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Domenica 2 Novembre 2008

SONO STATO UN BEATLE

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Sabato 1 Novembre 2008

Set list: Lethbridge, Alberta - ENMAX Centre - October30, 2008

1. Watching The River Flow (Bob on keyboard)
2. The Times They Are A-Changin' (Bob on keyboard and harp)
3. Lonesome Day Blues (Bob on keyboard)
4. Girl Of The North Country (Bob on keyboard and harp)
5. High Water (For Charley Patton) (Bob on keyboard)
6. Chimes Of Freedom (Bob on keyboard and harp)
7. Rollin' And Tumblin' (Bob on keyboard)
8. A Hard Rain's A-Gonna Fall (Bob on keyboard)
9. 'Til I Fell In Love With You (Bob on harp - center stage)
10. Beyond The Horizon (Bob on keyboard)
11. Summer Days (Bob on keyboard)
12. Love Sick (Bob on keyboar and harp)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)

(encore)

16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)

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Review: Edmonton, Alberta - Rexall Place - October 29, 2008

Ecco le parole del giornalista Tom Murray :

I duri a morire lo amano – per loro ogni gesto è accolto con grande gioia ,dal camminare per prendere la chitarra ( principalmente sta dietro la tastiera) per un breve momento durante High Water alla piccola danza durante la versione promo da scolaretti di Just like a woman. La reverenza può a volte raggiungere livelli estremi – quando ha estratto l’armonica per un saltuario assolo , è stato come se le perle della saggezza fossero uscite dalle sue labbra , tale è stato l’applauso.
Non è stato così per tutti naturalmente. Un buon numero di persone , mentre stava uscendo , sembrava scontenta , infelice “E’ stato uno scherzo?”.

Le risposte dei lettori :

Steve Hall - Thu, Oct 30, 08 at 11:02 AM
Bob Dylan è incoerente , la sua borbottante prestazione al Rexall Place ha obbligato tutto il pubblico a cercare di capire quale canzone stesse borbottando. Forse il concerto dovrebbe essere registrato e usato nelle scuole per spiegare ai bambini gli effetti dell’abuso di droghe.

Tim - Thu, Oct 30, 08 at 11:09 AM
Anni fa ero un fan di Dylan e seguivo tutti I suoi concerti. Invece ora sono molto deluso e avrei voluto andarmene. Questo è stato il peggior concerto al quale ho assistito. Ho fatto una faticaccia a riconoscere le canzoni e quando la gente sorrideva quando lui si muoveva ho pensato “Allora non è morto”. Un vero spreco di denaro.

Kim M.  .Thu , Oct 30, 08 at 11:12 AM
Ero molto eccitato per questo show.Non mi aspettavo che ballasse in giro per il palco o che cercasse di conquistare il pubblico con una allegra beffa.....ma se stai suonando in una grande arena dovresti almeno preoccuparti di essere sentito in tutta l’arena......noi eravamo nella sezione 201 e la voce era distorta. E’ grandioso come suona le sue canzoni ogni volta in modo diverso......solo non si capisce quali siano.......non sappiamo dirlo...........siamo usciti prima della fine dello show....molto delusi.

Lillian  - Thu, Oct 30, 08 at 11:14 AM
E’ stato uno spreco di soldi. Terribile , proprio terribile . Dylan sembrava che non fosse lì. Non ha detto un ciao , bello essere qui o grazie d’essere venuti. Inoltre la band ha seppellito la maggior parte delle parole. Non avevo capito che la prima canzone fosse “Everyone must get stoned”. Penso che bisognasse essere “stoned” per apprezzare questo concerto , inoltre un sacco di Marjiuana è stata fumata là , si sentiva l’odore dappertutto.

Bob  - Thu, Oct 30, 08 at 11:15 AM
Sono un Dylan-fan di lungo corso , ma ho abbandonato lo show prima della fone , l’ho trovato molto deludente.

Vanessa - Oct 30, 08 at 11:41 AM
Bob Dylan è unico , non si può paragonare a nessun’altro. Questo è quello che lo rende grande.
Ero nella 7 fila della platea ed ero in sintonia con una decina d’altre persone . La band era forte e la voce grezza e reale , l’ho goduto completamente.

Christopher Lever  - Thu, Oct 30, 08 at 11:31 AM
Con mia moglie abbiamo deciso di fare una cenetta speciale in favore di Bob Dylan l’altra sera al Rexall Place. Era il nostro 25° anniversario di matrimonio e siamo venuti a vedere Dylan in concerto per la prima volta.
Quello che ci ha stupito era la presenza di gente dai 20 ai 60 anni. Sembrava che sarebbe stata una grande serata. La prima canzone ci ha stupito per la povertà del suono e per il borbottio di Dylan , una cosa da rettificare subito.
Sembrava essere una delle sperimentazioni di Andy Kaufmanesk....dopo un’ora abbbiamo abbandonato la sala e siamo uscito con disgusto.
Mr.Dylan ha perso due fans e molti dei giovani nella platea si stavano chiedendo cosa fosse tutta quella confusione. Dubito che l’abbiano capita. Mr.Dylan , indubbiamente , ha passato da molto i suoi tempi migliori . Tornando al parcheggio Northlands molti di noi e tante altre persone la pensavano così , così come lo dimostravano le molte sedie lasciate vuote nell’arena. Per colmo dei colmi abbiamo pagato 12 dollari per il parcheggio !!! Avremmo potuto ( e sarebbe stato meglio) andare soltanto a fare una bella cena con una buona bottiglia di vino per quanto ci è costato il concerto. Questo ci ha lasciato un sapore amaro in bocca.....

Ian  - Thu, Oct 30, 08 at 11:34 AM
Avrei desiderato un posto migliore del Rexall per il concerto…..come Winspear o qualcos’altro. C’erano persone con me alle quali le canzoni di Bob non erano familiari....non avevano idea di cosa stesse cantando perchè la voce era inudibile e rimbalzava in tutti gli angoli del Rexall. Quello che si poteva sentire erano la batteria e le chitarre . Orribile qualità del suono , ma non hanno fatto un sound-check ? Personalmente ho apprezzato il fatto che una persona di 67 anni fosse venuta qui a suonare per due ore filate . Nessun paragone con gli artisti odierni , al di là di tutto , una grande performance , grazie Bob.

Rick B.  - Thu, Oct 30, 08 at 11:59 AM
E’ stato grande vedere un’icona ma ho visto solo la sua schiena per il 99% del tempo. Per quanto riguarda la performance , è stata terribile . Non ho potuto capire una parola del suo cantato perchè la band lo seppelliva con il suono. Comunque lui non è più in grado di cantare , ma la sua poetica è sempre grande. Da dove ero io il grand finale ci ha liberato da un incubo.

Gene  - Thu, Oct 30, 08 at 12:04 PM
Sono molto deluso , non da Dylan , ma dal suono disastroso ! Dylan è stato grande. Probabilmente il soundman al mixer era sordo , o non aveva idea di come si mixavano le cose , o forse tutte e due assieme. Il Rexall non è il migliore dei luoghi per la qualità del suono , ma non bisognava renderlo peggiore sovraccaricando i suoni oltre il possibile creando un sacco di sconnesse vibrazioni.
Le chitarre e il basso erano un pastone indistinguibile , la tastiera di bob non si è sentita per la maggior parte del concerto , e nemmeno la steel guitar. Che disastro ! Non sò di chi era il tecnico del suono ( del Rexall o di Dylan ) ma certo era da sparare, Me ne sono andato dopo un’ora e son tornato a casa a sentire Bob in CD.

Young Music Fan  - Thu, Oct 30, 08 at 12:06 PM
Sono un 25enne e , naturalmente , non conoscevo bene Dylan come la maggior parte del pubblico.
Ho trovato lo show davvero interessante solo a momenti , anche con le irriconoscibili versioni del vecchi classici. A volte lo show sembrava arenarsi lentamente , specialmente nelle canzoni meno conosciute . Musicalmente , Dylan non è stato esattamente perfetto , ma forse questo è il suo charme. Oltre a tutto biglietti troppo costosi.

Mike  - Thu, Oct 30, 08 at 12:11 PM
Siamo usciti prima , lo show sembrava uno scherzo , vogliamo indietro I nostri soldi….haha. Abbiamo riso per tutto lo show chiedendoci se stesse prendendoci in giro , tutto il pubblico era d'accordo. Non dovrebbe succedere che tutto lo show sembrasse una sola lunga ed interminabile canzone ! Grazie per aver appannato la tua immagine Bob , dovresti pensare ad andare in pensione.

Lou  - Thu, Oct 30, 08 at 12:52 PM
I primi 30 minuti di Dylan erano fuori da questo mondo così meraviglioso , la musica era troppa alta e gracchiante e non ho potuto capire una parola o distinguere che strumento musicale stesse suonando , era come se uno strormo di bombardieri passasse sopra il Rexall. Alla fine sono riuscito a raggiungere la platea e la cosa è migliorata un pochino. Per 130 dollari ( costo del biglietto !) mi aspettavo qualcosa di meglio , perlomeno dalla sezione suond. Non è un difetto di Dylan , ma lui ha bisogno di una New Oleans Jazz Band con anima dietro di lui , non una country band qualunque.

Blair Collins  - Thu, Oct 30, 08 at 12:53 PM
In trent’anni di concerti qui a Edmonton , il concerto di Bob Dylan è stato di gran lunga il peggiore che abbia mai visto. Il suond era fangoso e Dylan ha passato la serata con le spalle al pubblico suonando la tastiera e borbottando qualcosa in ogni canzone. Spero che i bis abbiano infiammato la fine della serata per il pubblico , io non li ho sentiti , a quell’ora ero già nella mia macchina sulla via del ritorno a casa.

Person  - Thu, Oct 30, 08 at 01:20 PM
Penso che quelli che c’erano siano stati pazzi. Bob non ha saltato in giro sul palco . Bob non ha dato una prestazione esaltante o da ricordare. Volevate sentire le vecchie canzoni di 30 anni fa ? Ascoltate la radio. Il Rexall va bene per l’hockey ma non per la musica . Bob avrebbe dovuto suonare al Jube o al Winspear , ma i prezzi sarebbero stati due o tre volte più alti. Il concerto era allineato con quello di Van Morrison lo scorso anno , due disastri. Bob ormai va per i 68 anni , per forza di cose deve cambiare gli arrangiamenti ed adattarli alle sue attuali possibilità vocali.
Il suo Grrrrr era grande. Se siete andati via prima , non avete capito . Questa non era musica confezionata , era musica reale e loro sono stati davvero blues l’altra sera , con un grand sound e una grande band, Questo era Dylan.

Danielle  - Thu, Oct 30, 08 at 01:39 PM
Penso che il concerto di Edmonton sia stato straordinario. Lunedi sera sono stata al suo concerto a Calgary ed anche lì è stato brutale , era dentro alla sua musica in Edmonton ma era troppo basso. Molta gente sà che Dylan alterna prestazioni alte e basse , Edmonton è stata alta. Bob Dylan sta cercando di reinventare se stesso , lui è il pota laureato del r&r , se la gente si aspettava che fosse esattamente com’era negli anni 60 , allora sono molto sorpresa che siano rimasti delusi . Personalmente penso che tutti i nuovi riarrangiamenti siano geniali , sono così felice , sono stata in grado di vederlo due volte , non lo scorderò mai. Dopotutto Dyla ha fatto ciò che sa fare meglio e tutti quelli che erano là dovrebbero essere contenti di essere stati in grado di assistere a una tale esperianza musicale.

A legend  - Thu, Oct 30, 08 at 01:43 PM
Non ho avuto la possibilità di vedere Bob Dylan l’altra sera così non posso commentare il concerto.
Ho letto la maggior parte delle recensioni che sono davvero terribili riguardo questa Leggenda.
Mi fanno venire in mente , indietro al dicembre del 76 , quando abbiamo visto Elvis Presley cantare in uno dei suoi ultimi concerti a Las Vegas. La performance che Elvis aveva fatto allora è uguale a quella di Dylan dell’altra sera , proprio difettosa , a volte sembrava che non ricordasse le parole . Ma al giorno d’oggi , la possibilità di vedere questo grande performer in persona , non me la perderei mai , davvero.

Karen Marlin - Thu, Oct 30, 08 at 01:45 PM
Bene , il concerto mi è PIACIUTO , mi ha riempito l’anno , che sensazioni con questo vero blues...nite.....gala....altho...ero nella 6 fila...probabilmente non ma la sarei goduta così se fossi stata più indietro.....perchè la dietro sembrava il frastuono di un jumbo-jet....ma l’energia che arrivava dal palco era incredibile....davvero una volta nella vita per me.....sono ispirata da questo...le mie aspettative sono state completamente soddisfatte......
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SCRIVEVANO.......

