MAGGIE'S FARM

sito italiano di BOB DYLAN

 

The mad dogs , The Englishmen & Joe Cocker

 
 

“Ladies & Gentlemen please  welcome , The Mad Dogs , The Englishmen and Joe Cocker!”
 

 

Mad Dogs & Englishmen

Nella primavera del 1968 Joe Cocker era un giovane cantante con la testa piena di sogni che aveva abbandonato la natia Sheffield per Londra, in cerca di fortuna. Viveva in un bed & breakfast da poche sterline, sognava il successo che da anni inseguiva senza fortuna. Alla fine lo trovò e, come in una favola, la storia si capovolse e prese un'andatura vertiginosa. Settembre 1968: Cocker pubblica su singolo la sua versione di With A Little Help From My Friends, un brano minore del Sgt. Pepper's. Novembre 1968: il 45 giri vola in testa alle classifiche Brit. Maggio 1969: esce il primo album, con altre pregevoli cover e un cast di tutto rispetto (c'è anche Jimmy Page). Agosto 1969: Joe è a Woodstock, dove conquista la platea con una travolgente, dislessica esibizione che il film di Michael Wadleigh porterà in tutto il mondo. Autunno-inverno 1969: Cocker è prigioniero di impresari e discografici, registra in fretta un secondo lp e schizza ai quattro angoli della scena per monetizzare l'improvvisa notorietà. Manca il respiro a chi scrive, figuratevi a lui, ex benzinaio proiettato in una rock&roll fantasy che neanche nella più delirante sbronza del sabato sera. Marzo 1970: Joe è esausto e decide di fermarsi. Licenzia la sua Grease Band e va in Giamaica per una vacanza. Lo richiamano subito. Il suo manager ha preso accordi per un nuovo tour; e non ammette rifiuti, se infrangerà il contratto non potrà più esibirsi negli Stati Uniti. Cocker è disperato ma ha l'idea giusta. Mesi prima ha lavorato con Leon Russell, uno dei più grandi turnisti della discografia Usa, e a lui si rivolge per allestire al volo una nuova band. Russell risponde di sì, ed è generoso nella proposta: non un semplice quartetto, come Joe aveva in mente, ma un'orchestra rock da sogno che prende forma in pochi giorni, approfittando di fortunate coincidenze. Chris Stainton, il tastierista, è l'unico con cui Cocker ha dimestichezza. Gli altri sono nuovi: come Carl Radle e Jim Gordon, reduci da Delaney & Bonnie, come Jim Price e Bobby Keys, piccola ma tosta sezione fiati, come Jim Keltner, bacchette magiche, e Don Preston, chitarra ritmica. Russell è il capobanda. C'è anche un coro con voci femminili di una certa notorietà: Claudia Linnear, per esempio, Rita Coolidge. Questa è la storia di Mad Dogs, una storia tipica di quei folli giorni: un tour di ripiego che diventa un disco dal vivo, e che disco!, e strada facendo anche un film, perché qualcuno intuisce le potenzialità di quel circo stravagante e manda una troupe al seguito, e non se ne pentirà. Il 20 marzo si comincia, il 27 e il 28 i registratori sono già in azione al Fillmore East; ne verrà uno dei più celebri live di tutta la storia rock, un trattato di soul rock bianco che immortala Joe Testa Calda nello splendore della sua energia & follia, prima di tante cadute e amnesie, con

