato.
I retroscena di quel viaggio. Ci racconta un episodio che non ha mai detto a
nessuno?
Mi è rimasta impressa l'assoluta disponibilità di Fabrizio ad ascoltare le
proteste di chiunque. Era un periodo critico, di contestazione alle
autorità. A volte lui riusciva a condurre in porto i concerti, spesso era
costretto ad interrompersi. Ci fu una volta in cui il concerto filava dritto
senza intervalli. Lui allora si fermò dicendo che andava in pausa per una
mezzora. Ci furono proteste dal pubblico, in realtà voleva scendere tra la
folla per parlare con un ragazzo che "gli aveva detto qualcosa di brutto" -
parole sue - Panico tra la Pfm perché questo non era mai successo prima...
lui si è buttato nella mischia. E' tornato e ha detto: "Lui quante me ne ha
date! Ma io gliene ho dette!"
Parliamo di Faber nel privato. Che cosa amava e che cosa lo faceva uscire
dai gangheri?
Lui non era per nulla convinto del tour e voleva mollare tutto, si
considerava in crisi creativa. Quando la Pfm andò a proporre la sua tournée,
per tutta risposta Fabrizio rispose che voleva andare a fare l'agricoltore.
Non aveva idee precostituite, non sapeva bene quale mossa fare per il
futuro. Ciò lo sollevava da una responsabilità, quella di scrivere pezzi
nuovi. Però doveva risolvere i suoi dubbi, ad esempio, la proverbiale paura
del pubblico. Lui non si riteneva uomo di spettacolo. Ebbene, con quel tour
lo divenne. Faber era una altalena di umori difficile da arginare. Sapeva
fin da ragazzo di avere una voce in grado di ammaliare, capace di creare una
sorta di ipnosi, come uno sciamano.
De Andrè "in sintesi"?
Difficile incontrare un artista di quella cultura e di quella statura
intellettuale. Amava citare Sascia: "Un artista deve saper parlare con un
linguaggio popolare". E' stato un uomo di pensiero nel Novecento e ha
diritto di entare nel futuro.
Lei ha lavorato per Bob Dylan.
Ricordo che si circondava di persone che creavano una barriera tra lui e la
gente. Li assumeva apposta, si divertiva a spiazzare le persone. Faceva
prenotare quattro stanze e si divertiva a cambiare camera all'insaputa del
suo staff. Erano le guardie del corpo, ma lui le chiamava "guardie della
mente". Ho visto musicisti che lo accompagnavano, tipo Tom Petty e Roger
McQuinn, che a un certo punto smettevano di parlare, si raggelavano al suo
cospetto.
Lei ha firmato anche una copertina per Luciano Ligabue vero?
Sono autore di alcune immagini per il libretto di “Buon compleanno Elvis".
Luciano lo vidi a una festa dell'Unità, covava il sogno di diventare
cantante. In quell'angolo d'Italia che ci aveva dato Guccini, Nomadi, Equipe
84, ecco un rocker di razza che stava emergendo. Fu molto bello vedere un
artista crescere.
Guido Harari è curatore insieme a Vittorio Bo, Vincenzo Mollica, Pepi Morgia
della mostra multimediale che Palazzo Ducale sta preparando a Genova per
ricordare dal 30.12 al 4.05 l’anniversario dei dieci anni della scomparsa di
De André.
(fonte: 4minuti.it)
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La voce di Springsteen è il romanzo americano
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TTS : Can't Wait # 1 - la traduzione in italiano
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Domenica 14 Dicembre 2008
JAMES TAYLOR
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Sabato 13 Dicembre 2008
Annunciati i prezzi per i concerti di Dylan a Milano e
Firenze
Sono stati resi noti i prezzi dei biglietti per i due
concerti che Bob Dylan terrà a Milano e Firenze il 15 e 18 aprile 2009,
mentre ancora nulla si sa sulla terza data prevista a Roma (PalaLottomatica)
il 17 aprile.
A Milano (Forum di Assago) sono disponibili tre categorie di biglietti:
anello numerato a 55 euro e parterre in piedi e II anello non numerato,
entrambi a 36 euro. A Firenze (Mandela Forum) I settore a 50 euro, II
settore a 40 euro e III settore a 35 euro.
A questi prezzi, naturalmente, vanno aggiunti gli eventuali diritti di
prevendita.
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Bob Dylan e gli altri: i dischi del 2008 per Rolling Stone
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BOB DYLAN IN ITALIA
Il cantautore americano sarà ad aprile nel nostro paese per 3
concerti . Uno dei protagonisti assoluti della musica folk e rock mondiale
ha annunciato un tour in Italia per il prossimo aprile.
Stiamo parlando niente poco di meno che di Bob Dylan, che sarà il 15 al
Datchforum Forum di Assago, il 17 al PalaLottomatica di Roma e il 18 al
MandelaForum di Firenze. I biglietti sono già disponibili in prevendita.
Dopo l'Italia, Dylan si sposterà in Francia, Spagna e Portogallo per poi
concludere il tour estivo con il ritorno negli Stati Uniti dove, il 12
agosto, si esibirà a New York, al Prospect Park di Brooklyn per uno dei
concerti più attesi della sua tournee.
Tre imperdibili concerti per l'indimenticabile autore di alcuni dei migliori
classici della musica contemporanea.
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New York, la leggenda del Chelsea Hotel
Da Bob Dylan a Patty Smith, da Andy Warhol a Jack Kerouac:
sono tante le celebrità che hanno trascorso notti più o meno insonni nelle
sue stanze.
di SILVIA DEL MONTE
NEW YORK
Al Chelsea Hotel di New York si ama e si muore. Un edificio semplice di
mattoni rossi ubicato sulla 23esima strada tra la settima e l’ottava avenue:
nessuno potrebbe mai immaginare quante storie si celano dentro le sue mura.
Eppure il Chelsea Hotel viene considerato l’unico albergo della Grande Mela
dal passato illustre. Lì la storia si mescola con la leggenda. Musicisti,
poeti, attori, girovaghi, le stanze del Chelsea Hotel sono state la
residenza di famosi personaggi del mondo della letteratura, della musica,
del cinema e del teatro. Per loro il Chelsea era una casa, per molti artisti
lo è tuttora. Dylan, Hendrix, Patti Smith, Warhol, Kubrick, Basquiat, sono
tante le celebrità che hanno trascorso notti, più o meno insonni, nelle sue
stanze. Nel 1966 Andy Warhol girò “The Chelsea Girls”, un’opera composta da
12 brevi film girati nelle sue camere art decò dai soffitti altissimi.
Sempre in quel periodo Bob Dylan compose la romantica “Sad eyed lady of the
Lowlands”, dedicata alla moglie Sara.
In una delle sue stanze, nel febbraio del 1979, trovò la morte per overdose
di eroina, Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols che pochi mesi prima, in
un’altra stanza dell’albergo, uccise Nancy Spungen, la sua fidanzata. E come
non ricordare, negli anni Sessanta, le notti d’amore tra Leonard Cohen e
Janis Joplin, alla quale il cantautore canadese dedicò la sua “Chelsea Hotel
n. 2” oppure quelle di alcuni anni dopo tra Patty Smith e Robert
Mapplethorpe? L’elenco è infinito e scorrerlo tutto significa rivisitare uno
spaccato della controcultura americana degli anni Sessanta e Settanta. Il
Chelsea Hotel fu la casa di Milos Forman per tutto il tempo delle riprese
del musical “Hair”, fu il rifugio di Janis Joplin e Stanley Kubrick. Arthur
Clarke compose la sceneggiatura di “2001: odissea nello spazio”, mentre Jack
Kerouac scrisse il best seller “Sulla strada”.
E ancora Hendrix organizzò festini trasgressivi, mentre Madonna vi ambientò
numerosi scatti del suo libro-scandalo “Sex”. Le targhe commemorative appese
sul portone ricordano, tra gli altri, Mark Twain, Thomas Wolfe, Dylan
Thomas, Arthur Miller, Burroughs, che vi scrisse “Il pasto nudo”, e
Bukowski.
(fonte : lastampa.it)
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Cohen, la leggenda di un anti-mito
Un’antologia, a cura di Gorjup e Valente, per entrare
nel mondo dell’artista
di ALESSANDRO CARRERA
Come ha scritto il critico Mikal Gilmore in un recente saggio sugli anni
sessanta (Stories Done: Writings on the 1960s, appena pubblicato dalla Free
Press), è facile dimenticare che Leonard Cohen, nato nel 1934 a Montréal,
esordiente come poeta nel 1956, come romanziere nel 1963, come cantautore
nel 1967, e tuttora attivo oggi (ha dato concerti in Italia l’estate
scorsa), suonava e cantava in un gruppo country & western ancora prima che
Elvis Presley incidesse i suoi primi dischi. Cohen, che si è fatto le ossa
prima dei Beatles e di Bob Dylan, prima di Ray Charles e di Johnny Cash, può
vantare la carriera più lunga che si ricordi nel campo della popular music.
E come poeta non è da meno: il suo primo libro, Paragoniamo mitologie (Let
Us Compare Mythologies), è stato ristampato in facsimile nel 2006 per
celebrarne il cinquantenario, proprio mentre il compositore Philip Glass
metteva in musica una scelta di testi tratti dalla sua ultima raccolta, Il
libro del desiderio (The Book of Longing). Cohen non è mai stato un mito
pop, non ha mai venduto come i grandi ai quali ha fatto da battistrada.
Alla Columbia, che è sempre stata la sua etichetta, una volta un manager gli
ha detto: «Leonard, che sei un grande lo sappiamo.Quello che non sappiamo è
se vali qualcosa ».
Ma una leggenda lo è da sempre, fin da quando emerge come poeta su una scena
canadese disperatamente in cerca di qualcuno che possa vantare la stessa
mystique dei poeti beat che già spopolavano tra New York e San Francisco. E,
contemporaneamente alla sua fama, nasce la leggenda dell’uomo romantico e
depresso, cinico e innamorato, edonista e monastico, nonché dotato di una
voce profonda che, come lui stesso ha detto in The Tower of Song, non gli ha
lasciato scelta: ventisette angeli dall’alto dei cieli l’hanno legato a una
tavola lassù, in quella “torre della canzone” dalla quale non ha mai potuto
fuggire.
Toronto, anni Settanta: un’attrice che ha appena avuto un incontro romantico
si sveglia e vede che Cohen si è messo il cappotto e sta uscendo. «Leonard,
ma cosa fai? Sono le quattro di notte» dice lei. Viene la risposta: «Poeta.
Vagabondo. Devo andare». L’aneddoto è talmente celebre che ormai è una
leggenda urbana. Quando abitavo a Toronto nei primi anni Novanta una mia
amica lo attribuiva a sua madre. A Montréal, a una cena di rispettabili
docenti universitari, una giornalista e dottoranda in filosofia ci
galvanizzò lasciando cadere casualmente di aver intervistato Cohen pochi
giorni prima. Non si parlò più di nient’altro. Uomini e donne presenti
volevano sapere tutti i particolari, e soprattutto se Cohen, con la
dottoranda, ci aveva provato (lei fu bravissima: ci tenne sulla corda
mezz’ora e non ce lo disse, ne andava della sua leggenda e lo sapeva). Cohen
ha scherzato sulla sua fama di tombeur des femmes affermando che è l’unica
cosa che gli ha fatto compagnia durante le diecimila notti che ha passato da
solo, ma il coté mondano della sua parabola non deve far dimenticare il
valore dell’opera. Che è meno grande e meno innovativa di quella di Dylan,
ma ha il pregio di mettere a tacere le eterne disquisizioni sulla canzone,
se può essere poesia oppure no. Cohen non abbassa mai lo stile nel passaggio
dal verso libero alla rima e metrica, e quando i testi delle sue canzoni
sono pubblicati fianco a fianco alle poesie nessuno può notare una
differenza di qualità.
Le poesie e le canzoni di Cohen, nel loro andamento lineare, apparentemente
facili da seguire, quasi demodé nel loro tono ostinatamente trovadorico e
nel loro costante omaggio a una femminilità sessualizzata e insieme
angelicata (sessualizzata perché angelicata, e viceversa), costituiscono in
realtà un’esperienza poetica di altissimo rigore, e di notevole complessità
culturale. Quanto misticismo ebraico agisce nelle canzoni di Cohen, quante
riflessioni sulla presenza “femminile” del divino sulla terra (in accordo al
simbolismo della Cabala) Cohen riesce a cantare come se si trattasse di
semplici canzoni d’amore! «L’albero della conoscenza non è l’albero della
vita», diceva Byron, e le canzoni di Cohen vengono prima di tutto
dall’albero della conoscenza, e solo in seconda istanza dall’albero della
vita.
In italiano esistono varie traduzioni di libri singoli o di antologie, ma
questo recente La solitudine della forza, a cura di Branko Gorjup e
Francesca Valente, impreziosito da calcolgrafie di Arnaldo Pomodoro (Longo,
pp. 212, 18 euro, parte di una preziosa collana dedicata alla poesia
canadese) si impone come un’opera di riferimento per chi voglia iniziare ad
avvicinarsi al mondo di Cohen. Branko Gorjup ha insegnato letteratura
canadese in varie università nordamericane ed europee. Francesca Valente,
che attualmente dirige l’Istituto italiano di cultura a Los Angeles, ha una
conoscenza approfondita del Canada, del quale ha tradotto in italiano gli
autori più significativi. L’introduzione di Gorjup pone fermamente l’eredità
di Cohen nella tradizione della poesia che oscilla tra il romanticismo e il
suo superamento (utile far notare che Cohen è un moderno Heinrich Heine),
mentre le traduzioni di Francesca Valente si distinguono per nettezza e
precisione.
Mission, una delle composizioni più recenti, si conclude così: «Il corpo che
ho rincorso / Mi ha rincorso a sua volta / Il mio desiderio è un luogo / La
mia morte una vela» (The body I chased / It chased me as well/ My longing’s
a place / My dying a sail). È una canzone o una poesia? Ha forse importanza?
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Seal ''La mia voce in difesa dei diritti civili''
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Video : Eric Clapton - Little Wing
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Video : Layla - Eric Clapton, Jeff Beck, Jimmy Page,
Charlie Watts, Bill Wyman,
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Video : All Along The Watchtower
Neil Young
Eric Clapton & Lenny Kravitz
Bruce Springsteen |
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Venerdi 12 Dicembre 2008
I BIGLIETTI PER BOB DYLAN
Partite le prevendite per i concerti di Milano (Assago) e
Firenze , non ancora per Roma , il rivenditore ufficiale è Ticketone , sotto
alcuni link per tutte le informazioni:
http://www.bobdylan.com/#/tour
http://www.ticketone.it/newsComplete.jsp?idCat=51&cdNews=185795&idCatPT=529
http://www.xtm.it/DettaglioUltimissime.aspx?IDUltimissima=3880
http://www.dalessandroegalli.com/dettaglievento.php?id=53
http://www.roma-citta.it/roma/news_17371-Bob-Dylan-al-PalaLottomatica-ad-aprile-da-domani-biglietti-in-vendita-cronaca.html
Segnalato da Gianluca Lambiase
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In vendita da domani i biglietti per Roma
Saranno in vendita da domani nei punti TicketOne, i
biglietti per il concerto di Bob Dylan, il 17 aprile al PalaLottomatica.
Questi i prezzi (cui va sommata la prevendita): tribuna centrale primo e
secondo anello, 60 euro, tribuna laterale primo e secondo anello 50, terzo
anello centrale 30, terzo anello laterale 35, posto unico 40.
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Bob Dylan - The Bootleg Series Vol. 8: Tell Tale Signs
- Rare and Unreleased 1989 - 2006
by Andy Whitman
Questi sono gli avanzi , gli orfani , le tracce randage ,
dal vivo e brani da colonne sonore che sono state escluse dagli album degli
ultimi vent’anni. E se qualcuno ci ha fatto caso , non ho mai inserito gli
album di Bob Dylan fra i miei preferiti prima d’ora. Quindi , come hanno
fatto gli scarti a raggiungere il Top ? Facendo il conto , Bob Dylan ha
gettato via più capolavori che qualsiasi altro cantautore abbia mai scritto
. Perchè Daniel Lanois , che quando produsse Dylan , fu l’uomo che con la
sua soffocante garza sonica fece suonare Bob Dylan come gli U2 ed Emmylou
Harris non c’è per niente in questi solchi ?
E’ perchè il “vecchiaccio” ha ritirato fuori il suo suono crudo , grezzo ,
spogliato dai dispositivi ausiliari dello studio , suoni straordinariamente
interessanti , la sua svolta tipicamentea blues , il tirare fuori brani come
“Red river shore” e “Cross the green mountain” , canzoni di una bellezza
luminosa che stupiscono per la loro triste veridicità. Dylan non ha pari , e
continua a far scuola per i bambini !
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ROLLING STONE MAGAZINE : Gli albums dell'anno -
TTS al 2° posto
1 | TV on the Radio: Dear Science
2 | Bob Dylan: Tell Tale Signs — The Bootleg Series Vol. 8
3 | Lil Wayne: Tha Carter III
4 | My Morning Jacket: Evil Urges
5 | John Mellencamp: Life, Death, Love and Freedom
6 | Santogold: Santogold
7 | Coldplay: Viva la Vida or Death and All His Friends
8 | Beck: Modern Guilt
9 | Metallica: Death Magnetic
10 | Vampire Weekend: Vampire Weekend
11 | Fleet Foxes: Fleet Foxes
12 | Guns n' Roses: Chinese Democracy
13 | Blitzen Trapper: Furr
14 | Ryan Adams and the Cardinals: Cardinology
15 | The Black Keys: Attack & Release
16 | Randy Newman: Harps and Angels
17 | B.B. King: One Kind Favor
18 | Lucinda Williams: Little Honey
19 | Erykah Badu: New Amerykah: Part 1 (4th World War)
20 | Kings of Leon: Only by the Night
21 | Kaiser Chiefs: Off With Their Heads
22 | Jackson Browne: Time the Conquerer
23 | Conor Oberst: Conor Oberst
24 | Girl Talk: Feed the Animals
25 | The Magnetic Fields: Distortion
26 | Mudcrutch: Mudcrutch
27 | Brian Wilson: That Lucky Old Sun
28 | The Knux: Remind Me in Three Days...
29 | Bon Iver: For Emma, Forever Ago
30 | Duffy: Rockferry
31 | MGMT: Oracular Spectacular
32 | Jamey Johnson: The Lonesome Song
33 | Ne-Yo: Year of the Gentleman
34 | Stephen Malkmus: Real Emotional Trash
35 | Nick Cave and the Bad Seeds: Dig, Lazarus, Dig!!!
36 | The Hold Steady: Stay Positive
37 | Nine Inch Nails: The Slip
38 | Ra Ra Riot: The Rhumb Line
39 | Taylor Swift: Fearless
40 | Jonas Brothers: A Little Bit Longer
41 | AC/DC: Black Ice
42 | David Byrne and Brian Eno: Everything That Happens Will Happen Today
43 | Nas: Untitled
44 | The Raconteurs: Consolers of the Lonely
45 | Be Your Own Pet: Get Awkward
46 | The Academy Is...: Fast Times at Barrington High
47 | Of Montreal: Skeletal Lamping
48 | Raphael Saadiq: The Way I See It
49 | Hot Chip: Made in the Dark
50 | No Age: Nouns
Contributors: David Fricke, Will Hermes, Christian Hoard, Melissa Maerz,
Jody Rosen
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The worst of John Lennon
clicca qui
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Il Vaticano perdona John Lennon
clicca qui
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Video : Bob Dylan with Eric Clapton
Born In Time
clicca qui It's Not Dark
Yet
clicca
qui Bright Lights Big City
clicca qui
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Video : Tom Petty And The Heartbreakers - Into The Great
Wide Open
clicca qui |
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Giovedi 11 Dicembre 2008
Libri di Dylan scontati del 50%
clicca qui
segnalato da Gianluca Lambiase
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Tell Tale Signs: The Bootleg Series Vol. 8: Rare and
Unreleased 1989-2006
by Tom Useted
Da quando nel 1997 “Time out of mind” vinse il Grammy , Bob Dylan ha
beneficiato di una grande esposizione mediatica. Nel 2001 “Love and Theft” e
nel 2006 “Modern Times” hanno venduto moltissimo. Ora c’è questo nuovo
capitolo della innovativa Bootleg Series , che esce ogni paio d’anni , dove
Dylan ha mischiato nuove registrazioni con pezzi dal vivo , takes scartate
da altri album e pezzi di colonne sonore (“Thing’s have changed” , dal film
Wonder’s Boys , che vinse un Academy Award).
Le cifre relative alle vendite e la qualità del lavoro degli ultimi dieci
hanno chiaramente portato la critica a dichiarare giustamente che Dylan sta
attraversando un periodo tardo-rinascimentale della sua carriera. Nel
frattempo è stato sempre in tour e qualche volta è stato splendido anche sul
palco. E ancora , la Bootleg Series , diversa dalla serie originale , ha
riconosciuto il fatto che , sì , la carriera di quest’uomo si è estesa dopo
il 1975 , fino ad oggi.
Dylan ( o il suo staff , o la Columbia ) decidono che adesso è il momento
buono per un salto indietro nella sua più recente produzione , e ,
giusto o sbagliato , Tell Tale Signs è quello che è stato tirato fuori.
E’ una collezzione di 27 pezzi di studio e di materiale dal vivo che parte
dal 1989 , con la maggior parte delle tracce in studio provenienti dalle
sessioni di Oh Mercy e Time out of mind. C’è anche una versione a tre CD ,
12 canzoni-bonus ed un libretto divertente. Molti fans di Dylan sono rimasti
piuttosto arrabbiati con la Sony per questo , ed a buona ragione , perchè il
suo costo è cinque volte maggiore di quello della confezione a due CD. Una
mossa senza senso da parte della Sony , specialmente col clima economico di
questi tempi . Il set di due Cd esce con un booklet di 64 pagine con le
liner-notes di Larry “Ratso” Sloman , autore di “On the road with Bob Dylan”
, la cronaca della prima Rolling Thunder Revue. Come nelle passate Series ,
le note contenute nella confezione entrano nel contesto della carriera di
Dylan , descrivendo dettagliatamente anche la musica e le circostanze nella
quali è stata scritta.
Tell Tale Signs funziona perchè non è una retata di cani randagi , sono
tracce mai pubblicate ufficialmente senza un ordine cronoligico , ma che
sottilinea la saggezza ed i temi che Dylan immette nel suo lavoro.
Musicalmente sono le radici della musica americana a cui lui ha sempre avuto
attenzione e che ha perfezionato nel corso dell’ ultima decade.
Le canzoni pre-Time out of mind dimostrano in questa raccolta che era su
quella strada , anche se a volte sembra essere incerto. Liricamente , per
citare un nome come esempio , c’è un interessante richiamo alle città sul
fiume , le donne che le abitano , e le esperienze del corpo e dello spirito
che animanole persone che abitano in quei posti. Due versioni di
“Mississippi” , “Red River shore” , “Huck’s tune” ( nome di un personaggio
del film “Lucky you” per il quale è stata scritta , tuttavia il titolo
ricorda Mark Twain) , “High water” , “The Girl on the greenbriar shore” ,
“Miss the Mississippi” e “The lonesome river” sembrano formare una narrativa
non lineare.
Come in Faulkner’s Yoknapatawpha County or Twain’s Hannibal, nelle città
fluviali di Dylan la narrativa si allontana dai punti di vista , i
personaggi entrano ed escono senza essere mai a fuoco , ma il linguaggio ha
molto da offire :“When I kiss your lips / The honey drips / I’m gonna have
to put you down for awhile”, or “I’ll ramble and gamble for the one I love /
And the hills will give me a song”.