BOB DYLAN IN OSPEDALE E I FAN INVADONO INTERNET

Repubblica — 29 maggio 1997 pagina 41 sezione: SPETTACOLI E TV

ROMA - Bob Dylan sta male. Il cinquantaseienne cantautore americano è stato ricoverato in ospedale d' urgenza, lunedì sera, a causa di forti dolori al petto. I medici hanno diagnosticato un' istoplasmosi, 'una infezione potenzialmente mortale che provoca un rigonfiamento della membrana che circonda il cuore' . La notizia è stata data a Londra da un portavoce del cantante, che ha annunciato la cancellazione del tour europeo che Dylan avrebbe dovuto iniziare il prossimo primo giugno a Cork, in Irlanda, e che avrebbe dovuto toccare l' Inghilterra e la Svizzera. Sulle sue condizioni i responsabili della casa discografica mantengono il più stretto riserbo e non sono stati resi noti nemmeno il nome dell' ospedale e la città in cui cantante è stato ricoverato. Dylan dovrebbe restare sotto osservazione per alcune settimane, ha dichiarato un portavoce del folksinger, 'sta ricevendo le cure di cui ha bisogno e resterà ricoverato fin quando i medici lo riterranno opportuno' . La notizia è stata rilanciata immediatamente dai siti Internet nei quali si danno convegno i fan del cantante americano. Uno in particolare, 'Expecting Rain' , che ha la sua sede in Norvegia, ha dato la notizia prima di molte agenzie e delle televisioni ed è stato rapidamente preso d' assalto dai fan preoccupati, che hanno iniziato a trasmettere messaggi d' incoraggiamento e di preghiera. 'Non posso credere che sia successo' , 'Dio ascolterà le nostre preghiere' , 'I nostri pensieri sono con lui e la sua famiglia' , hanno scritto gli appassionati dall' Inghilterra, dall' America, dalla Francia e dal Giappone. Bob Dylan, il cui vero nome è Robert Zimmerman, ha compiuto 56 anni sabato scorso, più di trenta dei quali passati sui palcoscenici di tutto il mondo. Il suo 'Neverending Tour' , il tour infinito, è diventato leggendario, proprio perché l' attività concertistica del cantautore di Duluth sembra non conoscere pause. Si calcola che negli ultimi cinque anni Dylan abbia tenuto più di seicento concerti: una media di uno ogni tre giorni. Performance sempre originalissime e curiose, nelle quali il cantautore ama stupire il pubblico proponendo ogni sera canzoni diverse del suo straordinario e ricchissimo repertorio, eseguite sempre in maniera nuova. Nessuno supponeva che le sue condizioni di salute non fossero buone, e infatti anche negli scorsi giorni il musicista ha continuato a suonare dal vivo: lo scorso 22 maggio Dylan è salito sul palco al Beverly Hills Hotel, a Los Angeles, per una breve esibizione in occasione di una serata di beneficenza organizzata dal Centro Simon Wiesenthal, in cui ha suonato alcuni dei suoi brani più classici, come 'Masters Of War' e 'Forever Young' . Senza alcun dubbio Bob Dylan è uno dei grandi personaggi di questo secolo. La sua avventura nel mondo della musica ha avuto inizio all' alba degli anni Sessanta, seguendo le orme dei grandi folksinger americani, come Woody Guthrie e Pete Seeger. Ma è con la svolta 'elettrica' , con l' avvicinarsi al rock e contemporaneamente con il suo forte impegno al fianco del movimento per i diritti civili, che la leggenda di Dylan diventa planetaria e la sua influenza, sul mondo della musica giovanile, incommensurabile. Le sue canzoni, soprattutto quelle degli anni Sessanta, hanno segnato in maniera profonda non solo la storia della musica popolare ma anche quella della cultura americana ed internazionale. Non a caso Dylan è stato, negli scorsi mesi, proposto per il Premio Nobel per la letteratura, da un comitato diretto dal alcuni professori universitari inglesi e americani. Il musicista aveva già rischiato di morire trentuno anni fa, il 29 luglio del 1966, quando ebbe un grave incidente motociclistico che lo tenne lontano dalle scene per più di due anni. - Ernesto Assante

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Bob Dylan e il segreto della sua ispirazione            clicca qui

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Bruce , Elvis , Bob Dylan , Joan Baez                      clicca qui

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Dal vangelo secondo John Lennon                           clicca qui

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La Regina imita il Re                                                  clicca qui

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Video : John Lennon - Knockin' on heaven's door  clicca qui

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Video : Al Diesan - Ballad of a thin man                   clicca qui

  

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Venerdi 31 Ottobre 2008

Set list: Edmonton, Alberta - Rexall Place - October 29, 2008

1. Rainy Day Women #12 & 35 (Bob on keyboard)
2. It's All Over Now, Baby Blue (Bob on keyboard and harp)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard and harp)
4. Spirit On The Water (Bob on keyboard and harp)
5. High Water (For Charley Patton) (Bob on keyboard, Donnie on banjo)
6. The Levee's Gonna Break (Bob on guitar, then on keyboard, Donnie on electric mandolin)
7. Tangled Up In Blue (Bob on keyboard and harp)
8. Honest With Me (Bob on keyboard)
9. Just Like A Woman (Bob on keyboard and harp)
10. Things Have Changed (Bob on keyboard)
11. When The Deal Goes Down (Bob on keyboard and harp)
12. Desolation Row (Bob on keyboard, Donnie on electric mandolin)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard, Donnie on viola)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)

(encore)

16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard and harp)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)

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Review : Kamloops, British Columbia - Interior Savings Centre - October 25, 2008

La scorsa notte , la mia partner ed io , siamo andati al concerto di Bob Dylan. Non sono un fan di Bob ma comunque , non sono stato capace di dire più di due titoli delle sue canzoni sulla via del ritorno , ma Mr.Dylan è una LEGGENDA del rock e così , questa rara opportunità di vederlo non andava persa!.
Non abbiamo trovato I biglietti per lo show nella nostra città , così ho comperato i biglietti per la serata seguente , lontano da noi , questo ha voluto dire guidare per 4 ore e pernottare in un hotel per vedere Dylan , un piccolo mini weekend. Il posto ha la capacità di 15.000 posti , piccolo rispetto al nostro che ne aveva 40.000. I biglietti dicevano lo show alle alle 20,00 , ma i cancelli si sono aperti solo 10 minuti prima , quindi ci è voluto un pò di tempo per fare entrare il pubblico. Girava voce che i Foo Fighters avrebbero aperto il concerto ma non era vero , così alle 21,00 , Bob è salito sul palco assieme alla sua band e lo show è iniziato.
Dylan era vestito tutto in nero , pantaloni neri con banda oro all’interno e all’esterno delle gambe , la giacca nera lunga sino alle ginocchia con sotto una maglietta nera.
Aveva un cappello di paglia giallo/beige e i capelli lucenti piuttosto lunghetti sotto il cappello , e anche un pò di barbetta , come avevo visto in alcune foto di quando era giovane. Anche la band era vestita di nero e i tre chitarristi portavano un cappello come quello di Dylan ma nero , il batterista sembrava avesse una specie di fez in testa , mentre il ragazzo alla slide guitar era a testa nuda.

Per le prime tre canzoni , Bob ha cantato e suonato la tastiera. La posizione della band sembrava quella dei cavalli legati allo steccato , con Bob in fronte a loro , di traverso al pubblico. Alla quarta canzone si è allontanato di qualche passo dalla tastiera , davanti al microfono in fronte al pubblico , ha cantato una canzone e poi è ritornato alla tastiera per altre tre o quattro. Ha fatto così per tutta la sera , senza dire una parola al pubblico e senza nemmeno guardarlo una volta.
Questo comportamento distante e snob faceva pensare a Dylan come se fosse stato un altro artista , una cosa irritante , Bob sembrava timido e quasi scocciato da tutta quella gente , davvero strana cosa dopo anni di concerti.
Era quasi come assistere ad una jam session piuttosto che ad un concerto , ed in qualche modo questo ha reso la cosa più intima per la maggior parte del pubblico.
In quel momento mi è venuto in mente “questo è proprio Bob , questo è quello che è , non si butterà mai in uno show per far piacere alla gente , il pubblico sarà intrattenuto dalle sue canzoni , dalla sua abilità di raccontare storie con una canzone ( e a quel punto avevo desiderato capire meglio quello che stava cantando”).
Col procedere della serata devo ammettere che mi stavo annoiando , non conoscevo nessuna delle nuove canzoni e Dylan borbottava così male , come la nostra insegnante a scuola quando ci sorprendeva ad ascoltare “The times they are a-changin’” come se fosse stato un compito assegnatoci da lei.
Devo dire che la band è stata fenomenale , forte , ha suonato tutti i pezzi davvero bene , suonava da favola anche nei disgustosi brani con le chitarre acustiche , forse colpa dell’anello di hockey della pista di pattinaggio.
Dylan è un musicista completo , in grado di gestire tastiera , armonica e canto contemporaneamente , e in una canzone ( non ho idea di quale fosse ) ha ballato come un pazzo da solo , mi è davvero piaciuto. Avrei desiderato che avesse fatto un pò di più di queste cose , allontanarsi dalla tastiera , mettersi la chitarra al collo , continuare a muoversi con maggior interazione fra lui ed i fans che erano ovviamente felici di essere lì.
Siccome la mia attenzione qualche volta calava , ho cominciato a guardare più il pubblico che lo show e devo dire che era davvero divertente. Un sacco di fans speranzosi di arrivare di fronte al palco cercavano con ogni mezzo di aggirare le disposizioni della security , che li rimandava regolarmente ai loro posti. Gli addetti alla sicurezza sono stati molto pazienti con questa gente dopotutto , senza mai dare l’impressione di abusare della loro autorità ( e questa è stata una cosa nuova se paragonata ad altri posti dove ero stato ) , e questo è certo un miglioramento.
Lo show è arrivato alla fine , la band ha lasciato il palco , la gente sembrava impazzita e faceva un rumore spaventoso per richiamarla sul palco , picchiavano i piedi sui tavolati di legno e urlavano e fischiavano.
Dylan e la band sono ritornati sul palco per i bis e per la prima volta , presentando la band ha rivolto la parola al pubblico , dicendo poche parole di ringraziamento e cominciando la canzone per la chiusura della serata.
Come ho detto all’inizio , non sono un fan di Dylan – non ho intenzione , una volta tornato a casa , di correre a comperare i suoi album – ma sono stato davvero fortunato di aver avuto l’opportunità di vedere in persona questa leggenda vivente e non lo dico per compiacenza.

Di Nightmare Creative - October 26, 2008

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Il colpo di fucile che ha dato inizio alla storia del rock    clicca qui

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Bob Dylan , un salto nel passato - Hey There Delilah       clicca qui

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Video : Bob Dylan - Wigwam                                              clicca qui

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Video : il cartoon di "Forever young"                               clicca qui

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John Lennon imita Bob Dylan                                             clicca qui

 

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Giovedi 30 Ottobre 2008

Review : Saddledome, Calgary - October 27, 2008

By RICK OVERWATER

CALGARY – Suonando par un pubblico che spaziava tra diverse generazioni nel suo 48° anno di carriera musicale ( se non contiamo le sue high-school bands) , Bob Dylan sul palco del Saddledome l’altra sera aveva una crepa , la sua band di cinque elementi. Da rimorchiare.
Qualche minuto dopo l’inizio del primo pezzo , qualcuno del pubblico si è rivolto agli amici , “ Non capisco una parola di quello che dice”.
Bene , questo è Bob Dylan.
In un mondo dove ogni stagione il nostro idolo ci offre sempre un diverso modo di cantare , con la voce preziosamente sovraccaricata di istrionismo ma pochissimo nel senso della soddisfazione che può lasciare nel pubblico (e questo può essere discusso) , abbiamo bisogno della sua voce nasale e biascicata più che mai.
Partendo dal concetto che un performer deve avere una convenzionale buona voce , Dylan ha dominato il genere della folk music , ha aiutato ad inventare il rock n’ roll , più di ogni altro , è dimostrato da sempre che i grandi musicisti scrivono le loro canzoni con parole davvero grandi.
Detto questo , mi sarebbe piaciuto davvero capire qualcuna delle parole che ha cantato. Particolarmente da quando Dylan era all’inizio della sua carriera , evidente in questo discorso il suo album del 2006 , con le dozzine di album che l’hanno preceduto , gli ha fruttato 2 Grammys , incluso quello per la migliore voce rock solista.
Non avendo la necessità di dover contare su una barcata di classici per riempire il Dome , come molti della sua età (67) , Dylan non ha pescato molto nei suoi classici senza tempo.
Questo vuol dire caldi , ma non scroscianti applausi ( con l’eccezzione di qualche bis come Like a rollling stone ) alla fine di ogni pezzo , e raramente mette la gente in condizione di riconoscere i pezzi , anche con pezzi favolosi come Stuck Inside of Mobile With the Memphis Blues Again.
Questo non vuol dire che non sia stato un buono show.
Fermo dietro la tastiera , che lascia raramente durante lo show e senza mai dire una parola al pubblico , Dylan riesce ad ottenere un consenso ottimista.

Finisce la seconda canzone “It’s all over now baby blue” , dove ha fatto alcuni assoli rotolanti di organo e assoli succosi di armonica.
Dopo un’ora , l’andazzo del concerto era più che evidente.
Il Saddledome era essenzialmente un gigantesco blues-bar e Dylan e il pubblico la band di casa.
La spina dorsale di ogni canzone era un’interminabile blues-session nella quale Dylan era sostenuto dai musicisti che ce la mettevano tutta , e quando la band riusciva ad entrare nel pezzo era ricambiata con dei sorrisi , un momento particolarmente memorabile è stato quando hanno suonato materiale di Time out of mind , con un’evidente aria quasi sinistra , il borbottio di Dylan si è fatto duro e minaccioso , reminescenza del suo periodo 80-90.
Comunque , in generale , è stata una buona jam-gigantesca che non ha reso giustizia alla quantità di stili che sono patrimonio di Dylan.
Se solo una volta si fosse rotto le palle e spedito la band nel backstage , preso la chitarra acustica per cantare da solo “Blowin’ in the wind” , questo avrebbe cambiato tutto , come faceva nei tempi passati.
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Review : Kamloops, British Columbia - Interior Savings Centre - October 25, 2008

( da bobdylan.com )

Thank You.
Submitted by Tara on Sun, 10/26/2008 - 22:40.
Grazie Bob per essere venuto nella nostra città e averci dato un fantastico show del quale ho amato ogni secondo , e sono stata veramente onorata di essere stata in tua presenza. Che incredibile serata.

