“Ladies & Gentlemen
please welcome , The Mad Dogs , The Englishmen and Joe Cocker!”
Mad Dogs & Englishmen
Nella primavera del 1968 Joe Cocker era un giovane cantante con la testa
piena di sogni che aveva abbandonato la natia Sheffield per Londra, in cerca
di fortuna. Viveva in un bed & breakfast da poche sterline, sognava il
successo che da anni inseguiva senza fortuna. Alla fine lo trovò e, come in
una favola, la storia si capovolse e prese un'andatura vertiginosa.
Settembre 1968: Cocker pubblica su singolo la sua versione di With A Little
Help From My Friends, un brano minore del Sgt. Pepper's. Novembre 1968: il
45 giri vola in testa alle classifiche Brit. Maggio 1969: esce il primo
album, con altre pregevoli cover e un cast di tutto rispetto (c'è anche
Jimmy Page). Agosto 1969: Joe è a Woodstock, dove conquista la platea con
una travolgente, dislessica esibizione che il film di Michael Wadleigh
porterà in tutto il mondo. Autunno-inverno 1969: Cocker è prigioniero di
impresari e discografici, registra in fretta un secondo lp e schizza ai
quattro angoli della scena per monetizzare l'improvvisa notorietà. Manca il
respiro a chi scrive, figuratevi a lui, ex benzinaio proiettato in una
rock&roll fantasy che neanche nella più delirante sbronza del sabato sera.
Marzo 1970: Joe è esausto e decide di fermarsi. Licenzia la sua Grease Band
e va in Giamaica per una vacanza. Lo richiamano subito. Il suo manager ha
preso accordi per un nuovo tour; e non ammette rifiuti, se infrangerà il
contratto non potrà più esibirsi negli Stati Uniti. Cocker è disperato ma ha
l'idea giusta. Mesi prima ha lavorato con Leon Russell, uno dei più grandi
turnisti della discografia Usa, e a lui si rivolge per allestire al volo una
nuova band. Russell risponde di sì, ed è generoso nella proposta: non un
semplice quartetto, come Joe aveva in mente, ma un'orchestra rock da sogno
che prende forma in pochi giorni, approfittando di fortunate coincidenze.
Chris Stainton, il tastierista, è l'unico con cui Cocker ha dimestichezza.
Gli altri sono nuovi: come Carl Radle e Jim Gordon, reduci da Delaney &
Bonnie, come Jim Price e Bobby Keys, piccola ma tosta sezione fiati, come
Jim Keltner, bacchette magiche, e Don Preston, chitarra ritmica. Russell è
il capobanda. C'è anche un coro con voci femminili di una certa notorietà:
Claudia Linnear, per esempio, Rita Coolidge. Questa è la storia di Mad Dogs,
una storia tipica di quei folli giorni: un tour di ripiego che diventa un
disco dal vivo, e che disco!, e strada facendo anche un film, perché
qualcuno intuisce le potenzialità di quel circo stravagante e manda una
troupe al seguito, e non se ne pentirà. Il 20 marzo si comincia, il 27 e il
28 i registratori sono già in azione al Fillmore East; ne verrà uno dei più
celebri live di tutta la storia rock, un trattato di soul rock bianco che
immortala Joe Testa Calda nello splendore della sua energia & follia, prima
di tante cadute e amnesie, con
una band strepitosa come non ritroverà
più in carriera. Il segreto è il repertorio. Anziché brancicare qualche
originale da mettere nelle fauci del Mangiafuoco Cocker, Russell e i
responsabili dello show optano per brani collaudati e coerenti, pescando dal
R&B più vero, dai migliori negri bianchi dei ‘60, dalla più elegante canzone
d'autore. Ecco allora una fantastica serie di Stones e Beatles e Dylan,
Feelin' Allright e I've Been Loving You Too Long, The Weight e The Letter,
con un accompagnamento caldo, passionale, per il sollievo del pubblico che
in quei giorni è un po' in overdose di psichedelismi acid rock e accetta
volentieri quelle morbide carezze incandescenti. Cocker è in grande
spolvero, stanco ma determinato, e mastica di tutto: anche gli originali di
Russell, a cominciare dalla fortunata Delta Lady, anche una vecchia
canzoncina dei Lovin' Spoonfull (Darling Be Home Soon) e perfino un Leonard
Cohen così lontano da lui, quello di Bird On A Wire. Una favola felice? Non
completamente. Cocker entra presto in rotta di collisione con Russell e a