Ona delle cose che le Bootleg Series hanno sempre avuto è la loro capacità
di trovare un equilibrio di documentazione che si è rivelata interessante
sia per i collezzionisti sia per i fans occasionali , e questo le rende
simili ad un album. Tell Tale Signs è un grande album , forse colpisce
immediatamente più di Moder Times , il trionfo delle fonti più disparate che
si adattano bene ad essere messe assieme. Ma è anche una festa per i “duri”
appassionati di Dylan.
Forse a causa della creazione delle Bootleg Series , sembra esserci un
notevole calo di interesse verso i bootleg non ufficiali , le sessioni post
Oh Mercy sono state appena toccate dai bootleggers.
Oh Mercy , al contrario , è stata oggetto di così tante edizioni pirata che
sembrano lavori pasticciati , come qualsiasi lavoro che esclude “Series of
Dreams” , Dignity” e “Born in time” è destinato ad essere.
In apparente riconoscimento del cattivo trattamento subito nei bootlegs ,
sette outtakes di Oh Mercy sono state incluse in Tell Tale Signs. “Born in
time” in particolare , ha sofferto quando fu riscritta e riregistrata per
“Under the red sky”. Le originali , più belle cantate e suonate , senza
tagli o rimaneggiamenti da parte del produttore , e che vantano i testi
migliori , evidenziano il perchè le Bootleg Series esistono , giustizia
rimandata ma finalmente giustizia fatta. (“God Knows” , un’altra canzone
scartata da Oh Mercy e ripresa e rifatta per Under the red sky è un brano
minore , ma suona molto più dura nella sua prima traccia originale) .
Le session di Time out of mind sono la fonte per altre sei tracce , da
sottolineare perchè “Red river shore” , “Dreamin’ of you” e “Marchin’ to the
city” sono titoli nuovi ( nessuna delle outtakes di Oh Mercy sono realmente
nuove canzoni , a dispetto delle alterazioni dei testi). Inevitabilmente ,
questo aprirà la questione di quanto “Time out of mind” , come “Oh Mercy” ,
avrebbe potuto essere persino migliore. Era un progetto , come “Series of
dreams” e “Marchin’ to the city” che hanno prestato una parte del loro testo
ad altre canzoni posteriori. Quelle canzoni erano “Standing in the doorway”
, un capolavoro , e “Till i fell in love with you” , esercizi di blues più
che altro.
Qualche parola di “Marchin’to the city” è stata inserita in “Not dark yet” ,
una delle più belle recenti composizioni di Dylan. Come una finestra sul
processo creativo di Dylan , ascoltare queste nascenti canzoni è
affascinante , e le canzoni si difendono molto bene da sole. Ma il vero
piacere di TTS è “Red river shore” , una meditativa riflessione ,
accompagnata dalla fisarmonica , sull’amore perso che pian piano ti
annichilisce nel corso dei suoi otti minuti. Ancora , questo è il modo nel
quale le Bootleg Series prendono il primo posto.
Qualche volta Dylan , per ragioni sue personali , prende la decisione di
scartare dei pezzi , decisioni che per noi non hanno alcun senso , ed è
interessante sentire quello che è stato scartato e sapere il perchè.
In ogni caso , il resto delle tracce vengono da diverse fonti , incluse
registrazioni dal vivo in concerto. E’ sorprendente come i pezzi dal vivo si
integrano bene , non tematicamente ma a livello di suono , il girare e
l’inquietudine sono i temi e lo stile di vita che caratterizzano il
marchio-Dylan di questi ultimi anni.
La differenza più evidente tra il Dylan di studio e quello in concerto è la
sua voce. Dove la sua voce è capace di una vasta gamma di suggestive
espressioni è nello studio , sul palco la voce ha la tendenza a sembrare
strangolata , sofferente e spaventosamente poco chiara.
La prima strofa di “High water” dimostra questa mancanza , sembra quasi che
lotti per ricordarsi l’inizio della frase. Nella seconda strofa però ,
sembra ritrovare il bandolo della matassa e ricorda perfettamente il testo
con un gancio destro , e la sua band esegue una prestazione mirabile , piena
di varietà e di movimento , il che rende il pezzo originale , la magistrale
“High water” di Love and theft , suona monotona al confronto con questa. Ma
l’unico vero passo falso di Tell Tale Signs sembra essere la ripetitività ,
la lamentosa “Cocaine blues” che non ha un senso drammatico o un “momentum”,
niente per richiamare l’attenzione , e mette dolorosamente in evidenza la
voce deteriorata del Dylan da concerto. Solo una traccia su 27 , non ci si
può lamentare. La ragione per la quale Tell Tale Signs funziona così bene
dall’ inizio alla fine è che le canzoni , perfino quelle che sono di per se
stesse deboli (“God knows” , “Miss the Mississsippi”) , sono illuminate dal
fatto di stare in compagnia di Dylan. Le cover danno luce nuova agli
originali , specialmente le canzoni del fiume , la linea che le separa dalle
composizioni originali di Dylan si assottiglia dopo il trattamento di Dylan.
E’ tutto una canzone , un musical , e “pluribus unum” ( dal latino : da
molti uno ). Tell Tale Signs è buono come il suo predecessore in ogni punto
, ogni battuta , e se non c’è un possibile accostamento di Dylan con
l’America attuale e la musica popolare contemporanea pazienza . Possiamo ,
come sempre , dirci fortunati di averlo intorno.
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Bob Dylan, al via la caccia ai biglietti
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I cd musicali da regalare a Natale
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Shapiro, storia e canzoni dai ’60 a oggi
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Video : The Blackstones - I shall be released
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Mercoledi 10 Dicembre 2008
Stravolta la stanza di Bob Dylan al Chelsea Hotel, New
York insorge
New York, 5 dic. (Apcom) - La stanza numero 211 dell' Hotel
Chelsea di New York presto avrà un bagno e un cucinino nuovi di zecca, ma in
cambio rischierà di perdere gran parte del suo fascino. Non è una questione
di poco conto: in quella stanza ha vissuto per anni Bob Dylan e nei lavori
di ristrutturazione della pensione, un luogo di culto dove hanno vissuto
vere e proprie leggende, da Allen Ginsberg a Sid Vicious dei Sex Pistols, da
Arthur Miller a Willem de Kooning. Arthur Clarke vi ha scritto "2001:
Odissea nello spazio" ma il Chelsea Hotel è particolarmente famoso per la
lunga permanenza di Bob Dylan, che ha nella sua stanza ha composto ballate
memorabili: erano i tempi di "Blonde on Blonde".
I nuovi proprietari Marlene Krauss e David Elder tuttavia mostrano poca
sensibilità per i cimeli che ancora restano della presenza del cantante e
badano soprattutto a aumentare gli affitti in maniera vertiginosa.
Il comune di New York, che ha concesso il permesso di rinnovare i mini
appartamenti al numero 203 e 211, ora è sommerso di reclami per lo scempio
culturale. Tanto più che i lavori non starebbero rispettando gli accordi
presi in precedenza, e l'ex stanza del cantante sarebbe stata interamente
stravolta.
L' Hotel Chelsea ha 125 anni di storia e ha sempre rappresentato un centro
culturale e un punto di riferimento per artisti. L'Hotel è stato il primo ad
essere annoverato nella città di New York come un palazzo storico. Lo charme
del luogo è tale che persino l'attrice Uma Thurman ci ha vissuto. Dopo le
proteste della cittadinanaza le Autorità hanno ordinato il blocco totale dei
lavori.
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BOB DYLAN – Tell Tale Signs The Bootleg Series vol. 8
(Columbia 2008)
di Marina Montesano
Tell Tale Signs è l'ottavo volume nell'antologia che ha
offerto sinora esibizioni live, alternate takes, inediti accumulati da Dylan
in decenni di esibizioni e incisioni; questo nuovo episodio ci porta al
periodo 1989-2006, ossia tra Oh Mercy e Modern Times. La Sony-Columbia ha
pubblicato l'antologia in due differenti versioni, una doppia e una tripla:
è a quest'ultima che faremo riferimento in quanto il terzo disco è
essenziale non meno dei primi due. Cominciamo col dire che Tell Tale Signs
contiene alcune composizioni inedite, che sono ovviamente il primo motivo di
interesse: in un caso almeno, Red River Shore, siamo di fronte a un brano di
altissimo livello, inciso al tempo di Time Out Of Mind e inspiegabilmente
escluso dalla tracklist definitiva. Fanno parte delle stesse sessions anche
Dreamin' Of You e Marchin' To The City, pure molto interessanti. Ci sono poi
le alternate takes, che in alcuni casi ci propongono pezzi radicalmente
diversi rispetto agli originali; la preferenza in questo caso è ovviamente
soggettiva, ma quel che colpisce (e che quanti seguono Dylan in concerto
sanno bene) è che con Dylan non esistono 'versioni definitive': quelle in
studio sono fotografie di un momento particolare, ma i brani sono lì per
essere continuamente riscritti e reinterpretati, come nella tradizione
musicale blues e folk da cui Dylan proviene.
Fra queste versioni alternative mi paiono da segnalare, perché davvero
eccezionali, una Ring Them Bells con accompagnamento di solo piano e una
notturna Can't Wait, entrambe dal terzo disco. Ci sono poi alcuni brani
pubblicati in colonne sonore e dunque poco conosciuti, fra cui spicca
l'epica 'Cross The Green Mountain. I brani dal vivo sono belli, anche se
tutti già usciti su bootleg, e fanno solo auspicare un live completo con uno
dei concerti di questi ultimi anni: c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Infine una curiosità a proposito dei pezzi con la dicitura Unreleased 1992,
Miss The Mississippi e l'eccellente Duncan & Brady: sono tratti dalle
cosiddette Bromberg sessions, un progetto discografico finito e poi
accantonato da Dylan che, non contento del mixaggio, preferì far uscire
l'acustico Good As I Been To You; speriamo che la pubblicazione nell'
antologia non precluda la possibilità di averle, un giorno, nella loro
interezza.
(fonte: discoclub65.it)
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Tell Tale Signs - The Bootleg Series Vol.8 / Columbia
di Riccardo Bertoncelli
Il caro Bob rimette le mani sui suoi materiali “di scarto” e scopre altri
tesori nascosti.
Ha preparato un’altra antologie delle sue, il Geniale Pasticcione, non
cronologica, non lineare, con allegra confusione tra live, studio e
cameretta. Questa volta però almeno ha delimitato il campo, raccogliendo
solo pezzi degli ultimi vent’anni; alla faccia di chi ritiene che la vena si
sia esaurita dalle parti di Blood On The Tracks (pochi, a dire il vero), si
comincia con Oh Mercy e si arriva a Modern Times, attraversando i
controversi affascinanti anni della maturità e della vecchiaia. Due dischi
per i comuni acquirenti, tre nella tiratura limitata per eletti; con molte
scoperte preziose che neanche i bootleggers conoscevano e la conferma che il
signor D si esprime meglio in solitudine o poca compagnia, senza troppi
addobbi. Si parte con una meraviglia, Mississippi, una outtake di Time Out
Of Mind proposta in tre versioni che ribadisce l’inclinazione dylaniana a
essere cattivo giudice di sé; c’è altro di buono in quel cestino (Red River
Shore, Dreamin’ Of You), a conferma della grande stagione di metà 90.
Notevole anche una 32-20 del periodo World Gone Wrong, rarissima cover
dall’amato Robert Johnson; e interessanti alcune alternate, da una Ain’t
Talkin’ troppo in carne per valere quella già nota a una Most Of The Time
cui ancora manca l’aura luminosa che la renderà irresistibile.
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Like a Rolling Stone - No Direction Home: Bob
Dylan (2005)
a cura di Francesca Druidi
207 minuti suddivisi in due DVD, della durata rispettiva
di 2 ore e di un'ora e mezza. Questo è No direction Home: più di un semplice
documentario o del rockumentary già sperimentato con L'ultimo valzer,
un'opera musical-cinematografica travolgente e intensa che racconta - negli
anni compresi tra il 1961 e il 1966 - la nascita, l'apice ma anche la svolta
dolorosa di uno dei musicisti maggiormente influenti e innovatori del XX
secolo, Robert Allen Zimmerman universalmente conosciuto come Bob Dylan.
Selezionando momenti salienti dell'intervista-fiume di dieci ore che Jeff
Rosen - manager e amico di Dylan - ha realizzato nell'arco di cinque giorni
all'artista, e alternandoli a racconti dei protagonisti dell'epoca (Joan
Baez, Allen Ginsberg, Dave Van Rank che dichiara "se esiste un inconscio
collettivo americano, Bob ci ha messo le mani dentro") e a preziosi filmati
inediti di repertorio (tra cui gli outtakes girati alle edizioni del Newport
Folk Festival e Don't Look Backd i D.A. Pennebaker), Martin Scorsese
dimostra ancora una volta di essere uno straordinario regista, capace di
fondere in modo potente colonna sonora e colonna visiva, ma soprattutto un
appassionato narratore dell'America e delle sue figure cardine più
emblematiche e rappresentative. Senza però mai scadere nell'agiografia, come
avevano dimostrato le anomale e controverse biografie realizzate con Kundun
e The Aviator.
Se la prima parte di No direction Home: Bob Dylan si concentra sugli esordi
della carriera del cantautore, dalle origini in Minnesota al viaggio
iniziatico compiuto alla fine degli anni Cinquanta nel Greenwich Village,
quartiere bohémien newyorchese per eccellenza, giungendo fino alla
consacrazione a icona del folk, il secondo atto vira invece sulla tormentata
tournèe inglese di Dylan nel 1966, che segnò in maniera decisiva la sua vita
professionale e umana.
Scorsese suggerisce nell'impianto audiovisivo, confermandolo poi di persona
in occasione della presentazione di Bologna, che una delle due chiavi di
lettura del documentario è racchiusa negli occhi di Dylan, piantati in primo
piano verso lo spettatore, piuttosto che nelle sue parole, altrettanto
importanti ma spesso contraddittorie. Occhi malinconici che non sembrano
guardare l'interlocutore Jeff Rosen, ma che fuggono altrove, lontano. Abile
è il raccordo di sguardo che ci riporta al Dylan ventenne, assurto in pochi
anni a simbolo della musica folk, musica che all'inizio degli anni Sessanta
diventa negli Stati Uniti sinonimo di protesta giovanile e di movimento dei
diritti civili contro la segregazione razziale e la guerra in Vietnam. No
direction Home non è solo l'odissea privata di Bob Dylan, ma rappresenta
anche lo spaccato nitido e illuminante di quella stagione irripetibile nella
storia americana e mondiale. La seconda linea narrativa fondamentale è data,
infatti, dalla restituzione dell'impatto emotivo e sociale di eventi
nevralgici: il fermento culturale, musicale e artistico portato da Andy
Warhol e dai Beatles; la marcia della pace di Washington alla quale Dylan
partecipò esibendosi; l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963 a
Dallas e l'esecuzione del suo presento carnefice Lee Harvey Oswald. Intanto
Bob Dylan cantava A Hard Rain is gonna Fall e si faceva portavoce di quella
generazione, che riconosceva nelle parole delle sue canzoni i sentimenti che
l'agitavano e le idee che la muovevano. Adottato, esaltato e coccolato dalla
sinistra liberale americana, Dylan non esitò però a scrollarsi di dosso
l'etichetta politica che l'intera opinione pubblica gli aveva attribuito. E
lo fece abbandonando la melodia folk per il rock di Like a Rolling Stone e
per la musica elettrica eseguita con gli Hawks (gruppo che divenne poi The
Band, il cui addio alle scene è immortalato ne L'ultimo valzer).
La reazione del pubblico e degli altri artisti alla virata operata dal
folksinger fu incontrollabile e violenta: si gridò al tradimento non solo
dei suoni folk ma soprattutto di quegli ideali democratici che venivano
veicolati dalle liriche del cantautore. Per questo la tournèe inglese
costituisce il contraltare simbolico al quale va ricondotto tutto il
discorso filmico: i fischi, i boati di disapprovazione, le ingiurie del
pubblico (che pure osannava la parte folk del concerto) che scandirono le
sue esibizioni danno la misura del rapporto di amore-odio che univa in
maniera viscerale Dylan e i suoi fan. Pur uscendo profondamente turbato
dall'esperienza britannica che, complice un misterioso incidente in moto, lo
condurrà a evitare esibizioni live per otto anni ("voglio soltanto tornare a
casa", confessa a un funzionario inglese), Dylan continuerà imperterrito nel
suo percorso artistico individuale, non scendendo mai a compromessi con il
proprio pubblico. "Non sono mai stato quel tipo di cantante che vuole essere
uno di loro, voglio dire uno del pubblico. Non cerco di piacere." Ed è in
virtù di questa parabola politica di ascesa, trionfo, declino e
sopravvivenza che Bob Dylan rientra pienamente nella galleria degli eroi
scorsesiani, così come viene definito dal critico dei "Cahiers du cinéma"
Antoine Thirion. C'è molto Bob Dylan in No Direction Home, ma c'è anche
molto Martin Scorsese.
(fonte: movieplayer.it)
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I RICORDI DI LENNON
The Rolling Stone Interviews- by Jann Wenner
Qual è la natura della tua relazione con Bob?
Era come se fossimo dei conoscenti, perché eravamo così nervosi ogni volta
che ci incontravamo. Era sempre in circostanze snervanti, so che ero sempre
teso e so che anche Bobby lo era. Abbiamo passato un po’ di tempo insieme ma
ero sempre troppo paranoico oppure ero aggressivo o vice versa e non abbiamo
mai veramente parlato. Ma abbiamo passato molto tempo insieme.Venne a casa
mia, che era Kenwood, ti immagini? E non sapevo dove metterlo nella sorte di
vita borghese che stavo vivendo. Non sapevo cosa fare e cose di questo
genere. Di solito andavo al suo hotel e mi piaceva, sai, perché scriveva
delle belle cose, amavo quelle cose, le sue canzoni definite “di protesta”.
Ascoltavo le sue parole, usava arrivare con la sua demo dicendo “Ascolta
questo, John, e hai compreso le parole” Dissi che non importava, il suono è
ciò che conta – la cosa più importante. Avevo troppe figure paterne e mi
piacevano anche le parole, così mi piacevano molte delle cose che fece. Non
devi ascoltare cosa sta dicendo Bob Dylan, devi solo ascoltare il modo in
cui lo dice.
Quando è stata l’ultima volta che hai visto Bob?
Arrivò a casa nostra con George dopo l’Isola di Wight e quando avevo scritto
“Cold Turkey”.Yoko: E sua moglie.
John: Stavo cercando di farlo registrare. Lo avevamo appena messo al piano
per fare una demo per “Cold Turkey” ma sua moglie era incinta o qualcosa del
genere e se ne andarono. Ora si è calmato molto. Mi ricordo solo che
portavamo entrambi gli occhiali scuri ed eravamo entrambi fuori di testa con
quello schifo di droga e c’erano tutte queste strane persone intorno a noi e
Ginsberg e tutti gli altri. A quel tempo ero molto ansioso.
Apparivi in quel film con lui, che non è ancora stato
proiettato al pubblico (n.d.r. Don’t look back)?
Non l’ho mai visto ma mi piacerebbe molto vederlo. Ero così paranoico e
quando Bob disse “Voglio che tu appaia in questo film”. Voleva solo che io
apparissi nel film.
Pensai perché? Cosa? Vedrai che mi vuol far fare una brutta figura: tutte
queste cose terribili mi passavano per la testa. Nel film blateravo e
commentavo tutto il tempo, come si fa quando sei fatto o fuori di testa. Ero
stato in piedi tutta la notte. Facevamo i saccenti sapientoni, è terribile.
Ma era la sua scena, questo era il problema per me. Era il suo film. Ero sul
suo territorio, ecco perché ero così nervoso. Ero nella sua sessione.
ENGLISH VERSION
Lennon Remembers
The Rolling Stone Interviews- by Jann Wenner
What is the nature of your relationship with Bob?
It's sort of an acquaintance, because we were so nervous whenever we used to
meet. It was always under the most nerve-wracking circumstances, and I know
I was always uptight and I know Bobby was. We were together and we spent
some time, but I would always be too paranoid or I would be aggressive or
vice versa and we didn't really speak. But we spent a lot of time together.
He came to my house, which was Kenwood, can you imagine it, and I didn't
know where to put him in this sort of bourgeois home life I was living. I
didn't know what to do and things like that. I used to go to his hotel
rather and I loved him, you know, because he wrote some beautiful staff, I
used to love that, his so called protest things. I listened to his words, he
used to come with his acetate and say "Listen to this, John, and did you
hear the words?" I said that doesn't matter, the sound is what counts-the
overall thing. I had too many father figures and I liked words, too, so I
liked a lot of the staff he did. You don't have to hear what Bob Dylan's
saying, you just have to hear the way he says it.
When was the last time you saw Bob?
He came to our house with George after the Isle of Wight and when I had
written "Cold Turkey".
Yoko: And his wife.
John: I was just trying to get him to record. We had just put him on piano
for "Cold Turkey" to make a rough tape but his wife was pregnant or
something and they left. He's calmed down a lot now.
I just remember before that we were both in shades and both on fucking junk,
and all these freaks around us and Ginsberg and all those people. I was
anxious a shit.
You were in that movie with him, that hasn't been released?
I've never seen it but I love to see it. I was always so paranoid and Bob
said "I want you to be in this film". He just wanted me to be in the film.
I thought why? What? He's going to put me down: I went all through this
terrible thing.
In the film, I'm just blabbing off and commenting all the time, like you do
when you're very high or stoned. I had been up all night. We were being
smart alecks, it's terrible. But it was his scene, that was the problem for
me. It was his movie. I was on his territory, that's why I was so nervous. I
was on his session.
(Dean Spencer news)
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Una sera con Bob Dylan (in versione jazz)
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Video : You belong to me - Bob Dylan & Sarah
Dylan video
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Martedi 9 Dicembre 2008
“Miss the Mississippi and you”
Nella sua ricerca puntigliosa delle radici della musica
popolare americana , Bob Dylan si è imbattuto in questo stupendo country
valzer lento “Miss The Mississippi and you” , scitta nel 1932 da Bill Halley
. Certamente la voglia di approfondire lo ha portato ad ascoltare molti
dischi of old , trovando queste due stupende versioni incise dai grandi
countrymen Jimmie Rodgers e David Ball , alle quali Bob si è ispirato per la
sua versione di TTS , incidendola 65 anni dopo. La versione di Bob è quasi
integralmente uguale a quelle di Jimmie e David , quasi Bob avesse voluto
fotocopiare la canzone per il suo album dei ricordi. La ballata è
suggestiva, ricca di pathos e di una struggente nostalgia , di pesante
tristezza , e la voce di Dylan riesce perfettamente a ricreare quella
straordinaria atmosfera.
Bob Dylan : Miss The Mississippi And You
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Jimmie Rogers / David Ball : Miss the mississippi and
you
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qui
Bellissima anche la versione di Merle Haggard , ma in
sostanza la Dylan-version imbattibile , la più bella , la più spontanea , la
più sentita e la più vissuta.
Merle Haggard : Miss the Mississippi and you
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La versione di Jimmie Skinner rientra negli standard della
musica country ma è certamente molto lontana dalle suggestioni di Rodgers ,
Ball , Haggard e Dylan.
Jimmie Skinner : Miss the
mississippi and you
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Il testo ( Bill Halley - ascap 1932)
Sono stanco delle notti di
questa grande città
Stanco del fascino e delle viste
Sto vagando ancora una volta con tutti i miei sogni
Per ritornare alla mia casa sulla riva del vecchio fiume
La città con le sue false luci e il suo trambusto stancano l’umile uomo di
origine contadina , abituato al silenzio del grande fiume , al dolce rumore
del suo lento scorrere , a camminare sulle rive fangose tanto familiari ,
dove la vita scorre senza le pressioni e le esigenze del mondo esterno ,
dove la cosa che conta di più è il sentimento per la natura incontaminata
dalla mano dell’uomo e l’affetto per una ragazza.
