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Domenica 2 Novembre 2008
SONO STATO UN
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Sabato 1 Novembre 2008
Set list: Lethbridge, Alberta
- ENMAX Centre - October30, 2008
1. Watching The River Flow (Bob on keyboard)
2. The Times They Are A-Changin' (Bob on keyboard and harp)
3. Lonesome Day Blues (Bob on keyboard)
4. Girl Of The North Country (Bob on keyboard and harp)
5. High Water (For Charley Patton) (Bob on keyboard)
6. Chimes Of Freedom (Bob on keyboard and harp)
7. Rollin' And Tumblin' (Bob on keyboard)
8. A Hard Rain's A-Gonna Fall (Bob on keyboard)
9. 'Til I Fell In Love With You (Bob on harp - center stage)
10. Beyond The Horizon (Bob on keyboard)
11. Summer Days (Bob on keyboard)
12. Love Sick (Bob on keyboar and harp)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)
(encore)
16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)
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Review: Edmonton, Alberta -
Rexall Place - October 29, 2008
Ecco le parole del giornalista Tom Murray :
I duri a morire lo amano – per loro ogni gesto è accolto con grande gioia
,dal camminare per prendere la chitarra ( principalmente sta dietro la
tastiera) per un breve momento durante High Water alla piccola danza durante
la versione promo da scolaretti di Just like a woman. La reverenza può a
volte raggiungere livelli estremi – quando ha estratto l’armonica per un
saltuario assolo , è stato come se le perle della saggezza fossero uscite
dalle sue labbra , tale è stato l’applauso.
Non è stato così per tutti naturalmente. Un buon numero di persone , mentre
stava uscendo , sembrava scontenta , infelice “E’ stato uno scherzo?”.
Le risposte dei lettori :
Steve Hall - Thu, Oct 30, 08 at 11:02 AM
Bob Dylan è incoerente , la sua borbottante prestazione al Rexall Place ha
obbligato tutto il pubblico a cercare di capire quale canzone stesse
borbottando. Forse il concerto dovrebbe essere registrato e usato nelle
scuole per spiegare ai bambini gli effetti dell’abuso di droghe.
Tim - Thu, Oct 30, 08 at 11:09 AM
Anni fa ero un fan di Dylan e seguivo tutti I suoi concerti. Invece ora
sono molto deluso e avrei voluto andarmene. Questo è stato il peggior
concerto al quale ho assistito. Ho fatto una faticaccia a riconoscere le
canzoni e quando la gente sorrideva quando lui si muoveva ho pensato “Allora
non è morto”. Un vero spreco di denaro.
Kim M. .Thu , Oct 30, 08 at 11:12 AM
Ero molto eccitato per questo show.Non mi aspettavo che ballasse in giro per
il palco o che cercasse di conquistare il pubblico con una allegra
beffa.....ma se stai suonando in una grande arena dovresti almeno
preoccuparti di essere sentito in tutta l’arena......noi eravamo nella
sezione 201 e la voce era distorta. E’ grandioso come suona le sue canzoni
ogni volta in modo diverso......solo non si capisce quali siano.......non
sappiamo dirlo...........siamo usciti prima della fine dello show....molto delusi.
Lillian - Thu, Oct 30, 08 at 11:14 AM
E’ stato uno spreco di soldi. Terribile , proprio terribile . Dylan sembrava
che non fosse lì. Non ha detto un ciao , bello essere qui o grazie d’essere
venuti. Inoltre la band ha seppellito la maggior parte delle parole. Non
avevo capito che la prima canzone fosse “Everyone must get stoned”. Penso
che bisognasse essere “stoned” per apprezzare questo concerto , inoltre un
sacco di Marjiuana è stata fumata là , si sentiva l’odore dappertutto.
Bob - Thu, Oct 30, 08 at 11:15 AM
Sono un Dylan-fan di lungo corso , ma ho abbandonato lo show prima della
fone , l’ho trovato molto deludente.
Vanessa - Oct 30, 08 at 11:41 AM
Bob Dylan è unico , non si può paragonare a nessun’altro. Questo è quello
che lo rende grande.
Ero nella 7 fila della platea ed ero in sintonia con una decina d’altre
persone . La band era forte e la voce grezza e reale , l’ho goduto
completamente.
Christopher Lever - Thu, Oct 30, 08 at 11:31 AM
Con mia moglie abbiamo deciso di fare una cenetta speciale in favore di Bob
Dylan l’altra sera al Rexall Place. Era il nostro 25° anniversario di
matrimonio e siamo venuti a vedere Dylan in concerto per la prima volta.
Quello che ci ha stupito era la presenza di gente dai 20 ai 60 anni.
Sembrava che sarebbe stata una grande serata. La prima canzone ci ha stupito
per la povertà del suono e per il borbottio di Dylan , una cosa da
rettificare subito.
Sembrava essere una delle sperimentazioni di Andy Kaufmanesk....dopo un’ora
abbbiamo abbandonato la sala e siamo uscito con disgusto.
Mr.Dylan ha perso due fans e molti dei giovani nella platea si stavano
chiedendo cosa fosse tutta quella confusione. Dubito che l’abbiano capita.
Mr.Dylan , indubbiamente , ha passato da molto i suoi tempi migliori .
Tornando al parcheggio Northlands molti di noi e tante altre persone la
pensavano così , così come lo dimostravano le molte sedie lasciate vuote
nell’arena. Per colmo dei colmi abbiamo pagato 12 dollari per il parcheggio
!!! Avremmo potuto ( e sarebbe stato meglio) andare soltanto a fare una
bella cena con una buona bottiglia di vino per quanto ci è costato il
concerto. Questo ci ha lasciato un sapore amaro in bocca.....
Ian - Thu, Oct 30, 08 at 11:34 AM
Avrei desiderato un posto migliore del Rexall per il concerto…..come
Winspear o qualcos’altro. C’erano persone con me alle quali le canzoni di
Bob non erano familiari....non avevano idea di cosa stesse cantando perchè
la voce era inudibile e rimbalzava in tutti gli angoli del Rexall. Quello
che si poteva sentire erano la batteria e le chitarre . Orribile qualità del
suono , ma non hanno fatto un sound-check ? Personalmente ho apprezzato il
fatto che una persona di 67 anni fosse venuta qui a suonare per due ore
filate . Nessun paragone con gli artisti odierni , al di là di tutto , una
grande performance , grazie Bob.
Rick B. - Thu, Oct 30, 08 at 11:59 AM
E’ stato grande vedere un’icona ma ho visto solo la sua schiena per il 99%
del tempo. Per quanto riguarda la performance , è stata terribile . Non ho
potuto capire una parola del suo cantato perchè la band lo seppelliva con il
suono. Comunque lui non è più in grado di cantare , ma la sua poetica è
sempre grande. Da dove ero io il grand finale ci ha liberato da un incubo.
Gene - Thu, Oct 30, 08 at 12:04 PM
Sono molto deluso , non da Dylan , ma dal suono disastroso ! Dylan è stato
grande. Probabilmente il soundman al mixer era sordo , o non aveva idea di
come si mixavano le cose , o forse tutte e due assieme. Il Rexall non è il
migliore dei luoghi per la qualità del suono , ma non bisognava renderlo
peggiore sovraccaricando i suoni oltre il possibile creando un sacco di
sconnesse vibrazioni.
Le chitarre e il basso erano un pastone indistinguibile , la tastiera di bob
non si è sentita per la maggior parte del concerto , e nemmeno la steel
guitar. Che disastro ! Non sò di chi era il tecnico del suono ( del Rexall o
di Dylan ) ma certo era da sparare, Me ne sono andato dopo un’ora e son
tornato a casa a sentire Bob in CD.
Young Music Fan - Thu, Oct 30, 08 at 12:06 PM
Sono un 25enne e , naturalmente , non conoscevo bene Dylan come la maggior
parte del pubblico.
Ho trovato lo show davvero interessante solo a momenti , anche con le
irriconoscibili versioni del vecchi classici. A volte lo show sembrava
arenarsi lentamente , specialmente nelle canzoni meno conosciute .
Musicalmente , Dylan non è stato esattamente perfetto , ma forse questo è il
suo charme. Oltre a tutto biglietti troppo costosi.
Mike - Thu, Oct 30, 08 at 12:11 PM
Siamo usciti prima , lo show sembrava uno scherzo , vogliamo indietro I
nostri soldi….haha. Abbiamo riso per tutto lo show chiedendoci se stesse
prendendoci in giro , tutto il pubblico era d'accordo. Non dovrebbe
succedere che tutto lo show sembrasse una sola lunga ed interminabile
canzone ! Grazie per aver appannato la tua immagine Bob , dovresti pensare
ad andare in pensione.
Lou - Thu, Oct 30, 08 at 12:52 PM
I primi 30 minuti di Dylan erano fuori da questo mondo così meraviglioso , la
musica era troppa alta e gracchiante e non ho potuto capire una parola o
distinguere che strumento musicale stesse suonando , era come se uno strormo
di bombardieri passasse sopra il Rexall. Alla fine sono riuscito a
raggiungere la platea e la cosa è migliorata un pochino. Per 130 dollari (
costo del biglietto !) mi aspettavo qualcosa di meglio , perlomeno dalla
sezione suond. Non è un difetto di Dylan , ma lui ha bisogno di una New
Oleans Jazz Band con anima dietro di lui , non una country band qualunque.
Blair Collins - Thu, Oct 30, 08 at 12:53 PM
In trent’anni di concerti qui a Edmonton , il concerto di Bob Dylan è stato
di gran lunga il peggiore che abbia mai visto. Il suond era fangoso e Dylan
ha passato la serata con le spalle al pubblico suonando la tastiera e
borbottando qualcosa in ogni canzone. Spero che i bis abbiano infiammato la
fine della serata per il pubblico , io non li ho sentiti , a quell’ora ero
già nella mia macchina sulla via del ritorno a casa.
Person - Thu, Oct 30, 08 at 01:20 PM
Penso che quelli che c’erano siano stati pazzi. Bob non ha saltato in giro
sul palco . Bob non ha dato una prestazione esaltante o da ricordare.
Volevate sentire le vecchie canzoni di 30 anni fa ? Ascoltate la radio. Il
Rexall va bene per l’hockey ma non per la musica . Bob avrebbe dovuto
suonare al Jube o al Winspear , ma i prezzi sarebbero stati due o tre volte
più alti. Il concerto era allineato con quello di Van Morrison lo scorso
anno , due disastri. Bob ormai va per i 68 anni , per forza di cose deve
cambiare gli arrangiamenti ed adattarli alle sue attuali possibilità vocali.
Il suo Grrrrr era grande. Se siete andati via prima , non avete capito .
Questa non era musica confezionata , era musica reale e loro sono stati
davvero blues l’altra sera , con un grand sound e una grande band, Questo
era Dylan.
Danielle - Thu, Oct 30, 08 at 01:39 PM
Penso che il concerto di Edmonton sia stato straordinario. Lunedi sera sono
stata al suo concerto a Calgary ed anche lì è stato brutale , era dentro
alla sua musica in Edmonton ma era troppo basso. Molta gente sà che Dylan
alterna prestazioni alte e basse , Edmonton è stata alta. Bob Dylan sta
cercando di reinventare se stesso , lui è il pota laureato del r&r , se la
gente si aspettava che fosse esattamente com’era negli anni 60 , allora sono
molto sorpresa che siano rimasti delusi . Personalmente penso che tutti i
nuovi riarrangiamenti siano geniali , sono così felice , sono stata in grado
di vederlo due volte , non lo scorderò mai. Dopotutto Dyla ha fatto ciò che
sa fare meglio e tutti quelli che erano là dovrebbero essere contenti di
essere stati in grado di assistere a una tale esperianza musicale.
A legend - Thu, Oct 30, 08 at 01:43 PM
Non ho avuto la possibilità di vedere Bob Dylan l’altra sera così non posso
commentare il concerto.
Ho letto la maggior parte delle recensioni che sono davvero terribili
riguardo questa Leggenda.
Mi fanno venire in mente , indietro al dicembre del 76 , quando abbiamo visto
Elvis Presley cantare in uno dei suoi ultimi concerti a Las Vegas. La
performance che Elvis aveva fatto allora è uguale a quella di Dylan
dell’altra sera , proprio difettosa , a volte sembrava che non ricordasse le
parole . Ma al giorno d’oggi , la possibilità di vedere questo grande
performer in persona , non me la perderei mai , davvero.
Karen Marlin - Thu, Oct 30, 08 at 01:45 PM
Bene , il concerto mi è PIACIUTO , mi ha riempito l’anno , che sensazioni
con questo vero blues...nite.....gala....altho...ero nella 6
fila...probabilmente non ma la sarei goduta così se fossi stata più
indietro.....perchè la dietro sembrava il frastuono di un jumbo-jet....ma
l’energia che arrivava dal palco era incredibile....davvero una volta nella
vita per me.....sono ispirata da questo...le mie aspettative sono state
completamente soddisfatte......
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SCRIVEVANO.......
BOB DYLAN IN OSPEDALE E I FAN INVADONO INTERNET
Repubblica — 29 maggio 1997 pagina 41 sezione: SPETTACOLI
E TV
ROMA - Bob Dylan sta male. Il cinquantaseienne cantautore americano è stato
ricoverato in ospedale d' urgenza, lunedì sera, a causa di forti dolori al
petto. I medici hanno diagnosticato un' istoplasmosi, 'una infezione
potenzialmente mortale che provoca un rigonfiamento della membrana che
circonda il cuore' . La notizia è stata data a Londra da un portavoce del
cantante, che ha annunciato la cancellazione del tour europeo che Dylan
avrebbe dovuto iniziare il prossimo primo giugno a Cork, in Irlanda, e che
avrebbe dovuto toccare l' Inghilterra e la Svizzera. Sulle sue condizioni i
responsabili della casa discografica mantengono il più stretto riserbo e non
sono stati resi noti nemmeno il nome dell' ospedale e la città in cui
cantante è stato ricoverato. Dylan dovrebbe restare sotto osservazione per
alcune settimane, ha dichiarato un portavoce del folksinger, 'sta ricevendo
le cure di cui ha bisogno e resterà ricoverato fin quando i medici lo
riterranno opportuno' . La notizia è stata rilanciata immediatamente dai
siti Internet nei quali si danno convegno i fan del cantante americano. Uno
in particolare, 'Expecting Rain' , che ha la sua sede in Norvegia, ha dato
la notizia prima di molte agenzie e delle televisioni ed è stato rapidamente
preso d' assalto dai fan preoccupati, che hanno iniziato a trasmettere
messaggi d' incoraggiamento e di preghiera. 'Non posso credere che sia
successo' , 'Dio ascolterà le nostre preghiere' , 'I nostri pensieri sono
con lui e la sua famiglia' , hanno scritto gli appassionati dall'
Inghilterra, dall' America, dalla Francia e dal Giappone. Bob Dylan, il cui
vero nome è Robert Zimmerman, ha compiuto 56 anni sabato scorso, più di
trenta dei quali passati sui palcoscenici di tutto il mondo. Il suo
'Neverending Tour' , il tour infinito, è diventato leggendario, proprio
perché l' attività concertistica del cantautore di Duluth sembra non
conoscere pause. Si calcola che negli ultimi cinque anni Dylan abbia tenuto
più di seicento concerti: una media di uno ogni tre giorni. Performance
sempre originalissime e curiose, nelle quali il cantautore ama stupire il
pubblico proponendo ogni sera canzoni diverse del suo straordinario e
ricchissimo repertorio, eseguite sempre in maniera nuova. Nessuno supponeva
che le sue condizioni di salute non fossero buone, e infatti anche negli
scorsi giorni il musicista ha continuato a suonare dal vivo: lo scorso 22
maggio Dylan è salito sul palco al Beverly Hills Hotel, a Los Angeles, per
una breve esibizione in occasione di una serata di beneficenza organizzata
dal Centro Simon Wiesenthal, in cui ha suonato alcuni dei suoi brani più
classici, come 'Masters Of War' e 'Forever Young' . Senza alcun dubbio Bob
Dylan è uno dei grandi personaggi di questo secolo. La sua avventura nel
mondo della musica ha avuto inizio all' alba degli anni Sessanta, seguendo
le orme dei grandi folksinger americani, come Woody Guthrie e Pete Seeger.
Ma è con la svolta 'elettrica' , con l' avvicinarsi al rock e
contemporaneamente con il suo forte impegno al fianco del movimento per i
diritti civili, che la leggenda di Dylan diventa planetaria e la sua
influenza, sul mondo della musica giovanile, incommensurabile. Le sue
canzoni, soprattutto quelle degli anni Sessanta, hanno segnato in maniera
profonda non solo la storia della musica popolare ma anche quella della
cultura americana ed internazionale. Non a caso Dylan è stato, negli scorsi
mesi, proposto per il Premio Nobel per la letteratura, da un comitato
diretto dal alcuni professori universitari inglesi e americani. Il musicista
aveva già rischiato di morire trentuno anni fa, il 29 luglio del 1966,
quando ebbe un grave incidente motociclistico che lo tenne lontano dalle
scene per più di due anni. - Ernesto Assante
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Bob Dylan e il segreto della sua ispirazione
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Bruce , Elvis , Bob Dylan , Joan Baez
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Dal vangelo secondo John Lennon
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La Regina imita il Re
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Video : John Lennon - Knockin' on heaven's door
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Video : Al Diesan - Ballad of a thin man
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Venerdi 31 Ottobre 2008
Set list: Edmonton, Alberta -
Rexall Place - October 29, 2008
1. Rainy Day Women #12 & 35 (Bob on keyboard)
2. It's All Over Now, Baby Blue (Bob on keyboard and harp)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard and
harp)
4. Spirit On The Water (Bob on keyboard and harp)
5. High Water (For Charley Patton) (Bob on keyboard, Donnie on banjo)
6. The Levee's Gonna Break (Bob on guitar, then on keyboard, Donnie on
electric mandolin)
7. Tangled Up In Blue (Bob on keyboard and harp)
8. Honest With Me (Bob on keyboard)
9. Just Like A Woman (Bob on keyboard and harp)
10. Things Have Changed (Bob on keyboard)
11. When The Deal Goes Down (Bob on keyboard and harp)
12. Desolation Row (Bob on keyboard, Donnie on electric mandolin)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard, Donnie on viola)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)
(encore)
16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard and harp)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)
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Review : Kamloops, British
Columbia - Interior Savings Centre - October 25, 2008
La scorsa notte , la mia partner ed io , siamo andati al
concerto di Bob Dylan. Non sono un fan di Bob ma comunque , non sono stato
capace di dire più di due titoli delle sue canzoni sulla via del ritorno ,
ma Mr.Dylan è una LEGGENDA del rock e così , questa rara opportunità di
vederlo non andava persa!.
Non abbiamo trovato I biglietti per lo show nella nostra città , così ho
comperato i biglietti per la serata seguente , lontano da noi , questo ha
voluto dire guidare per 4 ore e pernottare in un hotel per vedere Dylan , un
piccolo mini weekend. Il posto ha la capacità di 15.000 posti , piccolo
rispetto al nostro che ne aveva 40.000. I biglietti dicevano lo show alle
alle 20,00 , ma i cancelli si sono aperti solo 10 minuti prima , quindi ci è
voluto un pò di tempo per fare entrare il pubblico. Girava voce che i Foo
Fighters avrebbero aperto il concerto ma non era vero , così alle 21,00 ,
Bob è salito sul palco assieme alla sua band e lo show è iniziato.
Dylan era vestito tutto in nero , pantaloni neri con banda oro all’interno e
all’esterno delle gambe , la giacca nera lunga sino alle ginocchia con sotto
una maglietta nera.
Aveva un cappello di paglia giallo/beige e i capelli lucenti piuttosto
lunghetti sotto il cappello , e anche un pò di barbetta , come avevo visto
in alcune foto di quando era giovane. Anche la band era vestita di nero e i
tre chitarristi portavano un cappello come quello di Dylan ma nero , il
batterista sembrava avesse una specie di fez in testa , mentre il ragazzo
alla slide guitar era a testa nuda.
Per le prime tre canzoni , Bob ha cantato e suonato la tastiera. La
posizione della band sembrava quella dei cavalli legati allo steccato , con
Bob in fronte a loro , di traverso al pubblico. Alla quarta canzone si è
allontanato di qualche passo dalla tastiera , davanti al microfono in fronte
al pubblico , ha cantato una canzone e poi è ritornato alla tastiera per
altre tre o quattro. Ha fatto così per tutta la sera , senza dire una parola
al pubblico e senza nemmeno guardarlo una volta.
Questo comportamento distante e snob faceva pensare a Dylan come se fosse
stato un altro artista , una cosa irritante , Bob sembrava timido e quasi
scocciato da tutta quella gente , davvero strana cosa dopo anni di concerti.
Era quasi come assistere ad una jam session piuttosto che ad un concerto ,
ed in qualche modo questo ha reso la cosa più intima per la maggior parte
del pubblico.
In quel momento mi è venuto in mente “questo è proprio Bob , questo è quello
che è , non si butterà mai in uno show per far piacere alla gente , il
pubblico sarà intrattenuto dalle sue canzoni , dalla sua abilità di
raccontare storie con una canzone ( e a quel punto avevo desiderato capire
meglio quello che stava cantando”).
Col procedere della serata devo ammettere che mi stavo annoiando , non
conoscevo nessuna delle nuove canzoni e Dylan borbottava così male , come la
nostra insegnante a scuola quando ci sorprendeva ad ascoltare “The times
they are a-changin’” come se fosse stato un compito assegnatoci da lei.
Devo dire che la band è stata fenomenale , forte , ha suonato tutti i pezzi
davvero bene , suonava da favola anche nei disgustosi brani con le chitarre
acustiche , forse colpa dell’anello di hockey della pista di pattinaggio.
Dylan è un musicista completo , in grado di gestire tastiera , armonica e
canto contemporaneamente , e in una canzone ( non ho idea di quale fosse )
ha ballato come un pazzo da solo , mi è davvero piaciuto. Avrei desiderato
che avesse fatto un pò di più di queste cose , allontanarsi dalla tastiera ,
mettersi la chitarra al collo , continuare a muoversi con maggior
interazione fra lui ed i fans che erano ovviamente felici di essere lì.
Siccome la mia attenzione qualche volta calava , ho cominciato a guardare
più il pubblico che lo show e devo dire che era davvero divertente. Un sacco
di fans speranzosi di arrivare di fronte al palco cercavano con ogni mezzo
di aggirare le disposizioni della security , che li rimandava regolarmente
ai loro posti. Gli addetti alla sicurezza sono stati molto pazienti con
questa gente dopotutto , senza mai dare l’impressione di abusare della loro
autorità ( e questa è stata una cosa nuova se paragonata ad altri posti dove
ero stato ) , e questo è certo un miglioramento.
Lo show è arrivato alla fine , la band ha lasciato il palco , la gente
sembrava impazzita e faceva un rumore spaventoso per richiamarla sul palco ,
picchiavano i piedi sui tavolati di legno e urlavano e fischiavano.
Dylan e la band sono ritornati sul palco per i bis e per la prima volta ,
presentando la band ha rivolto la parola al pubblico , dicendo poche parole
di ringraziamento e cominciando la canzone per la chiusura della serata.
Come ho detto all’inizio , non sono un fan di Dylan – non ho intenzione ,
una volta tornato a casa , di correre a comperare i suoi album – ma sono
stato davvero fortunato di aver avuto l’opportunità di vedere in persona
questa leggenda vivente e non lo dico per compiacenza.
Di Nightmare Creative - October 26, 2008
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Il colpo di fucile che ha dato inizio alla storia del
rock
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____________________________________________________________________________________ Bob Dylan , un salto nel passato - Hey There Delilah
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Video : Bob Dylan - Wigwam
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Video : il cartoon di "Forever young"
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John Lennon imita Bob Dylan
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Giovedi 30 Ottobre 2008
Review : Saddledome, Calgary
- October 27, 2008
By RICK OVERWATER
CALGARY – Suonando par un pubblico che spaziava tra diverse generazioni nel
suo 48° anno di carriera musicale ( se non contiamo le sue high-school
bands) , Bob Dylan sul palco del Saddledome l’altra sera aveva una crepa ,
la sua band di cinque elementi. Da rimorchiare.
Qualche minuto dopo l’inizio del primo pezzo , qualcuno del pubblico si è
rivolto agli amici , “ Non capisco una parola di quello che dice”.
Bene , questo è Bob Dylan.
In un mondo dove ogni stagione il nostro idolo ci offre sempre un diverso
modo di cantare , con la voce preziosamente sovraccaricata di istrionismo ma
pochissimo nel senso della soddisfazione che può lasciare nel pubblico (e
questo può essere discusso) , abbiamo bisogno della sua voce nasale e
biascicata più che mai.
Partendo dal concetto che un performer deve avere una convenzionale buona
voce , Dylan ha dominato il genere della folk music , ha aiutato ad
inventare il rock n’ roll , più di ogni altro , è dimostrato da sempre che i
grandi musicisti scrivono le loro canzoni con parole davvero grandi.
Detto questo , mi sarebbe piaciuto davvero capire qualcuna delle parole che
ha cantato. Particolarmente da quando Dylan era all’inizio della sua
carriera , evidente in questo discorso il suo album del 2006 , con le
dozzine di album che l’hanno preceduto , gli ha fruttato 2 Grammys , incluso
quello per la migliore voce rock solista.
Non avendo la necessità di dover contare su una barcata di classici per
riempire il Dome , come molti della sua età (67) , Dylan non ha pescato
molto nei suoi classici senza tempo.
Questo vuol dire caldi , ma non scroscianti applausi ( con l’eccezzione di
qualche bis come Like a rollling stone ) alla fine di ogni pezzo , e
raramente mette la gente in condizione di riconoscere i pezzi , anche con
pezzi favolosi come Stuck Inside of Mobile With the Memphis Blues Again.
Questo non vuol dire che non sia stato un buono show.
Fermo dietro la tastiera , che lascia raramente durante lo show e senza mai
dire una parola al pubblico , Dylan riesce ad ottenere un consenso
ottimista.
Finisce la seconda canzone “It’s all over now baby blue” , dove ha fatto
alcuni assoli rotolanti di organo e assoli succosi di armonica.
Dopo un’ora , l’andazzo del concerto era più che evidente.
Il Saddledome era essenzialmente un gigantesco blues-bar e Dylan e il
pubblico la band di casa.
La spina dorsale di ogni canzone era un’interminabile blues-session nella
quale Dylan era sostenuto dai musicisti che ce la mettevano tutta , e quando
la band riusciva ad entrare nel pezzo era ricambiata con dei sorrisi , un
momento particolarmente memorabile è stato quando hanno suonato materiale di
Time out of mind , con un’evidente aria quasi sinistra , il borbottio di
Dylan si è fatto duro e minaccioso , reminescenza del suo periodo 80-90.
Comunque , in generale , è stata una buona jam-gigantesca che non ha reso
giustizia alla quantità di stili che sono patrimonio di Dylan.
Se solo una volta si fosse rotto le palle e spedito la band nel backstage ,
preso la chitarra acustica per cantare da solo “Blowin’ in the wind” ,
questo avrebbe cambiato tutto , come faceva nei tempi passati.
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Review : Kamloops, British
Columbia - Interior Savings Centre - October 25, 2008
( da bobdylan.com )
Thank You.
Submitted by Tara on Sun, 10/26/2008 - 22:40.
Grazie Bob per essere venuto nella nostra città e averci dato un fantastico
show del quale ho amato ogni secondo , e sono stata veramente onorata di
essere stata in tua presenza. Che incredibile serata.
A Night to Remember...
Submitted by lisa on Sun, 10/26/2008 - 14:40.
Una straordinaria serata con il Maestro dei poeti….. queste canzoni
dureranno per molti anni e avranno un profondo significato. Che regalo da
condividere con la famiglia e da commentare con gioa.....il mio spirito si è
sollevato ! La prestazione di Dylan è stata energica e presente....la
migliore che ho visto , e ha sorpassato le mie aspettative. Grazie , grazie
, grazie !
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SCRIVEVANO.......
Caro Bob Dylan ma allora chi è Napoleone in stracci?
(repubblica.it)
Non state a credere a chi vi dice che Bob Dylan è
scorbutico e arrogante. Ho un amico che lo vede spesso e mi assicura che al
contrario il vecchio Bob è un cordialone, sempre pronto alla chiacchiera e
alla risata, disponibile e alla mano. Insomma che non se la tira per niente
e che non si riesce a capire come sia nata la leggenda di un Dylan
antipatico e figastorta. Io del mio amico mi fido e sono certo che dica la
verità. Del resto se non lo sa lui che lo vede spesso. Il mio amico
aggiunge, per uno scrupolo che gli fa onore ma che non cambia la sostanza
delle cose, che lui Dylan lo vede la notte, quando dorme. Sì, insomma, lo
vede in sogno. Ma lo sogna spesso e lo sogna sempre gentile. E io gli credo.
Anzi, lo invidio anche un po' il mio amico, per quell' intimità con Bob cui
il mio inconscio non mi ha mai autorizzato. Ma non dispero, prima o poi
vedrai che me lo sogno anch' io. Anzi, ora che so che non morde magari
riesco a togliermi qualche curiosità. Tipo: Bobby, si può sapere, una buona
volta, chi diavolo è quel Napoleon in rags, il Napoleone negli stracci,
dell' ultima strofa di Like a Rolling Stone? Oppure: che burlone che sei,
Robertino, ora però ti siedi qui e mi spieghi perché mai il Diplomatico in
groppa al cavallo cromato con miss Lonely si ostinava a portare sulla spalla
un gatto siamese. O ancora: Ma tu Come una pietra che rotola di Gianni
Pettenati, 1966, traduzione di Mogol, l' hai mai sentita? E non li hai
denunciati perché sei un signore o solo perché non conosci l' italiano? Ma
se proprio non mi verrà dato di sognarlo) esaudirò le mie curiosità pescando
nel diluvio di omaggi, encomi, santini, articolesse, agiografie scritte e
filmate, memorabilia anche un po' feticistiche che di questi tempi inonda il
mercato e prosciuga le tasche dei poveri dylandipendenti come me, il libro
più entusiasmante che lo celebri: Like a Rolling Stone (Donzelli, euro
13,50), biografia che Greil Marcus, sommo maestro della critica musicale,
dedica a una canzone nel quarantennale della sua incisione, il 15 giugno
1965, studio A della Columbia, New York. Sei minuti e sei secondi che, per
dirla senza tanta enfasi, compirono il miracolo di rinnovare il sogno
americano, scolpirono per l' eternità il sound di una generazione e la
colonna sonora di un mondo che si stava ribaltando. I sei minuti e sei
secondi della più grande canzone di tutti i tempi in un libro da non
perdersi neanche per sogno.
Stefano Tettamanti
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Lezioni di Rock. Viaggio al centro della musica.
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Negrita, 'Helldorado'
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Traveling Wilburys - di Alessio Brunialti
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Video : Bob Dylan - Cold Irons Bound
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I MITICI..........
Joan Baez & Jackson Browne - Before the Deluge
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qui Joan Baez & Jackson Browne - El
Salvador
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Mercoledi 29 Ottobre 2008
Set list: Calgary, Alberta -
Pengrowth Saddledome - October 27, 2008
1. Watching The River Flow (Bob on keyboard)
2. It's All Over Now, Baby Blue (Bob on keyboard and harp)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard and
harp)
4. Million Miles (Bob on keyboard and harp)
5. Spirit On The Water (Bob on keyboard and harp)
6. The Levee's Gonna Break (Bob on keyboard)
7. My Back Pages (Bob on keyboard and harp)
8. Summer Days (Bob on keyboard)
9. Tryin' To Get To Heaven (Bob on keyboard)
10. Tweedle Dee & Tweedle Dum (Bob midstage - no guitar or keyboard)
11. Just Like A Woman (Bob on guitar)
12. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
13. Nettie Moore (Bob on keyboard)
14. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)
(encore)
15. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard and harp)
16. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)
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I fantaracconti dylaniani......
CODA DI VOLPE - (di A man with no name)
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Review: Bob Dylan a mala
pena decifrabile a Vancouver al GM Place , October 24
By Alexander Varty
Saggi-asini di tutto il mondo , il vostro tempo è ora
arrivato al limite quando arriva Bob Dylan che è stato le chiappe degli
scherzi filistei fin da quando camminava per le strade di New York portando
una chitarra e quel piccolo cappello da pescatore. Proprio la settimana
scorsa , per cronaca , uno dei miei colleghi più sarcastici ha detto al
riguardo di sua Bobbità : “Whuzzz gizzzz a zzzhit ee caaaaan uzzastanzz a
sinnggg wuuuuud hee szzzzz.”
Una volta ancora sarei coercitivo intervenendo in difesa di Mr.Zimmerman ,
ma questo era prima di andare al GM Place ed aver passato i primi minuti di
“Like a rolling stone” essendo convinto che fosse “Positively 4th street”.
Seriamente . E sono sempre stato un Dylan’s fan conosciuto per aver sempre
stimato i suoi solos di armonica.
Eppure , l’ultima presenza dell’Uomo a Vancouver mi ha fatto sentire un
apostata. A metà dello show di Dylan ero pronto a girare la faccia ad est e
pregare – non verso La Mecca , ma ad Hamilton , Ontario , casa del
precedente produttore di Dylan Daniel Lanois.
Il chitarrista franco-canadese , mago delle registrazioni in studio , ha
preso un sacco di bastonate per la sua tendenza ad esagerare con le
sovraincisioni – inclusa , naturalmente , la litigata con Dylan riportata da
Chronicles Vol.1.
Ma passando un pò di tempo con l’ultima collezzione di outtakes di Dylan ,
Tell Tale Signs , risulta evidente che il trionfatore è quel Lanois che ha
prodotto Time out of mind nel 1997.
Dylan ha scritto le canzoni , ma è stato il produttore a scolpirle nel marmo
. Lasciando da parte il suo lavoro , il cantante trasforma il suo lavoro in
sabbia che sfugge , come se fosse a suonare in un garage.
Perchè , per esempio , ha impiegato lo stesso sound scuro del blues non più
di tre volte ?
“Highway 61 revisited” , “Summer days” , e “Thunder on the mountain” sono
state eseguite come un blando e generico shuffle – che potrebbe essere una
bella cosa il sabato pomeriggio allo Yale , ma non quando il prezzo del
biglietto potrebbe coprire le spese del gas e della drogheria per una
settimana.
Similmente , “Tangled up in blue” – una delle più belle melodie di metà
carriera di Dylan – è stata eseguita con un arrangiamento tipo rinky-dink
che sembra all’80% Neil Diamond e per il 20% un indistinguibile fluff.
La media da cotone ovattato era ancora più alta ed insopportabile in una
versione Kitchs di “Make you fell my love “, mentre le esilaranti parole
finali che erano le originali di “Vision of Johanna” sono state ricostruite
come un richiamo assolutamente indecifrabile.
Non tutto è sbagliato nel mondo di Dylan , penso . L’ultima volta che è
stato qui – all’Orpheum 2005 – sembrava una persona remota stagliata in
distanza. Stando in piedi quasi immobile dietro la tastiera , sembrava che
c’era qualcosa che non funzionava nel suo fiuto , sembrava malato ed
irritabile , sputando fuori ogni frase con la stessa monotona cadenza.
Questa volta invece era più rilassato , ghignando coi suoi musicisti mentre
pugnalava il suo organo Hammond con evidente soddisfazione. Dylan ha persino
cantato bene , con reale forza emotiva ed una sorprendente fluidità
melodica. Ma tutto troppo male , we cudddn unnnastan a sinnggg wuuuuud hee sdddd .
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Tell Tale Signs : Dicono tutti le stesse cose
Ho letto soltanto poche recensioni dell’ultimo lavoro di Bob
Dylan “Bootleg Series 8 : Tell Tale Signs” prima di essermi stancato e
anche un pò irritato. Dicono tutti le stesse cose , questi giornalisti
musicali, e continuano a ripetersi all’infinito.
Dylan è descritto come un bisbetico con l’ossessione della propria mortalità
che esplora in continuazione temi sempre più profondi nella sua musica , e
avanti di questo passo..
Che cosa ha fatto Dylan per meritarsi simili critiche ?
Ho sempre pensato che “Time out of mind” del 1997 e “Oh mercy” del 1989
contenevano testi dei quali si poteva dire che contenevano una certa
amarezza e cinismo , ma avrei potuto pensare le stesse cose per “Highway 61
Revisited” o per una dozzina di altri album di Dylan.
Se mai , nei due ultimi album più recenti – Modern Times e Love and Theft –
c’erano veramente pezzi “a ruota libera” e perfino i più divertenti della
sua carriera . Questo è , dopo tutto , l’uomo che canta in Modern Times :
“Io avevo dei pezzi di maiale , lei la torta
Lei non è un angelo e nemmeno io”
C’era più eros che sentimenti profondi in quello , per continuare soltanto i
temi che piacciono a molti giornalisti .
“Tell Tale Signs” non suona , a mio parere , come il lavoro di un uomo con
poco tempo da restare in questo mondo , come del resto faceva “Dylan” , il
primo album con il suo nome , un album che conteneva canzoni spiritate come
“In my time of dying” , “Fixing to die” e “See that my grave is kept clean”.
Canzoni di questo tipo sono continuamente presenti nella carriera di Dylan ,
e sono una parte vitale del catalogo delle folk-songs che lui continua a
prendere in prestito fino ad oggi.
Così trascureremo quello che dice la maggior parte dei giornalisti ,
comunque io li leggo di rado.
Che posso dire allora di “Tell tale signs” ?
Posso cominciare dicendo che c’è un box di tre CD da collezzione di versioni
alternative e materiale non pubblicato che provengono dal 1989 fino al
presente.
Potrebbe anche valere la pena di dire che si tratta di un altro rimarchevole
lavoro di Dylan , che continua a sorprendere critici ed ammiratori con la
qualità del materiale che ha scelto di non inserire nei suoi album.
Forse il pezzo migliore di questo set è una canzone mai pubblicata , e senza
dubbio un classico , “Red river shore”. Il sentimento di questa canzone è di
quelli senza tempo , evidentemente il cantante aspetta sempre il ritorno
della ragazza che aveva conosciuto molto tempo prima , e che deve avergli
fatto una grande impressione.
“Well I sat by her side and for a while I tried
To make that girl my wife
She gave me her best advice and she said
Go home and lead a quiet life
Well I been to the East and I been to the West
And I been out where the black winds roar
Somehow though I never did get that far
With the girl from the Red River shore”
Questo pezzo non è una grande rielaborazione di “Red river shore” ne
musicalmente ne liricamnte ,
parole e musica sono in perfetta sintonia con la tradizione folk , benchè la
cosa possa sembrare anacronistica.
Ma di certo Dylan non cercava di fare qualcosa particolarmente di nuovo ,
semplicemente cercava di perfezionare l’arte che ha usato in tutta la sua
vita. Noi ci aspettiamo novità , sempre richieste al nostro artista , ma in
“Red river shore” , Dylan ha creato una folk song proprio come ha fatto con
altre canzoni di quel genere , più di quelle , ha creato una sommativa di
tutte le precedenti canzoni folk.
La novità è qualcosa , evidentemente , alla quale Dylan non è più
interessato . In “Tell tale Signs” Dylan fa esattamente quello che ha sempre
fatto , e ci sta ancora riuscendo , brillantemente.
by georgemorison on October 26, 2008.
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Sunshine Superman - The Journey Of Donovan
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Quando le immagini raccontano la musica
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Martedi 28 Ottobre 2008
Set list : Kamloops, British
Columbia - Interior Savings Centre - October 25, 2008
1. Watching The River Flow (Bob on keyboard)
2. It's All Over Now, Baby Blue (Bob on keyboard)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard)
4. Ballad Of Hollis Brown (Bob on keyboard)
5. Tweedle Dee & Tweedle Dum
6. Just Like A Woman (Bob on keyboard)
7. Rollin' And Tumblin' (Bob on keyboard)
8. Workingman's Blues #2 (Bob on keyboard)
9. Summer Days (Bob on keyboard)
10. Simple Twist Of Fate (Bob on keyboard)
11. Honest With Me (Bob on keyboard)
12. When The Deal Goes Down (Bob on keyboard)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)
(encore)
16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)
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Review: Vancouver, British
Columbia - General Motors Place - October 24, 2008
by Audry Rose
Dopo il rinfresco al Railway Club ci siamo recati al concerto. E stato
grande ritrovare Arlo e Thea , Augustine , Eben , Stephen , Cathy e tutti
gli altri.....e specialmente incontrare Henry Porter , Sweet Melinda e
Louise per la prima volta. Ero veramente felice di portare per la prima
volta mia nipote a vedere un concerto di Dylan , assieme a due amiche che
sono fans di Bob da lungo tempo ma non l’ avevano mai visto in concerto. E
certamente non esiste uno show di Dylan senza la presenza di Clara e Ophelia
! Avevamo i posti proprio di fronte al palco , veramente i posti perfetti.
Dylan e la band erano piazzati vicino al fondo del palco , così da sembrare
un pò lontani , ma ci hanno lasciato alzarci in piedi vicino alle transenne
e la cosa ci ha fatto contenti perchè vedevamo bene.
C’era anche Anna da L.A. che era con noi a Santa Barbara, e allora Jim , che
ho conosciuto nel precedente concerto di Vancouver , mi dice mentre il
concerto stava cominciando“ Hey Audrey , dov’è il tuo cappello ?” , e allora
pochi secondi dopo Dylan si lancia nella canzone d’apertura “ Leopard skin
pill box hat”. Da molto non iniziava un concerto con “Leopard skin” e non
pensavo che Bob iniziasse proprio con questa , e per di più alla chitarra !
Che omaggio! Di sicuro non stava suonando la chitarra perchè la tastiera
aveva qualche disfunzione come la scorsa notte.Di certo ha battuto “Cats in
the well” , lasciatemelo dire ! Questa prima canzone è stata una degli
highlights della serata.
Un’ altro highlight – Tangled up in blue – Wow ! Nuovo grande arrangiamento
, non vedo l’ora di sentirla di nuovo , proprio bella.
“Vision” – sempre squisita, mi piace, Bob era veramente coinvolto ,
sorridendo e divertendosi molto. Ero specialmente felice di sentire questa
canzone perchè pensavo di sentirla sin da quando ero nella vasca , penso che
questa valga veramente 6 punti !
“Leave’s gonna break” rocckeggiava bene , questa è una delle mie favorite
nelle recenti set list , spero che la lasci in scaletta per un bel pò
ancora.
“Nettie Moore” è stata amabile.
“Things have changed” era giusta per cambiare atmosfera , non l’avevo
sentita da molto tempo , sono ancora sorpreso nel constatare quanto sia una
buona canzone da concerto , spero di sentirla ancora in questa versione al
posto della originale.
Avere “Desolation row” e “Vision of Johanna” nello stesso show è stato
particolarmente speciale. Sarenbbe interessante poter ascoltare le
registrazioni del concerto per sentire se ha cambiato le parole in queste
due. Penso che l’esecuzione di entrambe sia stata grande.
Durante “Make you feel my love” tutto sembrava andasse bene. Eravamo
sorpresi che avesse di muovo preso la chitarra ( sperando che stesse
inaugurando un nuovo trend ) ma subito è diventato insoddisfatto della
chitarra e ha cantato “ Non sono ancora pronto nella mia mente per questo “.
Ha cantando qualche parola al microfono con la chitarra ancora sulla spalla
, poi l’ha buttata via , poi ha cominciato a camminare in giro ,
avvicinandosi e prendendo l’armonica , poi l’ha messa giù e si è avvicinato
al piano , poi si è spostato ancora , cantando al microfono senza suonare
alcuno strumento , sembrava molto indeciso e confuso.
Il disappunto è stato grande quando nel vedere che abbandonava di nuovo la
chitarra . Non è sembrato essere scordata o qualcosa del genere , ma l’ha
buttata via con un’espressione di disgusto e abbiamo capito che non
l’avrebbe più suonata. Ho trovato divertente questa scenetta , con Bob che
passava da uno strumento all’altro senza decidere quale suonare , mentre la
band continuava a suonare , hanno funzionato in tutte le canzoni , dovreste
amare questa band.
Ho veramente apprezzato l’armonica di Bob l’altra notte . Nello . Lunghi ed
energetici solos in “ Till i fell in love with you” , ho anche apprezzato
quando stava davanti al microfono solo cantando.Era pieno dei soliti
movimenti delle gambe e diverso gesti delle mani , e girava per il palco con
i suoi caratteristici passettini , in bella forma. Appariva grande.
Mi piace lo stile del suo cappello nell’attuale Rolling Thunder. E con la
chitarra abbandonata tutte le volte , si sforza di togliersi il cappello per
alcuni secondi per far prendere aria ai capelli.
Spero per quelli che andranno a Kamloops che usi la chitarra un pò di più di
stasera , che è stata una cosa veramente crudele. Mi è piaciuto quando Bob
ha cominciato a suonare la tastiera nel 2002 , ma adesso siamo nel 2008 ,
sarebbe ora che riprendesse la chitarra per l’intero show , tutti speriamo
questo.
E’ bello vedere che la set list cambia spesso . E’ stato duro per me non
sentire “Chimes” o “Long black coat” dopo la set list di Vancouver. Dovrò
digrignare i denti ancora per molto ?
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Tell Tale Signs : i commenti della stampa specializzata
Entertainment Weekly
Emozionante . Tell tale Signs salta le decadi per offirire una storia
alternativa dopo un periodo di stanca . La rinascita creativa che è
cominciata alla fine degli anni 80’ e che continua a dare frutti.
Uncut
Tell Tale Signs è inondato con evidenza di zig-zag mercuriali , la sua
evidente determinazione anche in studio di ripetersi il meno possibile ,
canzoni riprese non solo per il perfezionamento , limare una canzone statica
non per renderla definitiva , l’immaginazione sempre in movimento.
The Onion (A.V. Club)
Da quando Bob Dylan ha inaugurato le Bootleeg Series questo è una dei
migliori
Rolling Stone
Tell tale Signs dinmostra che Dylan conosce i capricci del mondo dove vive ,
ora più che mai.
All Music Guide
Tell Tale Signs suona come un nuovo disco di Bob Dylan , non solo per la
stucchevole freschezza del materiale , ma anche per l’incredibile qualità
del sound e per il feeling che contiene.
Paste Magazine
Tell tale Signs dimostra che il lavoro di Dylan è più ricco di quanto
previsto.
Boston Globe
Con un musicista così importante come Dylan , il nostro appetito di
materiale fresco e nuovo trova nuovi tesori nel lavoro dell’artista. Tell
Tale Signs , l’ottavo delle Bootleg Series , è una festa per i fans
occasionali ma anche per i Dylanologisti.
Hartford Courant
Il risultato è una ricchezza di immagini musicali diverse , che da una luce
affascinante al suo processo creativo in Tell tale Signs.
Observer Music Monthly
Non tutto è perfetto in Tell Tale Signs , I cinque pezzi live , in
particolare , scelte non particolarmente ispirate , ma potreste perdervi in
queste registrazioni.
The Guardian
L’Ottavo tesoro della Dylan Bootleg series di materiale non pubblicato e
versioni alternative dimostra ulteriormente che non c’è mai niente di
definitivo nel lavoro di Dylan, una grande istantanea dell’umore di un
grande uomo.