una band strepitosa come non ritroverà più in carriera. Il segreto è il repertorio. Anziché brancicare qualche originale da mettere nelle fauci del Mangiafuoco Cocker, Russell e i responsabili dello show optano per brani collaudati e coerenti, pescando dal R&B più vero, dai migliori negri bianchi dei ‘60, dalla più elegante canzone d'autore. Ecco allora una fantastica serie di Stones e Beatles e Dylan, Feelin' Allright e I've Been Loving You Too Long, The Weight e The Letter, con un accompagnamento caldo, passionale, per il sollievo del pubblico che in quei giorni è un po' in overdose di psichedelismi acid rock e accetta volentieri quelle morbide carezze incandescenti. Cocker è in grande spolvero, stanco ma determinato, e mastica di tutto: anche gli originali di Russell, a cominciare dalla fortunata Delta Lady, anche una vecchia canzoncina dei Lovin' Spoonfull (Darling Be Home Soon) e perfino un Leonard Cohen così lontano da lui, quello di Bird On A Wire. Una favola felice? Non completamente. Cocker entra presto in rotta di collisione con Russell e a maggio, quando il tour finisce in California, i due sono separati in casa con musi lunghi. Al momento di fare i conti, poi, è anche peggio: al leader restano solo le briciole, il grosso è andato agli organizzatori e in spese per quella pazza carovana. Ma il disco farà benissimo, il film sarà uno dei rockumentari più visti e apprezzati di quei tempi eroici. Joe Cocker non lo sa, ma ha vissuto la parte più bella e importante della sua carriera: anche se nella maniera vertiginosa che abbiamo detto, passando in due anni da zero alla storia rock, with a little help from his friends. Di quest'album esisteva già una versione rimasterizzata in un solo cd, 1999. Qui il programma è stato ampliato, aggiungendo pezzi non compresi nell'originale (tra cui, curiosità, With A Little Help From My Friends - la canzone più famosa mancava!). Inoltre è stata approntata un'appendice con un 45 di studio, un estratto dalla colonna sonora del film e una jam di prova dei musicisti, a nome Leon Russell & The Shelter People. Non tutti i brani sono stati registrati al Fillmore East, qualcosa viene da uno show a Santa Monica, aprile 1970. Registrazioni sul campo, per forza di cose imperfette ma opera da grandi professionisti: il tecnico in loco era Eddie Kramer (Hendrix, Led Zeppelin) e responsabile del mix e del master originale l'altrettanto celebre Glyn Johns. Se qualcuno che ci legge è proprio un fan di Joe Cocker e di questo depravato progetto (ma proprio un fan accanito) sappia che la Hip-O Select sta pubblicando due diversi cd con l'integrale dei concerti Mad Dogs al Fillmore East, 27 e 28 marzo 1970. Si tratta di due tripli che a breve saranno riuniti in un cofanetto sestuplo. (riccardo bertoncelli) Joe Cocker - Mad Dogs & Englishmen-DeLuxe Edition (A&M, 2cd) ****
 

the band
Joe Cocker (vocals)
Leon Russell (guitar, keyboards)
Don Preston (guitar, vocals)
Carl Radle (bass)
Chris Stainton (keyboards)
Jim Price (trumpet)
Bobby Keys (sax)
Chuck Blackwell (percussion, drums)
Sandy Konikoff (percussion)
Bobby Torres (percussion)
Jim Gordon (drums)
Jim Keltner (drums)
+
Rita Coolidge (vocals)
Claudia Lennear (vocals)
Daniel Moore (vocals)
Donna Weiss (vocals)
Pamela Polland (vocals)
Matthew Moore (vocals)
Donna Washburn (vocals)
Nicole Barclay (vocals)
Bobby Jones (vocals)

The Album
Honky Tonk Women/
Sticks and Stones/
Cry Me A River/
Bird on the Wire/
Feelin'Alright/
Superstar/
Let's Go Get Stoned/
I'll Drown in my Own Tears/
When Something is Wrong with my Baby/
I've Been Loving You Too Long/
Girl From the North Country/
Give Peace a Chance/
She Came in Thru the Bathroom Window/
Space Captain/
The Letter/
Delta Lady.
 


Dal dizionario 24.000 dischi
(Paolo Conte)