Sono triste e stanco ,
lontano da casa
Mi manchi tu , cara , ed il Mississippi
Le notti sono scure e tristi , in ogni posto dove vado
Mi manchi tu , ed il Mississippi , cara
La città opprime , stanca , la nostalgia prende il cuore dell’uomo , la sua
ragazza , il suo fiume , perchè non sono lì con lui a renderlo felice ? Non
bastano i sogni per superare lo sconforto ed illuminare le notti come
possono fare l’amore e le stelle , in ogni posto dove va sente la mancanza
di lei e del mormorio del fiume.
Girando dappertutto in
questo mondo così vasto
Sempre solo e triste , triste ,
niente sembra sorridermi sotto la volta del cielo
Mi manchi tu , ed il Mississippi , cara
La triste riflessione continua , vai dove vuoi , ma le cose che ti sono care
sono sempre lontane e ti mancano , lo fanno sentire abbandonato , non un
sorriso , nemmeno le stelle della città possono mitigare la mancanza della
ragazza e del suo fiume.
Le memorie mi riportano ai
vecchi tempi dei giorni felici
mi manchi tu ed il Mississippi
I tordi cantano intorno alla porta della mia baracca
Mi manchi tu ed il Mississippi
E la mente parte , trascinata dal vortice dei dolci ricordi , ai tempi
felici quando lui e la ragazza camminavano felici sulle rive fangose , quando gli uccelli cinguettavano contenti davanti alla porta della
vecchia baracca . Gli mancano quei rumori , quelle
sensazioni , quella pace che la grande città non può e non sa dare.
Girando dappertutto in questo mondo così
vasto
Sempre solo e triste , così triste ,
desiderando la mia casa e le rive fangose del fiume ,
mi manchi tu ed il Mississippi
Sta girando il mondo dappertutto , ma sempre solo e triste ,
troppo triste , desidera tornare da lei , al fiume , per non perdere la sua
anima nella vastità dell’ignoto , le cose semplici sono quelle che gli danno
il giusto equilibrio , la voce della natura , del fiume , la voce e la
presenza di lei. Si può anche morire di nostalgia e di rimpianti , non
sempre i sogni riescono a colmare questi vuoti. Per una mente semplice ci
vogliono cose semplici , il rumore di un fiume , il canto degli uccelli ,
l’affetto della persona amata e la pace della campagna. La città è un grande
tritacarne che distrugge tutto , sogni e realtà , che distrugge gli uomini ,
li trasforma in forme peggiori con false esigenze non indispensabili alla
tranquillità dell’animo e alla felicità , basta poco per esserlo ,
una baracca , un fiume , una ragazza alla quale voler bene e che stia al tuo
fianco fino alla fine dei giorni..
Quanta poesia in queste semplici parole
, quanto amore , quanta umanità....forse per questo Dylan ha voluto
ripescare e cantare questa canzone , forse ripensando ai momenti felici che
non torneranno più , quando al suo fianco c’erano gli occhi tristi della
Signora delle vallate , chissà......
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TTS : Dylan, alive, sounds human
By Ben Barasch
“Tell Tale Signs” , l’ultima rata delle “Bootleg Series”, mette a nudo la
tormentata visione nel processo di scrittura delle canzoni del più elusivo dei
musicisti. Il set a due dischi 8 ( o a tre con un sovrapprezzo di 100
dollari ) comprende canzoni mai pubblicate , versioni alternative e
registrazioni dal vivo dagli anni 1989 al 2006 , un periodo di grandi
critiche e successo popolare per Bob Dylan.
Così Dylan diventa di volta in volta sempre più imperscrutabile , brizzolata
leggenda di oggi , con il desiderio di rendere reali le sue canzoni , di
vederle come facenti parte della natura. Le immagianiamo balzare fuori dal
suo cervello già completamente formate. Indipendentemente dal fatto che
questo sia accaduto ad un certo punto della sua carriera , “Tell Tale Signs”
ci mostra un altro lato , questa volta molto diverso di Bob Dylan.
Da uomo anziano dimostra di essere un infaticabile sperimentatore di studio
, esplorando le risonanti emozioni che le sue liriche offrono in diversi
assetti musicali. É affascinante sentire canzoni in embrione che avete già sentito
da anni . La triste ironia ( o vacillante ) di “Most of the time” può
sembrarci assolutamente inevitabile. Ma “Tell Tale Signs” ci da due nuove
prime-versioni nelle quali vediamo come la canzone vada incrementando il suo
significato. Le tre versioni della canzone “Mississippi” hanno una finezza e
una stranezza che sull’album non appare. Non che siano necesariamente
migliori , ma ora il nostro concetto di quella canzone è tre volte più
grande.
Il senso che generalmente si ricava è che le canzoni non sono ne morte ne
statiche. Questo è il senso che si ricava da molta della musica popolare.
Quando sentite alla radio una canzone di Bob Jovi è sempre la stessa , è
morta , datata. Non c’è niente di reale in questo, vi garantisco che è
identica a come viene suonata in concerto. I suoi fans sono soddisfatti da
questo tipo di ripetibilità. Hanno avuto quello per cui hanno pagato.
Possono tornare a casa soddisfatti. Una canzone di Dylan non è così. É solo
il senso che assomiglia. Succede in studio di registrare qualcosa di
particolare in un determinato giorno. Le sue canzoni sono sempre in continua
evoluzione. Se ascoltate “Tell Tale Signs” abbastanza , la vostra concezione
della musica popolare comincerà a cambiare. Comincerete a sentire le canzoni
come brutte copie , come lavori in corso. Cominciano ad avere qualche legame
con gli alti e i bassi della vita , con la mente di un autunnale essere
umano.
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Addio alla voce di Luther King
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I grandi concerti: l’Isola di Wight
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Il pensiero personale di Lennon
Rolling Stone interview - by Jann Wenner
Quali sono i tuoi gusti personali?
Wop bop a loo bop. Mi piace il rock and roll, man, Non mi piace molto altro.
Perché Rock and roll?
E’ la musica che mi ha ispirato per iniziare a suonare. Concettualmente non
c’è nulla di migliore del rock and roll. Secondo me, nessun gruppo, che
siano i Beatles, Dylan o gli Stones, ha mai fatto canzoni migliori di “A
Whole Lot A Shakin”. O magari siamo come i nostri genitori, sai, quello è il
mio tempo e lo apprezzo, non lo lascerò mai. Cosa ne
pensavi dell’album di George (All Things Must Pass)?
Non lo so …penso che vada bene. Personalmente, a casa, non suonerei quel
tipo di musica ma non voglio ferire i sentimenti di George. Non so cosa dire
di questo album. Penso che sia migliore di quello di Paul.
Cosa ne pensavi di quello di Paul?
Pensai che quello di Paul facesse schifo. Penso che ne farà uno migliore
quando sarà forzato a farlo. Ma pensai che quel primo album fosse solo un
sacco di … Quando ascolto la radio e sento le canzoni di George, beh, sono
molto buone. Cosa ne pensavi dell’album di Dylan,
New Morning?
Pensai che non fosse un gran che. Perché mi aspetto di meglio. Forse
pretendo troppo dalla gente, sai, ma mi aspetto di piu … Ma non sono più un
seguace di Dylan da quando ha smesso di fare rock. Mi piaceva “Rolling
Stone” e alcune cose che faceva allora. Mi piacevano alcune cose che fece
all’inizio ma il resto è come Lennon-McCartney o qualcosa del genere. Non è
diverso, è un mito. Allora non pensi che sia
veramente una nuova mattina per Dylan?
No, penso che siano un sacco di balle. Potrebbe anche essere una nuova
mattina per lui perché ha smesso di cantare al top della sua voce lassù e
sta cantando quaggiù. Voglio dire è OK ma preferisco ascoltare “I Hear You
Knocking” di Dave Edmonds.
ENGLISH VERSION
Lennon’s Personal Views
Rolling Stone interview - by Jann Wenner
What are your personal tastes?
Wop bop a loo bop. I like rock and roll, man, I don’t like much else.
Why Rock and roll?
That’s the music that inspired me to play music. There is nothing
conceptually better than rock an roll. No group, be it Beatles, Dylan or the
Stones has ever improved on “A Whole Lot A Shakin” for my money. Or maybe
I’m like our parents, you know, that’s my period and I dig it, and I’ll
never leave it. What did you think
of George’s album (All Things Must Pass)?
I don’t know... I think it’s all right. Personally, at home, I wouldn’t play
that kind of music but I don’t want to hurt George’s feelings. I don’t know
what to say about it. I think it’s better than Paul’s.
What did you think of Paul’s?
I thought Paul’s was rubbish. I think he’ll make a better one when he’s
frightened into it. But I thought that first one was just a lot of ... When
I listen to the radio and I hear George’s stuff coming over, well then it’s
pretty bloody good. What did you
think of Dylan’s album, New Morning?
I thought it wasn’t much. Because I expect more. Maybe I expect too much
from people, you know, but I expect more... But I haven’t been a Dylan
follower since he stopped rocking. I liked “Rolling Stone” and a few things
he did then. I liked a few things he did in the early days but the rest of
it is just like Lennon-McCartney or something. It’s no different, it’s a
myth. You don’t think then
it’s a legitimate new morning?
No, that’s a lot of bullshit. It might be a new morning for him because he
stopped singing on top of his voice up there and he’s singing down there. I
mean it’s all right, but I’d sooner hear “I Hear You Knocking” by Dave
Edmonds.
(Dean Spencer News)
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TTS : Tell ol' Bill - La traduzione in italiano
clicca qui |
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Lunedi 8 Dicembre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 435
- clicca qui
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E' in via di definizione il Summer West Coast USA tour
2009 con Willie Nelson in Califorinia , Oregon e Washington .
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TTS : Appunti di Peter Stone Brown - 2008
Era la tarda estate del 1989 , e nella cassetta della posta c’era un
pacchetto con una cassetta . La cassetta era una copia preview del nuovo ,
non ancora uscito , album di Bob Dylan “Oh Mercy”. Tutto quello che sapevo
era che era stato registrato a New Orleans con il produttore Daniel Lanois ,
che sapevo aveva lavorato al primo album di Robbie Robertson.
Era il secondo anno di quello che sarebbe diventato famoso come il “Never
Ending Tour” , un tour dove tutto poteva succedere ed è successo , un tour
che in qualche modo ridefiniva l’intera carriera di musicista di Bob Dylan.
I precedenti tours di pochi anni prima erano stati fatti con la band dei
Greatful Dead e con Tom Petty & The Heartbreakers. Entrambi i tours hanno
avuto i loro momenti , ma avevano lasciato in tutti noi la sensazione che
mancasse qualcosa , che Dylan avesse bisogno di una band propria. Lo show
con i Dead in Filadelfia era stato molto contestato , e un sacco di persone
avevano giurato di non andare più a vederlo. Poi c’erano stati disk-jockey e
stazioni radio i cui commenti andavano da una certa compresnsione a “ Che
cos’è questo ?”.
Per me , aveva suonato due brani che non avevo pensato di sentire, “The
ballad of Frankie Lee and Judas Priest” , e ancora più sorprendente, “John
Brown” , una canzone di protesta contro la guerra che era su un album che
avevo , chiamato Broadside Volume 1, che era un esempio della tipica
scrittura del Greenwich Village all’inizio degli anni 60’. Su quell’album
Dylan appariva con lo pseudonimo di Blind Boy Grunt , che è stato il primo
di tanti altri nickname. “John Brown” era basata sul tradinional “Reuben’s
train”, con la chitarra che la copiava , e Jerry Garcia , non estraneo alla
musica tradizionale , aveva usato quel modo di suonare nel suo arrangiamento.
Lo show riservò altre due sorprese , “Chimes of freedom” e “Queen Jane
approximately” , e anche se quest’ultimo tipo di canzone nel frattempo era
passata di moda , non mi ero preoccupato. Era il mio compleanno , avevo visto Bob
e sentito canzoni che non avevo mai pensato di sentire. Era un accenno alle
cose future.
Quando Dylan andò in tour l’estate seguente , lo fece accompagnato da una
band ridotta , e sono stati , a dir poco , davvero rock. In quei giorni non
c’era Internet che dava istantaneamente la set-list ogni sera. Se volevi
sapere quello che succedeva nel tour , dovevi andare alla libreria e trovare
il giornale di un’altra città con la speranza che avesse recensito il
concerto.
Così , quando vidi il mio primo show del Never Ending Tour al Garden State
Arts Center , a Holmdel - New Jersey, e Dylan inizio con “Subterranean
homesick blues” , un’altra canzone che non mi aspettavo di sentire, la mia
mente era più esaltata che durante il breve set acustico nel quale aveva
tirato fuori “Trail of Buffalo” di Woody Guthrie. La stessa cosa ha fatto
nelle due notti successive al Tower Theatre , poco fuori Filadelfia. Ero più
che convinto quando si è lanciato in “Bob Dylan’s 115th Dream” , e di nuovo
, due canzoni dopo , quando inserì due nuove strofe sul Viet Nam in “With
God on our side” , una strofa che doveva apparire pochi mesi dopo nell’album
“Yellow Moon” dei Neville Brothers che era stato prodotto da Daniel Lanois.
Il mattino seguente , fui invitato ad assistere ad una session di
registrazione con il bassista di Bob Dylan Kenny Aaronson. Quando arrivai
allo studio , il mio amico che era il produttore della session mi avvisò ,
dicendomi che Dylan era stato come folle con la band la notte prima , quindi
di strarmene buono e tranquillo. Finalmente , alla fine della session ,
quando tutti si erano rilassati , ho avuto il coraggio di chiedere ad
Aaronson “ Sapevi la notte scorsa che Dylan avrebbe fatto “ 115th last dream
?”. “Sembrava prenderci in giro con quella canzone nel sound check” mi
rispose.
L’estate seguente , le canzoni tradizionali furono sostituite con covers di
altri artisti come Gordon Lightfoot , Van Morrison ed il cantante country
Don Gibson. Sapendo che un nuovo album era in lavorazione , speravo in nuove
canzoni , ma non fu così.
Così ho aperto il pacchetto ed ho messo il nastro di Oh Mercy sul mio
registratore. Dalla prima nota ho capito che era un album serio. I
precedenti due album erano in misto di covers e di canzoni originali ,
registrate in diverse sessioni ed erano lontane da avere un senso di
coerenza. Un sacco di gente pensa che i suoi migliori lavori più recenti
erano quelli con i Traveling Wilburys. “Oh Mercy” non era R&B di New Orleans
, era musica di Dylan. Il sound era pieno di chitarre , la produzione
fluente. Le canzoni erano profonde. , oscure e misteriose , alcune
divertenti ed altre con tanta amarezza che veniva in superficie. In altre
parole , tutto quello che si voleva in un album di Bob Dylan. Appariva
subito evidente che il meglio di tutto era che Lanois sapeva a quel tempo
come registrare la voce di Dylan. Durante la sua carriera , Bob Dylan aveva
avuto alti momenti di intensità che ti prendevano e ti tagliavano in due. É
una cosa magica che non può essere definita e nemmeno avere un nome. Qualche
volta non succedeva , ma quando avveniva , lo capivi , e in quest’album ce
n’era in abbondanza. Dopo aver sentito l’album , ho telefonato ad un amico
molto esperto di Bob Dylan , e gli ho detto “ Devi sentire quest’album”.
Naturalmente , dopo gli ultimi due album , non voleva credermi. Quella notte
incontrai alcuni amici che suonavano nei bar locali. Al Bar mi si avvicinò
uno di loro e gli dissi “ Vieni subito nella mia macchina” , Misi sù “Ring
them bells", ”Most of the time” e “Man in the long black coat” , e vidi il
suo scetticismo cambiare in un sorriso.
Quando Dylan ritornò quell’autunno al Towe r Theatre , poche canzoni di “OH
Mercy” erano in scaletta , ma come al solito suonavano diverse da come erano
state registrate , appena sbozzate , grezze , più rock . “Most of the time”
sembrava fondersi in “All along the watchtower”. Non c’erano sorprese nella
scatola , ma non erano necessariamente musicali. Alla fine della seconda
serata , Dylan fece qualcosa che non avrei mai pensato di vedergli fare. Un
membro del suo staff di palco gli passò un microfono diverso per l’armonica
e la band si butto in “Leopard skin pill-box hat”. Durante l’assolo di
armonica , Dylan si avvicinò piano piano al bordo del palco , poi
improvvisamente saltò in mezzo alla gente continuando a suonare l’armonica ,
e uscì dalla porta posteriere terminando lo show.
Quando ritornò nel 1990 , per tre spettacoli in New Haven-Connecticut al
Toad’s Place , suonò per la prima volta una canzone dei primi tempi del
1981. Quella canzone era “ Wiggle Wiggle”. E’ stata l’ultima volta che una
canzone originale debuttò in concerto. Lo show , una prova in provincia
per il prossimo tour , includeva anche numerose covers che spaziavano da
“Pretty Peggy-O” , in una versione completamente diversa da quella del primo
album , a varie canzoni country , dal blues a “ Dancing in the dark” di
Springseen. Nessuno lo capì a quel tempo , ma quello show era un
anticipazione della decade a venire.
Sul finire di quell’estate , un’altro album apparve , “Under the red sky”.
Io scrivevo per un settimanale locale , e la cosa che dava molto fastidio al
mio redattore era che recensivo tutti i concerti di Dylan vicini o lontani
da Filadelfia.
Alla fine dell’estate mi misi in contatto con un giornale dove lavorava
l’agente pubblicitario di Dylan Elliot Mintz. Sfortunatamente , ero in
ospedale con un sacco di ossa rotte , essendo stato vittima di una rapina la
notte precedente. Il giorno che fui rilasciato dall’ospedale , un nastro
arrivo per posta da Mintz. Era “Under the red sky”, prodotto da Don Was ,
aveva un suono diverso ed un diverso feeling rispetto ad “Oh Mercy”. Aveva
avuto una produzione diversa dallo stile di Lanois , con in sacco di
facilitazioni fornite a Dylan , inclusi gli stessi musicisti. Tra l’altro ,
c’erano molte tracce , e questo permetteva ai musicisti di trovere quella
giusta , quindi le sessioni cominciarono a scorrere. Mentre mantenavano la
stessa sezione ritmica , vi furono diversi chitarristi e tastieristi in ogni
sessione.
Molte delle canzoni sembravano filastrocche apocalittiche , e un un certo
senso lo erano. Va sottolineato che molte filastrocche sono come delle
bordate , cantate e urlate per strada e su temi di attualità . Più o meno
nello stesso periodo Dylan stava lavorando al secondo album dei Traveling
Wilburys ed era in tour.Dopo quei due album , Dylan si concentrò nelle
tournèe e ci vollero sette lunghi anni prima che ci fosse un’altro album di
canzoni originali.
Nel 1992 , con poco preavviso o fanfare , un nuovo album , “Good as i been
to You” , era sul mercato. Era Dylan da solo che faceva ballate , blues ,
pop songs, e si chiudeva con una canzone per bambini, “Froggy went a
courtin’”. La produzione era minimale , il cantato ed il suonato , spesso
grezzi. Poco più tardi di un anno , un album similare, “World gone wrong”,
fu fatto uscire. Sembrava un pò più pensato e realizzato con maggior cura ,
dalla scelta delle canzoni alla copertina dell’album , non naturalmente le
performances. Per la prima volta da “Desire” , l’album conteneva le liner
notes scritte da Bob Dylan stesso , scritte in maniera diversa , più lineare
, anche se seguivano lo stile fluido che aveva usato in precedenza ,
descriveva la fonte di ogni canzone riuscendo a collegarle ai tempi attuali.
Abbastanza curiosamente , ha affrontato per la prima volta i suoi fans ,
dicendo che il Never Ending Tour era finito con la partenza del chitarrista
G.E. Smith nel 1991 , ed in modo umoristico dava i nomi dei tour seguenti ,
ma , non ostante questo , i fans hanno continuato a chiamarlo Never Ending
Tour. A quel punto , essere un fan di Dylan era come far parte di una setta
segreta . Avevo i miei amici che una volta ascoltavano Bob Dylan che si
erano fermati lungo la strada , e avevo gli amici con i quali condividevo
Dylan , che voleva dire andare agli show o scambiarsi i bootleg. Quando
andai in Inghilterra pochi anni più tardi per partecipare ad una conferenza
di Dylan a Liverpool , venni a conoscenza di altre attività collegate a
Dylan , un amico che soggiornava con me mi ha chiesto seriamente “ Fai parte
del movimento underground di Dylan?
Questo mi stortò.
Nella metà degli anni 90’ , tutto cambiò con l’avvento di Internet. Un amico
mi disse , devi buttarti in Internet , ci sono gruppi di discussione di
Dylan , cose da matti! Lo feci e scoprii che non c’erano solamente gruppi di
discussione (Rec-Music:Dylan) , ma anche una Dylan mailing list , Hgw 61 che
dava le news su Bob Dylan ( principoalmente dal gruppo) direttamente nella
tua casella di Outlook, diverse volte al giorno , e tonnellete di siti Web
che coprivano ogni aspetto di Dylan , dalle radici e le fonti delle canzoni
, alla religione , all’interpretazione dei testi , le rarità ufficiali , i
siti statistici che dicevano dove le canzoni erano state suonate e quante
volte , ed anche un sito ufficiale che offriva rarità , novità e versioni
live delle canzoni.
Sembrava che Internet fosse stato creato per i fans di Bob Dylan. Potevo
contattare persone di tutte le parti del mondo e discutere con loro di Bob
Dylan.
All’inizio dell’inverno del 97’ , girò parola che Dylan stesse registrando
un nuovo album a Miami con Daniel Lanois di nuovo come produttore. C’erano
poche informazioni al riguardo. Ogni momento , personaggi misteriosi ,
seminavano quà e là notizie sulla nuova band , con piccoli accenni , poteva
essere nominando un musicista o due , poi improvvisamente sparivano. Allora
nella primavera di quell’anno , il venerdi del week-end del Memorial day ,
lasciai il lavoro e cominciai a girare la radio della mia auto , e fui
colpito da un nuovo bollettino che diceva che Dylan era in ospedale per
un’infezione al cuore. Mi venne immediatamente in mente il giorno di 31 anni
prima , quando mio fratello , correndo attraverso il campo , mi disse che
Bob aveva avuto un incidente motociclistico.
Rimasi bloccato per un momento , poi voltai l’auto e andai a cercare
qualcosa che potesse darmi una risposta , magari il mio e-mail-box.
Bob Dylan riprese il tour in Agosto. Negli anni passati , era solito aprire
i concerti con canzoni mai suonate o suonate raramente , aumentando la
quantità di folk , blues e bluegrass songs.
Una canzone che non aveva mai suonato era “Blind Willie McTell” , ed io sono
andato ai concerti finchè finalmente riuscii a sentirla al Wolf Trap.
Un giorno , ai primi di settembre , trovai un’altro pacchetto nella mia
cassetta della posta contenete una copia come anticipazione di “Time out of
mind”. L’album era dominato dal blues , solo 4 delle 11 canzoni erano
ballate. Nelle canzoni c’era il tema costante della irrequietezza e della
disperazione
Molta gente , non sapendo che l’album era stato registrato prima del
ricovero in ospedale , associò il ricovero con l’album. Il blues è sempre
stato un caposaldo di Dylan fin dal primo album , e molti ne aveva scritti
per conto suo senza copiare le prestazioni vocali di molti dei suoi
contemporanei.
In “Time out of mind” c’era una differenza , perchè contrariamente alle
registrazioni blues precedenti , qui c’era un un consapevole sforzo per
ottenere non solo il suono , ma anche il grande feeling dei blues degli anni
50’.