A Night to Remember...
Submitted by lisa on Sun, 10/26/2008 - 14:40.
Una straordinaria serata con il Maestro dei poeti….. queste canzoni dureranno per molti anni e avranno un profondo significato. Che regalo da condividere con la famiglia e da commentare con gioa.....il mio spirito si è sollevato ! La prestazione di Dylan è stata energica e presente....la migliore che ho visto , e ha sorpassato le mie aspettative. Grazie , grazie , grazie !
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SCRIVEVANO.......

Caro Bob Dylan ma allora chi è Napoleone in stracci?

(repubblica.it)

Non state a credere a chi vi dice che Bob Dylan è scorbutico e arrogante. Ho un amico che lo vede spesso e mi assicura che al contrario il vecchio Bob è un cordialone, sempre pronto alla chiacchiera e alla risata, disponibile e alla mano. Insomma che non se la tira per niente e che non si riesce a capire come sia nata la leggenda di un Dylan antipatico e figastorta. Io del mio amico mi fido e sono certo che dica la verità. Del resto se non lo sa lui che lo vede spesso. Il mio amico aggiunge, per uno scrupolo che gli fa onore ma che non cambia la sostanza delle cose, che lui Dylan lo vede la notte, quando dorme. Sì, insomma, lo vede in sogno. Ma lo sogna spesso e lo sogna sempre gentile. E io gli credo. Anzi, lo invidio anche un po' il mio amico, per quell' intimità con Bob cui il mio inconscio non mi ha mai autorizzato. Ma non dispero, prima o poi vedrai che me lo sogno anch' io. Anzi, ora che so che non morde magari riesco a togliermi qualche curiosità. Tipo: Bobby, si può sapere, una buona volta, chi diavolo è quel Napoleon in rags, il Napoleone negli stracci, dell' ultima strofa di Like a Rolling Stone? Oppure: che burlone che sei, Robertino, ora però ti siedi qui e mi spieghi perché mai il Diplomatico in groppa al cavallo cromato con miss Lonely si ostinava a portare sulla spalla un gatto siamese. O ancora: Ma tu Come una pietra che rotola di Gianni Pettenati, 1966, traduzione di Mogol, l' hai mai sentita? E non li hai denunciati perché sei un signore o solo perché non conosci l' italiano? Ma se proprio non mi verrà dato di sognarlo) esaudirò le mie curiosità pescando nel diluvio di omaggi, encomi, santini, articolesse, agiografie scritte e filmate, memorabilia anche un po' feticistiche che di questi tempi inonda il mercato e prosciuga le tasche dei poveri dylandipendenti come me, il libro più entusiasmante che lo celebri: Like a Rolling Stone (Donzelli, euro 13,50), biografia che Greil Marcus, sommo maestro della critica musicale, dedica a una canzone nel quarantennale della sua incisione, il 15 giugno 1965, studio A della Columbia, New York. Sei minuti e sei secondi che, per dirla senza tanta enfasi, compirono il miracolo di rinnovare il sogno americano, scolpirono per l' eternità il sound di una generazione e la colonna sonora di un mondo che si stava ribaltando. I sei minuti e sei secondi della più grande canzone di tutti i tempi in un libro da non perdersi neanche per sogno.         

Stefano Tettamanti

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Lezioni di Rock. Viaggio al centro della musica.        clicca qui

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Negrita, 'Helldorado'                                                     clicca qui

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Traveling Wilburys - di Alessio Brunialti                    clicca qui

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Video : Bob Dylan - Cold Irons Bound                         clicca qui

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I MITICI..........

Joan Baez & Jackson Browne - Before the Deluge     clicca qui

Joan Baez & Jackson Browne - El Salvador                clicca qui

 

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Mercoledi 29 Ottobre 2008

Set list: Calgary, Alberta - Pengrowth Saddledome - October 27, 2008

1. Watching The River Flow (Bob on keyboard)
2. It's All Over Now, Baby Blue (Bob on keyboard and harp)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard and harp)
4. Million Miles (Bob on keyboard and harp)
5. Spirit On The Water (Bob on keyboard and harp)
6. The Levee's Gonna Break (Bob on keyboard)
7. My Back Pages (Bob on keyboard and harp)
8. Summer Days (Bob on keyboard)
9. Tryin' To Get To Heaven (Bob on keyboard)
10. Tweedle Dee & Tweedle Dum (Bob midstage - no guitar or keyboard)
11. Just Like A Woman (Bob on guitar)
12. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
13. Nettie Moore (Bob on keyboard)
14. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)

(encore)

15. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard and harp)
16. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)

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I fantaracconti dylaniani......

CODA DI VOLPE  -  (di A man with no name)      clicca qui

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Review: Bob Dylan a mala pena decifrabile a Vancouver al GM Place , October 24

By Alexander Varty

Saggi-asini di tutto il mondo , il vostro tempo è ora arrivato al limite quando arriva Bob Dylan che è stato le chiappe degli scherzi filistei fin da quando camminava per le strade di New York portando una chitarra e quel piccolo cappello da pescatore. Proprio la settimana scorsa , per cronaca , uno dei miei colleghi più sarcastici ha detto al riguardo di sua Bobbità : “Whuzzz gizzzz a zzzhit ee caaaaan uzzastanzz a sinnggg wuuuuud hee szzzzz.”

Una volta ancora sarei coercitivo intervenendo in difesa di Mr.Zimmerman , ma questo era prima di andare al GM Place ed aver passato i primi minuti di “Like a rolling stone” essendo convinto che fosse “Positively 4th street”. Seriamente . E sono sempre stato un Dylan’s fan conosciuto per aver sempre stimato i suoi solos di armonica.
Eppure , l’ultima presenza dell’Uomo a Vancouver mi ha fatto sentire un apostata. A metà dello show di Dylan ero pronto a girare la faccia ad est e pregare – non verso La Mecca , ma ad Hamilton , Ontario , casa del precedente produttore di Dylan Daniel Lanois.

Il chitarrista franco-canadese , mago delle registrazioni in studio , ha preso un sacco di bastonate per la sua tendenza ad esagerare con le sovraincisioni – inclusa , naturalmente , la litigata con Dylan riportata da Chronicles Vol.1.

Ma passando un pò di tempo con l’ultima collezzione di outtakes di Dylan , Tell Tale Signs , risulta evidente che il trionfatore è quel Lanois che ha prodotto Time out of mind nel 1997.
Dylan ha scritto le canzoni , ma è stato il produttore a scolpirle nel marmo . Lasciando da parte il suo lavoro , il cantante trasforma il suo lavoro in sabbia che sfugge , come se fosse a suonare in un garage.
Perchè , per esempio , ha impiegato lo stesso sound scuro del blues non più di tre volte ?
“Highway 61 revisited” , “Summer days” , e “Thunder on the mountain” sono state eseguite come un blando e generico shuffle – che potrebbe essere una bella cosa il sabato pomeriggio allo Yale , ma non quando il prezzo del biglietto potrebbe coprire le spese del gas e della drogheria per una settimana.
Similmente , “Tangled up in blue” – una delle più belle melodie di metà carriera di Dylan – è stata eseguita con un arrangiamento tipo rinky-dink che sembra all’80% Neil Diamond e per il 20% un indistinguibile fluff.
La media da cotone ovattato era ancora più alta ed insopportabile in una versione Kitchs di “Make you fell my love “, mentre le esilaranti parole finali che erano le originali di “Vision of Johanna” sono state ricostruite come un richiamo assolutamente indecifrabile.

Non tutto è sbagliato nel mondo di Dylan , penso . L’ultima volta che è stato qui – all’Orpheum 2005 – sembrava una persona remota stagliata in distanza. Stando in piedi quasi immobile dietro la tastiera , sembrava che c’era qualcosa che non funzionava nel suo fiuto , sembrava malato ed irritabile , sputando fuori ogni frase con la stessa monotona cadenza.
Questa volta invece era più rilassato , ghignando coi suoi musicisti mentre pugnalava il suo organo Hammond con evidente soddisfazione. Dylan ha persino cantato bene , con reale forza emotiva ed una sorprendente fluidità melodica. Ma tutto troppo male , we cudddn unnnastan a sinnggg wuuuuud hee sdddd .

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Tell Tale Signs : Dicono tutti le stesse cose

Ho letto soltanto poche recensioni dell’ultimo lavoro di Bob Dylan “Bootleg Series 8 : Tell Tale Signs” prima di essermi stancato e anche un pò irritato. Dicono tutti le stesse cose , questi giornalisti musicali, e continuano a ripetersi all’infinito.
Dylan è descritto come un bisbetico con l’ossessione della propria mortalità che esplora in continuazione temi sempre più profondi nella sua musica , e avanti di questo passo..
Che cosa ha fatto Dylan per meritarsi simili critiche ?
Ho sempre pensato che “Time out of mind” del 1997 e “Oh mercy” del 1989 contenevano testi dei quali si poteva dire che contenevano una certa amarezza e cinismo , ma avrei potuto pensare le stesse cose per “Highway 61 Revisited” o per una dozzina di altri album di Dylan.
Se mai , nei due ultimi album più recenti – Modern Times e Love and Theft – c’erano veramente pezzi “a ruota libera” e perfino i più divertenti della sua carriera . Questo è , dopo tutto , l’uomo che canta in Modern Times :
“Io avevo dei pezzi di maiale , lei la torta
Lei non è un angelo e nemmeno io”
C’era più eros che sentimenti profondi in quello , per continuare soltanto i temi che piacciono a molti giornalisti .
“Tell Tale Signs” non suona , a mio parere , come il lavoro di un uomo con poco tempo da restare in questo mondo , come del resto faceva “Dylan” , il primo album con il suo nome , un album che conteneva canzoni spiritate come “In my time of dying” , “Fixing to die” e “See that my grave is kept clean”.
Canzoni di questo tipo sono continuamente presenti nella carriera di Dylan , e sono una parte vitale del catalogo delle folk-songs che lui continua a prendere in prestito fino ad oggi.
Così trascureremo quello che dice la maggior parte dei giornalisti , comunque io li leggo di rado.
Che posso dire allora di “Tell tale signs” ?
Posso cominciare dicendo che c’è un box di tre CD da collezzione di versioni alternative e materiale non pubblicato che provengono dal 1989 fino al presente.
Potrebbe anche valere la pena di dire che si tratta di un altro rimarchevole lavoro di Dylan , che continua a sorprendere critici ed ammiratori con la qualità del materiale che ha scelto di non inserire nei suoi album.
Forse il pezzo migliore di questo set è una canzone mai pubblicata , e senza dubbio un classico , “Red river shore”. Il sentimento di questa canzone è di quelli senza tempo , evidentemente il cantante aspetta sempre il ritorno della ragazza che aveva conosciuto molto tempo prima , e che deve avergli fatto una grande impressione.

“Well I sat by her side and for a while I tried
To make that girl my wife
She gave me her best advice and she said
Go home and lead a quiet life
Well I been to the East and I been to the West
And I been out where the black winds roar
Somehow though I never did get that far
With the girl from the Red River shore”

Questo pezzo non è una grande rielaborazione di “Red river shore” ne musicalmente ne liricamnte ,
parole e musica sono in perfetta sintonia con la tradizione folk , benchè la cosa possa sembrare anacronistica.
Ma di certo Dylan non cercava di fare qualcosa particolarmente di nuovo , semplicemente cercava di perfezionare l’arte che ha usato in tutta la sua vita. Noi ci aspettiamo novità , sempre richieste al nostro artista , ma in “Red river shore” , Dylan ha creato una folk song proprio come ha fatto con altre canzoni di quel genere , più di quelle , ha creato una sommativa di tutte le precedenti canzoni folk.
La novità è qualcosa , evidentemente , alla quale Dylan non è più interessato . In “Tell tale Signs” Dylan fa esattamente quello che ha sempre fatto , e ci sta ancora riuscendo , brillantemente.

by georgemorison on October 26, 2008.

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Sunshine Superman - The Journey Of Donovan                     clicca qui

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Quando le immagini raccontano la musica                             clicca qui

 

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Martedi 28 Ottobre 2008

Set list : Kamloops, British Columbia - Interior Savings Centre - October 25, 2008

1. Watching The River Flow (Bob on keyboard)
2. It's All Over Now, Baby Blue (Bob on keyboard)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard)
4. Ballad Of Hollis Brown (Bob on keyboard)
5. Tweedle Dee & Tweedle Dum
6. Just Like A Woman (Bob on keyboard)
7. Rollin' And Tumblin' (Bob on keyboard)
8. Workingman's Blues #2 (Bob on keyboard)
9. Summer Days (Bob on keyboard)
10. Simple Twist Of Fate (Bob on keyboard)
11. Honest With Me (Bob on keyboard)
12. When The Deal Goes Down (Bob on keyboard)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)

(encore)

16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)

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Review: Vancouver, British Columbia - General Motors Place - October 24, 2008

by Audry Rose

Dopo il rinfresco al Railway Club ci siamo recati al concerto. E stato grande ritrovare Arlo e Thea , Augustine , Eben , Stephen , Cathy e tutti gli altri.....e specialmente incontrare Henry Porter , Sweet Melinda e Louise per la prima volta. Ero veramente felice di portare per la prima volta mia nipote a vedere un concerto di Dylan , assieme a due amiche che sono fans di Bob da lungo tempo ma non l’ avevano mai visto in concerto. E certamente non esiste uno show di Dylan senza la presenza di Clara e Ophelia ! Avevamo i posti proprio di fronte al palco , veramente i posti perfetti.
Dylan e la band erano piazzati vicino al fondo del palco , così da sembrare un pò lontani , ma ci hanno lasciato alzarci in piedi vicino alle transenne e la cosa ci ha fatto contenti perchè vedevamo bene.
C’era anche Anna da L.A. che era con noi a Santa Barbara, e allora Jim , che ho conosciuto nel precedente concerto di Vancouver , mi dice mentre il concerto stava cominciando“ Hey Audrey , dov’è il tuo cappello ?” , e allora pochi secondi dopo Dylan si lancia nella canzone d’apertura “ Leopard skin pill box hat”. Da molto non iniziava un concerto con “Leopard skin” e non pensavo che Bob iniziasse proprio con questa , e per di più alla chitarra ! Che omaggio! Di sicuro non stava suonando la chitarra perchè la tastiera aveva qualche disfunzione come la scorsa notte.Di certo ha battuto “Cats in the well” , lasciatemelo dire ! Questa prima canzone è stata una degli highlights della serata.

