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FABRIZIO De ANDRE'

 
 

 

Fabrizio Cristiano De André (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999) è stato un cantautore e poeta italiano.

Nelle sue opere ha cantato prevalentemente storie di emarginati, ribelli, prostitute e persone spesso ai margini della società. I suoi testi sono considerati dei veri e propri componimenti poetici e, come tali, inseriti in molte antologie scolastiche di letteratura.

Nei suoi quarant'anni di attività musicale Faber, soprannome datogli dall'amico d'infanzia Paolo Villaggio, produsse quindici album; un numero relativamente modesto, probabilmente determinato dalla grande attenzione dell'autore alla qualità delle sue opere.
 


Biografia
« Se nelle regioni meridionali non ci fosse la criminalità organizzata, come mafia, 'ndrangheta e camorra, probabilmente la disoccupazione sarebbe molto più alta. »
Un'immagine giovanile di Fabrizio De André.Ecco l'ultima staffilata che, nell'agosto 1998, sollevò un'ondata di proteste e sdegno tra gli esponenti di quella classe politica e sociale che De André racchiudeva nel suo concetto di borghesia. Gli stessi che gridavano allo scandalo quando De André dedicava le sue strofe a prostitute, lestofanti e suicidi e che, alla sua morte, lo avrebbero osannato definendolo "Grande Poeta".
A Fabrizio De André vanno riconosciuti il coraggio e la coerenza d'aver scelto, nella società italiana del dopoguerra, di sottolineare i tratti nobili ed universali degli sconfitti, affrancandoli dal ghetto giansenista degli indesiderabili e mettendoli a confronto con i loro accusatori.
Il cammino di Fabrizio De André ebbe inizio sulla pavimentazione sconnessa ed umida del carruggio di Via del Campo, prolungamento della famosa Via Pré, strada proibita di giorno quanto frequentata la notte. È in quel ghetto di umanità platealmente respinta e segretamente bramata che avrebbero preso corpo le sue ispirazioni; di ghetto in ghetto, dalle prostitute alle minoranze etniche, passando per diseredati, disertori, bombaroli ed un'infinità d'altre figure. Nella sua antologia di vinti, dove l'essenza delle persone conta più delle azioni e del loro passato, De André raggiungerà alte vette di lirismo poetico .
 


L'infanzia e la giovinezza
« Mia madre mi disse non devi giocare con gli zingari nel bosco... »
(da "Sally" nell'album Rimini)

Fabrizio Cristiano De André nacque il 18 febbraio 1940 nel quartiere genovese di Pegli, in via De Nicolay 12 (ove è stata posta una piccola targa commemorativa) da una famiglia dell'alta borghesia industriale cittadina. Il padre Giuseppe fu vicesindaco di Genova, amministratore delegato dell'Eridania e promosse la costruzione della Fiera del Mare di Genova, nel quartiere della Foce.
Fabrizio crebbe inizialmente nella campagna astigiana, luogo dal quale la famiglia era originaria e dove si dovette trasferire a causa degli eventi bellici. Visse, poi, nella Genova del dopoguerra, scossa e partecipe della contrapposizione tra cattolici e comunisti, sovente rigidi e bigotti entrambi.
Il negozio di via del CampoDopo aver frequentato le scuole elementari in un istituto privato retto da suore, passò alla scuola statale, dove il suo comportamento "fuori dagli schemi" gli impedì una pacifica convivenza con le persone che vi trovò, in special modo con i professori. Per questo fu trasferito nella severa scuola dei Gesuiti dell'Arecco.
Presso i Gesuiti dell'Arecco, scuola media inferiore frequentata dai rampolli della "Genova-bene", Fabrizio fu vittima, nel corso del primo anno di frequenza, di un tentativo di molestia sessuale da parte di un gesuita dell'istituto; nonostante l'età, la reazione verso il "padre spirituale" fu pronta e, soprattutto, chiassosa, irriverente e prolungata, tanto da indurre la direzione ad espellere il giovane De André, nel tentativo di placare lo scandalo. L'improvvido espediente si rivelò vano poiché, a causa del provvedimento d'espulsione, dell'episodio venne a conoscenza il padre di Fabrizio, esponente della Resistenza e vicesindaco di Genova, che informò il Provveditore agli studi, pretendendo un'immediata inchiesta che terminò con l'allontanamento dall'istituto scolastico del gesuita.
In seguito il cantautore frequentò alcuni corsi di lettere e altri di medicina presso l'Università di Genova prima di scegliere la facoltà di Giurisprudenza, ispirato dal padre e dal fratello Mauro. A sei esami dalla laurea decise di intraprendere una strada diversa: la musica (suo fratello sarebbe divenuto uno dei suoi fan più fedeli e critici).
Successivamente ad un primo e problematico approccio, determinato dalla decisione dei genitori di avviarlo allo studio del violino, il folgorante incontro con la musica avvenne con l'ascolto di Brassens, del quale De André tradurrà alcune canzoni, inserendole nei primi album. La passione, poi, aveva preso corpo anche grazie all'assidua frequentazione degli amici Tenco, Bindi, Paoli ed altri, con cui iniziò a suonare e cantare nel locale "La borsa di Arlecchino".
De André, in questi anni, ebbe una vita sregolata ed in contrasto con le consuetudini della sua famiglia, frequentando amici di tutte le estrazioni culturali e sociali. Sovente, con l'amico d'infanzia Paolo Villaggio, cercava di sbarcare il lunario con lavori saltuari, anche imbarcandosi, d'estate, sulle navi da crociera come musicista per le feste di bordo.

La prima moglie di De André fu una ragazza di famiglia borghese, Enrica Rignon detta "Puny", con cui concepì il figlio Cristiano e dalla quale si separò a metà degli anni '70.
In seguito al matrimonio e alla nascita del figlio, Fabrizio fu pressato dalla necessità di provvedere al mantenimento della famiglia e, visti gli scarsi introiti dalla sua attività musicale, meditò di abbandonarla per terminare gli studi e trovare un serio impiego. Fortunatamente, giunse inaspettato il successo de "La canzone di Marinella", interpretata da Mina, i cui proventi migliorarono notevolmente la situazione economica familiare.
 


La ragione divina di De André
« E non Dio ma qualcuno che per noi lo ha inventato ci costringe a sognare in un giardino incantato. »
(da "Un blasfemo", nell'album Non al denaro, non all'amore né al cielo)

I testi del cantautore, che toccano spesso argomenti religiosi, sono improntati ad una personale e disincantata visione della vicenda cristiana e, a tratti, da una intuibile spiritualità, tuttavia non riconducibili ad una definibile professione di fede.
Nei brani come "Spiritual", "Si chiamava Gesù", "Preghiera in gennaio" e nel concept album "La buona novella", la figura di Cristo viene spogliata dell'essenza divina per assumere, quasi in una dimensione crociana, tutta la sua forza rivoluzionaria in favore degli ultimi.
L'atteggiamento tenuto da Faber nei confronti dell'uso politico della religione e delle gerarchie ecclesiastiche è spesso sarcastico e fortemente critico nel contestarne i comportamenti contraddittori, come, ad esempio, nelle canzoni "Un blasfemo", "Il testamento di Tito", "La ballata del Miche' ".

L'esordio nel 1961 e il periodo Karim
« Benedetto Croce diceva che fino a vent'anni tutti scrivono poesie e che, da quest'età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d'arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l'esuberanza creativa. »
(F. De André)
Il giovane De André nel 1960 . Ad ottobre del 1961la Karim pubblica il suo primo 45 giri, con copertina standard forata (la ristampa del 1971 della Roman Record avrà invece una copertina curata dalla pittrice genovese Loris Ferrari, amica di Fabrizio). Il disco contiene due brani, "Nuvole barocche" ed "E fu la notte".
Nel 1962 il cantautore sostenne l'esame di ammissione come compositore alla SIAE di Roma per poter depositare a proprio nome le canzoni; nel 1997, durante la consegna del Premio Lunezia, confessò di aver utilizzato una buona parte della poesia Le foglie morte di Jacques Prévert nel testo dell'esame.
Negli anni successivi De André andò affermandosi sempre più come personaggio riservato e musicista colto, abile nel condensare nelle proprie opere varie tendenze ed ispirazioni: le atmosfere degli storici cantautori francesi, tematiche sociali trattate sia con crudezza sia con metafore poetiche, tradizioni musicali di alcune regioni italiane, sonorità di ampio respiro internazionale e l'utilizzo di un linguaggio inconfondibile e, al tempo stesso, semplice per essere alla portata di tutti.
In questo periodo uscirono i suoi primi 33 giri. La sua discografia non è numerosissima come, del resto, inesistenti fino al 1975 erano i suoi concerti. L'album del debutto è Tutto Fabrizio De André (1966, ristampato due anni dopo con il titolo di La canzone di Marinella sotto un'altra etichetta e riportando una diversa copertina), una raccolta di alcune delle canzoni che sino ad allora erano state edite solo in 45 giri, seguita da Volume I (1967), Tutti morimmo a stento (1968), Volume III (1968), Nuvole barocche (1969); quest'ultimo è la raccolta dei 45 giri del periodo Karim esclusi da Tutto Fabrizio De André.
 