A seguito della pubblicazione dell’album , ci furono molti articoli ed
interviste , con Dylan e Lanois. Ma uno degli articoli che catturò
l’attenzione dei fans era l’intervista con il tastierista Jim Dickinson ,
che citò due pezzi non inderito nell’album , “Mississippi” e “Girl from the
red river shore”. Cominciò la consueta lagna dei fans e dei collezzionisti “
Lasciano sempre le canzoni migliori fuori dall’album”. Entrambe le canzoni
sarebbero state le migliori se inserite in quell’album. I Siti dei fans
furono immediatamente incuriositi anche se avevano solo i titoli delle
canzoni da citare. “Mississippi” fu di sicuro riregistrata per “Love and
Theft” , lasciando “Red river shore” come qualcosa da mettere nel Santo Gral
dei collezzionisti. La mia reazione , ascoltando “Red river shore” fu la
stessa di quando ascoltai per la prima volta “Blind Willie McTell” , questa
è la miglior canzone di Bob Dylan di sempre.
Da parte sua , Bob disse al New York Times , “ Molte delle mie canzoni sono
progetti per altre , questa volta non ho voluto cianografiche delle canzoni
, volevo le cose vere. Quando le canzoni sono giuste e vengono incise giuste
, e il gioco è fatto. Se son fatte bene rimarranno incise nella pietra”.
Con gli anni , gli arrangiamenti dal vivo di tante di queste canzoni sono
cambiati considerevolmente. Due di quelle che sono cambiate in questo senso
sono incluse in questo TTS.
Naturalmente Dylan ritornò on the road e in aggiunta alle canzoni di “Time
out of mind” , altre canzoni furono continuamente inserite nella set-list .
le canzoni blues , le country , le bluegrass , e canzoni che non aveva mai
suonato.
Molta gente , me incluso , stavano attenti finchè le set-list non apparivano
su Internet. Le musiche che erano entrate profondamente nel suo animo ,
specialmente quella degli Stanley Brothers ed il duo country Johnny and
Jack. E’ impossibile prevedere quando e dove Bob inserirà una nuova canzone.
Può succedere in Portogallo , oppure a Wilmington. Quello che è certo è che
Dylan non sta suonando per esibirsi , lui sta sperimentando , e facendo
questo , espone il suo pubblico a tutte i tipi di musica , anche quelli mai
sentiti prima da lui. E come al solito , ce n’è sempre uno fra i tanti siti
Internet a lui dedicati che vorrebbe sapere la risposta. Come recentemente
mi ha detto un amico , “ Non avrei mai conosciuto gli Stanley Brothers se
non fosse stato per Bob Dylan”.
Semplicemente facendo una canzone, Dylan ha fatto quello che i
collezzionisti del “revival” folk avrebbero sempre voluto realizzare , e ,
grazie ad Internet , i risultati sono stati a livello mondiale.
Lui era , come ha detto nel film “No direction home” , “uno spedizioniere
musicale”.
Nell’autunno del 2000 , Dylan si muoveva in un’area che solo di striscio
aveva toccato prima , il jazz. A Dublino , stupì il pubblico con un
drammatico riarrangiamento di “Tryin’ to get to heaven”.
Questo ebbe il seguito a Munster davanti ad una gran folla stupita , quando
tirò fuori “If dogs run free” , e un mese dopo con una canzone dallo swing
western “Blue bonnet girl”.
Fu chiaro che Dylan stava cercando qualcosa. Quel qualcosa si trasformò nel
suo prossimo album “Love and Theft” , un album che , tra le altre cose , era
l’esplorazione specifica delle radici della musica americana , esplorazione
seguita cinque anni dopo da “Modern Times”.
Questo ottavo album delle Bootleg Series non è solo una raccolta di outtakes
, o takes alternative e canzoni mai sentite. E’ la realizzazione di una
connessione musicale , connessione che copre tutta la vasta gamma della
musica popolare americana. Questo è qualcosa che Bob ha fatto , non solo
negli anni che quest’album copre , ma in tutta la sua carriera.
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“Chi è Bob Dylan?“
Di Jonathan Cott
Concepito lungo un periodo di dieci anni e montato da Howard Alk e Dylan da
400 ore di sequenze filmate, Renaldo e Clara fu girato durante il Rolling
Thunder Revue del 1975-76. Gli attori del cast comprendono Bob Dylan
(Renaldo), Sara Dylan (Clara), Joan Baez (la Donna in Bianco), Ronnie
Hawkins (Bob Dylan), Ronee Blakley (sig.ra Dylan), Jack Elliot (Longheno de
Castro), Bob Neuwirth (la Tortilla Mascherata), Allen Ginsberg (il Padre),
David Blue (David Blue) and Roger McGuinn (Roger McGuinn).
“Chi sei tu, Bob Dylan?” titolava il giornale francese letto da Jean-Pierre
Leaud in Jean-Luc Godard’s Maschile-Femminile. E il mistero di Renaldo e
Clara è: “Chi è Bob Dylan?” “Chi è Renaldo?” e “Qual è la relazione tra di
loro?”
Decisi di chiederlo allo stesso Bob Dylan.
“C’è Renaldo,” mi disse, “c’è questo tipo con una faccia bianca che canta
sul palco e poi c’è Ronnie Hawkins che interpreta Bob Dylan. Bob Dylan è
elencato nei titoli di coda quale interprete di Renaldo, ma Ronnie Hawkins
interpreta la parte Bob Dylan.”
“Così Bob Dylan,” presumo, “potrebbe o non potrebbe essere nel film.”
“Esattamente”
“Ma Bob Dylan ha fatto il film.”
“Non lo ha fatto Bob Dylan. L’ho fatto io”
“Io sono un altro,” scrisse Arthur Rimbaud e questa affermazione è
sicuramente dimostrata da Renaldo e Clara, nel quale i caratteri con
maschera e cappello - spesso intercambiabile - siedono nei ristoranti e
parlano, scompaiono, riappaiono, si scambiano fiori, litigano, visitano
cimiteri, suonano, viaggiano in treni e furgoni e ritmano cori in un indiano
d’America/Indu somigliante a bop-shoo-op-doo-wah-ditty –una riunione
religiosa e di rock and roll.
ENGLISH VERSION
Conceived over a period of ten years, and edited down by Howard Alk and
Dylan from 400 hours of footage, Renaldo and Clara was shot during the
1975-76 Rolling Thunder Revue, whose participants make up a cast that
includes Bob Dylan (Renaldo), Sara Dylan (Clara), Joan Baez (the Woman in
White), Ronnie Hawkins (Bob Dylan), Ronee Blakley (Mrs Dylan), Jack Elliot
(Longheno de Castro), Bob Neuwirth (the Masked Tortilla), Allen Ginsberg
(the Father), David Blue (David Blue) and Roger McGuinn (Roger McGuinn).
“Who Are You, Bob Dylan?” was the headline in the French newspaper read by
Jean-Pierre Leaud in Jean-Luc Godard’s Masculin-Feminin. And the mystery of
Renaldo and Clara is: “Who is Bob Dylan?” “Who is Renaldo?” and “What is the
relationship between them?”
I decided to ask Bob Dylan himself.
“There’s Renaldo,” he told me, “there’s a guy in a whiteface singing on the
stage and then there’s Ronnie Hawkins playing Bob Dylan. Bob Dylan is listed
in the credits as playing Renaldo, yet Ronnie Hawkins is listed as playing
Bob Dylan.”
“So Bob Dylan,” I surmise, “may or may not be in the film.”
“Exactly”
“But Bob Dylan made the film.”
“Bob Dylan didn’t make it. I made it.”
“I is another,” wrote Arthur Rimbaud, and this statement is certainly
demonstrated by Renaldo and Clara, in which characters in masks and hats
-often interchangeable- sit in restaurants and talk, disappear, reappear,
exchange flowers, argue, visit cemeteries, play music, travel around in
trains and vans and chant in an American Indian/Hindu sounding
bop-shoo-op-doo-wah-ditty chorus—a religion and rock and roll reunion.
(Dean Spencer News)
Video : Bob Dylan - Romance In Durango (From Renaldo
And Clara)
clicca qui
Video : Bob Dylan- Renaldo and Clara - When I paint my
masyerpiece
clicca
qui
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Il 22 novembre 1968 i Beatles pubblicavano il loro
"White Album"
La rivoluzione bianca della banda dei quattro
di Giuseppe Fiorentino e Gaetano Vallini
"I Beatles sono più famosi di Gesù Cristo": la frase pronunciata da John
Lennon, che suscitò profonda indignazione soprattutto negli Stati Uniti,
dopo tanti anni suona solo come la "spacconata" di un giovanottone della
working class inglese alle prese con un inatteso successo, dopo essere
cresciuto nel mito di Elvis e del rock'n'roll. Eppure al talento di Lennon e
degli altri tre Beatles si devono alcune delle migliori pagine della musica
leggera moderna. Solo canzonette, diranno i detrattori non senza una punta
di snobismo. Tutto vero. Nessuno può pensare ai Beatles come a dei geni
assoluti della composizione e neppure, in fondo, come a dei virtuosi dei
rispettivi strumenti. Ma resta il fatto che dopo 38 anni dallo scioglimento,
le canzoni con il marchio Lennon-McCartney, hanno mostrato una straordinaria
resistenza all'usura del tempo, divenendo fonte di ispirazione per più di
una generazione di musicisti pop.
Esattamente 40 anni fa, il 22 novembre 1968, i Beatles pubblicavano una
pietra miliare e non solo della loro discografia. Un doppio lp, senza
titolo, conosciuto come The White Album, "album bianco", dal colore della
copertina che aveva inciso in rilievo solo il nome del gruppo. Nel 1968 i
Beatles erano all'apice del successo, nonostante il fallimento del progetto
Magical Mistery Tour. L'album Sgt Pepper's Lonely Hearts Club Band, con le
sue musicalità psichedeliche, la ricercatezza dei suoni, aveva portato una
vera e propria rivoluzione musicale e li aveva consegnati al mito. Tuttavia
non sarebbe stato quello il loro vertice creativo; un vertice che avrebbero
toccato paradossalmente nel momento in cui stava già divenendo insanabile la
crisi interna del gruppo, che vedeva contrapposti in particolare Paul
McCartney e John Lennon, con George Harrison e Ringo Starr impotenti
spettatori. Di fatto i "Fab four" non esistevano più; esistevano entità
separate, musicisti di talento che si presentarono in ordine sparso negli
studi di Abbey Road, ognuno con i propri musicisti a supporto. Eppure fu in
un tale scenario che il White Album si concretizzò.
Fu una vera e propria cesura con il passato. Chi si aspettava un seguito
alle escursioni visionarie di Sgt Pepper's e in parte di Magical Mistery
Tour rimase deluso. I Beatles, lo si intuisce fin dal minimalismo della
copertina, scelsero in qualche modo di tornare alle radici. Ma a modo loro,
dando libero sfogo alla creatività e continuando a curare particolarmente le
liriche, in alcuni casi ricreando atmosfere e nuclei narrativi. Musicalmente
nell'album coesistono canzoni ispirate al rock più puro e duro, come Back In
The U.S.S.R. e Helter Skelter, ballate acustiche come Blackbird o Julia, il
country di Rocky Raccoon, "canzonette" come Obladi Oblada, pretenziose
incursioni nello sperimentalismo come Revolution 9. Un disco di suggestive
contaminazioni, cross over si direbbe oggi, un'utopia musicale dove si trova
tutto e il contrario di tutto, in un assemblaggio forse discutibile ma
rivelatore dello spirito di un'epoca: gli anni della contestazione
giovanile, in cui - tra contraddizioni, eccessi e fughe in avanti - tutto
sembrava possibile e lecito; in cui i giovani si avventuravano in terreni
anche artistici fino ad allora inesplorati e ricchi di prospettive.
I Beatles in questo erano privilegiati. Osannati dai fan anche se non sempre
dalla critica, attenti alle trasformazioni in atto, veri e propri
investigatori della scena artistica, potevano permettersi di comporre
liberamente, senza i lacci imposti dall'industria discografica. Per questo
avevano fondato una loro etichetta, la Apple Records, che veniva inaugurata
proprio con il White Album. Opera ambiziosissima, come detto, in cui
coesistevano tutte le anime del gruppo e in cui trovarono pari dignità anche
le canzoni di George Harrison, in particolare While My Guitar Gently Weeps
(in cui cedette l'"a solo" all'amico Eric "slowhand" Clapton) e persino di
Ringo Starr. George Martin, il loro produttore e arrangiatore, aveva
consigliato di pubblicare solo la metà dei brani; ma pur nella loro
incompiutezza musicale, anche quelli considerati meno riusciti sono serviti
a confezionare un'opera unica nel suo genere.
A quarant'anni di distanza l'ascolto di questo disco rende evidenti i
cambiamenti verificatisi nella musica leggera. E non si tratta di
cambiamenti sempre migliorativi. Quale disco potrebbe oggi contenere un
brano onirico come Dear Prudence insieme con una canzone in stile anni
Trenta come Honey Pie? Quale gruppo sarebbe oggi talmente libero da poter
inserire in un cd un brano come Revolution 9? Attualmente i prodotti
discografici appaiono per lo più standardizzati, stereotipati, ben lontani
dalla creatività dei Beatles, che peraltro incidevano con apparecchiature
tecniche rudimentali se rapportate a quelle odierne. E sebbene la tecnologia
oggi venga in soccorso - anche troppo - del talento, esperienze d'ascolto
come quelle offerte dai Beatles sono davvero rare.
Più orientata a sfornare modelli consumistici musicali, soprattutto a
livello d'immagine, che a produrre musica vera e propria, l'industria
discografica sacrifica troppo spesso fantasia e creatività. I Beatles agli
inizi degli anni Sessanta si proposero come modello attraverso la loro
musica, diventando solo con l'arrivo del successo personaggi da emulare. La
loro rivoluzione passò prima di tutto attraverso le canzoni. Era la loro
musica a essere originale ancor prima del loro abbigliamento o del loro
taglio di capelli. Rappresentarono certo anche un fenomeno di costume, ma
sostenuto soprattutto dal valore creativo della loro produzione musicale.
Se ancora oggi, su scala planetaria, ci sono ragazzi - oltre che nostalgici
ultraquarantenni - che acquistano e ascoltano i dischi dei Beatles vuol dire
che, al di là delle mode del momento, resta il fascino delle loro canzoni.
Di quella strana alchimia di suoni e parole che probabilmente non si è più
realizzata nella storia della musica leggera, nemmeno nei suoi episodi più
felici.
Non che all'epoca, nel 1968 e giù di lì, i Beatles fossero amati da tutti.
Molti, soprattutto negli ambienti più duri della contestazione giovanile, li
consideravano troppo sdolcinati e intimistici, preferendo espressioni più
ruvide o ritenute più "impegnate" del rock. Ma il tempo ha dato ragione ai
quattro ragazzi di Liverpool. E mentre di molti gruppi di allora si è persa
traccia, la stella dei Beatles appare ancora intramontabile. Malgrado
permanga nella pubblicistica una grande sproporzione tra agiografia e
analisi, è indubbio che il loro vero talento risiedeva nell'ineguagliata
capacità di comporre canzoni popolari (pop) con quella sorta di euforica
leggerezza che costituisce un autentico marchio di fabbrica. E il White
Album, pur nella sua eclettica unicità, non sfugge a questa regola.
Quarant'anni dopo resta una sorta di magico florilegio musicale: trenta
canzoni da sfogliare e ascoltare a piacimento, certi di trovarvi delle perle
a tutt'oggi inarrivate.
(©L'Osservatore Romano - 22 novembre 2008)
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Cher: nel 2009 un disco di cover anni Sessanta
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Video : Sarah Dylan at the Reverb
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Domenica 7 Dicembre 2008
NEIL YOUNG
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Sabato 6 Dicembre 2008
Concerti, Bob Dylan: tre date in Italia ad aprile 2009
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EUROPEAN SPRING TOUR 2009
29 le date già confermate , delle quali tre in Italia
, Milano , Roma e Firenze :
3/23 Stockholm, Sweden - Globen
3/25 Oslo, Norway - Spektrum
3/27 Jönköping, Sweden - Kinnarps Arena
3/28 Malmö, Sweden - Malmö Arena
3/29 Copenhagen, Denmark - Forum
3/31 Hannover, Germany - AWD Arena
4/1 Berlin, Germany - Max Schmeling Halle
4/2 Erfurt, Germany - Messehalle
4/4 München, Germany - Zenith
4/5 Saarbrücken, Germany - Saarlandhalle
4/10 Amsterdam, The Netherlands - Heineken Music Hall
4/11 Amsterdam, The Netherlands - Heineken Music Hall
4/12 Amsterdam, The Netherlands - Heineken Music Hall
4/14 Basel, Switzerland - St. Jakobshalle
4/15 Milano, Italy - Mediolanum Forum ? (
probabilmente Datchforum di Assago )
4/17 Rome, Italy - PalaLottomatica
4/18 Florence, Italy - Mandela Forum
4/20 Geneva, Switzerland - Geneva Arena
4/21 Strasbourg, France - Zenith
4/22 Brussels, Belgium - Forest National
4/24 Sheffield, England (UK) - Sheffield Arena
4/25 London, England (UK) - O2 Arena
4/28 Cardiff, Wales (UK) - Cardiff International Arena
4/29 Birmingham, England (UK) - National Indoor Arena
5/1 Liverpool, England (UK) - Echo Arena
5/2 Glasgow, Scotland (UK) - SECC - Clyde Auditorium
5/3 Edinburgh, Scotland (UK) - Edinburgh Playhouse
5/5 Dublin, Ireland - O2
5/6 Dublin, Ireland - O2
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COMO - LIGHT OF DAY EUROPE BENEFIT 2008
Tutto in una sera, tutti su un palco. Un palco piccolo, per
grande
musica.
Ci sono sedie, microfoni con calze della befana appese, luci
sapienti, a guidare il feeling fra palco e pubblico, una tastiera e
tante, tante chitarre.
Corde suonate nei modi più strani: la pennata nervosa di Malin,
quella folk di D'Urso, il tocco newyorkese di Nile, il chitarreto di
David Bielanko, la chitarra generosa di Lorenzo Semprini, quella
blues di Fecchio e quella folk di Parodi. Ma, anche, la tastiera,
sfiorata con grazia decisa e personalità da Christine Smith, o resa
viva da Nile in Streets of New York.
Ancora, le voci: vibranti di impegno, sporche di strada, ironiche,
fra rock e punk, e liriche nei riflessi delle mille esperienze di
tante vite. Un amalgama perfetto, che si impreziosisce ancor più,
quando una voce entra nella canzone di un altro, con rispetto e
affetto.
Ognuno ha a disposizione cinque pezzi, rigorosamente seguendo un
ordine; eppure troviamo un filo conduttore fra Semprini, D'Urso,
Nile, Malin e i Marah. Le voci e le corde e i suoni al servizio della
Musica, il passato dei grandi vecchi, il futuro di giovani che sanno
imparare. E il pubblico che canta in coro The River dimostra di aver
capito tutto...
E, sul tutto, il calore di artisti che sono prima di tutto persone,
che prima del concerto non si sottraggono a firme e foto con tutti,
che dopo il concerto distribuiscono ancora sorrisi, nonostante il
viaggio di dieci ore, la stanchezza per la serata precedente, il
traffico e la nebbia.
Ma, anche, l'affetto ammirato di un pubblico attento, partecipe,
quasi incredulo di trovarsi davanti a tanta qualità tutta insieme, in
un'epoca in cui la qualità è merce rara e preziosa. E felice di poter
contribuire ad aiutare chi soffre.
Uscire nel freddo della notte di dicembre sembra più facile... La
vita sembra più facile, dopo una sera così. Come se la light of day
non si fosse mai spenta.
ciao
lalab
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Expecting Rain chiede soldi :
If you are a regular visitor, you have seen this before.
Twice a year, I ask for your help in keeping this site alive. Many send
links, many help make the discussion forums a fine place to be (special
thanks to the moderators!), and now is your chance to help me cover the
expenses. If you like to see the site continue, please indicate it by
clicking the PayPal button and sending what you feel is right for you, if
you can.
My thanks to: Janet Kafka, John Foyle, Svein Iversen, Pedro Garmendia, Bert
Fehlow, Greg Windwick, David Seal, Hanns Peter Bushoff, Andreas Volkert,
Dave Holmes, Henk Soeten, Cees van der Werf, Noreen Barney, Brian Steedman,
Chris Barnard, Mieko Zuckerman, Asger Schnack, Luis Quevedo, kevin stone,
kim tjellesen, Antonio Iriarte, manor folsom, Mads Grubbe Hansen, Justin
Maxwell, Sean McArdle, Sergio Arturo Zurita Chávez, Liamy Mac Nally, stefano
moroni, brian strait, edward grazda, David Haywood, david winans, Daniel
Svensson, Manfred Schwarz, Kevin Jackson, William T Vogt Jr, Renaud
Depierreux, cornelia grosch, Ligia Kussama, Haldun Erol, Stephen Bailey,
Lynne Gray, Jon Olson, Betty Bidelman, Patrick Bauer, Daniel Kortmann,
Reinier Vanderpot, Susan Jacque, Linda Povey, Felix Epper, Arie de Reus.
Questo è l'annuncio di richiesta fondi
apparso oggi su Expecting Rain , permettetemi di garantirvi che questo non
succederà mai su Maggie's Farm.
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Morta Odetta, la regina del folk impegnato
clicca qui
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"STREET FIGHTING MAN proteste, rivoluzioni e novità nel
rock del '68"
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Venerdi 5 Dicembre 2008
European tour 2009
March 23, Stockholm, Sweden-- (Monday)
Globen
Capacity: 13,850
March 27, Jönköping, Sweden-- (Friday)
Kinnarps Arena
Capacity: 8138
March 28, Malmö, Sweden-- (Saturday)
Malmö Arena
Capacity: 15,000
March 29, Copenhagen, Denmark-- (Sunday)
Forum - Capacity for this show: 8000
Showtime: 8:00 PM
Ticket prices: DKK 550,00 - standing on floor, DKK 55,00 - side balcony
seated reserved, DKK 495,00 - North balcony seated reserved
Tickets will go on sale to the general public through www.billetlugen.dk on
Tuesday, December 9
April 24, Sheffield, England (UK)-- (Friday)
Sheffield Arena
Showtime: 7:30 PM
Reserved seating
Ticket prices: £42 and £37
Tickets will go on sale to the general public through Ents24.com on Friday,
December 5 at 9:00 AM
Ents24.com phone sales: 0844 248 5050
VIP ticket package is available through the Sheffield Arena's commercial
Department
The VIP ticket package includes a ticket in a prime location, dinner before
the show and complimentary parking
VIP ticket price £130
April 25, London, England (UK)-- (Saturday)
London Dockland Arena
Reserved seating
Ticket prices: £47.50, £42.50, £37.50
Tickets will go on sale to the general public on Friday, December 5 at 9:00
AM
April 28, Cardiff, Wales (UK)-- (Tuesday)
Cardiff International Arena
Location: Mary Ann Street
Showtime: 7:30 PM
Ticket prices: £42.50 (reserved on sides and rear) and £40 (GA standing on
floor)
Tickets will go on sale to the general public through Ents24.com on Friday,
December 5 at 9:00 AM
Ents24.com phone sales: 0844 248 5050
April 29, Birmingham, England (UK)-- (Wednesday)
National Indoor Arena (NIA)
Location: Mary Ann Street
Showtime: 7:30 PM
Reserved seating
Ticket prices: £42 and £37
Tickets will go on sale to the general public through Ents24.com on Friday,
December 5 at 9:00 AM
Ents24.com phone sales: 0844 248 5050
Tickets will also be available through The Ticket Factory on Friday,
December 5 at 9:00 AM
The Ticket Factory phone sales: 0844 33 88 000
May 1, Liverpool, England (UK)-- (Friday)
Echo Arena
Capacity: 11,000
Showtime: 7:30 PM
Reserved seating
Ticket prices: £42 and £37
Tickets will go on sale to the general public through Ents24.com on Friday,
December 5 at 9:00 AM
Ents24.com phone sales: 0844 248 5050
May 2, Glasgow, Scotland (UK)-- (Saturday)
SECC - Clyde Auditorium (The Armadillo)
Location: Finnieston Street
Showtime: 7:30 PM
Reserved seating
Ticket prices: £42 and £37
Tickets will go on sale to the general public through Ents24.com on Friday,
December 5 at 9:00 AM
Ents24.com phone sales: 0844 248 5050
May 5, Dublin, Ireland-- (Tuesday)
The O2
Showtime: 8:00 PM
There will be an internet presale on Saturday, December 6 at 9:00 AM
Tickets will go on sale to the general public through Ticketmaster Ireland
on Monday, December 8 at 9:00 AM
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La Mafia Dylaniana e quei 100 euro maledetti
Collezionisti e dylaniani di tutto il mondo, unitevi. C’è una
mafia da abbattere, e la purezza di un culto da proteggere. Anche se la
musica è diventata un bene liquido e immediatamente disponibile, c’è ancora
un manipolo di feticisti dell’oggetto fisico, disposti a tutto pur di
possedere ogni registrazione sul mercato del proprio artista preferito. O
quasi. L’industria discografica, con una flessibilità da sistema fiscale, fa
infatti pagare a chi è dentro il sistema anche i costi persi a causa di chi
ne è uscito a favore del jukebox celestiale, garantito da Emule, Bitorrent
ed altri. Non solo per il costo del cd a 20 euro, ma anche per le edizioni
deluxe che ormai hanno sfondato quota 100 euro. Gli ultimi ad esserci
rimasti molto male, sono i fan di Bob Dylan, per Tell Tale Signs: Rare and
Unreleased 1986 - 2006, antologia di outtake, b-side e rare performance live
del periodo che va da Oh Mercy fino a Modern Times. Un Dylan ultima maniera
insomma, senza molto da aggiungere alla sua immensa, ma con alcune gemme,
tra cui la bellissima Mississippi, tra l’altro messa per varie settimane in
ascolto in streaming. L’ira dei collezionisti è scattata per la doppia
distribuzione che ha avuto questa raccolta: un’edizione due dischi, a 29
euro in Europa, e una a 3 dischi, a 139 euro. Un salto di più di cento euro,
per un pugno di canzoni in più, e per l’aggiunta di qualche mini benefit
come un singolo in vinile, un poster e un ricco booklet. Troppo poco,
secondo loro, per giustificare una differenza di prezzo così esorbitante.