Billboard
Il materiale dal 97’ offre molte sorprese , particolarmente la sognante
versione di “Someday Babe” da Modern Times e la stridente “Dreaming of you”
che non erano adatte a Time out of mind. Meno essenziali le versioni dal
vivo , che dimostrano come l'imprevedibile fraseggio di Dylan può rendere
trascendantale una canzone in quel momento (Lonesome day Blues che suona
come un vero bootleg ) , irriconoscibili (“Things have changed”) o ordinarie
( “Cocaine Blues”).
Slant Magazine
Indubbiamente l’album offre più di qualche grande momento , quello che crea
più disappunto è la insita celebrazione delle ultime due decadi della
carriera di Dylan , c’è dentro questa idea di una qualche celebrazione.
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Video : Dylan in Vancouver
Tangled Up in Blue
It's Alright Ma, I'm Only Bleeding
All Along the Watchtower
Like a Rolling Stone
The
Levee's Gonna Break
_____________________________________________________________________________________________________________________ SCRIVEVANO.......
Bob Dylan, il genio che guarda avanti
Repubblica — 20 aprile 2002 pagina 20 sezione: MILANO
Bob Dylan torna di sabato, come sempre senza nostalgie, per cantare davanti
a un pubblico in perenne mutazione. Torna stasera al Filaforum di Assago,
per raccontare storie nuove e anche vecchie, ma come se fossero nuove. Il
viaggio del più grande cantautore mai esistito continua, per andare oltre la
storia. Il 24 maggio Robert Zimmeman di Duluth, Minnesota, compie 61 anni.
Per tornare a fare concerti, tempo fa ha esorcizzato una preoccupante
malattia, ma non chiedetegli sempre Blowin' in the wind o Like a rolling
stone. Dylan detesta commemorarsi. Come un altro "Gemelli" famoso, il grande
Miles Davis, che rispondeva in malo modo a chi gli implorava di rifare i
classici di una volta: «M...., è una musica che ho già suonato, adesso sto
facendo altro». Bob non parla, ma ha sempre guardato avanti. E anche se non
si sottrae alle richieste degli antichi reperti, li storpia talmente da
consigliare ai nostalgici il silenzio. «Bob Dylan è oggi, non venitemi a
ricordare il passato», sembra voler dire. Anche per questo continua a creare
dischi più o meno belli, ma vivi, palpitanti, senza fronzoli o lifting alla
voce che, fatalmente, non è più quella di un tempo. Time out of mind, l'
album del 1997 prodotto da Daniel Lanois a New Orleans, era forse più felice
dell' ultimo uscito l' anno scorso. Love and theft emana una comunicativa
sorprendente, un' ispirazione tutt' altro che spenta. Dylan si vuole
divertire esorcizzando l' incubo dell' età e mira dritto al cuore dello
swing, alla faccia di chi lo vuole sempre coerente e rigoroso come il
santone del folk impegnato che ha fatto leggenda. Con la voce gracchiante e
ingolata ma sempre commovente di chi ha macinato concerti come il più
invasato dei predicatori, l' intramontabile folksinger non disdegna le
canzonette pop con retrogusto westcountry, il solito bluesaccio indelebile e
perfino lo swing più nostalgico di Django Reinhardt e Stephane Grappelli. È
lui il primo a sapere che da giovane aveva una voce migliore, idee più
fresche e ideali più battaglieri. Ma fare musica e raccontare storie tra
poesia e realtà sono le cose più stimolanti per uno che poteva essere
Hemingway. E Dylan tiene molto a essere applaudito per quello che è ora.
Anche sulla sua vocalità attuale si racconta il falso. Il canto nasale, con
rigurgiti gutturali specie negli ultimi anni, è completamente costruito fino
dalle origini. Lucidamente, con scaltra volontà di assomigliare ai rurali
folksinger o bluesman del mito, Dylan se lo inventò fin da ragazzo. Oggi è
sempre più difficile, per lui, controllare quei toni e quel suono. A volte,
nelle serate più umide, il gorgoglio da paperotto che gli viene su è un po'
imbarazzante e fa fatica a ritrovare l' intonazione giusta. Il concerto di
oggi regala due ore e mezza di grande musica, pochissime parole: si comincia
con Humming bird del duo Johnnie and Jack del ' 51 e si prosegue fino all'
irrinunciabile Blowin' in the wind, passando per le bellissime canzoni dell'
ultimo album. Alla fine resta una emozione: di un artista integro,
trasparente, che odia la routine e non si vergogna di mettersi continuamente
in gioco, senza rete e senza furbizie. In un mondo sempre più posticcio di
copie e replicanti, Dylan e pochi altri (Neil Young, David Bowie, Peter
Gabriel...) hanno il coraggio di rischiare con tutta l' esperienza del
passato, certo, ma con una dannata voglia di capire il mondo che ci
circonda. Anche senza essere più profeti (ma ci sono ancora ?), si può
cantare il sogno e la malinconia con una voce che viene profonda dal cuore.
E, nelle serate migliori, può essere ancora un canto di bellezza e libertà.
I BIGLIETTI/POCHI POSTI LAST MINUTE/ I cancelli aprono alle 18.30 e il
concerto di Bob Dylan inizia alle 21: per gli spettatori solo posti a
sedere. Chi vuole può azzardarsi e arrivare al Filaforum all' ultimo momento
senza biglietto. Qualche posto infatti è ancora disponibile al botteghino.
Gli organizzatori parlano di un centinaio tra i numerati del parterre e del
primo anello, e di qualche centinaia nell' anello superiore tra i non
numerati. I prezzi vanno dai 34,10 euro ai 23,30 euro. -
GIACOMO PELLICCIOTTI |
a |
Lunedi 27 Ottobre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 429
- clicca qui
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Set list : Vancouver,
British Columbia - General Motors Place - October 24, 2008
1. Leopard-Skin Pill-Box Hat (Bob on electric guitar)
2. The Times They Are A-Changin' (Bob on harp)
3. Things Have Changed (Bob on keyboard)
4. Spirit On The Water (Bob on keyboard)
5. The Levee's Gonna Break (Bob on keyboard)
6. Tangled Up In Blue (Bob on keyboard and harp)
7. Summer Days (Bob on keyboard)
8. Make You Feel My Love (Bob on guitar, then keyboard and harp)
9. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding) (Bob on keyboard)
10. Visions Of Johanna (Bob on keyboard)
11. 'Til I Fell In Love With You (Bob on harp)
12. Desolation Row (Bob on keyboard)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Nettie Moore (Bob on keyboard)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)
(encore)
16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)
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Video : Bob Dylan Save On Foods Arena October 23, 2008
http://www.youtube.com/watch?v=5Y6Y3fJrw9I
http://www.youtube.com/watch?v=pKcDFmiUH94&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=U32EQP-QOog&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=34TIvaIY8-I&feature=related
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Dylan’s Secret Histories
Di Absolutely Queen Lucinda
Bene , non risolveremo mai il mistero del perchè Bob Dylan
esclude qualcuna delle canzoni migliori che ha scritto dai suoi album
ufficiali. Può essere che sia una specie di incurabile esistenzialista al
quale non importa di preservare il suo lavoro nei termini di un catalogo
definitivo delle sue registrazioni.
Forse immagina se stesso come l’archetipo dell’uomo sempre in movimento (
Ain’t talkin’”/Just walkin’” che sono alcuni dei “tagli”
( se così vogliamo chiamarli ) più belli in questo album , palpitanti
outtakes da "Modern Times" che suonano come se avessero 2.000 anni , più
attinenti con la vita vissuta nel momento transfigurativo che si fossilizza
dietro il vetro macchiato della posterità.
In uno o nell’altro senso , queste Bootleg Series albums salvano il senso di
frustrazione di non aver mai udito le “Series of Dream” coninciate con “Oh
Mercy” per la prima volta , o “Blind Willie McTell” e che si dissolvono
infine con “Infidels”.
Per quanto riguarda oggi può essere un punto discutibile : potete mettere in
sequenza le canzoni sul vostro Ipood , ma questo non cambia il fatto che
Dylan ha costantemente ingannato tutte le notizie su ogni nuovo album , come
fece con il trittico della metà degli anni 60’ , rimuovendo le canzoni
principali . Può essere la sua una perversa versione del difetto
internazionale di far sembrare oro l’ottone , oppure solo la crepa di Choen
che lascia filtrare solamente un raggio di luce..
Non tutti i pezzi di "Tell tall Signs" sono indispensabili , ma la
maggioranza è capace di zittire una sala affollata ( incluso il lento blues
in “Mississippi” e la revisione ispirata di quel capolavoro di angustia e
rammarico che è “ Most of the time”, reso qui in un modo più robusto con il
lavoro di armonica e di chitarra ). Infatti , più della metà di questo
materiale può reggere il confronto con il lavoro più fine di Dylan. Molto è
stato raccolto a partire dalla sua stagione meno prolifica ( la maggior
parte del 90') , così come il periodo millenario del revivalismo , da più
elasticità a quella pausa.
L’aggancio dell’album ( Good as i been to you e World gone wrong ) si rifà
ai sacri testi dei gospel ante-guerra , il blues e le standard folks non
solo gli hanno permesso di ritrovare la sua scrittura , ma anche un nuovo (
o forse antico ) vocabilario e nuovi temi.
Non solo canzoni come “Red river shore” ( una gloriosa outtake dalle session
di Time out of mind ) , ma anche la versione cruda e semplice della brutale
“30-20 Blues” di Robert Johnson , o una non realizzata bellezza del dicembre
2005 chiamata “Can’t escape from you”.
Ci sono inoltre versioni live abbastanza spellate di “High water” e
“Lonesome day blues” , più le superlative canzoni da colonna sonora di
vecchia data “Huck’s tune” , “Tell ol’ Bill e l' inno della guerra civile
“Cross the green mountain”.
La differenza fra “Born in time” , “Somebody baby” e “Can’t wait” e le
precedenti versioni realizzate è così marcata , potrebbero essere canzoni
diverse ( l’ultimo è il rivelatore ritratto di un Dylan come comunicatore di
blues grezzi ). Tali ricalibrature apparentemente ad-hoc ci fanno pensare
che le Dylan takes differiscono così radicalmente dalle prime , ma era una
strizzatina d’occhio ai tempi prima di realizzare “Like a rolling stone” ,
oppure come se fosse un suonatore di piano da saloon waltz ?
Così qui c’è un’altra pagina dell’affascinante storia segreta di Bob Dylan ,
questo ci aiuterà ad avvicinarci ad un tranquillo Natale.
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JAKOB DYLAN - Seeing Things - (Columbia) 2008
di Gabriele Benzing
Ci sono voluti oltre quindici anni, a Jakob Dylan, per osare mettere quel
nome sulla copertina di un disco. Dopo cinque album alla guida degli
Wallflowers, ormai per l’ultimogenito di Bob Dylan e Sara Lownds era giunto
il momento di intraprendere una nuova strada: dai fasti di “Bringing Down
The Horse” al declino commerciale dei dischi successivi (pur riscattato
dalla buona qualità dell’ultimo “Rebel, Sweetheart”), l’alt-country della
band del giovane Dylan aveva ormai mostrato la corda. Così, Jakob ha scelto
di ripartire dalla sfida più difficile: quella di mettersi alla prova senza
più timore per un nome troppo ingombrante, portando con sé soltanto un pugno
di canzoni folk nude ed essenziali.
Grazie allo zampino di un mentore del calibro di Rick Rubin, già deus ex
machina delle “American Recordings” di Johnny Cash, l’esordio solista di
Jakob Dylan introduce in uno spazio intimo e confidenziale, in cui ogni
arpeggio suona nitido e concreto come una confessione. Il fremito asciutto
della voce del songwriter americano si fa strada attraverso il dialogo
costante delle chitarre acustiche e qualche rara increspatura di batteria:
“volevo scrivere canzoni capaci di suonare come se esistessero da sempre”,
spiega, “come se fossero state scolpite nella pietra”.
Il modello è senza troppi misteri quello dello Springsteen acustico, da
qualche parte tra la tensione di “Nebraska” e la sobrietà di “The Ghost Of
Tom Joad” e “Devils & Dust”. Jakob Dylan ne segue le orme con umiltà,
lasciando da parte il lato più appariscente del suo passato pop-rock per
attingere alla sorgente della tradizione. Il risultato è una genuina prova
di cantautorato roots, che tuttavia riesce a spingersi solo in qualche
episodio oltre i confini dell’omaggio ai canoni del genere.
Jakob Dylan punta a scrivere il suo classico con “Something Good This Way
Comes”, in cui la carezza delle spazzole e l’incedere lieve del basso
accompagnano un arpeggio soffuso, riappropriandosi della sensibilità
melodica degli Wallflowers. Le cupezze folk di “Evil Is Alive And Well” e “I
Told You I Couldn’t Stop” si insinuano con un’inquietudine sottile, mentre
“All Day And All Night” insegue la suggestione del blues paterno, quasi si
trattasse di uno dei traditional di “Good As I Been To You” o “World Gone
Wrong”.
Sono piuttosto le smussature romantiche di brani come “Everybody Pays As
They Go” o “Will It Grow” a rimanere troppo piatte, finendo per sfumare
nell’uniformità di fondo del disco. Jakob Dylan dimostra il suo talento per
le ballate più soffici in “Valley Of The Low Sun” e “On Up The Mountain”, ma
il meglio lo riserva per la conclusiva “This End Of The Telescope”, che
potrebbe appartenere al Costello di “King Of America”.
Fin dal titolo, il protagonista di “Seeing Things” è lo sguardo: Jakob Dylan
osserva le cose intorno a sé e racconta quello che incontrano i suoi occhi,
a cominciare dall’ombra del male che sembra albergare in ogni piega della
realtà. “May be in a palace, it may be in the streets / May be here among us
on a crowded beach / May be asleep in a roadside motel / But evil is alive
and well”.
L’aridità dei tempi sembra soffocare ogni speranza, dal vento di guerra di
“Valley Of The Low Sun” alla lettera dal fronte di “War Is Kind”. Sono le
verità più semplici, allora, quelle a cui vale ancora la pena di
aggrapparsi: la fatica spesa per costruire qualcosa con il proprio lavoro,
come in “All Day And All Night”, la grandezza delle piccole scoperte di ogni
giorno che punteggiano “Something Good This Way Comes”. Una finestra aperta
sulla campagna, l’ombra del sole dell’estate, una donna al proprio fianco:
qualcosa di buono ne verrà, come l’alba di un nuovo mattino.
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Vecchie interviste.........
Jakob Dylan : "Chiedetemi tutto, ma non di mio
padre"...
La domanda "clou" arriva (inevitabile) , dopo che Dylan Jr.
ha già passato metà del tempo a schivare domande sull'augusto padre. "Se i
confronti col suo genitore le danno tanto fastidio" - chiede un giornalista
per bocca di tutti o quasi i presenti - perché si ostina a
portarne il nome d'arte?". Ma Jakob non si scompone, e mette le cose in
chiaro una volta per tutte: "E' così che sono registrato all'anagrafe. Non
mi sono mai chiamato Zimmerman in vita mia".
Uno a zero per lui, e palla al centro. Ma le curiosità restano
insoddisfatte, e l'atteggiamento del figliolo del grande Bob resta
quantomeno sospetto. "Quel nome, all'inizio, è stato più un ostacolo che un
vantaggio, e comunque lo porto con orgoglio", sibila a scanso di equivoci il
bel tenebroso, di scuro vestito e con indosso un paio di occhiali neri che
ricordano tanto il papà nel periodo beatnik e giovanile. Ma altro è
impossibile strappare al giovane Jakob , Le risposte sono cortesi, ma secche
e telegrafiche. Come quando fioccano le (prevedibili) domande sugli USA
post-attentati, sulla politica estera di Bush e sulla guerra in Iraq. Non
che altrimenti il ragazzo dispensi risposte molto più articolate. Ma così è
se vi pare, e la sua non sembra spocchia quanto sincera riservatezza, dopo
tutto.
Difficile tirarlo fuori dal guscio, Dylan Jr. "Se mi fanno piacere i Grammy
e i milioni di copie vendute? Certo, è come ricevere delle pacche sulle
spalle per il buon lavoro svolto, e poi vendere tanto significa raggiungere
milioni di
persone. Il successo, inoltre, ci ha anche garantito maggiore libertà
artistica". Diventerà attore? Con quella faccia, potrebbe permetterselo?
"Mai dire mai. Ma per il momento trovo già abbastanza duro recitare nei
videoclip...". Veste ancora Armani? "Certo, io e gli altri ragazzi della
band nutriamo grande stima nei suoi confronti". E i suoi gusti musicali?
"All'età di 12-13 anni ascoltavo i Clash, i Jam e gli X. Poi, da loro, sono
risalito alle fonti: i Beatles, Lee Dorsey, il reggae". E le canzoni di suo
padre? Jakob scuote la testa e cambia discorso.
Fonte > rockol, ottobre 2002
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Il ritorno di Leonard Cohen
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I GRUPPI "MITICI".......
Chicago- Gimme Some Lovin' "Live" 1982
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Domenica 26 Ottobre 2008
ROY ORBISON
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Sabato 25 Ottobre 2008
SET LIST:Victoria, British
Coumbia - Save On Foods Memorial Centre - October 23, 2008
1. Rainy Day Women #12 & 35 (Bob on guitar)
2. Man In The Long Black Coat (Bob on keyboard)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard)
4. Girl Of The North Country (Bob on keyboard)
5. High Water (For Charlie Patton) (Bob on keyboard, Donnie on banjo)
6. Chimes Of Freedom (Bob on keyboard)
7. 'Til I Fell In Love With You (Bob on harp)
8. A Hard Rain's A-Gonna Fall (Bob on keyboard, Donnie on electric mandolin)
9. Honest With Me (Bob on keyboard)
10. Just Like A Woman (Bob on acoustic guitar)
11. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding) (Bob on keyboard, Donnie on banjo)
12. Beyond The Horizon (Bob on keyboard and harp)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard, Donnie on viola)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)
(encore)
16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard and harp)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)
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REVIEW : Victoria, British
Columbia - Save On Foods Memorial Centre - October 23, 2008
Date a Bob Dylan il Nobel per la letteratura ! Dateglielo
ORA!
Le parole di queste canzoni-poesie evocano questa reazione. Questo dice la
gente.
I soggetti sono attuali e senza tempo , è ora di darglielo.
Lo show è stato superbo. Avendo visto pochi shows in passato , questo devo
dire che è partito alla grande con Bob e la sua band.
“Rainy day women” eccitante e solida. Il suono era buono per una grande
arena da hockey e le parole erano chiare.
“Stuck inside of Mobile” è sempre presentata bene e stasera non ha fatto
eccezzione.
Il nuovo arrangiamento di “North Country Fair” è stato bello e la gioia
delle parole lo completava.
Il banjo in “High water” era in primo piano e metaforico.
La stessa cosa quando Dylan ha cantato “Chimes of freedom” , “Hard rain” e
“It’s alright mama”, e le politiche , la libertà e il terrore di una nuova
guerra sono state presentate come l’odierna urgenza del mondo.
Dylan e la band hanno dato “big times rock”. “ Honest with me” , “Highway
61” e “Thunder on the mountain” hanno scioccato il pubblico dalla testa ai
piedi.
A volte sembrava ci fosse un’aritmia che poteva essere sistemata nel sistema
circolatorio del cuore, ma era tutto ben ascoltabile e suonato con
precisione.
Il meglio è stato durante “Just like a woman” quando Dylan ha avuto problemi
con la sua tastiera che ha dovuto lasciare per permettere ai
tecnici di palco di intervenire.
Per “Just like a woman” ha suonato la chitarra e con quella si è animato ed
era evidente che l’aveva fatto per noi.
Alla fine di “Highway 61” si è tolto il suo cappello bianco rivolgendolo al
pubblico.
“Beyond the horizon” era un pò scombinata nel suono , ma il cantato è stato
grande.
La mia più recente favorita è “Ain’ìt talkin” e stasera è stata veramente
una gemma.
Gli encore sono stati “LARS” e “All alongthe watchtower” , ambedue suonati
con finezza.
In “All along” , alla fine delle strofe , Dylan ha allungato le mani verso
il pubblico diverse volte , facendo coppia con un elegante movimento dei
piedi ed il piegamento delle ginocchia , è stato un Dylan in grande
spolvero.
Non molti possono essere rock come questa band. Più importante , le parole
erano messe in risalto nel contesto della musica da una band eccellente.
by Jerry Tenenbaum & Lucretia van den Berg
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Jakob Dylan: ‘Mio padre era così affettuoso’
Jakob Dylan ha rilasciato un’intervista al New York Times
in cui ha parlato del suo rapporto con il celebre padre, Bob Dylan. “Era un
papà affettuoso”, ha raccontanto il musicista. “Veniva a tutte le partite di
baseball quando ero piccolo”. (Fonti: Quotidiano Nazionale, Corriere della
Sera)
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Jakob Dylan racconta il suo nuovo album e la fatica di
essere un figlio d'arte
Jakob Dylan, figlio ventinovenne di Bob, ha pubblicato il
suo primo album solista: "Seeing things" (vedi News).
Il genere musicale è quello ereditato dal padre, il folk, anche se "lui ora
pensa molto più al rock' n' roll, così non gli faccio molte domande", come
ha raccontato l'ex Wallflower.
Dylan junior è soddisfatto del suo lavoro, realizzato in collaborazione con
il produttore Rick Rubin: "Ho pensato che fosse la persona giusta per questo
particolare disco, del resto chiunque vorrebbe lavorare con lui", ha
spiegato.
Jakob ha poi parlato anche di un'altra collaborazione, quella che lo ha
portato a incidere una cover di "Gimme some truth" con un figlio d'arte come
lui, Dhani Harrison, pargolo dell'ex Beatle George.
"Stavo lavorando a questo pezzo che mi avevano chiesto di fare nel tributo a
Lennon per il Darfur", ha raccontato il giovane Dylan, "Dhani e io siamo
amici, è un bravo cantante, e l'unica ragione per non invitarlo sarebbe
stata proprio il dover sopportare la cosa dei 'figli di'... ma lui è
bravissimo, così lo abbiamo fatto".
L'ipotesi di realizzare una cover di suo padre Bob resta invece per ora solo
una lontana possibilità: "Forse qualcuno prima o poi me lo chiederà,
vedremo". (Fonti: La Repubblica e Corriere della Sera)
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Tom Waits intervista sé stesso: ‘Siamo scimmie con
soldi e pistole’
Che Tom Waits fosse una persona originale era risaputo, ma
nonostante ciò non smette di sorprendere: l’artista (che sarà a Milano a
luglio, vedi News) ha intervistato sé stesso sul blog della sua etichetta,
la Anti.
Tra le domande che Waits si pone ce n’è una sui suoi prossimi concerti, che
anticipa così: “Ho una band stellare. Suonano con la precisione di una
macchina da corsa e sono tutti prestigiatori. Con loro faccio canzoni che
non ho mai osato fare fuori dallo studio”.
Nel corso dell’auto-intervista, Tom stila anche una classifica dei suoni che
preferisce: al primo posto ricorda un nastro bagagli asimmetrico, seguito
dalla voce dei predicatori di strada, le gru di Manhattan, la voce della
moglie quando canta, cavalli e treni in arrivo, i bambini all’uscita da
scuola e molti altri.
L’ultima questione sulla quale Waits si interroga è questa: cosa non va nel
mondo? “Siamo sepolti dal peso dell’informazione che molti confondono con la
conoscenza. Siamo scimmie con i soldi e la pistola”.
(Fonte: Corriere della Sera)
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Onore a Tom Waits, consegnate le chiavi di El Paso in
Texas
A Tom Waits, californiano, sono state donate le chiavi di El
Paso, Texas. L’onore, non più particolarmente frequente, affonda le proprie
radici in epoca medievale ma viene reso anche da città che in quel periodo
storico non esistevano. Come appunto El Paso, fondata nel 1659 dai
conquistadores spagnoli. L’onorificenza è stata tributata all’artista
durante il suo concerto al Plaza Theatre e, a quanto pare, Waits non sapeva
che l’avrebbe ricevuta. A un certo punto sul palco è salito un poliziotto in
uniforme e, subito dopo, Susie Boyd del Consiglio comunale. La Boyd ha
conferito a Tom una targa alla quale erano attaccate le chiavi della città.
Waits è parso sinceramente sorpreso e ha detto: “E’ la prima volta che
ricevo una cosa simile, davvero la prima volta”.
(fonte : rockol.it)
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Ieri era il compleanno di Bill Wyman , tanti auguri da
Maggie's Farm
24 Ott 1936 - Nasce Bill Wyman, ex bassista dei Rolling
Stones, part-time leader dei Rhythm Kings.
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Ray Manzarek al Daily Mail: 'Jim Morrison è vivo e abita
alle Seychelles'
Una boutade estiva tanto per non dare la solita risposta alla
solita domanda? Probabile, ma la dichiarazione rilasciata da Ray Manzarek al
Daily Mail vale comunque una segnalazione: secondo l'ex tastierista dei
Doors il leggendario Jim Morrison, "ufficialmente" scomparso a Parigi nel
1971, sarebbe ancora vivo. Il cantante, che prima di trasferirsi in Francia
avrebbe confidato all'amico l'intenzione di inscenare la propria morte per
sfuggire alla notorietà, oggi sarebbe - sempre secondo Manzarek - residente
alle Seychelles.
(Fonte: Corriere.it)
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Venerdi 24 Ottobre 2008
...ARE TIMES A-CHANGIN'?
L'intervista con Toni Nardo
di Mr.Tambourine
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La risposta soffia nella Bibbia
Le Sacre Scritture come pre-testo della canzone americana
popolare e d'autore
di Luca Miele
"Il re ordinò che fossero legati / e gettati nella fornace ardente". Il re
di cui si parla è Nabucodonosor, la fornace attende chi non adorerà "l'idolo
d'oro". Siamo dinanzi ai versi di una canzone di Johnny Cash, The fourth
Man. La fornace ardente a cui allude il testo (fiery furnace), prima di
essere un luogo comune del romanzo americano, le cui tracce sono tanto nel
melvilliano Moby Dick che nei racconti di Hawthorne, è estrapolata da un
brano biblico. Per narrare la sua personale (e sofferta) redenzione, Cash
sceglie di interpretare un passo del profeta Daniele. Come è accaduto a
Sadrach, Mesach e Abdenego nel passo biblico, Cash sente di avere camminato
nelle fiamme e di esserne uscito, soccorso da un misterioso "quarto uomo".
Quello del corpo a corpo con le Sacre Scritture non è solo la cifra poetica
del cantante scomparso nel 2003, ma un tòpos ricorrente nella canzone
popolare americana. Mediata dal grande patrimonio afroamericano dei gospel,
nel quale il cristianesimo ha riversato il suo patrimonio figurale,
lessicale e simbolico, la canzone Usa ha attinto a piene mani dal testo
biblico, spingendosi in alcuni casi fino alla citazione letterale. Insomma
se c'è un pre-testo che percorre l'intero mondo della canzone americana,
popolare e d'autore, è proprio la Bibbia. La Bibbia ha fornito immagini,
simboli, un intero linguaggio, come si addice a un testo fondativo, ad
alcune delle più significative voci americane.
Questa appropriazione è rintracciabile anche in personalità che la critica
ha sempre dipinto come distanti dalla fede. Come Woody Guthrie, una delle
figure più intense del panorama musicale americano, cantore dei diseredati,
delle vittime della Grande depressione, degli esclusi dal sogno americano.
Ebbene Guthrie intitola una canzone a Gesù (Jesus Christ), nella quale
attinge ai Vangeli con grande attenzione filologica per fare del suo
personale Messia un'incarnazione della lotta per la giustizia. Gesù, canta
Guthrie, "aveva viaggiato in lungo e largo" (Matteo, 8, 20 e Luca, 9, 58),
era un falegname (Marco, 6, 3), venuto "a portare non la pace, ma la spada"
(Matteo, 10, 34), il cui insegnamento è di dare tutto ai poveri (Matteo, 19,
21; Marco, 10, 21; Luca, 18, 22). E la convinzione che "i poveri un giorno
erediteranno il mondo", espressa nel brano, trova la sua base scritturale
nel Discorso della montagna.
Chi è profondamente debitore del mondo poetico di Guthrie è Bruce
Springsteen al quale si deve una riscrittura del personaggio di Tom Joad,
protagonista del romanzo Furore di John Steinbeck, già cantato dallo stesso
Guthrie. La produzione di Springsteen è disseminata di simboli, motivi e
citazioni bibliche, in particolare per dire la salvezza e l'ansia di
redenzione. Il tragitto che nella sua ormai trentennale carriera Springsteen
fa descrivere ai suoi personaggi è infatti un progressivo abbandonare
l'oscurità per approdare in un territorio di luce. Se in un brano giovanile,
il cantante attinge all'Esodo e alle immagini del deserto per proclamare la
sua fede nella Terra promessa (The promised land), in una canzone della
maturità - Across the border - la salvezza è declinata, come ha notato
Antonio Spadaro, con le parole del Salmo 23. Ma è soprattutto nei brani di
The rising, composti dopo l'11 settembre, che il linguaggio di Springsteen
assume coloriture sempre più religiose. In The rising (il verbo to rise
significa ascendere, sollevarsi, resuscitare) un pompiere corre verso
l'alto, nelle mai nominate Twin Towers. L'uomo risponde alla "croce della
sua chiamata". Sale con un macigno sulle spalle, ha perso la sua strada
nell'oscurità per quanto è salito, non riesce a vedere nulla davanti a sé e
niente alle sue spalle, non sente nulla se non la catena che lo lega.
Incrocia facce annerite, occhi che bruciano. Si imbatte in spiriti: sono
"sopra e dietro" di sé. Il nominare gli spiriti indica qui la frattura della
realtà. Siamo ancora in questa vita? Nell'altra? Sono persone vive? Sono
anime? Quello che è certo è che siamo ormai in un'altra dimensione. Negli
attimi che precedono la morte, l'io poetico vede l'immagine "sacra" dei suoi
figli danzare in un cielo di luce. L'uomo giunge a trovarsi faccia a faccia
con "la luce incandescente del Signore". Il fuoco, che Springsteen nomina
quando canta di un "vento infuocato", è lo Spirito. Qui riecheggia la parola
biblica: lo Spirito santo è il vento (Giovanni, 3, 8) che avvampa il fuoco,
Spirito e fuoco sono una cosa sola (Atti degli apostoli, 2, 2-3). Nella sua
carriera, Springsteen ha incontrato il patrimonio musicale di un altro
storico cantore Usa, Pete Seeger, il cui brano Turn! Turn! Turn! è una
riscrittura di un passo dell'Ecclesiaste (3, 1-8).
L'autore, che più di altri ha contribuito a rivoluzionare il linguaggio non
solo musicale del rock, fino a fare esplodere i limiti della forma-canzone,
forzando i confini tra poesia e musica, rock e tradizione popolare è Bob
Dylan. Ha scritto Alessandro Carrera, "sarebbe troppo poco dire che Dylan
legge la Bibbia, cita dalla Bibbia, si fa ispirare dalla Bibbia. Dylan è
letteralmente attraversato dalla Bibbia, annega nella Bibbia e con la Bibbia
risorge alla superficie. Non c'è quasi allusione oscura nelle sue canzoni
che non sia riconducibile a un riferimento biblico". E allora, sul filo del
lavoro esegetico compiuto da Carrera, prendiamo in esame uno tra i più
celebri brani di Dylan, All along the watchtower. "C'è troppa confusione/
non riesco a trovare pace", canta Dylan. Ma di una "città della confusione"
e di una "torre di vedetta" c'è traccia in Isaia (24, 10 e 21, 5). Mentre
dell'ora che si fa tarda e del dovere di stare in guardia, come ricorda
ancora Carrera, ci si può riferire a Matteo (24, 42-43). Ancora nel testo di
Dylan fanno irruzione uno "sciacallo", l'ululato del vento, l'avvicinarsi di
due cavalieri, tutti segni della distruzione che si avvicina. Il riferimento
è alla caduta di Babilonia. I rimandi alla Bibbia sono presenti anche in
altre composizioni di Dylan. Si pensi ai celebri versi di Blowin' in the
wind nei quali è richiamata l'immagine della colomba (Genesi, 8, 8), o a
quelli di Highway 61 revisited nei quali il mancato sacrificio di Isacco
(Genesi, 22, 3) si compie sotto la minaccia di essere "deportati" lungo la
highway 61.
L'ossessione della morte e della caduta permea un brano di Tom Waits Dirt in
the ground nel quale è richiamato Ezechiele 37, 4: "Caino uccise Abele con
una pietra / il cielo si squarciò / il tuono risuonò // Potranno queste ossa
asciutte rivivere lungo un fiume di carne? / Chiedilo a un re o a uno
straccione / la risposta sarà sempre / saremo tutti / polvere nella terra".
Il "polvere sei e polvere tornerai" (Genesi, 3, 19) riecheggia anche in un
brano di Steve Earle, Ashes to ashes, apparso nel controverso album
Jerusalem, nel quale è presente anche un'allusione all'episodio della torre
di Babele (Genesi, 11, 9): "Faresti bene a tenere a mente / che ogni torre
cadrà / non importa quanto forte possa essere / un giorno ogni grande muro
si sbriciolerà / ogni idolo cadrà / Polvere alla polvere / cenere alla
cenere". In Jerusalem, un presente ingoiato dalla violenza si scioglie nella
visione escatologica, quando "il lupo e l'agnello pascoleranno insieme"
(Isaia, 65, 25).
(©L'Osservatore Romano - 22 ottobre 2008)
Grazie a Marina per la segnalazione
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"I'M NOT THERE" di Alessio
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Giovedi 23 Ottobre 2008
Rollingstone , Winona County , Minnesota
Lungo la Highway 61 , allontanandosi dal Minnesota , si
passa per due città chiamate Minnesota City e Rollingstone. La storia
comincia con un pazzo utopista ed i suoi seguaci, che presto diventeranno le
sue vittime in uno degli episodi più orrendi nella storia dello stato del
Minnesota.
La colonia di Rollingstone era un cosa piccola il partito di Donner, anche
se molto meno famosa. Inoltre ricorda un pò la storia della “Bear
Mountain Picinic Massacre” , e certamente aggiunge una nuova dimensione alla
canzone “Like a Rolling Stone”.
Nel 1851, uno stampatore di New York persause un gruppo di professionisti di
New York di unirsi a lui per fondare una comunità utopistica. Iniziarono
costruendo una piccola città ben progettata verso ovest nel clima di
promozione del nuovo territorio del Minnesota. La città doveva essere
chiamata Rollingstone.
Il Capo , partì da solo verso l'Ovest , e quando 400 persone lo raggiunsero
, furono stupiti di trovarlo accampato vicino ad una palude malsana e
puzzolente. Le donne ed i bambini si accamparono sotto una grande tenda ,
mentre gli uomini vicino ai pozzi di Gopher. Circa tre quarti di quelle
persone morirono in poco tempo per le epidemie che spazzarono la regione.
Attesa. Cominciarono a chiedersi il perchè erano venuti a vivere in quella
zona....
Ad ogni modo i superstiti fondarono Minnesota city . Un piccolo villaggio
distante due miglia è oggi chiamato Rollingstone. Stabilire in quale delle
due città si era stabilita la colonia di Rollingstone e quale erano le
relazioni fra di esse è cosa davvero difficile.
In ogni caso , sto pensando più a Bob Dylan e alla prima metà degli ammi
60’.
Sembra impossibile che un “Minnesotan” possa aver scritto una canzone
chiamata “Like a rolling stone” , che spiega cosa vuol dire
trovarsi tutto solo ed evitato da tutti laggiù nella nuova frontiera , che
l’ha messa in un album chiamato “Highway 61 Revisited” senza conoscere
minimamente la storia della Colonia di Rollingstone.
D’altra parte , molte cose reali sono ugualmente difficili da credere , e non
era certamente la prima volta che Dylan appariva così rilevante , la sua
enfatica immaginazione può far pensare che possa averlo fatto.
Potrebbe essere solo una coincidenza , ma bisognerebbe fare delle ricerche
per capire se Dylan fosse al corrente della storia di questo incidente , ma
al momento le ricerche sono ferme.
Inoltre non sò se qualcuno abbia mai chiesto a Dylan se avesse mai sentito
direqualcosa al riguardo della Colonia di Rollingstone giù sulla Highway 61.
(Fonte : Cathy Wurzer ha pubblicato un libro intitolato : Storie della strada
: Highway 61 , ne cita la storia in due pagine-
Christofer M. Johnson in un suo articolo sulla “Minnesota History” racconta
molti dettagli su come la comunità arrivò nel Minnesota.)
Dal 1841 al il 1891 più di 72.000 lussemburghesi hanno lasciato il loro
paese d'origine per emigrare in America per trovare lavoro e in cerca di
nuove terre , spinti dalla sovrapopolazione e dal loro senso dell’avventura.
Verso la metà del 1850, era possibile acquistare un biglietto in Lussemburgo
per andare a New York City con la nave, e quindi prendere il treno ,
Illinois, Milwaukee, Wisconsin, Winona e St.Paul, Minnesota. In questo
modo la prima colonia di lussemburghesi è giunta nella località fondando due
borggi che verrnno chiamati Minnesota City e Rollingstone , nel corso dei decenni successivi
diventerà uno dei più grandi insediamenti di cittadini Lussemburghesi negli
Stati Uniti d’America.
I primi coloni furono i fratelli di Hilbert Godbrange, Nick Kimmel, Stoos
Pietro, e Pietro Erpelding , Galles, Hoffmans, e Lehnertz da Heffingen.
Questi nomi sono ancora la maggioranza nelle famiglie di Rollingstone.
Prudenti, frugali, stretti nella loro la Comunità profondamente religiosa;
molto presto dopo il loro arrivo, i piccoli negozi e magazzini del villaggio
di Rollingstone cominciarono a sorgere lungo la Main Street, e una chiesa in legno
fu eretta come un simbolo del profondo legame dei lussemburghesi al
cattolicesimo romano.
Ancora oggi a Rollingstone ci sono persone che parlano la lingua
lussemburghese. Alcuni cittadini celebrano ancora il Giorno di San Nicola. E' consuetudine che alla vigilia della Festa di San Nicola, 6 dicembre, "St
Nick" porti ai bambini sacchetti di caramelle, noci , mandorle e frutta.
Un'altra tradizione è la cena lussemburghese nel mese di gennaio in cui una
Festa di “tripen” (salsiccia di sangue) e di altri prodotti alimentari del
Lussemburgo sono serviti. I residenti sono 657 , e Rollingstone è
considerato il più piccolo villaggio della contea di Winona , Minnesota.
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Canzoni di Dylan e Springsteen citate dall’Osservatore
Romano
clicca qui
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LIVE 1966: THE ROYAL ALBERT HALL CONCERT
Bob Dylan - Columbia (CD)
Con il passare degli anni anche il rock, come il jazz, inizia ad avere i
suoi momenti di storia negli archivi, le sue incisioni epocali che vengono
fuori alla distanza, oppure anche e semplicemente i suoi concerti storici.
Dello show tenuto a Londra da Dylan il 17 maggio 1966 si diceva fosse il
bootleg più famoso di tutti i tempi, e non solo per la qualità della musica
in esso contenuta. "Live at the Royal Albert Hall" immortala un momento di
passaggio di Dylan, tanto artistico che creativo: non bisogna dimenticare
infatti che è da Newport 1965 che l’artista si propone al pubblico con le
chitarre elettriche e una formula rock che trova scontenti i fanatici e i
puristi del folk, dopo un avvio di carriera riservato alla chitarra
acustica. All’interno di questo album potrete ascoltare l’indisponenza del
pubblico, che lo fischia e gli grida "Giuda", e Dylan di rimando dire al
microfono: "Non vi credo, siete dei bugiardi". Ma il 1966 è un anno
importante anche per un altro motivo: è l’anno in cui esce "Blonde on
blonde", un epico doppio album che mostrava al mondo quanto la creatività e
la poesia di questo album mettessero Dylan su un altro pianeta rispetto al
resto dei propri contemporanei. E’ l’anno alla fine del quale Dylan - in
fase di rinnovo contrattuale - avrà un pauroso incidente motociclistico dal
recupero del quale nasceranno i nastri di un altro disco epocale, "The
basement tapes", realizzato in compagnia di The Band. Proprio il gruppo di
Rick Danko e Robbie Robertson, con il nome di Hawks, accompagna Dylan nella
parte elettrica di questo live alla Royal Albert Hall. Insomma, quel 1966 è
una sorta di storico crocevia per Dylan e per il suo immacolato songwriting,
che su questo doppio dal vivo da una bella, anzi egregia, prova di sé. Come
le "Sun sessions" di Elvis, come il "Black album" di Prince, un’altra pagina
di storia ha trovato finalmente il suo posto sugli scaffali.
Tracklist:
CD1 - acoustic set
1. She belongs to me
2. 4th time around
3. Visions of Johanna
4. It’s all over now baby blue
5. Desolation row
6. Just like a woman
7. Mr. tambourine man
CD2 - electric set
1.Tell me mama
2. I don’t believe you
3. Baby let me follow you down
4. Just like tom thumb’s blues
5. Brand new leopard skin pill box hat
6. One too many mornings
7. Ballad of a thin man
8. Like a rolling stone
(fonte : rockol.it)
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Leonard Cohen ebreo con l´anima zen
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__________________________________________________________________ SCRIVEVANO.......
50 anni di Rock Cinquant'anni
di rock: per sempre giovane Da Bill Haley agli U2, in mezzo Beatles, Stones,
Pink Floyd, Clash, Springsteen... In 170 pagine con immagini inedite
dei grandi strumenti.
All'inizio fu Bill Haley. E alla fine, oggi, tutti gli devono qualcosa. Quel
brano con i suoi Comets, Rock Around The Clock, nel 1956, aprì la strada
della nuova musica. Un po' copiata (o «rubata») ai neri, un po' rivista e
corretta per essere accettata dal pubblico bianco e giovane, comunque già
allora capace di essere (e assorbire in sè) tutto e il contrario di tutto.
Il rock compie mezzo secolo, cinque decadi in cui, accomunati da un'unica
storia, troviamo Bob Dylan e i Ramones, i Beatles e i Pink Floyd, i Rolling
Stones e Prince, Ray Charles e Bruce Springsteen. Stili e forme diverse,
influenze soul e R&B mescolate al folk e al country, glam o hard rock
accanto al progressive, il punk distruttivo e la psichedelia.
L'Europeo in edicola in questi giorni, con le scelte di articoli e testi
coordinate da Riccardo Bertoncelli, racconta la storia di questi 50 anni
attraverso i personaggi-simbolo che ne hanno scritto le pagine musicali più
memorabili. E soprattutto con una serie di bellissime foto in bianco e nero,
quasi sempre scattate nei momenti privati, fuori dalle sale d'incisione o
dai luoghi dei concerti. Ci sono i Beatles durante le riprese di «A Hard
Day's Night», i Led Zeppelin nei camerini, gli Stones in una villa Costa
Azzurra, Bob Dylan con il figlio Jesse nella casa di Byrdcliffe, James Brown
con i soldati americani durante la guerra in Vietnam, Crosby Stills & Nash,
insieme a Joni Mitchell in auto a Los Angeles. Le date del racconto de
l'Europeo coprono l'arco di cinque decenni in cui la musica che sembrava
destinata a essere una moda giovanile effimera è diventata adulta e, ora,
persino «anziana» se si considera l'età di protagonisti come gli Stones,
ultrasessantenni, che ancora affrontano tour mondiali e registrano album di
puro rock 'n' roll. Tra chi non c'è più, come Jim Morrison, Janis Joplin,
Jimi Hendrix, e chi è sopravvissuto a eccessi e droghe riuscendo a diventare
un mito vivente, rimane la sensazione, anche visiva, che il meglio sia stato
scritto tra la metà degli anni Sessanta e la metà dei Settanta. Ma anche che
il rock è capace ogni volta di smentirci e di rinascere, alla faccia di
quanti ne decretano periodicamente la fine. A prescindere dagli interperti,
questa musica realizza l'auspicio di una delle più famose canzoni di Dylan:
per sempre giovane, anche a cinquant'anni compiuti.
(fonte : corriere.it)
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I GRUPPI "MITICI".......
The Yardbirds - For your love ( il chitarrista è Jeff Beck
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Mercoledi 22 Ottobre 2008
Domani sera riparte il neverending tour
October 23, Victoria, British Columbia -- (Thursday)
Save On Foods Memorial Centre
Showtime: 7:30 PM
Capacity: 7,400
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Dylan può permettersi di fare quello che vuole
E' indecifrabile, Bob Dylan. Lo è stato sempre, e anche
quando usa parole semplici e dirette in realtà è un'apprenza, si tratta di
fumo negli occhi di chi gli sta davanti. Così il titolo dell'ultimo disco di
studio, “Modern times”, suona come una beffa bella e buona.
Perché non c'è nulla di moderno in lui, che fa dischi quando gli pare (è il
primo lavoro di studio da “Love and theft”, 2001; lui che va sempre in tour
senza mai smettere; lui che ultimamente si veste come una via di mezzo tra
un cowboy e un signore del sud degli Stati Uniti. Non c'è nulla di moderno
in Dylan, che anticipa l'uscita del disco con un'intervista a Rolling Stone
in cui spara a zero sulla musica odierna, rea di saturare di troppi suoni
ogni canzone, condendo il tutto con un sarcastico commento sulla musica
digitale (più o meno: “si fa bene a scaricarla gratis, tanto non vale niente
comunque...”).
Ha ragione Dylan, a dire che oggi la musica è troppo “carica”; dall'alto
della sua statura si può anche permettere un'anacronistica nostalgia del
vecchio e caldo vinile, opponendolo al freddo digitale (una vecchia
polemica, a suo tempo portata avanti anche da colleghi altrettanto illustri
come Neil Young). Dylan si può permettere qualsiasi cosa, finchè farà dischi
come questo.
“Modern times” non è un disco né moderno, né d'altri tempi: è semplicemente
senza tempo. 10 canzoni che potrebbero essere state scritte da 1 giorno come
da un secolo, per come veleggiano agili tra le diverse radici e i diversi
suoni dell'America: c'è di tutto, qua dentro, dal blues al rock, dal jazz al
country. E sopratutto c'è una leggerezza incredibile, un suono volutamente
essenziale e scarno, ma pulito e preciso, molto di più che in “Love and
theft” e “Time out of mind”: ecco riemegere le belle contraddizioni
dell'uomo, che da un lato disprezza il suono moderno, ma poi sfrutta al
meglio e a suo modo le moderne tecniche di registrazione.
A fare grande Dylan, come al solito, sono le canzoni, davvero senza tempo:
come hanno notato quelli di Billboard, brani come il blues “The levee's
gonna break” (“L'argine sta per cedere”) potrebbero parlare della recente
tragedia di New Orleans come di un'inondazione d'inizio secolo. E anche
quando parla apertamente del giorno d'oggi (la citazione di Alicia Keys
nell'iniziale "Thunder on the mountain”, che Dylan dice di avere cercato e
inseguito fino nel Tennessee) non lo si può prendere troppo sul serio. Sono
canzoni belle non tanto per i testi (è difficile astenersi da una recesione
sulle parole, quando si tratta di Dylan, e non dubitiamo che questo è
l'esercizio in cui si cimenterà la maggior parte dei critici), ma per
l'insieme di parole, musica e interpretazione. Ed è bello, per una volta,
notare che Dylan non calca troppo la mano nel rendere la sua voce
insopportabile: a parte alcuni casi (il tono mooolto nasale di “Spirit on
the water”) sembra quasi concedere al suo pubblico un timbro riconoscibile e
familare.