Un’ altro highlight – Tangled up in blue – Wow ! Nuovo grande arrangiamento , non vedo l’ora di sentirla di nuovo , proprio bella.

“Vision” – sempre squisita, mi piace, Bob era veramente coinvolto , sorridendo e divertendosi molto. Ero specialmente felice di sentire questa canzone perchè pensavo di sentirla sin da quando ero nella vasca , penso che questa valga veramente 6 punti !
“Leave’s gonna break” rocckeggiava bene , questa è una delle mie favorite nelle recenti set list , spero che la lasci in scaletta per un bel pò ancora.

“Nettie Moore” è stata amabile.

“Things have changed” era giusta per cambiare atmosfera , non l’avevo sentita da molto tempo , sono ancora sorpreso nel constatare quanto sia una buona canzone da concerto , spero di sentirla ancora in questa versione al posto della originale.

Avere “Desolation row” e “Vision of Johanna” nello stesso show è stato particolarmente speciale. Sarenbbe interessante poter ascoltare le registrazioni del concerto per sentire se ha cambiato le parole in queste due. Penso che l’esecuzione di entrambe sia stata grande.
Durante “Make you feel my love” tutto sembrava andasse bene. Eravamo sorpresi che avesse di muovo preso la chitarra ( sperando che stesse inaugurando un nuovo trend ) ma subito è diventato insoddisfatto della chitarra e ha cantato “ Non sono ancora pronto nella mia mente per questo “. Ha cantando qualche parola al microfono con la chitarra ancora sulla spalla , poi l’ha buttata via , poi ha cominciato a camminare in giro , avvicinandosi e prendendo l’armonica , poi l’ha messa giù e si è avvicinato al piano , poi si è spostato ancora , cantando al microfono senza suonare alcuno strumento , sembrava molto indeciso e confuso.
Il disappunto è stato grande quando nel vedere che abbandonava di nuovo la chitarra . Non è sembrato essere scordata o qualcosa del genere , ma l’ha buttata via con un’espressione di disgusto e abbiamo capito che non l’avrebbe più suonata. Ho trovato divertente questa scenetta , con Bob che passava da uno strumento all’altro senza decidere quale suonare , mentre la band continuava a suonare , hanno funzionato in tutte le canzoni , dovreste amare questa band.

Ho veramente apprezzato l’armonica di Bob l’altra notte . Nello . Lunghi ed energetici solos in “ Till i fell in love with you” , ho anche apprezzato quando stava davanti al microfono solo cantando.Era pieno dei soliti movimenti delle gambe e diverso gesti delle mani , e girava per il palco con i suoi caratteristici passettini , in bella forma. Appariva grande.

Mi piace lo stile del suo cappello nell’attuale Rolling Thunder. E con la chitarra abbandonata tutte le volte , si sforza di togliersi il cappello per alcuni secondi per far prendere aria ai capelli.

Spero per quelli che andranno a Kamloops che usi la chitarra un pò di più di stasera , che è stata una cosa veramente crudele. Mi è piaciuto quando Bob ha cominciato a suonare la tastiera nel 2002 , ma adesso siamo nel 2008 , sarebbe ora che riprendesse la chitarra per l’intero show , tutti speriamo questo.
E’ bello vedere che la set list cambia spesso . E’ stato duro per me non sentire “Chimes” o “Long black coat” dopo la set list di Vancouver. Dovrò digrignare i denti ancora per molto ?

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Tell Tale Signs : i commenti della stampa specializzata

Entertainment Weekly
Emozionante . Tell tale Signs salta le decadi per offirire una storia alternativa dopo un periodo di stanca . La rinascita creativa che è cominciata alla fine degli anni 80’ e che continua a dare frutti.

Uncut
Tell Tale Signs è inondato con evidenza di zig-zag mercuriali , la sua evidente determinazione anche in studio di ripetersi il meno possibile , canzoni riprese non solo per il perfezionamento , limare una canzone statica non per renderla definitiva , l’immaginazione sempre in movimento.

The Onion (A.V. Club)
Da quando Bob Dylan ha inaugurato le Bootleeg Series questo è una dei migliori

Rolling Stone
Tell tale Signs dinmostra che Dylan conosce i capricci del mondo dove vive , ora più che mai.

All Music Guide
Tell Tale Signs suona come un nuovo disco di Bob Dylan , non solo per la stucchevole freschezza del materiale , ma anche per l’incredibile qualità del sound e per il feeling che contiene.

Paste Magazine
Tell tale Signs dimostra che il lavoro di Dylan è più ricco di quanto previsto.

Boston Globe
Con un musicista così importante come Dylan , il nostro appetito di materiale fresco e nuovo trova nuovi tesori nel lavoro dell’artista. Tell Tale Signs , l’ottavo delle Bootleg Series , è una festa per i fans occasionali ma anche per i Dylanologisti.

Hartford Courant
Il risultato è una ricchezza di immagini musicali diverse , che da una luce affascinante al suo processo creativo in Tell tale Signs.

Observer Music Monthly
Non tutto è perfetto in Tell Tale Signs , I cinque pezzi live , in particolare , scelte non particolarmente ispirate , ma potreste perdervi in queste registrazioni.

The Guardian
L’Ottavo tesoro della Dylan Bootleg series di materiale non pubblicato e versioni alternative dimostra ulteriormente che non c’è mai niente di definitivo nel lavoro di Dylan, una grande istantanea dell’umore di un grande uomo.

Billboard
Il materiale dal 97’ offre molte sorprese , particolarmente la sognante versione di “Someday Babe” da Modern Times e la stridente “Dreaming of you” che non erano adatte a Time out of mind. Meno essenziali le versioni dal vivo , che dimostrano come l'imprevedibile fraseggio di Dylan può rendere trascendantale una canzone in quel momento (Lonesome day Blues che suona come un vero bootleg ) , irriconoscibili (“Things have changed”) o ordinarie ( “Cocaine Blues”).

Slant Magazine
Indubbiamente l’album offre più di qualche grande momento , quello che crea più disappunto è la insita celebrazione delle ultime due decadi della carriera di Dylan , c’è dentro questa idea di una qualche celebrazione.

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Video : Dylan in Vancouver

Tangled Up in Blue

It's Alright Ma, I'm Only Bleeding

All Along the Watchtower

Like a Rolling Stone

The Levee's Gonna Break

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SCRIVEVANO.......

Bob Dylan, il genio che guarda avanti

Repubblica — 20 aprile 2002 pagina 20 sezione: MILANO

Bob Dylan torna di sabato, come sempre senza nostalgie, per cantare davanti a un pubblico in perenne mutazione. Torna stasera al Filaforum di Assago, per raccontare storie nuove e anche vecchie, ma come se fossero nuove. Il viaggio del più grande cantautore mai esistito continua, per andare oltre la storia. Il 24 maggio Robert Zimmeman di Duluth, Minnesota, compie 61 anni. Per tornare a fare concerti, tempo fa ha esorcizzato una preoccupante malattia, ma non chiedetegli sempre Blowin' in the wind o Like a rolling stone. Dylan detesta commemorarsi. Come un altro "Gemelli" famoso, il grande Miles Davis, che rispondeva in malo modo a chi gli implorava di rifare i classici di una volta: «M...., è una musica che ho già suonato, adesso sto facendo altro». Bob non parla, ma ha sempre guardato avanti. E anche se non si sottrae alle richieste degli antichi reperti, li storpia talmente da consigliare ai nostalgici il silenzio. «Bob Dylan è oggi, non venitemi a ricordare il passato», sembra voler dire. Anche per questo continua a creare dischi più o meno belli, ma vivi, palpitanti, senza fronzoli o lifting alla voce che, fatalmente, non è più quella di un tempo. Time out of mind, l' album del 1997 prodotto da Daniel Lanois a New Orleans, era forse più felice dell' ultimo uscito l' anno scorso. Love and theft emana una comunicativa sorprendente, un' ispirazione tutt' altro che spenta. Dylan si vuole divertire esorcizzando l' incubo dell' età e mira dritto al cuore dello swing, alla faccia di chi lo vuole sempre coerente e rigoroso come il santone del folk impegnato che ha fatto leggenda. Con la voce gracchiante e ingolata ma sempre commovente di chi ha macinato concerti come il più invasato dei predicatori, l' intramontabile folksinger non disdegna le canzonette pop con retrogusto westcountry, il solito bluesaccio indelebile e perfino lo swing più nostalgico di Django Reinhardt e Stephane Grappelli. È lui il primo a sapere che da giovane aveva una voce migliore, idee più fresche e ideali più battaglieri. Ma fare musica e raccontare storie tra poesia e realtà sono le cose più stimolanti per uno che poteva essere Hemingway. E Dylan tiene molto a essere applaudito per quello che è ora. Anche sulla sua vocalità attuale si racconta il falso. Il canto nasale, con rigurgiti gutturali specie negli ultimi anni, è completamente costruito fino dalle origini. Lucidamente, con scaltra volontà di assomigliare ai rurali folksinger o bluesman del mito, Dylan se lo inventò fin da ragazzo. Oggi è sempre più difficile, per lui, controllare quei toni e quel suono. A volte, nelle serate più umide, il gorgoglio da paperotto che gli viene su è un po' imbarazzante e fa fatica a ritrovare l' intonazione giusta. Il concerto di oggi regala due ore e mezza di grande musica, pochissime parole: si comincia con Humming bird del duo Johnnie and Jack del ' 51 e si prosegue fino all' irrinunciabile Blowin' in the wind, passando per le bellissime canzoni dell' ultimo album. Alla fine resta una emozione: di un artista integro, trasparente, che odia la routine e non si vergogna di mettersi continuamente in gioco, senza rete e senza furbizie. In un mondo sempre più posticcio di copie e replicanti, Dylan e pochi altri (Neil Young, David Bowie, Peter Gabriel...) hanno il coraggio di rischiare con tutta l' esperienza del passato, certo, ma con una dannata voglia di capire il mondo che ci circonda. Anche senza essere più profeti (ma ci sono ancora ?), si può cantare il sogno e la malinconia con una voce che viene profonda dal cuore. E, nelle serate migliori, può essere ancora un canto di bellezza e libertà.
I BIGLIETTI/POCHI POSTI LAST MINUTE/ I cancelli aprono alle 18.30 e il concerto di Bob Dylan inizia alle 21: per gli spettatori solo posti a sedere. Chi vuole può azzardarsi e arrivare al Filaforum all' ultimo momento senza biglietto. Qualche posto infatti è ancora disponibile al botteghino. Gli organizzatori parlano di un centinaio tra i numerati del parterre e del primo anello, e di qualche centinaia nell' anello superiore tra i non numerati. I prezzi vanno dai 34,10 euro ai 23,30 euro. -


GIACOMO PELLICCIOTTI

 

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Lunedi 27 Ottobre 2008

Talking Bob Dylan Blues - Parte 429 -    clicca qui

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Set list : Vancouver, British Columbia - General Motors Place - October 24, 2008

1. Leopard-Skin Pill-Box Hat (Bob on electric guitar)
2. The Times They Are A-Changin' (Bob on harp)
3. Things Have Changed (Bob on keyboard)
4. Spirit On The Water (Bob on keyboard)
5. The Levee's Gonna Break (Bob on keyboard)
6. Tangled Up In Blue (Bob on keyboard and harp)
7. Summer Days (Bob on keyboard)
8. Make You Feel My Love (Bob on guitar, then keyboard and harp)
9. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding) (Bob on keyboard)
10. Visions Of Johanna (Bob on keyboard)
11. 'Til I Fell In Love With You (Bob on harp)
12. Desolation Row (Bob on keyboard)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Nettie Moore (Bob on keyboard)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)

(encore)

16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)

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Video : Bob Dylan Save On Foods Arena October 23, 2008

http://www.youtube.com/watch?v=5Y6Y3fJrw9I

http://www.youtube.com/watch?v=pKcDFmiUH94&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=U32EQP-QOog&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=34TIvaIY8-I&feature=related

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Dylan’s Secret Histories

Di Absolutely Queen Lucinda

Bene , non risolveremo mai il mistero del perchè Bob Dylan esclude qualcuna delle canzoni migliori che ha scritto dai suoi album ufficiali. Può essere che sia una specie di incurabile esistenzialista al quale non importa di preservare il suo lavoro nei termini di un catalogo definitivo delle sue registrazioni.
Forse immagina se stesso come l’archetipo dell’uomo sempre in movimento ( Ain’t talkin’”/Just walkin’” che sono alcuni dei “tagli”       ( se così vogliamo chiamarli ) più belli in questo album , palpitanti outtakes da "Modern Times" che suonano come se avessero 2.000 anni , più attinenti con la vita vissuta nel momento transfigurativo che si fossilizza dietro il vetro macchiato della posterità.
In uno o nell’altro senso , queste Bootleg Series albums salvano il senso di frustrazione di non aver mai udito le “Series of Dream” coninciate con “Oh Mercy” per la prima volta , o “Blind Willie McTell” e che si dissolvono infine con “Infidels”.
Per quanto riguarda oggi può essere un punto discutibile : potete mettere in sequenza le canzoni sul vostro Ipood , ma questo non cambia il fatto che Dylan ha costantemente ingannato tutte le notizie su ogni nuovo album , come fece con il trittico della metà degli anni 60’ , rimuovendo le canzoni principali . Può essere la sua una perversa versione del difetto internazionale di far sembrare oro l’ottone , oppure solo la crepa di Choen che lascia filtrare solamente un raggio di luce..