Nella psicologia del completista, si tratta di un ricatto: se devo avere
tutto, devo necessariamente comprare l’edizione tre dischi. «Le case
discografiche stanno tirando la corda», c’è scritto sui forum dei fan,
«hanno rotto il patto sociale tra gli artisti e il pubblico», invocando
anche il sommo sacrilegio: «Tanto vale scaricare le canzoni da internet, a
questo punto». Nessuno però ha avuto parole dure contro Dylan, tutti sanno
che His Bobbiness delega tutta la gestione dei suoi affari a un clan di cui
si fida ciecamente, preferendo concentrarsi soltanto sulla musica e sulle
scalette del suo never ending tour. Un clan che alcuni hanno paragonato alla
famosa Mafia di Memphis che controllava, e forse mandava in malora, affari e
immagine di Elvis. Quella dylaniana è stata prontamente ribattezza la mafia
di Malibu, dove il menestrello di Duluth vive quando non è in giro per il
mondo. Il Padrino di questa congrega, accusato se non altro di non avere
abbastanza a cuore i fan più fedeli di Bob Dylan, è il suo onnipresente
manager, Jeff Rosen, descritto da chi ha avuto modo di incontrarlo (è una
figura schiva e invisibile) come un Bill Bob Thorthon più alto e scuro. A
lui si sono dovuti rivolgere, ad esempio, Martin Scorsese e Todd Haynes per
i due film realizzati su Dylan, Rosen ne ha letto e approvato le
sceneggiature, ed è stato sempre lui a porre fisicamente le domande a cui
Dylan ha risposto in No Direction Home. Rosen non è però soltanto un
sacerdote della chiesa dylaniana, ne cura infatti anche gli affari, fin
nella più piccola minuzia, per farsi sì che Bob debba solo mettere una
firma. Forse, proprio una di queste firme, messe nella cieca fiducia per il
suo collaboratore, rischia di aver spezzato il prezioso filo che lega Dylan
a chi lo ha seguito sempre e comunque. Solo per un pugno di dollari.
(fonte: ifgonline.it:)
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Arte/ A Londra i mostra i dipinti di Bob Dylan
clicca qui
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SCRIVEVANO....
Il nuovo disco si chiama Modern Times Dylan riscopre la
classe operaia . Album «innamorato» del vecchio menestrello cesellato di
suoni «all’antica» dopo le recenti polemiche scatenate su Rolling Stones.
A cinque anni da «Love and Theft» (uscì nella tragica data dell’ 11
settembre 2001) Bob Dylan torna con dieci nuove canzoni in «Modern Times»
che nel titolo e in alcuni dei temi trattati allude chiaramente a Tempi
moderni di Chaplin (1936), capolavoro del cinema sulla grande depressione.
Di classe operaia Bob parla direttamente in «Workingman’s Blues #2» (Il
blues del lavoratore) che attacca così: «C’è la nebbia della sera che cala
sulla città / mentre la luce stellare si riverbera sullo specchio del fiume
/ Il potere d’acquisto del proletariato è andato a fondo / Il denaro sta
diventando sempre più debole ed inconsistente / I luoghi che amavo sono
ormai un dolce ricordo...».
Per trovare una canzone così fortemente «sociale » di Dylan bisogna risalire
a «Infidel » (1983) dove in «Union Sundown » cantava i guasti della
globalizzazione: «Le mie scarpe sono fatte a Singapore, la lampada a Taiwan,
la tovaglia in Malaysia, la fibbia della cintura in Amazzonia, la camicia
che ho indosso nelle Filippine... e sui mobili è scritto "fabbricato in
Brasile" dove una donna, sicuramente una schiava, guadagna 30 centesimi». Un
ritorno esplicitamente «politico », dunque, ma in un disco che fa anche
gridare al miracolo perché è divertente, vario, cristallino, con saggi di
bel canto in perfetto stile crooner in cui a dominare è soprattutto il tema
dell’amore.
A giudicare dalle canzoni (e dai pettegolezzi) c’è una musa, ovvero una
nuova intensa storia sentimentale personale. «Modern Times», che esce oggi
in tutto il mondo, è cesellato di suoni «all’antica» e arriva all’indomani
di una rovente polemica scatenata dallo stesso Dylan con un’intervista a
Rolling Stone, in cui ha accusato la tecnologia di aver distrutto la musica:
«Non conosco nessuno che negli ultimi vent’anni abbia inciso un album dal
suono decente. Questi dischi moderni sono atroci, la tecnologia appiattisce
i suoni, rende tutto statico». E ha aggiunto: «Anche i brani del mio nuovo
album sicuramente erano dieci volte migliori quando sono stati suonati in
studio rispetto a quello che si potrà ascoltare sul cd . Noi dobbiamo fare
ciò che possiamo per difendere i suoni veri combattendo la tecnologia in
tutti i modi possibili».
E concludeva con la consueta durezza: «Non mi piace fare dischi, lo faccio
malvolentieri, ma ho scritto queste canzoni in stato quasi ipnotico, in una
specie di trance. E poi ho la miglior band di sempre, gente che sa cosa
voglio». Il nuovo viaggio di Bob Dylan si apre con «Thunder on the Mountain
», veloce, epica e sentimentale: «Me ne son stato seduto a studiare l’arte
dell’amore / penso che mi calzerà come un guanto / Voglio una qualche donna
vera per fare quel che dico» in cui viene evocata in maniera entusiastica,
ma anche criptica, Alicia Keys. L’afflato amoroso esplode in «Spirit on the
water» romantica, blues, sognante: «Mi ero dimenticato di te ma mi sei
apparsa di nuovo... L’ho sempre saputo che eravamo destinati ad essere più
che semplici amici...». E l’amore torna in brani come «Beyond the Horizon» .
I fan, fin dai tempi del «tradimento elettrico» di Newport del 1964 sono
molto abituati ai suoi cambiamenti di umore e stile. «Modern Times »
conferma che Dylan è in perenne movimento fisico, artistico e mentale: da
una parte il «Neverending tour», cioè la serie di spettacoli che non si
arresta mai, dall’altra un perfetto camaleonte perfezionista. La canzone più
emozionante sul piano sonoro e dei testi è forse «Rollin’ and Tumblin’»,
rock fiorito dai colori sgargianti, che propone versi come « L’amore di una
giovane signora ha gettato un incantesimo sulla mia mente...». Insomma il
vecchio menestrello confessa in modo rutilante il suo essere innamorato.
Mario Luzzatto Fegiz
(fonte: corriere.it)
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Libri : “Imagine This. Io e mio fratello John Lennon”
Julia Baird è nata a Liverpool nel 1947. È la figlia di
Julia, madre anche di John Lennon, e del suo compagno Bobby. Laureata in
Scienze della Formazione, ha iniziato a lavorare come insegnante di francese
e inglese e poi, per quindici anni, si è dedicata all’insegnamento di
sostegno per adolescenti emarginati. Julia vive con il suo compagno Roger,
ha tre figli grandi ed è appena diventata nonna. Attualmente dirige i tour
della città organizzati dal Cavern.
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Non l’ho mai visto come un’icona mondiale. Per me John era
semplicemente mio fratello e faceva parte del nostro mondo, mio e di Jackie,
un mondo intriso di una profonda nostalgia per nostra madre.
Questa storia ha inizio a Liverpool. È la storia di una famiglia e dei suoi
segreti, e di un destino, il più delle volte beffardo. John è ancora un
bambino. A soli cinque anni la zia Mimi lo strappa dalle braccia della madre
e cerca di tenerlo lontano da quella donna che reputa immorale e inadatta.
Imagine this è la storia di un amore, tra madre e figlio, tenero e
struggente che nessuno riesce ad ostacolare. John correrà dalla madre appena
potrà. Con lei suonerà i primi accordi, scoprirà nella musica una passione
assoluta. Avrà in quella donna e nelle sorelline, nate da una successiva
relazione, il suo primo e appassionato pubblico. E quando tutti sembravano
convinti che di lì a poco sarebbero diventati finalmente una vera famiglia,
la morte della madre scompaginerà quei progetti. L’impatto che avrà su John,
diciassettenne, e sulle sorelle sarà devastante. È Julia Baird, la sorella
di John, a raccontarcelo. Nelle sue pagine appassionate e toccanti rivivono
i primi amori del fratello, la passione per la musica che lo divora, il
piccolo gruppo messo insieme già ai tempi della scuola, quando si suonava in
bagno, in cucina, ovunque fosse possibile. Ne viene fuori un ritratto
affettuoso e inedito, una mappa emozionale puntellata dai primi amori di
John, dal matrimonio con Cynthia, dalla scoperta della paternità. E poi
arrivano gli anni dei Beatles, il successo planetario. John è di nuovo
lontano. Julia può ascoltare la sua voce in radio, vederlo dallo schermo del
televisore. Lo cerca affannosamente, spesso senza risultati. Intanto, la
fine dei Beatles. Il matrimonio con Yoko Ono che lo allontana ancora di più
dalla famiglia, dalle radici. Costruisce una nuova distanza. Non appena i
fratelli avranno deciso di ritrovarsi, il destino di nuovo imprimerà una
direzione diversa. L’8 dicembre 1980 la morte violenta di John. Un lungo
racconto biografico, la storia di un rapporto complicato e tenace. Tutte le
emozioni, le scoperte, i traumi, il dolore e la forza necessari per
diventare un genio. Un mito. Per diventare John Lennon.
(fonte: giulioperroneditore.it)
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La quotidianità, la musica, le passioni di un adolescente,
i primi passi con i Beatles. In “Imagine This. Io e mio fratello John
Lennon” Julia Baird racconta tutto questo e ancora di più. L’abbiamo
incontrata a Milano durante la presentazione del volume
“Scrivere significa dar senso alla propria vita, tentando di attribuirle una
forma e un significato. Far scorrere la penna sulla carta, consegnare
pensieri impalpabili a parole concrete, ci permette da una parte di
delineare distintamente il nostro mondo e dall’altra di chiarire a noi
stessi il posto che abbiamo all’interno di quel mondo. Questo libro presenta
il mio tentativo di dar senso alla mia vita e quella del mio fratellastro
John” cosi esordisce Julia Baird in “Imagine This. Io e mio fratello John
Lennon”. Il racconto di una vita nel tentativo di “correggere i numerosi
errori fatti da chiunque abbia tentato di far luce sulla vita e la carriera
di John”. Questa l’intenzione dichiarata dalla Baird che con John ha
condiviso una madre e alcuni momenti della sua infanzia e adolescenza.
Il libro è una biografia dell’ex Beatles ma anche un’autobiografia di Julia
che oggi vive a Liverpool e dirige i tour organizzati dal Cavern, dove i
Beatles suonarono per la prima volta nel 1957, anno della sua apertura.
Julia parte dal racconto della storia d’amore tra i genitori di John, Julia
e Alf, per passare al momento in cui la zia Mimi, sorella della madre,
decide che John debba vivere con lei. Alf stava via per lavoro mesi interi e
Julia si era costruita una nuova famiglia con Bobby da cui sono nate Julia (
stesso nome della madre) e Jackie. Prima di loro Julia aveva avuto una bimba
da una storia extra coniugale con un soldato gallese. La piccola fu data
immediatamente in affidamento ma ovviamente incrinò la “reputazione” di
Julia in famiglia. Per questo, e per la sua relazione con Bobby iniziata
senza che finisse il matrimonio con Alf, la zia Mimi decise che John non
dovesse vivere nel peccato e lo portò a casa propria. Questo influì molto
sulla vita dell’uomo e dell’artista. Pagina dopo pagina Julia racconta dei
primi incontri con John, di quando frequentava casa loro di nascosto dalla
zia Mimi e di quando invece ,ormai ragazzo, si trasferiva giorni interi a
casa di Julia e Bobby.
Si scoprono i primi rapporti con la musica grazie agli insegnamenti della
madre, l’esordio nei Quarry Men e l’incontro tra John Lennon e Paul
McCartney. “Il loro incontro ha determinato la nascita di quello che io
chiamo il Dream Team” sottolinea Baird “avevano molte cose in comune:
scrivevano entrambi le loro canzoni, cosa che ha reso grandi i Beatles, e
amavano entrambi stare sul palco. Sono stati una grande coppia fino a che il
rapporto non si è incrinato”. Racconta la Baird che nel libro descrive nei
dettagli quel primo incontro tra i due giovani di Liverpool. Era il 6 giugno
1957 e i Quarry Men erano ospiti al Festival di Woolton. Paul era li con un
amico. Da li è partito tutto anche se, come racconta la Baird, John
all’inizio “provava dei sentimenti contrastanti nei confronti di Paul. Si
rendeva conto che era più intraprendente di lui nonostante fosse più
piccolo. Probabilmente si sentiva minacciato dal carattere socievole di Paul
e temeva che potesse interferire nella sua indiscussa leadership all’interno
dei Quarry Men. Paul aveva talento e John lo riconosceva ma gli ci volle del
tempo prima di accettare il nuovo arrivato“. Questo il video del concerto di
quel giorno.
Questa sottile competizione tra i due è forse quello che ha reso grandi i
Beatles ma è anche l’aspetto su cui i media hanno sempre spinto, soprattutto
dopo la rottura. La stessa Julia Baird durante la presentazione del suo
libro si lascia andare ad un commento a mio avviso evitabile: “Qualche sera
fa Paul McCartney è stato nominato Leggenda vivente agli Mtv Europe Music
Awards 2008 di Liverpool. Sono assolutamente contenta per lui, ma credo che
non avrebbe vinto se John fosse stato ancora vivo”. E come si fa a dirlo, mi
chiedo. Chi può sapere quale sarebbe stato il percorso di John, quali i
rapporti tra i due. Insomma, che senso ha affermare ciò? Questo è il
presente: Paul è qui e ha vinto, John resta un grande mito del rock ma
purtroppo non è tra noi.
A parte questo commento, il libro è molto interessante perchè ripercorre la
vita di John ma anche di un’epoca. Si capisce abbastanza di come funzionava
la famiglia in quegli anni, di come vivevano i giovani, delle proteste,
degli ideali, del ruolo della musica. Se letto nel modo giusto è un grande
arricchimento. Julia infatti da uno spaccato molto affascinante del periodo
e della vita di John anche se a volte si lascia andare ad aneddoti banali
che sembrano avere un unico obiettivo: sottolineare che lei è la sorella di
John Lennon. Sembra voler dimostrare che hanno vissuto momenti quotidiani
insieme, che hanno giocato, hanno riso, hanno pianto. Insomma spesso si
legge una sorta di giustificazione a tratti comprensibile e a tratti no.
Tolto questo leggetelo perchè è ben scritto e molto interessante,
soprattutto se amate i Beatles.
(fonte: musicroom.it)
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“Imagine This”: il libro su John Lennon
di Rosy Romano
11 Novembre 2008 - Julia Baird presenta “Imagine This”
Feltrinelli, Piazza Colonna - Roma
Presenti anche:
Ugo Ricciarelli (scrittore)
Giulio Perrone (editore)
Paolo di Paola (scrittore, presentatore)
Giorgia D’Urso (attrice)
La presentazione di “Imagine This”, scritto da Julia Baird ed edito da
Giulio Perrone Editore, ha inizio con la lettura da parte di Giorgia D’Urso
di un brano tratto dal libro. E subito siamo catapultati in una situazione
familiare piuttosto difficile, in cui Julia e soprattutto John (Lennon),
hanno vissuto.
Ugo Ricciarelli, vincitore nel 2004 del premio Strega per il suo romanzo “Il
dolore perfetto”, introduce “Imagine This” di Julia Baird.
“Non è facile parlare di questo libro, perchè sono cresciuto proprio in quel
periodo in cui i Beatles sono nati e hanno segnato la storia della musica.
C’è ovviamente una curiosità mia personale su questo libro che propone un
punto di vista particolare sulla vita di John Lennon, e cioè quello della
sua famiglia. Devo ammettere che Julia ha avuto un grande coraggio nello
scrivere questo libro e regalarcelo, perchè è un libro che ci trasmette
allegria, ma anche dolore: il dolore della perdita della madre tra tutti.
Ci sono situazioni parallele nella vita di fratelli che sono il vivere di
situazioni con laceranti mancanze.
La vita di John Lennon è stata una vita costellata di questi momenti di
profondo dolore. E attraverso le righe di questo libro scopriamo una
persona, John, che ha fatto quel che ha fatto attraversando momenti di
grande sofferenza. Forse non è un caso che uno dei gruppi musicali, i
Beatles, che maggiormente ha segnato una svolta nel mondo della musica, sia
costituito da due principali rappresentanti, John e Paul, entrambi orfani di
madre.
Son convinto che la sofferenza sia una grande scuola che ti obbliga a farti
delle domande. E John, con la sua intelligenza, ha saputo trarre molto da
situazioni che avrebbero devastato molti.”
La stessa canzone “Julia” (White Album, 1968), dopo aver letto questo libro,
assume un significato particolare.
Half of what I say is meaningless / metà delle cose che dico non hanno senso
But I say it just to reach you, Julia / ma le dico solo per raggiungerti
Julia
Julia, Julia, oceanchild, calls me / Julia, figlia dell’oceano mi chiama
So I sing a song of love, Julia / così canto una canzone d’amore Julia
Julia, seashell eyes, windy smile, / Julia occhi di conchiglia, sorriso di
vento
calls me / mi chiama
So I sing a song of love, Julia / così canto una canzone d’amore Julia
Her hair of floating sky / i suoi capelli di cielo fluttuante
is shimmering, glimmering, / luccinano, scintillano
In the sun / nel sole
Julia, Julia, morning moon, touch me / Julia, luna del mattino, toccami
So I sing a song of love, Julia / così canto una canzone d’amore Julia
When I cannot sing my heart / quando non posso cantare il mio cuore
I can only speak my mind, Julia / posso solo far parlare i miei pensieri
Julia, sleeping sand, silent cloud, / Julia sabbia sepolta nuvola silenziosa
touch me / toccami
“Il brano è dedicato alla madre Julia” commenta Ricciarelli. Rileggendo il
testo della canzone si percepisce un affetto mancato e la malinconia di
qualcuno che vuole esser chiamato e toccato.
‘Imagine This’ è un libro interiormente molto difficile. Potrebbe essere
visto come un romanzo di una saga particolare: un esempio ne è la zia Mimi,
che in punto di morte confessa a Julia, la sorella di John, “ho paura di
essere stata troppo cattiva”.
Una famiglia dove succedono cose, ma nessuno ne parla, tanto che gli stessi
figli non sanno della morte della madre.
‘Imagine This’ è un libro imperdibile: è una vista sulla dimensione meno
nota di John Lennon, necessaria a comprenderne il mito soprattutto per chi
ha vissuto direttamente l’epoca dei Beatles. Ma anche per i più giovani è un
ottima occasione di conoscere un personaggio che ha preso su di sè il senso
di un periodo ed ha scritto canzoni indimenticabili, come appunto
‘Imagine’.”
Julia Baird ringrazia Ugo per la bellissima introduzione che l’ha commossa,
ringrazia il suo editore, ringrazia noi per essere accorsi alla
presentazione del suo secondo libro, ringrazia la sua traduttrice e tutti
coloro che le sono stati accanti in questa settimana trascorsa a Roma.
“Non è stato facile scrivere questo libro”, confessa Julia. “E’ il mio
secondo libro. Il primo l’ho scritto nel 1986. Questo è un’espansione di
quel libro ed il motivo che mi ha spinto a scriverlo è stato uno solo:
raccontare la verità.
Cinque anni dopo la morte di John, nel 1985 fu trasmesso in TV un
documentario su di lui, pieno di inesattezze, ma soprattutto falsità. Mi son
detta ‘Se sbagliano dopo soli cinque anni dalla sua morte, cosa diranno
dopo?’. E così, in risposta a quel documentario, ho deciso di scrivere
questo secondo libro.
Tutto quello che racconto qui è stato frutto di conversazioni con mia zia
Mimi“, sorella di mezzo della madre Julia. “In famiglia c’è sempre una
persona che sa tutto di tutti. Nel mio caso era lei.
Io ho sempre fatto molte domande, ma non ho mai ricevuto risposte da lei se
non ‘Riguarda tua madre’, oppure ‘No questo è troppo doloroso’ oppure ‘ Non
ho voglia di parlarne’. Ma 18 mesi prima della sua morte, avvenuta nel 1997,
quando fisicamente stava già cedendo, ma mentalmente era lucidissima, mia
zia Mimi ha finalmente deciso di parlare. E così mi ha raccontato la stessa
identica storia fino al giorno della sua morte. Io le ho chiesto se aveva
raccontato ad altri quelle cose, ma lei disse di no. Non potevo registrare
quello che diceva. L’unica cosa che potevo fare era quella di ascoltare e
cercare di ricordare il più possibile.”
Ma la zia Mimi non è stata l’unica fonte di questo libro.
“Quando dico che ho osato, intendo dire che ho ricercato le persone più
vicine a John. Una di queste era David Ashton, il suo amico d’infanzia. Non
è stato difficile trovarlo grazie ad Internet e lui è stato contentissimo di
parlare con me di John.
Ha trascorso qualche tempo a casa mia, raccontandomi di quanto John fosse
affezionato alla sua famiglia.” e aggiunge “L’unico modo per scrivere la
storia di una persona che non c’è più, è quella di parlare con le persone
che gli sono state più vicine. E’ così che ho compreso John come fratello
minore. Ho scoperto di quanto fosse ’scapestrato’ a scuola, cosa che in
famiglia non si sapeva. Queste persone hanno dato un grande contributo a
questo libro.”
Dal pubblico giunge la domanda successiva: “A 30 anni dalla morte di John,
quanto pensa che il mondo si sia avvicinato o allontanato dalla sua
visione?”