Insomma, un Dylan in forma, sopratutto nelle ballate come la finale “Ain't
talkin'”, dilatata all'inverosimile (quasi tutti i brani sono oltre i 6
minuti, nessuno è inferiore ai 5). Un Dylan che può davvero permettersi
quello che vuole, e non per la sua storia, ma per quello che fa oggi.
di Gianni Sibilla (fonte : rockol.it)
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Arthur Rimbaud ... da allora la poesia non è più la
stessa
Smise di scrivere a soli ventuno anni dopo aver fatto a pezzi
la poesia intesa in senso tradizionale. L'armonia, la rima, il ritmo, dopo
di lui non hanno più senso. La parola e il verso divengono simbolo,
significante dell'ignoto che alberga nell'animo; il poeta assume il ruolo
di rivelatore, di veggente. La vita sregolata, gli eccessi, l'oppio,
l'omosessualità nella relazione con Verlaine, gli attacchi sferzanti e
dissacranti contro i maggiori intellettuali del tempo fanno di questo poeta
maledetto l'antesignano della letteratura del Novecento.
Arthur Rimbaud è colui che ha inventato la nuova poesia. (Giulio P.)
"Un hydrolat lacrymal lave
Les cieux vert-chou:
Sous l’arbre tendronnier qui bave,
Vos caoutchoucs"
"Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il poeta si fa
veggente attraverso una lunga, immensa, ragionata sregolatezza di tutti i
sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca se stesso,
esaurisce in se stesso tutti i veleni per serbarne la quintessenza,
ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la sovrumana
forza, e dove diventa il gran malato, fra tutti, il gran criminale, il gran
maledetto, e il supremo Sapiente! Infatti giunge all'Ignoto! Poiché ha
coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Giunge
all'Ignoto. Egli ha un incarico dall'Umanità, dagli animali anche: dovrà far
sentire, palpare, ascoltare le sue scoperte. Se quel che riporta di laggiù
ha una forma, dà una forma: se è informe dà l'informe..." (Arthur Rimbaud
... da "La lettera del veggente").
giulio65
(fonte : .bloog.it)
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Gli anni 60' non erano solo belle canzoni
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Milano : Rock'n music planet
Aperta in una struttura di acciaio e vetro in piazza
Duomo, a Milano, il Rock'n'Music Planet, la mostra con la più grande
collezione d'Europa di memorabilia del rock'n'roll, da Elvis Presley a
Woodstock, dal Live Aid ai giorni nostri.
Aperta tutti i giorni, fino al 15 marzo, dalle 10 alle 22, l'esposizione
presenta la collezione di Red Ronnie: strumenti, locandine, autografi,
poster, oggetti, foto, riviste, interviste video, vestiti, ma anche poesie
di chi ha fatto la storia del rock. L'esposizione, che comprende 30 opere di
Marco Lodola, si snoda tra pezzi unici come le chitarre di Jimi Hendrix,
George Harrison e Kurt Cobain, i testi di Jim Morrison, gli scritti di John
Lennon, la batteria degli Animals o l'armonica di Bob
Dylan, senza dimenticare i grandi appuntamenti benefici organizzati da
Geldof e Pavarotti.
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SCRIVEVANO.......
BOB DYLAN, LA ' RECHERCHE'
Repubblica — 31 ottobre 1992 pagina 25 sezione: MUSICA
PER celebrare in qualche modo questi prodigiosi trent' anni di musica, come
è nel suo stile, Bob Dylan ha scelto la strada più dimessa, meno
trionfalistica. Il nuovo album "Good as I been to you" (ed. Columbia) è un
romantico, alieno, anacronistico invito ad uscire dai suoni della nuova era
tecnologica, a ripensare alle origini, all' innocenza e alla purezza del
blues e delle canzoni folk che sono alla base di tutta la odierna musica
popolare. Per la prima volta nella sua eccentrica carriera Dylan ha inciso
un intero disco di canzoni non scritte da lui. Lo aveva fatto in parte
proprio trent' anni fa, nel suo primo disco, poi lo aveva fatto in modo
sublime e burlesco in alcuni episodi di "Selfportrait", vedi la sua languida
e decadente "Blue moon", e in altre sparute occasioni. Ma questa volta è un
vero e proprio progetto, intero, coerente, tutto dedicato al blues e al
folk, registrato praticamente in casa, senza alcun apporto fuori della sua
stessa chitarra e della immancabile armonica, e cantato alla maniera
attuale, con una voce che spiazza, che crea strane e inquietanti
contromelodie. Quando un artista del calibro di Dylan compie un passo del
genere può voler dire molte cose. Se l' amaro e arduo "Nebraska" era stato
per Springsteen l' occasione di ritrovare se stesso, di uscire dal clamore
della pazza folla, per esprimere cupezze e misere storie in totale libertà,
per Dylan sembra essere piuttosto un richiamo alle origini, una sorta di
recherche delicata e amorosa, non priva di asperità, ma anche sentimentale,
giocosa, a suo modo musicalissima. E poi quelle di Springsteen erano canzoni
nuove, mentre per Dylan appunto c' è la ricerca e l' esecuzione di un
materiale antico, anche se poco conosciuto, e per nulla scontato. Non
sarebbe stato da Dylan proporre le più celebri ballate folk. La raccolta è
suggestiva anche perché propone pezzi tutti da scoprire, e unicamente
attraverso richiami emotivi e poetici. L' album, scarno, con una foto di
copertina sulla quale Dylan mostra per intero i suoi cinquanta e più anni,
non offre alcuna indicazione, nessuna didascalia per poter rintracciare la
storia di questi pezzi, né tantomeno i testi. La più nota è certamente
"Sittin in the top of the world", un blues di Chester Burnett a suo tempo
inciso dai Cream e cantato da Jack Bruce. Poi c' è una bellissima "Hard
times" vecchio pezzo folk che non va confuso con la omonima canzone di Ray
Charles. Tra le più curiose c' è "Froggie went a courtin", la più buffa di
queste canzoni, quella che chiude l' album, una specie di filastrocca
popolare che ha origini inglesi, risalenti al sedicesimo secolo, poi
trasferita e mutata in terra americana, ed è una di quelle canzoni che
sfruttano in metafora il mondo animale, alla maniera della "Vecchia
fattoria". Altro pezzo molto antico, di origine scozzese e poi rielaborato
in Texas e Oklahoma, è "Black jack Davy". Ritorna in questi brani il
sentimento della frontiera, come in "Diamond Joe", un brano della fine dell'
ottocento in cui si racconta di un famigerato padrone terriero texano
chiamato Diamond Joe perché "porta tutti suoi soldi in diamanti incastonati
sui denti", al quale il malcapitato lavoratore lancia l' ultimo augurio:
"quando mi chiameranno in paradiso l' ultima cosa prima di andarmene: date
le mie coperte ai miei compagni e le pulci a Diamond Joe" (la traduzione è
tratta da "Canzoni e poesie proletarie americane" a cura di A. Portelli).
Sembra che Dylan, più che un' operazione ideologica, abbia voluto incidere
un suo profondo atto d' amore per canzoni che sono state alla base della sua
formazione e che forse sono nella sua testa da moltissimi anni. E in questo
atto d' amore svolge di fatto una professione di fede verso valori, o meglio
antivalori, che erano alla base della civiltà americana. Pochi come Dylan
hanno saputo cantare il rovescio amaro del sogno americano, e in questo
disco ci ricorda che la sua vena poetica, pur diventata in seguito
universale, planetaria, generazionale, affonda profondamente le sue radici
in questi brani antichi, ai quali peraltro i pezzi di Dylan assomigliano
molto. E come altro celebrare meglio trent' anni di carriera? Del resto è lo
stesso Dylan che al concerto del trentennale, dopo che tutto il mondo del
rock aveva cantato i suoi pezzi, se n' è uscito con "Song to Woody",
ricordando umilmente il suo primo e più importante maestro. Come può
risultare oggi un disco così scarno, acustico, essenziale, senza il minimo
orpello? Difficile dirlo, forse una provocazione, forse una sfida, di sicuro
un' autorevole affermazione di sapori e tematiche antiche che sono state da
sempre la linfa della cultura folk e rock, e forse oggi troppo trascurate,
se non ce lo venisse a ricordare proprio il "vecchio" Bob Dylan.
di GINO CASTALDO
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Martedi 21 Ottobre 2008
Vintage chronicles
Una foto nel vicolo con i poeti Beat Volevano Dylan, ma
lui si sentiva fuori posto
Ginsberg e McClure lo seguivano nei concerti A New York in visita da Warhol
che gli regalò una serigrafia
Anticipiamo alcuni brani tratti da Down the Highway di Howard Sounes che
uscirà da Guanda alla fine di agosto con il titolo Bob Dylan - Una
biografia. Per la domenica successiva era previsto un raduno di poeti alla
City Lights di Ferlinghetti, sulla North Beach di San Francisco, e Keenan
avrebbe fotografato l' incontro. Voleva fare delle foto anche a Bob, il
quale promise che ci sarebbe andato: pensava che una foto che lo ritraesse
insieme ai beat potesse essere una buona idea per la copertina del nuovo
disco. Quella domenica, a mezzogiorno, un variegato insieme di poeti e
perdigiorno si radunò fuori dalla City Lights in Columbus Avenue, per farsi
fotografare per un evento che venne battezzato «L' Ultimo Raduno dei Poeti
Beat». Il giornalista Leland Meyerzove arrivò in ambulanza e si sdraiò sul
canale di scolo del marciapiede. Ginsberg era accompagnato da due ragazzi.
Ferlinghetti - vestito all' araba e con un ombrello anche se non pioveva -
azionò un allarme antincendio. Quando il camion dei pompieri girò l' angolo,
a sirene spiegate, il gruppo dei poeti, fino ad allora piuttosto mesti, si
ravvivò. «I pompieri balzarono giù dal camion, ma gli dissero che non era
successo niente, e così andarono via» racconta Ferlinghetti, ridacchiando.
Quando arrivò Bob insieme a Robbie Robertson e, cosa rarissima, Sara, che
era venuta a San Francisco per stare con il marito per qualche giorno,
scoppiò un pandemonio. «Ehi, Bob, vieni qui. Fai la foto insieme a noi», gli
dissero i poeti. Bob e il suo entourage li superarono, entrarono nella
libreria e scesero nel seminterrato. «Dylan, nella sua infinita saggezza,
non voleva che quella diventasse una foto con Dylan. Voleva che fosse una
foto dei beat» asserisce Keenan, che li seguì nel seminterrato prima che
chiudessero la porta. «Gli piacevano i beat. E mentre siamo lì nel
seminterrato, da fuori cominciano a battere sulla porta e a gridare che
vogliono Dylan». Dal seminterrato riuscirono a rifugiarsi in un vicolo,
passando da una porta sul retro, e lì Bob si fece fotografare con
Ferlinghetti, Ginsberg e McClure. Sulla sinistra, piuttosto a disagio e con
l' aria di uno che non avrebbe voluto trovarsi lì, c' era Robertson, che di
sicuro si chiedeva cosa avrebbero detto quelli del suo gruppo. «Non si
sentiva un poeta e pensava di essere fuori posto» dice McClure. Dopo i
concerti nella Bay Area, Bob invitò Ginsberg e McClure ad accompagnarlo nel
sud della California. Viaggiavano sul camper di Allen, guidato dal suo
amante, il poeta Peter Orlovsky. Gli Hawks si spostavano a bordo della
«Volkswagen del cielo». Bob aveva dato a Ginsberg i soldi per comprare un
registratore, e Ginsberg si era offerto di andare tra il pubblico per
registrare i commenti dei fan. Bob fu compiaciuto quando Ginsberg gli portò
le prove che almeno alcuni apprezzavano quello che stava proponendo. Era un
piccolo incoraggiamento dopo le recensioni spesso ostili della critica.(...)
Mentre era a New York, Bob andò a visitare la Factory di Andy Warhol.
Avevano amici in comune, tra cui la cineasta Barbara Rubin - la donna che
massaggia la testa a Bob sul retro di copertina di Bringing It All Back Home
- e la modella Edie Sedgwick. Bob accettò di andare a vedere un' anteprima
di uno dei film underground di Warhol. «Andy faceva sempre la parte del
fan», asserisce Gerard Malanga. «Perciò quel giorno alla Factory era un fan
di Bob Dylan: "Oh, Bob Dylan viene alla Factory! Oh!"». Warhol di solito era
riluttante a regalare le sue opere d' arte, ma voleva fare buona impressione
su Bob, il quale si divertiva a cercar di capire cosa poteva ottenere dall'
artista. «Si giravano intorno in una specie di balletto ansioso», ricorda
Malanga. «Chi avrebbe ottenuto cosa dall' altro?». A vincere il gioco fu
Bob, che uscì dallo studio con una delle serigrafie di Elvis Presley.
Aiutato da Neuwirth, Bob la fissò al tettuccio della sua station wagon e
andò a Woodstock. L' impressione era che Bob avesse spinto Warhol a
regalargli la serigrafia (lui poi si era affrettato ad accettarla) ma, una
volta a casa, Dylan mise bene in chiaro che gli faceva schifo. Gli ospiti di
Hi Lo Ha lo videro manifestare il suo disprezzo in vari modi. Arrivò
addirittura - e sembra che Warhol fosse venuto a saperlo - ad appenderla al
contrario e poi a chiuderla in un armadio. La mostrò anche a Sally e Albert
Grossman. «Non voglio questa roba», disse loro. «Perché me l' ha data?». Bob
disse che lui e Sara volevano qualcosa di «utile» per la casa e così fecero
un accordo. I Grossman gli diedero un divano e lui cedette la serigrafia.
Quando lo scoprì, Warhol ne fu mortificato. Ma questo scherzo si ritorse
contro Bob perché, nel 1988, Sally Grossman ha venduto l' opera all' asta
per 720.000 dollari.
Sounes Howard
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Nessuna Nobiltà - di Dario Greco a.ka. PdC79
Chiedono pietà al mondo e chiederanno perdono / Strisciando.
Le informazioni corrono frenetiche sulla Rete. Sfreccia una moto di grossa
cilindrata e la sua scia crea un rombo di vacuità. Soltanto la mia mente che
non regge i colpi duri, non più…
(In quella stanza) C’era un silenzio capace di spaccare i vetri e far
vibrare le molle di un umido materasso ai confini del mondo e del mio
periferico universo. Reprimo un breve sospiro e metto in tasca un accendino,
ne avrò bisogno in questa notte di vaselina e candore.
E’ come se la mia anima cruda vagasse in giro, senza il mio permesso. Ogni
cosa avanza nella notte sorretta dall’oscurità Un ambiguo senso di vuoto ci
rende liberi e prigionieri nello stesso tempo e io mi ritrovo solo su questa
strada a contemplare i barbagli della notte…
Tutto è consumato, anche il tuo destino (*). Troverò risposte in ogni
fessura e m’infilerò con vigore investigativo. Soltanto la mia anima
lasciata a bruciare in questa notte di falò meridionali. Solo il solitario,
solo il mio corpo spento e appagato. Anime sudate su un patibolo lenitivo.
Il mio corpo non conosce redenzione ma la tua lingua mi colpisce più della
tua frusta.
Ho provato a far vibrare ancora questo cuore e a schivare ogni pallottola
argentata, in questa notte di delirio umorale/ Il tuo corpo brucia, il tuo
corpo mi è caro, ma il profumo è mutato, come la mia anima. Pietà per i
deboli e per questa spada spuntata. Mai stato risoluto/ Mai cercato verità
in fondo alla mia schiena, ma c’è sempre una prima volta e si è vergini solo
per un attimo e poi… poi ci si corrompe in un mambo lisergico/ Birra &
Saliva, lacrime e abbracci. Stringi forte, Honey!
Afferra il piacere finchè dura. Domani potresti smettere di sospirare
cedendo il passo alla rassegnazione. Rinuncio a me, al mio passato.
Ricomincio a sognare, con le tue gambe aperte che non hanno pietà di me… non
adesso! Ci incontreremo ancora in una dolce sera d’ottobre e Fred Bongusto,
rasoio sul velluto ci inviterà a danzare per lenire il nostro sconforto.
Stringimi ancora e carezza questa mia barba da bugiardo lestofante.
Stanotte mi sento ancora vivo, innocente e immacolato, ancora per qualche
istante Dove andiamo adesso? Ti lascio guidare in questo mambo di redenzione
Cavalca come se da ciò possa dipenderne la mia anima sconfitta Dammi gioia e
pace, gimmie shelter, baby! Sarà forse un torto sentirsi vivi e anche un po’
meno teneri e solitari Cuore sotto vetro, se tento un respiro lungo posso
collassate.
E se gonfio i muscoli mi sento vecchio e stanco, inutile e patetico E lo
sono stato, solo, come una lanterna che vibra nelle remote oscurità di
quest’umida caverna Incatenato al desiderio di rivalsa.
Ma a cosa servo? A chi? Nessuna nobiltà nella miseria/ I’ll remember you.
Vibrami nelle ossa, sulla pancia, nel profondo del mio malessere.
L’autostrada è viva stanotte e dove mi condurrà lo saprò presto.Verso un
posto-ristoro dove anime dannate mi daranno il benvenuto al loro Moto-Raduno
di vacuità. C’è dolore e sangue e squallore e poi… ci sei tu, ancora una
volta. Con le tue fatture di mancato accredito/ Ed ero ancora giovane quel
giorno in cui il mio sguardo posandosi sul tuo perdeva rigidità. Ultimo
mambo a Fiumefreddo..
Il cielo si tinge del nero delle tue mutandine. Il tuo respiro riempie i
cerchi di fumo della sigaretta. E mi ritrovo ancora solo ad ordinare in
questa triste rosticceria; cantina perpetua di sconforto / Animale
solitario, calmo e mansueto che non sa ribellarsi al sua futura mattanza.
Ricordo quel passo sinuoso riempire la stanza e il mio silenzio… Dove va la
fiamma di una torcia incandescente quando il vento gelido la spegne? Luci
nell’oscurità, candele perdute nel vento… Anime scomparse ritornano alla
loro pace Non conosce dimora la mia inquietudine, ma c’è gioia, come c’è
stato dolore e incomprensione. Viva la vida / Ho perso tutto, tranne me
stesso, il mio orgoglio di spine.
Troverò mai un posto al riparo? E gente pronta a sentirmi, e un sorriso
dietro cui perdere ogni sospetto. Ma la vita fugge e non la trovo nelle mie
lacere calze E il sorriso che ogni giorno indosso come armatura E il trucco
che mi rende sempre più vicino a ciò che non sono, per quello che non c‘è Un
caleidoscopio di forme e colori e la mia essenza che esplode, gonfia di
madreperlaceo furore, dentro occhi assetati di verità trasformate il mio
idealismo in banalità la mia sofferenza in estasi, il qualunquismo in
esistenza.
E non c’è più nessuna nobiltà nelle mie miserabili vesti. Ma sono sempre io
quello che ha torto e fame e sonno quando nessuno è pronto ad offrire un
ristoro a questa pelle martoriata che fu virile e adesso non lo è più. Spero
tu stia osservando questa misteriosa ed onirica luna. Con lo stesso sguardo
sognante di romantico trasporto: velivolo fatato in un cielo di stelle
disperate ed agonizzanti, perse tra sospiri e bagliori nelle barbarie di
questa vacua resistenza chiamata vita.
Riferimento alla canzone di Bob Dylan “Simple twist of fate” canzone da cui
ha preso spunto l’autore per uno dei suoi pseudonimi (Dario Twist of fate)
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Detti e contraddetti del rock
Ovvero, massime di saggezza eterna dai grandi della musica
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Cinema : "Ascolti e visioni" dedicata alla band 'The
Who'
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"Dylan's Vision of Sin"
Nel 2003 Christopher Ricks, un illustre critico
letterario, pubblica un libro sulla poetica Dylaniana, "Dylan's Vision of
Sin". Pochi musicisti nel 2006 possono sembrare cosi' estranei alla musica
contemporanea quanto Dylan in Modern Times (2006). D'altra parte ignorare le
tendenze e' sempre stata la sua arma segreta. (In passato, di solito, era
lui che impostava le tendenze future, ma questa e' un'altra storia). Il
titolo dell'album stranamente richiama un film di Charlie Chaplin, e la
maggior parte delle canzoni ricordano generi e stili dell'infanzia di Dylan.
Il brano di apertura, Thunder On the Mountain scimmiotta il suo sound
blues-rock del 1965. Rollin' and Tumblin' e' una strana imitazione del
blues-a-billy di Muddy Waters. La romanza latina di Beyond Horizon e il
pathos domestico di Workingman's Blues #2, che vanta l'intimita' di una
parabola di Cat Stevens, rappresentano al meglio il centro di massa musicale
ed emotivo dell'album: una forma di nostalgia calma e rassegnata. La
romantica Spirit On the Water (una ballata vecchio stile cantata alla
maniera di Louis Armstrong) e l'apocalittica The Levee's Gonna Break
allontanano l'idea che Dylan sia semplicamente un'icona senile tenuta in
vita da astuti uomini d'affari, ma ben poco in quest'album va oltre
l'attestazione della passata (passata) grandezza di Dylan
(Tradotto da Luca "Motobyte")
(fonte : scaruffi.com)
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MCR VS BOB
DYLAN
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I GRUPPI "MITICI".......
Chicago- 25 or 6 to 4 "Live" (1989)
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Lunedi 20 Ottobre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 428
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Vintage chronicles
Bob Dylan lascia la Baez per la donna che poi sposerà
Anticipiamo alcuni brani tratti da Down the Highway di Howard Sounes che
uscirà da Guanda alla fine di agosto con il titolo Bob Dylan - Una
biografia. Uno dei motivi della crescente freddezza di Bob nei confronti di
Joan Baez era la modella Sara Lownds, della cui esistenza la Baez non sapeva
nulla in quel momento. Sara Lownds sarebbe ben presto diventata la donna più
importante della vita di Bob e alla fine anche la sua prima moglie, la madre
dei suoi figli e la fonte di ispirazione per alcune delle sue canzoni più
belle. Nonostante i modi quasi aristocratici, Sara era di umili origini.
Aveva avuto un' infanzia molto difficile e sembrava proprio che volesse
dimenticare quasi tutto il suo passato; la cosa, unita al rifiuto di
concedere interviste, ha fatto sì che la sua vita sia rimasta misteriosa
almeno fino a oggi. Al Chelsea, la vita di Bob e Sara scorreva in modo molto
tranquillo. In camera avevano un pianoforte su cui Bob componeva le sue
canzoni, ma erano in pochi a sapere che abitava lì. «Era un tipo piuttosto
timido e tranquillo», ricorda il direttore del Chelsea, Stanley Bard. Quando
aveva voglia di emozioni Bob se ne andava a bere al Kettle of Fish, al
Village. Sara lo accompagnava raramente in queste occasioni. Invece non
mancava mai Bobby Neuwirth, e talvolta c' erano anche Al Aronowitz e il
cantante David Cohen. (...) Il capo dei buffoni era Bobby Neuwirth: rideva
quando rideva Bob e gli teneva bordone nell' umiliare la Baez, che
oltretutto era amica sua. Una volta Joan si aggirava leggiadra con una
camicetta trasparente e Neuwirth fece pesanti allusioni all' evidente
disinteresse di Bob (che anche davanti alla cinepresa la guardava appena e
quasi evitava di parlarle). Della camicetta trasparente della Baez, Neuwirth
aveva detto che era «una di quelle camicette vedo-non-vedo che nessuno
vorrebbe vedere» e lei, sforzandosi di ridere con la sua consueta
spavalderia, disse che stava per crollare dal sonno. «Ti dirò una cosa,
sorella», replicò Neuwirth a quel punto. «È da un bel po' che sei crollata.
Sei crollata prima ancora di poter pensare che stavi crollando». Quando fu
spenta la cinepresa, la Baez si mise a piangere. «Se penso all' affetto con
il quale Joan lo aveva portato sul palco con sé» ha detto Mimi. «Bob è
decollato grazie a Joan, ma avevo capito che lui voleva soltanto
approfittare della situazione per poi levare le tende. Di qui il mio
disagio. Purtroppo Joan non ha mai voluto aprire gli occhi sulla realtà,
perché era troppo coinvolta in quella storia. È così che la penso io».
Secondo Pennebaker, Bob stava attraversando un periodo di transizione:
quando lui e la Baez erano stati in tournée negli Stati Uniti, a marzo,
formavano una squadra affiatata. Adesso invece lui «stava cercando di uscire
dal ruolo di suo compagno, nella vita e nei duetti». Così la Baez non salì
mai sul palco con lui e non avrebbe più cantato in pubblico con lui fino
alla metà degli anni settanta. Bob non la invitò nemmeno ad andare con lui a
Sintra, in Portogallo, durante la pausa della tournée nel Regno Unito.
Invece, dagli Stati Uniti arrivò Sara. La Baez non sapeva ancora dell'
esistenza della ragazza e durante una delle sue ultime visite a casa di
Grossman si era persino messa una camicia da notte di Sara non immaginando a
chi appartenesse. Quando Bob tornò a Londra e fu costretto da un malanno
passeggero a stare chiuso nella sua suite, la Baez passò a trovarlo per
vedere come stava e fu Sara ad aprirle la porta. Così Joan scoprì finalmente
la donna che Bob vedeva di nascosto da lei da tanti mesi. Era la fine della
loro relazione, e lei se ne andò immediatamente per proseguire la sua
carriera, visto che al momento teneva anche concerti solisti in Gran
Bretagna. Ne fu sconvolta, ma aveva una personalità forte e superò il
rifiuto di Bob, del quale rimase amica; in seguito riuscì persino a ridere
dell' accaduto. Come ha detto l' amica Nancy Carlen: «La sua forza sta nella
capacità di ridere di sé e del mondo». Negli anni a venire, lei e Bob
avranno dei ritorni di fiamma. Ma lui rimaneva il dongiovanni di sempre. A
Londra cercò di sedurre la cantante Marianne Faithfull, cacciandola via
quando lei rifiutò le sue avance, e, in assenza di Sara, frequentò la
sedicenne cantante pop Dana Gillespie che aveva conosciuto a una festa a
Londra. «Credo che passasse continuamente da una donna all' altra, come
fanno in genere i musicisti», ammette la Gillespie con filosofia. Lei gli
portava la chitarra e quando Bob aveva tempo libero gironzolava nella sua
suite. Una volta Bob aveva preso in prestito i pantaloni della Gillespie,
ornati di rose rosa e arancione. «E io me ne stavo lì, in mutande, senza
poter uscire perché i miei pantaloni li aveva lui. Bob si infilava i miei,
ma i suoi non mi stavano. Sono dovuta rimanere in albergo ad aspettare che
tornasse. Mi aveva detto: "Torno fra un paio d' ore". Si è ripresentato
quasi quindici ore dopo».
Sounes Howard
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Video : Al Diesan & his Band - "All along the watchtower"
clicca qui
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Video : Bob Dylan - Yonder Comes Sin
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Le foto di una gita Hibbing
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...e una a Duluth
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Piazza Duomo "Tempio del rock"
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Between Trains – il Nuovo Album di Graziano Romani
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(di Shooting Star)
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Sarà una bella società.....il nuovo CD di Shel Shapiro
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Domenica 19 Ottobre 2008
CARLOS SANTANA
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Sabato 18 Ottobre 2008
“Davide Imbrogno scarica i suoi fans”
Cronache Marritane
(ASCA) - Cosenza, 22 ottobre 2018 – Davide Imbrogno scarica i suoi fan:
basta autografi su lettere e cimeli. In un video pubblicato sul suo sito web
- come riferisce la Cnn - l'ex enfant prodige di Marri dice chiaro e tondo
di averne abbastanza. ''Voglio dirvi per cortesia di non inviare piu' posta
a nessuno degli indirizzi che avete. Non verra' piu' autografato nulla a
partire dal 24 ottobre.
Se il timbro postale sarà con quella data o successivo, la posta verrà
gettata via'', avverte "The Saint" , occhiali scuri indosso. ''Vi sto dando
un avvertimento pacifico ed affettuoso. Ho davvero troppo da fare. Cosi'...
basta posta dai fans e niente oggetti da autografare, grazie''.
Il 31enne scrittore e poeta, che ha pubblicato di recente una raccolta di
poesie intitolata ''Piano dei Rossi Blues Revisited 41'', abita attualmente
fra Castiglioncello, il sud della Francia e Dubai. In un'intervista alla
televisione svizzera lo scorso gennaio aveva fatto infuriare i suoi ex
concittadini, quando inforcati i suoi inseparabili occhiali fucsia, ha
affermato: Marri? Non mi manca proprio per niente!!
C’è da capirlo, Davide: riceve in
media 6mila lettere al giorno… O è forse un ingrato? E voi cosa ne pensate?
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Blackstones , Al Diesan
, Pino Tocco , cronaca del concerto in Austria clicca qui
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Un mattino di troppo per Bob Dylan
Canta con successo da una vita, ha vinto un Oscar ed è
candidato al Premio Nobel per la letteratura... cos'altro si può dire di Bob
Dylan? Che conviene leggere i suoi testi per scoprire tutto il resto.
Antiche tradizioni folkloristiche, richiami biblici, incursioni nella poesia
anglosassone… la leggendaria carriera di Bob Dylan racchiude tutta la
genialità dell’artista accostata al fascino della poesia: testi ricchi di
idiomi, rime, aforismi… ma anche di quella sensibilità capace di dare voce
alle immagini e alle sensazioni, propria dei grandi poeti.
Feltrinelli ha recentemente pubblicato la più ampia raccolta delle sue
canzoni: "Bob Dylan Lyrics 1962 - 2001" un volume imponente, contiene 355
testi tradotti da Alessandro Carrera, professore di Letteratura Italiana e
Comparata presso l’University of Huston, che li ha arricchiti di curiosità
ed informazioni per agevolarne una lettura completa rispetto ai riferimenti
letterari.
In un’interessante intervista rilasciata a “Maggie’s
Farm”, il sito italiano di Bob Dylan, Carrera rivela i dettagli
dell’impegnativa opera di traduzione alla quale si è adoperato per ben tre
anni, racconta le difficoltà incontrate per “tradire” i testi originali il
meno possibile e risponde alle curiosità dei lettori: si tratta di
un’intervista molto speciale, quindi, interattiva: chiunque può intervenire,
porre i propri quesiti e ricevere una risposta dal professore. (
Clicca qui
per leggere l'intervista completa )
“Un mattino di troppo” è la ballata malinconica di un addio: la triste
rassegnazione alla realtà di due ragioni che l’amore non riesce a salvare.
Una stanza vuota, una strada nella notte e quei pensieri… che rompono il
silenzio, ma non colmano il distacco.
In strada i cani abbaiano
Ed il giorno si fa scuro.
Non appena la notte arriverà,
i cani smetteranno di abbaiare.
E la silenziosa notte sarà distrutta
Dal suono nella mia mente,
perchè sono rimasto indietro per un mattino di troppo
ed un migliaio di miglia
Dall’ incrocio sulla mia porta,
il mio sguardo incomincia a sfocare,
non appena giro la mia testa verso la stanza
dove il mio amore ed io siamo stati sdraiati.
Ed io fisso la strada,
il marciapiede ed il segnale,
e sono rimasto indietro per un mattino di troppo
ed un migliaio di miglia
E’ un inquieto ed affamato sentimento
Che non dice niente di buono,
quando tutto quello che dico
lo puoi dire altrettanto bene.
Tu hai ragione da parte tua,
ed io ne ho dalla mia.
Siamo rimasti indietro per un mattino di troppo
ed un migliaio di miglia.
Bob Dylan
(fonte : guide.supereva.it)
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Blowin' in the wind : le cover italiane degli anni 60'
Kings / Jonathan & Michelle / Luigi Tenco - La risposta
(Traduzione di Mogol)
Quante le strade che un uomo farà
e quando fermarsi potrà?
Quanti mari un gabbiano dovrà attraversar
per giungere e per riposar?
Quando tutta la gente del mondo riavrà
per sempre la sua libertà?
Risposta non c'è, o forse chi lo sa,
caduta nel vento sarà.
Quando dal mare un'onda verrà
che i monti lavare potrà?
Quante volte un uomo dovrà litigar
sapendo che è inutile odiar?
E poi quante persone dovranno morir
perché siano troppe a morir?
Risposta non c'è, o forse chi lo sa,
caduta nel vento sarà.
Quanti cannoni dovranno sparar
e quando la pace verrà?
Quanti bimbi innocenti dovranno morir
e senza sapere il perché?
Quanto giovane sangue versato sarà
finché un'alba nuova verrà?
Risposta non c'è, o forse chi lo sa,
caduta nel vento sarà.
Note alle cover in italiano
Il celebre brano di Bob Dylan è stato proposto come cover in italiano dai
Kings, dal duo "buonista" Jonathan & Michelle, portabandiera della linea
verde, e da Luigi Tenco, in un adattamento alla metrica italiana, abbastanza
fedele, del noto paroliere Mogol (Giulio Rapetti). La versione dei Kings è
quella che ha avuto il maggiore riscontro, ed è abbastanza fedele anche
nell'arrangiamento (senza batteria). La versione di Jonathan & Michelle è
invece con accompagnamento di batteria e l'alternanza di voci maschile e
femminile in questo caso non appare molto adatta a valorizzare la canzone.
La versione di Luigi Tenco, un poco accelerata, è rovinata da un tremendo
arrangiamento stile orchestrina da piano bar, della quale siamo certi sia
incolpevole il grande cantautore genovese (forse l'hanno inserita in post
produzione). Tenco almeno evita, però, le parole tronche old-style della
traduzione italiana. In tutte e tre le cover è saltata la terza strofa,
sostituita da una ripetizione della prima.
A questa canzone e al suo celebre ritornello fa riferimento anche il noto
brano Eppure soffia di Pierangelo Bertoli.
(fonte :
musicaememoria.com)
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Dylan alla Viennale
La Viennale, il maggiore festival cinematografico
austriaco (Vienna, dal 17 al 29 ottobre), dedicherà una delle sue rassegne
fuori concorso a Bob Dylan.
La Viennale, il maggiore festival cinematografico austriaco (Vienna, dal 17
al 29 ottobre), dedicherà una delle sue rassegne fuori concorso a Bob Dylan.
"Masked and Anonymous - Bob Dylan and the Cinema", questo il titolo della
monografica, mostrerà film dedicati alla figura del musicista, o da lui
interpretati. Tra le pellicole in programma, ci saranno Pat Garret & Billy
the Kid (USA 1973, special edition 2005) di Sam Pekinpah, No Direction Home
(USA 2005) di Martin Scorsese, Don't look back (USA 1967) di D. A.
Pennebaker e I'm not there (USA 2007) di Todd Haynes. Inoltre, si potranno
vedere i film che Dylan ha realizzato come regista - Eat the Document (1972)
e Renaldo & Clara (1978) - e il documentario Masked and Anonymous (2003),
una satira politica in cui Dylan, oltre ad aver scritto la sceneggiatura,
interpreta la parte principale. Il festival mostrerà anche altre pellicole
di interesse musicale, come Patti Smith: Dream of Life (USA 2007) di Steven
Sebring e The night James Brown saved Boston (2008) di David Leaf. Vi sarà
inoltre uno speciale dedicato a Werner Schroeter, regista che ha sviluppato
in alcune delle sue pellicole un'estetica fortemente legata al melodramma.
Nell'ambito dell'omaggio al regista tedesco, il 25 ottobre si terrà presso
l'Akademietheater uno dei rari recital concerto di Ingrid Caven, una delle
attrici principali dei film di Rainer Werner Fassbinder e Werner Schroeter.
Come cantante, Ingrid Caven ha riscosso un notevole successo nella Francia
degli anni '70, dove affascinò il pubblico con interpretazioni a metà tra
Edith Piaf e Marlene Dietrich. La gran parte del suo repertorio sono canzoni
di Peer Raben, il compositore che ha scritto alcune delle più celebri
colonne sonore dei film di Fassbinder. Infine, verrà presentato "Olga
Neuwirth, Music for Films", un DVD con i progetti cinematografici a cui ha
partecipato la compositrice austriaca. Maggiori informazioni e programma
completo: www.viennale.at (Juri Giannini).
(fonte : giornaledellamusica.it) segnalato da Marina
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Video : Like a Rolling Stone - (The Basement Tapes)
Dylan & The Band
clicca qui
Aperta la pagina web , cliccate poi
sulla destra su "NEXT" , potrete vedere a lot of video dell'epoca , I want
you , Hurricane , The house of the rising sun, love minus zero/ no limits ,
Master of war , My back pages , It's alright Ma , etc. etc. per un totale di
272 clip , buon divertimento.
_____________________________________________________________________________________________________________________ SCRIVEVANO.......
Joan Baez sull'albero (Ap)
Con lei ci sarà anche Julia Hill, che visse due anni su una sequoia Per
salvare un parco pubblico Joan Baez va a vivere su un albero La cantante che
con Bob Dylan è stata la voce del movimento pacifista negli anni Settanta
ora sposa la causa ambientalista
LOS ANGELES (Stati Uniti) - Negli anni Sessanta e Settanta è stata assieme a
Bob Dylan la voce del movimento pacifista americano e internazionale.
Ora Joan Baez, stella della musica folk a stelle e striscie, ha deciso di
sposare la causa ambientalista. E di gettarsi anima e corpo in una nuova
campagna: il salvataggio di un parco urbano trasformato in orto collettivo
da un gruppo di residenti, destinato ad essere cancellato e riurbanizzato.
Per farlo ha deciso di prendere esempio da Julia «Butterfly» Hill,
l'ambientalista americana che nel 1999 riuscì a salvare una pianta secolare
dopo averci abitato sopra per un paio d'anni, tenendo sempre i riflettori
puntati sulla vicenda.
GLI ORTI URBANI - La Baez farà lo stesso: stabilirà la sua nuova «residenza»
è in un parco pubblico a Los Angeles. La cantante sarà affiancata proprio da
Julia Hill che con lei si alternerà nel presidio del giardino. Le due donne
si daranno il cambio vivendo su un albero all'interno di questa macchia
verde di 5,7 ettari nella zona sud della metropoli californiana, dove dal
1992 circa 350 persone, in gran parte immigrati, coltivano verdure e frutta
in orti. Il proprietario dell'area intende venderla per realizzarvi uno
stabilimento industriale. Un tentativo di comprare il terreno da parte di
un'organizzazione pubblica, è fallito e ora gli improvvisati contadini sono
minacciati di sfratto.
SEMPRE IN PRIMA LINEA - Un piccolo gruppo di persone ha già cominciato a
presidiare lla zona , ma l'arrivo della Baez è destinato a spostare i
riflettori sulla vicenda. Per la cantante è l'ennesima iniziativa di una
carriera segnata, oltre che dai successi artistici, anche dall'attivismo
politico: lo scorso anno si unì ai manifestanti che prendevano d'assedio il
ranch del presidente George W.Bush, per protestare contro la guerra in Iraq.
La Baez, a 65 anni, torna peraltro alla ribalta proprio nei giorni in cui
l'America celebra il sessantacinquesimo compleanno del cantante che ha
condiviso molto con lei, Bob Dylan.
LA SEQUOIA SALVATA - Anche la Hill è una celebrità nel mondo degli
ambientalisti. Il 10 dicembre 1997, allora ventiduenne, si arrampicò su una
sequoia della California vecchia di sei secoli per impedirne l'abbattimento.
Vivendo per due anni su una piattaforma costruita sull'albero (ribattezzato
Luna), la Hill alla fine, nel dicembre 1999, la ebbe vinta: la società
Pacific Lumber si impegnò a non segarlo e a crearvi intorno un'area protetta
di 60 metri, in cambio del pagamento di 50.000 dollari raccolti dalla Hill e
i suoi sostenitori.
(fonte : corriere.it) |
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Venerdi 17 Ottobre 2008
DVD : Rolling Thunder Revue
Un documentario su Bob Dylan senza le sue canzoni ma con
una cover band impegnata nel commento musicale sarebbe davvero da scartare a
priori ma nel caso dei documentari della Highway 61 Entertainment, è
necessario, anzi bisogna fare un eccezione. Joel Gilbert, interprete e
studioso dilaniano di fama mondiale e ideatore della Highway 61 Ent., ha
alle spalle già due documentari “1966 World Tour Through The Camera Of Mikey
Jones” e “1966-1974 World Tours Through The Camera Of Barry Feinstain”,
entrambi molto apprezzati per le affascinanti raccolte di immagini e
interviste inedite da concerti e backstage, nonostante la colonna sonora
fosse opera proprio della sua band gli Highway 61 Revisited. Il terzo
capitolo di questa particolarissima serie di documentari, purtroppo non
autorizzati, ripercorre un quinquennio fondamentale per l’intera carriera
artistica di Bob Dylan ovvero la Rolling Thunder Revue, il particolarissimo
tour mondiale del 1978 e i Gospel Years, questi tre periodi sono diventati i
tre capitoli del Dvd e ognuno di essi offre una panoramica dettagliatissima
di ogni evento. La formula usata è più o meno la stessa dei precedenti
ovvero: foto e filmati inediti a cui fanno da sottofondo interviste
esclusive, piccole sorprese e una gustosa colonna sonora degli Highway 61
con ospiti speciali per l’occasione Bruce Langhorne alla chitarra, Scarlet
Rivera al violino, Rob Stoner al basso e la corista Regina McCrary. Questo
nuovo documentario Si parte alla grande con il 1975 ovvero la Rolling
Thunder Revue ed in particolare con la prima intervista dopo trent’anni a
Rubin Carter, a cui Dylan oltre alla magnifica Hurricane dedicò insieme alla
sua carovana zingaresca ben due benefit concerts noti come "The Night of the
Hurricane I-II". Il famoso pugile ripercorre la sua triste vicenda
giudiziaria ma soprattutto mette ben in evidenza tutta l’opera di
sensibilizzazione che fu fatta da Bob Dylan proprio nel periodo in cui tutti
sembravano ormai averlo condannato. Seguono poi altre interviste succulente
come quelle a l’occasione Bruce Langhorne, Ramblin' Jack Elliott, alla
violinista Scarlet Rivera, che forgiò il sound tex-mex di Desire e della
Rolling Thunder Revue e al bassista e leaderband Rob Stoner che fu al fianco
di Dylan fino al 1978. Non meno interessante è poi ciò che racconta la
moglie di Jacques Levy sia a proposito di Joey dedicata al mafioso Joey
Gallo sia al film Renaldo and Clara. Meno approfondito è il secondo capitolo
dedicato al tour mondiale del 1978 di cui è rimasto davvero pochissimo
avendo Dylan stesso fatto distruggere ogni cosa e soprattutto ripudiato
anche di relativo disco dal vivo Live At Budokan, tuttavia viene fornita una
bella chiave di lettura del processo di evoluzione sonora che ha condusse
poi il cantautore americano ad incidere Slow Train Coming. A fare luce su
quelle session che videro protagonista un giovanissimo Mark Knopfler come
session man sono le interviste al produttore, il mitico Jerry Wexler, alla
corista Regina McCrary e al celebre tastierista Spooner Oldham. A completare
il quadro dell’evoluzione gospel-rock e della relativa conversione al
Cristianesimo dei Born Again Christian sono le interviste inedite al Pastore
Bill Dwyer che fu insegnante di teologia biblica di Bob Dylan e a Joel
Selvin del San Francisco Chronicle. Le sorprese però non finiscono qui
perché ad un certo punto appare anche Bob Dylan in un intervista inedita
rilasciata a Pat Cosby per la KDKA TV nel 1980. Insomma le quattro ore di
questo documentario, seppur assolutamente non ai livelli di No Direction
Home, ne rappresentano l’ideale seguito in quanto ne riprendono il filo
logico e lo spirito.
Salvatore Esposito
(fonte : ilpopolodelblues.com)
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Jakob Dylan viaggia solo
«Se mi fermassi a pensare, metterei la chitarra in un angolo
e uscirei per cercarmi un lavoro, magari da contadino. Preferisco pensare
che ci sia spazio per entrambi». Punto e a capo. Jakob Zimmerman Dylan
liquida così la pratica edipica. Love minus zero, no limit. Nessun confronto
con padre Bob, nemmeno adesso che l’ultima fatica del figlio del profeta e
di Sara (quella cui dedicò la canzone omonima su Desire e Sad eyed lady of
the lowlands) autorizzerebbe l’azzardo del paragone, stilistico se non
altro. Sì, perché Seeing things, primo album da solista a dieci anni
dall’esordio con la sua band, è “the dark side of Jakob”. Lontano dai
Wallflowers, la carta da parati si stacca e mostra un muro di folk acustico
venato di blues con infiltrazioni evidenti di malinconia e bagliori vocali
degni del miglior Elvis Costello (Valley of the low sun). Stile canzoni sul
dondolo in veranda all’imbrunire, da gatto con gli stivali romantico.
Scarnificate, scortecciate, a volte anche accartocciate. Per amatori, non
per tutti. Simple twist of fate. L’idea nasce all’improvviso, mentre Jakob è
impegnato ad aprire i concerti dell’ultimo tour di T-Bone Burnett, grande
musico e produttore dell’opera prima dei Wallflowers, Bringing down the
horses: «Ero da solo, senza band. Una sola chitarra acustica. Attingevo dal
materiale Wallflowers, ma in versione primitiva. Riproponevo le canzoni
com’erano nate, nude e indifese, e prima dell’intervento dei Wallflowers. Fu
una folgorazione. Volevo un disco di canzoni nuove, ma con quel tipo di
prospettiva». Canzoni nuove, fuori dal mondo e anche dal mercato. Il primo a
crederci è Rick Rubin, da poco nominato boss della Columbia. È lui, già
fondamentale guida di Johnny Cash, ad asfaltare la strada a Dylan: «Prenditi
il tuo tempo. Torna in studio e ricominciamo da capo la produzione». Il
risultato è un ventaglio di dieci canzoni povere di suoni e ricche di
simbolismi, immagini, metafore, mistero. In un modo o nell’altro figlie del
country blues: «Quella è la musica che ascolto, il vocabolario cui attingo.
Se sei un songwriter, questo dovrebbe essere il tuo campo, il tuo livello di
guardia. Volevo scrivere canzoni che suonassero come se esistessero da
sempre, come se fossero state scolpite nella pietra, non realizzate in
qualche studio chissà dove». Canzoni eterne. Come On up the mountain. Come
quelle del padre. Beh, non proprio uguali. Ma è vero, c’è spazio per
entrambi, in questo vagare che a tratti sembra solo un semplice scherzo del
destino, sì, proprio “a simple twist of fate”.
Massimo Cotto
(fonte : max.rcs.it)
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La leggenda del Chelsea Hotel
Sid Vicious uccise lì la fidanzata, Kerouac ci scrisse On
the road e Lou Reed Walk on the wild side. La storia non si cancella, e noi
ve la raccontiamo
Scrive Jutta da Stoccolma: “Devo venire a New York. Ho prenotato al Chelsea
Hotel, ma ora sono indecisa sul che fare: è giusto dare i miei soldi a chi
vuole scardinare un mito?”. È solo una delle centinaia di mail che arrivano
a Living with the legends, il blog di uno dei residenti di lunga data al
Chelsea, leggendario hotel definito dal New York Times Book Review “uno dei
pochi luoghi civilizzati della città, se per civiltà si intende la libertà
dello spirito, la tolleranza delle diversità, la creatività e l’arte”.