Non tutti i pezzi di "Tell tall Signs" sono indispensabili , ma la maggioranza è capace di zittire una sala affollata ( incluso il lento blues in “Mississippi” e la revisione ispirata di quel capolavoro di angustia e rammarico che è “ Most of the time”, reso qui in un modo più robusto con il lavoro di armonica e di chitarra ). Infatti , più della metà di questo materiale può reggere il confronto con il lavoro più fine di Dylan. Molto è stato raccolto a partire dalla sua stagione meno prolifica ( la maggior parte del 90') , così come il periodo millenario del revivalismo , da più elasticità a quella pausa.
L’aggancio dell’album ( Good as i been to you e World gone wrong ) si rifà ai sacri testi dei gospel ante-guerra , il blues e le standard folks non solo gli hanno permesso di ritrovare la sua scrittura , ma anche un nuovo ( o forse antico ) vocabilario e nuovi temi.

Non solo canzoni come “Red river shore” ( una gloriosa outtake dalle session di Time out of mind ) , ma anche la versione cruda e semplice della brutale “30-20 Blues” di Robert Johnson , o una non realizzata bellezza del dicembre 2005 chiamata “Can’t escape from you”.
Ci sono inoltre versioni live abbastanza spellate di “High water” e “Lonesome day blues” , più le superlative canzoni da colonna sonora di vecchia data “Huck’s tune” , “Tell ol’ Bill e l' inno della guerra civile “Cross the green mountain”.
La differenza fra “Born in time” , “Somebody baby” e “Can’t wait” e le precedenti versioni realizzate è così marcata , potrebbero essere canzoni diverse ( l’ultimo è il rivelatore ritratto di un Dylan come comunicatore di blues grezzi ). Tali ricalibrature apparentemente ad-hoc ci fanno pensare che le Dylan takes differiscono così radicalmente dalle prime , ma era una strizzatina d’occhio ai tempi prima di realizzare “Like a rolling stone” , oppure come se fosse un suonatore di piano da saloon waltz ?
Così qui c’è un’altra pagina dell’affascinante storia segreta di Bob Dylan , questo ci aiuterà ad avvicinarci ad un tranquillo Natale.
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JAKOB DYLAN - Seeing Things - (Columbia) 2008

di Gabriele Benzing

Ci sono voluti oltre quindici anni, a Jakob Dylan, per osare mettere quel nome sulla copertina di un disco. Dopo cinque album alla guida degli Wallflowers, ormai per l’ultimogenito di Bob Dylan e Sara Lownds era giunto il momento di intraprendere una nuova strada: dai fasti di “Bringing Down The Horse” al declino commerciale dei dischi successivi (pur riscattato dalla buona qualità dell’ultimo “Rebel, Sweetheart”), l’alt-country della band del giovane Dylan aveva ormai mostrato la corda. Così, Jakob ha scelto di ripartire dalla sfida più difficile: quella di mettersi alla prova senza più timore per un nome troppo ingombrante, portando con sé soltanto un pugno di canzoni folk nude ed essenziali.

Grazie allo zampino di un mentore del calibro di Rick Rubin, già deus ex machina delle “American Recordings” di Johnny Cash, l’esordio solista di Jakob Dylan introduce in uno spazio intimo e confidenziale, in cui ogni arpeggio suona nitido e concreto come una confessione. Il fremito asciutto della voce del songwriter americano si fa strada attraverso il dialogo costante delle chitarre acustiche e qualche rara increspatura di batteria: “volevo scrivere canzoni capaci di suonare come se esistessero da sempre”, spiega, “come se fossero state scolpite nella pietra”.
Il modello è senza troppi misteri quello dello Springsteen acustico, da qualche parte tra la tensione di “Nebraska” e la sobrietà di “The Ghost Of Tom Joad” e “Devils & Dust”. Jakob Dylan ne segue le orme con umiltà, lasciando da parte il lato più appariscente del suo passato pop-rock per attingere alla sorgente della tradizione. Il risultato è una genuina prova di cantautorato roots, che tuttavia riesce a spingersi solo in qualche episodio oltre i confini dell’omaggio ai canoni del genere.

Jakob Dylan punta a scrivere il suo classico con “Something Good This Way Comes”, in cui la carezza delle spazzole e l’incedere lieve del basso accompagnano un arpeggio soffuso, riappropriandosi della sensibilità melodica degli Wallflowers. Le cupezze folk di “Evil Is Alive And Well” e “I Told You I Couldn’t Stop” si insinuano con un’inquietudine sottile, mentre “All Day And All Night” insegue la suggestione del blues paterno, quasi si trattasse di uno dei traditional di “Good As I Been To You” o “World Gone Wrong”.
Sono piuttosto le smussature romantiche di brani come “Everybody Pays As They Go” o “Will It Grow” a rimanere troppo piatte, finendo per sfumare nell’uniformità di fondo del disco. Jakob Dylan dimostra il suo talento per le ballate più soffici in “Valley Of The Low Sun” e “On Up The Mountain”, ma il meglio lo riserva per la conclusiva “This End Of The Telescope”, che potrebbe appartenere al Costello di “King Of America”.

Fin dal titolo, il protagonista di “Seeing Things” è lo sguardo: Jakob Dylan osserva le cose intorno a sé e racconta quello che incontrano i suoi occhi, a cominciare dall’ombra del male che sembra albergare in ogni piega della realtà. “May be in a palace, it may be in the streets / May be here among us on a crowded beach / May be asleep in a roadside motel / But evil is alive and well”.
L’aridità dei tempi sembra soffocare ogni speranza, dal vento di guerra di “Valley Of The Low Sun” alla lettera dal fronte di “War Is Kind”. Sono le verità più semplici, allora, quelle a cui vale ancora la pena di aggrapparsi: la fatica spesa per costruire qualcosa con il proprio lavoro, come in “All Day And All Night”, la grandezza delle piccole scoperte di ogni giorno che punteggiano “Something Good This Way Comes”. Una finestra aperta sulla campagna, l’ombra del sole dell’estate, una donna al proprio fianco: qualcosa di buono ne verrà, come l’alba di un nuovo mattino.

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Vecchie interviste.........

Jakob Dylan : "Chiedetemi tutto, ma non di mio padre"...

La domanda "clou" arriva (inevitabile) , dopo che Dylan Jr. ha già passato metà del tempo a schivare domande sull'augusto padre. "Se i confronti col suo genitore le danno tanto fastidio" - chiede un giornalista per bocca di tutti o quasi i presenti - perché si ostina a
portarne il nome d'arte?". Ma Jakob non si scompone, e mette le cose in chiaro una volta per tutte: "E' così che sono registrato all'anagrafe. Non mi sono mai chiamato Zimmerman in vita mia".
Uno a zero per lui, e palla al centro. Ma le curiosità restano insoddisfatte, e l'atteggiamento del figliolo del grande Bob resta quantomeno sospetto. "Quel nome, all'inizio, è stato più un ostacolo che un vantaggio, e comunque lo porto con orgoglio", sibila a scanso di equivoci il bel tenebroso, di scuro vestito e con indosso un paio di occhiali neri che ricordano tanto il papà nel periodo beatnik e giovanile. Ma altro è impossibile strappare al giovane Jakob , Le risposte sono cortesi, ma secche e telegrafiche. Come quando fioccano le (prevedibili) domande sugli USA post-attentati, sulla politica estera di Bush e sulla guerra in Iraq. Non che altrimenti il ragazzo dispensi risposte molto più articolate. Ma così è se vi pare, e la sua non sembra spocchia quanto sincera riservatezza, dopo tutto.
Difficile tirarlo fuori dal guscio, Dylan Jr. "Se mi fanno piacere i Grammy e i milioni di copie vendute? Certo, è come ricevere delle pacche sulle spalle per il buon lavoro svolto, e poi vendere tanto significa raggiungere milioni di
persone. Il successo, inoltre, ci ha anche garantito maggiore libertà artistica". Diventerà attore? Con quella faccia, potrebbe permetterselo? "Mai dire mai. Ma per il momento trovo già abbastanza duro recitare nei videoclip...". Veste ancora Armani? "Certo, io e gli altri ragazzi della band nutriamo grande stima nei suoi confronti". E i suoi gusti musicali? "All'età di 12-13 anni ascoltavo i Clash, i Jam e gli X. Poi, da loro, sono risalito alle fonti: i Beatles, Lee Dorsey, il reggae". E le canzoni di suo padre? Jakob scuote la testa e cambia discorso.

Fonte > rockol, ottobre 2002

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Il ritorno di Leonard Cohen                                       clicca qui

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I GRUPPI "MITICI".......

Chicago- Gimme Some Lovin' "Live" 1982               clicca qui

 

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Domenica 26 Ottobre 2008

ROY ORBISON

 

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Sabato 25 Ottobre 2008

SET LIST:Victoria, British Coumbia - Save On Foods Memorial Centre - October 23, 2008

1. Rainy Day Women #12 & 35 (Bob on guitar)
2. Man In The Long Black Coat (Bob on keyboard)
3. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on keyboard)
4. Girl Of The North Country (Bob on keyboard)
5. High Water (For Charlie Patton) (Bob on keyboard, Donnie on banjo)
6. Chimes Of Freedom (Bob on keyboard)
7. 'Til I Fell In Love With You (Bob on harp)
8. A Hard Rain's A-Gonna Fall (Bob on keyboard, Donnie on electric mandolin)
9. Honest With Me (Bob on keyboard)
10. Just Like A Woman (Bob on acoustic guitar)
11. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding) (Bob on keyboard, Donnie on banjo)
12. Beyond The Horizon (Bob on keyboard and harp)
13. Highway 61 Revisited (Bob on keyboard)
14. Ain't Talkin' (Bob on keyboard, Donnie on viola)
15. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)

(encore)

16. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard and harp)
17. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)

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REVIEW : Victoria, British Columbia - Save On Foods Memorial Centre - October 23, 2008

Date a Bob Dylan il Nobel per la letteratura ! Dateglielo ORA!
Le parole di queste canzoni-poesie evocano questa reazione. Questo dice la gente.
I soggetti sono attuali e senza tempo , è ora di darglielo.

Lo show è stato superbo. Avendo visto pochi shows in passato , questo devo dire che è partito alla grande con Bob e la sua band.
“Rainy day women” eccitante e solida. Il suono era buono per una grande arena da hockey e le parole erano chiare.
“Stuck inside of Mobile” è sempre presentata bene e stasera non ha fatto eccezzione.
Il nuovo arrangiamento di “North Country Fair” è stato bello e la gioia delle parole lo completava.
Il banjo in “High water” era in primo piano e metaforico.
La stessa cosa quando Dylan ha cantato “Chimes of freedom” , “Hard rain” e “It’s alright mama”, e le politiche , la libertà e il terrore di una nuova guerra sono state presentate come l’odierna urgenza del mondo.
Dylan e la band hanno dato “big times rock”. “ Honest with me” , “Highway 61” e “Thunder on the mountain” hanno scioccato il pubblico dalla testa ai piedi.
A volte sembrava ci fosse un’aritmia che poteva essere sistemata nel sistema circolatorio del cuore, ma era tutto ben ascoltabile e suonato con precisione.
Il meglio è stato durante “Just like a woman” quando Dylan ha avuto problemi con la sua tastiera che ha dovuto lasciare per permettere ai tecnici di palco di intervenire.
Per “Just like a woman” ha suonato la chitarra e con quella si è animato ed era evidente che l’aveva fatto per noi.
Alla fine di “Highway 61” si è tolto il suo cappello bianco rivolgendolo al pubblico.
“Beyond the horizon” era un pò scombinata nel suono , ma il cantato è stato grande.
La mia più recente favorita è “Ain’ìt talkin” e stasera è stata veramente una gemma.
Gli encore sono stati “LARS” e “All alongthe watchtower” , ambedue suonati con finezza.
In “All along” , alla fine delle strofe , Dylan ha allungato le mani verso il pubblico diverse volte , facendo coppia con un elegante movimento dei piedi ed il piegamento delle ginocchia , è stato un Dylan in grande spolvero.
Non molti possono essere rock come questa band. Più importante , le parole erano messe in risalto nel contesto della musica da una band eccellente.

by Jerry Tenenbaum & Lucretia van den Berg
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Jakob Dylan: ‘Mio padre era così affettuoso’

Jakob Dylan ha rilasciato un’intervista al New York Times in cui ha parlato del suo rapporto con il celebre padre, Bob Dylan. “Era un papà affettuoso”, ha raccontanto il musicista. “Veniva a tutte le partite di baseball quando ero piccolo”. (Fonti: Quotidiano Nazionale, Corriere della Sera)
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Jakob Dylan racconta il suo nuovo album e la fatica di essere un figlio d'arte

Jakob Dylan, figlio ventinovenne di Bob, ha pubblicato il suo primo album solista: "Seeing things" (vedi News).
Il genere musicale è quello ereditato dal padre, il folk, anche se "lui ora pensa molto più al rock' n' roll, così non gli faccio molte domande", come ha raccontato l'ex Wallflower.
Dylan junior è soddisfatto del suo lavoro, realizzato in collaborazione con il produttore Rick Rubin: "Ho pensato che fosse la persona giusta per questo particolare disco, del resto chiunque vorrebbe lavorare con lui", ha spiegato.
Jakob ha poi parlato anche di un'altra collaborazione, quella che lo ha portato a incidere una cover di "Gimme some truth" con un figlio d'arte come lui, Dhani Harrison, pargolo dell'ex Beatle George.
"Stavo lavorando a questo pezzo che mi avevano chiesto di fare nel tributo a Lennon per il Darfur", ha raccontato il giovane Dylan, "Dhani e io siamo amici, è un bravo cantante, e l'unica ragione per non invitarlo sarebbe stata proprio il dover sopportare la cosa dei  'figli di'... ma lui è bravissimo, così lo abbiamo fatto".
L'ipotesi di realizzare una cover di suo padre Bob resta invece per ora solo una lontana possibilità: "Forse qualcuno prima o poi me lo chiederà, vedremo". (Fonti: La Repubblica e Corriere della Sera)

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Tom Waits intervista sé stesso: ‘Siamo scimmie con soldi e pistole’

Che Tom Waits fosse una persona originale era risaputo, ma nonostante ciò non smette di sorprendere: l’artista (che sarà a Milano a luglio, vedi News) ha intervistato sé stesso sul blog della sua etichetta, la Anti.
Tra le domande che Waits si pone ce n’è una sui suoi prossimi concerti, che anticipa così: “Ho una band stellare. Suonano con la precisione di una macchina da corsa e sono tutti prestigiatori. Con loro faccio canzoni che non ho mai osato fare fuori dallo studio”.
Nel corso dell’auto-intervista, Tom stila anche una classifica dei suoni che preferisce: al primo posto ricorda un nastro bagagli asimmetrico, seguito dalla voce dei predicatori di strada, le gru di Manhattan, la voce della moglie quando canta, cavalli e treni in arrivo, i bambini all’uscita da scuola e molti altri.
L’ultima questione sulla quale Waits si interroga è questa: cosa non va nel mondo? “Siamo sepolti dal peso dell’informazione che molti confondono con la conoscenza. Siamo scimmie con i soldi e la pistola”.