Gli anni fra il 1968 e il 1970 furono un glorioso massacro per Joe Cocker. L'ex benzinaio di Sheffield aveva finalmente acciuffato il successo, dopo un disastroso inizio di carriera che aveva bruciato i suoi primi 45 giri beat & blues spingendo la stampa a facili ironie (qualcuno aveva definito la sua faccia ?il retro di un bus aziendale?). La chiave di volta era stata naturalmente la versione di ?With A Little Help From My Friends? sul palco di Woodstock. Dico ?naturalmente? perché tutti hanno stampigliata in mente la sagoma assurda di Joe in blue jeans e maglietta zuppa di pioggia che, nell'infuriar degli elementi, interpreta con gesti spastici quel pezzo del ?Sgt. Pepper's?; quello il Joe Cocker primo e definitivo, una delle fatidiche icone del rock, per saecula saeculorum . Woodstock cadde ad agosto del ‘69. Cocker era in pista già da un anno buono, prima in studio a registrare il suo faticoso esordio (appunto ?With A Little Help From My Friends?), poi in scena per un fitto tour promozionale con il complesso che aveva appena organizzato, la Grease Band. Il successo del Festival aumentò considerevolmente le sue quotazioni e così, a ingaggio quadruplicato, il generoso Joe si sciroppò altri 6 mesi on the road , approdando alla primavera del 1970 senza più una stilla di energia. A quel punto pensò di andarsene in vacanza ai Caraibi e ordinò ai musicisti il ?rompete le righe?. Ma aveva fatto male i conti. Il suo manager americano gli sottopose un contratto già firmato per un altro mese e mezzo di concerti e lo minacciò; se mai avesse avuto intenzione di rifiutarsi, avrebbe coinvolto il sindacato musicisti e per Joe Cocker le porte degli Stati Uniti si sarebbero chiuse per sempre. Ecco come nacque ?Mad Dogs & The Englishmen?, e non è un caso isolato: molte pagine storiche del rock sono venute così, per puro caso o somma di fastidi. Cocker recuperò solo Chris Stainton della sua Grease Band e pensò a un gruppo organizzato apposta, rivolgendosi a un musicista che aveva conosciuto a Woodstock, Leon Russell. Fu una bella idea o un grande equivoco, a seconda dei

punti di vista. Russell era un turnista con i fiocchi (uno di quelli che avevano sostituito i Byrds a registrare ?Mr. Tambourine Man?, tanto per dire) e conosceva mezzo mondo, oltre ad avere un bel carattere deciso. Organizzò in fretta un grande gruppo e praticamente ne diventò il leader, provandosi a relegare Cocker al ruolo di ospite. Joe reagì alla sua maniera, trovando chissà dove nuove energie e sbraitando forte, ogni sera più forte. Ne vennero frizioni, una specie di ?battaglia sul campo? che paradossalmente non disturbò la musica, anzi, le conferì un colore più acceso e particolare. Il manager di Cocker, Denny Cordell, aveva d'altronde deciso di portare in giro lo spettacolo come una sorta di circo, un ?medicine show? da vecchio West; e l'idea era così piaciuta ai discografici che in tutta fretta avevano deciso di ricavarne un disco e anche un film, mandando una considerevole troupe al seguito. Così immaginate in giro per l'America una carovana di 21 persone fra musicisti e coro, più amici e parenti, più tecnici del suono e roadies e addetti alle riprese, e immaginate gli scazzi fra l'orgoglioso Joe Cocker e il prepotente Leon Russell, e il clima frenetico e, se vi piace, il solito contorno di sesso & droga, e fate conto di 58 serate in 48 città diverse; ecco, questo è ?Mad Dogs & the Englishmen?. Un disco naturalmente non può rendere tutta l'idea, meglio il film. Però è un gran disco, anche oggi, a distanza di trent'anni, rimasterizzato, foderato di puntuali note e compresso, sia lode ai discografici, da due vinili a un solo CD. Un gran disco perché Cocker non è ancora la parodia di se stesso e con sincerità e accenti credibili insegue il suo sogno di ?soul bianco?; citando direttamente i grandi maestri neri, da Ray Charles a Otis Redding, ma portando in quel mondo anche musiche più eccentriche, il Cohen di ?Bird On A Wire?, i Box Tops di ?The Letter?, i Traffic di ?Feelin' Alright?, i Beatles e gli Stones, tutti interpretati con devota intensità soulful e frizzanti ritmi boogie rock. Furono solo quattro i giorni a disposizione per mettere a punto il repertorio ma ne venne una scaletta traboccante, con spazio anche a Leon Russell, alle sue ?Delta Lady? e ?Superstar?, a una sua toccante versione di ?Girl From North Country? di Bob Dylan; così ricca che alla fine (e meno male) si rinunciò a ?With A Little Help From My Friends?, che aveva solo due anni ma era già un tormentone da crisi di nervi. C'è un altro motivo, non secondario, per cui ?Mad Dogs? è un gran disco anche oggi. Nonostante la fretta e i contrasti, i Cani erano eccellenti musicisti, dal capobanda Russell a Chris Stainton, da Bobby Keys alla leggenda West Coast Jim Keltner fino a Carl Radle e Jim Gordon che, finito quel tour , neanche il tempo di cambiarsi d'abito, sarebbero volati con Derek & The Dominos. Joe Cocker non avrebbe avuto più in carriera un complesso del genere e anche per questo, chissà, il suo momento magico finisce con la chiusura di questo tour, 16 maggio 1970 a San Bernardino, California. (Riccardo Bertoncelli)
 

Joe Cocker

Joe Cocker (vero nome John Robert Cocker: Sheffield, Regno Unito, 20 maggio 1944) è un musicista rock/blues inglese.
 