Fra esistenzialismo e contestazione: dal 1968 al 1973
Per approfondire, vedi la voce Poetica di Fabrizio De André.
« Andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori,
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori?
O resterai più semplicemente dove un attimo vale un altro,
senza chiederti come mai . Continuerai a farti scegliere, o finalmente sceglierai? »
(da "Verranno a chiederti del nostro amore", Storia di un impiegato, 1973)
Gli anni fra il 1968 ed il 1973 furono fra i più proficui per l'autore, che iniziò la serie dei concept con Tutti morimmo a stento, a cui segue La buona novella; un album importante, che riporta il pensiero cristiano nei primitivi confini di un'umana dimensione della fratellanza, in forte contrapposizione con la dottrina di sacralità e verità assoluta, che il cantautore sostiene essere inventata dalla Chiesa al solo scopo di esercizio del potere.
Un crescendo creativo che, nel 1971 culminò in Non al denaro, non all'amore né al cielo, libero adattamento (eseguito insieme a Giuseppe Bentivoglio) di alcune poesie della Antologia di Spoon River, opera poetica di Edgar Lee Masters; le musiche sono composte insieme a Nicola Piovani.
Nel 1972 la Produttori Associati, senza consultare l'artista, lo iscrive al Festivalbar con il brano Un chimico (pubblicato su 45 giri): De Andrè apprende la notizia dai giornali e convoca una conferenza stampa in cui dichiara che «La casa discografica mi ha trattato come un ortaggio».
Dopo l'intervento del patron della manifestazione, Vittorio Salvetti, si raggiunge un compromesso: la canzone viene inserita nei juke-box, come vuole il regolamento, ma il cantautore non si esibirà durante la finale di Verona nemmeno in caso di vittoria (l'edizione vede vincitrice Mia Martini con Piccolo uomo).
Nell'autunno dello stesso anno pubblicò un singolo con due canzoni di Leonard Cohen Suzanne/Giovanna d'Arco (brani che verranno poi inseriti con un arrangiamento diverso nell'album Canzoni del 1974).
L'album successivo fu, nel 1973, Storia di un impiegato, disincantata e sofferta trasposizione italiana del Maggio francese e dei conflitti che lo avevano determinato.
Sono anche gli anni in cui De André fa le sue prime esperienze negli spettacoli dal vivo. Lavoratore instancabile e al limite del perfezionismo in studio, Fabrizio non riesce invece ad esibirsi in pubblico. Il suo timore innanzitutto è dovuto al suo problema all'occhio sinistro, leggermente più chiuso del destro, ma anche dalla precedente brutta esperienza televisiva in cui si era dimenticato le parole di una sua canzone e aveva dovuto cantarla in playback. Nel 2006 Francesco Guccini, ospite all'Università di Lettere a Genova, ha ricordato di quando si incontrarono, per via di amici comuni, sulle colline bolognesi e del fatto che Fabrizio, alla richiesta di suonare una sua canzone, avesse preteso di poter cantare con le luci spente. È un atteggiamento questo che ricorda le prime esperienze di Leonard Cohen che incise il suo primo album musicale in uno studio a luci spente e con uno specchio davanti per ricreare l'ambiente della sua camera da letto. La sua casa di produzione discografica comincia a fare delle grosse pressioni perché Fabrizio inizi un tour di concerti per l'Italia e il cantautore - come in seguito ha raccontato all'amico Cesare Romana - si presenta davanti al suo discografico e spara una richiesta di compenso esagerata, al fine di ottenere un netto rifiuto. Ma il produttore accetta senza battere ciglio. In questo modo Fabrizio è costretto ad affrontare le sue paure da palcoscenico, paure che supererà solo con gli anni, suonando e cantando sempre nella penombra e con molto whisky in corpo.
 


De André ha spesso usato sonorità di strumenti mediterranei e medievaliTutti morimmo a stento (1968), con temi dark, suicidi, pervertiti, drogati, pedòfili, bambini pazzi, re tristi. Per la prima volta si fa accompagnare da un'orchestra sinfonica, la Philarmonia di Roma, sotto la guida del maestro Gian Piero Reverberi.
Il testo del primo brano, "Cantico dei drogati" è tratto da una poesia di Riccardo Mannerini. Quest'album è il primo concept album ad essere pubblicato in Italia[10]; riceve anche il premio della critica italiana. Il padre, parlando del disco fresco di stampa, afferma: «Ieri guardavano lui e dicevano - è il figlio di De André. Oggi guardano me e dicono - è il padre di De André»
La buona novella (1970), con i testi tratti da alcuni vangeli apocrifi e nel quale suonava il gruppo I Quelli, poi ribattezzato PFM. Il disco è arrangiato dallo stesso Reverberi.
Non al denaro, non all'amore né al cielo (1971), ispirato dalla Antologia di Spoon River, capolavoro di Edgar Lee Masters pubblicato nell'aprile del 1915 e tradotto in Italia da Fernanda Pivano nel 1943. De André in questo disco si avvale della collaborazione di Giuseppe Bentivoglio per i testi e di Nicola Piovani per le musiche. Questo album è stato reinterpretato nel 2005 dal cantante Morgan, rinnovandone in parte l'arrangiamento.
Storia di un impiegato (1973), un altro concept album ispirato agli avvenimenti del Maggio francese ed alla contestazione giovanile del Sessantotto. È uno degli album più intensi e discussi del cantautore . Anche qui risulta la collaborazione con Giuseppe Bentivoglio e con il compositore Nicola Piovani, che figura come coautore delle musiche e degli arrangiamenti.
E' in questo periodo (per circa 10 anni, dal 1969 al 1979) che De Andrè viene sottoposto a controlli da parte delle forze di polizia e dei servizi segreti italiani. In base a quanto ricostruito quando questa informazione è stata resa nota negli anni '90, inizialmente i controlli sarebbero stati effettuati dopo che un suo conoscente, simpatizzante del marxismo-leninismo, era stato indagato durante le prime inchieste sulla strage di piazza Fontana (allora ritenuta dagli inquirenti di matrice rossa). Negli anni sucessivi, pur non individuando prove di una sua partecipazione attiva a gruppi politici, extraparlamentari o meno, De Andrè viene ritenuto dal SISDE un "simpatizzante delle BR" , mentre l'acquisto, insieme alla moglie Dori Ghezzi, di un terreno a Tempio Pausania, viene considerato un tentativo di creare un rifugio per appartenenti ai movimenti extraparlamentari di sinistra. A rafforzare queste ipotesi, dal punto di vista degli investigatori, il fatto che a Genova De Andrè avesse contatti con persone appartenti ai gruppi anarchici e filo-cinesi.

 

Importanti collaborazioni negli anni Settanta
Articoli dell'epoca : fonte:riccardomannerini.it . In carriera, De André collaborò anche con Alessandro Gennari alla scrittura del libro Un destino ridicolo - pubblicato nel 1996 e dal quale dodici anni dopo Daniele Costantini ha tratto il film Amore che vieni, amore che vai - ed ebbe modo di lavorare - nella sua attività compositiva - con Riccardo Mannerini, poeta genovese con il quale musicò Eroina (1968) poi diventato Il cantico dei drogati.

A partire dal 1974, De André iniziò nuove collaborazioni con altri musicisti e cantautori: a ciò affiancò anche l'attività concertistica, mai affrontata sino ad allora. Negli anni Settanta De André tradusse canzoni di Bob Dylan (Romance in Durango e Desolation Row), Leonard Cohen ("It seems so long ago, Nancy", "Jeanne D'Arc", "Famous Blue Raincoat" per la Vanoni e "Suzanne") e Georges Brassens (lavoro che porterà all'uscita dell'album Canzoni del 1974) e collaborò con altri artisti (su tutti Francesco De Gregori, che lavorò con lui alla scrittura di molti brani dell'album Volume VIII del 1975, album non privo di sperimentazione in cui sono affrontate tematiche esistenziali quali il disagio verso il mondo borghese e la difficoltà di comunicazione); nonostante il suo carattere schivo e poco incline alle apparizioni in pubblico, accettò di esibirsi dal vivo, prima ancora del concerto alla Bussola di Viareggio, a Piazza Navona nel 1974, in occasione di una manifestazione del partito Radicale per il referendum sul divorzio, sconvolgendo migliaia di romani che avevano sognato quel momento per anni, e iniziando poi un tour con due componenti dei New Trolls, con i quali aveva già collaborato nel 1968 per i testi del loro disco Senza orario senza bandiera (Belleno e D'Adamo), e due dei Nuova Idea (Belloni e Usai).