maggio, quando il tour finisce in California, i due sono separati in casa
con musi lunghi. Al momento di fare i conti, poi, è anche peggio: al leader
restano solo le briciole, il grosso è andato agli organizzatori e in spese
per quella pazza carovana. Ma il disco farà benissimo, il film sarà uno dei
rockumentari più visti e apprezzati di quei tempi eroici. Joe Cocker non lo
sa, ma ha vissuto la parte più bella e importante della sua carriera: anche
se nella maniera vertiginosa che abbiamo detto, passando in due anni da zero
alla storia rock, with a little help from his friends. Di quest'album
esisteva già una versione rimasterizzata in un solo cd, 1999. Qui il
programma è stato ampliato, aggiungendo pezzi non compresi nell'originale
(tra cui, curiosità, With A Little Help From My Friends - la canzone più
famosa mancava!). Inoltre è stata approntata un'appendice con un 45 di
studio, un estratto dalla colonna sonora del film e una jam di prova dei
musicisti, a nome Leon Russell & The Shelter People. Non tutti i brani sono
stati registrati al Fillmore East, qualcosa viene da uno show a Santa
Monica, aprile 1970. Registrazioni sul campo, per forza di cose imperfette
ma opera da grandi professionisti: il tecnico in loco era Eddie Kramer
(Hendrix, Led Zeppelin) e responsabile del mix e del master originale
l'altrettanto celebre Glyn Johns. Se qualcuno che ci legge è proprio un fan
di Joe Cocker e di questo depravato progetto (ma proprio un fan accanito)
sappia che la Hip-O Select sta pubblicando due diversi cd con l'integrale
dei concerti Mad Dogs al Fillmore East, 27 e 28 marzo 1970. Si tratta di due
tripli che a breve saranno riuniti in un cofanetto sestuplo. (riccardo
bertoncelli) Joe Cocker - Mad Dogs & Englishmen-DeLuxe Edition (A&M, 2cd)
****
the band
Joe Cocker (vocals)
Leon Russell (guitar, keyboards)
Don Preston (guitar, vocals)
Carl Radle (bass)
Chris Stainton (keyboards)
Jim Price (trumpet)
Bobby Keys (sax)
Chuck Blackwell (percussion, drums)
Sandy Konikoff (percussion)
Bobby Torres (percussion)
Jim Gordon (drums)
Jim Keltner (drums)
+
Rita Coolidge (vocals)
Claudia Lennear (vocals)
Daniel Moore (vocals)
Donna Weiss (vocals)
Pamela Polland (vocals)
Matthew Moore (vocals)
Donna Washburn (vocals)
Nicole Barclay (vocals)
Bobby Jones (vocals)
The Album
Honky Tonk Women/
Sticks and Stones/
Cry Me A River/
Bird on the Wire/
Feelin'Alright/
Superstar/
Let's Go Get Stoned/
I'll Drown in my Own Tears/
When Something is Wrong with my Baby/
I've Been Loving You Too Long/
Girl From the North Country/
Give Peace a Chance/
She Came in Thru the Bathroom Window/
Space Captain/
The Letter/
Delta Lady.
Dal dizionario 24.000 dischi
(Paolo Conte)
Gli anni fra il 1968 e il 1970 furono un glorioso massacro per Joe Cocker.
L'ex benzinaio di Sheffield aveva finalmente acciuffato il successo, dopo un
disastroso inizio di carriera che aveva bruciato i suoi primi 45 giri beat &
blues spingendo la stampa a facili ironie (qualcuno aveva definito la sua
faccia ?il retro di un bus aziendale?). La chiave di volta era stata
naturalmente la versione di ?With A Little Help From My Friends? sul palco
di Woodstock. Dico ?naturalmente? perché tutti hanno stampigliata in mente
la sagoma assurda di Joe in blue jeans e maglietta zuppa di pioggia che,
nell'infuriar degli elementi, interpreta con gesti spastici quel pezzo del
?Sgt. Pepper's?; quello il Joe Cocker primo e definitivo, una delle
fatidiche icone del rock, per saecula saeculorum . Woodstock cadde ad agosto
del ‘69. Cocker era in pista già da un anno buono, prima in studio a
registrare il suo faticoso esordio (appunto ?With A Little Help From My
Friends?), poi in scena per un fitto tour promozionale con il complesso che
aveva appena organizzato, la Grease Band. Il successo del Festival aumentò
considerevolmente le sue quotazioni e così, a ingaggio quadruplicato, il
generoso Joe si sciroppò altri 6 mesi on the road , approdando alla
primavera del 1970 senza più una stilla di energia. A quel punto pensò di
andarsene in vacanza ai Caraibi e ordinò ai musicisti il ?rompete le righe?.