Il tono delle mail è sempre tra l’infuriato e l’incredulo: poco più di un
anno fa il consiglio di amministrazione ha affidato la gestione a un nuovo
management, reduce dalla ristrutturazione di tre lussuosi alberghi di
Manhattan, frequentati da star del cinema e della musica, stilisti e
modelle, dalle disponibilità economiche ben diverse da quelle dei clienti
abituali del Chelsea, spesso artisti squattrinati che vi risiedono da anni e
non sempre hanno i soldi per pagare. La prima mossa del nuovo management è
stata di dare il benservito a Stanley Bard, 73 anni, da oltre 50 direttore
dell’hotel. La sua “colpa”? Non sfruttare abbastanza quella che potrebbe
essere una miniera d’oro. Il Chelsea è da sempre un rifugio sicuro per
poeti, girovaghi, musicisti, pittori, attori e registi. Alcuni di loro erano
già famosi quando vi hanno soggiornato, altri lo sarebbero diventati.
L’unica cosa certa è che Bard non ha mai cacciato nessuno perché non poteva
pagare il conto. Semmai si faceva lasciare un quadro, un manoscritto o
qualsiasi altro oggetto con un valore artistico. La sua collezione privata,
dicono, ha oggi un valore inestimabile.
I nuovi gestori hanno fatto recapitare a tutti gli ospiti fissi questa
missiva: “Siete pregati di verificare che nessun sospeso sia rimasto nel
vostro acconto. Ignorate la presente se avete già provveduto al pagamento”.
«Un vero disastro!», dice Jeanne Claude, moglie e partner creativa
dell’artista Christo. La coppia abitò al Chelsea negli anni Sessanta, spesso
senza pagare. E il pittore canadese Peter Schuyff, che vi abita da oltre 10
anni, racconta: «Qui ne ho viste di tutti i colori. Suicidi, scenate, gente
che credeva di essere Dio… L’unico capace di tener testa a questo circo è
sempre stato Bard, che gestiva la parte economica come un novello Robin
Hood: a chi poteva permetterselo chiedeva di più, a chi non aveva un
quattrino proponeva un fitto poco più che simbolico».
La storia del Chelsea Hotel non poteva non finire al cinema. All’ultimo
festival di Cannes è stato presentato Chelsea on the rocks di Abel Ferrara:
«Ho cercato di restituire la sua storia, le sue atmosfere narrando gli
intrecci artistici e umani che sono nati nelle sue stanze», spiega Ferrara.
Da lì è passata tutta la controcultura americana, in particolare negli anni
Sessanta e Settanta. L’elenco dei nomi è impressionante, e per citarli tutti
non basterebbe questo articolo. Le targhe commemorative appese sul portone
onorano Mark Twain, Thomas Wolfe, Dylan Thomas (viveva nella camera 206: il
4 novembre 1953 si scolò 18 bicchieri di whisky di fila, entrò in coma e
morì), Arthur Miller (ci abitò per sei anni: qui scrisse due romanzi e il
dramma Dopo la caduta, la sua lettera d’addio a Marilyn), Eugene O’Neill,
Tennessee Williams, Burroughs, che vi scrisse Il pasto nudo. In campo
letterario, bisogna aggiungere Lee Masters, Gore Vidal, O. Henry (ci visse
per anni, registrandosi ogni notte con un nome differente), Arthur C. Clarke
(qui scrisse la sceneggiatura di 2001: odissea nello spazio), Gregory Corso,
Ginsberg, Kerouac (ci scrisse Sulla strada), Simone De Beauvoir, Sartre,
Bukowski...
Nel 1966 Andy Wharol vi girò The Chelsea girl, un’opera composta da 12 film
della durata di circa mezz’ora ciascuno: davanti alla telecamera sfilano
tutte le icone wharoliane, da Nico a Marie Menken, da International Velvet a
Rona Page a Brigid Berlin, che in una scena memorabile si buca di methedrina
attraverso i jeans.
Sempre in quel periodo, nella suite principale, la A17, Bob Dylan compose
una delle sue più belle canzoni d’amore, Sad eyed lady in the Lowlands,
dedicata alla moglie Sara.
E lì consumò la sua love story con Edie Sedgwick, musa di Wharol. Altro
flirt, quello che negli anni Sessanta unì Leonard Cohen e Janis Joplin: lui
le dedicò la Chelsea Hotel n° 2, che racconta di un rapporto orale: “I
remember you well in the Chelsea Hotel, you were talking so brave and so
free. Giving me head on the unmade bed”.
Al Chelsea Hendrix organizzava festini a base di droga e sesso; fu la casa
di Milos Forman per le riprese di Hair. Madonna vi ambientò numerosi scatti
del suo libro-scandalo Sex. A metà anni Settanta, Patti Smith e il fotografo
Robert Mapplethorpe vissero la loro storia d’amore impossibile (lui era gay)
tra le pareti di una delle sue stanze. E nella camera numero 100 (ma non
chiedete di visitarla, le pareti sono state abbattute), il 12 ottobre 1978
Sid Vicious uccise la sua fidanzata Nancy: nel febbraio dell’anno successivo
lo stesso Sid morirà per overdose in un’altra stanza dell’hotel.
Insomma, non è difficile capire come mai l’Herald Tribune gli abbia dedicato
un lungo articolo il cui incipit è: “Il Chelsea Hotel è stato una specie di
Torre di Babele della creatività e delle cattive abitudini che alcuni dei
cervelli più sballati e autodistruttivi del mondo, almeno una volta, hanno
chiamato ‘casa’”. Una casa destinata a diventare residence di lusso. Ma
nessun party con Paris Hilton o Britney Spears potrà mai cancellare 50 anni
di storia e di storie con Dylan, Hendrix, Patti Smith, Wharol, Kubrick,
Basquiat, Frida Kahlo...
La playlist del Chelsea Hotel
A cura di Massimo Poggini . Pubblicato il 24 Luglio 2008.
Lo sapevate che il Chelsea Hotel di New York rischia una fine ingloriosa?
Poco più di un anno fa la gestione è stata affidata a un nuovo management, e
tutto sta cambiando in fretta: le stesse camere che negli ultimi 50 anni
hanno ospitato le menti più fertili della controcultura americana saranno
trasformate in residenze di lusso. Questo albergo è assolutamente mitico:
tra le sue pareti sono nati film, musical, romanzi. Vi hanno girato video
clip e scattato migliaia di foto. Molte suite sono dei veri e propri studi
artistici. Siccome questo è un blog di musica, mi limito a citare le canzoni
che sono state scritte nelle sue stanze e quelle che l’hotel ha ispirato. Ce
ne sono così tante che si potrebbe fare una doppia compilation. Ci sono Sara
e Sad eyed lady of the Lowlands di Bob Dylan, per cominciare. E se la figlia
di Hillary e Bill Clinton si chiama Chelsea è grazie al brano Chelsea
morning di Joni Mitchell. Ma bisogna ricordare anche Chelsea Hotel N° 2 di
Leonard Cohen (racconta di un rapporto orale con Janis Joplin), Chelsea
girls dei Velvet Underground, Third week in the Chelsea dei Jefferson
Airplane, We will fall degli Stooges, Stella blue dei Grateful Dead, Walk on
the wild side di Lou Reed (che abitò a lungo nelle camere 506 e 115), Like a
drug I never did before di Joey Ramone, Edie (Ciao baby) dei Cult, Chelsea
Avenue di Patti Scialfa, Chelsea Hotel di Dan Bern, Troubled notes from the
Hotel Chelsea di Joe Myers & Casebeer, Chelsea Burns e Song to Alice di
Karen Ann, Midnight in Chelsea di Jon Bon Jovi (in realtà la canzone parla
dell’omonimo quartiere londinese, ma il video fu girato nell’hotel di New
York), The Chelsea Hotel oral sex song di Jeffrey Lewis (il riferimento è
alla canzone di Leonard Cohen), Buildings in Chelsea dei Counting Crows,
Hotel Chelsea e City rain city streets di Ryan Adams. Inoltre la maggior
parte delle canzoni di Poses, il secondo album di Rufus Wainwright, furono
scritte in questo hotel nel 1999. Pete Doherty nel 2003 registrò parecchi
demo in una stanza del Chelsea: alcuni di quei brani sono finiti nell’album
dei Libertines, altri nel primo dei Babyshambles. Se volete saperne di più
sulla storia del Chelsea Hotel, non perdete il numero di ottobre di Max.
(fonte : max.rcs.it)
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That Lucky Old Sun - Brian Wilson
Liberatosi dai fantasmi di Smile, il leggendario lost
album dei suoi Beach Boys pubblicato quattro anni orsono a quasi
quarant'anni di distanza dal suo concepimento, Brian Wilson spedisce "una
lettera d'amore in musica dalla California del Sud" che rappresenta, sotto
molti punti di vista, una summa della sua quasi cinquantennale carriera. Il
disco è una sorta di concept sulle gioie della vita a Los Angeles e
dintorni, a partire dalla title-track, un classico scritto nel 1949 da
Beasley Smith e Haven Gillespie. La canzone si era depositata da qualche
parte nella memoria di Wilson e, ascoltata di recente nella versione di
Louis Armstrong, è diventato una delle fonti di ispirazione dell'intero
album.
That Lucky Old Sun è un disco che cita a ogni pie' sospinto il glorioso
passato del musicista, tornato a incidere per la Capitol negli studi di
Hollywood, gli stessi in cui i Beach Boys fissarono su nastro alcune delle
loro pagine più memorabili. Ma non sono soltanto le armonie dei Wondermints,
la band che da alcuni anni accompagna il sessantaseienne musicista
californiano, a rimandare all'epopea dei Ragazzi da Spiaggia. Leggere i
testi delle nuove canzoni, zeppi di rinvii a un passato nel quale euforia e
mal di vivere sono stati entrambi presenti in una crudele alternanza, è un
po' come ripercorrere i momenti fondamentali, esaltanti o drammatici a
seconda dei casi, della vita e della carriera di Wilson.
"Estate del '61 - canta in Forever My Surfer Girl, uno dei brani migliori
della raccolta - una dea diventò la mia canzone/caddi nei suoi occhi
oceano/infiniti come il cielo/sarà per sempre la mia surfer girl". La
ragazza, evidentemente, è la stessa Surfer Girl che ispirò uno dei primi
grandi successi dei fratelli Wilson. "Ho fatto un sogno - il brano stavolta
è Southern California - cantavo con i miei fratelli/in armonia/sostenendoci
a vicenda". Un'età dell'oro che non potrà mai più tornare, anche perché Carl
se n'è andato dieci anni fa, portato via da un cancro, mentre Dennis è
annegato nel mare di Marina del Rey prima di compierne quaranta. E poi il
ricordo degli anni più bui della sua vita, proprio all'indomani della
realizzazione di un capolavoro come Pet Sounds. "A 25 anni ho spento la luce
- si ascolta in Going Home - perché non sopportavo il bagliore nei miei
occhi stanchi". E ancora, in Oxygen: "Ho pianto un milione di lacrime/ho
sprecato un sacco di anni/come ho fatto a cadere così in basso?/riuscivo a
malapena a lavarmi la faccia". Un passato che, come è ovvio, non è stato
dimenticato, e su cui Wilson sente ancora il bisogno di tornare in disco
che, nelle intenzioni del suo autore, dovrebbe "suonare come Rubber Soul,
con ciascun brano che confluisce nel successivo in maniera quasi
spirituale". Ancora la vecchia ossessione del confronto con i Beatles,
quindi, una rivalità positiva e salutare per Lennon e McCartney, cui
l'ascolto di Pet Sounds fece da sprone durante le registrazioni di Revolver
ma deleteria per Wilson, cui Strawberry Fields Forever, sentita per la prima
volta in autostrada durante il periodo delle sessions di Smile, fece
spegnere l'autoradio, accostare la macchina e mormorare sconsolato che i
ragazzi di Liverpool "c'erano arrivati per primi".
That Lucky Old Sun ha quindi tutta l'aria di essere per Wilson un disco
terapeutico. Un passo avanti, piccolo o grande che sia, verso il difficile
obiettivo che insegue da tempo: quello di venire a patti con gli aspetti più
oscuri della sua stessa leggenda.
Maurizio Zoja
(Fonte : delrock.it)
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BOB DYLAN & THE BAND
The Basement Tapes (Columbia, 1975)
Scheda di The Basement Tapes per il Mucchio Extra
Ci sono, purtroppo, troppi se e troppi ma attorno a questo album. Se Dylan
avesse voluto pubblicare quelle canzoni nel 1967, anno della loro
incisione... Se la selezione dei brani da includere fosse stata più
assennata, evitando di escludere tasselli importanti di quell’esperienza (I
Shall Be Released e Quinn The Eskimo sono clamorosamente assenti, per non
citare che due brani celebri)... Se i bootleg successivi non avessero
ridicolizzato questo vecchio doppio approntato da una Columbia ansiosa di
festeggiare il ritorno a casa di Bob, scappato altrove per un breve
periodo... Se non ci fossero tutti questi “se” saremmo al cospetto del
capolavoro assoluto. Invece si tratta della mappa di quella repubblica
invisibile descritta da Greil Marcus e raccontata attraverso questi brani
(alcuni scritti e interpretati solo dalla Band) di affascinante nebulosità.
Alessio Brunialti
___________________________________________________________________________________________________________________ SCRIVEVANO.......
Bob Dylan, il forzato del palco a colpi di rock smonta il
suo mito
C' è qualcosa di enigmatico nel modo in cui Bob Dylan conduce la sua
carriera. Continua a girare dovunque, ininterrottamente, dimesso e
anticelebrativo come uno zingaro senza casa, palasport dopo palasport, lui
che potrebbe chiedere di suonare nelle piazze più belle del mondo e nessuno
potrebbe rifiutarglielo, lui che ha creato il rock e oggi lo sminuzza in
polveri fini gettate al vento in serate "normali" che nulla hanno dell'
evento, dell' occasione speciale che il suo nome, e la sua leggenda,
esigerebbero. Perché? Come tanti ci affanniamo a decifrare la sua
impassibile maschera. Al Palaizosaki di Torino (prima delle due tappe del
minitour italiano che si è concluso ieri a Milano) c' erano ad aspettarlo
solo seimila appassionati, con molti spazi vuoti nel palasport. Pubblico
comunque notevole se pensiamo alla presenza costante sui palchi di mezzo
mondo per quello che è stato definito il "Neverending tour", molti se
pensiamo a questa insistita vocazione a sottrarre, sminuire, delegittimare
ogni riverbero mitico. Per i primi quattro pezzi del concerto (Cat' s in the
well, The times they are a-changin, Watching the river flow, It' s alright,
ma' ) imbraccia la chitarra elettrica, che è già una piccola novità visto
che negli ultimi anni suona quasi esclusivamente la tastiera (causa alcuni
acciacchi che gli rendono difficile la posizione "con chitarra"), poi prende
definitivamente posizione di fronte ai tasti, e un paio di volte (nel
tripudio del pubblico) concede brevi assolo di armonica, ma già all' inizio
si comprende l' umore del momento, che è quello di sempre: alternanza tra
canzoni recenti e classici, sistematica destrutturazione delle melodie fino
alla quasi totale irriconoscibilità. It' s alright, ma' la si deve dedurre
dal testo, più ovvia The times they are a-changin che, volendo, è una
canzone sempre attuale, non solo perché «i tempi stanno cambiando» ma perché
c' è sempre qualcuno che non capisce quello che sta succedendo. Stupisce
sempre la sua totale mancanza di seduttività. Sembra non voler far nulla per
piacere, malgrado l' elegante vestito scuro e il cappellone bianco a tese
larghe. Spezza le melodie sillabando sul tempo devastando ogni residua
possibilità di cantarle, magari sottovoce, insieme a lui. Poi gioca a fare
il crooner quando attacca Spirit on the water, ma ovviamente sembra un
crooner sgraziato, affetto da laringite, e la sua band, di grande potenza
elettrica, è costretta a simulare un' orchestrina da balera, languida e
dinoccolata. Forse in questo momento i sogni di Dylan lo portano a
immaginare scalcagnati teatrini di provincia, chissà, forse la sua
irriverente sobrietà è una capriola dell' ego, una parodia dei processi di
mitizzazione dell' universo rock, forse continua a invocare i fischi di
Newport che nessuno oggi ovviamente avrebbe il coraggio di lanciare al suo
indirizzo. Il meglio di sé lo offre rievocando l' antica Boots of spanish
leather e soprattutto My back pages dove quel verso epocale e folgorante che
dice «I was much older then, I' m younger than that now» («Ero molto più
vecchio allora, ora sono più giovane») suona sublime e straziante. La canta
come un fagotto avvoltolato in se stesso, senza ostentazione, ma è addolcita
dal tempo, e il chitarrista può perfino lanciarsi in un solo rotondo,
esaltante, indiscutibilmente lirico. Lascia le briglie sciolte al gruppo al
momento di Highway 61, potente cavalcata elettrica e, a sorpresa, si concede
perfino l' amata e odiata (forse perché responsabile principale della sua
prigionia nel mito) Blowin in the wind in un' irriverente e antiretorica
versione boogie. «Quante strade dovrà percorrere un uomo perché tu possa
chiamarlo uomo?» la risposta come si sa è nel vento, e lì è rimasta, in
questi ultimi quarant' anni. - GINO CASTALDO
(fonte : repubblica.it) |
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Giovedi 16 Ottobre 2008
INEDITI E RARITÀ DI BOB DYLAN
clicca qui
Ricordate , si dice "TELL TELL SAIS" , La7
docet again :o)
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Bob Dylan: solidarietà ai piccoli lettori del Canada
Una bella iniziativa che vede protagonista Bob Dylan: il
cantautore ha deciso che destinerà parte del guadagno dei biglietti venduti
per il suo tour in Canada per aiutare un progetto della associazione ‘Raise
a Reader’.
Si tratta, dice il sito di MTV, di una associazione che ” si occupa di
incrementare l’alfabetizzazione in Canada” fornendo aiuti economici a
famiglie in difficoltà, che hanno l’opportunità di fare studiare i propri
figli di avere un aiuto per l’acquisto di testi scolastici e non.
Un aiuto alle famiglie e ai giovanissimi lettori del paese è venuto nel
tempo anche da altri artisti come Michael Bublé, Anne Murray e James Taylor.
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Dylan : Sarò compreso fra cento anni - (dagli archivi di MF)
clicca qui
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Alessandro Carrera ci scrive :
Gentili amici,
spero di farvi cosa gradita informandovi che che è
appena uscito un mio libro per le edizioni Vertigo di Roma. Il titolo è
“L’America al bivio della democrazia”, 352 pagine, 17 euro. Raccoglie
tutti gli articoli che negli ultimi tre anni (dal settembre 2005 al
settembre 2008) ho scritto per “Europa” (quotidiano del Partito
Democratico). È la cronaca degli Stati Uniti in questi tre anni, dall’
uragano Katrina alla campagna elettorale in corso. Spero che vi possa
interessare.
Lo trovate in libreria in Italia, oppure disponibile
su www.internetbookshop.it a questo link:
http://www.ibs.it/code/9788862060165/carrera-alessandro/america-bivio-della.html,
oppure su www.lafeltrinelli.it al link:
http://www.lafeltrinelli.it/products/9788862060165/L'America_al_bivio_della_democrazia/Alessandro_Carrera.html
Grazie per l’attenzione e un cordiale saluto
Alessandro Carrera
Department of Modern and Classical Languages
University of Houston
4800 Calhoun Road
Houston, Texas 77204-3006
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Libri : Cronache di Siviglia
Gentile Michele Murino,
mi chiamo Michele Tosto e sono responsabile dell'ufficio stampa della
Round Robin Editrice. Ti scrivo per segnalarti l'uscita di "Cronache di
Siviglia",
un racconto di viaggio ambientato tra Andalusia e
Portogallo in cui tra i trasognati scenari arabeggianti si narrano le
divertenti disavventure on the road del giovane protagonista, uno
studente romano. Abbiamo pensato di scriverti perchè sia io che
l'autore del libro, Federico di Vita, siamo grandi patiti di Bob
Dylan. Inoltre il romanzo è fittamente punteggiato da citazioni
dylaniane più o meno nascoste e, a un certo punto del racconto,
avviene un incontro con un fantomatico viandante portoghese, tale
Rodrigo Zyliàn... Il racconto che il viandante avrebbe (nella
finzione) consegnato al protagonista è un arcipelago di citazioni
dylaniane, la piccola storia del vecchio viaggiatore ripercorre più o
meno i temi trattati - e vissuti - dal Nostro negli anni '70.
Michele Tosto
clicca qui per la scheda del libro
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Il Fantapoema di Davide "The Saint"
Premessa al Fantapoema Dylaniano:
Ho comprato "Tell tale signs" del grande Dylan e appena ho iniziato ad
ascoltarlo, una serie di pensieri e parole hanno occupato la mia mente, e
quasi come un'esigenza fisiologica ho iniziato a scrivere, come se quelle
parole fossero demoni da scacciare via in una notte da esorcizzare. Ho
scritto questo brano ascoltando la voce di Dylan e la sua voce prendeva le
vesti di una Musa, ispiratrice di ogni frase, di ogni gesto, di ogni
silenzio.
Gocce di vodka su lingue di
santi blasfemi di Davide Imbrogno
“Il più delle volte
la mia mente è sincera
Il più delle volte
sono abbastanza forte da non odiare.
Non mi costruisco illusioni fino a starci male
non sono spaventato dalla confusione, non importa quanto grande
riesco a sorridere in faccia all'umanità.
Non ricordo neanche com'era il sapore delle sue labbra sulle mie
Il più delle volte.” (tratto dalla canzone “Most of the time” di Bob Dylan)
Le uniformi vennero bruciate, e il cielo divenne un cerchio fatto di nubi,
condannati e cappi,
avvoltoi ubriachi in volo, soldati in uniformi ottocentesche scendevano
dalla collina nell’ora del tramonto, e luce fioca, luce calda, occhi e
sangue sulla terra dei santi, uomini in tuniche rosse si diressero verso il
fiume mistico, padri peccatori, e madri dannate dal dolore.
Mi persi nell’oscurità, in quella notte ogni Dio aveva smarrito il suo
cielo, ed io con lui, e guardai il mio viso nello sguardo arrugginito di un
barbone, le sue mani sanguinanti, il suo stomaco bucato, e ancora la
notte..ticchettio di un pianoforte e voce di un’armonica puttana, disperata,
visioni di danzatrici scalze, balli nell’ora della notte, di quel sorriso
ritrovato, e Lei, il suo sguardo lussurioso, un peccatore in una chiesa
sconsacrata…
E verso Est echeggiano i tamburi della battaglia, due amanti salgono sul
treno della gloria, e ancora rullo di tamburi, un plotone di esecuzione
rompe il silenzio dell’ora, tra castità e commiserazione, “Arruolatevi a
questo mondo!” dice un generale visigota, “e sopra la lapide di ogni caduto,
versate qualche goccio di vodka”. Un sassofonista maledetto brinda al suo
clamore con note disperate, e nacqui nel tempo del domani.
Nacqui in ritardo per rinascere in un tempo giusto, nacqui sentendo l’eco di
tuoni e lampi che si propagavano verso una terra desolata, nacqui nel tempo
in cui “Sarà il nulla a premiarci”,
e i fantasmi d’ieri divengono i Santi dell’oggi, il predicatore pronuncia la
frase del domani
“Gloria a questo mondo vecchio!”
Nacqui in una nuvola d’oppio, a contemplare dolore, nacqui con i postumi di
una sbronza, nacqui sotto la luce della luna, sotto la misericordia di un
ultimo satellite esploso, tra monaci e guerrieri con occhi chiusi, e i loro
sandali bucati sulla strada dell’Eterno Ritorno..
Le chiesi di guardarmi, E Lei disse “il mio sguardo ti redimerà da tutto
questo male” E fu allora che voltai le mie spalle, e mi diressi ad occhi
chiusi verso la valle, ma il tempo è trascorso..si odono urla e odore di
peste, e con chitarre battenti e spirito di rivolta andammo verso la caverna
a liberare i prigionieri, ma dinanzi la caverna un epitaffio diceva “Qui
giace il nostro grande Maestro!” e sentimmo le risate dei prigionieri dentro
la caverna, ci dissero
“andate via, o vi facciamo fare la fine del Maestro.
Andate via o uccideremo anche voi! Non abbiamo cicuta, ma fucili calibro 9!
Andate via, noi qui dentro siamo felici abbiamo la Pay tv!”
E la memoria entrò in camere vuote, in quelle mura si avvertiva odore di
tempo perduto, lapidato, trafitto, e nel cuore della notte un uomo con il
viso d’antieroe, resta sulla strada ad elemosinare compassione dal suo
vicino di casa, ma i giardinieri dell’Eden sono in sciopero, e i sindacati
in rivolta, l’albero del peccato continua a germogliare, nessuno pota i suoi
rami, e nel mentre, Adamo ed Eva mangiano una macedonia di mele su una nave
da crociera, lui indossa un panama, e lei, calze autoreggenti e mutandine di
pizzo!
Ma sulla collina, un tozzo di candela continua ad emanare una fievole e
illusa luce:
luce per incendiare l’ultimo cipresso contaminato,
luce per trafiggere l’ultimo giorno di grazia,
luce per un ultimo istante di beata vita!
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RINGO STARR SCARICA I FAN, ''BASTA AUTOGRAFI''
(ASCA) - Roma, 14 ott - Ringo Starr scarica i suoi fan: basta
autografi su lettere e cimeli. In un video pubblicato sul suo sito web -
come rifersice la Cnn - l'ex Beatles dice chiaro e tondo di averne
abbastanza. ''Voglio dirvi per cortesia di non inviare piu' posta a nessuno
degli indirizzi che avete.
Non verra' piu' autografato nulla a partire dal 20 ottobre.
Se il timbro postale sara' con quella data o successivo, la posta verra'
gettata via'', avverte Ringo, occhiali scuri indosso. ''Vi sto dando un
avvertimento pacifico ed affettuoso. Ho davvero troppo da fare. Cosi'...
basta posta dai fan e niente oggetti da autografare, grazie''.
Il 68enne batterista, che ha pubblicato di recente un nuovo album intitolato
''Liverpool 8'', abita attualmente fra Los Angeles, il sud della Francia e
il Surrey. In un'intervista alla televisione britannica lo scorso gennaio
aveva fatto infuriare i suoi ex concittadini, affermando che di Liverpool
non gli mancava proprio nulla.
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In un video impostato sul suo sito Internet
(www.ringostarr.com) il barbuto ed occhialuto Ringo Starr, l’ ex batterista
dei Beatles, chiede ai suoi ammiratori di non spedirgli più lettere da
autografare perchè è molto “ occupato” e ha tanto “ altro da fare” . Perciò,
ammonisce Ringo — in una sorta di ringhioso ultimatum — “ dopo il 20 ottobre
non speditemi più nulla” , perchè queste “ mail fan” saranno respinte. All’
inizio e alla fine di questo videomessaggio lungo 44 secondi Ringo solleva
la mano destra e allarga le dita a V, accompagnando il gesto con la formula
“ pace e amore, pace e amore” che è il suo marchio vocale da quando, insieme
agli altri tre Beatles, andò a meditare in India. C’ è da capirlo, Ringo:
riceve in media 6mila lettere al giorno… O è un ingrato?
clicca qui per vedere il video
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Libri : Il cavaliere elettrico Il
Cavaliere Elettrico: viaggio romantico nella musica di Massimo Bubola
In uscita dal 20 settembre in tutte le librerie il nuovo e attesissimo libro
"Il Cavaliere Elettrico: viaggio romantico nella musica di Massimo Bubola",
scritto dal giornalista Matteo Strukul per la casa editrice Meridiano Zero.
Per ulteriori informazioni
www.meridianozero.it
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Mercoledi 15 Ottobre 2008
Ebay : All'asta l' acetato del 1° LP di Bob Dylan
clicca qui
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Tell Tale signs al 5° posto nelle classifiche irlandesi
clicca qui
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Tell Tale signs al 14° posto nelle classifiche italiane clicca qui
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Bob Dylan: pubblicato "Tell Tale Signs"
clicca qui
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TELL TALE SIGNS
di Gianni Sibilla
Le “Bootleg series” sono state una delle mosse più astute di Bob Dylan:
colui che fu di fatto il primo artista pop-rock ad essere oggetto di un
album illegale – il mitico “Great white wonder” - è stato anche il primo a
legalizzare la diffusione di materiale d'archivio in maniera seriale, ben
prima che il digitale rendesse tutto più semplice. E prima che altri
colleghi (Springsteen, Young...) ci provassero seriamente.
A dire la verià, dopo i primi tre volumi, raccolti in un box nel 1991, la
serie si è un po' persa per strada: i 4 volumi successivi erano concerti,
tra cui certo alcuni memorabili, ma tant'è. Questo nuovo volume riporta
tutto a casa, per usare una frase di Dylan. Due CD (tre, se siete fortunati
a recuperare l'edizione deluxe) di inediti, versioni alternative, brani
live. Tutti provengono dall'89 in poi, andando idealmente a completare
quanto fornito dai primi tre volumi. La confezione, almeno quella standard -
è meno sontuosa del box primigenio, ma per fortuna il contenuto no: un
libretto assai dettagliato soddisferà le voglie dei fan più accaniti.
Come sempre, in questi casi, c'è una doppia chiave di lettura: quella dei
fan, appunto, e quella dell'ascoltatore comune. Il fan si divertirà a
confrontare il materiale con le proprie conoscenze e con le versioni
originali. A farla da padrone, in questa raccolta, sono le versioni
alternate del periodo “Oh mercy”, il disco che nel 1989 ha rilanciato Dylan
grazie alla tormentata collaborazione di Daniel Lanois (e a cui venne
dedicato anche diverso spazio nelle “Cronicles”, l'autobiografia pubblicata
in Italia da Feltrinelli). Tanto per citare un esempio, canzoni come “Most
of the time” dimostrano la tensione creativa di quelle sessioni, con i suoni
diversi da quelli poi pubblicati ufficialmente. Inutile entrare nei
dettagli: questo è uno di quei dischi da leggere, spulciando tra le note del
booklet.
Il secondo livello è quello dell'ascoltatore non specializzato: qua dentro
troverà ottima musica, che dimostra come Dylan, dal suo “ritorno” con “Oh
mercy”, abbia mantenuto un grande livello non solo dal vivo con il
famigerato “Never ending tour”, ma anche in studio. I dischi del cantautore
sono usciti un po' a sprazzi, e il libretto ne spiega bene i motivi, senza
ricorrere ai soliti stereotipi sull'artista bizzoso. Ma, a parte questo, ciò
che dimostra questo box è la grandezza di Dylan anche in questo periodo.
Alla faccia del declino: consigliatissimo, a tutti.
(fonte : rockol.it)
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Un racconto di Dario Twist of Fate a.k.a.
poetadelcazzo79
Ciao Mr.T , per la gioia dei miei amici farmer e per
l'antipatia di chi in passato mi ha contestato sul blog
segnalo che sono stato inserito in un blog molto visitato con un post
dylaniano
Dammi ancora una pillola blu (e starò meglio) (One more cup of coffee)
http://faldoni.splinder.com/post/18716496/Dammi+ancora+una+pillola+blu+-
a presto e grazie per la fiducia! Dario Twist of Fate
Sono contento caro Dario , te lo sei
meritato , ciao :o)
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Glaser: l'amore per New York passa da Voltorre
clicca
qui
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Martedi 14 Ottobre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 427
- clicca qui
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Classifiche UK: direttamente al numero nove "Tell tale
Signs"
clicca qui
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...Are times a-changin' ?
Nato dall’idea di Antonio Nardo di portare in scena le
musiche storiche del rock degli anni Sessanta il progetto è diventato, dopo
l’incontro con Giò Alajmo, giornalista - critico e autore, una
rappresentazione di musica e teatro sull’America del Dopobomba.
Una rappresentazione che attraversa la nascita del rock’n ’roll, la poesia
beat, le crisi politiche, le battaglie per i diritti civili e l’integrazione
razziale, il grande sogno degli anni Sessanta vissuti da un ragazzo del ’43,
orfano di guerra, che si trova a vivere il suo tempo e a inseguire una
passione per la musica ritrovandosi in prima persona tra gli eventi del suo
tempo; fino a chiedersi alla fine se davvero – come cantava Bob Dylan - i
tempi erano cambiati.
Lo spettacolo è un po’ concerto, un po’ narrazione, un po’ integrazione
visiva con luci, proiezioni e immagini che completano il percorso narrativo
di questo messaggio di pace.
Un evento assolutamente imperdibile proprio nel 60° anniversario della
Dichiarazione dei Diritti Umani e della Costituzione Italiana, a 40 anni
dall’assassinio di M.L.King e dal ..’68 , interpretato da Vasco Mirandola e
Gaetano Rocco Guadagno e con le musiche d’epoca eseguite dal vivo dalla
Mr.AntonDjango’s Band.
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MISSISSIPPI - Parole e Musica Bob Dylan
Ogni passo del cammino, percorriamo il limite I tuoi giorni
sono contati, e così i miei. Il tempo si ammassa, ci affanniamo e graffiamo
Siamo tutti inscatolati, senza nessun posto dove scappare La città è solo
una giungla, con più commedie da recitare Intrappolato nel profondo, cerco
di fuggire Sono cresciuto in campagna, ho lavorato in città I miei guai sono
iniziati appena ho appoggiato a terra la valigia Non ho nulla per te e
niente avevo prima Non ho niente nemmeno per me stesso ormai Fuoco nel
cielo, il dolore scorre a fiumi Non c'è niente che tu mi possa offrire, ci
vediamo in giro
Tutte le mie capacità espressive ed i miei pensieri così sublimi Non
potrebbero mai renderti giustizia, con il raziocinio o con la poesia Ho
sbagliato solo una cosa, Sono rimasto in Mississippi un giorno di troppo Il
diavolo è nel vialetto, il mulo nella stalla Dì pure tutto quello che vuoi,
ho già sentito tutto Pensavo alle cose che ha detto Rosie e sognavo di
dormire nel suo letto Cammino attraverso le foglie cadenti dagli alberi Mi
sento come un estraneo, che nessuno vede Così tante cose che non
cancelleremo mai Lo so che ti dispiace, dispiace anche a me
Alcune persone ti offriranno il loro aiuto e certe altre no La notte scorsa
ti conoscevo, stanotte no. Ho bisogno di qualcosa di forte per distrarmi la
mente Ti guarderò finché non mi si accecheranno gli occhi Sono arrivato qui
seguendo la stella del sud Ho attraversato quel fiume solo per starti vicino
Ho sbagliato solo una cosa, Sono rimasto in Mississippi un giorno di troppo
La mia nave è andata in mille pezzi e sta affondando veloce Sto annegando
nel veleno, non ho futuro, non ho passato Ma il mio cuore non è stanco, è
leggero e libero Non nutro altro che affetto per tutti quelli che hanno
navigato con me Se ne vanno tutti, o forse son già lì Devono tutti andare da
qualche parte Stai con me piccola, stai con me in qualche modo, Le cose
dovrebbero iniziare a diventare interessanti proprio ora
Ho i vestiti bagnati, attaccati alla pelle Non così stretti come l'angolo
nel quale mi sono dipinto
Lo so che la fortuna attende di essere benevola Perciò dammi la mano e dimmi
che sarai mia. Il vuoto è senza fine, freddo come l’argilla Puoi sempre
tornare indietro, ma non puoi mai tornare indietro completamente Ho
sbagliato solo una cosa, Sono rimasto in Mississippi un giorno di troppo.
Dario Twist of Fate
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SCRIVEVANO.......
UNA CHIACCHIERATA DI MEZZANOTTE CON BOB DYLAN
Fort-Lauderdale,Sun Sentinel 29 settembre 1995
Intervista di John Dolen
traduzione di Alexan "Wolf"
Quando Bob Dylan chiama è quasi mezzanotte. Quando parla,
lo fa con voce chiara e distinta. Si dimostra contemplativo, enigmatico,
persino poetico, pur essendo a fine giornata, di rientro in hotel a Fort
Lauderdale dopo una prova con la band.
La parte meridionale del suo tour attuale stasera ‘ingrana la quinta’ con il
primo di due concerti al Sunrise Musical Theatre. Il tour, in corso da oltre
un anno, si è guadagnato recensioni entusiastiche da parte della critica di
New York, San Francisco e Dublino. Nel colloquio di quasi un’ora con John
Dolen, direttore di Arts & Features, la prima intervista approfondita che
abbia dato ad un giornale quest’anno, Dylan parla delle sue canzoni, del
processo creativo e dell’esibizione gratuita di domenica scorsa all’Edge di
Fort Lauderdale.
Domanda: Come molti, anch’io nel corso degli anni ho trascorso migliaia di
ore ad ascoltare i tuoi dischi. Ancora adesso, non passa un mese senza
Blonde on Blonde, Highway 61 Revisited, Slow Train Coming, Street Legal, Oh
Mercy. Ti capita mai di sederti e riguardare tutti questi dischi dicendoti,
hey, niente male?
BD: Sai, è ironico. Non li ascolto mai. Davvero, non li riconsidero mai,
tranne che per prenderne delle canzoni qua e là da suonare. Forse dovrei
ascoltarli. Come corpus di lavoro, ce ne potrebbe essere sempre di più. Ma
dipende. Robert Johnson fece un solo disco – il corpus del suo lavoro è
costituito da un solo disco. Pure, non c’è lode o stima abbastanza alta per
ciò che rappresenta. Ha influenzato centinaia di artisti. C’è gente che ha
pubblicato 40 o 50 dischi e non ha fatto quel che lui ha fatto.
D: Che disco era?
BD: Un disco chiamato King of the Delta Blues Singers. Nel '61 o '62. Era
brillante.
D: All’inizio del mese la tua performance al concerto di Cleveland per il
Rock and Roll Hall of Fame ha convogliato un sacco di attenzione. E’
importante per te? Qual è il tuo sentimento a proposito di questa
istituzione?
BD: Non ho mai visitato l’edificio, ho giusto presenziato al concerto, che è
stato piuttosto lungo. Perciò non ho commenti sull’interno o su una
qualsiasi delle esposizioni che vi sono ospitate.
D: Ma come ti sembra l’idea di una “rock hall of fame” in
se stessa?
BD: Non c’è più niente che mi sorprenda. Di questi tempi può accadere di
tutto.
D: Allo show di domenica all’Edge, hai fatto molte cover, inclusa un po’ di
roba vecchia, come Confidential. Era una canzone di Johnny Ray?
BD: Di Sonny Knight. Non la risentirai.
D: Oh, è questa la ragione per il tuo commento "provate a
tramutare la cacca di toro in oro" allo show? Quelle cover erano qualcosa
solo per gli spettatori dell’Edge? Vuol dire che non hai intenzione di fare
altro materiale come quello nel tour, concerti del Sunrise compresi?
BD: Sarà il solito show che facciamo in questo tour, canzoni che la maggior
parte della gente ha già sentito.
D: In tema di musica non-di-Dylan, Bob Dylan che cassette
o CD si spara in questi giorni?
BD: Mai sentito John Trudell? Recita le sue canzoni invece di cantarle ed ha
una band veramente buona. C’è un sacco di tradizione in quello che fa. Mi
piace anche Kevin Lynch. E Steve Forbert.
D: Ci sono nuove band che ritieni degne di attenzione?
BD: Qua e là sento qualcuno e penso che siano tutti grandi. Per lo più non
mi capita mai di risentirli. Ho visto qualche gruppo d’estate a Londra. Non
so come si chiamano.
D: A questo stadio della tua carriera, una volta meritati
ogni sorta di onore e di riconoscimento pubblico che una persona possa
ottenere, che cosa ti motiva?
BD: Li ho avuti di entrambi i tipi. Ho avuto riconoscimenti positivi e
negativi. Prestare attenzione a queste cose è patologico. Leggere di noi
stessi ci fa ammalare. Devi provare a non pensarci o a liberartene prima
possibile.
D: Per alcuni scrittori la motivazione consiste nel farsi
carico di riuscire a portar fuori ciò che è dentro di loro e poi a metterlo
sulla carta. Com’è per te?
BD: Esattamente così. Ma se non riesco a farlo accadere quando viene, sai,
quando altre cose si intromettono, di solito non lo faccio accadere. Non
vado in un certo luogo in un certo momento ogni giorno per costruirlo. Nel
mio caso, molte di queste canzoni se ne stanno in giro imperfettamente…
D: Come songwriter, che cos’è il processo creativo? In che
modo nasce una canzone come All Along the Watchtower?
BD: Ci sono tre modi. Scrivi i testi e cerchi di trovare una melodia.
Oppure, se riesci a ottenere una melodia, allora tenti di ficcarci i testi
in qualche modo. E infine il terzo modo è quando vengono entrambi insieme.
Dove tutto accade confusamente: le parole sono la melodia e la melodia è le
parole. E questo per qualcuno è l’ideale, come per me che riesco a partorire
qualcosa. All Along the Watchtower era in quel modo. E’ balzata fuori in un
tempo molto breve. Non mi piacciono le canzoni che ti fanno sentire flebile
o indifferente. Per me ciò lascia un’intera quantità di cose fuori dal
quadro.
(ndt, sono profondamente insoddisfatto della traduzione di questa risposta
di Bob: leggetevela nell’originale. Ci sono dentro serietà, impazienza,
ironia, indeterminatezza, molteplicità di significati - delle singole parole
e dei costrutti verbali - e anche una rara e tremenda precisione)
D: Cos’hai provato quando hai sentito per la prima volta
la versione di Jimi Hendrix di All Along the Watchtower?
BD: Mi sopraffece, davvero. Aveva un tale talento, era in grado di trovare
delle cose in una canzone e di svilupparle con vigore. Trovava cose che
altri non avrebbero pensato di trovarci dentro. Probabilmente la migliorò
con il suo uso degli intervalli. In effetti, mi sono preso delle licenze con
la canzone a partire dalla sua versione, e continuo a farlo ancora oggi.
D: Angelina dalle Bootleg Series è una grande canzone, ma, non importa
quanto ci provi, non riesco a dare un senso alle parole; mi dai un indizio?
BD: Non provo mai a capire a cosa si riferiscano. Se ci devi pensare, non è
lì (il senso).
D: Una canzone che mi ha sempre ossessionato è Senor, da
Street Legal. L’hai mai suonata negli ultimi anni?
B: La facciamo forse ogni tre, quattro o cinque show.
D: Nei ’70, dopo alcuni anni passati all’estero, mi
ricordo l’incredibile euforia che sentii quando tornai negli Stati Uniti
sentendo le tue canzoni cristiane, una convalida delle esperienze che avevo
fatto in Spagna. Ricordo i versi,
"Parli di Buddha
Parli di Maometto
Ma non dici mai una parola per colui che venne a morire al nostro posto ..."
Erano versi intrepidi. Adesso come ti senti a proposito di quelle parole e
delle canzoni che hai scritto in quel periodo?
BD: Il fatto di scrivere canzoni come quelle probabilmente mi ha emancipato
da altri tipi di illusioni. Ho scritto così tante canzoni e così tanti
dischi (ndt, notare la distinzione) che non sono in grado di rivolgermi a
tutti con proprietà. Non posso dire che sarei in disaccordo con quel verso.
Sul suo piano, scriverlo per me fu una specie di punto di svolta.
D: Con un repertorio ampio come il tuo e con il successo
di quest’anno del disco MTV Unplugged (ndt, non proprio acustico), perchè
nei concerti di questo tour proponi sempre un suono così pesante di chitarra
e batteria?
BD: Non è il tipo di musica che farà addormentare qualcuno.
D: L’altra notte all’Edge hai lasciato le armoniche sullo scaffale senza
toccarle, c’è qualche ragione?
BD: Sono una tale dinamo su se stesse (ndt, forse: hanno una tale capacità
di ricaricarsi da sole). Le prendo quando mi sento di farlo.
D: Hai fatto parecchi passaggi da queste parti negli
ultimi 10 anni. Cosa pensi della Florida del Sud?
BD: Mi piace molto, a chi non piacerebbe? C’è molto da apprezzare.
D: Ora c’è Bob Dylan su CD-ROM, Bob Dylan nella Rete e
tutta quella roba. C’è gente che ti prende troppo sul serio?
BD: Non tocca a me dirlo. La gente prende tutto seriamente. Rischi di
diventare troppo altruista riguardo a te stesso, per via dell’energia
mentale degli altri.
D: Al di là dell’Atlantico c’è un collega di nome Elvis
Costello che, dopo di te, occupa un sacco di spazio sullo scaffale accanto
al mio stereo. Siete entrambi prolifici, ogni volta ve ne uscite con album
particolari, con una ricca produzione immaginativa e molto da dire, e così
via. C’è qualche ragione per la quale non ho mai visto i vostri nomi e le
vostre facce insieme in tutti questi anni?
BD: E’ buffo che tu dica questo. Ha appena suonato in quattro o cinque dei
miei show a Londra e Parigi. Ha fatto molte canzoni nuove, suonandole da
solo. Faceva cose sue. Avresti dovuto essere lì.
D: L’America è migliorata o peggiorata dai tempi di,
diciamo, The Times They are A-Changin’?
BD: Vedo fotografie degli anni ’50, ’60 e dei ’70 e vedo che c’era una
differenza. Ma non penso che la mente umana possa concepire il passato e il
futuro. Sono entrambe solo illusioni che possono indurti a pensare che
qualche tipo di cambiamento ci sia stato. Ma per chi è in giro da un po’,
sembrano entrambi innaturali. Apparentemente procediamo lungo una linea
retta, ma poi cominci a vedere cose che hai già visto. Hai mai avuto
un’esperienza del genere? Sembra che giriamo in tondo.
D: Ora, quando guardi avanti, vedi ancora uno Slow Train
Coming?
BD: Ora, quando guardo avanti, ha preso un po’ di velocità. In effetti,
adesso va come un treno merci.
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Special : Bob Dylan and the West Coast
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Fotografia jazz: scompare W. Claxton
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Lunedi 13 Ottobre 2008 Tell Tale Signs : l'opinione dei Maggiesfarmers
Ho subito registrato i due cd disponibili in streaming e
li ho ascoltati per bene.
(Nota a latere: io ho imparato (circa a.d. 1972) ad amare Dylan su un
mangiacassette monofonico,
dalle audiocassette prestatemi da un amico, piene di fruscii, click e pops,
tramite
un altoparlante da 5 centimetri di diametro... per me un mp3 scaricato e
registrato
tramite scheda audio ha una qualità eccelsa, superiore ad ogni
immaginazione... :-)
ben vengano quindi queste stupende preview a costo zero)
Come tutti i "Bootleg Series" si tratta di roba per fan(atici) come noi,
su questo non c'è dubbio, e capisco quindi la scelta di creare il
cofanetto dorato a 160,00 euro. Se li avessi ce li spenderei, ma di questi
tempi...
Per me si tratta di un disco molto interessante. E' bello vedere/sentire
come le canzoni si trasformano nelle mani di Dylan (una per tutte
Mississippi!!!).
E' bello poter capire come nasce un capolavoro simile. Non si scaverà mai
abbastanza
nel patrimonio di registrazioni dylaniane perché si troveranno sempre
delle perle, o quantomeno dei segni che rivelano il suo modo di lavorare
da artigiano delle emozioni.
Pensavo di trovare una Mississippi più simile a quella registrata da Sheryl
Crow e invece tutt'altro... anche allo stato embrionale lascia stupefatti
per la sua
semplicità, come anche Red River Shore che è stupendissima. E Highwater con
l'ormai mitico Freddy Koella alla chitarra, completamente stravolta...