Inizia la sua carriera musicale nella sua città natale, all'età di 15 anni; la sua prima band è gli Avengers (con il nome di Vance Arnold), seguita dai Big Blues (1963), e infine The Grease Band (1966). Il suo primo singolo è la prima di diverse cover dei Beatles "I'll Cry Instead", dall'album A Hard Day's Night.

Dopo un qualche successo in Gran Bretagna con il songolo "Marjorine", la sua fama scoppia con la sua versione di "With a Little Help from My Friends", un'altra cover beatlesiana stavolta dall'album Sgt. Pepper's album. Questa versione, con Jimmy Page alla chitarra solista, diviene prima nelle classifiche inglesi per una settimana nel novembre 1968.

In 1969 canta a Woodstock, e la sua interpretazione del brano di Leon Russell "Delta Lady" è un nuovo successo. Continua la sua serie di cover dei Beatles nel 1970 con una versione di "She Came In Through the Bathroom Window" dall'album Abbey Road. Mentre il suo successo in Gran Bretagna comincia a scemare, entra nelle classifiche statunitensi con "Cry Me a River" e "Feelin' Alright"; nel 1970, la sua versione live di "The Letter" dei Box Tops, che appare nell'album live Mad Dogs & Englishmen, è il primo hit che raggiunge la Top Ten USA.

Nel 1969 appare all'Ed Sullivan Show. La sua interpretazione ha spesso un'intensità fisica, spesso presa in giro da John Belushi nei suoi spettacoli: al Saturday Night Live ci fu anche un duetto improvvisato tra di loro, in una puntata in cui Cocker era ospite.

All'inizio degli anni '70 ha una serie di problemi soprattutto legati all'abuso di alcol, che hanno bloccato la sua carriera; ritorna però prepotentemente sulle scene negli anni '80, con la sua versione di "You Can Leave Your Hat On" nel film 9 settimane e ½. Altri successi di quel periodo sono "Up Where We Belong", (scritta da Buffy Sainte-Marie e cantata con Jennifer Warnes nel film Ufficiale e gentiluomo; Oscar per la miglior canzone); "You Are So Beautiful"; "When The Night Comes"; "N'oubliez Jamais" e "Unchain my heart".
 