Ma aveva fatto male i conti. Il suo manager americano gli sottopose un
contratto già firmato per un altro mese e mezzo di concerti e lo minacciò;
se mai avesse avuto intenzione di rifiutarsi, avrebbe coinvolto il sindacato
musicisti e per Joe Cocker le porte degli Stati Uniti si sarebbero chiuse
per sempre. Ecco come nacque ?Mad Dogs & The Englishmen?, e non è un caso
isolato: molte pagine storiche del rock sono venute così, per puro caso o
somma di fastidi. Cocker recuperò solo Chris Stainton della sua Grease Band
e pensò a un gruppo organizzato apposta, rivolgendosi a un musicista che
aveva conosciuto a Woodstock, Leon Russell. Fu una bella idea o un grande
equivoco, a seconda dei
punti di vista. Russell
era un turnista con i fiocchi (uno di quelli che avevano sostituito i Byrds
a registrare ?Mr. Tambourine Man?, tanto per dire) e conosceva mezzo mondo,
oltre ad avere un bel carattere deciso. Organizzò in fretta un grande gruppo
e praticamente ne diventò il leader, provandosi a relegare Cocker al ruolo
di ospite. Joe reagì alla sua maniera, trovando chissà dove nuove energie e
sbraitando forte, ogni sera più forte. Ne vennero frizioni, una specie di
?battaglia sul campo? che paradossalmente non disturbò la musica, anzi, le
conferì un colore più acceso e particolare. Il manager di Cocker, Denny
Cordell, aveva d'altronde deciso di portare in giro lo spettacolo come una
sorta di circo, un ?medicine show? da vecchio West; e l'idea era così
piaciuta ai discografici che in tutta fretta avevano deciso di ricavarne un
disco e anche un film, mandando una considerevole troupe al seguito. Così
immaginate in giro per l'America una carovana di 21 persone fra musicisti e
coro, più amici e parenti, più tecnici del suono e roadies e addetti alle
riprese, e immaginate gli scazzi fra l'orgoglioso Joe Cocker e il prepotente
Leon Russell, e il clima frenetico e, se vi piace, il solito contorno di
sesso & droga, e fate conto di 58 serate in 48 città diverse; ecco, questo è
?Mad Dogs & the Englishmen?. Un disco naturalmente non può rendere tutta
l'idea, meglio il film. Però è un gran disco, anche oggi, a distanza di
trent'anni, rimasterizzato, foderato di puntuali note e compresso, sia lode
ai discografici, da due vinili a un solo CD. Un gran disco perché Cocker non
è ancora la parodia di se stesso e con sincerità e accenti credibili insegue
il suo sogno di ?soul bianco?; citando direttamente i grandi maestri neri,
da Ray Charles a Otis Redding, ma portando in quel mondo anche musiche più
eccentriche, il Cohen di ?Bird On A Wire?, i Box Tops di ?The Letter?, i
Traffic di ?Feelin' Alright?, i Beatles e gli Stones, tutti interpretati con
devota intensità soulful e frizzanti ritmi boogie rock. Furono solo quattro
i giorni a disposizione per mettere a punto il repertorio ma ne venne una
scaletta traboccante, con spazio anche a Leon Russell, alle sue ?Delta Lady?
e ?Superstar?, a una sua toccante versione di ?Girl From North Country? di
Bob Dylan; così ricca che alla fine (e meno male) si rinunciò a ?With A
Little Help From My Friends?, che aveva solo due anni ma era già un
tormentone da crisi di nervi. C'è un altro motivo, non secondario, per cui
?Mad Dogs? è un gran disco anche oggi. Nonostante la fretta e i contrasti, i
Cani erano eccellenti musicisti, dal capobanda Russell a Chris Stainton, da
Bobby Keys alla leggenda West Coast Jim Keltner fino a Carl Radle e Jim
Gordon che, finito quel tour , neanche il tempo di cambiarsi d'abito,
sarebbero volati con Derek & The Dominos. Joe Cocker non avrebbe avuto più
in carriera un complesso del genere e anche per questo, chissà, il suo
momento magico finisce con la chiusura di questo tour, 16 maggio 1970 a San
Bernardino, California. (Riccardo Bertoncelli)
Joe Cocker
Joe Cocker (vero nome John Robert Cocker: Sheffield, Regno Unito, 20 maggio
1944) è un musicista rock/blues inglese.