“I francesi hanno un modo di dire molto particolare a riguardo e cioè, più
le cose cambiano, più rimangono uguali. Mi guardo in giro e vedo ragazzi che
vanno per negozi a fare shopping, mentre il mondo è devastato da guerre e
povertà. Io vi dico “smettete di fare shopping! scendete in piazza!
protestate!”.
Noi scendevamo in strada quando qualcosa non andava, protestavamo contro il
governo. Perciò svegliatevi! Se John fosse qui sarebbe sicuramente in prima
linea, a lottare per i diritti dei più deboli”.
Ma giunge anche una domanda poco gradita alla Baird, ovvero “Yoko Ono è
stata una buona moglie?”. Lei, stizzita, piuttosto contrariata, risponde
“dopo la domanda sulle proteste non è una buona domanda”. No comment.
E questo la dice lunga sul rapporto tra la coppia John/Yoko e la sua
famiglia. Sposando Yoko, John infatti si allontanò dai suoi cari, dalle sue
radici, costruendo una nuova distanza.
“Ripensando al repertorio di John come solista e a quello dei Beatles come
gruppo, viene da pensare ad un testo come quello di ‘Mother’ (John
Lennon/Plastic Ono Band, 1970) in cui John affronta il tema materno per la
prima volta“, commentano dal pubblico.
“Sicuramente è vero. I Beatles come gruppo di 4 erano molto legati, nel
senso che difficilmente riuscivano ad esprimersi come singoli. Quando nel
1966 hanno smesso di esibirsi e successivamente si sono sciolti, ognuno ha
tentato strade diverse.
John si è dato al cinema, Paul ha composto un album da solista, George se
n’è andato in India. Poi John ha sposato Yoko e”, indicando la persona che
le aveva fatto la domanda precendente “qui ritorno a lei. Yoko era una
persona molto eccentrica di cui John aveva bisogno per poter esplodere ed
esprimersi.”
“John è stato una guida per molti. Noi giovani, come ha detto lei, sembriamo
addormentati, ma ultimamente ci siamo svegliati e scendiamo in piazza, visti
gli ultimi eventi politici del nostro paese”, commenta una giovane dal
pubblico “Cosa possiamo fare oltre a protestare in piazza per farci
sentire?”
“Vorrei tanto avere la risposta”, sospira Julia. “E’ difficile riuscire a
cambiare le cose perchè ciascuno di noi è in grado di fare solo piccole
cose. In giro c’è molta corruzione, ma possiamo vedere oltreoceano una luce
di speranza, Obama, come ai tempi di John fu Kennedy.
Obama è tornato a parlare di diritti razziali (come già fecero Kennedy e
Martin Luther King, nda). Ma cosa possiamo fare o dire sulla guerra in
Afghanistan, in Iraq.
John cantava “Give Peace a Chance”. Insieme a Bob Geldof, John si è mosso
contro la fame nel mondo, ma 20 anni dopo Bob Geldof è tornato in Africa e
ha trovato tutto come prima. Che fine avevano fatto i miliardi e miliardi
che avevano raccolto?
Per cui tutto diventa una situazione politica e questo va cambiato. Dobbiamo
guardare indietro nel tempo, alla Filosofia Greca, a Platone e chiederci ‘Ma
come facevano loro’? Io non ho le risposte, ma sicuramente ci sono tante
bugie in giro. Ad esempio, quando in Inghilterra ci fu lo sciopero di oltre
3 milioni di persone che paralizzò completamente il paese, le tv ne
riportarono solo 1 milione. Abbiamo bisogno di un leader. Abbiamo bisogno
tutti, negli Stati Uniti, in Inghilterra, ovunque, di fermarci e smettere di
lavorare. A nessuno piace scioperare. Ma guardiamo quello che è successo
ieri”, riferendosi allo sciopero dei trasporti, “Bisogna fare in modo che le
cose cambino.”
Lasciandoci alle spalle proteste e diritti, arriva una nuova domanda, più
personale: “Ha voglia di condividere con noi il suo ricordo più bello di
John?”
“Sicuramente il periodo della nostra infanzia, con io, John, mia sorella,
nostra madre e nostro padre in giardino, in cucina, nel parco.
Ricordo poi, nel 1974, una telefonata da mia zia che mi diceva che John
stava cercando le ragazze (the gals), ovvero me e mia sorella Jackie.
Aspettai fino a mezzanotte per potergli telefonare e parlammo
ininterrottamente per 4 ore. Parlammo di molte cose, della famiglia, delle
figlie di mia sorella Jackie, ma mai dei Beatles. Abbiamo avuto il tempo di
sorridere e di piangere. Se penso a John, penso ai periodi trascorsi in
famiglia. Per voi è John Lennon, per me era solamente John, mio fratello.”
Sulla quarta di copertina leggiamo:
“Non l’ho mai visto come un’icona mondiale. Per me John era semplicemente
mio fratello e faceva parte del nostro mondo, mio e di Jackie, un mondo
intriso di una profonda nostalgia per nostra madre. Era un genio
traumatizzato. Traumatizzato esattamente per la stessa ragione per cui lo
eravamo noi, le sue sorelle: la perdita di nostra madre”.
“John di fatto è stato una guida spirituale per molti. Prima di fare una
scelta o prendere una decisione si confrontava preventivamente con la sua
famiglia?” chiedono dal pubblico.
“Nelle nostre conversazioni”, risponde Julia, “abbiamo parlato di Dio, di
nostra madre e della nostra guida spirituale. Penso che John fosse una
persona molto pratica. Con la sua musica ha spinto intere generazioni ad
uscire in strada: lui ne era capace. La sua guida spirituale è stata Gandhi
e la sua ‘non violent protest’ in cui lui ha sempre creduto”.
Non c’è altro da aggiungere se non quello di consigliarvi la lettura di
questo libro che vi darà modo di affacciarvi sulla finestra del lato meno
noto della vita di uno dei più grandi personaggi dello scorso secolo.
Grazie Julia per questo regalo.
(Fonte: musiczone.it)
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McCartney: ‘ I reality sono come un incidente
stradale’.
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I GRUPPI MITICI.....
Spencer Davis Group - Gimme Some Lovin
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Giovedi 4 Dicembre 2008
European tour 2009
Dylan conferma lo show del 5 Maggio 2009 a Dublino
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5 Aprile 2009 - annunciato show di Dylan a
Saarbruecker
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15 Aprile: Milano Datch Forum
17 Aprile: Roma Palalottomatica
18 Aprile: Firenze Mandela Forum
Show in Israele nel giugno 2009 ?
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N.B. non ci sono ancora conferme ufficiali
per questi show
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TTS - The Dylan Watch
by Lawrence Epstein
Il nuovo album di Bob Dylan “Tell Tale Signs” è l’ottavo
della serie “Bootleg” , ed è composto da takes di studio scartate da “Oh
Mercy” , “Time out of mind” e “Modern Times”, canzoni non pubblicate ,
contributi a colonne sonore e qualche performance dal vivo. Il materiale è
disponibile in un set supercostoso di tre CD + libro o nell’opziome a due CD
per gli ascoltatori non ossessionati.
A dispetto delle diverse fonti delle canzoni , il tono dell’album da un
senso di unità. Lo semplicità delle canzoni è inesorabile. Il palpabile
senso di apocalisse che ne esce a ricorda i tempi di profonda confusione
della crisi economica nazionale che trasforma “Tell Tale signs” in un altro
argomento sul talento profetico di Dylan.
Se c’è qualche rilievo da fare , viene dall’immersione di Dylan nel blues e
nella musica folkloristica americana. In questo album esegue le cover
di “30-20 blues” di Robert Johnson , “Miss the Mississippi” scritta da Bill
Halley nella versione country di Jimmy Rodgers ed in duetto con Ralph
Stanley “The lonesone river”.
Alcuni pezzi potevano essere evitati perchè il materiale che appariva sui
precedenti album era già liricamente definito e completo , ma avere la
possibilità di ascoltare gli sviluppi di Dylan è una vera opportunità di
seguire l’evoluzione delle canzoni. C’è anche qualche puzzle. Non so
immaginare perchè “Red river shore” è stata esclusa da “Time out of mind”,
la canzone è la migliore di questo album , anche le tre versioni di
Mississippi sono davvero buone. Una versione di questa canzone appare su
“Love and Theft” , ma le tre versioni proposte qui non erano mai state
pubblicate , mi piace la semplice prima versione che apre l’album.
Il Bob Dylan che ha registrato questo materiale non è il Bob Dylan degli
anni 60’. Le liriche sublimi se ne sono andate da molto tempo , rimpiazzate
da testi che molto raramente necessitano di una interpretazione. Sono il
pianto diretto del cuore. Dylan sembra aver paura che tutto il suo talento
sia sparito , che il suo mondo non abbia più senso , quell’amore è finito e
non tornerà più , e che sicuramente quel mondo spirituale che ha in
mente sta diventando la sua casa e che di certo sarà meglio del solitario
paesaggio nel quale si muove in questo album.
Su tutto questo , il feroce e triste lamento delle canzoni che costituiscono
un richiamo al coraggio per se stesso e per tutti gli altri che hanno
sperimentato abbondantemente la loro vita come un mistero continuo , con
punti tragici e felici , un mistero decisamente al di là di ogni umana
soluzione.
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Libri : Like a rolling stone, Bob Dylan, una canzone,
l'America
Il sottotitolo del libro Like a rolling stone, "Bob Dylan, una canzone,
l'America", ne spiega esattamente l'argomento: una monografia sulla canzone
che la rivista Rolling Stone ha giudicato la più bella di tutti i tempi, su
come è nata e sulla storia dei musicisti che l'hanno incisa. Più in generale
il libro intreccia la storia di Dylan, con quella dell'America che ascoltava
le sue canzoni. Quella generazione che secondo quanto afferma Greil Marcus
"ora sta vivendo sulle ceneri degli anni '60, noi tutti siamo sommersi di
anniversari nostalgici, quasi come per far sentire in colpa, ad esempio, non
solo chi non andò a Woodstock, ma persino chi non era neanche nato. Se
leggendo il libro vi sentite in colpa anche voi, vuol dire che ho fallito."
Invece Marcus ha vinto la sua sfida, il libro è una macchina del tempo,
capace di trasportare il lettore in un'altra epoca, riuscendo a farci
ascoltare in sottofondo le canzoni che l'hanno ispirata e quelle presenti
nella Top 40 dell'anno 1965.
Nonostante Like a rolling stone contenga l'esperienza della musica
precedente (il folk, il blues, il delta blues) e preannunci la musica futura
(il rock, il punk), le "istituzioni" del folk e molti fan non hanno
perdonato a Dylan il passaggio dal folk al rock. Ne è riprova il grido
"Judas!" ("Giuda", nel senso di traditore) durante il suo primo concerto
elettronico.
Eppure Dylan ha sempre adorato i suoi fan, gli piace sentire che il pubblico
apprezza la sua esecuzione e questa può essere una delle cause che lo sta
portando a proseguire il Never Ending Tour, ma Marcus ci spiega anche che
"Dylan è uno sperimentatore, sempre alla ricerca dell'esecuzione perfetta,
della canzone che sta dentro alla canzone".
Dylan è un artista vero e completo. Ecco in che termini Marcus parla del
primo volume dell'autobiografia di Dylan (Chronicles in uscita per
Feltrinelli) : "Mi ha impressionato la sua prosa, non ha niente da invidiare
a Mark Twain o a Wilbur Smith. È crudele che una sola persona abbia così
tanto talento in diverse arti."
Like a rolling stone è un singolo che dura 6 minuti, negli anni '60 lo
standard era 3 minuti - durata perfetta per la radio e per i dischi (i 45
giri) - conseguentemente nel primo disco la canzone era divisa a metà fra i
due lati ed in radio venne tagliata a 3 minuti, almeno fin quando qualcuno
non scoprì che dopo la dissolvenza forzata la canzone continuava, a quel
punto le radio vennero assalite da telefonate di ascoltatori desiderosi di
ascoltare cosa avvenisse dopo quei 3 minuti. Insomma il successo della
canzone è anche derivato da una curiosa e fortunosa operazione di marketing.
Secondo Marcus una delle caratteristiche che rende grande questa canzone è
"il suo movimento che si unisce alla storia dell'America, attraversata da
una pietra rotolante, da Boston in giù, composta da pionieri e disperati,
immigrati che hanno una speranza, quella che deriva dal detto Ogni uomo può
diventare il Presidente. Da qui nasce il sogno Americano."
A queste parole aggiungerei che Like a rolling stone cerca di incrinare
questo sogno, porta alla luce alcune incongruenze della società americana,
anche per questo rimane una canzone di protesta. Infatti essa sembra
narrare, in maniera allegorica, la storia di una donna ricca ormai in
completo declino ed alcuni hanno voluto vedere nella donna la
personificazione della società americana di quegli anni, combattuta fra la
guerra in Vietnam e il problema dell'integrazione razziale, la guerra fredda
e l'assassinio dei due Kennedy, di Luther King e Malcom X.
Greil Marcus analizza il testo parola per parola, la musica nota per nota
così scopriamo che la canzone inizia come una favola (C'era una volta) e si
conclude come un dramma (Sei invisibile ora, non hai segreti/da nascondere)
e che "la una canzone non sembra costruita, non c'è un movimento verso un
crescendo, è lì ora, completa, immediatamente percepibile".
Il libro non parla solamente del passato ma anche dei giorni nostri, di
tutti quei musicisti che hanno suonato, utilizzato, citato nuovamente Like a
rolling stone. Fra tutti questi artisti Marcus dedica ampio spazio alla
canzone Come una pietra scagliata degli Articolo 31. La spiegazione di
questa citazione è stata data direttamente da Marcus: "Una parte della
canzone italiana è usato, nel film scritto da Dylan Masked and Anonymus,
come sottofondo della scena nella quale si mostra Los Angeles desolata e
distrutta. Come una pietra scagliata è anche inserita nella colonna sonora
del film, perchè è una canzone che a Dylan piace molto".
Probabilmente Dylan si sente come noi quando ascoltiamo l'originale inglese:
non riusciamo a comprendere completamente il senso del testo, esso ci viene
trasmesso dalla musica, dal ritmo e dalla melodia. Uno dei grandi poteri
della Musica...
di pavese78
(fonte: ciao.it)
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Like A Rolling Stone: I tempi di una canzone
La corsa non era solo tra i Beatles, Bob Dylan e i Rolling
Stones e chiunque altro. Il mondo del pop era in gara con un mondo più
vasto, il mondo delle guerre e delle elezioni, il lavoro e lo svago, i
poveri e i ricchi, i bianchi e i neri, le donne e gli uomini: nel 1965
potevi sentire che il mondo del pop stava vincendo.
I crocevia di sui si parla nel titolo originale di Like A Rolling Stone,
oltre a richiamare un altro personaggio leggendario della storia del blues e
del rock'n'roll, Robert Johnson, illustrano decisamente meglio le svolte
affrontate da Bob Dylan nel 1965. E' attorno a quell'anno che maturano
alcune delle scelte, molti imprevisti e altrettante decisioni che
cambieranno la storia della sua vita, ma anche quella del rock'n'roll. Like
A Rolling Stone, fedele al concetto espresso da Greil Marcus nella parte
centrale del libro ("La canzone è un suono, ma prima di questo è una storia.
Ma non è un'unica storia") diventa allora il cardine attorno a cui ruota
tutto l'immaginario pubblico e giovanile (ma non solo) di un'intera epoca.
La ricostruzione è minuziosa ed estremamente articolata perché gli snodi di
Like A Rolling Stone, proprio come nella canzone, sono tanti e importanti.
Tra gli antefatti vanno elencati la crisi dei missili di Cuba nel 1962 (il
mondo sull'orlo dell'apocalisse e Bob Dylan che canta A Hard Rain's A-Gonna
Fall), la bellissima epigrafe di Allen Ginsberg (tratta da Western Ballad) e
l'assassinio di JFK. Nelle conclusioni c'è una dettagliatissima
rivisitazione delle session che portarono a Like A Rolling Stone, giorno per
giorno, take dopo take. Tra questi due estremi, Greil Marcus, più
divulgativo e meno intricato che nei suoi precedenti studi, riesce ad
illustrare con chiarezza perché, in quel preciso momento storico "nessuno
ascoltava la musica alla radio come se facesse parte di una realtà
separata", e dove hanno portato quei crossroads che, proprio con Like A
Rolling Stone, Bob Dylan, e con lui tutto un mondo, si trovò davanti.
Marco Denti
(fonte : lettera.com)
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da La Stampa
Dylan, sei minuti che fermarono il mondo
di Giovanni De Luna
Le canzoni che raccontano la storia? Facile, tutte quelle che mettono in
musica gli eventi del passato (Stalingrado degli Stormy Six, tanto per fare
un esempio). Le canzoni che ci aiutano a conoscere la storia, che possiamo
usare come documenti storici? Facile anche questo: tutte quelle (da Casetta
in Canadà a Azzurro) che ci restituiscono lo spirito della loro epoca. E le
canzoni che fanno la storia? Questo è più difficile. Non sono molte,
infatti, quelle che sono riuscite a costruire identità e appartenenze, a
determinare scelte e comportamenti collettivi, ad essere insomma ricordate
come «agenti di storia». Ora un libro anomalo e affascinante ce ne consegna
finalmente una, l'incredibile, perfetta, unica Like a Rolling Stone di Bob
Dylan, ripercorrendone l'itinerario musicale, le sue varie edizioni (citando
in particolare quella degli Articolo 31 del 1998), ma investigando anche
sulla sua ricezione, sull'impatto che ebbe sul pubblico, sulla sua capacità
di «cambiare il tempo». I sei minuti e sei secondi della canzone risuonarono
per la prima volta a New York, il 16 giugno 1965, un anno prodigioso in cui
i Beatles (Eight Days a Week, Yesterday), i Rolling Stones ((I Can’t Get No)
Satisfaction), e lo stesso Bob Dylan si superavano a vicenda mese dopo mese,
in cui «nessuno ascoltava la musica alla radio come se facesse parte di una
realtà separata», in cui «ogni nuovo successo sembrava pieno di novità, come
se la sua meta non fosse soltanto la vetta delle classifiche, ma fermare il
mondo nei suoi solchi e poi rimetterlo in moto». Come scrisse il compositore
Michael Pisaro nel 2004, «quell'epoca sembra essere stata l'ultimo momento
nella storia americana in cui il paese avrebbe potuto cambiare,
fondamentalmente, in meglio». C'erano 27 mila soldati americani in Vietnam
nel marzo 1965: alla fine dell'anno sarebbero diventati 170 mila. A Selma
(Alabama), in gennaio la polizia fu particolarmente dura contro le marce per
il diritto di voto; la questione razziale esplose con fragore, alimentando
le rivolte dei ghetti neri culminate nell'eccidio di Watts, un sobborgo di
Los Angels, in cui l'intervento della polizia provocò 34 morti. Nei
confronti di questo tumultuoso affiorare di una nuova America, segnata da
quella struggente speranza di cambiamento che accese il grande falò del
movimento dei diritti civili, la canzone di Bob Dylan si presenta oggi come
una sorta di contatore Geiger che sviluppa una volontà tutta sua,
«oscillando tra il tentativo di registrare il terremoto che sta per arrivare
e il tentativo di farlo accadere. Questo è il punto in cui la canzone
rivendica l'eternità». Like a Rolling Stone fu un testo, fu una musica, un
sound in cui Bob Dylan riuscì ad appropriarsi di un sincretismo di linguaggi
musicali, «legando Robert Johnson al rap, Woody Guthrie al punk» (come
scrive Andrea Mecacci nell'efficace postfazione). Ma quella canzone fu
soprattutto la voce di Bob Dylan, il cui suono, secondo le parole del
critico Robert Ray, «ha cambiato molto più le idee politiche delle persone
sul mondo di quanto abbia fatto il suo messaggio politico». Poco importa
quello che è successo, dopo, nella vita del cantante; poco importa se quest'
estate, davanti al ranch di Bush, a protestare contro la guerra in Iraq
c'era ancora e sempre Joan Baez e lui non c'era. Quella canzone resta e ci
inchioda tutti a quei versi che allora risuonarono profetici, oggi le
stimmate di un'attualità velata di irresistibile mestizia: «...How does it
feel?........ No direction home/Like a complete unknown/Like a rolling
stone».
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da Il Manifesto
"Like a rolling stone" l'eterno ritornello di una
strana canzone
Un incontro con Greil Marcus che ha scritto la «biografia»
del brano più noto dell'artista che domani apre a Bologna il tour italiano.
Registrato oltre 40 anni fa, è anche un modo per ripensare alle menzogne e
alle promesse tradite del sogno americano.
di Andrea Colombo
Con il saggio Mistery Train, nel 1975, ha rivoluzionato tutti i criteri
della critica rock. Negli '80, in Lipstick Traces, ha tracciato una
genealogia del punk ritrovandone le origini nei grandi e quasi segreti
movimenti culturali antagonisti del XX secolo. Con La repubblica invisibile
ha percorso in lungo e in largo un paese senza confini e senza tempo, forse
la vera America, adoperando come mappa i Basement Tapes registrati da Bob
Dylan e dalla Band nella cantina di casa, a Woodstock, nel 1967. L'argomento
dell'ultimo libro di Greil Marcus è all'apparenza infinitamente più
circoscritto: una canzone sola, scritta e registrata quarant'anni fa da Bob
Dylan: Like a Rolling Stone. Marcus, come le è venuta l'idea di scrivere un
intero libro su «Like a Rolling Stone»? Non è venuta in mente a me. Un
editore mi ha proposto di scrivere il libro, e io ho risposto di no, perché
ne stavo già scrivendo un altro e perché non mi sembrava una buona idea. Poi
però ho iniziato a buttare giù qualche appunto e parlarne un po' in giro, e
ho scoperto che tutti la trovavano invece un'ottima idea. Il bello è che
quell'editore non sapeva che Like a Rolling Stone è la mia canzone
preferita. Per me non si tratta di una vecchia canzone. Ogni volta che la
sento la trovo diversa. E proprio questo è diventato il soggetto del libro:
perché è una canzone sempre diversa, che non invecchia. La risposta a questa
domanda è ovviamente nel suo libro. Può provare comunque a riassumerla? È
come se né Dylan né i musicisti sapessero quello che sta per succedere nella
canzone. Nella maggior parte dei dischi, la registrazione è semplicemente la
copia di qualcosa: di come la canzone è stata scritta, o di un
arrangiamento. Ognuno sa già tutto quello che deve fare. I musicisti si
possono riferire a qualcosa. Like a Rolling Stone, invece, suona sempre come
un evento: una battaglia in guerra, o un incidente stradale. Quando ti trovi
nel mezzo di un evento, non sai mai cosa succederà. Non sai come andrà a
finire. E un evento non può essere ripetuto. Non lo puoi suonare di nuovo, e
quando lo ascolti suona sempre come se stesse succedendo in quel momento. È
lo stesso elemento che l'ha affascinata nei «Basement Tapes», su cui ha
scritto un libro? Forse. Nei Basement Tapes Dylan e la Band suonano per
divertirsi. Non cercano di fare nulla di speciale. Ascoltarli è come spiare
e origliare gente che non sa che la stai ascoltando. Detto questo, non direi
che Like a Rolling Stone e i Basement Tapes siano la stessa cosa. Qual è la
differenza? Nei Basement Tapes ogni canzone è parte di un insieme creato dal
complesso di tutte le canzoni. Like a Rolling Stone è di per sé come un
viaggio, o una ricerca. In parte perché è così lunga, in parte perché il
suono è così grande che questa canzone da sola può essere un intero mondo.
Stiamo parlando del Bob Dylan di 40 anni fa. Ma Dylan continua a suonare, a
scrivere canzoni bellissime e a eseguire i classici in modo sempre diverso.