Nel 1979 si esibì insieme alla Premiata Forneria Marconi, che affrontò con successo l'ardua sfida di riarrangiare alcuni dei brani più significativi del grande cantautore genovese, arrangiamenti che Fabrizio utilizzerà fino alla fine della sua carriera. L'operazione si rivelò estremamente positiva, tanto che il tour originò due album interamente live, tra il 1979 ed il 1980, che conobbero uno straordinario successo di vendite.
 

Rimini (1978), segna l'inizio della collaborazione, che proseguirà proficuamente nel tempo, con il cantautore veronese Massimo Bubola. Quest'album fa intravedere un De André esploratore di una musicalità più distesa, spesso di ispirazione americana, di cui Bubola è portatore. I brani trattano l'attualità (il naufragio di una nave a Genova) così come tematiche sociali (l'aborto e l'omosessualità).
 

Fabrizio De André (1981) è un album senza titolo, noto come L'indiano per il suo disegno in copertina, con Bubola ancora una volta coautore di De André. Il filo che lega i vari brani è il parallelismo tra il popolo dei Pellerossa e quello Sardo, entrambi oppressi dai loro colonizzatori. Il sequestro del cantautore è rievocato nel brano Hotel Supramonte.

Il sequestro
Nella seconda metà degli anni '70, in previsione della nascita della figlia Luisa Vittoria, De André si stabilisce nella tenuta sarda dell'Agnata, a due passi da Tempio Pausania, insieme a Dori Ghezzi, sua compagna dal 1974, poi sposata nel 1989. La sera del 27 agosto 1979, la coppia fu rapita dall'anonima sequestri sarda e tenuta prigioniera nelle montagne di Pattada, per essere liberata dopo quattro mesi (Dori fu liberata il 21 dicembre, Fabrizio il 22), dietro il versamento del riscatto, di circa 550 milioni di lire, in buona parte pagato dal padre Giuseppe.
 

Intervistato all'indomani della liberazione (il 23 dicembre in casa del fratello Mauro) da uno stuolo di giornalisti, Faber tracciò un racconto pacato dell'esperienza («...ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo slegati e senza bende») ed ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri («Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai»). Questa posizione inconsueta, nel quadro di un invito di De André a ragionare seriamente sulla realtà sociale sarda, attirò critiche feroci di certa stampa che tese a colpevolizzare in modo retorico e sensazionalistico i sequestrati.
L'esperienza del sequestro si aggiunse al già consolidato contatto con la realtà e con la vita della gente sarda, e gli avrebbe ispirato diverse canzoni, scritte ancora con Bubola e raccolte in un album senza titolo, pubblicato nel 1981, comunemente conosciuto come "L'indiano" dall'immagine di copertina che raffigura un nativo americano. Trasparente la similitudine fra il popolo indiano e quello sardo, entrambi, pare sostenere il cantante, rinchiusi in riserve se non altro culturali, entrambi vittime di dominazioni sociali.
Sottili, ma non velate, furono le allusioni all'esperienza del sequestro: dalla stessa ripresa della locuzione "Hotel Supramonte" (con cui da sempre i sardi chiamavano l'industria dei sequestri) alla descrizione degli improvvisati banditi cui, comunque, non intese negare note di un certo romanticismo ed una connotazione di proletariato periferico che per questo meritava, coerentemente con le sue tematiche privilegiate, una forte attenzione. Al processo, De André confermò il perdono per i suoi carcerieri, ma non per i mandanti perché persone economicamente agiate.

 


Da Crêuza de mä ad Anime salve: anni Ottanta-Novanta
Nel 1980 incide il singolo Una storia sbagliata, i cui brani sono editi per la prima volta in CD solo nel 2005. Il disco reca inciso Una storia sbagliata sul lato A e Titti sul lato B, entrambe scritte con Bubola. Fabrizio ricorderà in un'intervista a proposito di questa canzone:
« Nel testo di Una storia sbagliata rievoco la tragica vicenda di Pier Paolo Pasolini. È un canzone su commissione, forse l'unica che mi è stata commissionata. Mi fu chiesta come sigla per due documentari-inchiesta sulle morti di Pasolini e Wilma Montesi. »
Altre importanti collaborazioni lo videro impegnato negli anni seguenti con Mauro Pagani - per la realizzazione dell'album Crêuza de mä (1984), un progetto di Pagani che De André arricchisce con i suoi testi e che all'inizio parve un fiasco ma fu in seguito premiato dalla critica come "Album del decennio".
Crêuza de mä segna uno spartiacque nella carriera del cantautore genovese: dopo questo album, Fabrizio esprime la volontà di non cantare più in italiano ma di concentrarsi esclusivamente sul genovese (che per lui non era un dialetto ma una vera e propria lingua). Ma Crêuza de mä è anche l'album che libera De André dalle impostazioni vocali ereditate dalla tradizione degli chansonniers francesi, che gli garantisce la libertà di espressione tonale al di fuori di quei dettami stilistici che aveva assorbito da Brassens e da Brel.
In seguito, inizia un periodo di crisi artistica che lo porta a formulare ipotesi di collaborazioni che poi non verranno mai realizzate, come la possibilità di un album sulle musiche dell'Europa orientale con Ivano Fossati e Vasco Rossi (il quale, secondo Fabrizio, aveva un lato rock che a lui mancava).
Da questa crisi riemergerà soltanto nel 1990 incidendo, ancora con Mauro Pagani e con la collaborazione di Ivano Fossati, Le nuvole (1990) titolo che (come in Aristofane) allude ai potenti che oscurano il sole[2]. Con questo album De André torna in parte al suo stile musicale più tipico, affiancandolo alle canzoni in dialetto e all'ispirazione etnica. Torna anche la critica graffiante all'attualità, in particolare ne La Domenica delle Salme e in Don Raffaè.
Fossati sarà presente, inoltre, nella realizzazione del concept album di De André, Anime salve, pubblicato nel (1996). Incentrato sul tema della solitudine, è l'ultimo album in studio del cantautore.
Sant'Ilario (alture di Nervi): una crêuza de mäCrêuza de mä (1984) fu da parte di Pagani un importante lavoro di ricerca, con il quale si rievocò, e per sonorità e per testi, un modus musicale del Mediterraneo genovese, ovvero di quella parte tradizionale, e per questo "sociale", della cultura della sua città natale. La lingua utilizzata è il genovese, la musica rievoca tradizioni turche, greche e berbere.
Le nuvole (1990) è la summa delle varie collaborazioni di questo periodo (da Mauro Pagani, coautore di tutti i brani, a Ivano Fossati e Massimo Bubola). La struttura de "Le Nuvole" è divisa in due parti: la prima, quella dedicata al potere, è in italiano; la seconda incarna la voce del popolo ed è perciò cantata in dialetto.
Anime Salve (1996), è l'ultimo concept album di De André e, a differenza dei due precedenti, è in gran parte in italiano. La musica è scritta in gran parte da Ivano Fossati, con influenze ritmiche sudamericane, ma eseguite con sonorità della stessa matrice etnica nata con Crêuza de mä.
Fra il 1990 ed il 1996 collabora con vari autori, sia come autore che come cointerprete, nei rispettivi album: tra essi ricordiamo Francesco Baccini, i Tazenda, Mauro Pagani, ancora Massimo Bubola, Max Manfredi, Teresa De Sio, Ricky Gianco, i New Trolls e il figlio Cristiano De André. Da segnalare la collaborazione con "Li Troubaires de Coumboscuro" nell'album A toun souléi, dove De André partecipa all'incisione del brano in provenzale antico Mis amour, insieme a Dori Ghezzi e Franco Mussida.