Inizia la sua carriera musicale nella sua città natale, all'età di 15 anni;
la sua prima band è gli Avengers (con il nome di Vance Arnold), seguita dai
Big Blues (1963), e infine The Grease Band (1966). Il suo primo singolo è la
prima di diverse cover dei Beatles "I'll Cry Instead", dall'album A Hard
Day's Night.
Dopo un qualche successo in Gran Bretagna con il songolo "Marjorine", la sua
fama scoppia con la sua versione di "With a Little Help from My Friends",
un'altra cover beatlesiana stavolta dall'album Sgt. Pepper's album. Questa
versione, con Jimmy Page alla chitarra solista, diviene prima nelle
classifiche inglesi per una settimana nel novembre 1968.
In 1969 canta a Woodstock, e la sua interpretazione del brano di Leon
Russell "Delta Lady" è un nuovo successo. Continua la sua serie di cover dei
Beatles nel 1970 con una versione di "She Came In Through the Bathroom
Window" dall'album Abbey Road. Mentre il suo successo in Gran Bretagna
comincia a scemare, entra nelle classifiche statunitensi con "Cry Me a
River" e "Feelin' Alright"; nel 1970, la sua versione live di "The Letter"
dei Box Tops, che appare nell'album live Mad Dogs & Englishmen, è il primo
hit che raggiunge la Top Ten USA.
Nel 1969 appare all'Ed Sullivan Show. La sua interpretazione ha spesso
un'intensità fisica, spesso presa in giro da John Belushi nei suoi
spettacoli: al Saturday Night Live ci fu anche un duetto improvvisato tra di
loro, in una puntata in cui Cocker era ospite.
All'inizio degli anni '70 ha una serie di problemi soprattutto legati
all'abuso di alcol, che hanno bloccato la sua carriera; ritorna però
prepotentemente sulle scene negli anni '80, con la sua versione di "You Can
Leave Your Hat On" nel film 9 settimane e ½. Altri successi di quel periodo
sono "Up Where We Belong", (scritta da Buffy Sainte-Marie e cantata con
Jennifer Warnes nel film Ufficiale e gentiluomo; Oscar per la miglior
canzone); "You Are So Beautiful"; "When The Night Comes"; "N'oubliez Jamais"
e "Unchain my heart".
Joe Cocker è un icona della Woodstock Generation, è senza dubbio un
sopravvissuto alla sindrome post-event che caratterizzò gl’anni successivi
allo storico concerto.
Chi ha avuto il piacere di vedere il video di quel concerto ricorderà che
tra i tanti nomi che sfilarono in quei giorni sul palco salì anche quel
giovane inglese di Sheffield che fece saltare in aria tutti i presenti e poi
il mondo intero con la sua resa di With A Little Help From My Friends,
celebre pezzo a firma Lennon e McCartney, per non parlare della splendida
Delta Lady o la rilettura del classico dei Traffic Feelin’ All Right.
Joe Cocker, è stato ed è ancora un grande interprete blues, il meglio di sè
lo ha dato nelle cover di Cohen, Beatles, The Band e Dylan.
E’ proprio su queste ultime che ci soffermeremo. Il primo album datato 1969
è senza dubbio da annoverare tra i cento dischi degli anni sessanta: oltre
alla già citata With A Little Help Form My Friends che è anche la title
track, ci sono due cover bellissime di Bob, Just Like a Woman e I Shall Be
Released. La prima è una delle highlights del disco, alla chitarra c’è un
certo Jimmy Page, all’epoca apprezzato session man oltre che componente dei
mitici Led Zeppelin, la sua presenza è fondamentale non solo per l’assolo
posto prima dell’ultimo verso, ma anche per il lavoro in duetto con l’organo
suonato da Mattew Fisher dei Procol Harum.