Joe Cocker è un icona della Woodstock Generation, è senza dubbio un sopravvissuto alla sindrome post-event che caratterizzò gl’anni successivi allo storico concerto.
Chi ha avuto il piacere di vedere il video di quel concerto ricorderà che tra i tanti nomi che sfilarono in quei giorni sul palco salì anche quel giovane inglese di Sheffield che fece saltare in aria tutti i presenti e poi il mondo intero con la sua resa di With A Little Help From My Friends, celebre pezzo a firma Lennon e McCartney, per non parlare della splendida Delta Lady o la rilettura del classico dei Traffic Feelin’ All Right.
Joe Cocker, è stato ed è ancora un grande interprete blues, il meglio di sè lo ha dato nelle cover di Cohen, Beatles, The Band e Dylan.
E’ proprio su queste ultime che ci soffermeremo. Il primo album datato 1969 è senza dubbio da annoverare tra i cento dischi degli anni sessanta: oltre alla già citata With A Little Help Form My Friends che è anche la title track, ci sono due cover bellissime di Bob, Just Like a Woman e I Shall Be Released. La prima è una delle highlights del disco, alla chitarra c’è un certo Jimmy Page, all’epoca apprezzato session man oltre che componente dei mitici Led Zeppelin, la sua presenza è fondamentale non solo per l’assolo posto prima dell’ultimo verso, ma anche per il lavoro in duetto con l’organo suonato da Mattew Fisher dei Procol Harum.
La voce di Joe è grandiosa come non mai. Indimenticabile. I Shall Be Released è davvero in una resa meravigliosa, il lavoro di organo di Stevie Winwood richiama l’arrangiamento di The Band, ciò che colpisce al cuore è la voce di Joe Cocker, mai nessuna voce come quella del Mad Dog è riuscita battere tali sentieri emozionali nel riproporre cover dilaniane.
Indimenticabile è l’apporto del coro quasi gospel tutto femminile sempre presente nelle sue canzoni giusto contrappunto alla sua voce blues roca.
Il secondo album, Joe Cocker! del 1969, presenta ancora una cover dilaniana, Dear Landlord, completamente stravolta rispetto all’originale di JWH, viene rivisitata in chiave blues, con un accentrico lavoro di piano, oltre che con un ottima performance vocale di Joe.
Nel 1970 fece storia Mad Dog And English Man, un bellissimo live che presentava tra i vari brani un bella Girl From The North Country di Bob Dylan in duetto tra Joe Cocker alla voce e Leon Russel al piano e alla seconda voce; la performance è più interessante dal punto di vista storico che qualitativo, entrambi entrano con ritardo nel cantare il proprio verso, tuttavia il lavoro al piano di Russel è eccezionale, non a caso Bob lo chiamò per le session di Greatest Hits 2 (la parte di piano in Watching The River Flow è indimenticabile, ndr).
Stingray del 1976 presenta altre due cover, Catfish, pezzo escluso da Desire, e The Man In Me. Entrambi i pezzi sono buoni, soprattutto il primo riarrangiato come fosse un vecchio blues per piano e voce, ma non hanno lo spessore per entrare nelle cover migliori di Joe.
 

Bellissima è invece la sua personale rilettura di Watching The River Flow incisa in Luxury You Can Afford del 1978, molto vicina all’arrangiamento di Dylan, e notevole è l’apporto di Leon Russel al piano, rientrato nell’enturage di Cocker dopo un assenza di qualche anno. Su un bootleg del 1981 c’è una versione di questa canzone con Santana alla chitarra, è decisamente superiore a quella del disco quanto a musica, ma la voce affronta in quel periodo uno dei tempi peggiori, droghe e alcool l’hanno resa troppo ruvida e sempre meno affascinante.
Nel 1982, Joe pesca ancora una volta dai brani di Bob e ancora una volta dal periodo 1975-1976, questa volta è il momento di Seven Days, bella versione ma quella originale di Bob Dylan è inarrivabile, forse solo quelle del Neverending del 1996 possono reggere il confronto. L’ultima rilettura dilaniana della sua discografia è Dignity, outtake di Oh Mercy, presente su Organic del 1996, il tutto è davvero sorprendente anche come arrangiamento, Joe ha recuperato la voce di un tempo e la band gira bene, peccato che il pezzo duri 3 minuti e mezzo, e la metà delle strofe siano state tagliate… Un delitto vero e proprio.
(Salvatore Eagle)


 

Leon Russel

Leon Russell (americano dell'Oklahoma, esperto session-man) muove i suoi primi passi negli anni '50, suonando con Ronnie Hawkins e Jerry Lee Lewis.
 

Agli inizi dei '60 lavora con lo storico produttore Phil Spector ed Herb Alpert.

Dopo un'importante esperienza come arrangiatore nello show business californiano, realizza uno dei sogni della sua vita: avere uno studio di registrazione tutto suo. Viene inaugurato da Joe Cocker, che incide una canzone di Russell ("Delta Lady")

I due artisti si ritroveranno insieme nei Mad Dogs & Englishman. Del tour di quella straordinaria band ci restano due testimonianze: un album e un film.

Negli anni '70 è tra i protagonisti del Concert For Bangla Desh (organizzato dal Beatle George Harrison), e prende parte ad alcuni lavori di Eric Clapton, Rolling Stones e Dave Mason (ex-chitarrista dei Traffic).
 