 

 

L'addio fra la sua gente
Nell'estate 1998, durante la tournée del suo ultimo album Anime Salve, gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni, che lo portò a interrompere i concerti.
La notte dell'11 gennaio 1999, alle ore 02:30, Fabrizio De André morì all'Istituto dei tumori di Milano, dove era stato ricoverato con l'aggravarsi della malattia.
I suoi funerali si svolsero nella Basilica di Carignano a Genova il 13 gennaio: al dolore della famiglia partecipò una folla di oltre diecimila persone, in cui trovarono posto estimatori, amici ed esponenti dello spettacolo, della politica e della cultura.
Dopo la cremazione, avvenuta il giorno seguente alla cerimonia funebre, venne sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Staglieno accanto al fratello Mauro, al padre Giuseppe e alla madre Luisa Amerio.
« Io ho avuto per la prima volta il sospetto che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto: «Guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale». »
(Paolo Villaggio - La Storia siamo noi - 4 gennaio 2007 )

 

 

visto da Cesare G. Romana

Via del Campo è una straducola stretta e tortuosa nel cuore di Genova vecchia. Appartiene a quella rete di vicoli che, collocata a ridosso dell'angiporto, fa storcere il naso ai Catoni della società bene, ma piace ai poeti. Piace, dunque, a Fabrizio, che già in un'altra occasione ne ha cantato "l'aria spessa, carica di sale e gonfia di odori" che si spoa al tanfo della spazzatura accumulata lungo i marciapiedi, all'odor di vino e di fumo ( poco distante, all'imbocco della via, l'ombra austera di una chiesa e la sede della "Protezione della giovane" sembrano messe lì a bella posta da un folletto in vena di sfottò). Qui viene spesso Fabrizio che è - a suo modo - un poeta e come tale ama scoprire il fondo delle cose, il colore autentico della realtà umana che è fatta anche di miseria, di tristezza, di inutili attese e di disattese promesse.
E' sempre stato un tema caro a Fabrizio, quello dell' uomo scrutato - e amato - nei capitoli più amari, nei risvolti fallimentari della sua storia. Che è essenzialmente, per lui, storia di agognati ma tanto spesso irraggiunti traguardi, di fronte alla evidenza diventa inutile la speranza illusoria e la ribellione pigmeiforme di chi vorrebbe opporre la propria fragile volontà alla violenza gigantesca del destino. Sempre pronto, quest'ultimo, a dissolvere con un colpo di spugna i poveri fantasmi che colorano i sogni dell'uomo con le luci di un impossibile paradiso.
Ecco perchè non mi ha affatto stupito - alla luce di quanto avevo intuito dalla affettuosa consuetudine con lui uomo e con lui artista - che Fabrizio abbia composto, giunto a un certo stadio della sua parabola creativa, Via del Campo. Che non è soltanto una pagina di amarissima poesia, ma, soprattutto, il ritratto emblematico di una condizione umana, la dimostrazione di quanto possa essere disagevole - oltre che improduttivo - il mestiere di vivere.
In questa cornice vivono i personaggi di Fabrizio e si consuma la loro attesa, che ha già in sè i germi del proprio nulla. Così la "graziosa" di Via del Campo, la bambina ai cui piedi nascono i fiori, ma che "vende a tutti la stessa rosa"; la puttana che non potrà mai offrire altro che un paradiso provvisorio e, tutto sommato, inutile l'incantesimo di un quarto d'ora. Così il povero "illuso" che viene a cercare fra il letame, i fiori di un impossibile, assurdo amore. Così, in fondo, tutti noi. E allora ?
Si vorrebbe credere, si vorrebbe sperare. Ma in che cosa, e in chi ? Può accadere che nasca nel buio del cuore la tentazione di una preghiera. Ma Dio dov'è ?
"Dio del cielo, se mi vorrai amare / scendi dalle stelle e vienimi a cercare...". Noi non sappiamo individuare il confine che separa il sorriso dal pianto, indicacelo Tu : "le chiavi del cielo non ti voglio rubare / ma un attimo di gioia me lo puoi regalare..."1. Ecco allora, finalmente, profilarsi l'ombra di una speranza.
Fiducia, se non altro, in una giustizia finale che arriverà ad invertire le posizioni, castigando chi troppo ha goduto ("chi bene condusse sua vita / male sopporterà sua morte"), affrancando chi troppo ha sofferto : "partirvene non fu fatica / perchè la morte vi fu amica"2.
E' l'epilogo che il suicida di Preghiera in gennaio sceglie come unica alternativa all' "odio e all'ignoranza" che avvelenano la terra : "Lascia che sia fiorito / Signore il suo sentiero..." . Non c'è altra certezza, non c'è altro rimedio è lecito supporre al nostro male di vivere : "Dio di misericordia / il tuo bel paradiso / l'hai fatto soprattutto / per chi non ha sorriso, / per quelli che han vissuto / con la coscienza pura : / l'inferno esiste solo / per chi ne ha paura".
E prima ? Diceva Ungaretti "La morte si sconta vivendo". Nessuno si salva da questa legge, neppure coloro che Fabrizio chiama semidei, i fortunati. Come quel Carlo Martello il cui rango regale non vieta ad una qualsiasi sgualdrinella di sottoporlo ad una atroce turlupinatura ; neppure coloro che, avendo raggiunto alle spalle degli altri una aleatoria felicità, troveranno il loro castigo quando la Morte "estrema nemica"2 verrà a rammentare loro l'infinita vanità del tutto.
Lungo queste costnti la meditazione di Fabrizio nasce e procede con i frutti di una concretezza tanto più tangibile tanto più diretto - e sofferto - è il suo approccio con la realtà. E se a taluni troppo ampio potrà sembrare lo spazio che Fabrizio concede ad un pessimismo apparentemente distruttivo, non va dimenticato come esso trovi le proprie radici in un atto d'amore per l'UOMO, di ansia per la sua salvezza.
(fonte: geocities.com)

 