La voce di Joe è grandiosa come non mai. Indimenticabile. I Shall Be
Released è davvero in una resa meravigliosa, il lavoro di organo di Stevie
Winwood richiama l’arrangiamento di The Band, ciò che colpisce al cuore è la
voce di Joe Cocker, mai nessuna voce come quella del Mad Dog è riuscita
battere tali sentieri emozionali nel riproporre cover dilaniane.
Indimenticabile è l’apporto del coro quasi gospel tutto femminile sempre
presente nelle sue canzoni giusto contrappunto alla sua voce blues roca.
Il secondo album, Joe Cocker! del 1969, presenta ancora una cover dilaniana,
Dear Landlord, completamente stravolta rispetto all’originale di JWH, viene
rivisitata in chiave blues, con un accentrico lavoro di piano, oltre che con
un ottima performance vocale di Joe.
Nel 1970 fece storia Mad Dog And English Man, un bellissimo live che
presentava tra i vari brani un bella Girl From The North Country di Bob
Dylan in duetto tra Joe Cocker alla voce e Leon Russel al piano e alla
seconda voce; la performance è più interessante dal punto di vista storico
che qualitativo, entrambi entrano con ritardo nel cantare il proprio verso,
tuttavia il lavoro al piano di Russel è eccezionale, non a caso Bob lo
chiamò per le session di Greatest Hits 2 (la parte di piano in Watching The
River Flow è indimenticabile, ndr).
Stingray del 1976 presenta altre due cover, Catfish, pezzo escluso da
Desire, e The Man In Me. Entrambi i pezzi sono buoni, soprattutto il primo
riarrangiato come fosse un vecchio blues per piano e voce, ma non hanno lo
spessore per entrare nelle cover migliori di Joe.
Bellissima è invece la sua personale rilettura di Watching The River Flow
incisa in Luxury You Can Afford del 1978, molto vicina all’arrangiamento di
Dylan, e notevole è l’apporto di Leon Russel al piano, rientrato
nell’enturage di Cocker dopo un assenza di qualche anno. Su un bootleg del
1981 c’è una versione di questa canzone con Santana alla chitarra, è
decisamente superiore a quella del disco quanto a musica, ma la voce
affronta in quel periodo uno dei tempi peggiori, droghe e alcool l’hanno
resa troppo ruvida e sempre meno affascinante.
Nel 1982, Joe pesca ancora una volta dai brani di Bob e ancora una volta dal
periodo 1975-1976, questa volta è il momento di Seven Days, bella versione
ma quella originale di Bob Dylan è inarrivabile, forse solo quelle del
Neverending del 1996 possono reggere il confronto. L’ultima rilettura
dilaniana della sua discografia è Dignity, outtake di Oh Mercy, presente su
Organic del 1996, il tutto è davvero sorprendente anche come arrangiamento,
Joe ha recuperato la voce di un tempo e la band gira bene, peccato che il
pezzo duri 3 minuti e mezzo, e la metà delle strofe siano state tagliate… Un
delitto vero e proprio.
(Salvatore Eagle)
Leon Russel
Leon Russell (americano
dell'Oklahoma, esperto session-man) muove i suoi primi passi negli anni '50,
suonando con Ronnie Hawkins e Jerry Lee Lewis.
Agli inizi dei '60 lavora
con lo storico produttore Phil Spector ed Herb Alpert.
Dopo un'importante esperienza come arrangiatore nello show business
californiano, realizza uno dei sogni della sua vita: avere uno studio di
registrazione tutto suo. Viene inaugurato da Joe Cocker, che incide una
canzone di Russell ("Delta Lady")
I due artisti si ritroveranno insieme nei Mad Dogs & Englishman. Del tour di
quella straordinaria band ci restano due testimonianze: un album e un film.
Negli anni '70 è tra i protagonisti del Concert For Bangla Desh (organizzato
dal Beatle George Harrison), e prende parte ad alcuni lavori di Eric
Clapton, Rolling Stones e Dave Mason (ex-chitarrista dei Traffic).
La musica si nutre del rapporto che si instaura tra coloro che la suonano e
coloro che la ascoltano: ascoltare significa dare alla musica il tempo
perché questa entri dentro di te e vada solleticare e stimolare le parti del
corpo che più desidera. La musica è qualcosa di vivo, che “dal vivo”
appunto, nel momento stesso in cui è suonata, raggiunge la sua massima
espressione ed è consegnata ai posteri tramite la memoria. Un concerto è, a
tutti gli effetti, come una rappresentazione teatrale: un evento unico che
si esalta di questa sua caratteristica qualificante. Il tour che Joe Cocker
ed i suoi “Mad Dogs” intrapresero nel marzo del 1970 è - di fatto - uno di
quegli eventi irripetibili che la storia della musica rock ci ha regalato.