Cosa pensa della versione lenta e triste di «Like a Rolling Stone» che Dylan
propone spesso negli ultimi anni? Dylan chiude quasi tutti i suoi concerti
con Like a Rolling Stone. È come se la canzone fosse un cavallo morto e
Dylan e i musicisti le girassero attorno prendendola a calci per cercare di
farla rialzare. Ma di solito non ci riescono. Nel libro lei parla con grande
entusiasmo del penultimo cd di Dylan, «Time Out of Mind» mentre sorvola
completamente sull'ultimo, «Love and Theft». Non le è piaciuto? Time out of
Mind è un cd così grande che nessuno avrebbe potuto fare due dischi
altrettanto belli di seguito. Ma anche Love and Theft è molto bello. Le
racconto una cosa poco nota: avevo sentito dire che l'ultima e a mio parere
miglior canzone, Sugar Baby, è identica a una vecchia canzone di un cantante
della Louisiana, Gene Austin. Così ho comprato un suo album e l'ho
ascoltata. Non ricordo il nome, ma la si può facilmente trovare su Internet,
cercando su Google Dylan e Gene Austin insieme. Non solo è davvero identica
a Sugar Baby, a parte le parole, ma è anche una delle canzoni più belle che
ho sentito in tutta la mia vita. L'ho fatta ascoltare a mio padre, che ha 88
anni, e a mia figlia, che ne ha 35, ed entrambi sono rimasti choccati dalla
sua bellezza. Questo dimostra che il titolo del cd (Amore e furto) va preso
alla lettera: Dylan ama quel che ruba e ruba quel che ama. Del resto il
titolo esatto è con le virgolette, «Love and Theft», perché è stato a sua
volta rubato dal titolo di un libro sui Black Minstrels scritto da un mio
amico. Ha visto il film di Martin Scorsese su Dylan, «No Direction Home»?
Sì. L'ho presentato in occasione della prima mondiale, al Film Festival di
Telluride, in Colorado. È pieno di suspence ed è davvero un film. Dovrebbe
essere visto in un cinema, con molte persone, non in tv o in dvd. Perché
parla di suspence? La prima metà racconta l'affascinante storia di un
ragazzo che scopre chi è e cosa può fare. Nella seconda parte è come se lo
stesso musicista, dopo averlo scoperto, non lo sapesse più. La musica
diventa così forte e potente che, mentre guardi le performances, pensi che
così non può continuare, che qualcuno finirà per farsi male. E questa è
suspence. Alla fine di «Lipstick Traces», pubblicato negli anni '80,
scriveva, più o meno: «Quando si sentirà qualcosa di così potente come fu
`Anarchy in Uk', dei Sex Pistols nel '76, significherà che il mondo ha fatto
un altro giro». Ha poi sentito una musica di tale potenza? No. Di soliti
senti una canzone che ti piace, poi però ne senti un'altra che ti fa
sembrare quella precedente un po' più piccola. Ma in Anarchy in Uk è come se
qualcuno stesse chiedendo che tutto il mondo cambi, non importa se in meglio
o in peggio, e che cambi in quello stesso istante. E io non ho mai sentito
una canzone che faccia sembrare quella canzone dei Sex Pistols e quella
domanda meno potenti, meno grandi. A cosa sta lavorando adesso? Ho appena
finito un libro: The Shape of Things to Come: Prophecy and the American
Voice. Parla dell'idea del patto con Dio e della sua rottura, come parte
fondamentale dell'identità americana. L'America comincia con i Puritani, che
si ritengono i nuovi figli di Israele, legati a Dio da una reciproca
promessa. Un secolo e mezzo più tardi, gli Usa divennero un paese fondato
sulle promesse di libertà, fraternità e uguaglianza fatte dai suoi cittadini
a se stessi. Ma erano promesse così grandi che dovevano inevitabilmente
essere violate e disattese. Gli Usa sono diventati così un paese la cui
identità è basata sulla rottura delle sue promesse originarie. Il libro
affronta questo argomento parlando di alcune figure storiche, come Lincoln e
Martin Luther King, ma soprattutto tratta di come si è confrontata con
questo tema l'arte contemporanea: Philip Roth, David Lynch, Allen Ginsberg,
David Thomas dei Pere Ubu... A proposito di promesse tradite, come giudica
la presidenza Bush e la guerra in Iraq? È un governo terribile. L'idea di un
paese che tradisce se stesso è oggi il nostro dramma nazionale quotidiano.
Non era così anche ieri, con la guerra nel Vietnam ad esempio? La guerra nel
Vietnam e quella in Iraq non sono la stessa cosa. Quella del Vietnam è stata
una guerra orribile e criminale, tuttavia è stata una guerra portata avanti
da almeno tre presidenti: credevano che fosse necessaria. Era davvero un
tipo di politica nazionale. Quella in Iraq, invece, è una faccenda privata
del presidente Bush, fatta apposta per aumentare il potere di un gruppo
molto ristretto. Sembra che sia anche questa una politica nazionale, invece
è molto vicina a essere la guerra personale di George Bush. E penso
sinceramente che non abbia proprio nulla a che fare con gli attacchi dell'11
settembre 2001 su New York e Washington.
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Un libro su una sola canzone
Un libro su una sola canzone, non su un cantautore o su un
disco (cosa che lo stesso Greil Marcus fece per i "Basement Tapes") ma su
una sola canzone.
Un libro che si è voluto scrivere da solo, a detta dell'autore che sostiene
di aver risposto, dapprima, subito di no all'editore che gli aveva proposto
di scriverlo. Ma è un libro che ti convince di essersi scritto da solo, con
"Like a rolling stone" nelle orecchie, semmai un libro può possedere delle
orecchie, non appena cominci a leggerlo.
Come avviene, un po', con tutti i libri di Greil Marcus. Perlomeno con tutti
i suoi libri che mi è capitato di leggere.
Dichiara – dicevo – di aver risposto, di primo acchito, di no. Poi, invece,
comincia a buttar giù qualche appunto. E, soprattutto, comincia a parlarne
in giro, di "Like a rolling stone", e scopre che l'idea e il libro sembrano
interessare molti. "Like a rolling stone", nel libro, nella mente
dell'autore del libro e in quella di molti di noi – sembrerebbe – è una
canzone che non invecchia. Sempre diversa da un originale che non sembra
esistere davvero, se non idealmente, e che cerca inutilmente di riprodurre.
Le versioni presenti sulla più parte dei dischi sono solo copia di
qualcos'altro. Questa è la tesi del libro che si dipana come un romanzo per
portarci, riuscendovi per quanto mi riguarda, a riconoscere questa semplice
verità.
Solo "copie". E in quest'epoca in cui le copie sono sempre indistinguibili
dagli originali, "Like a rolling stone" infonde, ascoltandola, la lancinante
consapevolezza che l'originale esiste davvero, da qualche parte.
Platonicamente! E' proprio per tale motivo che, la canzone, ogni volta che
viene eseguita è un evento. Un evento, una battaglia, un incidente stradale,
una sommossa, un'insurrezione. Niente di tutto questo e tutte queste cose
assieme. E' un evento, e un evento non può essere ripetuto.
Perché non sai mai cosa succederà un istante dopo, durante un evento.
Non sai mai come potrà andare a finire. E' un evento ogni volta che viene
suonato e cantato, ma non è mai l'evento cui si ispira e che cerca di
riprodurre! E cosa dice quel testo? Che cos'è? E' una canzone sui Rolling
Stones, davvero? Come si vociferava quando, all'epoca, si seppe solo il
titolo e non si era ancora ascoltato il pezzo? E' una canzone su una ragazza
d'alto bordo che perde tutto e si ritrova in pezzi? Da un giorno all'altro?
Oppure la ragazza è l'America intera, e la similitudine con le pietre
rotolanti è un nobile riferimento ai wobblies che coniarono lo slogan che
diceva non crescere mai, il muschio sulle pietre che rotolano. Un po' come
il muoversi veloci per non venire nelle foto!
Oppure è una delle tante canzoni rubate, senza senso, di un ladro orgoglioso
dei suoi furti a tal punto da intitolare "Amore e furto" il suo ultimo
disco; laddove l'ultima canzone – Sugar baby" - è la fottuta copia carbone,
a parte le parole, di "The lonesome road" di Gene Austin. "Amore E' furto".
Chissà se De André avrebbe mai avuto il coraggio di intitolarlo così un suo
disco, lui che era ladro quanto è più di Bob Dylan. Ma – a dispetto di
quella rincoglionita, anche quando era giovane, della Pivano – non credo lo
avrebbe mai fatto. Era grande, De andré. Sicuramente. Forse il più grande,
almeno quaggiù nella periferia dell'impero chiamata italia, ma non era il
rock. Non era Dylan!
di Franco Senia
(fonte: bielle.org)
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Macca contro la reunion dei Led Zeppelin senza Plant
London, Nov 29 (IANS)
Il leggendario Beatle Sir Paul McCartney ha espresso il proprio disappunto
per la decisione dei Led Zeppelin di riunirsi senza il loro frontman Robert
Plant.
The Kashmir hitmakers ha annunciate il mese scorso che I Led Zeppelin stanno
progettando di rimettersi on the road nel 2009 senza Plant , che ha deciso
di non far parte di un reunion-show.
Le rimanenti stars , Jymmy Page , John Paul Jones e per ultimo il figlio di
John Bohnam , Jason , stanno al momento facendo audizioni per un nuovo
cantante , ma i fans del gruppo non voglioni vedere gli Zeppelin con un
altro frontman.
“ Non sarà la stessa cosa senza Plant “ ha detto indispettito il fondatore
dei Beatles Sir Paul McCartney.
Ha detto “ Cos’è successo a Planty ? Era grande nel loro concerti. Sarà
pietoso senza di lui”.
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L'uomo dimenticato dei Rolling Stones
Lui è l’uomo dimenticato della più grande rock band di
tutti i tempi , che ha suonato davnti a migliaia di spettatori urlanti nei
più prestigiosi posti di tutto il mondo.
E’ una domando che fanno sempre a Mick Taylor “ Perchè hai lasciato i
Rolling Stones ?”.
Ai tempi del suo abbandono Gli Stones erano al culmine della loro fama , e
senza di lui habbo girato gli stadi di tutto il mondo.
Lui ha dettodi essere uscito dal gruppo perchè vedeva che non andava da
nessuna parte:
IL chitarrista , cge vive a Diss , raramente parla del suo passato con gli
Stones , ma ieri ha sollevato il coperchio sul suo passato con gli Stones e
ha derto di non aver rimpianti per averli lasciati.
“Nel periodo che me ne sono andato , la band era in uno dei suoi periodi più
bassi “ ha dtto “ Sono stati tempi infelici per me , e probabilmente anche
per gli altri della band”.
“ E’ stato prima della registrazione di “It’s only Rock n’ Roll” , il loro
sesto album che sono entrato a far parte del gruppo. E’ probabilmente cosa
nota che Keith Richards e Mick Jagger stavano scivolando sempre più in basso
. Ne parlato con Bill Wyman , lui era veramente frustrato ma aveva deciso di
rimanere”.
“In un certo senso , questa sorta di attriti e di caos potevano produrre una
grande musica , ma era molto difficile , veramente dura”.
“ A quei tempi o stavamo in studio a registrare o passavamo il tempo nel sud
della Francia”.
“ Essendo un comune musicista che guadagnava 50 sterline a settimana , non
volevo per nessun motivo diventare un esiliato fiscale, io non avevo
problemi di tasse . ma loro si”.
“Non ho alcun rimpianto di averli lasciati. Non mi lascio prendere dalla
nostalgia. Ho un sacco di rimpianti per altre cose , ma alllora , quale
musicista o chiunque altro non ha dei rimpianti avvicinandosi ai 60 anni ?”.
Taylor si unì ai Rolling Stones nel 1969 , rimpiazzando Brian Jones subito
dopo che Brian fu trovato annegato nella sua piscina.
Ha lavorato in qualche album come “Sticky Fingers” ed “Exile on main street”
, ed è stato descritto recentemente dal batterista Charlie Watts come “
Chiaramete il miglior chitarrista che gli Stones abbiano mai avuto”.
Ma dopo cinque anni se ne andò e fu rimpiazzato da Ronnie Wood dei Faces.
Ieri , ha descritto i suoi tempi con la band come un “Rollecoster” , e
lodato Mich Jagger per aver mantenuto insieme il gruppo.
Ha detto “ Sono caduto nel loro mondo ed ho imparato un sacco di cattive
abitudini . Pensavo realmente che erano una specie di pop-star imbarazzanti
quando sono entrato nel gruppo. Mi ci è voluto un pò di tempo per recuperare
, ma l’ho fatto”.
“Era più o meno come essere su un rollercoster, questi erani i tour nei
grando stadi. Il più lungo è durato circa sei settimane , e la volta che
abbbiamo suonato più a lungo è stata un’ora e mezza. Ora non c’è più storia
da scivere esaminando il loro spettacolo di due ore. Hanno trovato un vasto
mercato in termini di girare gli stadi e suonare per un grande numero di
persone”.
Ha continuato “ Micj Jagger è molto bravo , mlto intelligente e molto
divertente. Se non fosse per la sua capacità di organizzare le cose e farle
marciare , la band non sarebbe mai rimasta insieme. Praticamente lui
gestisce tutto e tutti e li trascina con se”.
Ancora amico con i suoi ex-compagni di band , ha detto “ Sono ancora amico
con loro , specialmente con Bill Wyman. Non ho più visto Mick Jagger dal
1999. Non vi è alcuna cattiva volontà da parte mia , ci vuole solo buona
volontà da parte loro , non vedo altri motivi che impediscano di vederci”.
Taylor ha anche sottilineato che il loro suono era molto aspro a quei tempi.
“Stare nei Rolling Stones è stato un lavoro duro e molto divertente “ ha
detto ” Non erano migliori o peggiori di qualunque altra rock n’ roll band
di quei tempi”.
Ha reso tributo al leggendario chitarrista Jimi Hendrix descrivendolo come “
un’ enorme influenza”.
“Jimi ha avuto un’enorme influenza su ognuno di noi , non solo per i
chiotarristi. Lo conoscevo molto bene. Fuori dal palco era tranquillo e
pacato , quasi timido , ma on stage era completamente l’ opposto”.
L’ex-Stones ha avuto il suo primo grande flash all’età di 16 anni nel giugno
del 1965. “Eric Clapton mi ispirava e questo mi ha fatto avere il mio primo
lavoro” ha detto “ Andai ad uno spettacolo di John Mayall & The
Bluesbreakers a Welwin Garden city. Per qualche ragione Eric Clapron non
partecipò a quel concerto. Ho guardato la prima metà dello spettacolo che
loro hanno fatto come quartetto . Allora andai nel retro palco chiedendo
loro se potevo salire con loro. Presi la chitarra di Eric Clapton , e così è
cominciato il tutto”.
Aveva solo 10 anni quando cominciò a studiare la chitarra , ha detto “ La
mamma di mio fratello più giovane era nell’esercito in Germania. Penso che a
quel tempo i militari americani erano là , per questo sentiva in sacco di
musica americana. Lui stesso ha comperato la prima chitarra imparandola da
solo. Io odiavo le mense scolastiche , così preferivo andare a casa di mia
nonna a mangiare , poi salivo di sopra a suonare la sua chitarra”.
" Poi , dopo gli Stones , ho suonato in alcune registrazioni per Bob Dylan e
sono stato in tour con lui , è molto che non lo sento , ma siamo rimasti
amici ",
La sua band attuale è composta dal chitarrista Denny New-man , dal celebre
tastierista Max Middleton , dal bassista Kuma Harada e dal batterista Jeff
Allen.
Taylor dice che la gente che va ai suoi concerti si aspetta grandi cose “
Facciamo qualche canzone nostra e qualche cover e , in certe occasioni
suoniamo anche le canzoni dei Rolling Stones alle quali io ho partecipato”.
di Emily Dennis
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Mercoledi 3 Dicembre 2008
TELL TALE SIGNS : il commento di Freewheelin’ Ghio
Caro Mr. Tambourine Man,
mi chiedevi cosa penso di Tell Tale Sings. Te lo dico subito: mi piace
moltissimo.
A chi si straccia le vesti dedico gli ultimi quattro versi di One too many
mornings. A chi dice che Dylan sta raschiando il fondo rispondo
sommessamente che Dylan non ha nessun bisogno di raschiare il fondo: non
patisce la fame, non è dimenticato né dal pubblico né dalla critica, non è
in affanno né di dischi né di riconoscimenti (specialmente negli ultimi
sette anni); se mai ha raschiato il fondo, lo ha fatto in atri tempi con ben
altri album dove non c’erano out-take, ma tutti originali. E a chi lamenta
che TTS è solo una raccolta di out-take, chiedo (senza acrimonia): un
concerto di Dylan cos’è se non una serie di out-take eseguiti dal vivo?
Purtroppo la (fortunatamente) prolifica discografia di Dylan non ha mai
conosciuto pace al suo debutto; questo sì è il solito in-take.
Torniamo a TTS e comincio con due rilievi che mi servono come esempi per
dirti che posso capire certe riserve:
una Mississippi eseguita tre volte nella stessa raccolta può essere
considerata una strizzatina d’occhio su come si può differentemente
interpretare la stessa canzone oppure una dichiarazione d’amore per quella
canzone; ma al lato pratico finisce per inflazionare il brano al punto da
renderlo quasi ingombrante; tanto più se nessuna delle tre (splendide e
suggestive) interpretazioni uguaglia la versione originale;
il ritornello “someday baby, you ain’t gonna worry po’ me any more” (come
potrebbero essere altri suoi fratelli del tipo “J give you sugar for sugar,
you give me salt for salt”) è nato ed è cresciuto nel blues, e lì deve
morire; proiettarlo in un ritmo da “marcetta” significa svuotarlo di ogni
significato, non vibra più, testo e musica si perdono in due direzioni
diverse;
Altri pezzi mi convincono quanto gli originali. In Most Of The Time armonica
e chitarra tolgono il testo dalle secche della ripetitività e mi riportano -
senza la nostalgia del manierismo - alle atmosfere acustiche di Blood On The
Traks. Così la versione demo di Dignity ha il gran vantaggio di renderla più
intima, quasi più sofferta; nella seconda versione il ritmo strappato forse
non lo cambierei con l’originale, ma la voce più libera non me lo fa
rimpiangere. Anche la versione alternativa di Every Think Is Broken non
appiattisce più sul testo, il pezzo risulta più sciolto. Ain’t Talkin’ è di
gran lunga più godibile dell’originale: più mossa, meno ombrosa, ugualmente
profonda.
Duncan & Brady apre il terzo CD andando dritto all’attacco con la spalla di
Cold Irons Bound dove la voce profonda e vibrante di Dylan trascina tutta la
band. Ascolto il secondo CD, vi trovo il connubio rock e folk che solo Dylan
sa presentare come due facce distinte della stessa identica cultura
popolare; cosa posso pretendere? Red River Shore è dolce, struggente e senza
miele, nel perfetto stile dylaniano. Entrambe le versioni di Ring Them Bells
restano sostanzialmente fedeli all’originale eppure trasformate
dall’interpretazione dal vivo dove non traspare l’ingessatura dello studio;
forse la versione del terzo CD riporta alle atmosfere della Rolling Thunder
Revue, ma anche qui senza nostalgia, senza sguardi al passato.
Sono considerazioni che ti butto lì alla rinfusa porgendotele dall’alto
della mia sovrana ignoranza, forte solo della convinzione che un’opera come
questa (e come ogni altra opera composita) va valutata per il suo complesso,
non la si può scomporre in un brano alla volta prescindendo dal suo
carattere olistico. E da questo punto di vista Dylan ci propone un largo
spettro di musica popolare rivalutandola e rivestendola con rispetto, con
personalità e con amore. Dylan propone più volte lo stesso brano? E questo è
sufficiente per dire che non sa più che pesci pigliare? Davvero nessuno
scorge un’altra chiave di lettura? Non potrebbe essere che per una volta si
siede tra noi e anziché parlarci della sua arte, ci parla del suo lavoro?
Ammetto di non essere un critico obiettivo: ogni volta che ascolto Dylan c’è
qualcosa che mi incanta; non sono né gli arrangiamenti (sui quali non
ritorno) né la sua band: è la sua voce. Gli raspa la gola, esce e si
trasforma in un’aurora boreale. E’ lei che muta brani di musica popolare,
talvolta semplici come un abbecedario, in liriche inimitabili, uniche,
impalpabili, sfuggenti, vibranti. Non so spiegare cosa provo a seguire le
sue modulazioni. Anzi, mi è impossibile; seguo l’incanto e me lo godo,
proprio come fai tu.
Riascolto questo trittico che mi è stato regalato tre settimane fa per il
mio compleanno e vi trovo blues, folk, rock. rockabilly, country e
bluegrass, generi legati tra di loro da una voce incantatrice. Molto di più
di quello che speravo. E mi piacerebbe che tra noi ci si ritrovasse tutti
assieme su Maggie’s Farm come se questa raccolta fosse il natale dei
dylaniani; qualcuno ha avuto il dono che sperava, altri meno, poco importa:
ce ne sono sempre stati tanti per tutti.
Ghio
30 novembre 2008
PS: Consiglio per vedere il mondo sotto un’altra luce: un bicchiere di buon
prosecco, una comoda poltrona e Born in Time (meglio se nella versione del
primo cd).
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Interpretando “Red River Shore”
by Lawrence Epstein
Dylan ha scritto molte canzoni d’amore . Esse includono il
desiderio urgente, l’angoscia generata dalla tristezza per l’abbandono della
partner sentimentale , i sentimenti di vendetta che trasformano l’angoscia
in furia , e canzoni che esprimono sentimenti profondi che mischiano il
desiderio , l’attrazzione reciproca e la responsabilità.
Le canzoni d’amore allegoriche sono un’altra delle caratteristiche di Dylan.
A livello letterale , queste canzoni parlano dell’amore di Dylan per una
donna. Come una metafora risalgono ai tempi biblici del “Cantico dei
Cantici” , nel quale il carattere maschile e quello femminile rappresentano
Dio ed il popolo Ebraico.
“Vision of Johanna” (1966” è stata la prima canzone allegorica di Dylan, In
questa canzone Dylan parla dell’amore terreno per Louise mentre quello
spirituale è per Johanna. L’esatta natura della religiosità di Johanna non è
chiara nella canzone. Potrebbe essere Dio rappresentato in forma al
femminile , o una metafora come nella tradizione del “Cantico dei Cantici” ,
o un aspetto di Dio , o un modo personale di come Dylan concepisce Dio. Ci
sono altre interpretazioni cristiane di questo rapporto da offrire , ma non
sono abbastanza qualificato per spiegarle.
“Shelter from the storm” (1974) è un’altro straordinario esempio di come una
canzone può essere allegorica.
E adesso , unendosi a questo illustre gruppo , arriva “Red
River Shore” , un’altra canzone che parla del potere dell’amore. Dylan dice
che la sola donna che ha sempre voluto è “La ragazza sulla riva del Fiume
Rosso”. Non riesce a convincerla a diventare sua moglie , a stare con lui
per sempre. La “ragazza” non è semplicemente una partner romantica. La sua
natura spirituale è spiegata dal fatto che gli altri non la possono vedere ;
quando il cantante chiede di lei , la gente gli risponde “ Non sappiamo di
chi stai parlando”.
Il ricordo di questa Dea nascosta lo sostiene. Il resto della vita gli
appare strano. Il ricordo di lei gli fa sentire le vecchie canzoni ma anche
tristezza perchè si rende conto di essere troppo distante da lei. Una
possibile interpretazione di questa distanza è che Dylan non la sente più
come un’entità spirituale come una volta , ora è diventata un’esigenza
terrena , materiale.
Infatti Dylan si sente come morto. Invoca la speranza che qualcuno possa
riportarlo in vita nel modo col quale Gesù resuscitava la gente. Dylan è
nolto preciso nelle sue parole. Allude a Gesù chiamandolo “ragazzo” ed
“uomo” deliberatamente per evitare un riferimento Divino , con lo scopo di
mettere in evidenza la sua voglia di rinascita.