NUVOLE : RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO

a cura di Alberto Mingardi

Di tutti gli album di Fabrizio DeAndre', LE NUVOLE (1990-il cui titolo è ovviamente preso a prestito da Aristofane) è sicuramente il più deluso, certo DeAndre' non è mai stato fra gli "entusiasti" della società moderna occidentale o no, l'anarchia (libertaria o socialista che sia) è un sogno, un'ideale per cui si paga un caro prezzo.
Tuttavia, su tutti in questo album si avverte, quasi palpabile, la delusione del cantautore, ironico e sarcastico nel dissacrare i valori della società capitalistica-occidentale, amaro ma pungente nel constatare il fallimento dello Stato, amareggiato nel vedere passare "il cadavere di Utopia"1.
Significativa su tutto è la citazione che apre la parte "scritta" dell'album, ovvero i testi delle canzoni, ma ne parleremo in seguito in quanto non è un inizio, ma un ideale termine del viaggio che DeAndre' incomincia in questo album, che è forse lo stesso viaggio di sempre, ma rivissuto con occhi diversi.
Il primo brano, non è musica, non è canzone, è semplice poesia letta e recitata con lieve sottofondo musicale. Si tratta di "Nuvole", che da il titolo all'album, in cui due donne dialogano sulla natura delle nuvole, appunto. E' una poesia molto particolare, giocata interamente o quasi sul dualismo : a parlare sono una donna giovane e una vecchia, le nuvole stesse "vanno / vengono", "bianche / nere", "una / mille", "sole / stelle"...
Splendida poesia, "le Nuvole", ma non c'e' ancora delusione, quella delusione che è evidentissima, forte, sentita in "Ottocento", canzone provocatoria e sarcastica utile anche per spiegare il titolo "comico" tratto da Aristofane.
Il tono è canzonatorio, infatti, la musica allegra, il punto di vista quello (irriso) di un borghese del Nord Italia che decanta le meraviglie che si è procurato proprio grazie alla società capitalista. Punta di vista, però, quello di De Andre', "sottovento", che egli si ritaglia con una invocazione pseudo omerica ("Cantami di questo tempo / l'astio e il malcontento / di chi è sottovento"), con l'esplicita ammissione di "sputare nel piatto in cui mangia" (continua infatti : "e non vuol sentir l'odore / di questo motore / che ci manda avanti / quasi tutti quanti / maschi femmine e cantanti").
Per il resto, "Ottocento" è e resta una canzone gradevole all'ascolto ma tutto fuorchè memorabile nel panorama di DeAndre' : lunga esternazione dei difetti della società capitalistica, del mercato, incessante rimarcare sull'esistenza di rapporti sociali solo in funzione dare-avere ("che ti trattavo come un figlio") e del movimento frenetico della nostra società ("und Alka Seltzer fur dimenticar").
"Don Raffae'" (scritto con Bubola, oltre al solito Pagani) parte da subito in un'ottica diversa : il punto di vista non è quello di un ricco, bensi' quello di un povero del Sud Italia, uno dei tanti sconfitti della storia tanto cari al cantautore genovese quanto ben caratterizzati da lui fin dalla giovenù : ecco allora questo brigadiere del Carcere di Poggio Reale, Pasquale Cafiero, all'incontro con un boss della malavita, nella carcere stessa, e il bisogno da parte di Cafiero di quest'uomo, Don Raffae', appunto, non solo per la consolazione momentanea di una conversazione, ma proprio per i vantaggi che puo' averne, da questa conversazione, certo maggiori di quelli che gli può offrire lo Stato. Stato che : "prima pagina venti notizie / ventun ingiustizie e lo Stato che fa? / si costerna, s'indigna, s'impegna / poi getta la spugna con gran dignità". Eccola qui la grande delusione, la mafia è soltanto un esempio, la grande delusione è la totale incapacità dello Stato di far fronte a un problema reale ed esistente, passando dalle (abbondantissime) parole ai fatti.
La "Domenica delle Salme" conclude degnamente il primo lato dell'album, e ne è senz'altro la canzone più significativa : qui DeAndre' condensa mirabilmente critica anti-capitalista e critica anti-statale, fin dal titolo è chiaro il riferimento a una "Domenica delle Palme", presumibilmente il '68, la contestazione, che come nella storia del Cristo è il momento, effimero, del trionfo, che però prelude alla disgrazia, la crocefissione. DeAndre' ragiona qui infatti, a anni '80 ormai conclusi, su quanto questi anni hanno comportato : la perdita appunto dei valori della contestazione nella trasformazione dei contestatari appunto da sessantottini a yuppies, e il conseguente passaggio dalle barricate alle scrivanie.
A fuggire infatti, dalla "bottiglia d'orzata / in cui galleggia Milano" è appunto il "poeta della Baggina", qui intesa nel senso di poeta di cose ormai vecchie, ideali passati, identificato nella canzone con Renato Curcio (poeta e "carbonaro", rivoluzionario) ma identificabile con lo stesso Rimbaud (il taglio della gamba di Curcio, appunto). Paradossalmente, la lettura potrebbe essere diversissima se soltanto "Le Nuvole" fosse uscito due anni dopo, quando sarebbe spontaneo (e senza conoscere la data di uscita del disco, lo è) identificare questo "poeta" con Mario Chiesa e gli affari del Pio Albergo Trivulzio connessi con lo scoppio di Tangentopoli.
I richiami al sessantotto sono molteplici : la strada di Trento, per esempio, dove partì la contestazione di Capanna, e dove il "poeta" tenta disperatamente di ritornare, ma non ci riesce, lo fermano, è identificabilissimo : la sua anima "accesa / mandava luce di lampadina". La seconda strofa passa a una critica diversa, estensibile ed estesa all'intero mondo occidentale, ma soprattutto alla Germania. Si parla infatti dello sfruttamento dei paesi dell'Est, a più riprese ("i polacchi non morirono subito / e inginocchiati agli ultimi semafori" ; "i trafficanti di saponette / mettevano pancia verso Est") con chiaro riferimento alla Germania appena riunificatasi ma ancora divisa ("la scimmia del Quarto Reich / ballava la polka").
Ma la "Domenico delle Salme" non è violenta, semmai ridicola, sono le risate a cancellare il passato, anche quello recente, con il contraltare di un governo ("il ministro dei temporali / in un tripudio di tromboni") che auspica democrazia in chiaro politichese volendo in realtà soltanto nuovi privilegi. Qui la lettura è duplice : da un lato, critica feroce al sistema statale in sè e per sè, dall'altro la critica di chi riutilizza ideali del passato come manifesto di temporale volendo solo "una città / dove all'ora dell'aperitvo / non ci siano spargimenti di sangue / o di detersivo").
E allora la libertà dove sta ? Sta nel "cannone nel cortile" che possono vantare solo De Andre' ed il "cugino" De Andrade ( vedi "Serafino Ponte Grande" di Oswald DeAndrade), l'unico modo di essere cittadini liberi è quello di rifiutare dunque anche la legge (spagliata) imposta dal potere costituito, con una nuova essenza di individui, quasi isole auto-isolatesi dal resto della civiltà, se di civiltà si può parlare.
Di nuovo nel ritornello, si ribadisci il concetto : "la domenica delle salme / nessuno si fece male", la contro-riforma è pacifica, ma questa pace (dirà poi) è "terrificante", senza ideali, ideale di cui invece si segue tutti il feretro. "Quanta è bella giovinezza / non vogliamo più invecchiare" ricorda il fascismo ma soprattutto con coraggio denuncia il vero lato negativo del fascismo, ignorato a pie' pari da tanta gente di sinistra : la volontà popolare che lo sorreggeva.
L'ultimo rimpianto, prima delle strofe finali, l'ultima delusione è per la canzone d'autore, che dovrebbe avere la forza della denuncia ("avevate voci potenti / adatte per il vaffanculo"), ma non ce l'ha, si asserve al padrone di turno, canta per questo e quello, così come in Ottocento era mandata avanti dallo stesso motore criticato.
La canzone si chiude con un richiamo agli "addetti alla nostalgia", che accompagnano il cadavere di Utopia, funerale prologo della pace terrificante, cui l'Italia risponde solo con una vibrante protesta che è poi il canto delle cicale.
Dunque, un DeAndre' caustico, arrabbiato, anarchico e individualista, degno e logico "padre" del DeAndre' che verrà con "Anime Salve", un DeAndre' che a ideale motto del suo "Le Nuvole" sceglie e pone questa citazione, che riportiamo per intero in ragione della sua bellezza, valore, attualità :
"...io sono un principe libero
e ho altrettanta autorità di fare guerra
al mondo intero quanto colui
che ha cento navi in mari"
SAMUEL BELLAMY
[pirata alle Antille del XVIII secolo]
Il lato "B" dell'album è simile ma diverso, simile nella critica al mondo moderno e nella satira assieme, qui espresse nel filone della canzone dialettale che contraddistingue la coppia DeAndre'-Pagani fin da "Crueza de Ma", concept-album dei primi anni '80.
"Mégu Megùn" è infatti la storia del via-vai di un paziente, via-vai frenetico, assatanato, alla ricerca di una salute che finisce col diventare malattia: "E mi e mi e mi / anà anà / e a l'ala sciurtì [e uscire all'aria] / e suà suà", fino al rifiuto di ciò che avviene nella (bellissima) strofa finale "nu anà nu anà / sta chi sta chi sta chi / asùname [sognare]".
L'album prosegue con "La Nova Gelosia" (qui nel senso di serramento della finestra) canzone napoltana che "ho acoltato per la prima volta due anni or sono. Era cantat da Roberto Murolo e ne sono rimasto affascinato", citando lo stesso DeAndre'.
"'A Cimma" è una canzone delicata e sofferta, godibilissima soprattutto per chi della Liguria conosce almeno di vista l'ambiente e l'immancabile "Cima", piatto tipico, la cui preparazione è qui quasi illustrata. La canzone è, come "Mégu Megùn" e come sarà "'A Cumba" in "Anime Salve", frutto di una collaborazione con Ivano Fossati che si avverte nella leggerezza delle note e del tono, quasi onirico, sognante, ligure. L'emozione dell'indizio della canzone ("Ti t'adesciae 'nsece l'endegu du matin" [ti sveglierai sull'indaco del mattino]) è proprio simile a quella di un'alba sul Mare. Canzone dunque fortemente poetica e caratterizzata, ma anche qui critica nei confronti della nostra società, ivi rappresentata dalla metafora dei camerieri ("Poi vegnàan a pigìatela i camè / te lascian tùttu, ou fùmmu d'ou toeù mesté / tucca a ou fantin a prima coutelà / mangè mangè nu séi chi ve mangià" [Poi vengono a prendertela i camerieri / ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere / tocca allo scapolo la prima coltellata / mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà]). Come a dire la crudeltà di un sistema che costringe alla catena di montaggio, ignari di quello che accadrà al prodotto confezionato, di cui ci rimane la sola fatica e i soli scarti.
"Monti di Mola" sta al lato B come "Ottocento" stava al lato A : una canzone satirica, qui in sardo, ove l'uomo di accoppia con un'asina sotto gli occhi maliziosi e invidiodi si una vecchia megera guardona, ma in cui "ma a cuiuassi no riscisini / l'aina e l'omu / chè da li documenti escisini / fratili in primi", ovvero in cui l'asina e l'uomo non possono sposarsi in quanto cugini primi. (I Monti di Mola, nota bene, sono l'antico nome della Costa Smeralda)

(fonte: geocities.com)

 

 

De André nella memoria collettiva
« De André non è stato mai di moda. E infatti la moda, effimera per definizione, passa. Le canzoni di Fabrizio restano »
(Nicola Piovani)
La discografia di De André è ampia, ma non vasta come quella di altri autori del suo tempo; pur tuttavia risulta memorabile per varietà ed intensità. [16] Viene ora riassunta in postume ricostruzioni filologiche, curate dalla moglie e da esperti tecnici del suono che si sono riproposti l'obiettivo di mantenere, nei nuovi supporti, le sonorità dei vecchi LP in vinile. Sino ad ora sono state realizzate due raccolte, entrambe in triplo CD, titolate In direzione ostinata e contraria e In direzione ostinata e contraria 2.
Alcuni fra i maggiori cantanti e cantautori italiani, nel marzo del 2000, hanno ricordato Fabrizio De André con un concerto celebrativo, al teatro Carlo Felice di Genova, interpretando i suoi maggiori successi. Di quel concerto è stato realizzato un doppio cd, dal titolo Faber, pubblicato nel 2003, i cui proventi sono stati devoluti in beneficenza.
La Premiata Forneria Marconi ha eseguito, e tutt'ora esegue concerti nei quali reinterpreta le canzoni di De André, in cui si ricorda la proficua collaborazione tra il gruppo e il cantautore.
A Genova, in Via del Campo, dove l'intrico di viuzze si fa congestionato come in una Qasba mediorientale, nel negozio di dischi di Gianni Tassio, ora acquisito dal comune di Genova[17], è esposta la chitarra con la quale, probabilmente, De André ha studiato i testi delle canzoni di "Crêuza de mä". Lo strumento, la "Francisco Esteve" n. 097, venne messo all'asta in favore di Emergency dalla famiglia, poco tempo dopo la sua morte, ed acquistato dai negozianti del capoluogo ligure, dopo una serrata lotta al rialzo con alcuni facoltosi collezionisti. Nonostante la loro proverbiale "tirchieria", i commercianti Genovesi arrivarono a sborsare 168.500.000 lire, per aggiudicarsi la chitarra di Faber.
Ora il negozio di via del Campo, nei luoghi dove il cantautore avrebbe voluto trascorrere i suoi ultimi anni, si è trasformato in una sorta di museo, e chi vi passa davanti può ascoltare sommessamente le note delle sue canzoni; inoltre, vi si trovano esposte in vetrina le copertine originali di tutti i suoi dischi.
Su iniziativa della moglie Dori Ghezzi e di Fernanda Pivano è nata la Fondazione Fabrizio De Andrè Onlus che si occupa di mantenere viva la memoria del cantautore. Molte sono le iniziative promosse, moltissimi i gesti di stima e di amore che tutta Italia porge ogni anno alla memoria di Fabrizio.