(Fonte: Corriere della Sera)

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Onore a Tom Waits, consegnate le chiavi di El Paso in Texas
A Tom Waits, californiano, sono state donate le chiavi di El Paso, Texas. L’onore, non più particolarmente frequente, affonda le proprie radici in epoca medievale ma viene reso anche da città che in quel periodo storico non esistevano. Come appunto El Paso, fondata nel 1659 dai conquistadores spagnoli. L’onorificenza è stata tributata all’artista durante il suo concerto al Plaza Theatre e, a quanto pare, Waits non sapeva che l’avrebbe ricevuta. A un certo punto sul palco è salito un poliziotto in uniforme e, subito dopo, Susie Boyd del Consiglio comunale. La Boyd ha conferito a Tom una targa alla quale erano attaccate le chiavi della città. Waits è parso sinceramente sorpreso e ha detto: “E’ la prima volta che ricevo una cosa simile, davvero la prima volta”.

(fonte : rockol.it)

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Ieri era il compleanno di Bill Wyman , tanti auguri da Maggie's Farm

24 Ott 1936 - Nasce Bill Wyman, ex bassista dei Rolling Stones, part-time leader dei Rhythm Kings.
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Ray Manzarek al Daily Mail: 'Jim Morrison è vivo e abita alle Seychelles'

Una boutade estiva tanto per non dare la solita risposta alla solita domanda? Probabile, ma la dichiarazione rilasciata da Ray Manzarek al Daily Mail vale comunque una segnalazione: secondo l'ex tastierista dei Doors il leggendario Jim Morrison, "ufficialmente" scomparso a Parigi nel 1971, sarebbe ancora vivo. Il cantante, che prima di trasferirsi in Francia avrebbe confidato all'amico l'intenzione di inscenare la propria morte per sfuggire alla notorietà, oggi sarebbe - sempre secondo Manzarek - residente alle Seychelles.

(Fonte: Corriere.it)

 

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Venerdi 24 Ottobre 2008

...ARE TIMES A-CHANGIN'?

L'intervista con Toni Nardo

di Mr.Tambourine                        clicca qui

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La risposta soffia nella Bibbia

Le Sacre Scritture come pre-testo della canzone americana popolare e d'autore
di Luca Miele

"Il re ordinò che fossero legati / e gettati nella fornace ardente". Il re di cui si parla è Nabucodonosor, la fornace attende chi non adorerà "l'idolo d'oro". Siamo dinanzi ai versi di una canzone di Johnny Cash, The fourth Man. La fornace ardente a cui allude il testo (fiery furnace), prima di essere un luogo comune del romanzo americano, le cui tracce sono tanto nel melvilliano Moby Dick che nei racconti di Hawthorne, è estrapolata da un brano biblico. Per narrare la sua personale (e sofferta) redenzione, Cash sceglie di interpretare un passo del profeta Daniele. Come è accaduto a Sadrach, Mesach e Abdenego nel passo biblico, Cash sente di avere camminato nelle fiamme e di esserne uscito, soccorso da un misterioso "quarto uomo". Quello del corpo a corpo con le Sacre Scritture non è solo la cifra poetica del cantante scomparso nel 2003, ma un tòpos ricorrente nella canzone popolare americana. Mediata dal grande patrimonio afroamericano dei gospel, nel quale il cristianesimo ha riversato il suo patrimonio figurale, lessicale e simbolico, la canzone Usa ha attinto a piene mani dal testo biblico, spingendosi in alcuni casi fino alla citazione letterale. Insomma se c'è un pre-testo che percorre l'intero mondo della canzone americana, popolare e d'autore, è proprio la Bibbia. La Bibbia ha fornito immagini, simboli, un intero linguaggio, come si addice a un testo fondativo, ad alcune delle più significative voci americane.

Questa appropriazione è rintracciabile anche in personalità che la critica ha sempre dipinto come distanti dalla fede. Come Woody Guthrie, una delle figure più intense del panorama musicale americano, cantore dei diseredati, delle vittime della Grande depressione, degli esclusi dal sogno americano. Ebbene Guthrie intitola una canzone a Gesù (Jesus Christ), nella quale attinge ai Vangeli con grande attenzione filologica per fare del suo personale Messia un'incarnazione della lotta per la giustizia. Gesù, canta Guthrie, "aveva viaggiato in lungo e largo" (Matteo, 8, 20 e Luca, 9, 58), era un falegname (Marco, 6, 3), venuto "a portare non la pace, ma la spada" (Matteo, 10, 34), il cui insegnamento è di dare tutto ai poveri (Matteo, 19, 21; Marco, 10, 21; Luca, 18, 22). E la convinzione che "i poveri un giorno erediteranno il mondo", espressa nel brano, trova la sua base scritturale nel Discorso della montagna.

Chi è profondamente debitore del mondo poetico di Guthrie è Bruce Springsteen al quale si deve una riscrittura del personaggio di Tom Joad, protagonista del romanzo Furore di John Steinbeck, già cantato dallo stesso Guthrie. La produzione di Springsteen è disseminata di simboli, motivi e citazioni bibliche, in particolare per dire la salvezza e l'ansia di redenzione. Il tragitto che nella sua ormai trentennale carriera Springsteen fa descrivere ai suoi personaggi è infatti un progressivo abbandonare l'oscurità per approdare in un territorio di luce. Se in un brano giovanile, il cantante attinge all'Esodo e alle immagini del deserto per proclamare la sua fede nella Terra promessa (The promised land), in una canzone della maturità - Across the border - la salvezza è declinata, come ha notato Antonio Spadaro, con le parole del Salmo 23. Ma è soprattutto nei brani di The rising, composti dopo l'11 settembre, che il linguaggio di Springsteen assume coloriture sempre più religiose. In The rising (il verbo to rise significa ascendere, sollevarsi, resuscitare) un pompiere corre verso l'alto, nelle mai nominate Twin Towers. L'uomo risponde alla "croce della sua chiamata". Sale con un macigno sulle spalle, ha perso la sua strada nell'oscurità per quanto è salito, non riesce a vedere nulla davanti a sé e niente alle sue spalle, non sente nulla se non la catena che lo lega. Incrocia facce annerite, occhi che bruciano. Si imbatte in spiriti: sono "sopra e dietro" di sé. Il nominare gli spiriti indica qui la frattura della realtà. Siamo ancora in questa vita? Nell'altra? Sono persone vive? Sono anime? Quello che è certo è che siamo ormai in un'altra dimensione. Negli attimi che precedono la morte, l'io poetico vede l'immagine "sacra" dei suoi figli danzare in un cielo di luce. L'uomo giunge a trovarsi faccia a faccia con "la luce incandescente del Signore". Il fuoco, che Springsteen nomina quando canta di un "vento infuocato", è lo Spirito. Qui riecheggia la parola biblica: lo Spirito santo è il vento (Giovanni, 3, 8) che avvampa il fuoco, Spirito e fuoco sono una cosa sola (Atti degli apostoli, 2, 2-3). Nella sua carriera, Springsteen ha incontrato il patrimonio musicale di un altro storico cantore Usa, Pete Seeger, il cui brano Turn! Turn! Turn! è una riscrittura di un passo dell'Ecclesiaste (3, 1-8).

L'autore, che più di altri ha contribuito a rivoluzionare il linguaggio non solo musicale del rock, fino a fare esplodere i limiti della forma-canzone, forzando i confini tra poesia e musica, rock e tradizione popolare è Bob Dylan. Ha scritto Alessandro Carrera, "sarebbe troppo poco dire che Dylan legge la Bibbia, cita dalla Bibbia, si fa ispirare dalla Bibbia. Dylan è letteralmente attraversato dalla Bibbia, annega nella Bibbia e con la Bibbia risorge alla superficie. Non c'è quasi allusione oscura nelle sue canzoni che non sia riconducibile a un riferimento biblico". E allora, sul filo del lavoro esegetico compiuto da Carrera, prendiamo in esame uno tra i più celebri brani di Dylan, All along the watchtower. "C'è troppa confusione/ non riesco a trovare pace", canta Dylan. Ma di una "città della confusione" e di una "torre di vedetta" c'è traccia in Isaia (24, 10 e 21, 5). Mentre dell'ora che si fa tarda e del dovere di stare in guardia, come ricorda ancora Carrera, ci si può riferire a Matteo (24, 42-43). Ancora nel testo di Dylan fanno irruzione uno "sciacallo", l'ululato del vento, l'avvicinarsi di due cavalieri, tutti segni della distruzione che si avvicina. Il riferimento è alla caduta di Babilonia. I rimandi alla Bibbia sono presenti anche in altre composizioni di Dylan. Si pensi ai celebri versi di Blowin' in the wind nei quali è richiamata l'immagine della colomba (Genesi, 8, 8), o a quelli di Highway 61 revisited nei quali il mancato sacrificio di Isacco (Genesi, 22, 3) si compie sotto la minaccia di essere "deportati" lungo la highway 61.

L'ossessione della morte e della caduta permea un brano di Tom Waits Dirt in the ground nel quale è richiamato Ezechiele 37, 4: "Caino uccise Abele con una pietra / il cielo si squarciò / il tuono risuonò // Potranno queste ossa asciutte rivivere lungo un fiume di carne? / Chiedilo a un re o a uno straccione / la risposta sarà sempre / saremo tutti / polvere nella terra".

Il "polvere sei e polvere tornerai" (Genesi, 3, 19) riecheggia anche in un brano di Steve Earle, Ashes to ashes, apparso nel controverso album Jerusalem, nel quale è presente anche un'allusione all'episodio della torre di Babele (Genesi, 11, 9): "Faresti bene a tenere a mente / che ogni torre cadrà / non importa quanto forte possa essere / un giorno ogni grande muro si sbriciolerà / ogni idolo cadrà / Polvere alla polvere / cenere alla cenere". In Jerusalem, un presente ingoiato dalla violenza si scioglie nella visione escatologica, quando "il lupo e l'agnello pascoleranno insieme" (Isaia, 65, 25).

(©L'Osservatore Romano - 22 ottobre 2008)

Grazie a Marina per la segnalazione

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Le cover fatte da Bob Dylan                               clicca qui

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"I'M NOT THERE"     di Alessio Brunialti      clicca qui

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Tutti i video di Al Diesan                                     clicca qui

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I GRUPPI "MITICI".......

Moody Blues - Go Now                                        clicca qui

 

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Giovedi 23 Ottobre 2008

Rollingstone , Winona County , Minnesota

Lungo la Highway 61 , allontanandosi dal Minnesota , si passa per due città chiamate Minnesota City e Rollingstone. La storia comincia con un pazzo utopista ed i suoi seguaci, che presto diventeranno le sue vittime in uno degli episodi più orrendi nella storia dello stato del Minnesota.
La colonia di Rollingstone era un cosa piccola il partito di Donner, anche se molto meno famosa. Inoltre ricorda un pò la storia della “Bear Mountain Picinic Massacre” , e certamente aggiunge una nuova dimensione alla canzone “Like a Rolling Stone”.
Nel 1851, uno stampatore di New York persause un gruppo di professionisti di New York di unirsi a lui per fondare una comunità utopistica. Iniziarono costruendo una piccola città ben progettata verso ovest nel clima di promozione del nuovo territorio del Minnesota. La città doveva essere chiamata Rollingstone.
Il Capo , partì da solo verso l'Ovest , e quando 400 persone lo raggiunsero , furono stupiti di trovarlo accampato vicino ad una palude malsana e puzzolente. Le donne ed i bambini si accamparono sotto una grande tenda , mentre gli uomini vicino ai pozzi di Gopher. Circa tre quarti di quelle persone morirono in poco tempo per le epidemie che spazzarono la regione.
Attesa. Cominciarono a chiedersi il perchè erano venuti a vivere in quella zona....
Ad ogni modo i superstiti fondarono Minnesota city . Un piccolo villaggio distante due miglia è oggi chiamato Rollingstone. Stabilire in quale delle due città si era stabilita la colonia di Rollingstone e quale erano le relazioni fra di esse è cosa davvero difficile.
In ogni caso , sto pensando più a Bob Dylan e alla prima metà degli ammi 60’.
Sembra impossibile che un “Minnesotan” possa aver scritto una canzone chiamata “Like a rolling stone” , che spiega cosa vuol dire trovarsi tutto solo ed evitato da tutti laggiù nella nuova frontiera , che l’ha messa in un album chiamato “Highway 61 Revisited” senza conoscere minimamente la storia della Colonia di Rollingstone.
D’altra parte , molte cose reali sono ugualmente difficili da credere , e non era certamente la prima volta che Dylan appariva così rilevante , la sua enfatica immaginazione può far pensare che possa averlo fatto.
Potrebbe essere solo una coincidenza , ma bisognerebbe fare delle ricerche per capire se Dylan fosse al corrente della storia di questo incidente , ma al momento le ricerche sono ferme.
Inoltre non sò se qualcuno abbia mai chiesto a Dylan se avesse mai sentito direqualcosa al riguardo della Colonia di Rollingstone giù sulla Highway 61.