E' un disco pensato per noi che adoriamo Dylan, certo poco digeribile e
troppo monotono per essere apprezzato da un pubblico distratto.
Non sono per una condanna, e mi pare di capire che il terzo Cd (quello che
costa
160,00 euro) forse è il migliore dei tre... vedremo se e quando
riuscirò a sentirlo... Sono curioso in particolare per Trying To Get To
Heaven, che ad Anzio (2001) fu strepitosa. Spero si tratti dello stesso
arrangiamento con quell'atmosfera jazzy così magica ed inusuale per Dylan.
Comunque, pur essendo sempre stato scettico sulla bontà dei concerti di
Dylan, ora non concordo con l'eccesso di critiche che sto leggendo, mi
sembra che si stia esagerando, specialmente ora che Lui ha raggiunto un'età
ragguardevole, che meriterebbe maggior rispetto "a prescindere!", come
diceva il Principe De Curtis.
Alla prossima
Bruno "Jackass"
P.S. un saluto particolare a Paolo Bassotti, lui sa il perché.
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Gli Anni '60
(Traduzione dall'originale inglese di Paolo Latini)
Era giunto il tempo perché qualcosa cambiasse, ma serviva ancora un elemento
catalizzatore.
Il "Mersey-beat" cambiò per sempre la storia della musica. Il Mersey-beat
proveniva dal niente, ma si portava dietro il potere della storia. La Gran
Bretagna aveva avuto una scena musicale pidocchiosa per tutti i Sixties. Per
lo più, i rockers inglesi scimmiottavano Presley. La Gran Bretagna non si
identificava con il rock and roll, non apprezzava quelle sue attitudini
"ribelli", non si divertiva ai suoi ritmi frenetici. In altre parole,
quindi, il seme era già stato piantato. La Gran Bretagna ebbe una scena
alternativa prima degli Stati Uniti: i blues clubs. Per tutti gli anni '50,
in Inghilterra spuntavano blues clubs ovunque. Londra ne era l'epicentro, ma
un po' tutte le maggiori città inglesi avevano la loro dose settimanale di
blues. Diversamente dalla controparte rock, che era costruita attorno a meri
imitatori, il cosiddetto British blues contava su veri innovatori che
plasmarono la materia blues fino a farla diventare qualcosa di diverso.
Cominciò una metamorfosi che trasformò il blues in musica "bianca": si
enfatizzavano i ritornelli epici, si velocizzavano le chitarre ritmiche di
Chicago, le parti cantate venivano smorzate perché il suono fosse più
operatico, si flettevano i cori, si aumentavano gli arrangiamenti
organistici e si aggiungevano armonie vocali. In pochi anni, i musicisti di
british blues si trovavano a suonare qualcosa di profondamente sentito, come
era il blues americano, ma con una potenza che nessun altro aveva sulla
Terra.
Agli albori dei Sixties, i veterani di quella scena, o, se si preferisce, i
discepoli, portarono alla formazione di bands come i Rolling Stones, gli
Yardbirds e gli Animals. I Rolling Stones divennero "la" sensazione a Londra
e registreranno i singoli che ebbero il maggior successo. Gli Yardbirds
erano il gruppo più sperimentale di tutti, e furono il ginnasio di tre tra i
migliori chitarristi di sempre: Eric Clapton, Jeff Beck e Jimi Page. Dalle
loro ceneri nacquero due gruppi blues, i Cream e i Led Zeppelin, che in
pochi anni, rivoluzionarono di nuovo la musica rock.
Liverpool era l'eccezione: non ebbe una scena alternativa ma un pugno di
gruppi più commerciali. Il produttore George Martin fu il demiurgo che creò
l'intera scena, insieme a Gerry And The Pacemakers e i Beatles, il gruppo
che avrebbe poi avuto un successo mondiale. Le facce pulite e sorridenti dei
ragazzi di Liverpool creavano un aspro contrasto con l'animalismo del blues
selvaggio dei club del circuito underground. Ma i due fenomeni erano
complementari. La "Beatlemania" rubò il momento di grazia che stava vivendo
la musica blues e capì presto come convertire quella musica in un'attrazione
di massa. Era nato il Rock come business.
I gruppi più influenti della seconda generazione furono i Kinks e gli Who.
Entrambi registrarono concept-album e "rock opera" che parafrasavano
l'operetta inglese nel linguaggio della musica rock. Ma, mentre i Kinks
proponevano del rock melodico, gli Who, con le loro chitarre maniacalmente
amplificate, puntavano ad un futuro più rumoroso e meno ingentilito. I
Rolling Stones, i Kinks e gli Who rappresentano la triade rock di metà anni
'60 che influenzerà per decenni intere generazioni di gruppi rock. Gli Who
componevano canzoni autobiografiche sulla gioventù selvaggia e frustrata. I
Rolling Stones scrivevano canzoni autobiografiche sui punk decadenti della
classe operaia. I Kinks componevano vignette realistiche sulla vita
ordinaria dell'Inghilterra borghese. Tutti e tre insieme hanno dato un
affresco completo dell'epoca nella quale vivevano.
Cream e Led Zeppelin pagarono la loro quota del debito quando cominciarono a
suonare un blues decisamente rumoroso. I lunghi solo dei Cream e i riff
veloci dei Led Zeppelin crearono l'epitome dell'"hard rock".
The impact of British electricity on the American scene was equivalent to an
earthquake. Kids embraced electric guitars in every garage of the United
States and started playing blues music with a vengeance.
On the East Coast it was Dylan again who led the charge. His first electric
performances were met with disappointment by his fans, but soon "folk-rock"
boomed with the hits of the Byrds and Simon And Garfunkel.
Il movimento psichedelico che si stava diffondendo per tutto il paese in
qualche modo si unì con l'ondata di rock elettrico e con i movimenti di
protesta. Diventarono tutt'uno a New York e a San Francisco. I Velvet
Underground e i Fugs fecero del rock and roll un'operazione intellettuale.
Nella West Coast tanto San Francisco quanto Los Angeles reagirono al boom
del rock and roll in un modo tipicamente eccentrico. San Francisco, che
stava diventando la mecca degli hippies, profuse l'"acid-rock", e Los
Angeles, il cui milieu aveva già prodotto innumerevoli danni letterari e
cinematografici, profuse Frank Zappa e Captain Beefheart, due dei più
influenti musicisti del secolo. Zappa e Beefheart registrarono alcuni dei
dischi tra i più sperimentali di sempre ever e fecero del rock and roll
un'arte seria e maggiore. Le bands San Francisco, guidate dai Jefferson
Airplane e dai Grateful Dead, si avvalevano di complesse armonie e di jams
improvvisate, con le quali avvicinarono la musica rock agli eccessi
intellettuali del jazz. Blue Cheer e Quicksilver spianarono la fondazione
dell'hard-rock.
il rock psichedelico si diffuse per tutto il paese, fino a riversarsi in
Gran Bretagna. Ben presto l'America produsse i Doors e l'Inghilterra i Pink
Floyd, due bands la cui influenza sarà gigantesca. La psichedelia texana
restò nell'anonimato, ma gruppi come Red Crayola erano "avanti" per il loro
tempo. Anche Detroit restò ai margini del giro principale, comunque sia gli
MC5 e gli Stooges fecero fare un passo in più allla musica rock sulle scale
del rumore.
Il boom della musica rock negli Stati Uniti fece resuscitare il blues. Jimi
Hendrix e Janis Joplin divennero stars, e innumerevoli musicisti di blues
bianco riempirono i clubs di Chicago e di San Francisco. La Band, i
Creedence Clearwater Revival e i Doobie Brothers raggiunsero nuove frontiere
nella rivisitazione delle tradizioni della musica bianca e nera. Nel sud
questo revival portò alla nascita del "southern rock" e gruppi quali gli
Allman Brothers e Lynyrd Skynyrd.
La musica country era sempre monopolio di Nashville, ma molti artisti la
univano alle meditazioni orientali, all'improvvisazione jazz e alla libertà
del rock. Sandy Bull, Robbie Basho e John Fahey suonavno lunghi pezzi
strumentali che potevano competere con le ambizioni della musica
d'avanguardia.
Nel frattempo, la black music stava avendo una sua metamorfosi. Il Soul
assunse la forma di una musica festatiola con il catalogo della Tamla Motown
tra cui le Supremes, e il rhythm and blues mutò in un genere febbrile , il
"funk", grazie alle spettacolari oscenità di artisti come James Brown.
In Gran Bretagna, la musica rock prese più di un sentimento europeo con i
movimenti psichedelici nati al di fuori dei clubs. Canterbury divenne il
centro del rock più sperimentale. I Soft Machine furono il gruppo più
importante del periodo, dando alla musica rock una tinta jazz che sarà
ispirazione del "progressive-rock". Tra i musicisti eccentrici e creativi
che nasceranno dall'esperienza Soft Machine ci saranno Robert Wyatt, David
Aellen, e Kevin Ayers. La loro eredità sarà ben presente in altre bands di
Canterbury come gli Henry Cow, non meno creativi e improvvisatori.
Il Progressive-rock tagliò via l'energia del rock e la rimpiazzò con
l'intelletto. Traffic, Jethro Tull, Family e più tardi i Roxy Music
svilupparono una miscela di soul-rock che avava poco in comune sia con il
soul che con il rock and roll: lunghe jams convolute, accenti jazzati, e
arrangiamenti barocchi deragliarono dalla forma-canzone. King Crimson,
Colosseum, Van Der Graaf Generator, i primi Genesis, Yes cominciarono a
suonare brani sempre più complessi, teatrali ed ermetici. Gli arrangiamenti
diventarono sempre più complessi, gli strumentisti sempre più virtuosi.
Spesso venica adoperata una strumentazione elettronica. Bonzo Dog Doo Dah
Band, Third Ear Band e Hawkwind crearono generi per i quali, al tempo, non
esistevano nomi (cabaret decadente, world-music e hard rock psichedelico).
Il paradigma si allargò presto all'Europa continentale, che partorì i suoi
primi grandi gruppi rock: Magma, Art Zoyd, Univers Zero.
Anche i folksingers britannici sembravano sempre più intellettuali francesi
che cantastorie vecchia maniera. Il folk revival dei Sixties fu in gran
parte opera di tre gruppi: i Pentangle, i Fairport Convention e gli
Incredible String Band. Ma attorno a quelli, vivevano cantanti/cantautori
come Donovan, Cat Stevens, Nick Drake , John Martyn, Syd Barrett e Van
Morrison che stabilirono dei nuovi standard di espressività musicale per
temi intimistici.
Gli anni '60 furono in definitiva l'era "classica" della musica rock. I
principali sotto-generi del rock furono coniati in quel decennio. Il
paradigma della musica rock, intesa come polo "alternativo", in
contrapposizione alla musica pop commerciale, fu stabilito proprio negli
anni '60. Le sperimentazioni selvagge permisero ai musicisti rock di
esplorare una gamma di stili musicali che in pochi avvicinarono prima del
1966. Captain Beefheart e i Velvet Underground crearono addirittura un
diverso tipo di musica rock dentro la musica rock, un diveso paradigma
dentro il nuovo paradigma, uno che influenzerà musicisti alternativi per
decenni. Non i giganti Bob Dylan e Jimi Hendrix, ma umili musicisti come
Captain Beefheart, i Velvet Underground e Red Crayola sono forse i veri eroi
dei Sixties.
anni 70
(Traduzione dall'originale inglese di Paolo Latini)
La morte di Jim Morrison, di Janis Joplin, di Jimi Hendrix e di molti altri,
causò una sorta di raffredamento nel fenomeno rock. Dopo gli eccessi degli
anni '60, Bob Dylan ed altri, intrapresero una strada più pacifica verso il
nirvana del rock, e ri-scoprirono la musica country. Fu così che il
"country-rock" divenne una delle prime manie degli anni '70, portando al
successo gruppi come gli Eagles. Poi c'erano il reggae, che divenne un
genere commercializzato grazie a Bob Marley, il funk, che divenne
addirittura più assurdo e sperimentale con le bands di George Clinton,
l'hard-rock, da cui nascerà l'heavy-metal (Blue Oyster Cult, Kiss,
Aerosmith, AC/DC, Rush, Journey, Van Halen). I '70 segnarono tutto sommato
un momento di quiete, contro le nevrasteniche battaglie dei '60.
Al volgere del decennio, il fenomeno musicale predominante fu l'emergere di
una nuova generazione di cantanti/cantautori, diretta conseguenza delle
ambizioni intellettuali della precedente generazione. Leonard Cohen, Tim
Buckley, Nico, Lou Reed, Todd Rundgren, Joni Mitchell, Neil Young, Tom
Waits, e il più famoso di tutti, Bruce Springsteen, stabilirono il paradagma
di una personalità musicale che univa in sé quelle del classico compositore
e del folksinger.
In Gran Bretagna, i primi anni '70 furono caratterizzati dall'espandersi
dell'hard-rock e del progressive-rock, e quindi delle loro varie
ramificazioni nei molti sotto-generi. I musicisti britannici conferirono una
qualità "intellettuale" al rock'n'roll, qualità che regalò al rock una
dignità pari a quella di cui godevano il cinema e la letteratura europei. Il
rock britannico soffrì però della stessa stagnazione che stava affliggendo
quello americano. L'impulso creativo e innovativo si spense rapidamente, e i
nuovi generi creati dai musicisti britannici o diventavano sterili o si
trasformavano in fenomeni commerciali. La decadenza musicale si portò dietro
la decadenza del rock, personificata da dandies come David Bowie e Marc
Bolan. Eccentrici sopravvissuti del progressive-rock come Robert Fripp e
Peter Gabriel si riciclarono ridisegnandosi delle carriere avanguardiste,
cosa che porterà ad una nuova e più estesa concezione della musica rock.
Nuovi musicisti, come Kate Bush e Mike Oldfield aiutarono la musica rock a
liberarsi delle classificazioni di genere e aprirono le porte ad una musica
più astratta. Ma fra tutti, il musicista più influente fu Brian Eno, che
dopo aver rinnovato il progressive-rock con i Roxy Music, ha inventato come
solista la musica ambient.
Pressoché ignorato al tempo, il rock tedesco (noto anche come "kosmische
musik") era probabilmente vent'anni avanti il rock britannico. Kraftwerk,
Amon Duul, Tangerine Dream, Klaus Schulze, Faust, Neu! Can realizzarono
alcuni dei più importanti albums dell'epoca, e dell'intera storia della
musica rock. Guidarono la fondazione della musica popolare elettronica, del
moderno rock strumentale, addirittura della new-age e della disco music.
A metà anni '70, più che "innovare", la parola d'ordine era "consolidare",
ma ci furono due fenomeni che avrebbero avuto un grosso impatto sul futuro
imminente: la disco-music e il punk. La Disco-music fu il primo genere ad
usare strumenti elettronici per musica commerciale di massa. La musica da
ballo cambierà per sempre. Si cominciarono ad usare arrangiamenti
orchestrali, che diventarono presto tanto ordinari quanto gli assoli di
chitarra. Il punk ebbe un impatto anche maggiore, perché si accompagnò al
processo di emancipazione dell'industria discografica dal mondo delle
"majors". Nacquero migliaia di etichette discografiche indipendenti, che
producevano e promuovevano artisti alternativi, e presto l'intera scena
musicale sarà divisa in due tronconi: il rock commerciale (quello di Elvis
Presley e dei Beatles) e il rock alternativo (quello di Zappa e Grateful
Dead). Il Punk in sé era un tipo di rock veloce, ruomoroso, ma divenne
rapidamente un moniker per tutta la musica aggressiva dell'epoca.
Dalle ceneri del decadentismo di gruppi come i New York Dolls, i Ramones
fecero del punk una religione, oltre che un suono.
A New York i punks erano tanto intellettuali quanto lo erano i folksingers
di vent'anni prima. Patti Smith, Television, Suicide e Feelies erano i nomi
principali della "new wave". La new wave fu realmente una "nuova ondata" di
creatività, che ci trascina indietro fino agli anni '60, quando si competeva
per innovare.
Dettagli sulla New Wave
I Sex Pistols guidarono la prolifica scuola punk in Gran Bretagna, dove il
punk era una musica di ribellione dai forti connotati sociali e politici. I
punks non erano necessariamente arrabbiati, anarchici e suicidi: i Clash e i
Fall erano punks con un cervello.
Dettagli sul Punk
I Pere Ubu, e i Devo in Ohio, e i Residents e i Chrome a San Francisco
spianarono la strada a centinaia di bands, che come gli Zoogz Rift
superarono il formato-canzone e offrirono una musica tanto bizzarra e
rivoluzionaria quanto lo fu quella di Zappa e Beefheart.
Altri dettagli sulla New Wave
Tom Petty, in California, fu uno dei pochi musicisti di quella generazione
rimasti immuni dalla febbre della sperimentazione.
I Fleshtones e i Cramps e i Cars guidarono le tante bands che riscoprirono
gli anno '50 e '60, nel segno del movimento "american graffiti".
Dettagli sul revival dei Sixties
In Gran Bretagna un'intera generazione di gruppi che stava sgobbando nei
pub, ebbe la sua possibilità di emergere a livello nazionale ed
internazionale. Elvis Costello, Police, Dire Straits sono i nomi più
conosciuti tra quelli emersi da quel milieu.
Dettagli sul revival inglese
Blondie, Talking Heads e James Chance, e più tardi Madonna, portarono l'idea
nelle discoteche di New York.
Dettagli sulla musica dance per i punks
Il numero di geni solitari crebbe esponenzialmente, e contò su uomini del
rinascimento come Bill Laswell da Boston e compositori industriali
demenziali come Foetus a New York (via Australia).
Il rock and roll era rinato. Proprio come a metà anni '60, ogni anno aveva
la sua scorta di brillanti musicisti che si rimettevano a ri-scrivere il
canone della musica rock. In Gran Bretagna venne per prima la musica
industriale, inventata da Throbbing Gristle come un ibrido tra music
d'avanguardia e musica rock, quindi il dark-punk, i cui principali nomi
erano Joy Division, Siouxsie Sioux, Public Image Ltd, Cure, Killing Joke,
Sisters Of Mercy.
Dettagli sul Dark Punk
Il Pop Group fu il combo più innovativo dell'epoca, e aprì la strada per le
carriere di Rip Rig and Panic e Mark Stewart, anticipando la fusione di
soul, jazz e hip hop.
L'Era del Rock Alternativo
(Traduzione dall'originale inglese di Paolo Latini)
Negli Stati Uniti la new wave cedette il posto alla "no wave" di Lydia
Lunch, James Chance, Sonic Youth, Swans,
Dettagli sul Noise-rock
Nel frattempo, il punk-rock divenne "hardcore" e miriadi di bands
terrorizzarono New York (Misfits), Boston (Mission Of Burma, Lemonheads), e
soprattutto Washington (Bad Brains, Pussy Galore, Fugazi). La West Coast
ebbe la sua dose di violenza hardcore, ma in qualche modo Los Angeles (Black
Flag, X) e San Francisco (Dead Kennedys, Flipper, Camper Van Beethoven)
riuscirono ad ospitare le scene più sperimentali. Tanto che a Los Angeles si
estese una generazione di gruppi le cui radici affondavano nel "beach-punk"
ma il cui sound era molto più complesso (Minutemen, Saccharine Trust,
Universal Congress, fIREHOSE ), una scuola che è poi culminata nella
carriera solista di Henry Rollins . In Australia si consumava una delle
scene più intense, a partire dai più lontani Saints e Radio Birdman fino ai
più recenti Lubricated Goat.
Dettagli sull'Hardcore
Dettagli sui cantautori degli anni '80
Il sud-est divenne una delle culle della melodia, che miscelava folk-rock e
pop (B52's, REM).
Dettagli sul College-pop
L'intera scena nazionale beneficiò dell'espandersi delle etichette
indipendenti. Los Angeles allevò la Paisley Underground e la scena dei
cow-punk: Dream Syndicate e Gun Club emersero da quel revival creativo.
Dettagli sul revival psichedelico
Dettagli sul roots-rock degli anni '80
Ogni tipo di bands neo-rock invase New York, tra cui Band Of Susans. A
Boston ce n'erano due tra le più influenti, Dinosaur Jr e Pixies, che de
facto inventarono il "grunge" rock. Seattle vide il revival dell'hard-rock e
il boom del grunge (Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam). Chicago fu testimone
della nascita artistica del genio malato di Steve Albini con i Big Black.
Minneapolis era l'elemento catalizzatore: gli Husker Du e i Replacements, e
più tardi i Soul Asylum, cambiarono completamente la categoria stessa di
punk-rock e gettarono le premesse per un ritorno alla forma canzone
arricchita da un nuovo impeto. Kentucky fu un altro soprendente centro
attivo: gli Squirrel Bait sono i capostipiti di una dinastia di gruppi che
suoneranno un punk-rock convoluto, essenzialmente strumentale, tra cui i ci
saranno gli Slint e i Tortoise.
La psichedelia nell'era del punk era tenuta in vita dai Butthole Surfers in
Texas, dai Flaming Lips in Oklahoma, i Phish nel New England e da un'intera
legione di guru a New York: Mark Kramer, Dogbowl, Jarboe, Lida Husik, Azalia
Snail. E i Mercury Rev, l'unico gruppo abbastanza strambo da poter competere
con i Flaming Lips.
Il roots-rock viveva ai margini, aiutato dal successo fortuito dei Black
Crowes, dall'illustre carriere di Del-Lords e dall'energia fenomenale di
bands meno conosciute come i Fetchin Bones.
Il rock australiano d'improvviso si estese, fino a raggiungere le
classifiche, pur mantenendo meriti artistici con gruppi come i Church.
Gran parte dell'impulso di tutto quello che stava accadendo proveniva dalla
piccola e lontana Nuova Zelanda, che allevava una scena indipendente fin dai
giorni dei Tall Dwarfs, Clean e Chills, una scuola che avrebbe avuto il suo
picco con i lavori ambiziosi di Peter Jefferies e Roy Montgomery.
Dettagli sulla new-wave del pop
Nel frattempo un altro fenomeno dei ghetti di strada, l'hip hop, rivoluzionò
la scena musicale e bands come Beastie Boys, Run DMC, Public Enemy
riuscirono a giungere fino al pubblico rock. Produttori come Tackhead erano
strumentali nella ridefinizione del concetto di "composizione".
La Gran Bretagna seguì un altro corso, e andò quasi nell'opposta direzione,
con della musica sempre più semplice e commerciale. Tutto ebbe inizio con il
sound modernista di Ultravox, Wire e XTC, e le loro melodie vagamente
robotiche. Quindi Japan e Simple Minds fecero di quel sound un pomposo pop
da classifica. Ed infine gli Orchestral Manouvres in the Dark e altri
crearono il synth-pop, che era solo pop suonato da strumenti elettronici e
cantato da una donna o da un gay (con poche eccezioni a questa regola). I
Depeche Mode e i Pet Shop Boys furono probabilmente quelli che raggiunsero
il maggior successo. Gli irlandesi U2 e gli Smiths deviarono piano piano
verso la melodia.
Dettagli sulla new-wave del pop
L'Australia ha dato agli anni '80 due delle figure più imponenti della
musica rock: Nick Cave, che un univa Jim Morrison, Tom Waits e il rock
gotico, e Foetus, che fece della musica industriale il futuro della musica
classica.
Gli Anni '90
(Traduzione di Paolo Latini)
Negli anni '90 il rock alternativo ha continuato il suo processo di
espansione, artistica e commerciale. Il trend generale che ha dominato il
decennio, portava ad una musica sempre più astratta, ormai orfana
dell'etichetta "dance/party".
Innanzitutto, gli anni '90 furono il decennio dei cantautori astratti:
comositrici come Robin Holcomb, Tori Amos, Lisa Germano e Juliana Hatfield,
compositori come Matthew Sweet, Magnetic Field, Smog, Beck . Il Canada
poteva vantare Jane Siberry e Loreena McKennitt, due delle musiciste più
concettuali dell'epoca, fino a quando Alanis Morissette non si propose quale
leader del movimento folk femminile. L'Irlanda aveva due delle migliori
voci, Sinead O'Connor e Enya, alle quali presto si aggiune l'islandese
Bjork. In Inghilterra, solo Polly Jean Harvey gareggiava con queste maestre.
Il "Foxcore" fu una breve mania di provenienza West Coast, fatta di gruppi
punk femminili come le Hole, Babes In Toyland, L7 e Seven Year Bitch.
La musica industriale segnò un imporvviso ritorno a Chicago con due degli
atti più discussi del decennio: Ministry e Nine Inch Nails, ispirati dalle
vecchie glorie europee tra cui i KMFDM. Seguirono a ruota New York con Cop
Shoot Cop e Type O Negative, San Francisco con Neurosis, Steel Pole Bath
Tub, Thinking Fellers Union. Il Texas rispose con una florida scuola
industrial/psichedelica che includeva i Pain Teensm Bedhead, e i Vas
Deferens Organization.
Il rock gotico proveniva dai posti assolati (Lycia, Black Tape For A Blue
Girl) e non fu mai tanto popolare quanto la variante nordica della musica
industriale.
Suoni rudi continuavano a dominare nei frutti del grunge, e New York
(Unsane, Helmet, Surgery, Monster Magnet) e Los Angeles (Tool, Stone Temple
Pilots, Kyuss, Korn) ebbero la loro fetta di torta.
La techno fu la nuova tendenza nella musica dance. inventato a Detroit negli
anni '80, dai disc jockeys Juan Atkins, Kevin Saunderson e Derrick May, la
techno oltrepassò l'atlantic e si stabilì in Inghilterra e nel vecchio
continente (Front 242), marciando mano nella mano con la scena dei rave.
L'America fu lasciata indietro (Moby e poco altro).
La Gran Bretagna fu il regno della musica psichedelica. Comicniò tutto a
Liverpool con i revival di Echo And The Bunnymen e Julian Cope, quindi prese
velocità con il dream-pop (Cocteau Twins, gli australiani Dead Can Dance, i
norvegesi Bel Canto, e più tardi con la formidabile triade Slowdive, Bark
Psychosis e Tindersticks) e con le bands scozzesi di noise-pop (Jesus And
Mary Chain e Primal Scream ) fino a raggiungere l'apice con lo shoegazers
(My Bloody Valentine, Spacemen 3, Loop, Spiritualized, Catherine Wheel),
prima di finire per costituire una nuova forma di ambient music.
Alla fine del decennio, la Gran Bretagna fu inondata dal Brit-pop, una
trance indotta dai media di pop super-melodico che partoriva innumerevoli
"next big things", dai Verve agli Oasis ai Blur agli Suede ai Radiohead, la
band con la quale terminò. Ma le cose melodiche migliori provenivano dai
gruppi più umili, guidati da ragazze, come Primitives e Heavenly.
Negli anni '90 spopolarono anche l'heavy metal, in particolare quella di Los
Angeles con Metallica, Jane's Addiction, Guns And Roses, che presto si
sbriciolò in una miriade di sott-generi (doom metal, grind-core, death
metal, etc) e il funky-metal (Red Hot Chili Peppers e Rage Against The
Machine a Los Angeles, Primus e Faith No More a San Francisco). Marilyn
Manson fu l'ultimo fenomeno che ricaricò il genere.
Details on The Golden Age of Heavy Metal
Il punk-pop nacque a Los Angeles negli anni '80, ma in qualche modo maturò
da altre parti nei '90 (Green Day a San Francisco, Screeching Weasel e
Pegboy a Chicago).
Gli anni '90 furono anche la decade del rock intellettuale, dove le canzoni
non potevano essere solo melodia e ritmo, ma dovevano essere deformate e
sconvolte. New York si mosse col rhythm and blues (Jon Spencer Blues
Explosion, Soul Coughing, Royal Trux) e la psichedelia (Yo La Tengo ),
Boston con la psichedelia (Galaxie 500, Morphine) e il pop (Breeders,
Belly), Seattle con la psichedelia (Sky Cries Mary, Built To Spill), Los
Angeles con la psichedelia (Mazzy Star, Red Temple Spirits, Medicine, Grant
Lee Buffalo), San Francisco con il folk e il country (American Music Club,
Red House Painters), Washington con il punk-rock (Unrest, Girls Against
Boys), Chicago con il punk-rock (Jesus Lizard) la psichedelia (Codeine,
Eleventh Dream Day), il pop (Green, Smashing Pumpkins) e il country (Uncle
Tupelo). Tutti questi avevano un debito con l'umile scuola del Kentucky,
inaugurata dagli Slint e portata ai massimi livelli dai Tortoise.
Replicanti punk-rock in Texas (Ed Hall), Minneapolis (Cows), Tennessee
(Today Is The Day) continuavano a scioccare la nazione.
A San Francisco ha inizio la moda del lo-fi pop con Pavement, padri putativi
di Sebadoh, Guided By Voices, etc.
Gli stati del sud-est divennero forti di un sound sempre più intelligente
(Bitch Magnet, Blind Idiot God, Don Caballero, Grifters) poi culminato nella
scuola del North Carolina (Polvo, Seam).
I sintetizzatori analogici sono tornati di moda con Jessamine, Magnog,
Labradford.
Ma nuovi stili spuntavano letteralmente ovunque: Rhode Island (Six Finger
Satellite), Arizona ( Calexico), Ohio ( Brainiac), Montana (Silkworm),
Michigan (Windy & Carl).
L'Inghilterra non mutò la sua variante di musica psichedelica, che però
cominica a toccare l'avanguardia dissonante (Stereolab, Ozric Tentacles,
Pram, Flying Saucer Attack, Porcupine Tree).
Anche la musica elettroncia ebbe il suo momento di fama, ora nella dance,
ora nell'ambient ora nel noise. Musicisti ed ensemble elettronici
provenivano dal Belgio (Vidna Obmana), Francia (Air, Deep Forest,
Lightwave), Germania (Sven Vath, Mo Boma, Oval, Mouse On Mars, Air Liquide),
Canada (Skinny Puppy, Front Line Assembly, Delerium, Vampire Rodents, Trance
Mission), paesi scandinavi, e specialmente dal Giappone (Zeni Geva,
Boredoms, Merzbow, the triad of noise). In Inghilterra la scena ambient
elettronica fu rivitalizzata da Orb, Main, Rapoon, Autechre.
La musica dance inglese ebbe un successo maggiore (in termini di creatività)
delle rock bands inglesi: Madchester (Stone Roses), rave (Saint Etienne),
transglobal dance (Banco De Gaia, Loop Guru, Transglobal Underground, TUU)
ambient house (Orbital, Future Sound Of London, Aphex Twins, Mu-ziq), jungle
(Goldie, Squarepusher, Propellerheads), trip-hop (Portishead, Tricky), e
plain techno (Meat Beat Manifesto, Prodigy, Chemical Brothers) ridefinirono
i processi compositivi e figliarono innumerevoli generi ibridi.
La musica industriale e il grindcore in qualche modo di sono uniti per
generare suoni terrificanti con i Techno Animal e Godflesh.
Gli irlandesi Cranberries e gli scozzesi Belle And Sebastian sono tra le
rivelazioni di fine decennio.
Dall'Australia provenivano sempre grandi esembles, e in particulare una
delle più importanti bands strumentali , Dirty 3.
Il successo dei cantautori continuerà per tutto il decennio. Tra i leaders
di bands influenti, molti continueranno a proporre buona musica anche da
solisti: Natalie Merchant, Kristin Hersh, Bob Mould, Frank Black, Paul
Westerberg, Mark Eitzel, Scott Weiland, Chris Cornell, e, il più grande di
tutti loro, Mark Lanegan.
Freedy Johnston, Vic Chestnutt, Peter Himmelman, My Dad Is Dead, Mountain
Goats sono tra le nuove voci del decennio, ciascuno con la sua eccentricità.
E i ranghi sembrano aumentare di numero, verso la fine del decennio: Jeff
Buckley, Sparklehorse, Elliott Smith, Richard Buckner, Ben Harper, Joe
Henry, Songs:Ohia, Damien Jurado, Pedro The Lion, etc.
Nell'universo femminile, Jarboe, Azalia Snail e Lida Husik furono
pesantemene influenzate dalla psichedelia.
Cat Power, Beth Hart, Neko Case, Amy Denio, Heather Duby, Edith Frost,
Shannon Wright sono tra le artiste sperimentali che emergeranno alla fine
degli anni '90.
Liz Phair, Sheryl Crow, Fiona Apple, Lili Haydn rappresentano il rovescio
commerciale della medaglia, la cui apoteosi sono state le innumerevoli hits
di Mariah Carey.
(fonte : scaruffi.com)
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Cohen, Young, Dylan, Cash E il rock diventa vita vera
di Antonio Lodetti
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Joan Baez : Per lei l’America è sempre «on the road»
clicca qui
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Ivano Fossati ha forse scritto il suo "Desire"
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a |
Venerdi 10 Ottobre 2008
Cari Maggiesfarmers , oggi parto , vado in
Austria con Al Diesan , Pino Tocco ed i Blackstones , per vedere la "Great Dylan
Night " , ci aggiorniamo a lunedi , sperando di riuscire a rispondere a
tutte le domande della Talkin' , che questa volta sono piuttosto impegnative
e richiedono anche un lavoro di ricerca , non sono questioni da risposta
immediata a braccio . Le risposte della Talkin' vanno scritte , riscritte ,
lette , rilette , meditate e rimaditate , devono essere il più chiare ed
obbiettive possibile , si deve tralasciare i sentimenti e le emozioni
personali , essere il più estranei possibile ( non incompetenti ) per non
essere di parte , porsi cioè al di sopra delle parti , anche se può sembrare
irrazionale un comportamento siffatto. Devi stare attento alle parole , alle
frasi che usi , cercare di non offendere od urtare la sensibilità di nessuno
, saper criticare , o commentare o solo esprimere opinioni sull'opera
di Dylan è sempre rischioso , trovi mille persone d'accordo con te e mille
contro , e , di solito , la maggioranza di quelli che poi scrivono alla
Talkin' sono quelli contro :o) , ma questo è il sale della Talkin' !!!!. Al
massimo rimanderò di un giorno la Talkin' , ma credo che questo non sia un
problema per nessuno.
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Rimandato all'anno venturo il Nobel per
Dylan , ci vuole pazienza , prima o poi l' Intellighenzia Svedese capirà l'
idiozia delle sue scelte , a meno che sotto non ci siano ragioni di
interesse economico a noi poveri mortali sconosciute , e più non dico , ma
il dubbio rimane !!!!!!
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Tell Tale Signs Available Now!
The 8th Installment in Dylan's "Bootleg Series"
Columbia Records is happy to announce today's release of Bob Dylan's "Tell
Tale Signs: The Bootleg Series Vol. 8".
Los Angeles Times: "'Tell Tale Signs' is not just "extra" Dylan. It's
essential Dylan." ( Tell tale Signs non è un "extra" Dylan . E' l'essenziale
Dylan )
San Francisco Chronicle: "For Bob Dylan, these are
outtakes. Most musicians would call them their greatest hits." ( Per Bob
Dylan questi sono scarti. Molti musicisti li avrebbero chiamati i loro
greatestd hits )
The BBC: "Beautiful, brave and beguiling." ( Bello ,
coraggioso ed ingannevole )
Boston Globe: "a feast for casual fans and Dylanologists alike." ( una festa
per i fans occasionali ma anche per i dylanigisti )
Read more great reviews:
http://bobdylan.com/news/tell-tale-signs-the-first-reviews-are-in
Thanks for listening!
bobdylan.com
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Tell Tale Signs : l'opinione dei Maggiesfarmers
Sono entrato in possesso del nuovo doppio dello Zio.
Che dire: F.A.V.O.L.O.S.O, inediti e versioni alternate da svenire.
Ciao a tutti e buon ascolto
Enrico
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Market Blues for Brixton Boss (from the daily mail)
Tim Wheeler, il capo esecutivo dell’immobiliaria inglese
Brixton, nel presentare i conti di metà anno, ha sorpreso tutti gli
azionisti, citando una famosa frase di Dylan: None of them along the line
know what any of it is worth (=nessuno di loro lungo il confine sa quale sia
il valore di ciò).
Mr. Wheeler racconta ai suoi azionisti di Brixton: “E’ il nostro dovere
raccontare le cose come stanno. È sbagliato per qualsiasi affare pensare che
i problemi economici si risolvano da soli: è un messaggio scomodo, ma è
onesto e giusto.”
Mr. Wheeler poi ha usato la metafora da All Along The Watchtower per
paragonare gli acquirenti opportunisti a dei thieves (=ladri) e i
proprietari che non vogliono vendere a dei jokers (=buffoni).
Il boss di Brixton ha definito la previsione nel settore “apocalittica”,
dopo che la società ha sofferto una perdita pre-tasse di 236,7 milioni di
sterline, contro i 192 milioni di sterline di profitto dell’anno precedente.
La compagnia disse di essere stata colpita da nuove tasse sugli immobili
vuoti e la caduta di valore del suo portafoglio affitti, mentre gli assetti
netti sono scivolati del 26% lasciandolo a 1,16 bilioni di sterline.
“C’è confusione ed un elemento di diniego riguardo alla prezzatura diretta
delle proprietà, dovuta alla mancanza di transazioni” ha detto Mr. Wheeler.
La sua incertezza riguardo la corretta valutazione delle proprietà conferma
l’adeguatezza delle liriche di Dylan, che recitano:
“There must be someway out of here, said the Joker to the thief. There’s too
much confusion, I can’t get no relief. Businessmen, they drink my wine,
Ploughmen dig my earth. None of them along the line know what any of this is
worth”.
( Dean Spencer News )
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Bob Dylan fa 8 con "Tell Tale Signs"
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Vienna : I film di Dylan alla Viennale 2008
clicca qui
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Dylantube : tanti video di Bob
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Debutta a Milano il 'Rock'n'Music Planet'
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50 anni di rock scendono in piazza Duomo
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Libri : Franz Di Cioccio & Riccardo Bertoncelli – Sulle
corde di LUCIO (2008)
E’ possibile scrivere qualcosa di nuovo su un mito della
musica italiana?
E’ possibile scrivere qualcosa di nuovo se quel mito si chiama Lucio
Battisti?
Alla casa editrice Giunti hanno pensato di si, e in occasione del decennale
del volo tra gli angeli del grandissimo Lucio hanno deciso giustamente di
pubblicare un libro dedicato al mito Battisti.
Ovviamente sarebbe stato inutile pubblicare un libro monografico come tanti
altri già pubblicati dedicati al grande artista, perciò si sono affidati
alla capacità e memoria di due personaggi molto diversi, ma accomunati dalla
stessa identica passione: la musica.
I personaggi in questione sono Franz Di Cioccio punto di riferimento della
musica prog italiana, mente pensante nonchè cantante e batterista della
Premiata Forneria Marconi che è stato per un lungo periodo compagno di
viaggio e protagonista sonoro di molte canzoni di Lucio Battisti, e Riccardo
Bertoncelli giornalista di lungo corso che a Battisti ha dedicato più di un
articolo.
Come dicevo fare il classico libro monografico probabilmente poco avrebbe
aggiunto a quanto è già stato scritto su Lucio Battisti, quindi i nostri
hanno cercato una via diversa, quasi da detective, per parlare della musica
e dell’uomo Battisti, dando vita a un libro molto discorsivo (cosa che mi è
piaciuta moltissimo), con poche analisi di tipo criptopippe e affidandosi
alla memoria in primis di Franz Di Cioccio, che ebbe modo di suonare con
Lucio in maniera assidua, dello stesso Bertoncelli, che come giustamente
dicono i nostri ognuno di noi ha il suo Lucio Battisti, e poi di alcuni dei
protagonisti più importanti nella vita privata e musicale di Lucio. Nel
libro quindi troverete le testimonianze di Roby Matano (Campioni),
Pietruccio Montalbetti (Dik Dik), Valter Patergnani (l’antesignano dei
tecnici del suono italiani), Mara Maionchi (si la vera star di Xfactor),
Alessandro Colombini (produttore e cofondatore della Numero Uno), Alberto
Radius (un nome una chitarra), Cesare Monti (tra le tante cose fotografo,
artista visuale e fratello di Pietruccio dei Dik Dik) e Marva Jane Marrow
(cantante e traduttrice).
Attraverso le testimonianze degli autori del libro e delle persone citate
sopra, viene ricostruita la vita e la musica di Battisti senza però voler
esser didascalici.
Il merito principale di questo libro è che essendo tante e diverse le voci
che lo compongono viene fuori un ritratto diverso dal solito, con più
sfaccettature dove la personalità umana e artistica di Lucio Battisti (ma in
parte anche di Mogol diciamola tutta) esce decisamente piena. Infatti non
tutti cantano la stessa canzone, più di uno canta fuori dal coro, di alcuni
fatti leggerete versioni molto diverse e questo contribuisce a farsi un idea
propria del protagonista del libro non necessariamente identica a quella
degli autori. Inoltre altro merito di Sulle corde di LUCIO è di dare un idea
di come era l’Italia musicale e non negli anni dell’esordio di Lucio
Battisti come musicista prima, autore poi e infine protagonista, e di come
l’Italia sia cambiata anche musicalmente con l’apporto di Lucio, ad esempio
non sono poche infatti le canzoni scritte da Battisti che ebbero successo
cantate da altri e la nascita della Numero Uno che viene considerata la
prima etichetta semi-indipendente italiana.
L’unica critica che mi sento di muovere a questo bel libro è che sia, come
del resto Di Cioccio e Bertoncelli ammettono, troppo sbilanciato sul primo
Battisti, poco spazio viene dato sia all’ultimo periodo Battisti-Mogol che
al Battisti-Panella. Mancano poi le voci di Mogol, di Panella e dei
familiari, questa è una pecca che lascia in bocca un senso di non del tutto
compiuto e che rende il libro da imperdibile a buono, peccato!
A parte queste pecche il libro è decisamente godibile, si legge volentieri e
ha il grosso merito di rendere ancor più tridimensionale la figura di Lucio
Battisti e in parte dei suoi testimoni.
Lo consiglio a tutti perchè, come detto prima, ognuno di noi ha il suo Lucio
Battisti!!! Mario (luglio 2008) - Anno di
produzione: 2008 - Etichetta: Giunti Editore
Produttore: Franz Di Cioccio - Riccardo Bertoncelli - Pubblicato il 27
Luglio 2008 da Mario in Libri, Oltre la Musica
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Van Morrison: Astral Weeks
Recensione di: Neu!_Cannas , (Monday, August 25, 2008)
Dite addio a Madame George.
Provate tristezza, versate una lacrima per lei, provate un pò di dolore per
lei. Il dolore, il sentimento più strano e complesso, cha racchiude un pò
tutti gli altri, dall'amore alla solitudine, dalla gioia alla nostalgia. In
tutto c'è il dolore, anche se è in forme meno visibili, a volte è persino
possibile confonderlo con un sentimento buono. E allora il dolore nel vedere
l'emarginato George, alla subdola piccola gioia nel rendersi conto di essere
quanto meno superiore. Ma l'uomo disse che lo show deve andare avanti, e se
lo show è la vita, allora la condizione di Madame George è assolutamente
indifferente al corso degli eventi. E allora perchè soffermarsi tanto su
questo reietto, decantandolo, infondendo sentimenti tristi? La vita, la
musica, non potrebbe essere fatta soltanto da graziate Ballerine, tanto
dolci quanto maestose nei loro movimenti? No perchè anche in queste visioni
prima o poi, visibilmente o meno, forme di dolore, più o meno profonde, si
verrebbero a formare, magari anche solo nostalgia o forte tristezza
trasmessa soltanto a pelle, soltanto dalla musica stessa. E allora tutto è
dolore, la musica soprattutto, e Van lo scoprì con T.B. Sheets qualche anno
prima. I tempi delle ragazze dagli occhi marroni e delle facili glorie erano
finiti, o comunque era tempo di riflessioni. Era tempo di settimane astrali,
collocate tra una primavera fredda e un caldo autunno, senza passare per
l'estate, perchè quello è solo un miraggio, un'illusione. In estate tutto
sembra andare bene, tutto sembra risolvibile, anche il dolore sembra
scomparire dietro al sole. E quindi armiamoci di viali lunghi, tra foglie
secche, sentiamoci grandi, come mai faremo nella nostra vita, carichiamoci
di chitarra e percorriamo questo lungo sentiero, descrivendo tutto ciò che
vediamo, senza escludere nulla. E' una missione difficile, soprattutto se
hai solo ventitre anni e riesci a completare il tutto in sole due sessioni.
Come si chiama Flusso di Coscienza vero? Era James Joyce se non erro. Si era
proprio lui. E il risultato sembra un quadro impressionistico o una semplice
poesia beat: questo disco è di una maestosità che non ha paragoni in musica
stessa, non li ha mai avuti e mai li avrà, perchè davvero qui non si tratta
solo di musica, sebbene sia semplicemente immensa. E allora lasciamoci
prendere da Astral Weeks, percorriamo quel lungo sentiero fatto di poesia e
solitudine in cui soltanto i grandi non sanno perdersi. E allora riusciresti
a trovarmi? In questo idillo formato da chitarre e flauti, con innesti di
archi che formano un'aria surreale, con la forte voce di Van Morrison che ci
ricorda che siamo pur sempre sulla terra. Eppure è Van stesso a dire sul
finale che stiamo salendo in paradiso, in un'altro tempo, in un'altro
spazio, e in un'altra faccia addirittura. E così chi sia Jimmy e quale sia
la sua storia sembrano davvero dettagli, perchè i testi sembrano essere
ricamati sulla tela armonica con una perfezione magnifica, riuscendo a dare
sempre più informazioni, riuscendo sempre più ad allungare i versi, senza
mai risultare fuori ritmo, anzi è proprio la sua voce lo strumento
principale di tutte le tracce. E quando si butta in quelle discese folli di
scioglilingua ripetendo fino allo spasmo una parola o una frase, sembra
irrangiungibile e forse lo è. E ci sentiamo soddisfatti senza il bisogno di
leggere tra le righe, perchè ormai senza accorgercene di nulla siamo nel
pieno di quella strada enorme dei cipressi, in cui nulla è peccato, neanche
amare una ragazzina di quattordici anni appena, perchè soltanto l'amore
riesce a penetrare tra la fitta flora del viale dei cipressi. E allora
aspetta, presi ancora una volta dalla Cypress Avenue, guarda in alto,
fiocchi di arcobaleni condiscono un cielo limpido dai pregiudizi. Questo
deve essere l'amore, circondato com'è da un panorama così romantico che
continua al di fuori dal viale, o forse in una stradina parallela, in cui i
giovani si amano ingenuamente, credendo ancora in quell'amore estivo,
frivolo, perchè è pur sempre il 1968, e il mondo era assente da Cypress
Avenue: la summer of love era passata e aveva lasciato i suoi residui di
speranza, quanto meno fiochi. Ecco perchè questo disco a maggior ragione è
diventato così importante.
E mentre la musica si assopisce ci rendiamo conto dai primi versi e dalla
coerenza sonora di essere ritornati su quel viale, stavolta molto più decisi
di prima, con un ospite che lo abita nella sua emarginazione. Madame George
è li sotto un albero, mentre gioca a domino sembra molto più grande con un
cappello in testa e sorseggiando vino. Tutti i ragazzi gli rubano le
sigarette e si prendono beffe di lui. Un personaggio gentile eppure così
maltrattato da tutti, nella sua condizione eterna di emarginato e di
diverso. Dite addio a Madame George, prendete quel treno, lontano da lui,
scappate da Madame George, ma prima abbiate almeno il rispetto nel suo
dolore versando per lui una lacrima. Ditegli grazie quando a testa bassa vi
restituirà i vostri guanti, senza pretendere nulla in cambio se non il
nostro appagamento con questo paradiso acustico. Ma voi scappate via da lei,
prendete un'altra strada, non lontana da quella dei giovani amanti, dove
risiedono dolci danzatrici dai movimenti graziosi, come se vivessero in
carillon incantati che un solo tintinnio di campanello accenda. E allora
inizia la visione, e non ricordi l'ultima cosa che ti passava per la testa.