Tribute band
Oltre agli artisti celebri, anche una lunga serie di cantanti meno conosciuti e, soprattutto, di gruppi giovanili, hanno registrato album composti principalmente o esclusivamente da canzoni di Faber, spesso con risultati apprezzabili. Nelle piazze e nei teatri di città e di provincia sono centinaia le rappresentazioni che, ogni anno, vengono dedicate a De André. Tra i più importanti interpreti e tribute band, ricordiamo:
Accordi in Settima, Affa Affa, Alberto Cantone, Amedeo Giuliani & Band, Anime Salve, Antonello Persico e gli ARBOR, Apocrifi, Artenovecento, Beans Bacon & Gravy, Born to Drink, Carlo Ghirardato, Cantando De André, Caro De André, Coro Aurora, Corrente di Ali, D.O.C. Sound, Disamistade, Endegu, FAB-Ensemble, Faber Band, FaberNoster, FDA Cover B, Four Steps Choir, Fuori dal coro, Giorgio Cordini, Gente d'altri paraggi, Giuseppe Cirigliano, Golesecche, Gruppo di Continuità, Gruppo musicale, Disamistade, L'amore che strappa i capelli, La Cattiva Strada band, Luciano Monceri, Kampina, Khorakhanè, Khorakhanè 2, Kinnara, Madamadorè, Malecorde, Malindamai, Mercanti di Liquore, Mercantinfiera, Mille Papaveri, Nottefonda, Omaggio a FDA, Orchestrina del Suonatore Jones, Ostinati e Contrari, Ottocento, Passaggi, PCE Eianda, Piccola Bottega Baltazar, Piccola Orchestra Apocrifa, Quartetto Khorakhanè, Quattrochitarre, Sand Creek Band, Servidisobbedienti, SHILOQ, SloTrio, Spoon River, Trailalo, Trioprincesa, Volta la carta.

 

 

Premio
In suo ricordo è stato istituito un apposito premio - il Premio Fabrizio De André - che nel 2007 è stato assegnato ai fratelli Gian Piero e Gianfranco Reverberi.[18]

Discografia
1966 - Tutto Fabrizio De André
1967 - Volume I (Fabrizio De André)
1968 - Tutti morimmo a stento
1968 - Volume III
1969 - Nuvole barocche
1970 - La buona novella
1971 - Non al denaro, non all'amore né al cielo
1973 - Storia di un impiegato
1974 - Canzoni
1975 - Volume VIII
1978 - Rimini
1981 - Fabrizio De André
1984 - Crêuza de mä
1990 - Le nuvole
1996 - Anime salve

I tour
I tour di Fabrizio De André, compiuti nel periodo compreso dal 1975 al 1998, sono in tutto 12, dei quali solamente uno europeo. Nei primi due è stato accompagnato dalle importanti formazioni dei New Trolls e della Premiata Forneria Marconi.


Riconoscimenti
« [...] Mi pare che sempre di più sarebbe necessario che invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano. »
(Fernanda Pivano, consegnando il Premio Lunezia 1997 a Smisurata preghiera)

Premio Tenco
1975 - Premio Tenco a De André, premiato insieme ad altri cinque cantautori (tra i quali Francesco Guccini).
1984 - Targa Tenco per l'album Crêuza de mä e all'omonima canzone premio per la miglior canzone in dialetto.
1991 - Targa Tenco per il brano La domenica delle salme e per l'album Le nuvole
Altri premi
1997 - Premio Lunezia per il brano Smisurata preghiera dall'album Anime salve

 



“Mi comperai la vita con i canti e i sorrisi”

Fabrizio Cristiano De André nasce a Genova, nel quartiere di Pegli, in via De Nicolay 12, da una famiglia dell’alta borghesia locale: il padre, Giuseppe, fu infatti vicesindaco della città, amministratore delegato della Eridania e tra i promotori della costituzione della Fiera del Mare. Durante la Seconda guerra mondiale, quando Fabrizio è ancora bambino, la famiglia è costretta a rifugiarsi nella campagna astigiana, di cui è originaria, per fare ritorno a Genova soltanto nel dopoguerra. Dal carattere deciso e intemperante sin da piccolo, Fabrizio viene trasferito dalla scuola pubblica in un istituto privato di Gesuiti durante le scuole medie, ma verrà espulso in seguito a un fatto che lo vede oggetto di molestie da parte di un insegnante. Lo scandalo arriverà alle orecchie del padre, che riuscirà a far aprire un’inchiesta ottenendo l’allontanamento del gesuita dalla scuola.
Dopo gli studi liceali a Genova, De André frequenta sporadicamente alcuni corsi universitari prima di iscriversi, seguendo l’esempio paterno e del fratello maggiore, Mauro, alla facoltà di Giurisprudenza. Prima di conseguire la laurea, ad ogni modo, abbandonerà gli studi. “Sarei stato un pessimo avvocato”, commenterà in futuro. Inizia così una delle più grandi avventure musicali della storia italiana: quando De André decide che la sua strada è scrivere e cantare canzoni. Inizia così a lasciarsi contaminare da autori internazionali come Georges Brassens e Jaques Brel, dai quali trarrà spunti importanti per i suoi brani, e dalla frequentazione con musicisti come Luigi Tenco e Gino Paoli , con i quali inizia ad esibirsi in pubblico nel locale “La borsa di Arlecchino” di Genova. È il 1961 quando la casa discografica “Karim” pubblica il suo primo 45 giri, registrato nel ’58, che contiene due brani: “Nuvole barocche” e “E fu la notte”. L’anno seguente De André sostiene l’esame di ammissione come compositore alla Siae di Roma, per poter depositare i testi delle proprie canzoni a suo nome: escono i primi 33 giri, ma né la produzione di album né i concerti sono ricorrenti, in questa fase. Ancora nel 1962 sposa Enrica Rignon (detta Puny) dalla quale nascerà lo stesso anno il primogenito, Cristiano: De André ha appena 23 anni.
Per mantenere la famiglia alterna in questa fase la passione musicale a lavori saltuari nelle scuole private per geometri e ragionieri gestite dal padre. Il primo grande successo per Fabrizio arriva nel 1965, quando Mina interpreta un suo brano portandolo all’attenzione di tutto il paese: è la famosissima “La canzone di Marinella”. L’album d’esordio arriva l’anno seguente, nel ’66, quando esce “Tutto De André”, cui faranno seguito “Volume I” (1967), “Tutti morimmo a stento” e “Volume III” (1968), oltre che da “Nuvole barocche” (1969). Intanto, nel 1967, incontra la cantante Dori Ghezzi, che diventerà la compagna di tutta la vita: si separa dalla prima moglie e dalla nuova unione sentimentale nasce la figlia, Luisa Vittoria (chiamata Luvi). Insieme alla famiglia decide di acquistare un’azienda agricola in Sardegna, dove si trasferiscono a vivere, nella zona di Tempio Pausania.
Sono questi gli anni più produttivi dal punto di vista creativo per De André, che culmineranno con la composizione dell’album tra i più amati, “La buona novella”, nel 1970, disco fondamentale che affronta il tema del pensiero cristiano ai suoi albori, e che contiene alcune tra le più note canzoni dell’autore genovese, come “Il testamento di Tito”. Un crescendo creativo questo che lo conduce, l’anno seguente, a pubblicare “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, libero adattamento di alcune poesie tratte da “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, realizzato insieme a Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani. Il 1972 lo vede invece realizzare un singolo con 2 brani composti insieme a Leonard Cohen (“Suzanne” e “Giovanna d’Arco”), successivamente inseriti con un nuovo arrangiamento nell’album “Canzoni” del 1974. Il 1973 è la volta di “Storia di un impiegato”, disincantata, malinconica e struggente analisi del Maggio francese e della rivolta giovanile dell’epoca, trasportata nei termini e nella percezione della società italiana.
 