La musica si nutre del rapporto che si instaura tra coloro che la suonano e coloro che la ascoltano: ascoltare significa dare alla musica il tempo perché questa entri dentro di te e vada solleticare e stimolare le parti del corpo che più desidera. La musica è qualcosa di vivo, che “dal vivo” appunto, nel momento stesso in cui è suonata, raggiunge la sua massima espressione ed è consegnata ai posteri tramite la memoria. Un concerto è, a tutti gli effetti, come una rappresentazione teatrale: un evento unico che si esalta di questa sua caratteristica qualificante. Il tour che Joe Cocker ed i suoi “Mad Dogs” intrapresero nel marzo del 1970 è - di fatto - uno di quegli eventi irripetibili che la storia della musica rock ci ha regalato. Il doppio live che fu pubblicato insieme alla film documentario dette immortalità a quel miracolo; le quattro facciate del vinile riuscivano a restituire non solo la bellezza delle esecuzioni di ‘She Came In Through The Backroom Window’, ‘Feelin’ Alright’, ‘The Letter’ e ‘Let’s Get Stoned’, ma anche lo spirito che aleggiava sul palco e nelle sale che ospitavano la band. C’è la leggerezza, l’irriverenza, la malinconia, il gusto per l’intrattenimento, c’è - in tre parole - il rock’n’roll. Questa deluxe edition non è solo per fanatici collezionisti; è un investimento che tutti coloro che amano la musica devono fare perché non è una sterile riproduzione di qualcosa che già c’era alla quale è stato aggiunto un paio di brani inediti (su tutti la versione di ‘Something’ e ‘Further Down The Road’ con Don Preston alla voce), ma perché è il miglior modo per spiegare che cosa voglia dire stare sul palco, suonare insieme, avvertire l’unicità dell’evento e riuscire a vivere quest’ultimo appieno trasmettendo le stesse emozioni al pubblico. Questa nuova versione a differenza della precedente, riporta la sequenza dei brani a quella effettiva della scaletta che la band proponeva dal vivo: ‘She Came In through The Bathroom Window’ è la seconda canzone subito dopo ‘Honky Tonk Women’, e questo perché Cocker sa di aver ben altre cartucce nella sua pistola. L’inedita ‘The Weight’ dal repertorio The Band raccoglie i consensi del pubblico e ‘Feeling Alright’ di Dave Mason ha la sua versione definitiva. Leon Russell, il direttore della band ed autore degli arrangiamenti, canta tre degli inediti: la bluesy ‘Hummingbird’, la scanzonata ‘Dixie Lullaby’ e ‘The Ballad Of Mad Dogs & Englishmen’. Quest’ultima è una versione in studio con tanto di arrangiamento che molto rimanda a Phil Spector cantata con la caratteristica voce sgraziata e sorniona del pianista. Il finale del concerto è affidato alla lunga ‘Old Time Blues Medley’ (‘I’ll Drown In My Own Tears’/’When Something Is Wrong With My Baby’/’I’ve Been Loving You Too Long’) seguita da ‘With A Little Help From My Friends’ non presente nell’edizione originale. In coda vengono poi inserite le single version di ‘The Letter’ e ‘Space Captain’ oltre alla già citata ‘The Ballad Of…’ ed ad una velleitaria ‘Studio Jams’ nella quale si accenna ‘Under My Thumb’ di rollingstoniana memoria. Adesso non vi resta che mettere il primo CD nel lettore, sedervi, chiudere gli occhi e lasciare che la musica faccia il suo dovere.
(Jacopo Meille)
 


La migliore stagione dell’arrangiatore/produttore/compositore Leon Russell fu proprio quella che lo vide brillare di luce propria nella carovana di Mad Dogs & Englishmen, prima, e in quella del concerto per il Bangla Desh, poco dopo. Proprio allora, in un turbinio di creatività e follia, talento e sconsideratezza, Leon, sulle scene già da almeno un decennio, fermò su nastro le sue migliori canzoni. “Song for you”, “Hummingbird”, “Delta Lady” ma anche la straordinaria “Roll away the stone” e “Dixie Lullabye” trovano posto in un solo album, “Leon Russell”, del giugno 1970, la cui lista di musicisti ed ospiti è infinita e rappresenta il meglio della élite rock dei primi settanta.