Forse era stesso Madame George di pochi minuti prima, ma non importa: tutto
ciò che devi fare è suonare il campanello, ed ecco la tua ballerina. Sembra
tutto svanito, tutto tornato alla normalità, fino alla deliziosa
conclusione. Resta ancora la copertina da osservare, quel cerchio perfetto
iscritto in un quadrato, e il volto di Van tra il verde degli alberi. Il suo
volto sembra davvero provare un sottile dolore in superfice, ma enorme
dentro. Un dolore che soltanto madre natura può intendere, essendo essa
stessa la causa. E allora è proprio da lei che un uomo deve rivolgersi, è
proprio quella la strada da percorrere, dovessero passare due giorni o due
anni, credo sia questa la differenza tra un'artista formidabile e una comune
persona: il tempo impiegato per trovare una soluzione o semplicemente per
venire a capo di una difficile riflessione, che si tratti di dolore o di
amore o di qualsiasi altra cosa, perchè la natura non fa differenze di
sentimenti.
E allora chiudi i tuoi occhi e riposati per l'amore che arriverà scorrendo
tra il tuo flusso di coscienza.
Van Morrison.
(fonte : debaser.it) |
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Giovedi 9 Ottobre 2008
Cos’è Tell Tale signs ?
E’ uscito , l’abbiamo ascoltato , abbiamo detto la nostra
opinione.
Leggendo le recensioni ho l’impressione che qualcuno si sia lasciato
prendere un pò la mano , giudicando gli scarti di studio a volte superiori
alle versioni degli album.
Allora mi viene spontaneo chiedermi perchè queste outtakes siano state
scartate a suo tempo , forse chi doveva scegliere era al momento incapace di
intendere e di volere ?
Io cerco di stare il più possibile con i piedi per terra , scarti erano e
scarti rimangono , al di là della curiosità che possono suscitare , al di là
della bellezza intrinsica delle takes , al di là di tutto , furono scartati
allora perchè le takes erano inferiori musicalmente ( intendo arrangiamenti
non ben definiti ) , le atmosfere non erano quelle giuste ma ben al di sotto
degli standard di un disco ufficiale , le parole non erano ancora nella loro
forma giusta , il cantato a volte mancava del pathos necessario (
l’esecuzione di una take a volte si prende alla leggera perchè lo scopo
magari è quello di collaudare il giro di basso, l’assolo della chitarra , il
suono ed i passaggi del piano , la prova dell’armonica , così la voce , in
quel preciso momento diventa meno importante , e si canta tanto perchè ci
sia , sapendo che al momento della take finale verrà certamente cambiata ,
il suono a volte è sporco , impreciso , gracchiante , i volumi non sono
calibrati come da manuale , il basso in certe parti è invademte , troppo
forte , quasi distorto , idem per batteria e persussioni , ma giustamente è
una prova , e lo scopo di una prova è completamente diverso da quello di una
take definitiva. Per questi motivi queste takes vennero scartate , naquero
come takes e non come lavori definitivi , e giustamente vennero tagliate e
riposte nei cassetti.
Ora le hanno ritirate fuori dai loro polverosi ripostigli , qualche grafico
pubblicitario gli ha creato intorno una bella confezione , le takes sono
state messe a casaccio sui dischi ed il tutto è stato messo in vendita per
la gioia del Dylan-fans che in questi ultimi anni stanno imparando ad
accettare di tutto , cose belle e cose oscene , soprattutto oscene ( dal
punto di vista musicale e vocale ) stanno applaudendo e magnificando una
voce che purtroppo non c’è più , canzoni che non ci sono più , rese
irriconoscibili dalla mancanza delle loro caratteritiche vocali e
strumentali , concerti deboli e deludenti , musicisti ancora più deboli e
più deludenti , un Dylan ai minimi storici delle sue prestazioni , fra un
paio d’anni avremo solo la sua persona sul palco ma non la sua voce se si
continua su questa strada.
Detto questo , e la cosa non mi rallegra perchè anch’io come tanti altri
fans vorrei fermare Dylan nel suo tempo migliore , ora si comincia a
borbottare che qualche pezzo di Tell Tale Signs sia migliore delle versioni
da album ! La cosa mi fa sorridere , va bene essere fedeli a Bob ,
stravedere per lui , ringraziarlo per tutta la vita per le emozioni che ci
ha saputo dare in tutti questi anni , ma le esagerazioni hanno sempre
stonato , in tutti i campi della vita. Giudicare migliori queste takes mi
sembra fuori dalla realtà , capisco l’entusiasmo e la voglia di avere
qualcosa di diverso da Bob , il desiderio che lui sia eterno e sempre
all’altezza , ma non è così , così non funziona. Bob è BoB , i suoi album
sono i suoi album , i suoi scarti sono e rimangono i suoi scarti. Mi
aspettavo un nuovo album , so che c’è , da qualche parte è pronto , andrà
rivistato e limato , migliorato , ci sarà qualcosa da rifare , da
puntualizzare , e questo richiede tempo , ma il mercato non ha tempo di
aspettare , Dylan ha vinto il Pulitzer , il suo mercato tira di brutto , la
richiesta è grande , Modern Times ha compiuto il miracolo di arrivare ai
primi posti nelle classifiche in tutto il mondo : Ecco allora la necessità
impellente di far uscire qualcosa. Si aprono i cassetti e si tira fuori
quanto di meno peggio ci possa essere , si fa una confezione all’altezza di
un album e si mette il tutto sul mercato , si scrivono fiumi di parole
sfruttando la debolezza sentimentale dei fans ed un nuovo album di scarti ,
col nome di Tell Tale Signs , viene immesso sul mercato. Operazione
commercialmente brillante ( prezzi a parte ) , ma poi tutta questa
operazione deve superare la prova delle orecchie , e questo Tell Tale Signs
non ce la fa , alle orecchie non si può mentire , le versioni sono quelle
che sono , imperfette , grezze , superficiali , a volte inutili come i pezzi
dal vivo.
Questo Tell tale Signs mi sembra uno specchietto per le allodole , e di
allodole ce ne sono ancora tante , me compreso. Non voglio offendere nessuno
, ho solo cercato di mettermi dall’altra parte , dalla parte dei non fans
dylaniani , che sentendo i dischi si guardano in faccia stupiti e si
chiedono come sia possibile che un artista del nome e del calibro di Bob
Dylan permetta di mettere in vendita tanta scarsezza a suo nome. Non
dimentichiamo che questo è ancora il Dylan di quasi vent’anni fa , quando la
sua voce era ancora intatta , Dylan non è più quello che ci stanno
proponendo con questo BS8 , quel Dylan è stato mangiato dal tempo , rimane
qualcosa che gli assomiglia dal punto di vista fisico , come sfogliare
l’album delle foto dei ricordi . Il Dylan attuale è un patetico Bob Dylan ,
non si capisce più quello che mugugna e che suona , sempre distante e
distaccato dal pubblico come allora , ma almeno ai tempi c’erano le
prestazioni , oggi mi chiedo cosa possa giuistificare l’andare a vedere un
concerto di Bob. Certo Dylan sta invecchiando come tutti noi , è alla soglia
dei settanta ed il suo impegno e la sua partecipazione , il suo entusiasmo ,
la sua verve , la sua pungente satira , la sua capacità di osservazione e di
narrazione non sono più quelle dei venti , dei trenta o dei quaranta , o
forse non gliene frega più di tanto , sta sul palco perchè probabilmente è
una cosa che gli piace fare e non ha molte altre alternative di vita. Persi
moglie e figli , avanzato nell’età , un uomo perde la sua voglia di essere
se stesso anche se si chiama Bob Dylan , allora il desiderio di Robert
Zimmerman viene schiantato dalla esigenza di Bob Dylan , purtroppo il nostro
idolo ha dimenticato come si fa ad essere Robert Allen e si ricorda solo
come si fa ad essere Bob Dylan , quel Dylan che tutto ha ribaltato , ha
preso e rivoltato come un calzino , che ha piegato le idee del mondo al suo
modo di vedere , che ha saputo far nascere il sole , ma che non potrà mai
fermare il tramonto.
Mr.Tambourine
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Tell Tale Signs : il geniale pasticcione
di Riccardo Bertoncelli
Il Geniale Pasticcione ha preparato un'altra antologia
delle sue, non cronologica, non lineare, con allegra confusione tra live,
studio e cameretta. Questa volta però almeno ha delimitato il campo,
raccogliendo solo pezzi degli ultimi vent'anni; alla faccia di chi ritiene
che la vena si sia esaurita dalle parti di Blood On The Tracks (pochi, a
dire il vero), si comincia con Oh Mercy e si arriva a Modern Times,
attraversando i controversi affascinanti anni della maturità e della
vecchiaia. Due dischi per i comuni acquirenti, tre nella tiratura limitata
per eletti; con molte scoperte preziose che neanche i bootleggers
conoscevano (negli ultimi vent'anni Bobby D ha imparato a blindare gli
archivi un po' meglio) e la conferma che il nostro uomo si esprime meglio in
solitudine o poca compagnia, senza troppi addobbi.
Si comincia con una meraviglia, Mississippi, una outtake di Time Out Of Mind
proposta in tre lezioni. Il brano vedrà la luce nel 2001 su Love And Theft,
in una versione suggestiva ma così lontana dalla carne straziata e dal
disagio dell'originale. Succede spesso, in DylanLandia. Le canzoni nascono,
crescono, si sviluppano, non è facile coglierle in perfetto stato di grazia,
nella migliore esposizione, e Dylan oltretutto è noto per essere un pessimo
giudice di sé. Anche una volta che hanno debuttato in società, subiscono
continue limature o lifting radicali, e più per estro inquieto che per
smania di perfezionismo. Tell Tale Signs è pieno di abbozzi o riletture del
genere, una manna per gli studiosi e i fans più attenti: una eccentrica Born
In Time provata ai tempi di Oh Mercy ma pubblicata solo su Under The Red
Sky, una Ain't Talkin' troppo in carne per valere quella già nota, una Most
Of The Time cui ancora manca l'aura luminosa che la renderà irresistibile e
Everything Is Broken in una esecuzione pelle/ossa da far male,"basic R&B
mix". Varie registrazioni live ci danno un'idea, ma giusto un'idea, del
gusto dylaniano che si evolve e muta i lineamenti delle creature già note:
Cold Iron Bounds è una fenice che continua a morire e risorgere, Ring Them
Bells una dolcezza anche se mugugnata scontrosamente e High Water fa
impressione per quanto è forte e indocile, più fuoco che acqua, pur con quel
testo e nello scenario suggestivo delle cascate del Niagara.
Non sono un grande fan degli ultimi album, quindi prendo come un regalo il
fatto che l'antologia sia sbilanciata dalle parti di Oh Mercy e Time Out Of
Mind, dischi che invece adoro; il meglio di Tell Tale Signs viene da lì, dal
lavoro di cesello con Daniel Lanois, e peccato che i due soci non abbiano
capito subito la grandezza di brani come Series Of Dreams e Dignity (ma le
conoscevamo già) e poi Red River Shore, Dreamin' Of You, God Knows. Da non
dimenticare una 32-20 del periodo World Gone Wrong, omaggio a un Robert
Johnson sempre citato e mai eseguito. Il cuore di Dylan batte sempre lì, at
the crossroads, in quegli avventurati anni depressi e anche prima. Non lo ha
mai nascosto, e una volta lo ha raccontato bene a un giornalista di Der
Spiegel che gli chiedeva quali fossero le sue influenze. "Canzoni base degli
anni 20 e 30, più qualcosina dei 50. Poche cose circoscritte: folk
americano, blues, un po' di rockabilly".
(fonte : delrock.it)
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Tell Tale Signs : How does it feels ?
di Dario Twist of Fate
Ciao Mr.Tambourine !
non ho potuto evitare di notare la tua vena caustica nei confronti di questo
Bootleg Series 8 , gli hai dato giù davvero pesante...
non che io lo consideri un capolavoro o un disco inscindibile nella
discografia del nostro...
però ci sono per me cose di indubbio interesse, questa davvero grande
versione di Most of the time ad esempio, che riporta alla mente le New York
session del 74, e quella Tangled con quella chitarra sporca e irrequieta...
boh, ci sono cose notevoli secondo me, però capisco anche il tuo punto di
vista...
diciamo cmq che la mia febbre dylaniana nasce nel dopo "Love and Theft" e
che pur avendo molti ricordi, il tempo è ancora breve, non sono un fan di
vecchia data, non conosco i grandi momenti, ne ho solo sentito parlare, ma
di seconda mano...
immagino che essere un fan di dylan nei '70 fosse davvero differente...coi
vinili, non so...
mi si stringe il petto a pensare a ciò che è stato...adesso restano solo le
briciole e sarà sempre peggio...
Born in time, come direbbe il Nostro...
ecco forse io sono uno che non è nato in time...
e sono alla rincorso di un sogno che non mi appartiene...
nonostante quella potente versione di High Water, era davvero bello il suo
show con quei due formidabili chitarristi, che erano Koella e Campbell(?)
non ricordo...
ricordo un giovanissimo Davide (Te Saint) che tornò deluso dal concerto di
Roma 2003 e sono passati già 5 anni
e io a consolarlo :- cosa ti aspettavi?
Forse di vedere BOB DYLAN invece di bob dylan ?
ma da un pò di tempo abbiamo solo questo piccolo bob ormai...
ce lo faremo bastare visto che non si vedono altri giganti in giro...
e che forse la musica e il rock non sono più quelli di una volta...
e forse questo Bootleg Series 8 è davvero un disco inutile, ma risveglia in
me una passione dylaniana che non sentivo più da molti mesi...
forse al prossimo tour tornerò ai suoi concerti, forse no...
forse è davvero passata quella frenesia, quel feeling...
poi però arriva questa preziosa e imperfetta Dreamin' of you e qualcosa
prende calore dentro di me o forse no...
Ma Dylan era ancora DYLAN in quella sala d'incisione, aveva davvero qualcosa
un fuoco sacro del rock che Lanois cercava di catturare e di raffreddare per
meglio produrre un disco che non era possibile realizzare, io capisco la
frustrazione di questo produttore che cercava in ogni modo di realizzare il
suo personale Blonde on Blonde, ma i tempi erano davvero cambiati e così
l'Uomo e il genio che però di tanto in tanto tornava, e chissà quante volte
sarebbe stato così ancora...
e questo Bootleg Series, sembra quasi una risposta a Lanois, vedi amico si
poteva fare anche così, poteva funzionare lo stesso, oppure?
e questa storia degli oppure che con Dylan dobbiamo tollerare da sempre,
sprazzi di genio, come ha detto giustamente Bertoncelli , Dylan è un geniale
pasticcione...
personalmente ho smesso di difendere il Nostro a spada tratta, dato che
neppure lui ci prova più a farlo...
megluio stare dalla parte dei detrattori forse, meglio criticare e stroncare
gli ultimi due lavori in studio...
caro Mr.Tambourine , considera questo mio sfogo da dylaniato frustrato, che
si aspetava a breve un disco nuovo che ormai non arriverà più...almeno non
per questo inverno 2008-09
e allora How does it feel?
che Dio abbia pietà di noi , in fede
Dario Twist of fate
E' vero Dario , ho picchiato duro , ma
questo è il Dylan di 20 anni fa e "Tell Tale Signs" sono gli scarti di quel
Dylan , proporceli ora mi sembra "operazione nostalgia" fatta male. Certo ,
alcuni pezzi sono belli perchè Dylan è sempre Dylan , specialmente 20 anni
fa , ma se allora ha scartato queste takes ci sarà stato un motivo ,
qualcosa che a lui non andava o non piaceva , per questo aveva deciso di
metterle in un cassetto ? Oggi le cose son cambiate , Dylan è un'altro ,
completamente diverso da quello di Tell tale Signs , anche a me dispiace
sentirlo chiamare "pasticcione" ma purtroppo è la verità , queste operazioni
prettamente commerciali rovinano ulteriormente l'immagine di Dylan più di
quanto non stia facendo lui stesso nel neverendingtour, caro Dario, The
times they are a-changin' !
Mr.Tambuorine , frustrato e deluso
quanto te :o)
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Talkin' about Bob : Così la pensava Bertoncelli
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Video : Highway 61 - Varazdin 2008
clicca
qui
Se non si riconoscessero le parole
"highway 61" potrebbe essere qualunque altra cosa che non ha niente a che
vedere con la Grande "Highway 61! di Bob Dylan.
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Video : Bob Dylan - Leopard-Skin Pill-Box Hat-Bergamo
16 giugno 2008
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Time out of mind " Capolavoro" : così scriveva Maggie's
Farm
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Oggi si assegna il Nobel per la letteratura , poche
speranze per Dylan
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Dylan ispirato da poeta scozzese
Il leggendario cantautore Bob Dylan ha rivelato che il poeta
scozzese Robert Burns rappresenta la sua più grande fonte d´ispirazione.
La star di Blonde On Blonde ha dichiarato che i versi di Burns su ´A Red,
Red Rose´ hanno avuto un gran effetto sulla sua vita, più di qualsiasi altra
cosa.
Dylan ha confessato questa sua preferenza durante la campagna My Inspiration
di HMV durante la quale gli artisti rivelano le proprie preferenze.
Il Dottor Gerard Carruthers, direttore del Centre For Burns Study
dell´Universita´ di Glasgow, ha definito questi versi tra i più romantici di
tutti i tempi.
( fonte : newsic.it ) Ecco i versi della poesia
A Red, Red Rose
O my Luve's like a red, red rose,
That's newly sprung in June:
O my Luve's like the melodie,
That's sweetly play'd in tune.
As fair art thou, my bonie lass,
So deep in luve am I;
And I will luve thee still, my dear,
Till a' the seas gang dry.
Till a' the seas gang dry, my dear,
And the rocks melt wi' the sun;
And I will luve thee still, my dear,
While the sands o' life shall run.
And fare-thee-weel, my only Luve!
And fare-thee-weel, a while!
And I will come again, my Luve,
Tho' 'twere ten thousand mile!
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Joan Baez La stella del folk
torna a brillare nella stagione musicale milanese - Sabato 11/10/2008
Teatro Ventaglio Smeraldo - Milano (MI) - Piazza 25 Aprile, 10 - Tel. 02
29006767
Lei, l'alter ego musicale di Bob Dylan, ha dato un grande contributo alla
storia della musica folk. Joan Baez, classe 1941, ha trasformato il suo
impegno politico in essenza musicale, ha diluito la sua musica nell'impegno
sociale.
La marcia per i diritti civili ha cui partecipato con Dylan nel 1963 è stato
molto più di un gesto simbolico, così come, rovistando nella sua
discografia, restano ancora graffianti album come Joan, Come from the
Shadows e Blowin' Away. Milano è pronta ad accoglierla per un altro
incontro, intimo ed emozionante.
________________________________________________________________________________________________________ Live At The Royal Albert Hall, 1971 - The Byrds
Dal dizionario 24.000 dischi : Byrds
Roger McGuinn ha tenuto nascosto questo nastro per più di 30 anni, nel
garage, dicono, di casa sua. Probabilmente se n'era dimenticato, perchè è
davvero strano che con la fame di inediti che affligge certi cataloghi
nessuno abbia mai pensato prima a una pubblicazione: come bonus del
cofanetto Legacy di There Is A Season, per esempio, non ci sarebbe stato più
che bene.
Ad ogni modo è un bellissimo nastro, musica e suoni. E' il 13 maggio 1971,
Londra. I Byrds sono adulti, diciamo pure vecchi, girano da sei anni e
stanno per salutare l'affezionato pubblico. McGuinn/Crònos ha mangiato uno a
uno i suoi figli ma a un certo punto si è fermato e la band ha tirato un
sospiro di sollievo. Il quartetto con Clarence White, Skip Battin e Gene
Parsons dura dall'autunno 1969 e finirà nell'estate del 1972; non solo la
più longeva formazione della storia Byrds, anche una delle compagnie più
riuscite, con quel brillante mix di country folk e sprizzi di energia rock,
con quel mosaico esteso e in chiaroscuro di Bob Dylan, Jackson Browne,
psichedelia e Grand Ole Opry. Dopo anni di crisi le vendite sono tornate
buone e la band suona al ritmo di 200 serate l'anno, battendo teatri e
palasport ma non disdegnando i colleges. Untitled è stato un ottimo album e
giusto quello i ragazzi presentano ai fans della Royal Albert Hall, a
cominciare dai due pezzi più riusciti, Lover Of The Bayou e Chestnut Mare.
Hanno una scaletta collaudata, sono vivi e concentrati, e si sente: con
calma ed eleganza scivolano da un periodo all'altro della loro storia,
cucendo senza soluzione di continuità cover dylaniane e visioni
psichedeliche, Jimmy Reed e Woody Guthrie, il vecchio zio Chuck Berry (Roll
Over Beethoven) e il tenero nipotino Jackson Browne (Jamaica Say You Will).
Si concedono il lusso di esagerare, con una fuffosa Eight Miles High di
oltre 18 minuti; ma al momento di chiudere scelgono il saio francescano e
nel più religioso silenzio intonano una Amazing Grace da pelle d'oca, a
cappella.
Riccardo Bertoncelli
(fonte : delrock.it) |
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Mercoledi 8 Ottobre 2008
BOB DYLAN "Tell Tale Signs" - di Gabriele Benzing
clicca qui
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Bob Dylan : Il profeta e la sua maschera ( parte seconda) - Gli anni 70'
di Gabriele Benzing - (fonte : ondarock.it)
clicca
qui
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Don't think twice it's all right
clicca qui
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SCRIVEVANO.....
Bob Dylan: Oh Mercy Recensione
di: benzo24 , (Sunday, January 02, 2005)
Correva l'anno 1989 ed era dai tempi di Infidels che Bob Dylan non
pubblicava lavori all'altezza delle sue capacità e della sua fama: una serie
di dischi poco curati distrutti da scellerate produzioni di cattivo gusto.
Il primo passo fu quindi dare un "suono" che esaltasse le qualità delle
canzoni e così la produzione fu assegnata al geniale Daniel Lanois, il disco
che ne uscì è Oh Mercy ed il risultato fu sbalorditivo!
Fin dalle prime note l'ascoltatore è introdotto in un mondo magico, fatto di
suoni densi e caldi, mentre passano in rassegna brani di una bellezza
dirompente, di un'intensità superiore che solo Dylan riesce a dare con il
suo tocco.
Come non rimanere attoniti di fronte a "Man In The Long Black Coat", gente
come Tom Waits o Nick Cave (per fare solo due nomi) è da sempre alla ricerca
di scrivere momenti così splendenti e vigorosi.
Oh Mercy, un disco, la realtà, un sogno reale o meglio: la realtà di "una
serie di sogni" che ci racconta di posti dove cadono le lacrime, di montagne
piene di pecore smarrite, di campane che scandiscono la perdita
dell'innocenza, di gente che soffre e lotta nella notte a causa della
malattia della Vanità, confini invisibili, strade incorniciate da alberi
africani in cui soffiano delle brezze minacciose.
Un mondo dove tutto è un compromesso, in cui tutto è spezzato, dalle strade
ai cuori, un mondo senza amore, senza dignità in cui non si distingue più il
bene dal male, un mondo sovrastato dalla figura dell'uomo con il lungo
cappotto nero, ladro di sogni, ladro d'amore, che ci lascia soli con i
nostri rimpianti e i nostri ricordi, soli in mondo di stelle cadenti, che
bruciano in pochi istanti e svaniscono nell'immensa oscurità, dove una
solitaria voce sussurra, grida, invoca e ripete sempre la stessa parola:
pietà!
(fonte : debaser.it)
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Ascolta Bob Dylan impara ad essere eroe
da Repubblica — 30 agosto 2008 di FRANCO BOLELLI
"L' eroe è chi capisce il grado di responsabilità che deriva
dalla sua libertà». Bob Dylan, che andrebbe citato un giorno sì e quell'
altro anche. Non l'eroe enfatico e retorico. Non il «possiamo essere eroi
anche solo per un giorno» di David Bowie. No, Dylan ci dice che a essere
eroica è la forma stessa della nostra relazione con il mondo, e che il più
alto grado di questo eroismo quotidiano sta nel coniugare libertà e
responsabilità. Non la libertà come licenza incondizionata, non la
responsabilità come serioso dovere. è la loro empatia a essere eroica ".
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NOBEL 2008 : Dylan fanalino di coda
STOCCOLMA (Reuters) - La corsa al premio Nobel per la
letteratura sembra quest'anno apertissima, con gli eterni favoriti in campo,
come il romanziere statunitense Philip Roth e lo scrittore giapponese Haruki
Murakami.
Per i bookmaker britannici Ladbrokes, tra i possibili vincitori c'è anche
l'italiano Claudio Magris, seguito dall'israeliano Amos Oz e dall'americana
Joyce Carol Oates.
Bob Dylan, invece, è fanalino di coda nelle scommesse registrate da
Ladbrokes.
Intorno alle decisioni del comitato per il Nobel, intanto, regna il mistero
più fitto, e la data di annuncio del premiato di quest'anno non verrà resa
nota fino a quando non ci sarà un vero favorito in grado di distaccare gli
altri candidati.
La stagione dei Nobel comincerà il 6 ottobre con l'attribuzione del premio
per la medicina.
Altri possibili candidati al Nobel letterario: il poeta australiano Les
Murray, il romanziere nigeriano Chinua Achebe e il poeta siriano Ali Ahmad
Saïd, che si firma con lo pseudonimo Adonis.
Nel 2007 il prestigioso riconoscimento era andato alla britannica Doris
Lessing.
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Donovan: 'Sono uno zingaro bohémien, non un nostalgico dei
Sixties'
clicca qui
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20 ottobre : Donovan a Roma per i Beatles
clicca qui |
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Martedi 7 Ottobre 2008
Tell Tale Signs: Tell It Like It Is
Pre-Release Review by Sadi Ranson-Polizzotti
Così volete sapere , se vale la pena di comperare il cofanetto di Tell tale
signs ? Vale ogni penny , e non semplicemente per lo zoccolo duro dei fans ,
ma se non conoscete i bootlegs o come il resto di noi , conoscete le diverse
takes di molte canzoni ( in particolare di Oh Mercy ) , allora siete pronti
per un ossequio regale. Prendetelo .
Ne vale la pena perchè Dylan è al suo meglio dagli anni 90’ fino al 2006.
Quello che chiarisce questo set , e che gli altri dischi non hanno fatto , è
di mostrarci in quanti diversi modi può cantare le sue canzoni. Potremmo
sentirle ancora diverse nei concerti , questo è vero , così conosciamo le
varianti . ma quello che è interessante in questo disco è proprio come una
canzone come “Most of the time” può suonare in una take scartata (
particolarmente nel disco One ). É così totalmente diversa , così
assolutamente amabile , come dire , così assulutamente ogni cosa che può
battere la versione dell’album , questo per me vuol dire tanto , perchè sono
affezzionata alla versione dell’album : allora ho ascoltato la take scartata
del disco uno e c’è una dolce armonica che fa la parte del leone. Come si
sposa bene con la semplicità della chitarra . Il ritmo non posso definirlo
perchè è variabile ( almeno questo sembra al mio orecchio poco addestrato ).
Per la maggior parte rimane come in sospeso , ma è difficile seguire
l’armonica nei diversi cambiamenti che attraversa , almeno finchè non si
capisce il ritmo che non è così “evidente”. Quasi con noncuranza la canzone
funziona molto bene . Al momento è la canzone che ascolto di più , e lo sarà
probabilmente anche per voi , almeno fino al momento che avrete trovato
un’altra preferita , cosa che io non sono ancora riuscita a fare perchè
tutto è così mutevole , forse dipende dalla mia mentalità , dalla mia età ,
o da tante altre cose , tutto è così mutevole in quello che c’è nel disco.
“Dignity” è un’altra da sottolineare , compare nei dichi in diverse versioni
( come alcune altre ) io preferisco quella con l’introduzione di piano
perchè mi è sempre piaciuto Dylan al piano perchè è molto dotato su quello
strumento .
Quando avrò avuto il tempo di ascoltare tutti e tre i dischi nei prossimi
giorni o settimane , sarò più precisa , allora forse sarà una recensione
diversa , più di questa pre-recensione sommaria di come gli album stanno
assieme , e l’esperienza completa dell’ascolto. Oggi è un non-sequitor
totale , qualcuno ascolta più un album intero ?
Con l’avvento degli iPod , iTunes , Windows Media Player , spesso si fa un
mix , raramente un album intero , ma questo è un’altro argomento.
La confezione del box con i tre album è bella ed è accompagnata da un
brochure eccellente con le liner notes ( che non ho ancora letto per farmi
la mia valutazione delle tracce , posso essere d’accordo o non con quelle ,
ma avere due opinioni è sempre meglio.
Inoltre è disponibile un CD singolo in vinile di “Dreamin’ of you” con una
tremenda foto di copertina di Randee St. Nicholas. C’è una donna sulla
copertina con Dylan , chi sarà ? Potrebbe essere una modella o forse un
amore di Dylan , questo è quello che ho pensato. La musica su vinile suona
sempre differente ( almeno al mio orecchio : i CD sono molto più puliti ,
come un amico che ha appena fatto il bagno.
I tre CD sono accompagnati con un’eccellente riproduzione di lusso delle
copertine dei singoli (45s) , alcuni dei quali sono stati pubblicati , altri
sono sconosciuti , altri realizzati apposta per quest’evento.
Da quando è con la Columbia , Dylan ha realizzato oltre 1.200 singoli ed
extended-play in tutto il mondo. La serie comincia nel 1963 con un promo di
“Blowin’ in the wind”. Prendo nota che le copertine sono molto belle in
questo libro deluxe del Cd , ma io non posso pensare come un produttore
pubblicitario che pensa allo stile del marchio. Dylan stesso è ovviamente il
marchio , a questo punto , ma ho notato che le canzoni sono elencate in
questo modo , solamente “Most of the time” invece delle abbinate “Most of
the time” come ho visto su bobdylan.com come scritte da lui.
Qualcuno sta parlando da solo qui , senza comunicare , perchè dovrebbe
esserci una continuità in come le canzoni sono elencate , invece che alla
rinfusa , e questo creerà piccoli problemi in futuro per le scolaresche che
non le conosceranno correttamente ed esattamente come Dylan avrebbe
desiderato .
La gamma delle songs proviene un pò da tutto , dal buon vecchio rock del
portico ad alcune vere ballate di couble-dancing , dal rock&roll al country
al folk , le ballate gospel e le ballate traditionals. Non tutti i musicisti
potrebbero permettersi un pasticcio del genere , ma Dylan lo fa , potrebbe
andar bene per una o due cose , ma mischiare tutti i generi non si mai
visto. Dylan ha chiamato se stesso uno “spedizioniere musicale” e questa
raccolta lo dimostra , forse un viaggiatore che passa diversi luoghi con
musiche diverse e assorbe tutto , questo è quello che è Dylan in “Tell Tale
Signs” , ma come ha detto Suze Rotolo nel suo libro “A freewheelin time” ,
tutto il lavoro di Dylan viene analizzato al microscopio , e questo è vero.
Disc I
Mississippi (Unreleased, Time Out Of Mind)
Questo è il primo pezzo del 1° Cd e la chitarra è eccellente , così come lo
è Dylan nella sua durezza. Questa canzone potreste averla cantata con gli
amici sotto il portico ( non ho dubbi che l’aggiungerete al vostro
repertorio ). Una storia in una canzone , certi fraseggi così familiari e
così “dylan”. La canzone appare tre volte nella confezione col cofanetto , e
sono tutte diverse , a dimostrare che Dylan può prendere una cosa e voltarla
in un’altra con assoluta facilità nel modo migliore.
Most of the Time (Alternate Version, Oh Mercy)
Una versione acustica velocizzata – totalmente differente dalle altre
versioni che hanno un grande sound. Ora mi piace di più questa versione , ma
solo perchè ho ascoltato le altre versioni molte volte. Ci sono delle gemme
in questo set , e sicuramente questa canzone è una di quelle.
Dignity (Demo Version No. 1, Oh Mercy)
Anche questa dalle sessions di Oh Mercy , è solo un demo col piano e Dylan
canta una versione dignitosa di Dignity. É accreditata come un demo-take , e
come mi piacevano le altre versioni che avevo sentito , devo dire che questa
è la migliore perchè il piano crea la miglior atmosfera. É giusta in tutto ,
sia metaforicamente che letteralmente.
Someday Baby (Alternate Version, Modern Times)
Le altrrer versioni che conosciamo di questa canzone , hanno troppo
un’impronta pop-jazz , sembra di vedere le ragazze della squola ballare con
i loro iPood , e questo è bello. Questa versione è buona , ma non decolla ,
si percepoisce meno divertimento , un piccolo presentimento per il
futuro....sameday baby.
Red River Shore (Unreleased, Time Out Of Mind)
Apparentemente il Dylan camaleonte nel modo di cantare. Qui c’è il nostro
uomo con un semi country accento del sud , appropriato perchè la canzone è
molto simile ad una country-ballad : la breve storia di un uomo pieno di
dubbi ( Era fuori in mezzo al nero ruggito dei venti , ma non riesce mai ad
avere un appuntamento con “la ragazza del fiume rosso”).
Tell Ol’ Bill (Alternate Version, North Country Soundtrack)
Mi ricorda Things Have Changed. Forse non tanto le parole ( non ho avuto
ancora l’occasione di leggerle ) ma il suono di questa canzone è molto
simile , buona cosa.
La canzone non è ben definita , ma và seguita a lungo , forse mentre state
guidando.
Alla lunga ti prende e ti porta con essa , come la marea che sta salendo.
Born in Time (Unreleased, Oh Mercy)
Mi è piaciuta fin dalla prima battuta , ed è un peccato che sia rimasta
esclusa da Oh Mercy , ma allora , ogni artista deve fare una scelta perchè
non è possibile inserire tutto. I testi sono pura poesia , una melanconica
canzone sull’amicizia che va e viene , e inerente a questi , i problemi
delle relazioni complicate. C’è rammarico , molto rammarico in questa
canzone , è una canzone “nuda” e forse per questo era stata scartata , chi
può dirlo ? E’ stata pubblicata ora ed io sono contenta , qualche volta
aiuta lasciar fuori qualcosa e certamente , se c’è qualcosa che può metterci
in relazione con questa , la cosa ci aiuta.
Can’t Wait (Alternate Take, Time Out Of Mind)
“In si bemolle” come dice la voce all’inizio del nastro. Ha un suono scuro ,
da tarda notte. Così tutto diventa afoso , con una punta di rugosità nei
particolari , una combinazione di Dylan per dimostrare lo strazio e
l’angustia che ci sono nelle canzoni che suonano umili , sembra dire “ State
con me , seguitemi “.
Everything is Broken (Alternate Take, Oh Mercy)
Sono content che dica ancora “broken meear”. In dylanesco non si pronuncia
“mirror”. Non c’è nel dizionario. E’ stato detto abbastanza su questa
canzone , così adesso l’avete anche qui.
Dreamin’ of You (Unreleased, Time Out of Mind)
Ho scritto un articolo intero su questo pezzo , una canzone eccellente , con
un testo molto familiare , ma troppo lungo per inserirlo in un pezzo solo ,
leggete il mio articolo in proposito.
Huck’s Tune (from “Lucky You” soundtrack)
“When I kiss your lips, the honey drips, I’m gonna have to put you down for
a while.” Non è una cosa sexy , tuttavia la differenza è sottile , però
sembra più vicina al romantico , come in tante altre canzoni di Dylan ,
questa linea sottile balza agli occhi immediatamente . La canzone ha un
sound country e sembra una canzone d’amore per una ragazza irlandese ,
lirica. “I tried you twice, you can’t be nice, I’m gonna have to put you
down for a while.” Cosa voglia dire con “put you down” è quello che la rende
interessante , è un gioco di parole , un doppio senso che potrebbe voler
dire qualcosa di diverso da quello che si capisce al primo momento.
Marchin’ To The City (Unreleased, Time Out Of Mind)
Un inno che comincia in una chiesa per tornare qui di nuovo , lui “ non
cerca niente negli occhi di chiunque altro”. E’ un lento molto bluesy , che
combina di nuovo le diverse situazioni della vita. Suona bluesy , con
influenze religiose , ma a me non sembra una gospel-song .
High Water (For Charlie Patton) (Live, 2003, no location given)
Rock n’ Roll sicuramente. Non la mia preferita , ma certamente buona per far
ballare la gente e non mi sorprende che sia stata presa da un’esibizione
live , questo rende la canzone più “ooomph” . E’ buona , ma a mio parere ,
manca della grazia di altre canzoni incluse nel cofanetto.
Disc II
Mississippi (Unreleased Version, Time Out Of Mind) *note a different cut of
this exists on disc no. 1 as the first cut of the boxed set.
Un’altra canzone sul tempo che si accumula , una canzone “dilla com’è” dal
punto di vista di un uomo , effetivamente uno specchio dei tempi.
32-20 Blues (Unreleased, World Gone Wrong)
Ovviamente, Blues e Blues vero , tempo battuto coi piedi , quello che voglio
suonare o sentire qiando sono con i miei amici sotto il portico in estate.
Come ogni canzone blues , anche questa è la storia che coinvolge una donna ,
problemi affettivi , e un pò di violenza ( c’è anche di mezzo una pistola )
. Una canzone classica nella tradizione blues , una storia divertente da
seguire , la donna , naturalmente , è quella che vince.
Series of Dreams (Unreleased, Oh Mercy)
C’è più parlato che cantato , ma c’è qualcosa di simile in ogni Dylan’s
song.
La monotonia ripetitiva mi ha reso difficile entrare in questa canzone ,
avrei voluto più variazioni di quelle che ci sono qui . I testi , di nuovo ,
sono eccezzionali ( nessuna sorpresa in questo ) ma la musica non rende loro
giustizia. Posso immaginare cosa dovrebbe succedere , ma le cose sono
disunite , non succedono assieme , non ci sono abbastanza variazioni per
suscitare il mio interesse.
God Knows (Unreleased, Oh Mercy)
Non quello che sembra all’inizio. La canzone in se non parla di Dio , ma
piuttosto più una canzone su qualcuno che non può essere rimpiazzato. La
religione poterbbe anche starci , ma è un misto fra le due cose. C’è qualche
relazione e dell’ottimismo , e questo mi rende ottimista.
Can’t Escape From You (Unreleased, December 2005)
Una balata che assomiglia a qualcuna delle vecchie ballate anni 50’. Nel
testo , è ricorrente il tema delle campane e del treno che appare in molte
canzoni di Dylan. Uno potrebbe facilmente vedere una coppia che balla
romanticamente.
Dignity (Unreleased, Oh Mercy)
Altra versione più movimentata di quella del disco 1 , ma la prima è
superiore dal mio punto di vista. Il Be-Bop non sembra essere adatto alla
tematica della canzone , senza dubbio un momento di divertimento nelle
sedute di registrazione , ma in definitica sembra essere un pastrocchio di
musica e parole.
Ring Them Bells (Live at The Supper Club, 1993)
Ancora campane – il bello di questo pezzo è l’immediatezza , le chitarre
hanno un bel suono , chiaro , sembrano il suono delle campane . Dylan stesso
sembra cantare con la voce squillante , non ancora tranquilla e cavernosa
come sembra essere oggi ( lui , per scelta o per necessità è sempre stato
uno stilista nel cantare ) . C’è qualche urlo nel sottofondo , ma il suono è
eccellente , solo un pò gracchiante nel backgruond a mio modo di vedere . La
canzone si spiega da sola.
Cocaine Blues (Live, 1997)
Come si capisce dal titolo , una canzone blues . Tuuti conosciamo il suono ,
molto bene . In definitiva un blues sulla cocaina , e come ho detto prima
per l’altra canzone blues , anche qui c’è una donna e una pistola.
Ain’t Talkin’ (Alternate version, Modern Times)
Una buona take , sia una che l’altra sarebbero state bene nell’album ,
adesso le abbiamo tutte e due. Questa ha un buon marchio , e il suono
commovente da il senso giusto al testo. Vera magia.
The Girl On The Greenbriar Shore (Live, 1992)
Una bella canzone acustica , col suono cristallino. Un’altra storia , ma
cosa sono le canzoni se non storie ? Quello che rende Dylan più di un poeta
è che non tutte le canzoni degli altri artisti sono “storie” , questo è un
vero regalo di Dylan che sembra avere la spada in mano , come ha dimostrato
centinaia di volte . Questa potrebbe facilmente essere una storia per un
libro o una poesia diretta.
Lonesome Day Blues (Live, 2002, no location given)
Questo è il Dylan che sentiamo nei concerti attuali. E’ vitale e canta con
verve. La band è eccellente e c’è una bella qualità sonora.
Miss The Mississippi (Unreleased, 1992)
Oh , l’armonica…..Questa è realmente una magnifica canzone se vi piace il
delicato e struggente suono dell’armonica , che è perfetta per il titolo del
pezzo. Una canzone lenta , prima che cominci a cantare del ritorno alla casa
sul Mississippi dalla grande città . I testi suonano come una cartolina....”
Mi manchi tu ed il Mississippi...” Veramente amabile.
The Lonesome River (with Ralph Stanley)
Country con violino in sottofondo , è divertente e se vi piace il country vi
piacerà anche questa. E’ come una canzone da cantare in duetto davanti al
fuoco dell’accampamento , e qui Dylan lo fa con Ralph Stanley . Funziona
bene e ci sono alcuni eccellenti assoli per ogni strumento.
Cross The Green Mountain (From “Gods and Generals” soundtrack)
Probabilmente la canzone più intense di questo CD in termini di liriche .
Bella , tranquilla , melanconica , che si può dire , dolceamaro addio in
qualche modo , rassegnazione ed osservazione.
Disc III
Duncan & Brady (Unreleased, 1992)
Publicata in origine da Carl Sandburg nel 1927 col titolo di “Brady” nella
sua collezzione di canzoni folk. Questa canzone , dicono le note di
copertina , viene dalle “Bromberg Session”, procede come una clip dicono le
note , “attiva”.
Cold Irons Blood (Live, Bonnaroo, 2004)
Questa ha un grande potenziale , e Dylan sposa le parole con la musica in
perfetta sincronia.
Mississippi (Unreleased, Version No. 3, Time Out Of Mind)
Bella e probabilmente la più bella versione che ho sentito da molto tempo ,
Più morbida e più ritmata . Un pò più triste delle altre , questo è quello
che comunica , una calma bellezza.
Most Of The Time (Alternate Version No. 2, Time Out Of Mind)
Qui mi ripeto : questa è una delle mie canzoni preferite , ed è difficile
per me non amare anche le altre versioni , per essere onesta. Questa
versione è simile a quella pubblicta e diversa da quella acustica nel
precedente disco. E’ difficile stabilire quale sia la migliore perchè sono
così diverse. Questa include una meravigliosa linea di basso.
Ring Them Bells (Alternate Version, Oh Mercy)
Il piano eccellente mostra qui quello che era stato tagliato da Bob . Le
liriche si alzano in piedi in questa versione e per questa ragione , la
chiarezza del piano e la semplicità del suond , devo inserirla fra le mie
favorite.
Things Have Changed (Live, June 15, 2000, Portland, OR)
Una vera live version , più lenta , ma questo aggiunge qualcosa di diverso.
Le note di copetina precisano che l’oscar che si vede sull’amplificatore di
Bob ( che tutti abbiamo visto nelle fotografie ) , non è l’originale ma una
copia . Conosciamo questa canzone da “Wonder boyd” dove si adatta
meravigliosamente al video
Formidabile con Tobey McGuire.
Ci sono volte che è difficoltoso , qualcuno ha detto , riconoscere le
canzoni di Dylan perchè per la maggior parte hanno lo stesso suono , io non
ho trovato questo problema ( specialmente se ascoltate tanti bootlegs , si
prende l’abutudine a questo tipo di mix e le canzoni si riconoscono
abbastanza velocemente ) . Comunque questa take è troppo “leggera” , non da
inserire fra le preferite.
Red River Shore (Unreleased, Version No. 2, Time Out Of Mind)
Il suono del Sud. Dylan è qui , come nell’altra out-take , e la storia è
sempre quella , entrambe le versioni sono buone. Questa è leggermente
diversa e suona più “New Orleans” in sottofondo . La prima versione del
precedente disco mi piace di più , ma è solo una differenza estetica.
Born In Time (Unreleased, Version No. 2, from Oh Mercy)
Diversa dalla precedente versione , questa è la migliore delle due. La
chitarra segue il testo e la voce di Dylan qui è migliore. Le liner notes
dicono che tuttavia la miglior versione non è ancora stata realizzata ,
questo può essere vero , ma questa va nella direzione giusta , se non la
finale. Amen.
Tryin’ To Get To Heaven (Live, October 5th, London, England)
Una lentissima versione , con una tranquilla e contemplativa chitarra. Dylan
suona più pieno qui , forse per la lentezza del tempo , il testo è chiaro (
il souno di questo boolleg è cristallino per me ). Una grande take , davvero
, che io considero uno dei “nuovi” classici.
Marchin’ To The City (Unreleased Version No. 2, Time Out Of Mind)
In contrasto all’altra versione , questa è più gospel-sound , e procede con
un Be.Bop gradevole che la rende più scattante. La musica da alla canzone un
significato diverso , così sembra , la discussione è aperta.
Can’t Wait (Alternate Take Version No. 2, Time Out Of Mind)
Come dicono le note , “questa canzone va ascoltata alle 3 di notte , lo
capisco. L’altra versione è come il sole che nasce. “Maybe for you it’s not
that late…” canta Dylan , “But as for me, I don’t know how much longer, I
can wait…” . La canzone è lenta e come appesantita , e quando dice “It’s got
to end” si capisce chiaramente il perchè di questa aggiunta di peso alla
canzone . Il testo si sviluppa in un pesante arrangiamento strumentale , e
si adatta come in una perfetta suite.
Mary And The Soldier (Unreleased, World Gone Wrong)
Questo viene dallo studio di registrazione casalingo di Bob Dylan , questa
canzone prende lo spunto dalle ballate folk tradizionali ( pensate a “Ballan
in D plain” ). Quando ho sentito le prime note ho pensato a Donovan
(Donovan!) , perchè lo stile della chitarra suona proprio così , ma quando
la canzone continua diventa una Dylan-song , con il dylan-style. Il picking
della chitarra è eccellente ( meglio di Donovan ). É un bel modo di
chiudere....restiamo ancora in dubbio dopotutto....comunque , se non tutti ,
molti di noi.
Thanks for reading,
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SCRIVEVANO.....
Bob Dylan : Oh Mercy
Recensione di Viva Lì (Friday, July 21, 2006)
"Oh Mercy" è uno di quei dischi che non ti aspetti, che pensi non sarebbero
mai potuti arrivare e poi, tutto d'un tratto, te li trovi tra capo e collo
senza nemmeno capire il perchè e il per come, però ti piacciono, e questo ti
basta. Frasetta un pò troppo romanzata? Può darsi, ma assolutamente
corrispondente a verità. Perchè non è opinione isolata sentire molti vecchi
fans di Dylan affermare: "Dopo "Infidels", Bob non ha più imbroccato mezzo
disco", e un po', per chi conosce "Oh Mercy", vengono istantaneamente i
brividi.