Dylan ha sbagliato a credere solo nella “ragazza sulla riva del Fiume Rosso”
, ora lo ha capito , e lei adesso – sul piano dell’amore terreno e
spirituale – non c’è più. Gli resta soltanto l’inquetante suono della
nostalgia per la “vita che da amore” , che se n’è andata e non tornerà mai
più.
Questo è il succo della storia di “Red River Shore , la miglior canzone del
nuovo album Tell Tale Signs. Analizziamo la canzone.
John Lomax , il grande studioso del Folklore , ha cercato la fede nella
autentica musica includendo le genuine cowboy songs , in opposizione alle
cowboy songs che i films di Hollywood avevano reso popolari.
Lomax ha trovato una grande risorsa in Slim Critchlow ed il suo gruppo The
Utah Buckaroos di Salt Lake City. Quando Lomax e suo figlio Alan hanno
cominciato a collezzionare canzoni per il loro libro “American ballads and
folk songs” (1934) hanno incluso anche ”Red River Shore”.
La canzone racconta la storia di un uomo che chiede alla sua amata di
sposarlo sulla riva del fiume rosso. Lei acconsente , ma suo padre non vuole
che sposi un cowboy. La cantante lo lascia , ma lui la implora di tornare .
Poi affronta faccia a faccia il padre , che era spalleggiato da 24
pistoleri. Il cowboy-eroe ne ferisce sei e ne uccide sette per poter sposare
la donna.
Il 7 gennaio 1966 il Kingston trio incide “Children of the morning” , il
loro ultimo album prima della separazione. In questa versione , il padre ed
i 24 pistoleri sono troppi anche per l’eroe. Lui non sposerà mai la sua
amata. La canzone è accreditata a Jack Splittard e Randy Cierley. “Jack
Splittard era una specie di nome di comodo, falso. Il gruppo registrò il
copyright di qualche traditional song solo per raccogliere il denaro dei
diritti d'autore.
Bob Dylan realizzò Time out of mind nel 1997. L’album fu accolto con
scetticismo. Il giovane idealista Dylan non si trovava in questo disco. Le
canzoni sono piene di paura e di disperazione. “Red river shore” non fu
inserita nell’album. Anche se Dylan non ha utilizzato la canzone , ci sono
alcune parole della versione originale che dicono “She wrote me a letter,
and she wrote it so kind” , le stesse che appaiono nella canzone “Not dark
yet”, una delle più conosciute canzoni di Time out of mind. La versione del
Kingston Trio non aveva la parola “and” nella strofa.
Due versioni di “Red river shore” ci sono in Tell Tale Signs , una delle due
si trova sul terzo CD del cofanetto a tre. Entrambe hanno il loro charme ,
penso che la versione del primo disco sia migliore.
La canzone è straordinaria , per questo meriterebbe una analisi più
approfondita.
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DO YOU BELIEVE IN MAGIC - Il nuovo libro di Paolo Vites
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Così è. Se vi pare.
Alla fine l’ho fatto. Non è che i bei commenti ricevuti ultimamente sul mio
blog (grazie, però… troppo buoni) siano stai la ragione scatenante. Ci stavo
lavorando da anni, in realtà. Poi l’ho proposto a editori grandi e piccoli e
ognuno aveva la sua risposta: dovresti cambiare questo e quello, ma come
facciamo a promuovere un libro così, oggi c’è la crisi… blah blah blah.
Tanto, anche se lo pubblicavo con Mondadori, un libro di storie di Paolo
Vites non lo avrebbero mai messo in vetrina. Sarebbe finito a fare la
polvere sotto a qualche tavolo. Per non parlare delle offerte economiche che
uno scrittore esordiente si sente proporre. Anche se con questo sistema del
self publishing praticamente non ci guadagno niente, ma almeno non ho dovuto
cambiare una virgola.
I lettori del mio blog mi perdoneranno, di fatto questo libro contiene un
“best of” di quanto qui pubblicato nel corso degli anni, però rivisto,
ampliato e poi anche diversi racconti inediti. In fondo io sono abbastanza
vecchio da preferire ancora il buon libro su carta a un computer, che quando
fai click tutto si spegne, anche quello che hai scritto. Il libro invece
rimane. Lo puoi sempre portare con te al gabinetto, dove si fanno, è
risaputo, le migliori letture. Il computer al gabinetto è un po’ scomodo.
Così spero che chi avrà la bontà di ordinarlo presso questo sito
http://ilmiolibro.kataweb.it/ lo
possa apprezzare come un diario, una riflessione, una serie di appunti
sparsi che, soprattutto, ci tenevo un giorno le mie figlie potessero andare
a sfogliare per sapere cose di loro padre che difficilmente avrei saputo
comunicare in altro modo.
È uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva farlo…
Paolo Vites
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John Sebastian : Do you believe in magic ?
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Killers e Elton John insieme per il lancio di (RED)Wire
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Pete Molinari, il crooner che viene dal passato
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Martedi 2 Dicembre 2008
Andrew Motion spiega perchè I testi di Bob Dylan
bovrebbero essere studiati nelle scuole.
Il 14 Ottobre è il giorno Nazionale
della Poesia , l’annuale celebrazione delle rime ( e non ) lanciata nel 1994
da William Sieghart della Forward Arts Foundation. Nei suoi 14 anni di
esistenza – è diventato un evento rinomato , in parte carnevale , in parte
educazionale , in sostanza una buona cosa. Quest’anno il NPD sembra
essere uno degli eventi più interesanti e piacenti. Gli organizzatori hanno
fatto squadra con la Sony BMG per il progetto di una linea secondaria “ per
celebrare la poesia attraverso le liriche delle leggendarie canzoni di Bob
Dylan”.
Funziona così. Il tema della NPD sono i
“Sogni” , ed un buon numero di canzoni di Bob Dylan su questo soggetto
saranno usate come base dello stage previsto in 3- 4 lezioni. Gli insegnanti
scaricheranno tracce e videos dal sito di Bob Dykan (www.bobdylan.com)
; potranno anche scaricare le 18 tracce dell’ultimo CD- compilation
retrospettiva ( chiamato semplicemente Dylan e fuori dal 1 Ottobre) ;
avranno anche accesso al piano delle lezioni sul sito della NPD (www.nationalpoetryday.co.uk)
e gli allievi partecipanti potranno postare i loro lavori ispirati dai testi
di Dylan per una gara.( i prezzi includono una edizione limitata del Dylan
iPod , un set della Sony television per la loro scuola , e la copia del
nuovo album).
C’è molto in gioco per tutti. Sony da la
possibilità di connettersi ad un pubblico giovane rispetto a quelli che
sono soliti ad andare ai suoi concerti o a comprare i suoi album , e gli
allievi ( per non parlare degli insegnanti), hanno uno sprone. Come a dire ,
provate con Dylan le cui parole sono uno spettro formale della poesia ,strofe
ortodosse e alla fine , testi delle canzoni ed altro , il progetto è
un’oppurtunità d’oro di soddidfare le richieste del Curriculum Nazionale ,
liberando i giovani da tutta quella robaccia che , purtroppo ma veramente , circonda i
ragazzi di oggi.
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Michalel Gray sulla letteratura nei
testi di Bob Dylan.
Poesia ? Tre grandi testi di Bob Dylan,
il piano delle lezioni consiglia ragionevolmente di non esagerare con o
tests
progettati per essere superati dagli allievi. La loro autrice , Magi Gibson –
un nota scrittrice per bambini – ed al momento scrittrice alla Glasgow
Gallery of Modern Arts – ha fatto il suo lavoro con un felice connubio di
rigore e relax. Lei ha preso le varie dream-spngs di Dylan , comprese Three
Angels , I dreamed i saw Saint Augustin e Hard rain’s a-gonna fall , come
opportunità di incoraggiare le discussioni sulle forme poetiche dell' artigianato
tradizionale , e come pezzi di scrittura spesso crescono indipendenti uno
dall’altro( aint Augustine parte da un poema di Alfred Haynes , I dreamed
i saw Joe Hill last night , scritta all’ inizio del 1930 , poi adattata in
una canzone , resa celebre da Joan Baez.
In altre parole , lei le tratta come se
fossero una sorta di poemi , che potrebbero sembrare più prevedibili in
un’aula scolastica , invitando gli allievi a pensare a Dylan nello stesso
modo in cui penserebbero ad altri scrittori presenti nel Curriculum
Nazionale. Ma , allo stesso tempo , lei chiede una serie di parole e dei
voli di fantasia per collegarle alle loro esperienze e alle loro idee
personali , in questo modo si evidenzia la personale contemporaneità
lasciandoli liberi dai legami scolastici.
Sarebbe meglio se i testi fossero di
bands che gli allievi conoscono meglio e che si potrebbero ascoltare più
facilmente ? Artic Monkeys per
esempio ? Difficile dirlo.
Da una parte vi sarebbe più senso di squadra ,
e una maggiore consapevolezza che la “forbice” della poesia è più larga di
quella comunemente descritta nei libri di testo.
Dall’altra , Dylan è Dylan , e non c’è bisogno avere la sua età per
capire che i suoi testi sono semplicemente molto meglio dei testi di altri
scrittori di canzoni – migliori perchè sono più concentrati , più allusivi ,
più memotrabili ( anche senza le melodie ) , più sorprendenti , osano di più , più propensi a narrare tutta la gamma dell’esperiena umana.
Tempo fa , una mente fervida soleva
chiedere “ Keats o Dylan ?”. Non c’è più “o” al riguardo , c’è Keats e c’è
Dylan , non solo perchè questa distinzione si adatta bene alle diverse
forme di società con le quali convive , ma perchè Dylan è abbastanza buono
per essere definito l’erede dei Tradizionalisti , come un artista
riconoscibile in questi “tempi moderni” , scusando il gioco di parole.
“ Considero me stesso prima un poeta e
poi un musicista “ ha detto Dylan una volta, ” In modo del tutto diverso ,
anche se è impossibile separare uno dall’altro”.
Forse uno dei risultati più sorprendenti
della sua età-di-mezzo sarà quello di cambiare le nostre idee circa ciò che è o
non è in grado di far parte della nostra conoscenza letteraria. Se è così ,
si può solo incoraggiare altri parolieri a seguire la sua strada , come
spesso altri hanno fatto prima di lui.
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Avviso ai Maggiesfarmers Senesi !!!
Ciao Michele,
complimenti per il sito! Chiaramente dettato da una passione vera!
Martedi prossimo, 2 Dicembre, suonerò al "Cambio", locale di musica live a
Siena, e porterò
uno spettacolo su Dylan dal '62 al '66 intitolato "Niente canzoni di
protesta". Sarà un concerto per sola chitarra,voce e armonica. Se sei
dalle parti di Siena passa, sarebbe bello! Ciao
Fabio
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TTS - Someday Baby - La traduzione in italiano
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La top ten dei biopic più belli della storia del cinema
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Paul McCartney The Fireman litiga ancora con la ex
moglie
Pare incredibile ma, praticamente, non passa giorno senza che
spunti fuori qualcosa di nuovo, i presunto tale, riguardo ai Beatles, tutti
e quattro o a qualcuno di loro individualmente. La prova? Negli ultimi due
mesi è uscito un libro - scandalo di Philip Norman (già autore dell'ammirato
Shout!, per tanti anni la più esaustiva biografia dei Fab) che afferma che
John Lennon fosse segretamente innamorato di Paul McCartney, suscitando il
prevedibile risentimento del diretto interessato e della beata semprevedova
Yoko Ono. Poi, sono stati ritrovati i documenti che provano che qualche
agente al servizio segreto di sua maestà spiava la band. Del resto non fu
Bond, James Bond in persona, ad affermare «Bere Champagne a temperatura
ambiente è come ascoltare i Beatles senza tappi per le orecchie» confermando
che, nel club del Doppio Zero si conoscevano quei capelloni? Che erano poi
capitalisti solo interessati ai soldi, afferma un altro volume di recente
pubblicazione. Sicuramente Macca, Starr e le eredi non hanno voluto quattro
soldi per prestare l'inossidabile immagine di John, Paul, George & Ringo
nonché le loro celebri canzoni a un videogame della collana «fai finta anche
tu di essere una rockstar»: chissà che anche i vecchietti che disdegnano
questi ?giochi da ragazzi? non capitolino e si comprino una consolle. E un
lettore mp3, visto che Jeff Jones della Apple (nel senso dei computer)
afferma che le trattative per distribuire il catalogo della Apple (nel senso
della casa discografica) siano a buon punto.
Intanto, su eBay e nelle aste tradizionali rimbalzano i cimeli di nuova
scoperta: un cuoco di Bournemouth si vende gli autografi, spuntano un
filmato inedito di metà anni Sessanta - stesso periodo inquadrato dal
fotografo Robert Whitaker in un possente tomo edito anche in Italia, assieme
alle memorie della sorellastra di Lennon, Julia Baird - e anche la rara
?copia numero 5? dell'album bianco (indovinate chi aveva quelle dall'1 al
4?) nonché un documento che attesterebbe che Eleanor Rigby non sarebbe un
nome di fantasia ma si tratterebbe di una sguattera di Liverpool realmente
esistita. Tutto questo è accaduto tra settembre e novembre. In mezzo a tutte
queste notizie, rischiava di passare inosservata la pubblicazione di un
nuovo disco di McCartney (nella foto) che, per la terza volta, si è nascosto
dietro allo pseudonimo «The Fireman», che adopera per i suoi progetti
elettronici assieme a Youth dei Killing Joke.
Se i primi due capitoli, Strawberries oceans ships forest e Rushes non erano
francamente irresistibili, questo Electric arguments ha fatto discutere. Non
tanto per la musica, con minor sperimentazione rispetto al passato, tredici
brani realizzati uno al giorno per tredici giorni, variando dal blues al
gospel cercando di abbandonare, per un po', i cliché dell'autore (che resta,
invece, riconoscibilissimo), bensì per i testi. Fin dai titoli, Is this
love?, Lifelong passion, Lovers in a dream, si intuisce che il buon Macca se
la sta prendendo con la ex moglie Heather Mills, caduta nella più comune
delle trappole: lei, come da sentenza, non può dire nulla di lui pena la
rinunzia al sostanzioso (per usare un eufemismo) "mensile", lui,
invece, è un artista e se vuole cantare che lei e la sorella sono due
tipette incostanti (per usare un eufemismo) come adombra in Two magpies lei
non può farci nulla. Intanto il Vaticano ha riabilitato Lennon «più famoso
di Gesù», si parla di pubblicare l'inedito collage Carnival of light,
che darebbe a Paul, premiato poco tempo fa da Bono all'ennesimo award, la
primogenitura sulla vena avanguardista dei quattro, è uscito il dvd con il
?making of? di Love e si parla, finalmente, del catalogo rimasterizzato:
every day is a Beatle day.
Alessio Brunialti - 24/11/2008
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Video : Like a rolling stone - le cover italiane
Mr.Antondjango's band
Negrita e
Carmen Consoli
The
Blackstones with Al Diesan & Pino Tocco
Graziano Romani
Dolcenera |
a |
Lunedi 1 Dicembre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 434
- clicca qui
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Mi è piaciuta un sacco l'idea del racconto
immaginario "Bob Dylan's dream" di Paolo Vites , intuizione illuminata , così
ho pensato di dare un seguito al gioco :
clicca qui
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TELL TALE DYLAN
by RICK KANE
"Hey, hey, my, my - Dylan's influence will never die"
I’m not there , il film biografico di Todd Heynes
sull’ iconico ed onnipresente Bob Dylan , realizzato nel 2007 , è stato un
evento culturale ed una operazione di marketing. Qualsiasi altro artista
dovrebbe essere così fortunato , in paragone . Per i Rolling Stones la
principale attività in questi giorni sembra quella di mantenere i Rolling
Stones come un’impresa commerciale.
Per Dylan , la mistica dell’uomo ed il significato della musica intrecciate
assieme così da creare un’epica di ciò che la storia ha raccontato ,
aggiunta ed approfondita con ogni nuovo dicendo. Questa storia è la chiave
della commercializzazione di tutto ciò che viene commercializzato.
I’m not there , commercializzato , ha aggiunto molto più di qualunque altra
cosa al Dylan-stock.
Haynes , in effetti , rispolvera l’autore Dylan che era stato già dato per
finito alcune decadi fa. La storia di Dylan è più grande del narratore.
Il film ha generato una serie di concerti per gli artisti che hanno
contribuito alla colonna sonora. Musicisti , con una affermata e notevole
carriera , sono stati contenti di partecipare al progetto, stare vicini a
Dylan era importante per loro. E dov’è Dylan in tutto questo ? Lui è
contemporaneamente presente ed assente .
Quest’anno ci sono stati sei CDs che recavano su di essi le impronte
digitali di Dylan.
Tre vengono da Dylan stesso : Tell Tale Signs : The Bootleg Series Vol.8 .
Rare and unreleased 1989-2006 è l’ultima retrospettiva di una carriera più
che maestosa.
Dylan e chiunque altro abbia concepito l’ idea delle Bootleg Series hanno
fissato un livello piuttosto elevato.
L’idea di immettere sul mercato discografico vecchie canzoni ed esecuzioni
dal vivo sotto il marchio “Bootleg” è ispirata . Si schiera al fianco del
Col. Tom Parker che vendette entrambi i concerti I Love Elvis ed I hate
Elvis nei primi anni 50’ , in termini di alta commercializazione di un
marchio.
Tell Tale Signs si può comperare come un singlo CD , doppio set , o se avete
i dollari , come triplo set + libro di 250 pagine per circa 200 dollari , o
può essere scarivato da Internet per niente. L’intero albumè stato reso
disponibile in free streaming sul sito ufficiale della National Public Radio
(Wikipedia).
"Wise man lookin' in a blade of grass
Young man lookin' in the shadows that pass
Poor man lookin' through painted glass
For dignity"
Che Dylan avesse il materiale di Back up è ciò che da valore al prodotto.
Qui non si sta parlando di giocattoli o di altre stupidate fatte in Cina .
Dylan sta vendendo la sua autenticità , la verità , la sua oroginalità e la
sua storia. Lui sta conservando lo spirito rivoluzionario degli anni 60’
altrettanto bene come l’American Music Heritage.
Le sue canzoni sono le riflessioni dell’anima di tutta l’umanità , viste
attraverso la grande lente della musica popolare americana.
Tell Tale Signs è una delle migliori offerte musicali di quest’anno. Come i
Chronicles hanno semplicemente ed ampiamente dimostrato , la persona miglire
per raccontare la storia du Dylan è Dylan stesso.
"All my powers of expression and thoughts so sublime Could never do you
justice in reason or rhyme Only one thing I did wrong Stayed in Mississippi
a day too long"
Mississippi , da Love and Theft , e la sola canzone che è presente in tutti
e tre I dischi. Queste takes alternative della canzone non vengono dalle
sessions di Love and Theft , ma da quelle di Time out of Mind. Di fatto ,non
c’è una sola canzone unreleased da Love and Theft , probabilmente il suo
miglior album più completo degli ultimi 20 anni.
E non penso sia una cioncidenza. E’ parte del mito e della mistica che Dylan
coltiva da sempre.
Quello che ha fatto è stato darci tre versioni della miglior canzone che ha
scritto negli ultimi 20 anni. La canzone è parte integrante della storia
americana ( parla di F. Scoott Firzgerald e delle storie di miniera di Mark
Twain) , e va anche oltre questa linea.
Un mio buon amico e grande fan di Dylan pensa che la versione di Most of the
time (CD1) sia la migliore canzone del set. Lui ne sente il feeling ,
attraverso il semplice e leggero accompagnamento di armonica e chitarra
esprime la bellezza del sentimentalismo della canzone e della voce di Dylan.
La profondità della storia è meglio rappresentata in qyeste tre versioni che
non nella versione uficiale.
Non posso parlare di Born in time e Cross the green mountain , mi mettono in
una situazione nella quale mi è difficile parlarne.
Queste canzoni mi mandano lontano un milione di miglia. Sento profondamente
i momenti e la gente in queste canzoni , mi ronzano in testa a lungo , come
cose altamente familiari e fresche
In queste canzoni , così come in tutta la compilation , c’è la storia di
Dylan , narrata e venduta.
Il 2008 vede gli altri tre Cd realizzati sotto l’ombra e
l’influenza di Dylan. Il cantautore scandinavo Kristian Matsson con "The
Tallest Man on Earth" è uscito in marzo. Molto simile al primo Dylan e
all’ultimo , il suono delle miniere americane raccolto in antologia da Harry
Smith nel 1950. Ma è Dylan , com’era da giovane artista che più assomiglia ,
anche nella magra , scarna e barbuta copertina. Matsson può ancora evolversi
in un artista con una sua linea personale , ma ore non possiamo dire se
scieglirà questa o si accontenterà di aver successo nell’ombra e nello stile
di Dylan.
Pete Molinari è un’altro personaggio interesante , devoto di Dylan. Viene
dal Kent , Gran Bretagna , parentela egiziana/maltese. Pete ha passato due
anni suonando nelle coffè hauses al Greenwich Village , cantando le sue
storie semplici e ben levigate , le sue storie sono odi all’amore e
all’abbandono. E’ misurato e manierato , con una voce capace di catturare la
tristezza e la speranza della situazione.
Il suo disco “A virual landslide” ha avuto l’attenzione della stampa
musicale britannica in modo leggero , senza dare scossoni alle acque calme
dello stagno.
Per altro , ci sono ragioni per pensare che possa evolversi. In diverse
canzoni , come “Sweet Louise” e “Look what i made out of my head ma” , si
puo sentire il legame ed allo stesso tempo la separazione dall’ombra di
Dylan , in quest’ultimo brano si sente un fraseggio Lennoniano.
Nel primo invece , un deliberato e piacevole omaggio alla “Absolutelu sweet
Marie” di Dylan , ha trovato un modo di suonare senza copiare e questa è la
forza del pezzo. Ancora , come per TMOE ,
tutto quello che Molinari può sperare e di accodarsi alle Back Pages di
Dylan.
Hayes Carll è l’ultimo della lista dei tre artisti che hammo regostrato
quest’anno rimanendo nella lunga ombra di Dylan. Prima di tutto perchè cìè
soltanto un pezzo in questo disco dove fa Bob Dylan , “Trouble in my mind” .
Nella canzone c’è il suono uguale a quello della Band in “Highway 61
revisited”, ispirato dai riff dell’organo di Al Kooper.
Ho visto Dylan in concerto due volte l’anno scorso , in Melbourne ed in
Perth. Entrambi gli show sono stati superbi , non suonava per il pubblico ,
suonava per se stesso le sue storie per la sua leggenda. L’influenza di
Dylan durerà ancora a lungo.
26 November 2008
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La lezione di vita di Bob Dylan : “Suonate fottutamente
forte”
1966, Bob è sul palco con la Band , meno Levon Helm ,
sostituito Da Mickey Jones alla batteria.
Il famoso “The Royal Albert Hall Concert” effettivamente si è svolto a
Manchester , ma una cosa è certa….c’era gente nel pubblico che non gradiva
Dylan in versione elettrica. La prima metà del concerto è stata il set
acustico che la gente aveva apprezzato , ma la seconda metà è stata
elettrica e le cose si sono fatte pesanti , e molti Brits ( britannici ) si
sono incazzati.
In quel famoso scambio di battute , uno del pubblico urlò “ Giuda!” durante
la pausa dopo “Ballad of a thin man” , “Non ti ascolterò mai più , mai !”.
Dylan rispose “ Non ti credo......sei un bugiardo” , poi si girò verso la
band gridando “ suonate fottutamente forte “ , così loro cominciarono
gasatissimi l’intro inconfondibile di Like a rolling stone.
E questo è il segreto della vita.
Quando le vostre critiche sembrano essere pezzi del vostro culo invece che
della vostra mente , ditelo fottutamente FORTE.
di A. Vespucci
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Elton John : Insieme per l'Africa
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