Il doppio live che fu pubblicato insieme alla film documentario dette
immortalità a quel miracolo; le quattro facciate del vinile riuscivano a
restituire non solo la bellezza delle esecuzioni di ‘She Came In Through The
Backroom Window’, ‘Feelin’ Alright’, ‘The Letter’ e ‘Let’s Get Stoned’, ma
anche lo spirito che aleggiava sul palco e nelle sale che ospitavano la
band. C’è la leggerezza, l’irriverenza, la malinconia, il gusto per
l’intrattenimento, c’è - in tre parole - il rock’n’roll. Questa deluxe
edition non è solo per fanatici collezionisti; è un investimento che tutti
coloro che amano la musica devono fare perché non è una sterile riproduzione
di qualcosa che già c’era alla quale è stato aggiunto un paio di brani
inediti (su tutti la versione di ‘Something’ e ‘Further Down The Road’ con
Don Preston alla voce), ma perché è il miglior modo per spiegare che cosa
voglia dire stare sul palco, suonare insieme, avvertire l’unicità
dell’evento e riuscire a vivere quest’ultimo appieno trasmettendo le stesse
emozioni al pubblico. Questa nuova versione a differenza della precedente,
riporta la sequenza dei brani a quella effettiva della scaletta che la band
proponeva dal vivo: ‘She Came In through The Bathroom Window’ è la seconda
canzone subito dopo ‘Honky Tonk Women’, e questo perché Cocker sa di aver
ben altre cartucce nella sua pistola. L’inedita ‘The Weight’ dal repertorio
The Band raccoglie i consensi del pubblico e ‘Feeling Alright’ di Dave Mason
ha la sua versione definitiva. Leon Russell, il direttore della band ed
autore degli arrangiamenti, canta tre degli inediti: la bluesy
‘Hummingbird’, la scanzonata ‘Dixie Lullaby’ e ‘The Ballad Of Mad Dogs &
Englishmen’. Quest’ultima è una versione in studio con tanto di
arrangiamento che molto rimanda a Phil Spector cantata con la caratteristica
voce sgraziata e sorniona del pianista. Il finale del concerto è affidato
alla lunga ‘Old Time Blues Medley’ (‘I’ll Drown In My Own Tears’/’When
Something Is Wrong With My Baby’/’I’ve Been Loving You Too Long’) seguita da
‘With A Little Help From My Friends’ non presente nell’edizione originale.
In coda vengono poi inserite le single version di ‘The Letter’ e ‘Space
Captain’ oltre alla già citata ‘The Ballad Of…’ ed ad una velleitaria
‘Studio Jams’ nella quale si accenna ‘Under My Thumb’ di rollingstoniana
memoria. Adesso non vi resta che mettere il primo CD nel lettore, sedervi,
chiudere gli occhi e lasciare che la musica faccia il suo dovere.
(Jacopo Meille)
La migliore stagione dell’arrangiatore/produttore/compositore Leon Russell
fu proprio quella che lo vide brillare di luce propria nella carovana di Mad
Dogs & Englishmen, prima, e in quella del concerto per il Bangla Desh, poco
dopo. Proprio allora, in un turbinio di creatività e follia, talento e
sconsideratezza, Leon, sulle scene già da almeno un decennio, fermò su
nastro le sue migliori canzoni. “Song for you”, “Hummingbird”, “Delta Lady”
ma anche la straordinaria “Roll away the stone” e “Dixie Lullabye” trovano
posto in un solo album, “Leon Russell”, del giugno 1970, la cui lista di
musicisti ed ospiti è infinita e rappresenta il meglio della élite rock dei
primi settanta.
Saltando da una session all’altra, da “Asylum Choir” realizzato con Marc
Benno nel 1969 a “Leon Russell & the Shelter people” e poi avanti fino
“Carney” del 1972, un disco con almeno altre due immortali canzoni scritte
da Leon, “Tightrope” e “This masquerade”, portata al successo crossover
qualche stagione dopo da George Benson, fino al triplo dal vivo, un disco
impossibile da concepire oggi, tra il 1969 e il 1973 Leon Russell fermò il
suo posto nell’olimpo del rock.