Saltando da una session all’altra, da “Asylum Choir” realizzato con Marc Benno nel 1969 a “Leon Russell & the Shelter people” e poi avanti fino “Carney” del 1972, un disco con almeno altre due immortali canzoni scritte da Leon, “Tightrope” e “This masquerade”, portata al successo crossover qualche stagione dopo da George Benson, fino al triplo dal vivo, un disco impossibile da concepire oggi, tra il 1969 e il 1973 Leon Russell fermò il suo posto nell’olimpo del rock.
Con i tempi in costante evoluzione, il pubblico europeo perse presto le tracce di questo gran musicista; Leon si lasciò alle spalle la follia losangelina- non più la stessa delle sesion di “m.tambourine man” dey Byrds a cui partecipò né quella di “A taste of honey” Herb Alpert & the Tijuana Brass, che arrangiò- e optò per la sua terra natale, l’Oklahoma, svolgendo un bel servizio a J.J. Cale. Al suo matrimonio, con Mary Mc Creary ex corista di Sly & the family stone, suggellò l’esperienza personale con un bel disco, “make love to the music” (1977). Non pagò del suo talento e delle sue intuizioni- sempre un passo avanti-Russell guardò con sicurezza al mondo ben più proficuo, almeno da un certo momento in poi e soprattutto per un senior delle scene come lui, del country e registrò troppo presto, per i tempi che si evolvevano in altre direzioni, con Willie Nelson (1979), con i New Grass Revival (1981)e poi a Nashville–usando il suo nome di battesimo, Hank Wilson (1984)–compiendo una scelta di campo non dissimile da quella di uno dei suoi idoli, Ray Charles.
 


Per commentare le scelte di Leon Russell da un’ottica differente è comunque importante ricordare che mentre il pianista/chitarrista nato nel 1941 girava il mondo con la sua band, The Shelter people, una nuova generazione di artisti, manager e imprenditori della musica si faceva strada a Hollywood. Erano i vari David Geffen ed Elliott Roberts, gente di cui l’artista non voleva proprio sentir parlare.
Oggi Leon Russell è ancora in piena attività. Nel corso degli ultimi due anni ha realizzato 3 album, ha una band stabile al suo fianco ed è appena tornato dal Giappone. Nel mese d’ottobre si è esibito una decina di volte. Per quanti fossero interessati, il 30 dicembre l’artista si esibisce a Tampa e l’ultimo dell’anno a West Palm Beach, in Florida, l’ultimo dell’anno. Io, penso di andarci, rivedere Mad Dogs & Englishmen e riascoltare i suoi album mi ha fatto riflettere sulla monumentale statura di un talento la cui arte a noi nota è solo la punta di un iceberg.
(Ernesto de Pascale)
 


Tra i primi dischi da riscoprire o da scoprire, mi e’ venuto subito in mente “Mad Dogs and Englishmen” di Joe Cocker, registrato dal vivo a Fillmore East, New York City, il 27 e 28 Marzo del 1970, durante una lunga e massacrante tournee in cui Cocker - balzato alle cronache grazie alla performance di Woodstock - si spremette/venne spremuto come un limone …Ma l’aspro del limone che trasuda dai 19 pezzi che costituiscono quello che uscì come un album doppio, e’ di una potenza assoluta.Supportato da una band colossale - 11 musicisti e 10 cantanti tra cui Jim Keltner, Jim Gordon, Chris Stainton - e manufatto in maniera eccellente grazie agli arrangiamenti di Leon Russell, “Mad Dogs and Englishmen” trasforma tutto, dal rock al pop, dalle ballate al soul, in un grido “bluesy”. E’ il grido e’ quello di Joe, allora ventisettenne, al massimo della sua capacita’ ed espressivita’ vocale, “fatto e strafatto”, costantemente sull’orla del tracollo psicofisico. Ma se lo ascoltate non potrete non riconoscere che quel cantare e’ proprio una domanda di vita, una “darsi” completamente.

Cocker oggigiorno e’ un sopravvissuto (un tot di coloro che suonarono e cantarono con lui non ce l’hanno fatta), e probabilmente non si ricordera’ molto di quegli anni …ma chissa’ che effetto gli farà risentirsi. A me prende ancora allo stomaco…
(Riro Maniscalco)

 

I VIDEO DEL FILM

SPACE CAPTAIN   ( M. Moore )

WITH A LITTLE HELP FROM MY FRIEND   ( Lennon-McCartney )

DELTA LADY     ( Leon Russel )

CRY ME A RIVER   ( Arthur Hamilton )

DARLING BE HOME SOON   ( John Sebastian )

THE LETTER   ( Wayne Carson Thompson )

SHE CAME IN THROUGH THE BATHROOM WINDOW     ( Lennon.McCartney )