Dall'incontro tra David Lanois (storico co-produttore degli U2, artefice del
grande successo di "The Joshua Tree") e Bob Dylan, in pratica la leggenda
del folk cantautoriale, non poteva che nascere un capolavoro, come
puntualmente è avvenuto. In effetti, gli umori e le armonie musicali
inseguite da Lanois Dylan le conosce bene: pochi lo sanno, ma fra Dylan e
gli U2 videro la luce alcune interessanti collaborazioni musicali (per la
band di Bono Dylan si improvviserà anche provetto suonatore d'organo). E
così, quando ormai gli anni Ottanta stanno volgendo inesorabilmente al
termine, la zampata leonina di Dylan appare, se possibile, ancora più
vigorosa e incisiva. E mentre in Italia ci si chiedeva "Cosa resterà di
questi anni Ottanta?" (poco, in verità), Bob Dylan cantava "Where Teardrop
Falls". Capite la differenza?
"Oh Mercy" è un disco doppio, nel senso che presenta due condizioni
musicali: ritmico e classicheggiante nella prima parte, più lento e
intimista nella seconda. Dylan si rifà a vecchi amori di gioventù: dalle
atmosfere alla Creedence Clearwater Revival, ai vecchi miti come Guthrie o
Hank Williams. I brani sono tutti impeccabili e sontuosi, spesso addirittura
spiazzanti: "Political World" è un blues distorto e affascinante,
"Everything Is Broken" dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, essere il brano
cardine dell'intero album, ma, sebbene stupendo, non è nè migliore nè
peggiore di altri, forse solo un pò più ritmato e incalzante. Ma sarebbe un
errore ignorare ballate come "Ring Them Bells", tenera e stringata, veloce
ed essenziale. Le emozioni ritornano prepotentemente in primo piano con la
bellissima "Man In The Long Black Coat", e questa volta, come in una sorta
di miracolosa trasformazione vocale, Dylan canta persino in maniera pulita e
poco traballante. La voce è roca, ma chiara e puntuale, precisa nel
tratteggiare suoni e odori di una storia umida e bagnaticcia, come lo è
l'America cantata, sempre con partecipazione e mai con distacco, da un Dylan
in effervescente stato di grazia.
La seconda parte, appunto. Pezzi lenti dicevamo, eppure ancora una volta
stupendi. Si potrebbe accusarlo di inconcludenza e si potrebbe persino dire
che tutti i brani di questa seconda parte un pò si assomigliano (ed in parte
è vero), ma la freschezza compositiva e la ritrovata serenità musicale,
impediscono qualsiasi critica negativa. "What Was It You Wanted" è
bellissima, ma ad eccellere è la mestissima "Shooting Star", uno dei più bei
brani firmati Bob Dylan da molti anni in qua. La mano di Lanois è presente,
ma non è un peso: sotto la guida esperta di un produttore furbo e astuto,
Dylan riesce finalmente a ritrovare la propria vena cantautoriale, seppur
dolente e invecchiata (ma è prevedibile), rispetto ai tempi in cui sobillava
le folle con "The times they are a changin". Si può dunque tranquillamente
gridare al miracolo, peccato però che il successivo album, "Under The Red
Sky", sia vacuo e a tratti persino pietoso. "Oh Mercy" è l'ultimo grande
acuto di un Dylan che, per qualche attimo, sembra aver ritrovato la sua
forma migliore. Che sciuperà, come spesso in questi ultimi anni gli è
accaduto, in quattro e quattr'otto.
(fonte : debaser.it)
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Il 7 ottobre 1992 moriva Augusto Daolio , MF lo ricorda
così
clicca qui
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Joan Baez in concerto : 11 Ottobre Teatro Smeraldo -
Milano
Joan Baez si esibisce, invece, al Teatro
Smeraldo l’11. Classe 1941, la folksinger, nota anche per il suo impegno
politico e per l’unione artistica e sentimentale con il grande Bob Dylan, è
impegnata nella promozione del nuovo lavoro «Day After Tomorrow».
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Mac’s Back & Super Bowl Boss
Il nuovo album di Paul McCartney, che uscirà il 17 novembre,
sarà firmato dal nome del suo alter ego dedito alla dance, “The Fireman”, in
duo con il membro dei Killing Joke e produttore dei Verve, Youth. L’album si
intitolerà “Electronic Arguments” e conterrà 17 brani tutti scritti dallo
stesso McCartney.
Mentre negli USA, a Washington, è stato annunciato che sarà Bruce
Springsteen ad esibirsi nell’intervallo musicale della finale del football
americano, evento sportivo più atteso negli Usa, il Super Bowl. Bruce
suonerà nello stadio di Tampa, in Florida, il 1° febbraio con la sua band di
vecchia data: la “E Street Band”. Per gli americani l’intermezzo musicale è
una tradizione che risale al 1967, e questa per Bruce è la prima volta!
( Dean Spencer News )
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Dig out your soul: Intervista agli Oasis
clicca qui
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Donovan, un film doc sulla sua vita
clicca qui
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Londra, in mostra foto rare dei Sex Pistols, Who ,
Rolling Stones e Bob Dylan
clicca qui
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a |
Lunedi 6 Ottobre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 426
- clicca qui
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Tell Tale Signs è uscito , aspettiamo
le vostre recensioni !!!!!!!!!
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Dal cilindro del poeta rock anche inediti sul vecchio
West
di Antonio Lodetti
Bob Dylan è il più impenetrabile fra i grandi cantori del nostro tempo ma,
come dice il suo manager Jeff Rosen, «è maniacale nel prendere iniziative
straordinarie per tutelare la sua immagine che così cresce costantemente di
valore». L’ultimo ventennio è stato davvero aureo per Bob; lasciando perdere
il premio Pulitzer e tutti gli avvenimenti extramusicali, l’ultimo album
Modern Times è volato in vetta alle classifiche e i precedenti, come Time
Out Of Mind, hanno riscosso un unanime succeso di critica. Così Mr Dylan -
senza rallentare il «tour senza fine» - pubblica in questi giorni Tell Tale
Signs. Rare adn Unreleased. 1989 - 2006, doppio cd ricco di rarità e
inediti. La settimana prossima uscirà la versione «de luxe», con un terzo cd
di cammei, più la versione in quattro lp, visto che Bob sostiene da tempo
che «i suoni dei cd cono atroci».
Inediti. Parola magica ma spesso segno di fregatura nel mondo rock. Qui si
può andare tranquilli; ce n’è davvero un bel campionario. «Molti di noi
hanno paura di morire nel buio e non essere dove gli angeli volano», canta
in Red River Shore, storia di cowboy dall’arrangiamento vivace scartata da
Time Out of Mind ma definita da Dylan e dai suoi musicisti «una delle
canzoni migliori del cd». Misteri del marketing, ora il brano, un
traditional, esce inedito in una versione smagliante. Da ragazzo Dylan
idolatrava Woody Guthrie ma non dimenticava le radici nere del blues. Qui
per la prima volta s’avvicina al «satanico» Robert Johnson rileggendo la sua
32 - 20, che con la sua voce odierna, a metà strada tra il rutto e il
ringhio roco, non fa rimpiangere l’asprezza dell’originale. E poi si butta
sul pianoforte gospel, da ebreo «che bussa alle porte del Paradiso», per
pennellare l’enfatica Marchin’ to the City, gran ballata che si trasformerà
nella nota Till I Fell In Love With You. E se non basta c’è il Dylan
romantico, tra Hank Williams il walzer e i Platters, che ondeggia tra i
ricordi in Can’t Escape For You, composta per un film mai realizzato.
Gran musica; un nuovo piccolo-grande squarcio a rinnovare la leggenda di un
personaggio che è aedo rock e cantore bucolico, anticlericale e giullare di
Dio, poeta maledetto e del sociale, cronista e visionario. Tutto e il
contrario di tutto, spiazzare sempre e comunque ora con parole chiare ora
con metafore oscure. Già nei primi anni Sessanta aveva descritto
beffardamente le bizzarrie della sua poesia: «Sono un ladro di pensieri/non
un sottrattore di anime/ho costruito e ricostruito sopra ciò che è in
attesa/una parola una melodia una storia un verso/chiavi nel vento per
disserrarmi la mente». Così si spiega il legame con la tradizione; come
trasformo un’antica melodia popolare nell’inno Masters Of War ora rilegge
Tell ’Ol Bill della Carter Family, propone versioni alternative - e sempre
diverse - di pezzi già noti come Can’t Wait, racconta il suo genio e la sua
umoralità in brani dal vivo dalle tinte bluegrass come The Lonesome River
con Ralph Stanley, o architetta la cavalcata rock Ring Them Bells, tratta da
uno special del ’93 per Mtv mai andato in onda.
(fonte : http://www.ilgiornale.it)
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L'ultimo Dylan, "Tell Tale Signs"
di Marinella Venegoni
Le Bootleg Series sono nate anni fa per togliere pane ai
denti dei bootleg, le registrazioni clandestine che in epoca pre-internet
molto sottrassero a Bob Dylan e alla sua casa discografica in termini di
royalties. Poi, dopo internet, nessuno ci fece più caso:-))).
Il 3 ottobre è uscito il n.8, che ricopre il periodo fra il 1989 e il 2006:
quello del Dylan della piena maturità e oltre, dei dischi che appartengono
al presente di quest'uomo che per tutta la vita ha tentato di sfuggire al
proprio mito. Senza riuscirci.
Il doppio album "Tell Tale Signs" va ascoltato, credo, senza guardare i
titoli, le note, senza cogliere le indicazioni degli inediti. E' un flusso
travolgente eppure quieto, una magistrale dimostrazione di misura e di
abilità; si coglie la fattura squisita della musica e anche il pregio del
Dylan interprete,accorato e dedicato, con una passione che sembra più accesa
che dal vivo; a volte fa sorridere quando sembra cantare con il naso,
dev'essere un suo segno di disagio.
Il Vate di Duluth si avventura pure in pezzi d'epoca non suoi, come la
dolcissima "Miss the Mississippi " di Doc Watson, per lui inedita, che
raccomando caldamente di ascoltare. Degli ultimi brani che ha scritto, ho
riapprezzato "Ain't Talking", il pezzo che chiude "Modern Times", l'ultimo
album del 2006 che secondo me è il più bello di questo lungo periodo
affrontato nell'album.
In generale, "Tell Tale Signs" raccoglie 27 brani con registrazioni del
tutto inedite e versioni "esclusive" di brani contenuti nei dischi degli
ultimi due decenni. Ci sono anche performances live, e un libretto con
storie e testi di canzoni. C'è pure una versione in vinile, di 4 lp in
edizione limitata. Buon Dylan a tutti.
(fonte : lastampa.it)
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Il tesoro nascosto del profeta rock
di Stefano Mannucci
Non sappiamo ancora come andò davvero quel mattino. Dylan giura che la ruota
posteriore della Triumph si era bloccata mentre lui cercava di evitare una
macchia d'olio sulla Striebel Road, non lontano dalla sua casa di Woodstock.
E poi non dormiva da tre giorni: tutti volevano un pezzo della sua anima,
magari per sbranarla, dopo averlo fischiato per aver rinunciato alla
«purezza» da folksinger in nome di un vertiginoso approccio al rock. In poco
meno di due anni aveva realizzato tre album "elettrici" ("Bringing it all
back home", "Highway 61 revisited", "Blonde on blonde") che qualcuno ha
definito «una delle più alte espressioni culturali del Ventesimo secolo».
Insomma, era dannatamente sotto pressione, quel 29 luglio 1966. Di certo,
volò sopra il manubrio della sua moto: all'ospedale gli diagnosticarono la
frattura delle vertebre del collo. Circolarono voci che lo volevano in punto
di morte, tutti i concerti furono annullati e la convalescenza si protrasse,
in un alone di mistero, per mesi e poi per anni. Dylan ne approfittò per
immergersi nella vita di famiglia, nella quiete bucolica che poi generò il
suo controverso ritorno in chiave country, lontano dalla cannibalizzazione
dello show business. Più di quarant'anni dopo, nessuno sa se quel ritiro
dalle scene fu forzato o volontario. In quei giorni, il "Chicago Tribune"
scrisse: "Un tipico gesto del profeta è la sparizione e la ricomparsa, con
un nuovo messaggio". Il profeta. Quante volte era già apparso e svanito nel
nulla, Dylan? Nel '63 lo avevano visto e ascoltato, a Washington, il
pomeriggio glorioso della Marcia, quando Martin Luther King urlò al milione
di persone che lo circondavano: "Ho fatto un sogno!". Ed era solo, Bob, in
quella notte del '78 quando - sostenne - la sua stanza cominciò a roteare
davanti ai suoi occhi, e lui, l'ebreo che aveva nelle vene sangue turco,
lituano, russo e americano, lui che non ha mai smesso di cercare la Risposta
davanti al Muro del Pianto, intuì che quello era Gesù venuto a offrirgli la
Fede.
Il profeta. Agli inizi degli anni Settanta l'ambiguo A.J. Weberman, leader
del Fronte di Liberazione Dylan rovistava nella sua immondizia per capire da
un dentifricio spremuto o da una zuppa in scatola quanto Bob si fosse
«venduto al sistema». E trent'anni dopo, ci sono volute sei o sette maschere
d'attore (compresa quella femminile di Cate Blanchett) per raccontarne
l'inafferrabilità nel film "Io non sono qui". Lui, intanto, canta da quasi
mezzo secolo, e da vent'anni strapazza le sue canzoni nel "tour che non
finisce mai". Si mostra, si offre, ma tu capisci che non lo conoscerai mai.
È la perfetta incarnazione dell'insondabile mistero dell'America moderna:
puoi attraversarla in lungo e in largo, studiarla a fondo nelle sue
tradizioni e nelle sue spinte incongrue, ma non la capirai davvero. A Dylan
hanno assegnato il Premio Pulitzer alla carriera, e anche quest'anno è in
lizza per il Nobel: ma della sua parola c'è ancora sete, così come della sua
musica, che attraversa come un bolide luminoso i territori mistici del folk,
del blues, del gospel, del rock disincarnato, dove ogni personaggio è uno
spettro e un simbolo, ma disegnato con una vividezza tale che potresti quasi
toccarlo.
Dai suoi archivi, dallo scavo di una discografia nascosta e apparentemente
inaccessibile, continuano a spuntare tesori. Come l'ottavo "volume" della
"Bootleg series", un doppio (e triplo in edizione limitata) cofanetto
intitolato "Tell tale Signs", ricco di inediti (due su tutti: lo stregato
"Red river shore" e le due letture impalpabili e magnetiche di
"Mississippi") e di versioni alternative di brani datati fra il 1989 e il
2006. In quel periodo Dylan è stato di nuovo sfiorato dalla morte fisica
(nel 1997 gli fu diagnosticata una pericardite) e da una continua rinascita
artistica. Così descrive, lui stesso, il rapporto fra i tre dischi (qui
ampiamente rappresentati) che rappresentano la sua più recente trilogia di
capolavori. «In "Time out of mind" indietreggiavo e combattevo per uscire
dall'angolo. Poi, quando incisi "Love and Theft", ero già in salvo. E non mi
trovi già più nei solchi di "Modern Times". Sono sceso dal ring, ho lasciato
l'edificio». Il profeta condannato a boxare in eterno con l'ispirazione, con
la cifra nascosta del messaggio.
Poi lo ascolti cantare - per la prima volta nella sua carriera - uno dei
testi sacri del padre fondatore del blues, Robert Johnson, e rabbrividisci:
perché "32/20" è la storia di un uomo che chiede alla sua donna dove abbia
trascorso la notte. E quando capisci che di lì a un attimo impugnerà la sua
Colt per lavare l'affronto, la voce di Dylan ti accompagna sull'orlo
dell'inferno. Su Johnson circola la leggenda che avesse venduto l'anima al
diavolo in cambio del talento chitarristico: il profeta invece canta con la
nonchalance di chi non è mai sceso a patti. Ti dice come stanno le cose: ma
pare che ti guardi insolente. E taccia.
(fonte : iltempo.ilsole24ore.com)
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Sony BMG, presto il cambio di nome in Sony
Entertainment
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È morto Nick Reynolds, fondatore del Kingston Trio
Nick Reynolds, membro fondatore del Kingston Trio, è morto
all'età di 75 anni. Reynolds aveva formato il trio nel 1957 a Palo Alto in
California con Bob Shane e Dave Guard (sostituito da John Stewart nel 1961),
ottenendo un grande successo nel corso degli anni '60. Il Kingston Trio ebbe
un ruolo decisivo per la nascita del movimento del folk revival americano,
tanto che Bob Dylan lo citò tra le sue influenze.
(fonte : giornaledellamusica.it)
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Joan Baez: ‘Il mio un disco religioso? Può essere, ma
non l’ho fatto apposta’
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Stills: canto l’utopia come ai tempi di Nash
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Mogol:
«Lucio si nascose perché non accettava condizionamenti»
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Domenica 5 Ottobre 2008
IL RE CREMISI
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Sabato 4 Ottobre 2008
Il 4 ottobre 1970 moriva Janis Joplin , MF la ricorda così
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Ho ascoltato Tell Tale signs
di Mr.Tambourine
Ogni album di Dylan in uscita è sempre un’evento a livello
mondiale , questo mi e ci rallegra perchè Bob è sempre il # 1 of all the
time. Tell tale signs non fa parte della categoria dei dischi ufficiali , è
l’ottavo della serie parallela Bootlegs , e pur essendo un disco ufficiale
suona come un vero bootleg. La qualità è scarsa rispetto ai dischi titolati
, ma devo dire che spunta dalle tracce una vera spontaneità , la spontaneità
delle prove , quando si cerca la soluzione musicale migliore.
Si tratta di scarti di studio , registrazioni grezze , ma ripeto ,
possiedono una spontaneità incredibile , questo oltre il fatto se le tracce
possano piacere o meno. Non tutto il contenuto di questo Tell Tale Signs
brilla di luce propria , troppe tracce sono davvero scarse , troppo al di
sotto degli standard , eppure il disco prende , forse perchè le
registrazioni risalgono al tempo quando la voce di Dylan era ancora
estremamente suggestiva , possideva ancora quella magia indefinibile che ti
penetra e ti fa vibrare le budella . Sicuramente Tell Tale Signs richiede
diversi ascolti per essere apprezzato , al primo ascolto l’ho trovato ,
escluse alcuni eccezzioni , un disco monotono , ma avanzando nel numero di
ascolti l’opinione comincia a cambiare , si comincia ad apprezzare anche
quello che al primo ascolto “suona male”. Non si può certo gridare al
capolavoro , in fin dei conti è sempre una raccolta di scarti , ma il disco
riesce a dimostrare la grandezza di Dylan , la sua versatilità come
songwriter e come performer , la sua straordinaria ricchezza di idee , la
sua umanità in netto contrasto con l’atteggiamento del Dylan-personaggio che
sembra voler evitare ogni tipo di contatto col suo pubblico.
Dunque possiamo dire che Robert Zimmermann continua ad interpretare la parte
di Bob Dylan , il personaggio che lui ha creato e si è cucito adosso come
una seconda pelle , facendola diventare la pelle principale , la pelle
pubblica , nella quale ha imprigionato per l’eternità il povero Zimmermann ,
colpevole soltanto di aver Inventato Bob Dylan , il classico topolino che
mangia l’elefante.
Tell Tale Signs scatena emozioni contrastanti , di piacere e di disappunto ,
Tell Tale Signs sconcerta ancora una volta l’ascoltatore , ma forse è Dylan
che ci sconcerta ancora una volta , e chissà quante cose ci sono ancora nei
suoi cassetti per sconcertarci per altri cento anni !
E banale ripetere che Dylan è unico , ma nel panorama artistico degli ultimi
50 anni non riesco a trovare un artista che possa essere paragonato a lui ,
intendo paragonato nei contenuti , nella potenza del messaggio lanciato e ,
diciamolo pure , nella bellezza delle sue canzoni che troppa gente afflitta
dalla easy-listening mania non conoscono e non apprezzano , diciamo peggio
per loro e passiamo oltre. Ho ascoltato e seguito molti artisti , grandi
nomi che resteranno nel firmamento della musica , penso ai Beatles con la
loro unica ed irraggiungibile popolarità a livello potremmo dire planetario
, penso ai Rolling Stones che a 70 anni hanno ancora la forza e la potenza
di fare gli stadi da 100.000 persone , fenomeno unico , irripetibile ed
irraggiungibile , penso alla bellezza di certi brani dei Beach Boys , penso
alla totalita dello spettacolo dei Pink Floyd , ricordo di averli visti allo
Stadio delle Alpi a Torino , credevo di andare a vedere un concerto e invece
ho visto un film in diretta , incredibile !. Potrei parlare di un centinaio
di altri artisti altrettanto validi e creativi , ma nessuno può stare sul
gradino dove da anni si trova solo Dylan.
Ho ascoltato tutti i pezzi di Tell Tale Signs nell’anteprima della NPR messa
a disposizione su internet :
http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=95047293 , ho
registrato i brani e mi sono fatto i due CD , non avrò la confezione ma di
quella non me ne importa , di Dylan conta la musica e non le illustrazioni o
le confezioni.
Queste sono le mie prime , e sottolineo personali , impresioni ricevute da
un ascolto molto superficiale , affidato per il momento solo alle orecchie e
non ancora alla mente :
1) Mississippi : Accattivante versione casereccia , gli manca la maestosità
della versione dell’album.
2) Most of the time : Grezza e bruttina , proprio uno scarto , idea
apprezabile che andava rielaborata.
3) Dignity : questa take merita dal 5 al 6 , non di più , la voce di Dylan 9
, il brano è scarno che più non si poteva ma Dylan lo rialza con le sue doti
interpretative.
4) Somebody baby : Simpatica , ci può stare , un Dylan molto rilassante e
rilassato , non paragonabile a quella di Modern Times.
5) Red River shore : Buona , specialmente il suono delle chitarre addolcisce
e rende convincente la take , il basso è appena abbozzato e non all’altezza
del resto, più curato nei particolari musicali sarebbe stato un brano da
album.
6) Tell ol’ Bill : Inutile , un vero scarto , la canzone vale ma la take no.
7) Born in time : Bella , mi ricorda un’altra canzone , uno dei pochi
Highligth di BS8.
8) Can’t wait : Bel blues ingiustamente scartato da Lanois , mi piacerebbe ascoltare una
versione di Clapton.
9) Everything is broken : Costruzione musicale fine anni 50 , forse meglio
della versione di Oh Mercy.
10) Dreamin’ of you : Ottimo progetto di canzone , purtroppo questa è solo
un primo abbozzo di quello che avrebbe potuto essere un grande pezzo.
11) Huk’s tune : Bella e completa , richiama troppo altre canzoni dylaniane
.
12) Marchin’ to the city : Proprio una blues-take da lavorarci sopra ancora
tanto, potenzialmente un gran brano ancora allo stato brado.
13) High Water : Versione live , una delle tante , con cose così si può fare
un bootleg di ogni concerto.
14) Mississippi #2 : E solo una prova , niente a che vedere con la versione
del disco.
15) 32-20 blues : La canzone è di Robert Johnson , sembra di ascoltare una traccia del primo album di Johhny
Winter quando Johhny imitava spudoratemente Bob , cover accattivante.
16) Series of dreams : Peccato quelle fastidiose batterie e percussioni , il
pezzo ha una sua personalità , direi ottimo pezzo , all’altezza del Dylan
inspirato e creativo , con un arrangiamento più appropriato sarebbe stata
degna dell'album.
17) God Knows : Torniamo ancora al primo disco di Johhy Winter , senza la
fantastica chitarra di Johnny.
18) Can’t escape from you : Potenzialmente una buona canzone , suoni
sregolati , una vera take vicina alla realizzazione.
19) Dignity : Versione superflua , non dice proprio niente , take senza
personalità.
20) Ring them bells : Brano live , stesso discorso già fatto , solo una
discreta testimonianza tratta da un concerto.
21) Cocaine blues : Altro brano live , come sopra.
22) Ain’t talking : Proprio una versione alternativa come dice il titolo
della track , con quei fastidiosi bassi pompati come era di moda negli anni
90’.
23) Girl on the greenbriar shore : sembra il primo Dylan delle talking-blues
ballads , bella ma fuori tempo.
24) Lonesome days blues : Altro brano dal vivo , niente aggiunge e niente
toglie , manca un vero chitarrista di delta-blues per dare al brano una
caratteristica personale più evidente.
25) Miss the Mississippi : Il gioiello dell ‘album composto da Doc Watson , potrebbe stare
tranquillamente su Love and Theft , ma non era una Dylan's song.
26) Lonesome river : In ogni locale di Nashville si cantano canzonette come
queste senza dover scomodare Bob Dylan.
27) Cross the green mountain : La canzone è bella e merita , la take è resa
inascoltabile dai soliti bassi fuori luogo , una bella take in tutti i
sensi.
Bene , queste sono le mie impressioni dopo il primo ascolto , in seguito
molti di questi giudizi probabilmente cambieranno ma al momento "hic est" . In
sostanza una compilation di cose già sentite , curata meglio nelle scelte
avrebbe potuto anche meritare la sufficenza , in questo modo fa fatica a
decollare e convincere.
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Le mie impressioni su "Tell tale signs" (di Michele
"Napoleon in rags" Murino )
clicca qui
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Bob Dylan: in uscita il nuovo "Tell Tale Signs"
di Paolo Vites
Da anni, quello che è unanimemente considerato il più significativo fra gli
autori di musica rock di tutti i tempi, Bob Dylan, ha dato il via a una
serie di pubblicazioni che permettono di intrufolarsi nei suoi archivi
personali e ascoltare una vasta collezione di brani scartati per vari motivi
dai suoi tanti dischi ufficiali.
Si chiama Bootleg Series, facendo riferimento ai tanti dischi pirata (i
bootleg, appunto) che negli anni, senza autorizzazione sua o della casa
discografica, hanno invaso il mercato dei cultori e dei collezionisti.
Il nuovo episodio (il Volume 8, che uscirà in Italia il 3 ottobre in
versione doppio cd e deluxe - tre cd più due libri allegati, al prezzo
alquanto esagerato di circa 160 dollari) volge lo sguardo, dopo una lunga
serie di episodi dedicati al suo periodo più fecondo e cioè gli anni
Sessanta, agli ultimi vent'anni di carriera.
Si tratta di versioni alternative o brani totalmente inediti scartati da
dischi come Oh Mercy (1989), Time Out Of Mind (1997, prodotto da Daniel
Lanois e vincitore di due premi Grammy), Love And Theft (2001) e il recente
Modern Times (2006).
Quello che ne emerge è un ritratto ricco di fascino e di sorprese: alla fine
degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, infatti, Dylan aveva
pubblicamente annunciato di non scrivere più canzoni nuove (“Al mondo ce ne
sono già abbastanza” aveva dichiarato) limitandosi a produrre due dischi di
vecchi traditional folk e blues in solitaria chiave acustica. Era stato uno
shock per tutti, fans e colleghi musicisti. In fondo Dylan, come avevano
detto i Beatles, era sempre stato quello che “indicava la strada”.
Quello che invece questo Bootleg Series racconta è il drammatico riemergere
della sua incomparabile abilità di autore, troppo forte per tenerla celata:
ecco capolavori che sembrano uscire da una vecchia raccolta di musica folk
degli inizi del secolo come Mississippi (in ben tre versioni diverse; Dylan,
ai tempi, l’aveva regalata a Sheryl Crow che ne fece una versione), Red
River Shore, una lunga ballata dal delicatissimo sapore tex-mex con tanto di
fisarmonica o ancora il blues dolente e maestoso di Marchin’ To The City.
Per arricchire il menu, sono state incluse alcune esibizioni dal vivo degli
ultimi anni, che francamente suonano un po’ fuori posto e non sono neanche
fra le migliori del nostro, più un paio di brani apparsi su colonne sonore,
la bellissima Cross The Green Mountain (dal film Gods And Generals) e Huck’s
Tune (da Lucky Town).
Una raccolta, questa, che non è solo per fan, ma diventa essenziale per
tutti coloro che hanno amato la grande musica d’autore.
( fonte : ilsussidiario.net )
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Il segno del tempo
di Renato Tortarolo
UN UOMO con i capelli lunghi, il volto incorniciato dalla barba, stretto in
abiti scuri, si aggira sulla scena di battaglia. Osserva i feriti, ascolta i
lamenti, sembra impassibile davanti al al macello, in realtà è lo sguardo di
chi ha già visto la stessa mattanza e sa che altro dolore scenderà sulle
divise e sui cannoni. Il filmato si può vedere su You Tube, il cavaliere
solitario e silenzioso è Bob Dylan, l’epopea in bianco e nero è quella della
Guerra Civile americana, il set invece è il kolossal tv “Gods and Generals”,
concepito nel 2003 per celebrare l’ascesa e la caduta del generale ed eroe
confederato Thomas “Stonewall” Jackson.
“Muro di pietra” era il soprannome meritato resistendo il 21 luglio 1861
all’avanzata unionista, nella prima battaglia di Bull Run. L’eroismo fu
indiscusso. Altra cosa, invece, la carneficina che si sarebbe ripetuta
durante quella guerra fratricida. Dylan, come racconta nelle sue
“Chronicles”, ha fatto ricerche minuziose nella New York Public Library per
scrivere la colonna sonora del kolossal. Ma c’è il fondato sospetto che
quelle lunghe sedute siano state l’ennesimo passo nel grande ventre storico
e letterario del Paese, che in altri termini, molto più fisici, il poeta e
cantautore ha attraversato per tutta la vita. E non solo per raggiungere un
altro posto in cui suonare. Esistono pochi artisti, nel senso più ampio, che
abbiano dell’America un senso geografico, inteso come distanze fra gli
uomini e da Dio, e allo stesso tempo una conoscenza che va al di là di
qualsiasi sondaggio, reportage, inchiesta televisiva o tributo
folcloristico.
Mai come in questi giorni di assoluto disorientamento per gli americani, la
prospettiva che offre da sempre Bob Dylan nelle sue canzoni e nel suo rock
popolare risulta quasi profetica, aggettivo che si ripete per l’intera
carriera. A 67 anni, Dylan pubblica oggi il doppio album “Tell Tale Signs”
con 27 brani, praticamente tutti inediti anche se si tratta di versioni di
motivi già noti. Non tutti, ma in gran parte. C’è infatti nel songbook del
poeta americano, già entrato più volte nei rumors per il Nobel, toccato da
numerose onorificenze accademiche e premiato quest’anno con il Pulitzer, un
senso di immanenza che lo rende straordinariamente attuale.
E ancora più singolare che si tratti di un repertorio che l’assoluta
devozione dei suoi ammiratori, una distesa piuttosto ampia di letterati,
docenti universitari, colleghi, scienziati, uomini di legge e di scienza, ha
ormai pelustrato in ogni latitudine, mentre il web, come nel video su
YouTube, copre per le nuove generazioni. Dylan, però, non può limitare la
sua voce a una semplice raccolta discografica, anche se nella versione
deluxe “Tell tale Signs” conterrà un terzo cd con altri 12 inediti più un
libro in edizione rilegata con i progetti grafici dei singoli.
Come si concilia tanta prodigalità con i fulmini e i tempi grami che si sono
abbattuti sugli americani in questi ultimi tempi? E perché Dylan ha questa
prodigiosa vocazione divinatoria? Su quest’ultima curiosità si può dire
facilmente che l’osservazione dei propri simili e un certo grado di
conoscenza dello scontro fra bene e male fanno parte della sua cultura:
«Molti sostengono che io sappia abbastanza di religione, ma il mio sistema
di valori morali si rifà più ai vecchi spiritual che a qualsiasi invettiva
contro il diavolo». Sul fatto invece che Dylan avverta il senso del tempo e
racconti scenari che poi si avverano, soprattutto sul piano emotivo, è
probailmente il mistero più affascinante che lega ormai tre generazioni a
questo artista sfuggente, che pure riappare regolarmente in concerti nei
posti più disparati del mondo.
Canzoni come “Dignity”, “Most of the Time”, “Born in Time”, “Can’t wait”, o
“Series of Dreams”, tutte in versioni che non si conoscevano e che
confermano le doti di semplicità musicale unite a una notevole forza visiva,
sono soltanto delle tappe, tutte con una loro angolatura stilistica precisa,
dal rock al blues al folk meno contaminato, di un viaggio maestoso come solo
Herman Melville ha saputo immaginare e non solo per distese sempre più
vaste, nel suo caso il mare, ma nel dubbio che accompagna qualsiasi persona
di buon senso.
Ci sono due canzoni, sulle quali si potrebbe discutere all’infinito in sede
accademica: “Mississippi” e “’Cross the Green Mountain”, scritta per il
kolossal sulla Guerra Civile. La prima espone Dylan a quel processo di fuga
che è prima di tutto la riaffermazione della libertà individuale, cardine di
qualsiasi rapporto sociale, «ad ogni passo tracciamo una linea, i vostri
giorni sono segnati e così i miei...». Nella seconda, la pietà per la madre
che apprende per lettera la morte del figlio soldato è ombreggiata dal fumo
che si alza lontano, dal respiro e dai gesti lenti e ruvidi che si scambiano
i combattenti. Tutto è avvolto nella tragedia, ma tutto sembra naturale.
( fonte : ilsecoloxix.ilsole24ore.com )
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ESCE "TELL TALE SIGNS", INEDITI E HIT DI BOB DYLAN
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BOB DYLAN, ESCE DOPPIO CD CON INEDITI E RARITA'
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Attesa febbrile per l'ultimo album di Bob Dylan
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Il nuovo doppio cd di Bob Dylan
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Tell Tale signs : rock da archivio di Bob Dylan
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Uscite discografiche (3 ottobre 2008)
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Venerdi 3 Ottobre 2008
Ascoltate in anteprima le 27 canzoni di "Tell Tale signs"
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Bob Dylan sputa nel piatto dove ha sempre mangiato
Introiti leggendari per l’industria discografica.
Dylan ha criticato l’industria musicale definendola “
Spattazuta ipocrita”.
Il cantante scritto re dice che preferisce le industrie librarie ed
artistiche , che lui descrive come “ più degne”.
Parlando al “The Times” Duylan dice “ Il mondo della musica è un mucchio di
spazzatura ipocrita.
So che le industrie librarie sono molto più “sensate”. E il mondo dell’Arte
? Sono entrato a piccoli passi , si , devo dire che sono molto più onesti ,
mantengono sempre quanto promesso senza sconfessarsi.
Di base sono ciò che dicono di essere. Loro non pretendono , ed essendo
stato nel mondo della musica per la maggior parte della mia vita posso dirvi
che questo non è il modo , lasciatemi dire che sono senza dignità.
"Basically, they are who they say they are. They don't pretend. And having
been in the music world most of my life I can tell you it's not that way.
Let's just say it's less dignified."
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SCRIVEVANO.....
Bob Dylan, Blowin´ in the Pulitzer
di Giancarlo Susanna
La notizia farà discutere soprattutto in ambito accademico: a Bob Dylan (67
anni il prossimo 24 maggio) è stato assegnato un prestigioso Pulitzer alla
carriera, «per il profondo impatto avuto sulla musica popolare e sulla
cultura americana attraverso composizioni liriche dallo straordinario potere
poetico». Sembra proprio che gli estensori della motivazione abbiano tenuto
conto della leggendaria idiosincrasia di Dylan ad essere definito «poeta» e
se si pensa che il grande cantautore americano è il primo musicista rock a
ricevere questo riconoscimento, si comprende ancora meglio la sua
eccezionale portata.
Come hanno spiegato gli stessi orgaizzatori, in questa maniera il Pulitzer
intende «esplorare l´intera gamma dell´eccellenza musicale americana». Altri
premi Pulitzer per le arti sono andati al dramma August: Osage County di
Tracy Letts, per il miglior testo teatrale e a The Brief Wondrous Life of
Oscar Wao di Junoz Diaz per il miglior romanzo. Daniel Walker, con il libro
What Hath God Wrought: The Transformation of America 1815-1848, ha vinto il
Pulitzer per la saggistica storica. Per quanto riguarda il giornalismo, il
Washington Post ha conquistato sei Premi Pulitzer, mentre due sono andati al
New York Times e uno al Chicago Tribune.
Prima di Bob Dylan, sono stati insigniti di questo premio speciale (non
viene attribuito ogni anno) i musicisti jazz John Coltrane (2007) e
Thelonious Monk (2006) e il compositore George Gershwin. Un Pulitzer alla
carriera per le arti è stato assegnato anche allo scrittore Ray Bradbury,
autore tra le numerose opere di Cronache marziane e Fahrenheit 451. Secondo
l´editore Simon Schuster, che ha pubblicato con grande successo il primo
volume della sua autobiografia (in Italia uscita per i tipi di Feltrinelli),
Bob Dylan è al lavoro per terminare il secondo. A differenza di Tarantula,
arrivato sul mercato letterario nel 1970 dopo una lunga e tormentata
gestazione (la prima edizione italiana è del 1973), l´autobiografia propone
una scrittura più limpida e chiara, anche se altrettanto brillante e
geniale. Muovendosi sul filo della memoria, Dylan non sta seguendo un
percorso cronologico, ma si sposta da un periodo all´altro della sua lunga
vicenda artistica senza svelare, tra l´altro, gli aspetti più privati della
sua vita.
Nonostante abbia dimostrato di essere un eccellente scrittore, Bob Dylan
resta legato soprattutto alla difficile arte dello scrivere canzoni, un´arte
che ha imparato da testardo e onnivoro autodidatta e che ha poi
profondamente modificato, portando una scrittura evocativa e poetica a un
livello di popolarità mai prima raggiunto nell´ambito della lingua inglese.
Nel suo stile sfaccettato e poliedrico confluiscono e convivono mille
influenze diverse: dalla tradizione del folk e del blues, che Dylan conosce
a menadito, alla Bibbia e a Shakespeare, da Arthur Rimbaud e T.S. Eliot a
Brecht e Ginsberg, da Kerouac a Corso. Il tutto, non va mai dimenticato,
fortemente legato alla musica. La sua tecnica, la capacità sorprendente di
usare rime e alliterazioni, di collegare in un folgorante corto circuito
mondi e culture apparentemente distanti, sono sempre e comunque espressione
di una musicalità «naturale» e subito riconoscibile.
Alla luce del Pulitzer, non possiamo che ripetere quanto abbiamo detto e
scritto moltissime volte: il mondo della popular music senza Bob Dylan
sarebbe radicalmente diverso. Meno ricco, meno suggestivo, meno ispirato.
Non ci sarebbero forse Leonard Cohen, Lou Reed, Eric Andersen, Patti Smith,
Jackson Browne e mille autori che hanno reso e rendono la nostra esistenza
molto migliore. L´unico rimpianto, visto e considerato che Dylan è arrivato
in Italia per la prima volta nel 1984 (se si eccettua il misterioso viaggio
del 1962/63), è non aver potuto ascoltare le sue canzoni in un teatro o in
un locale del nostro paese nel momento più alto della sua creatività. Per
fortuna abbiamo dischi, libri e dvd. Riascoltandoli, rileggendoli e
rivedendoli, ci rendiamo conto del rispetto e dell´amore che quest´uomo
scontroso e geniale merita e pretende. Non dimentichiamolo, la prossima
volta che andremo a un suo concerto.
(fonte : unita.it )
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Bob Dylan - Nashville Skyline di
Alessio Brunialti clicca qui
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Michael Bolton canta il rhythm & blues
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Recovery - Loudon Wainwright
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Giovedi 2 Ottobre 2008
Profilo di Bob Dylan
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5 video di Bob
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qui
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'"SOMETHING ELSE" - Robin Thicke
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The Beatles : ovvero la musica
Ovvero, la musica. Ovvero, l’inizio di un’era destinata a
lasciare un segno indelebile nella storia: sette anni di incisioni
fondamentali, tutti i generi musicali sperimentati con enorme successo, un
genio che a distanza di decenni continua a lasciare stupiti. Questo sono i
Beatles, questa la loro storia.
Liverpool e dintorni, anno 1957. John Lennon (9/10/1940) suona con il suo
gruppo – i Quarrymen – a una festa di beneficenza di paese. Più giovane di
due anni, l’allora chitarrista Paul McCartney (18/6/1942) lo osserva stupito
("quel ragazzo – dirà più tardi – non si ricordava le parole e le
improvvisava tutte, in un modo completamente assurdo"). Un amico comune li
presenta, non scocca ancora alcuna scintilla, ma Paul viene accolto nella
band. Di lì a poco anche George Harrison (25/2/1943), amico di Paul, entra
nella formazione come chitarra solista. Quando nel 1960 il gruppo si
arricchisce di due nuovi membri, il bassista Stuart Sutcliffe (1940-1962) e
il batterista Pete Best (1941), la band ha già cambiato nome: da Quarrymen a
Johnny And The Moondogs fino a Silver Beatles (costruito su un gioco di
parole: ‘beetles’ significa ‘scarafaggi’, e ‘beat’ rimanda all’omonimo
movimento musical-letterario). Di lì a poco l'aggettivo Silver verrà
eliminato e il nome del gruppo sarà pronto per la leggenda.
Dopo alcune esibizioni nella nativa Liverpool, i cinque si trasferiscono ad
Amburgo e si esibiscono in una serie di locali del quartiere a luci rosse:
riescono a non farsi troppo distrarre dalle grazie femminili, migliorano la
qualità delle esibizioni live e guadagnano qualche soldo. Dopo aver inciso
un singolo come gruppo-spalla di Tony Sheridan ("My Bonnie/The Saints",
1961) i Beatles rientrano a Liverpool, cominciano a suonare al mitico Cavern
Club e incontrano Brian Epstein (un negoziante di dischi che diventa loro
manager e organizza un provino per Decca Records). E qui casca l'asino,
perché produttori e funzionari che più tardi si sarebbero mangiati le dita
giudicano vecchio il loro suond e non vendibile il loro look. Stesso
lungimirante risultato presso altre etichette, fino a quando nel 1962 i
Beatles approdano alla Parlophone, accolti da quello che diventerà il
'quinto' Beatles: il giovane e geniale produttore George Martin.
Nel frattempo la formazione della band conosce un vero e proprio terremoto:
la morte del povero Stuart Sutcliffe sposta Paul al basso, mentre Pete Best
viene giudicato da Martin non all’altezza del suo ruolo e lascia il posto a
Ringo Starr (ovvero Richard Starkey, 7/8/1940): l'ex-batterista di Rory
Storm And The Hurricanes si perde solo l'incisione del primo singolo dei
Beatles ("Love Me Do", registrato con un session-man), ma consegna a Pete
Best il premio per il musicista più sfortunato di sempre. Di qui in avanti,
infatti, i Beatles riscuotono un successo che nessun altro ha mai eguagliato
nella storia della musica.
E questo nonostante la primissima realizzazione susciti scarsa attenzione,
perché poco tempo dopo il brano "Please Please Me" e l’album omonimo portano
i Beatles in testa alle classifiche inglesi: è il 1963 e non c'è giovane che
non venga conquistato dalla musica e dal look della band. Si vestono come
loro, cantano le loro canzoni, sognano loro e soltanto loro, giorno e notte:
è nata la 'beatlemania’.
Il talento di Lennon e McCartney sembra un fiume in piena e la loro
collaborazione frutta una serie di album e di canzoni memorabili: "She Loves
You", "I Wanna Hold Your Hand", "From Me To You" conquistano il pubblico
inglese, e poco per volta anche gli Usa si accorgono che qualcosa di
memorabile sta accadendo oltreoceano. Il 1964 è infatti l’anno dello sbarco
dei Beatles (e della beatlemania) in America: l’apparizione all’Ed Sullivan
Show provoca una sorta di effetto-domino che rapidissimamente rende i
quattro ragazzi di Liverpool famosi in tutto il paese, e di qui in tutto il
mondo (inizieranno presto tournèe in Europa, Asia e Australia). Nella
primavera dello stesso anno, fatto unico nella storia, ai primi 5 posti
delle classifiche di Billboard ci sono 5 brani del gruppo, mentre altri
sette sono sparsi in varie posizioni. Milioni di copie vendute, attenzione
frenetica di stampa e tv, tutti i ragazzi del mondo che cercano di imitare i
quattro artisti (e tutte le ragazze innamorate di loro!). Che desiderare di
più? Interpretati anche due film piuttosto divertenti ("A Hard Day's Night",
in italiano "Tutti per uno" e "Help!", "Aiuto!"), i Beatles sfornano
successi apparentemente senza alcuna fatica. Tanto che tra il 1964 e il 1965
realizzano ben 4 album ("A Hard Day's Night", "Beatles For Sale", "Help!" e
"Rubber Soul"), venendo premiati per meriti economici dalla stessa regina
Elisabetta con il titolo di baronetti.
L'ERA DEI GRANDI CAMBIAMENTI
In tutta questa baraonda qualcosa comincia a muoversi verso nuovi panorami.
Il sintomo più evidente è che vengono interrotte le esibizioni pubbliche,
anche se in realtà nastri e filmati dell’epoca raccontano che poco spazio
esse concedevano alla musica: il popolo dei fan, colto da isteria e crisi di
pianto, non sembrava minimamente interessato ad ascoltare le canzoni e non
era raro che i concerti fossero molto più una lotta con il servizio d'ordine
che altro.
A parte le esibizioni live, dunque, il grosso cambiamento è sul piano
personale e musicale. Nel primo caso Lennon, Harrison e McCartney cominciano
ad avvicinarsi alla spiritualità orientale, non disdegnando peraltro flirt
con la psichedelia e le droghe. Dal punto di vista musicale le composizioni
del gruppo diventano più complesse, emergono nuove influenze (dal soul alla
musica indiana), ma soprattutto si fa strada una forte vena sperimentale.
"Revolver" (1967, votato recentemente l’album più bello del secolo) contiene
brani più articolati, con testi surrealistici e suoni più duri, mentre
contemporaneamente vengono inseriti arrangiamenti d’archi nelle canzoni
melodiche. Tra i singoli usciti lo stesso anno abbiamo forse la canzone più
famosa di tutti i tempi, "Yesterday", a cui seguono "Paperback Writer",
"Nowhere Man", "Eleanor Rigby" e "Penny Lane" (il cui lato B,
incredibilmente, è costituito dalla celeberrima "Strawberry Fields
Forever").
Nuovo anno, nuovo capolavoro: "Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band" (1967)
è una collezione di canzoni che inventa di fatto lo stile brit-pop,
portandolo alle sue vette più alte. L’arrangiamento di George Martin ormai
si fonde completamente con le composizioni di Lennon e McCartney
diventandone parte integrante. Impossibile, insomma, pensare "Lucy In the
Sky With Diamonds", "A Day In The Life" o "All You Need Is Love" (singolo
uscito successivamente all’album) senza l’apporto del grande George in sede
di produzione. Ma la novità è che Harrison sta cominciando a scrivere alcuni
tra i brani più belli dell’ultimo periodo del gruppo.
Nel frattempo però cominciano a sorgere forti tensioni interne, tra Paul e
John in particolare; la morte di Brian Epstein c'entra non poco, perché il
loro manager storico ha certamente giocato un forte ruolo coesivo. Ma, come
vuole la leggenda, grande importanza assume il divorzio di John Lennon, che
lascia la moglie per amore di un’artista giapponese chiamata Yoko Ono, e
inizia con lei a intraprendere una serie di iniziative alternative,
dall’impegno pacifista a un’attività parallela come musicista sperimentale.