Con i tempi in costante evoluzione, il pubblico europeo perse presto le
tracce di questo gran musicista; Leon si lasciò alle spalle la follia
losangelina- non più la stessa delle sesion di “m.tambourine man” dey Byrds
a cui partecipò né quella di “A taste of honey” Herb Alpert & the Tijuana
Brass, che arrangiò- e optò per la sua terra natale, l’Oklahoma, svolgendo
un bel servizio a J.J. Cale. Al suo matrimonio, con Mary Mc Creary ex
corista di Sly & the family stone, suggellò l’esperienza personale con un
bel disco, “make love to the music” (1977). Non pagò del suo talento e delle
sue intuizioni- sempre un passo avanti-Russell guardò con sicurezza al mondo
ben più proficuo, almeno da un certo momento in poi e soprattutto per un
senior delle scene come lui, del country e registrò troppo presto, per i
tempi che si evolvevano in altre direzioni, con Willie Nelson (1979), con i
New Grass Revival (1981)e poi a Nashville–usando il suo nome di battesimo,
Hank Wilson (1984)–compiendo una scelta di campo non dissimile da quella di
uno dei suoi idoli, Ray Charles.
Per commentare le scelte di Leon Russell da un’ottica differente è comunque
importante ricordare che mentre il pianista/chitarrista nato nel 1941 girava
il mondo con la sua band, The Shelter people, una nuova generazione di
artisti, manager e imprenditori della musica si faceva strada a Hollywood.
Erano i vari David Geffen ed Elliott Roberts, gente di cui l’artista non
voleva proprio sentir parlare.
Oggi Leon Russell è ancora in piena attività. Nel corso degli ultimi due
anni ha realizzato 3 album, ha una band stabile al suo fianco ed è appena
tornato dal Giappone. Nel mese d’ottobre si è esibito una decina di volte.
Per quanti fossero interessati, il 30 dicembre l’artista si esibisce a Tampa
e l’ultimo dell’anno a West Palm Beach, in Florida, l’ultimo dell’anno. Io,
penso di andarci, rivedere Mad Dogs & Englishmen e riascoltare i suoi album
mi ha fatto riflettere sulla monumentale statura di un talento la cui arte a
noi nota è solo la punta di un iceberg.
(Ernesto de Pascale)
Tra i primi dischi da riscoprire o da scoprire, mi e’ venuto subito in mente
“Mad Dogs and Englishmen” di Joe Cocker, registrato dal vivo a Fillmore
East, New York City, il 27 e 28 Marzo del 1970, durante una lunga e
massacrante tournee in cui Cocker - balzato alle cronache grazie alla
performance di Woodstock - si spremette/venne spremuto come un limone …Ma
l’aspro del limone che trasuda dai 19 pezzi che costituiscono quello che
uscì come un album doppio, e’ di una potenza assoluta.Supportato da una band
colossale - 11 musicisti e 10 cantanti tra cui Jim Keltner, Jim Gordon,
Chris Stainton - e manufatto in maniera eccellente grazie agli arrangiamenti
di Leon Russell, “Mad Dogs and Englishmen” trasforma tutto, dal rock al pop,
dalle ballate al soul, in un grido “bluesy”. E’ il grido e’ quello di Joe,
allora ventisettenne, al massimo della sua capacita’ ed espressivita’
vocale, “fatto e strafatto”, costantemente sull’orla del tracollo
psicofisico. Ma se lo ascoltate non potrete non riconoscere che quel cantare
e’ proprio una domanda di vita, una “darsi” completamente.
Cocker oggigiorno e’ un sopravvissuto (un tot di coloro che suonarono e
cantarono con lui non ce l’hanno fatta), e probabilmente non si ricordera’
molto di quegli anni …ma chissa’ che effetto gli farà risentirsi. A me
prende ancora allo stomaco…
(Riro Maniscalco)
I VIDEO DEL FILM
SPACE CAPTAIN ( M. Moore )
WITH A LITTLE HELP FROM MY FRIEND (
Lennon-McCartney )
DELTA LADY ( Leon Russel )
CRY ME A RIVER ( Arthur Hamilton )
DARLING BE HOME SOON ( John Sebastian )
THE LETTER ( Wayne Carson Thompson )
SHE CAME IN THROUGH THE BATHROOM WINDOW (
Lennon.McCartney )
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