 

Sono questi gli anni in cui De André, insicuro e timido per natura, affronta le prime esperienze di concerti dal vivo. Instancabile e perfezionista in studio, infatti, incontra grandissime difficoltà nell’esibizione scenica, nonostante le forti pressioni che arrivano dalla sua casa discografica. Sarà una tra le cause che lo porteranno all’abuso di alcool: De André si presenterà più volte ubriaco sul palco, per tentare di arginare le proprie paure. Il suo primo concerto ufficiale si tiene il 18 marzo del 1975 alla “Bussola” di Focette, in cui si esibisce affiancato dai New Trolls. Le sue esibizioni, comunque, saranno assai sporadiche per tutta la durata della sua carriera. Il 27 agosto del 1979 si apre una pagina cupa nella vita di De André: viene sequestrato infatti, insieme a Dori Ghezzi, dall’Anonima Sequestri sarda. Saranno tenuti prigionieri per 4 mesi sulle montagne di Pattada, in Sardegna, e liberati tra il 21 e il 22 dicembre del ’79 in seguito al pagamento di un riscatto da 550 milioni di lire, pagato per la gran parte dal padre Giuseppe. L’esperienza del sequestro, comunque, sarà per De André fonte d’ispirazione per numerose canzoni, raccolte in seguito in un album senza titolo – ma conosciuto come “L’Indiano” per via della foto di copertina - pubblicato nel 1981.
Tre anni dopo uscirà uno dei dischi più amati di Fabrizio: “Creuza de ma”, del 1984, progetto che costruisce con la collaborazione di Mauro Pagani: inizialmente incompreso e privo di successo, sarà in seguito premiato dalla critica come “Album del decennio”. Un lavoro, questo, che segna nella vita artistica di De André un importante spartiacque: dopo infatti esprimerà la volontà di non cantare più in italiano, ma di volersi concentrare esclusivamente sul dialetto genovese, capace di garantirgli totale libertà di espressione anche tonale, uscendo dai dettami stilistici che avevano caratterizzato la sua musica, tanto influenzata dalla tradizione de cantori francesi. Nel 1989 sposa Dori Ghezzi, e nel 1990 incide, ancora con Pagani e con la collaborazione di Ivano Fossati, il disco “Nuvole”, titolo che lo riporta a tematiche più tipiche della sua composizione, influenzate comunque da ispirazioni etniche e originali. Contenuti nel disco alcuni tre i brani più amati dal pubblico, come “Don Raffaé” e “La domenica delle Salme”. Fossati tornerà a collaborare con De André sei anni più tardi, quando esce “Anime Salve” (1996), di cui compone gran parte delle musiche. Sarà, purtroppo, anche l’ultima produzione artistica di Fabrizio De André. Nel 1998 gli viene infatti diagnosticato un grave tumore ai polmoni, che l’anno seguente si aggrava ulteriormente: muore nella notte dell’11 gennaio 1999, nell’ospedale milanese in cui era stato ricoverato.
Al suo funerale, nella Basilica di Carignano a Genova, partecipano il 13 gennaio oltre 10mila persone. Nel marzo del 2000 i maggiori esponenti della canzone italiana lo hanno ricordato con un grande concerto celebrativo al teatro Carlo Felice di Genova, interpretandone i maggiori successi. E nel 2007, in sua memoria, è stato istituito il premio canoro che porta il suo nome.
 

 


Hanno detto di lui:
“De André non è stato mai di moda. E infatti la moda, effimera per definizione, passa. Le canzoni di Fabrizio restano”. (Nicola Piovani)

“Mi pare che sempre di più sarebbe necessario che invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano”. (Fernanda Pivano).

“Fabrizio è tra i grandi poeti del rock. Anzi, per me è un santo” (Wim Wenders)

“Giornate intere di bonaccia, calma quasi piatta, e poi improvvise scosse elettriche con rincorse verso l’alto o verso il basso. In alto lo spirito filosofico e in basso il fondo dei garbugli umani. Secondo l’umore, secondo la giornata. Troppo terribilmente intelligente per definirlo un buono. Ma quest'ultimo era il Fabrizio che preferivo. La memoria di Fabrizio ha diritto oggi a qualcosa di diverso, ne sono più che convinto. Merita più delle agiografie, delle biografie, delle scontate raccolte di canzoni rimasterizzate e reimpacchettate. Merita soprattutto di sfuggire all’aneddotica prêt à porter cui vengono fatalmente adattate le figure dei grandi artisti quando non sono più in grado di confutare o di precisare. Quando gli amici, i compagni di strada, quelli che sanno, che hanno visto, quelli che c’erano, si moltiplicano a dismisura”.(Ivano Fossati)

“Fabrizio De André è uno chansonnier, e lo è nel senso più vero: il senso in cui la poesia, il testo letterario e la musica convivono necessariamente”. (Mario Luzi).
(fonte: fondazioneitaliani.it)

 

 

" L'indiano" - Recensione di Maurizio Bianchimano

Nel 1981 esce questo long playing che viene denominato "L'indiano" per via della copertina, continua la collaborazione in fase di scrittura con Massimo Bubola. Gli argomenti trattati in questa opera sono principalmente due la natura e l'uomo, raccontati tramite due popoli gli indiani e i sardi. Si parte con il blues di 'Quello che non ho', caratterizzata da chitarra elettrica e armonica che profumano di America il brano. La seconda traccia 'Canto del servo pastore' è una ballata che vede il mondo sotto gli occhi di uno degli ultimi nella scala sociale ed è ricca di simbolismi e immagini bucoliche. 'Fiume Sand Creek' è un brano ritmato dedicato all'uccisione da parte dell'esercito di un'intera tribù, ma fatto vigliaccamente (quando gli uomini erano fuori per la caccia al bisonte), l'evento viene visto tramite gli occhi di un bambino. 'Ave Maria' è un canto sardo riadattato e alla voce troviamo Mark Harris. La seguente 'Hotel Supramonte' è ispirata all'esperienza del sequestro subita da Faber assieme alla moglie Dori Ghezzi, è un brano senza rancori di sorta e risulta il più intimista tra quelli presenti in questo lp.
'Franziska' è uno stupendo mid tempo dalle influenze messicane che narra dell'amore tra una ragazza e un bandito. La settima traccia 'Se ti tagliassero a pezzetti' è una splendida ballata, che attraverso le metafore e le immagini riesce a sembrare sia una canzone d'amore e un inno alla libertà. Si chiude il tutto con l'agreste e bucolica 'Verdi pascoli'. Con questo lavoro Faber ci regala uno tra i suoi lavori più riusciti, dove un sottile filo conduttore lega ogni traccia alle altre . La collaborazione con Massimo Bubola risulta nuovamente proficua ed aggiunge elementi nuovi alla già stupenda musica del cantautore genovese, inserendo accenni alla musica americana tanto cara ala menestrello rock veronese.
Con questo disco del 1978 Faber inizia la collaborazione con l'allora giovane cantautore veneto Massimo Bubola, questa partnership sposta il suono tipico alla De Andrè verso sonorità più americaneggianti e comunque vicine al folkrock.Il disco si apre con l'amara "Rimini" che dà anche il titolo all'intera opera, la successiva "Volta la carta" è una canzone con radici popolari tipicamente italiane (è un canto veneto trasposto in poesia e musica dal lavoro di De Andrè assieme al veronese Bubola). La terza traccia "Coda di lupo" vira verso l'America sia come sonorità che come tematiche anche se sono sempre affiancate alla dicotomia tra pellerossa e tematiche di protesta nostrane.Con "Andrea" (il brano di maggior successo commerciale dell'album) si affronta la guerra e l'amore omosessuale in un brano dal ritmo acceso e dalla splendida melodia. "Avventura a Durango" è la traduzione di un famoso brano di Bob Dylan , la successiva "Sally" è un brano davvero notevole impreziosito da un testo quasi fiabesco ma che tratta tematiche davvero dure in una filastrocca dove la poesia non manca sicuramente. Con "Zirichitalggia" (lucertolaio) De Andrè ci regala un brano in 2/4 stupendo in lingua sarda anzi gallurese per l'esattezza, che narra la lite tra due fratelli per un'eredità. Chiudono il lavoro "Parlando del naufragio della London Valour" e "Folaghe".Rimini rappresenta una delle opere migliori del cantautore genovese e lo porta ad avere una varietà di tematiche musicali molto più a 360 gradi non mancando l'eccelsa meticolosità nel cesellare melodie perfette e testi di rara bellezza assieme alla penna di un giovanissimo Massimo Bubola, autore fino ad allora di un solo lp "Nastro Giallo" con cui Faber venne a conoscenza dell'arte del menestrello veneto.