Nonostante tutto ciò, la successiva realizzazione dei Beatles lascia di
nuovo tutti a bocca aperta: nel 1968 esce il cosiddetto "White Album", un
doppio LP di qualità eccezionale. Abbandonato il pop, i quattro ragazzi
(ebbene sì, perché nonostante la maturità artistica, l’età media della
formazione è di ventisei anni) sfornano qualcosa che non è paragonabile a
nulla di precedente. Rock, sperimentazione e melodia si mescolano in maniera
inusitata, frammentaria, a volte disarmonica, ma assolutamente unica. Il
risultato nasce in parte proprio dalle difficoltà comunicative tra i membri
della band, che spesso si trovano a incidere senza gli altri componenti,
sbizzarrendosi così a proprio piacimento. Paul scopre tanto una vena
acustica (restiamo ancora senza parole di fronte alla bellezza di
"Blackbird", "I Will" e "Mother Nature’s Son") quanto un'eccellente
ispirazione hard-rock ante litteram (non per nulla "Helter Skelter" è stata
ripresa sia dai Motley Crue sia dagli U2, senza scordare però "Back In The
U.S.S.R." e "Birthday").
John si dà a un rock sperimentale con atmosfere molto oscure ("Revolution
9", "Dear Prudence", ripresa non per nulla da Siouxsie and the Banshees,
"Happiness Is A Warm Gun", e la stupenda "Julia", dedicata alla madre morta
quando John era un bambino). George, in compenso, abbandonato per un momento
il sitar, realizza forse il brano più bello dell’album e tra i migliori dei
Beatles in assoluto, "While My Guitar Gently Weeps", il cui struggente
assolo viene suonato dall’amico Eric Clapton. Di poco precedente all’uscita
dell’album, il singolo "Hey Jude", uno dei più famosi pezzi del gruppo,
riconferma che anche la vena per la forma più classica della canzone
pop-rock non è affatto venuta meno.
VERSO L'IMMORTALITÀ
Dopo l’uscita di "Yellow Submarine" (1968), episodio minore in una storia
fuori dal comune, nel 1969, ormai in clima di smobilitazione, vengono
realizzati un album in studio ("Abbey Road") e un live composto unicamente
da pezzi nuovi ("Let It Be", 1970). La registrazione di quest’ultimo è
testimoniata da un film nel quale i 4 si esibiscono sul tetto della casa
discografica, dando il via per l’ennesima volta a una moda. Ma, come si
dice, siamo alla frutta: nonostante i brani ancora una volta splendidi ("Let
It Be", "Get Back", "Across The Universe", "Here Comes The Sun",
"Something") la formazione non prova più alcun desiderio di proseguire
insieme, e il 10 aprile del 1970 Paul McCartney si assume l’ingrato compito
di annunciarlo a tutto il mondo.
Che cosa rimane da dire? Molto e insieme molto poco. Nel corso degli anni
Settanta diverse voci annunciano l’imminente reunion del gruppo, fino alla
fatidica data dell’8 dicembre 1980, giorno in cui un folle uccide John
Lennon. Paradossalmente, l’evento tanto atteso ha luogo proprio quando la
sua impossibilità è ormai un dato di fatto: dopo un inaspettato rientro ai
vertici delle classifiche inglesi con la ristampa in digitale di "Sgt.
Pepper’s" nel 1987, e dopo la fortunata pubblicazione della "Beatles’
Anthology" nei primi anni novanta, Yoko Ono annuncia di avere custodito
registrazioni inedite di Lennon. E, soprattutto, di essere disposta a
consegnarle ai tre beatle rimasti. Nel 1995 "Real Love", ma soprattutto
"Free As A Bird" con opportune inserzioni vocali di McCartney, ricreano per
un istante il miracolo. Nonostante la resa non perfetta (soprattutto per
quanto riguarda la voce di Lennon, originariamente incisa in maniera
piuttosto artigianale), il risultato è in grado di evocare l’eco della
passata grandezza.
Per la gioia di tutti i fan, però, non è ancora finita. Nel 2000, infatti, i
4 ragazzi di Liverpool sono di nuovo in testa alle classifiche di tutto il
mondo. "1", la raccolta di tutti i singoli giunti al primo posto delle
hitlist inglesi e americane nel periodo della loro sfolgorante
collaborazione, riporta magicamente il tempo indietro ai mitici anni
sessanta. Cosa questa che si ripete 3 anni dopo, quando "Let It Be... Naked"
ripropone l'ultimo lavoro della band senza gli arrangiamenti postumi del
produttore Phil Spector, che soprattutto McCartney non aveva mai gradito. Ma
nel frattempo un altro beatle se n'è andato: George Harrison muore di cancro
il 29 novembre 2001. Ed entra definitivamente nella leggenda.
( fonte : mtv.it)
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Wilco, un brano gratis a chi va a votare alle
presidenziali
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Zimmers in tour , il cantante ha 91 anni e due membri
102
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Video : The Zimmers - My generation ( The Who )
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qui Video : The Zimmers - I don't want to
take a shower
clicca
qui Speriamo che anche
Bob sia ancora in giro per il mondo col neverendingtour a questa età !!! |
a |
Mercoledi 1 Ottobre 2008
Tell Tale Signs : i primi testi
clicca qui
Questi sono i primi testi del nuovo
album di Dylan , se qualcuno vuole fare la traduzione la invii a
spettral@gmail.it
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SCRIVEVANO.....
È Dylan bellezza e non ci puoi far niente
di Toni Jop
Visto. Dal vivo e a distanza ravvicinata, sembrerà una sciocchezza ma può
dare qualche soddisfazione aver potuto controllare le rughe dell´unico
essere della terra che da decenni è sostenuto dal consenso unanime di una
umanità mediamente rissosa. Come, finalmente, indagare a quattr´occhi il
sorriso della Gioconda senza star lì a tirare il collo alle spalle di un
mucchio di gente. Tutto questo, grazie a una discretamente violenta
contraddizione verificata ieri sera alla Cavea dell´Auditorium romano. Il
rock è, oltre alla musica che si produce dal vivo su un palco, anche il suo
pubblico. La dimensione planetaria di Dylan evoca di suo un pubblico
sterminato. E sterminata è stata fin qui la platea dalla quale l´artista si
è lasciato intravvedere, poco e male. Ora, eccolo a un tiro di fionda mentre
la platea viene drasticamente ridotta, tagliata, selezionata, addirittura
abbigliata per l´occasione. Pochi fortunati - e che «mise», fratelli! -
dentro e molti frustrati fuori. Così, per fortunata ingiustizia, abbiamo
incrociato Bob Dylan alla stessa domestica distanza dalla quale abbiamo
«dialogato», cantando in coro l´anno scorso, con una strepitosa Joan Baez,
vecchia amica di Bob. La sua voce, al pari delle rughe, è divenuta un
«tratto», un segno rapido ed essenziale molto lontano dalla pienezza di un
disegno armonico accettabile nel dominio del decorativismo. Si può affermare
che Dylan non è mai stato decorativo in senso pieno; ma il continuo lavoro
«in levare» che Dylan ha condotto sul senso della voce all´interno del
percorso musicale, stacca e molto rispetto alle incisioni degli anni
Sessanta e Settanta. Ascoltandolo con l´attenzione concessa ieri dal
raccoglimento della Cavea, per esempio mentre eseguiva Mr. Tambourine Man,
(un brano «trappola» per il pubblico, perché non è mai quel che si aspetta,
delude e Dylan lo sa) non si può evitare di pensare che questo colossale
artista stia consapevolmente percorrendo una strada all´incontrario. Per via
di questa rarefazione, di questa progressiva perdita di fasce armoniche,
Dylan sta entrando nel mondo delle origini del folk-blues nordamericano,
nella sua culla discografica, nella nursery morale lontana da qualunque
vanità, dei suoi padri spirituali, a cominciare da Woody Guthrie dalle mani
morenti del quale raccolse molti anni fa il testimone. Ma se la cultura del
«noise», del rumore sporco in una registrazione appartiene al «beauty case»
di una cosmesi tecnologica discretamente «alla moda», quel «ragliare»
cacofonico sembra piuttosto la parte emersa di una ascesi artistica e morale
iniziata molto tempo fa. Quella «sgradevolezza» che tanta sofferenza provoca
in quanti - e noi per primi - vorrebbero dal palco la fotocopia di racconti
musicali che avremo per sempre nel cuore, è verosimilmente il punto avanzato
di una poetica che non ha mai cercato «il bello» e che anzi da questo
ancoraggio diffusissimo ha preso costanti distanze. Così come hanno fatto
più in generale l´arte concettuale, il fluxus, l´arte povera, il post
dadaismo. Sconsigliamo di pesare Dylan fuori dal rapporto con queste
correnti di pensiero e di azione: il grande Bob è sempre stato vicino a ciò
che si muoveva in campo artistico e non ha mai perso di vista le avanguardie
più spigolose e, diciamolo, impopolari. Questo fa il paio con il suo
«standing» sul palco, tradizionalmente distante dal pubblico, e da questo in
apparenza molto poco influenzato. Ma oramai il pubblico, anche ieri sera
compostamente riformista, lo ha accettato così com´è e quando non lo ama ne
prende timidamente le distanze impaurito dal suo stesso sentire: «Certo -
considerava qualcuno all´uscita - sta invecchiando...». Ma questo piccolo
ebreo di Duluth, meravigliosamente annoiato, sa anche questo e tira avanti
lungo le strade di un tour infinito che a lui serve molto. Per evitare la
malinconia? Lo abbiamo chiesto a Furio Colombo, che conosce Dylan da quando
era un nessuno di genio che frequentava i club di New York. Forse Bob fa i
conti con un fondo di depressione... «Forse - ha risposto Colombo - e chi non
li fa?». Una pastiglia di rock e tutto passa: bastano una tremenda,
percussiva versione di Like a Rolling Stone o una hendrixiana traduzione di
All Along The Watchtower per far sfumare quel sottofondo di microrancori
accumulati dal pubblico mentre, durante il concerto, fatica e suda cercando
di riconoscere le tracce più note di Dylan, quelle di cui ha bisogno per
provare commozione. La spunta per un pelo con Just Like a Woman, una delle
ballate meno violentate del suo attuale repertorio. E «Nobody feels any
pain...», riassume in coro l´ansia liberata di questa corale attesa di ciò
che si sa, a memoria se occorre. E Dylan? Il corpo di Dylan? Non c´è o
quasi, è una trascurabile implosione di forme e di essenze vitali che si
muovono poco: il palco, come lo studio di registrazione, come il salotto di
casa sua, è tutto uguale, come se non esistesse o non dovesse esistere una
scena, un luogo in cui l´esposizione ha più forza di qualunque gioco
sociale. Lui sta lì, con quegli occhi pieni di altrove, a fare le sue cose.
Come un artigiano che pensa già al prossimo lavoro. Dio ce lo conservi.
(fonte : unita.it )
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"SEEGER AT 89"
Un’icona Americana , Pete Seeger , ha rappresentato gli
ideali della Folk music negli ultimi 70 anni. Come amico del leggendario
Woody Guthrie e menbro dei Weavers , Seeger ha scritto e cantato quelle
traditionals song che oggi sono considerate dei classici. Il suo ultimo CD è
intitolato semplicemente “ SEEGER AT 89 “. Dalla sua barca ancorata alla
banchina sull’Hudson river a New York , Seeger parla al telefono della sua
carriera.
Russel Hall : Hai in mente un particolare tipo di pubblico per questo nuovo
album ?
Pete Seeger : No. Lascio questo tipo di considerazioni alle altre persone.
Ho ascoltato una sola volta il mio album per essere sicuro che era venuto
come lo avevo progettato . Non ho più ascoltato il disco , se ho una
mezz’ora libera , leggo riviste o qualche libro. Non ascolto musica nemmeno
quando guido , se lo facessi , avrei un incidente .
RH : Hai sempre enfatizzato le esibizioni dal vivo . Tornando agli anni 50’
e 60’ hai girato per i college , i campus , che a quel momento era una cosa
inusuale da fare.
PS : Passavo inosservato . Puoi immaginare della gente in smoking , cantare
canzoni folk inglesi ,
ma cantare il blues e le canzoni dei sindacati , tutte queste cose informali
, era qualcosa di nuovo.
Comparivo in abbigliamento informale e convincevo gli allievi a cantare con
me.
Non scorderò mai , alla McGill University di Montreal , cantando per 200
studenti che erano lettteralmnete schiacciati in una stanza di pochi metri
quadrati , tutti erano fermi e cantavano al meglio con me.
RH : La tue canzoni più conosciute sono “ If i had a hammer”
, “ Turn Turn Turn “ e “ Where have all the flawers gone?”. In ogni caso ,
quando le hai scritte , sapevi di avere qualcosa di speciale fra le mani ?
PS : No. In effetti , ho smesso di cantare “ Where heve all the flowers
gone” dopo pochi anni , la consideravo un fallimento , ma allora , intorno
al 1962 , il mio manager mi disse “ Pete , non hai scritto una canzone
chiamata “Where have all the flowers gone ?”. Gli risposi “ Si , credo nel
1955”. Mi chiese se l’avevo registrata ed io gli risposi che non l’avevo
fatto. “ Bravo , complimenti , l’ha registrata il Kingstone Trio”. Bene , ho
chiamato Dave Guard , il cantante del Kingstone Trio , che era un mio
vecchio amico. Dave mi disse “ Pete . non sapevo fosse una tua canzone.
Toglieremo il nostro nome” Fu molto carino da parte sua , perchè
tecnicamente non avrebbe dovuto farlo, ma loro tolsero il loro nome ed il
mio manager fece mettere il mio. Ancora oggi , con i proventi di quella
canzone pago le mie tasse”.
RH : Più tardo anche Marlene Dietrich ne fece una cover ?
PS : Esatto . Marlene fece questa canzone nel suo one-woman show. Lei ha
fatto il giro del mondo durante gli ultimi dieci anni della sua vita. Quabdo
era nei paesi di lingua inglese , cantava le mie parole , ma se era in altri
paesi cantava la versione con la traduzione tedesca. Francamente , la
versione tedesca suonava meglio di quella inglese.
RH : Per tutta la vita sei stato l’avvocato delle cause sociali , penso che
le canzoni abbiano un potere speciale di attirare l’attenzione su questi
problemi ?.
PS : Diro questo : se la mostra è una razza umana qui , da qui a mille anni
, la musica è una delle diverse cose che ci possono salvare. Altre arti
possono aiutare , come la danza , o il cucinare , o dipingere , la scultura
, gli sports possono aiutare nello stesso modo. Sto leggendo un libro che
discute come NelsonMmandela ha usato l’amore per il rugby per compattare il
Sud-Africa. Tuti i sudafricani si sono messi assieme per sostenere la loro
squadra. La comunicazione è buona , abbiamo solo bisogno di incoraggiarla
tradizione del parlare . Questa è la ragione per la quale la razza umana è
riuscita a sopravvivere tanto a lungo.
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Quando le cover di Dylan fanno ca..re !
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Van "The Man" Morrison In Pay
The Devil, nel 2006, ha cantato. “Era la mia vita/è diventata la mia
storia”. Per essere un genio lunatico, campione del malumore, Van Morrison è
diventato molto prevedibile, da quando sembra aver trovato nell’amore per la
musica la soluzione ai suoi dilemmi sull’Illuminazione. Con lo stesso metodo
di Elvis Costello, alterna album eclettici e affidabili, come l’ultimo Keep
It Simple, a lavori “a tema”(in vent’anni ha spaziato dall’album di folk
irlandese a quello country, passando pure per un live col Signore dello
skiffle Lonnie Donegan).
Il talento di Morrison è tanto grande che pure guidando col pilota
automatico riesce a portare l’ascoltatore in posti impensabili, ad esempio
in un disco semplice, senza palesi stupori, come Magic Time, che alla lunga
rivela incredibili tocchi da maestro. Proprio il fatto di dimostrare così
spesso, e apparentemente con così poco sforzo, di sapere essere ancora Van
“The man”, aumenta i rimpianti per i troppi brani da crociera di lusso, per
le troppe canzoni rancorose ma fiacche su amici infidi e giornalisti che non
capiscono niente. Qualche consiglio per muoversi nella sua discografia
recente? Assieme a Magic Time recuperate Back On Top, il sottovalutato The
Healing Game e magari spingetevi fino al live A Night In San Francisco, con
un medley tra Gloria e Shakin’ All Over– in compagnia di John Lee Hooker –
degno dei tempi inarrivabili di It’s Too Late To Stop Now.
(fonte : sentireascoltare.com )
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Ligabue in concerto all’Arena Rock con fiati e violini
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Sunshine Superman: The Journey Of Donovan
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Martedi 30 Settembre 2008
Il nuovo cd di Bob Dylan da oggi online
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Modern Times - di Alessio Brunialti
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VINTAGE STORIES....
Bob, lo zotico
Joan Baez: Bob, lo zotico che amai Primo incontro fra
Dylan e la cantante già famosa.
«Era tenero, ma sporco oltre ogni immaginazione» «Aveva una passione per mia
sorella Mimi»
Anticipiamo alcuni brani tratti da Down the Highway di Howard Sounes che
uscirà da Guanda alla fine di agosto con il titolo Bob Dylan - Una
biografia. Joan Baez aveva solo sei mesi più di Bob, ma era già una star in
America: i suoi concerti facevano il tutto esaurito. Nonostante apparisse
sul palco a piedi nudi come una contadina e cantasse canzoni folk con voce
verginale, la Baez era altezzosa, egocentrica e intelligente e nessuno aveva
saputo tenerle testa. Il suo primo incontro con Bob avvenne al Gerde' s Folk
City, una sera in cui lui suonava con Mark Spoelstra. Casualmente, Mark era
stato con la Baez per un breve periodo di tempo nel 1956, in California,
quando erano ragazzi: «Joanie, gli uomini se li prendeva e così aveva fatto
con me quando avevo sedici anni. Si prendeva tutti quelli che voleva, li
controllava. Sua madre una volta mi ha detto: "Non so, ma Joanie gli uomini
li mastica e poi li sputa"». Nella sua autobiografia E una voce per cantare,
la Baez descrive la prima impressione - pessima - che ebbe di Bob, l' uomo
di cui si sarebbe innamorata e al quale il suo nome sarebbe rimasto legato
per il resto della vita, anche se la loro relazione fu di breve durata.
«Sembrava uno zoticone venuto dalla campagna in città, con quei capelli
corti intorno alle orecchie e ricci sopra. Mentre si dondolava sui piedi,
suonando, sembrava che scomparisse dietro la chitarra. Portava una giacca di
pelle sgualcita e di due taglie più piccola. Aveva ancora le guanciotte da
bambino, ma una bocca incredibile: morbida, sensuale, infantile, nervosa e
reticente. Pronunciava con grinta le parole delle sue canzoni... Era
assurdo, era una cosa mai vista ed era sudicio al di là dell' immaginabile».
Nonostante fosse sporco, la Baez decise che lo voleva conoscere meglio e
perciò fu un po' più che irritata quando, al loro secondo incontro, di lì a
non molto, Bob mostrò più interesse per sua sorella Mimi, che aveva quindici
anni. Il padre di Joan e Mimi, Albert, era di origine messicana e le ragazze
avevano entrambe la carnagione scura e lunghi capelli neri. Mimi era più
slanciata della sorella e, probabilmente, un po' più carina. La sera in cui
conobbe Bob portava un semplice abito bianco che le stava particolarmente
bene. «Trovai Bob affascinante. Non doveva essere lui il centro dell'
attenzione quella sera, ma in effetti lo era, perché già allora era una
personalità carismatica» racconta Mimi. Bob corteggiò Mimi, anche se stava
con Suze, e la invitò a una festa, ma Joan ricordò alla sorellina che si
doveva alzare presto la mattina dopo ed era meglio tornare a casa. La grande
storia d' amore tra Bob e Joan Baez era ancora di là da venire. E questo
valeva anche per la carriera discografica di Bob, che trovò diverse porte
chiuse prima di ottenere un contratto. Izzy Young del Folklore Center portò
Bob alla Folkways Records, ma il proprietario Moses «Moe» Asch non si mostrò
molto interessato a lui. «Lo hanno cacciato via» ricorda Young. «Bob non era
vestito in modo adeguato, dissero, o qualcosa del genere». Lui allora andò
all' Elektra, dove non fece una bella impressione al presidente della
società Jack Holzman, poi parlò con Manny Solomon della Vanguard Records, la
casa discografica della Baez. Solomon sembrava interessato, ma non firmarono
nessun accordo. Bob e Mark Spoelstra fecero una registrazione di prova, come
duo, per un' altra casa discografica: Spoelstra cantava canzoni come Sister
Kate e Dryland Blues e Bob lo accompagnava all' armonica, ma era
demoralizzato quando uscirono dallo studio. «Ho fatto schifo» disse. «Che
roba brutta». «Cosa? Sei stato grande!». «No, non ho suonato per niente
bene. Non avevo il giusto feeling». E probabilmente aveva ragione, visto che
quella session non portò a niente. Nell' ottobre del 1961, però, i contatti
che Bob si era creato e aveva coltivato durante i primi dieci mesi a New
York cominciarono a funzionare e John Hammond, un responsabile della
Columbia Records, la più grossa casa discografica degli Stati Uniti, firmò
un contratto con Bob. All' epoca, Hammond era forse il discografico più
famoso di New York. Nato in una famiglia dell' alta società - suo padre era
un banchiere e sua madre una Vanderbilt - aveva frequentato Yale e studiato
musica alla Julliard. Aveva scritto per le rubriche musicali dei giornali,
era stato impresario teatrale ed era diventato famoso per aver scoperto
Billie Holiday e aver lanciato Benny Goodman. Adesso era un distinto
gentiluomo sui cinquant' anni, alto e sempre in giacca e cravatta. Stava
mettendo sotto contratto con la Columbia artisti del folk revival, ma voleva
solo i migliori e perciò si aggirava per il Greenwich Village, ascoltando i
musicisti e consultando le persone di cui aveva stima, come Paddy Clancy.
Nella sua stessa famiglia aveva, con suo rammarico, un altro consigliere: il
figlio diciottenne John Hammond jr, che aveva intrapreso la carriera di
musicista blues. «Non riusciva a digerire il fatto che volessi fare il
cantante blues o il musicista, forse perché sapeva che era un mondo pieno di
insidie e che si faceva una vita dura» racconta John. Il rapporto tra padre
e figlio era difficile, ma quando ne aveva l' occasione, il ragazzo parlava
al padre dei musicisti di talento che conosceva al Village e tra questi c'
era anche Bob Dylan.
Sounes Howard
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Marc Bolan
30-09-1947 16-09-1977
Birthday Tribute
Mark Feld (in origine Toby Tyler, poi Mark Bowland e infine Marc Bolan)
avrebbe avuto 61anni oggi. Comunemente si pensa che prese la “Bo” e “lan”
dal nome di Bob Dylan per comporre il suo cognome.
Nato a Hackney, Londra, Marc per tre anni (1971-1973) insieme con i sui T.
Rex, era il campione delle classifiche inglesi. Il re del Glam Rock, Marc fu
stregato dal rock an’ roll la prima volta che sentì Elvis e Eddie Cochran
alla radio, ma dal ‘63-64 Bob Dylan e i Beatles furono la sua passione più
grande.
Blowin’ in the Wind fu la sua prima registrazione nel gennaio 1965, quando
Marc aveva solo 18 anni e l’unica volta in cui suonò l’armonica.
http://it.youtube.com/watch?v=oE2UaOgEOek
Marc fu, per tutta la sua breve vita, un grandissimo fan di Dylan e non
perdeva una occasione per mostrarla nelle sue interviste e nelle sue
canzoni:
“ Bob Dylan Know’s and I bet Alan Freed did,
There are things in life that are better not to behold”
Ballrooms of Mars
Poi nel suo 45giri Telegram Sam, l’enorme successo de1 1972 con un milione
di copie, il Bobby in questione, lascava pochi dubbi:
“Bobby’s alright
Bobby’s alright
He’s a natural born poet
He’s just out of sight”
Bobby sta bene
Bobby sta bene
E un poeta nato
Lui è soltanto fuori dalla vita pubblica.
http://it.youtube.com/watch?v=0zoTuh9TMds
Nel link, sentirete le suddette rime al minuto 1,22” e addirittura ripetute,
per sottolineare il suo affetto per Dylan, al minuto 2,02”.
Molti critici pensavano che l’album di Dylan Self Poltrait che usciva nel
luglio 1970 era una specie di scherzo di pessimo gusto, ma mentre tutti
cercavano di capire che cosa era successo e dove era finito il grande poeta,
Marc era uno dei pochi musicisti a difendere Bob. Una lettera scritta da
Marc, pubblicata l’11 luglio 1970 dal Melody Maker, un giornale inglese
molto popolare e importante nella mondo della musica, Marc protestava sulle
critiche fatte a Self Poltrait.
<<I’ve just listened to Dylan’s new album, and in particular “Belle Isle”,
and I feel deeply moved that such a man is making music in my time. Dylan’s
songs are now mainly love ballads, the writing of which is one of the most
poetic art forms since the dawn of man.
“Belle Isle” brought to my memory all the moments of tenderness I’ve ever
felt for another human being and that, within the superficial landscape of
pop music is a great thing indeed. Please, all the people who write bitterly
of a lost star, remember that with maturity comes change as surely as death
follows life.>>
<<Ho appena ascoltato il nuovo album di Dylan e in particolare “Belle Isle”
e mi sento profondamente commosso per il fatto che un uomo come lui stia
facendo questo tipo di musica nel mio tempo. Le canzoni di Dylan oggi sono
per la maggior parte ballate d’amore, le cui parole sono una delle maggiori
forme poetiche dalla comparsa dell’uomo sulla terra.
“Belle Isle” mi ha fatto ricordare tutti i momenti di tenerezza che ho
sentito per un'altra persona e che, all’interno del mondo superficiale della
musica popolare, è una grande cosa. Chiedo a tutte le persone, che scrivono
con amarezza di una star perduta, di ricordarsi che con la maturità arriva
il cambiamento con la stessa certezza con cui la morte succede alla vita.>>
Dean Spencer News
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Video : John Lennon & Ringo Starr - Only You
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Lunedi 29 Settembre 2008
Talking Bob Dylan Blues - Parte 425
- clicca qui
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Colgo l'occasione a seguito della mail
della carissima Marina ( Talkin' 425 - mail 5453 ) per parlare del libro di Marcus , ecco le diverse
recensioni del libro :
Greil Marcus - Like a
rolling stone
Cavoli a merenda
di Stefano Tettamanti
Non state a credere a chi vi dice che Bob Dylan è scorbutico e arrogante. Ho
un amico che lo vede spesso e mi assicura che al contrario il vecchio Bob è
un cordialone, sempre pronto alla chiacchiera e alla risata, disponibile e
alla mano. Insomma che non se la tira per niente e che non si riesce a
capire come sia nata la leggenda di un Dylan antipatico e figastorta. Io del
mio amico mi fido e sono certo che dica la verità. Del resto se non lo sa
lui che lo vede spesso. Il mio amico aggiunge, per uno scrupolo che gli fa
onore ma che non cambia la sostanza delle cose, che lui Dylan lo vede la
notte, quando dorme. Sì, insomma, lo vede in sogno. Ma lo sogna spesso e lo
sogna sempre gentile. E io gli credo. Anzi, lo invidio anche un po’ il mio
amico, per quell’intimità con Bob cui il mio inconscio non mi ha mai
autorizzato. Ma non dispero, prima o poi vedrai che me lo sogno anch’io.
Anzi, ora che so che non morde magari riesco a togliermi qualche curiosità.
Tipo: Bobby, si può sapere, una buona volta, chi diavolo è quel Napoleon in
rags, il Napoleone negli stracci, dell’ultima strofa di Like a Rolling
Stone? Oppure: che burlone che sei, Robertino, ora però ti siedi qui e mi
spieghi perché mai il Diplomatico in groppa al cavallo cromato con miss
Lonely si ostinava a portare sulla spalla un gatto siamese. O ancora: Ma tu
Come una pietra che rotola di Gianni Pettenati, 1966, traduzione di Mogol,
l’hai mai sentita? E non li hai denunciati perché sei un signore o solo
perché non conosci l’italiano? Ma se proprio non mi verrà dato di sognarlo
(il mio inconscio rispetta la privacy degli artisti) esaudirò le mie
curiosità pescando nel diluvio di omaggi, encomi, santini, articolesse,
agiografie scritte e filmate, memorabilia anche un po’ feticistiche che di
questi tempi inonda il mercato e prosciuga le tasche dei poveri
dylandipendenti come me, il libro più entusiasmante che lo celebri: Like a
Rolling Stone (Donzelli, euro 13,50), biografia che Greil Marcus, sommo
maestro della critica musicale, dedica a una canzone nel quarantennale della
sua incisione, il 15 giugno 1965, studio A della Columbia, New York. Sei
minuti e sei secondi che, per dirla senza tanta enfasi, compirono il
miracolo di rinnovare il sogno americano, scolpirono per l’eternità il sound
di una generazione e la colonna sonora di un mondo che si stava ribaltando.
I sei minuti e sei secondi della più grande canzone di tutti i tempi in un
libro da non perdersi neanche per sogno.
°°°°°°°°°°°°° Like a
rolling stone continua a stupire
Un' Opinione di pavese78 su Like a Rolling Stone - M. Greil
(23 Maggio 2007)
La valutazione di questo autore:
Vantaggi: carino
Svantaggi: nessuno
Lo consiglieresti ai tuoi amici? Sì
Opinione completa
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Il sottotitolo del libro Like a rolling stone, "Bob Dylan, una canzone,
l'America", ne spiega esattamente l'argomento: una monografia sulla canzone
che la rivista Rolling Stone ha giudicato la più bella di tutti i tempi, su
come è nata e sulla storia dei musicisti che l'hanno incisa. Più in generale
il libro intreccia la storia di Dylan, con quella dell'America che ascoltava
le sue canzoni. Quella generazione che secondo quanto afferma Greil Marcus
"ora sta vivendo sulle ceneri degli anni '60, noi tutti siamo sommersi di
anniversari nostalgici, quasi come per far sentire in colpa, ad esempio, non
solo chi non andò a Woodstock, ma persino chi non era neanche nato. Se
leggendo il libro vi sentite in colpa anche voi, vuol dire che ho fallito."
Invece Marcus ha vinto la sua sfida, il libro è una macchina del tempo,
capace di trasportare il lettore in un'altra epoca, riuscendo a farci
ascoltare in sottofondo le canzoni che l'hanno ispirata e quelle presenti
nella Top 40 dell'anno 1965.
Nonostante Like a rolling stone contenga l'esperienza della musica
precedente (il folk, il blues, il delta blues) e preannunci la musica futura
(il rock, il punk), le "istituzioni" del folk e molti fan non hanno
perdonato a Dylan il passaggio dal folk al rock. Ne è riprova il grido
"Judas!" ("Giuda", nel senso di traditore) durante il suo primo concerto
elettronico.
Eppure Dylan ha sempre adorato i suoi fan, gli piace sentire che il pubblico
apprezza la sua esecuzione e questa può essere una delle cause che lo sta
portando a proseguire il Never Ending Tour, ma Marcus ci spiega anche che
"Dylan è uno sperimentatore, sempre alla ricerca dell'esecuzione perfetta,
della canzone che sta dentro alla canzone".
Dylan è un artista vero e completo. Ecco in che termini Marcus parla del
primo volume dell'autobiografia di Dylan (Chronicles in uscita per
Feltrinelli) : "Mi ha impressionato la sua prosa, non ha niente da invidiare
a Mark Twain o a Wilbur Smith. È crudele che una sola persona abbia così
tanto talento in diverse arti."
Like a rolling stone è un singolo che dura 6 minuti, negli anni '60 lo
standard era 3 minuti - durata perfetta per la radio e per i dischi (i 45
giri) - conseguentemente nel primo disco la canzone era divisa a metà fra i
due lati ed in radio venne tagliata a 3 minuti, almeno fin quando qualcuno
non scoprì che dopo la dissolvenza forzata la canzone continuava, a quel
punto le radio vennero assalite da telefonate di ascoltatori desiderosi di
ascoltare cosa avvenisse dopo quei 3 minuti. Insomma il successo della
canzone è anche derivato da una curiosa e fortunosa operazione di marketing.
Secondo Marcus una delle caratteristiche che rende grande questa canzone è
"il suo movimento che si unisce alla storia dell'America, attraversata da
una pietra rotolante, da Boston in giù, composta da pionieri e disperati,
immigrati che hanno una speranza, quella che deriva dal detto Ogni uomo può
diventare il Presidente. Da qui nasce il sogno Americano."
A queste parole aggiungerei che Like a rolling stone cerca di incrinare
questo sogno, porta alla luce alcune incongruenze della società americana,
anche per questo rimane una canzone di protesta. Infatti essa sembra
narrare, in maniera allegorica, la storia di una donna ricca ormai in
completo declino ed alcuni hanno voluto vedere nella donna la
personificazione della società americana di quegli anni, combattuta fra la
guerra in Vietnam e il problema dell'integrazione razziale, la guerra fredda
e l'assassinio dei due Kennedy, di Luther King e Malcom X.
Greil Marcus analizza il testo parola per parola, la musica nota per nota
così scopriamo che la canzone inizia come una favola (C'era una volta) e si
conclude come un dramma (Sei invisibile ora, non hai segreti/da nascondere)
e che "la una canzone non sembra costruita, non c'è un movimento verso un
crescendo, è lì ora, completa, immediatamente percepibile".
Il libro non parla solamente del passato ma anche dei giorni nostri, di
tutti quei musicisti che hanno suonato, utilizzato, citato nuovamente Like a
rolling stone. Fra tutti questi artisti Marcus dedica ampio spazio alla
canzone Come una pietra scagliata degli Articolo 31. La spiegazione di
questa citazione è stata data direttamente da Marcus: "Una parte della
canzone italiana è usato, nel film scritto da Dylan Masked and Anonymus,
come sottofondo della scena nella quale si mostra Los Angeles desolata e
distrutta. Come una pietra scagliata è anche inserita nella colonna sonora
del film, perchè è una canzone che a Dylan piace molto".
Probabilmente Dylan si sente come noi quando ascoltiamo l'originale inglese:
non riusciamo a comprendere completamente il senso del testo, esso ci viene
trasmesso dalla musica, dal ritmo e dalla melodia. Uno dei grandi poteri
della Musica... °°°°°°°°°°°°° Greil Marcus -
Like a Rolling Stone, Bob Dylan at the Crossroads
(Faber & Faber,2005)
Enlightining, revelatory, unmissable. Music book of the Year 2005
Greil Marcus in “Like a Rolling Stone” un’analisi al limite del paranormale
della canzone – secondo lui e molti altri – chiave del repertorio del
cantautore di Doluth, Minnesota, compie il suo più bel viaggio nell’America
che Bob ha cercato di rappresentare e che torna prepotentemente alla ribalta
con le scene di disperazione intorno alla New Orleans del dopo Katrina. In
una approfondita quanto mai concisa analisi del sottovalutato film “Masked &
Anonymous” ( mai visto in Italia, pagine 72 – 77) Marcus svicola tutte le
backroads del chi siamo, del perché siamo qui, del dove veniamo e dove
andiamo, del quando siamo arrivati, rubando dalle labbra del giornalista Tom
Friend ( l’attore Jeff Bridges nel film ) la chiave che apre il mondo di Bob.
You had to be there”, “Dovevi esserci”.
Perchè Dylan continua a girare il mondo per permetterci un giorno di
recitare agli altri proprio questa frase. E in una lunga, agognante, via
crucis di concerti descritti dai suoi recensori come “straordinari” ma –
solo pochi mesi dopo – incomprensibili ai molti ( non a Marcus che nel libro
trova motivazioni in esibizioni del 1963 ), Dylan ci si offre. Martire,
santo, puttana ? Solo un uomo che ha smesso molto molto tempo fa di porsi
domande e darsi risposte. Altrimenti non sarebbe mai riuscito a registrare
un tale capolavoro in soli due take completi. Rivelatorio, imperdibile,
illuminante.
Ernesto de Pascale °°°°°°°°°°°°°°
1981, un ristorante a Maui. I clienti mangiano, bevono, chiacchierano, senza
fare caso alla musica trasmessa dalla radio. Poi parte Like a Rolling
Stone e i clienti smettono di mangiare, bere, chiacchierare, per
cominciare a canticchiare, muovere i piedi, guardare la radio. In questo
piccolo aneddoto è racchiusa la domanda a cui l’autore, uno dei più grandi
critici musicali americani, vuole rispondere con il suo libro: perché
Like a Rolling Stone? Non è la canzone più bella né la più
rivoluzionaria nell’opera di Dylan, ma è l’unica che, anche a distanza di 20
anni, blocca un ristorante. Perché? La domanda, alla fine della lettura,
rimane senza risposta. È il mistero delle canzoni eterne, quelle che, scrive
Marcus, resistono ai musicisti e al cantante. Che vengono scritte una volta
sola, ma quando vengono scritte sembrano inevitabili.
Letizia Bognanni
°°°°°°°°°°°°°°° L'intento del libro è di dimostrare
come una incisione abbia cambiato in modo irreversibile la musica. "Like a
Rolling Stone è più di una canzone, è qualcosa che oppone resistenza a
chiunque cerchi di suonarla, è come se avesse un corpo e un'anima, tante
erano le cose che Dylan cercava di dire, e tale la passione che lo animava."
Era il 15 giugno del 1965, Dylan cominciava la sua sessione di registrazione
negli studi della Columbia di New York. I Beatles avevano cambiato il mondo
in cui lui e la sua generazione vivevano, e Dylan li percepiva come una
sfida, uno stimolo. È bastato un giorno e la prima versione di "Like a
Rolling Stone" è stata quella che il mondo ha conosciuto e che da allora
molti musicisti hanno provato a riarrangiare.
( deastore.com ) °°°°°°°°°°°°°°°°
Greil Marcus
Donzelli ( www.fasen.it )
I crocevia di sui si parla nel titolo originale (Bob Dylan At The
Crossroads) di Like A Rolling Stone, oltre a richiamare un altro personaggio
leggendario della storia del blues e del rock'n'roll, Robert Johnson,
illustrano decisamente meglio le svolte affrontate da Bob Dylan nel 1965. E'
attorno a quell'anno che maturano alcune delle scelte, molti imprevisti e
altrettante decisioni che cambieranno la storia della sua vita, ma anche
quella del rock'n'roll. Like A Rolling Stone, fedele al concetto espresso da
Greil Marcus nella parte centrale del libro ("La canzone è un suono, ma
prima di questo è una storia. Ma non è un'unica storia") diventa allora il
cardine attorno a cui ruota tutto l'immaginario pubblico e giovanile (ma non
solo) di un'intera epoca. La ricostruzione è minuziosa ed estremamente
articolata perchè gli snodi di Like A Rolling Stone, proprio come nella
canzone, sono tanti e importanti. Tra gli antefatti vanno elencati la crisi
dei missili di Cuba nel 1962 (il mondo sull'orlo dell'apocalisse e Bob Dylan
che canta A Hard Rain's A-Gonna Fall), la bellissima epigrafe di Allen
Ginsberg (tratta da Western Ballad) e l'assassinio di JFK. Nelle conclusioni
c'è una dettagliatissima rivisitazione delle sessions che portarono a Like A
Rolling Stone, giorno per giorno, take dopo take. Tra questi due estremi,
tutto un mondo che Greil Marcus più lineare e divulgativo del solito,
racconta con grande lucidità.
°°°°°°°°°°°°°°° Se vuoi comprerare il libro online
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libri di Greil Marcus:
Quella strana vecchia America.
I Basement Tapes di Bob Dylan
Mystery train. Visioni d'America nel rock
Bob Dylan. La repubblica invisibile
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Se vi capita di passeggiare sul bagnasciuga di Malibù
questa è la casa di Bob
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SCRIVEVANO............
Uno, nessuno, centomila Bob Dylan
di Roberto Brunelli
Volete sapere chi è Bob? È quello con la faccia accartocciata che sembra una
scarpa sfondata, quel vecchio arnese all´angolo della strada, quello
arruffato che ulula cose incomprensibili strascicando la voce, una voce che
sembra esser stata presa a calci e poi gettata in fondo ad una caverna,
quello con il tight nero con il colletto brillantinato. È, fondamentalmente,
un musicista di strada. Per oltre quarant´anni ha suonato la chitarra, ora
suona una specie di pianola (e peraltro in modo abbastanza rumoroso). È uno
sradicato, su questo non ci piove. Mica si chiamava Dylan. Si è inventato
questo nome da ragazzo, non gli piaceva chiamarsi Robert Zimmermann. Ebreo,
sì, è un ebreo. Errante, altroché. Più di così: ieri l´altro sera stava a
Roma, in concerto in un luogo a forma di palla chiamato Palalottomatica.
Pensa, c´erano più o meno ottomila persone a sentir quel vecchio che sembra
uscito da un circo malconcio, tantissimi ragazzi, tantissimi. Due sere prima
ha suonato a Bolzano, ieri a Milano, prima a Zurigo, a Praga, in Svezia... è
in tournée da mesi, da anni. Non si ferma mai. Non c´è un posto al mondo in
cui sia a casa sua. Molti credono che sia pazzo (ad un certo punto ha fatto
finta - o, chissà, magari ci ha creduto davvero - di essere un cristiano
fondamentalista, o giù di lì): ora, «il menestrello d´America», quello che
ha ridefinito il concetto stesso di musica popolare, semi barcollando sale
sul palco preceduto da un´improbabile musica trionfale, un po´ alla
Morricone, mentre l´annunciatore annuncia «the Columbia recording artist:
Bob Dylan», ove il nome Bob Dylan è diventato un´icona, un´identità
granitica e uno spazio infinito al tempo stesso, una contraddizione (il
nostro destino non è il nostro carattere, ma è lo scherzo che il destino ha
fatto al nostro carattere, scrive Philip Roth, un altro che ha fatto dello
sradicamento il senso e il fine dell´America, della narrazione,
dell´esistenza). Mai due volte la stessa cosa Allora, il vecchio si mette
dietro la pianola e parte un rock´n´roll sfrenato, To be alone with you, e
ti viene in mente che colui che fu eletto nel ´62, a ventuno anni, come il
profeta del folk impegnato, da ragazzino voleva diventare una rock´n´roll
star. Rock´n´roll, swing, blues, solo a tratti emerge il country nel
concerto più strampalato e intelligente dell´anno duemilatre: è, di fondo,
una messinscena, diversa da quella che Dylan allestiva l´anno scorso, che
era diversa da quella della tournée precedente. Una messinscena
aggrovigliata, cupa e bizzosa, che a sua volta capovolge quella
rappresentava dall´ultimo album (uscito nel settembre duemilauno), Love and
theft, che era stranamente malioso, solare, pomeridiano: lo sappiamo, Bob
continua il suo eterno gioco di cambiare le regole del gioco e continua a
brutalizzare le proprie canzoni in un modo sconcertante: It´s alright Ma´,
I´m only bleeding - che da anni non suonava dal vivo, e che era un grido
liberatorio («qualche volta anche il presidente degli Stati Uniti se ne sta
lì nudo»: nel ´73 i fan americani impazzivano, perché lo rileggevano come un
riferimento a Nixon) - ora è calata in uno scenario notturno e rivela
accenti che non solo non conoscevamo nella canzone, ma nemmeno in Dylan,
molto neri, molto obliqui, molto black. È un capolavoro, è più bella che
mai. Ed è un paradosso, come è un paradosso questa Mr. Tambourine Man che
nessuno (quelli sotto il palco sono tanti, di tutte le età e sanno
fanaticamente tutto di Dylan) lì per lì riconosce, e che arriva a negarsi, a
negare il proprio ritornello, la propria melodia («...youuu», «meeeee...»:
ogni volta che Dylan arriva in fondo al verso, tira su la battuta di
un´ottava). È lui che la rinnega, così come lui da giovane ha finto di
rinnegare la propria matrice ebraica, per poi ritrovarla, poi perderla, poi
diventare cristiano, poi... chissà. Un giorno Abramo incontrò Dio. Questo
gli disse: devi uccidere tuo figlio. Abramo gli rispose: stai scherzando?
No, se tu non mi obbedirai, non potrai mai più farti veder da me, dovrai
correre lontano, sull´autostrada sessantuno. Sono i primi versi, più o meno,
di Highway 61, che sabato notte è diventata dura, cazzuta, marmorea come non
lo è mai stata. Il vecchio, vecchissimo Bob, canta l´anima del rinnegato
(proprio con quell´album, Highway 61, fu accusato di rinnegare il folk),
perché la sua è una mente paradossale, che attraverso il paradosso si
interroga su Dio e sul tempo, appropriandosi delle icone americane come il
blues, la tradizione folk, saccheggiando i testi sacri, laddove il paradosso
diventa il principio e la fine della musica (ovvero della narrazione ovvero
dell´esistenza): e mentre lo fa, stringe gli occhi, accenna a danzare come
un ubriaco, tormentando quella pianola nera, con i baffetti che sembrano una
barzelletta, i capelli non si sa se cotonati o impazziti, quell´abito da
giocatore d´azzardo che da una vita non vince una partita. Il distruttore di
canzoni . Non l´ha vinta perché non c´è niente da vincere. L´importante è
giocare. Anche con i nostri sentimenti, se è necessario, visto che non
possiamo fare a meno dei suoi classici, di cui lui è il traditore assoluto.
Per Dylan non esiste «la canzone». Lui l´ha distrutta. Esiste un campo di
semina, un corpus mitologico, che lui estende su un arco potenzialmente
infinito: per ora si tratta di una quarantina di anni. Già i pezzi
dell´ultimo disco, Love and Theft, amore e furto, in questi due anni di
tournée hanno cambiato pelle, da Honest with me a Cry a While, alla
bellissima Tweedle Dee & Tweedle Dum, lunga, emozionante, un rock´n´roll
filosofico, beffardo, una sonorità piena che è rara nella storia dylaniana
ma che è la cifra di ora, e potrebbe non esserlo domani. È un bastardo,
Dylan: Don´t think twice, it´s alright ha quarant´anni, e come un
quarantenne ovviamente ha un metabolismo diverso da quello di un neonato,
così una delle canzoni-icona di Dylan diventa un ironico ricordo (ha! a
tratti il vecchio Bob si dimentica il testo!) calato in un fatiscente
saloon. E con il passo comicamente incerto (ma lo farà apposta?) il vecchio
Bob ogni tanto si aggira per il palco con l´aria di chi se la ride: gli
ultimi due bis sono Like a Rolling Stone e All Along the Watchtower.
Soprattutto l´ultima - che nacque nel ´68 come un´acustica parabola biblica
(il libro di Isaia, ragazzi) - non l´abbiamo mai sentita così forte e
violenta, così notturna ed elettrica, così potente. Lui la canta come un
diavolo ubriaco. Noi siamo innamorati, e lui se la ride. Lo considerano la
quintessenza dell´America. Beh, è un ebreo nato a Duluth, nel Minnesota, a
sei anni si è trasferito a Hibbing, chiamata «la più grande buca mai scavata
dall´uomo» perché ospita una miniera gigantesca, poi si è inventato un nome
e una storia mitologica, ha incarnato e rivestito il folk e il blues, il
rock: l´America, sì. Ma solo se l´accetti come scenario del paradosso e
dell´invenzione. Solo se l´accetti come patria immaginaria dei senza patria.
( www.unita.it )
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Un MP3 di una cover di Dylan per un voto
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