(Fonte : Cathy Wurzer ha pubblicato un libro intitolato : Storie della strada : Highway 61 , ne cita la storia in due pagine-
Christofer M. Johnson in un suo articolo sulla “Minnesota History” racconta molti dettagli su come la comunità arrivò nel Minnesota.)

Dal 1841 al il 1891 più di 72.000 lussemburghesi hanno lasciato il loro paese d'origine per emigrare in America per trovare lavoro e in cerca di nuove terre , spinti dalla sovrapopolazione e dal loro senso dell’avventura.
Verso la metà del 1850, era possibile acquistare un biglietto in Lussemburgo per andare a New York City con la nave, e quindi prendere il treno , Illinois, Milwaukee, Wisconsin, Winona e St.Paul, Minnesota. In questo modo la prima colonia di lussemburghesi è giunta nella località fondando due borggi che verrnno chiamati Minnesota City e Rollingstone , nel corso dei decenni successivi diventerà uno dei più grandi insediamenti di cittadini Lussemburghesi negli Stati Uniti d’America.
I primi coloni furono i fratelli di Hilbert Godbrange, Nick Kimmel, Stoos Pietro, e Pietro Erpelding , Galles, Hoffmans, e Lehnertz da Heffingen. Questi nomi sono ancora la maggioranza nelle famiglie di Rollingstone. Prudenti, frugali, stretti nella loro la Comunità profondamente religiosa; molto presto dopo il loro arrivo, i piccoli negozi e magazzini del villaggio di Rollingstone cominciarono a sorgere lungo la Main Street, e una chiesa in legno fu eretta come un simbolo del profondo legame dei lussemburghesi al cattolicesimo romano.
Ancora oggi a Rollingstone ci sono persone che parlano la lingua lussemburghese. Alcuni cittadini celebrano ancora il Giorno di San Nicola. E' consuetudine che alla vigilia della Festa di San Nicola, 6 dicembre, "St Nick" porti ai bambini sacchetti di caramelle, noci , mandorle e frutta. Un'altra tradizione è la cena lussemburghese nel mese di gennaio in cui una Festa di “tripen” (salsiccia di sangue) e di altri prodotti alimentari del Lussemburgo sono serviti. I residenti sono 657 , e Rollingstone è considerato il più piccolo villaggio della contea di Winona , Minnesota.

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Canzoni di Dylan e Springsteen citate dall’Osservatore Romano     clicca qui

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LIVE 1966: THE ROYAL ALBERT HALL CONCERT

Bob Dylan - Columbia (CD)

Con il passare degli anni anche il rock, come il jazz, inizia ad avere i suoi momenti di storia negli archivi, le sue incisioni epocali che vengono fuori alla distanza, oppure anche e semplicemente i suoi concerti storici. Dello show tenuto a Londra da Dylan il 17 maggio 1966 si diceva fosse il bootleg più famoso di tutti i tempi, e non solo per la qualità della musica in esso contenuta. "Live at the Royal Albert Hall" immortala un momento di passaggio di Dylan, tanto artistico che creativo: non bisogna dimenticare infatti che è da Newport 1965 che l’artista si propone al pubblico con le chitarre elettriche e una formula rock che trova scontenti i fanatici e i puristi del folk, dopo un avvio di carriera riservato alla chitarra acustica. All’interno di questo album potrete ascoltare l’indisponenza del pubblico, che lo fischia e gli grida "Giuda", e Dylan di rimando dire al microfono: "Non vi credo, siete dei bugiardi". Ma il 1966 è un anno importante anche per un altro motivo: è l’anno in cui esce "Blonde on blonde", un epico doppio album che mostrava al mondo quanto la creatività e la poesia di questo album mettessero Dylan su un altro pianeta rispetto al resto dei propri contemporanei. E’ l’anno alla fine del quale Dylan - in fase di rinnovo contrattuale - avrà un pauroso incidente motociclistico dal recupero del quale nasceranno i nastri di un altro disco epocale, "The basement tapes", realizzato in compagnia di The Band. Proprio il gruppo di Rick Danko e Robbie Robertson, con il nome di Hawks, accompagna Dylan nella parte elettrica di questo live alla Royal Albert Hall. Insomma, quel 1966 è una sorta di storico crocevia per Dylan e per il suo immacolato songwriting, che su questo doppio dal vivo da una bella, anzi egregia, prova di sé. Come le "Sun sessions" di Elvis, come il "Black album" di Prince, un’altra pagina di storia ha trovato finalmente il suo posto sugli scaffali.

Tracklist:
CD1 - acoustic set
1. She belongs to me
2. 4th time around
3. Visions of Johanna
4. It’s all over now baby blue
5. Desolation row
6. Just like a woman
7. Mr. tambourine man

CD2 - electric set
1.Tell me mama
2. I don’t believe you
3. Baby let me follow you down
4. Just like tom thumb’s blues
5. Brand new leopard skin pill box hat
6. One too many mornings
7. Ballad of a thin man
8. Like a rolling stone


(fonte : rockol.it)
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Leonard Cohen ebreo con l´anima zen        clicca qui

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Novara : Rassegna Scrittori & Giovani      clicca qui

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SCRIVEVANO.......

50 anni di Rock

Cinquant'anni di rock: per sempre giovane Da Bill Haley agli U2, in mezzo Beatles, Stones, Pink Floyd, Clash, Springsteen... In 170 pagine con immagini inedite  dei grandi strumenti.
All'inizio fu Bill Haley. E alla fine, oggi, tutti gli devono qualcosa. Quel brano con i suoi Comets, Rock Around The Clock, nel 1956, aprì la strada della nuova musica. Un po' copiata (o «rubata») ai neri, un po' rivista e corretta per essere accettata dal pubblico bianco e giovane, comunque già allora capace di essere (e assorbire in sè) tutto e il contrario di tutto. Il rock compie mezzo secolo, cinque decadi in cui, accomunati da un'unica storia, troviamo Bob Dylan e i Ramones, i Beatles e i Pink Floyd, i Rolling Stones e Prince, Ray Charles e Bruce Springsteen. Stili e forme diverse, influenze soul e R&B mescolate al folk e al country, glam  o hard rock accanto al progressive, il punk distruttivo e la psichedelia.
L'Europeo in edicola in questi giorni, con le scelte di articoli e testi coordinate da Riccardo Bertoncelli, racconta la storia di questi 50 anni attraverso i personaggi-simbolo che ne hanno scritto le pagine musicali più memorabili. E soprattutto con una serie di bellissime foto in bianco e nero, quasi sempre scattate nei momenti privati, fuori dalle sale d'incisione o dai luoghi dei concerti. Ci sono i Beatles durante le riprese di «A Hard Day's Night», i Led Zeppelin nei camerini, gli Stones in una villa Costa Azzurra, Bob Dylan con il figlio Jesse nella casa di Byrdcliffe, James Brown con i soldati americani durante la guerra in Vietnam, Crosby Stills & Nash, insieme a Joni Mitchell in auto a Los Angeles. Le date del racconto de l'Europeo coprono l'arco di cinque decenni in cui la musica che sembrava destinata a essere una moda giovanile effimera è diventata adulta e, ora, persino «anziana» se si considera l'età di protagonisti come gli Stones, ultrasessantenni, che ancora affrontano tour mondiali e registrano album di puro rock 'n' roll. Tra chi non c'è più, come Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix, e chi è sopravvissuto a eccessi e droghe riuscendo a diventare un mito vivente, rimane la sensazione, anche visiva, che il meglio sia stato scritto tra la metà degli anni Sessanta e la metà dei Settanta. Ma anche che il rock è capace ogni volta di smentirci e di rinascere, alla faccia di quanti ne decretano periodicamente la fine. A prescindere dagli interperti, questa musica realizza l'auspicio di una delle più famose canzoni di Dylan: per sempre giovane, anche a cinquant'anni compiuti.

(fonte : corriere.it)

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I GRUPPI "MITICI".......

The Yardbirds - For your love ( il chitarrista è Jeff Beck )   clicca qui

 

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Mercoledi 22 Ottobre 2008

Domani sera riparte il neverending tour

October 23, Victoria, British Columbia -- (Thursday)
Save On Foods Memorial Centre
Showtime: 7:30 PM
Capacity: 7,400

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Dylan può permettersi di fare quello che vuole

E' indecifrabile, Bob Dylan. Lo è stato sempre, e anche quando usa parole semplici e dirette in realtà è un'apprenza, si tratta di fumo negli occhi di chi gli sta davanti. Così il titolo dell'ultimo disco di studio, “Modern times”, suona come una beffa bella e buona.
Perché non c'è nulla di moderno in lui, che fa dischi quando gli pare (è il primo lavoro di studio da “Love and theft”, 2001; lui che va sempre in tour senza mai smettere; lui che ultimamente si veste come una via di mezzo tra un cowboy e un signore del sud degli Stati Uniti. Non c'è nulla di moderno in Dylan, che anticipa l'uscita del disco con un'intervista a Rolling Stone in cui spara a zero sulla musica odierna, rea di saturare di troppi suoni ogni canzone, condendo il tutto con un sarcastico commento sulla musica digitale (più o meno: “si fa bene a scaricarla gratis, tanto non vale niente comunque...”).
Ha ragione Dylan, a dire che oggi la musica è troppo “carica”; dall'alto della sua statura si può anche permettere un'anacronistica nostalgia del vecchio e caldo vinile, opponendolo al freddo digitale (una vecchia polemica, a suo tempo portata avanti anche da colleghi altrettanto illustri come Neil Young). Dylan si può permettere qualsiasi cosa, finchè farà dischi come questo.
“Modern times” non è un disco né moderno, né d'altri tempi: è semplicemente senza tempo. 10 canzoni che potrebbero essere state scritte da 1 giorno come da un secolo, per come veleggiano agili tra le diverse radici e i diversi suoni dell'America: c'è di tutto, qua dentro, dal blues al rock, dal jazz al country. E sopratutto c'è una leggerezza incredibile, un suono volutamente essenziale e scarno, ma pulito e preciso, molto di più che in “Love and theft” e “Time out of mind”: ecco riemegere le belle contraddizioni dell'uomo, che da un lato disprezza il suono moderno, ma poi sfrutta al meglio e a suo modo le moderne tecniche di registrazione.
A fare grande Dylan, come al solito, sono le canzoni, davvero senza tempo: come hanno notato quelli di Billboard, brani come il blues “The levee's gonna break” (“L'argine sta per cedere”) potrebbero parlare della recente tragedia di New Orleans come di un'inondazione d'inizio secolo. E anche quando parla apertamente del giorno d'oggi (la citazione di Alicia Keys nell'iniziale "Thunder on the mountain”, che Dylan dice di avere cercato e inseguito fino nel Tennessee) non lo si può prendere troppo sul serio. Sono canzoni belle non tanto per i testi (è difficile astenersi da una recesione sulle parole, quando si tratta di Dylan, e non dubitiamo che questo è l'esercizio in cui si cimenterà la maggior parte dei critici), ma per l'insieme di parole, musica e interpretazione. Ed è bello, per una volta, notare che Dylan non calca troppo la mano nel rendere la sua voce insopportabile: a parte alcuni casi (il tono mooolto nasale di “Spirit on the water”) sembra quasi concedere al suo pubblico un timbro riconoscibile e familare.
Insomma, un Dylan in forma, sopratutto nelle ballate come la finale “Ain't talkin'”, dilatata all'inverosimile (quasi tutti i brani sono oltre i 6 minuti, nessuno è inferiore ai 5). Un Dylan che può davvero permettersi quello che vuole, e non per la sua storia, ma per quello che fa oggi.

di Gianni Sibilla (fonte : rockol.it)

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Arthur Rimbaud ... da allora la poesia non è più la stessa

Smise di scrivere a soli ventuno anni dopo aver fatto a pezzi la poesia intesa in senso tradizionale. L'armonia, la rima, il ritmo, dopo di lui non hanno più senso. La parola e il verso divengono simbolo, significante dell'ignoto che alberga nell'animo; il poeta assume il ruolo  di rivelatore, di veggente. La vita sregolata, gli eccessi, l'oppio, l'omosessualità nella relazione con Verlaine, gli attacchi sferzanti e dissacranti contro i maggiori intellettuali del tempo fanno di questo poeta maledetto l'antesignano della letteratura del Novecento.      Arthur Rimbaud è colui che ha inventato la nuova poesia. (Giulio P.)