 


FABRIZIO DE ANDRE' - Tutti Morimmo A Stento (Ricordi) 1968 - songwriter
di Claudio Fabretti
Fabrizio De André è uno dei massimi cantautori italiani di sempre, ma è soprattutto uno dei pochissimi a poter competere con i grandi numi del songwriting internazionale. Profondamente influenzato dalla scuola d'oltre Oceano di Bob Dylan e Leonard Cohen, ma ancor più da quella francese degli chansonnier (Georges Brassens su tutti), è stato tra i primi a infrangere i dogmi della "canzonetta" italiana, con le sue ballate cupe, affollate di anime perse, emarginati e derelitti d'ogni angolo della Terra. Le sue storie, pur ispirate spesso a fatti di cronaca, si tingono sempre dei colori della fiaba, perdendo ogni connotazione temporale; e i suoi personaggi sembrano quasi schizzare fuori dai versi, con la loro dirompente carica di umanità, inquietudine, disperazione. Alla passione per la letteratura francese - Proust, Baudelaire, Maupassant, Villon, Flaubert, Balzac – si deve probabilmente quel tocco di lirismo in più, ma il canzoniere di De André ha attinto via via alle sorgenti più disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'"Antologia di Spoon River" ai canti dei pastori sardi, dai Vangeli apocrifi al Federico Fellini dei "Vitelloni".
Alla fine del decennio Sessanta, in preda a un cupo pessimismo, il cantautore genovese compone il sontuoso concept-album "Tutti Morimmo A Stento" (1968). Il senso del tragico che aveva sempre ispirato le sue opere raggiunge in queste undici tracce la sua apoteosi. Edito con il sottotitolo di "Cantata in si minore per solo, coro e orchestra", "Tutti Morimmo A Stento" è un viaggio in un girone dantesco della desolazione umana, tra drogati, condannati a morte, fanciulle traviate, orchi e bambini sconvolti. Un viaggio ossessionato e ossessionante, accompagnato dalle note di un'orchestra sinfonica diretta da Giampiero Reverberi.
Disco a volte fin troppo barocco, influenzato dai primi vagiti del progressive italiano, "Tutti Morimmo A Stento" riesce tuttavia a condensare tanta "ridondanza" in soli 33 minuti e 51 secondi, come si usava fare quando esisteva ancora il rispetto per l'ascoltatore e nessuno si azzardava a intasare i dischi di quei riempitivi che oggi fanno tanto "concept". La formula scelta, come spiegò lo stesso De André, è quella classica della cantata "in cui tutti i brani sono uniti tra loro da intermezzi sinfonici e hanno come minimo comune denominatore quello di essere nella stessa tonalità, e di trattare lo stesso argomento". Argomento rappresentato dall'emarginazione e dalla morte "psicologica, morale, mentale".
L'atmosfera dominante è tetra, funerea, densa di presagi di morte. I brani si susseguono senza pause, scanditi dagli "Intermezzi", in un crescendo che culmina nel "Recitativo" e si scioglie nel coro finale. L'ouverture è subito un pugno nello stomaco, con il "Cantico Dei Drogati", che già dal titolo - in stridente contrasto con il "Cantico delle Creature" di San Francesco - pare voler sottolineare la degenerazione del genere umano. Quando poi l'orchestra - la Philarmonia di Roma - lascia spazio alla voce baritonale di De André, l'intento diventa subito palese: "Ho licenziato Dio/ gettato via un amore". E un groppo d'angoscia già ti stringe la gola. "Come potrò dire a mia madre che ho paura?", geme il derelitto al colmo della disperazione. E di fronte, ormai, c'è solo la notte, la voragine, la fine di tutto. Ma c'è anche un anelito d'eternità nei drogati che "giocando a palla con il proprio cervello tentano di lanciarlo oltre il confine stabilito, ai bordi dell'infinito". E' un testo meraviglioso, composto da De André insieme al poeta anarchico Riccardo Mannerini, morto suicida a Genova nel 1980.
A spezzare per un attimo la tensione provvede il "Primo intermezzo", poi però l'avvolgente abbraccio del "Cantico" ripristina subito un clima di solennità, che si stempera lentamente nella fiaba noir della "Leggenda Di Natale", ispirata a "Le Père Noel Et La Petite Fille", brano di Georges Brassens datato 1958. La semplicità dei giri d'accordi e delle rime baciate contribuisce a creare un'atmosfera magica e rarefatta, degna della "Canzone di Marinella". Ma il tema è tutt'altro che rassicurante: la protagonista è una ragazzina ingannata da un Babbo Natale che parlava d'amore ma "i cui occhi erano freddi e non erano buoni". E così "adesso che gli altri ti chiamano dea/ l'incanto è svanito da ogni tua idea/ ma ancora alla luna vorresti narrare/ la storia di un fiore appassito a Natale". Un raggelante presagio di pedofilia.
Attraverso il "Secondo Intermezzo" si giunge al centro ideale dell'architettura del disco: la "Ballata Degli Impiccati", ispirata dalla "Ballade des Pendus" di François Villon, il primo "poeta maledetto". I versi di De André - sempre scarni, ruvidi, sarcastici - non cedono mai alla retorica del sentimentalismo ("Dai diamanti non nasce niente/ dal letame nascono i fiori" - "Via del campo", è sempre stato il suo credo). Così, anche i condannati a morte di Villon si trasfigurano in creature mitiche, animate da un disperato, smisurato rancore: "Chi derise la nostra sconfitta/ e l'estrema vergogna ed il modo/ soffocato da identica stretta/ impari a conoscere il nodo. Chi la terra ci sparse sull'ossa/ e riprese tranquillo il cammino/ giunga anch'egli stravolto alla fossa/ con la nebbia del primo mattino/ La donna che celò in un sorriso/ il disagio di darci memoria/ ritrovi ogni notte sul viso/ un insulto del tempo e una scoria". Una rabbia sanguinolenta e terrificante che non dà scampo: "Coltiviamo per tutti un rancore/ che ha l'odore del sangue rappreso".
A dare quasi una nota scenografica al disco è invece la soffice "Inverno", che rinnova la tradizione delle "poesie stagionali" in voga nell'Inghilterra del Settecento. L'inverno è l'immagine della natura che si annulla nel bianco della neve e della nebbia, e nel nero degli alberi scarni, segnando la fine ciclica di tutte le cose: "Ma tu che stai, perché rimani?/ Un altro inverno tornerà domani/ cadrà altra neve a consolare i campi/ cadrà altra neve sui camposanti". Non si può non scorgere in questi versi l'ennesima metafora deandreiana della crisi della coppia: l'alternanza degli amori avviene fatalmente, in modo naturale, proprio come il cambio delle stagioni (un argomento molto caro a De André fin dai tempi di "Amore Che Vieni, Amore Che Vai" e della "Canzone Dell'Amore Perduto").
Se "Inverno" fa sprofondare l'ascoltatore in una struggente malinconia, dopo il successivo "Girotondo" resterà posto solo per la disperazione e per l'orrore. "La terra è tutta nostra.../ ne faremo una gran giostra/ giocheremo a farla nostra/ marcondiro'ndero marcondiro'ndà": il coro dei bambini impazziti, ebbri di guerra e di morte, è una delle trovate insieme più eccessive e agghiaccianti della storia della canzone italiana. Il "Terzo Intermezzo" sfocia nello straziante "Recitativo" finale (condanna degli egoismi, del moralismo e dell'insensibilità umani), alternato al "Corale" - con il Coro dei cantori delle basiliche romane di Pietro Carapellucci, diretto da Reverberi, a fare da contrappunto all'invettiva recitata da De André - e della "Leggenda Del Re Infelice".
Se nella "Buona Novella" il tema era la debolezza degli uomini al cospetto di una divinità soverchiante, in "Tutti Morimmo A Stento" si cantano le miserie e gli orrori della Terra, dell'"umano e desolato gregge di chi morì con il nodo alla gola".
Seppur inevitabilmente datato, con i suoi arrangiamenti pomposi e le sue orchestrazioni barocche, "Tutti Morimmo A Stento" è anche una delle prove più limpide del talento di De André, non solo come autore, ma anche come musicista. E il suo strumento principe non può non essere ancora una volta la voce: un baritono profondo che - sul modello di Leonard Cohen - indulge sapientemente sulle tonalità più basse, accrescendo sempre pathos e drammaticità.
Demolendo a uno a uno tutti i cliché della canzone tradizionale italiana, il cantautore di Genova corona un'operazione paragonabile a quella compiuta da Bob Dylan negli Stati Uniti. Il suo linguaggio è quello di un poeta non allineato, che ricorre alla forza dissacrante dell'ironia e del sarcasmo per frantumare le convenzioni, per denunciare l'ipocrisia e la vigliaccheria di quella stessa borghesia di cui ha sempre fatto parte. Il suo, in definitiva, è un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere. Di lui, Mario Luzi, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ha detto: "De André è veramente lo chansonnier per eccellenza, un artista che si realizza proprio nell'intertestualità tra testo letterario e testo musicale. Ha una storia. E morde davvero".