"Un hydrolat lacrymal lave
Les cieux vert-chou:
Sous l’arbre tendronnier qui bave,
Vos caoutchoucs"

"Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa, ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca se stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni per serbarne la quintessenza, ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la sovrumana forza, e dove diventa il gran malato, fra tutti, il gran criminale, il gran maledetto, e il supremo Sapiente! Infatti giunge all'Ignoto! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Giunge all'Ignoto. Egli ha un incarico dall'Umanità, dagli animali anche: dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue scoperte. Se quel che riporta di laggiù ha una forma, dà una forma: se è informe dà l'informe..." (Arthur Rimbaud ... da "La lettera del veggente").

giulio65
(fonte : .bloog.it)

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Gli anni 60' non erano solo belle canzoni     clicca qui

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Milano : Rock'n music planet

Aperta in una struttura di acciaio e vetro in piazza Duomo, a Milano, il Rock'n'Music Planet, la mostra con la più grande collezione d'Europa di memorabilia del rock'n'roll, da Elvis Presley a Woodstock, dal Live Aid ai giorni nostri.
Aperta tutti i giorni, fino al 15 marzo, dalle 10 alle 22, l'esposizione presenta la collezione di Red Ronnie: strumenti, locandine, autografi, poster, oggetti, foto, riviste, interviste video, vestiti, ma anche poesie di chi ha fatto la storia del rock. L'esposizione, che comprende 30 opere di Marco Lodola, si snoda tra pezzi unici come le chitarre di Jimi Hendrix, George Harrison e Kurt Cobain, i testi di Jim Morrison, gli scritti di John Lennon, la batteria degli Animals o l'armonica di Bob
Dylan, senza dimenticare i grandi appuntamenti benefici organizzati da Geldof e Pavarotti.

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SCRIVEVANO.......

BOB DYLAN, LA ' RECHERCHE'

Repubblica — 31 ottobre 1992 pagina 25 sezione: MUSICA

PER celebrare in qualche modo questi prodigiosi trent' anni di musica, come è nel suo stile, Bob Dylan ha scelto la strada più dimessa, meno trionfalistica. Il nuovo album "Good as I been to you" (ed. Columbia) è un romantico, alieno, anacronistico invito ad uscire dai suoni della nuova era tecnologica, a ripensare alle origini, all' innocenza e alla purezza del blues e delle canzoni folk che sono alla base di tutta la odierna musica popolare. Per la prima volta nella sua eccentrica carriera Dylan ha inciso un intero disco di canzoni non scritte da lui. Lo aveva fatto in parte proprio trent' anni fa, nel suo primo disco, poi lo aveva fatto in modo sublime e burlesco in alcuni episodi di "Selfportrait", vedi la sua languida e decadente "Blue moon", e in altre sparute occasioni. Ma questa volta è un vero e proprio progetto, intero, coerente, tutto dedicato al blues e al folk, registrato praticamente in casa, senza alcun apporto fuori della sua stessa chitarra e della immancabile armonica, e cantato alla maniera attuale, con una voce che spiazza, che crea strane e inquietanti contromelodie. Quando un artista del calibro di Dylan compie un passo del genere può voler dire molte cose. Se l' amaro e arduo "Nebraska" era stato per Springsteen l' occasione di ritrovare se stesso, di uscire dal clamore della pazza folla, per esprimere cupezze e misere storie in totale libertà, per Dylan sembra essere piuttosto un richiamo alle origini, una sorta di recherche delicata e amorosa, non priva di asperità, ma anche sentimentale, giocosa, a suo modo musicalissima. E poi quelle di Springsteen erano canzoni nuove, mentre per Dylan appunto c' è la ricerca e l' esecuzione di un materiale antico, anche se poco conosciuto, e per nulla scontato. Non sarebbe stato da Dylan proporre le più celebri ballate folk. La raccolta è suggestiva anche perché propone pezzi tutti da scoprire, e unicamente attraverso richiami emotivi e poetici. L' album, scarno, con una foto di copertina sulla quale Dylan mostra per intero i suoi cinquanta e più anni, non offre alcuna indicazione, nessuna didascalia per poter rintracciare la storia di questi pezzi, né tantomeno i testi. La più nota è certamente "Sittin in the top of the world", un blues di Chester Burnett a suo tempo inciso dai Cream e cantato da Jack Bruce. Poi c' è una bellissima "Hard times" vecchio pezzo folk che non va confuso con la omonima canzone di Ray Charles. Tra le più curiose c' è "Froggie went a courtin", la più buffa di queste canzoni, quella che chiude l' album, una specie di filastrocca popolare che ha origini inglesi, risalenti al sedicesimo secolo, poi trasferita e mutata in terra americana, ed è una di quelle canzoni che sfruttano in metafora il mondo animale, alla maniera della "Vecchia fattoria". Altro pezzo molto antico, di origine scozzese e poi rielaborato in Texas e Oklahoma, è "Black jack Davy". Ritorna in questi brani il sentimento della frontiera, come in "Diamond Joe", un brano della fine dell' ottocento in cui si racconta di un famigerato padrone terriero texano chiamato Diamond Joe perché "porta tutti suoi soldi in diamanti incastonati sui denti", al quale il malcapitato lavoratore lancia l' ultimo augurio: "quando mi chiameranno in paradiso l' ultima cosa prima di andarmene: date le mie coperte ai miei compagni e le pulci a Diamond Joe" (la traduzione è tratta da "Canzoni e poesie proletarie americane" a cura di A. Portelli). Sembra che Dylan, più che un' operazione ideologica, abbia voluto incidere un suo profondo atto d' amore per canzoni che sono state alla base della sua formazione e che forse sono nella sua testa da moltissimi anni. E in questo atto d' amore svolge di fatto una professione di fede verso valori, o meglio antivalori, che erano alla base della civiltà americana. Pochi come Dylan hanno saputo cantare il rovescio amaro del sogno americano, e in questo disco ci ricorda che la sua vena poetica, pur diventata in seguito universale, planetaria, generazionale, affonda profondamente le sue radici in questi brani antichi, ai quali peraltro i pezzi di Dylan assomigliano molto. E come altro celebrare meglio trent' anni di carriera? Del resto è lo stesso Dylan che al concerto del trentennale, dopo che tutto il mondo del rock aveva cantato i suoi pezzi, se n' è uscito con "Song to Woody", ricordando umilmente il suo primo e più importante maestro. Come può risultare oggi un disco così scarno, acustico, essenziale, senza il minimo orpello? Difficile dirlo, forse una provocazione, forse una sfida, di sicuro un' autorevole affermazione di sapori e tematiche antiche che sono state da sempre la linfa della cultura folk e rock, e forse oggi troppo trascurate, se non ce lo venisse a ricordare proprio il "vecchio" Bob Dylan.                              

di GINO CASTALDO

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I GRUPPI "MITICI".......

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Martedi 21 Ottobre 2008

Vintage chronicles

Una foto nel vicolo con i poeti Beat Volevano Dylan, ma lui si sentiva fuori posto
Ginsberg e McClure lo seguivano nei concerti A New York in visita da Warhol che gli regalò una serigrafia

Anticipiamo alcuni brani tratti da Down the Highway di Howard Sounes che uscirà da Guanda alla fine di agosto con il titolo Bob Dylan - Una biografia. Per la domenica successiva era previsto un raduno di poeti alla City Lights di Ferlinghetti, sulla North Beach di San Francisco, e Keenan avrebbe fotografato l' incontro. Voleva fare delle foto anche a Bob, il quale promise che ci sarebbe andato: pensava che una foto che lo ritraesse insieme ai beat potesse essere una buona idea per la copertina del nuovo disco. Quella domenica, a mezzogiorno, un variegato insieme di poeti e perdigiorno si radunò fuori dalla City Lights in Columbus Avenue, per farsi fotografare per un evento che venne battezzato «L' Ultimo Raduno dei Poeti Beat». Il giornalista Leland Meyerzove arrivò in ambulanza e si sdraiò sul canale di scolo del marciapiede. Ginsberg era accompagnato da due ragazzi. Ferlinghetti - vestito all' araba e con un ombrello anche se non pioveva - azionò un allarme antincendio. Quando il camion dei pompieri girò l' angolo, a sirene spiegate, il gruppo dei poeti, fino ad allora piuttosto mesti, si ravvivò. «I pompieri balzarono giù dal camion, ma gli dissero che non era successo niente, e così andarono via» racconta Ferlinghetti, ridacchiando. Quando arrivò Bob insieme a Robbie Robertson e, cosa rarissima, Sara, che era venuta a San Francisco per stare con il marito per qualche giorno, scoppiò un pandemonio. «Ehi, Bob, vieni qui. Fai la foto insieme a noi», gli dissero i poeti. Bob e il suo entourage li superarono, entrarono nella libreria e scesero nel seminterrato. «Dylan, nella sua infinita saggezza, non voleva che quella diventasse una foto con Dylan. Voleva che fosse una foto dei beat» asserisce Keenan, che li seguì nel seminterrato prima che chiudessero la porta. «Gli piacevano i beat. E mentre siamo lì nel seminterrato, da fuori cominciano a battere sulla porta e a gridare che vogliono Dylan». Dal seminterrato riuscirono a rifugiarsi in un vicolo, passando da una porta sul retro, e lì Bob si fece fotografare con Ferlinghetti, Ginsberg e McClure. Sulla sinistra, piuttosto a disagio e con l' aria di uno che non avrebbe voluto trovarsi lì, c' era Robertson, che di sicuro si chiedeva cosa avrebbero detto quelli del suo gruppo. «Non si sentiva un poeta e pensava di essere fuori posto» dice McClure. Dopo i concerti nella Bay Area, Bob invitò Ginsberg e McClure ad accompagnarlo nel sud della California. Viaggiavano sul camper di Allen, guidato dal suo amante, il poeta Peter Orlovsky. Gli Hawks si spostavano a bordo della «Volkswagen del cielo». Bob aveva dato a Ginsberg i soldi per comprare un registratore, e Ginsberg si era offerto di andare tra il pubblico per registrare i commenti dei fan. Bob fu compiaciuto quando Ginsberg gli portò le prove che almeno alcuni apprezzavano quello che stava proponendo. Era un piccolo incoraggiamento dopo le recensioni spesso ostili della critica.(...) Mentre era a New York, Bob andò a visitare la Factory di Andy Warhol. Avevano amici in comune, tra cui la cineasta Barbara Rubin - la donna che massaggia la testa a Bob sul retro di copertina di Bringing It All Back Home - e la modella Edie Sedgwick. Bob accettò di andare a vedere un' anteprima di uno dei film underground di Warhol. «Andy faceva sempre la parte del fan», asserisce Gerard Malanga. «Perciò quel giorno alla Factory era un fan di Bob Dylan: "Oh, Bob Dylan viene alla Factory! Oh!"». Warhol di solito era riluttante a regalare le sue opere d' arte, ma voleva fare buona impressione su Bob, il quale si divertiva a cercar di capire cosa poteva ottenere dall' artista. «Si giravano intorno in una specie di balletto ansioso», ricorda Malanga. «Chi avrebbe ottenuto cosa dall' altro?». A vincere il gioco fu Bob, che uscì dallo studio con una delle serigrafie di Elvis Presley. Aiutato da Neuwirth, Bob la fissò al tettuccio della sua station wagon e andò a Woodstock. L' impressione era che Bob avesse spinto Warhol a regalargli la serigrafia (lui poi si era affrettato ad accettarla) ma, una volta a casa, Dylan mise bene in chiaro che gli faceva schifo. Gli ospiti di Hi Lo Ha lo videro manifestare il suo disprezzo in vari modi. Arrivò addirittura - e sembra che Warhol fosse venuto a saperlo - ad appenderla al contrario e poi a chiuderla in un armadio. La mostrò anche a Sally e Albert Grossman. «Non voglio questa roba», disse loro. «Perché me l' ha data?». Bob disse che lui e Sara volevano qualcosa di «utile» per la casa e così fecero un accordo. I Grossman gli diedero un divano e lui cedette la serigrafia. Quando lo scoprì, Warhol ne fu mortificato. Ma questo scherzo si ritorse contro Bob perché, nel 1988, Sally Grossman ha venduto l' opera all' asta per 720.000 dollari.

Sounes Howard

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Nessuna Nobiltà - di Dario Greco a.ka. PdC79

Chiedono pietà al mondo e chiederanno perdono / Strisciando.
Le informazioni corrono frenetiche sulla Rete. Sfreccia una moto di grossa cilindrata e la sua scia crea un rombo di vacuità. Soltanto la mia mente che non regge i colpi duri, non più…
(In quella stanza) C’era un silenzio capace di spaccare i vetri e far vibrare le molle di un umido materasso ai confini del mondo e del mio periferico universo. Reprimo un breve sospiro e metto in tasca un accendino, ne avrò bisogno in questa notte di vaselina e candore.
E’ come se la mia anima cruda vagasse in giro, senza il mio permesso. Ogni cosa avanza nella notte sorretta dall’oscurità Un ambiguo senso di vuoto ci rende liberi e prigionieri nello stesso tempo e io mi ritrovo solo su questa strada a contemplare i barbagli della notte…
Tutto è consumato, anche il tuo destino (*). Troverò risposte in ogni fessura e m’infilerò con vigore investigativo. Soltanto la mia anima lasciata a bruciare in questa notte di falò meridionali. Solo il solitario, solo il mio corpo spento e appagato. Anime sudate su un patibolo lenitivo. Il mio corpo non conosce redenzione ma la tua lingua mi colpisce più della tua frusta.
Ho provato a far vibrare ancora questo cuore e a schivare ogni pallottola argentata, in questa notte di delirio umorale/ Il tuo corpo brucia, il tuo corpo mi è caro, ma il profumo è mutato, come la mia anima. Pietà per i deboli e per questa spada spuntata. Mai stato risoluto/ Mai cercato verità in fondo alla mia schiena, ma c’è sempre una prima volta e si è vergini solo per un attimo e poi… poi ci si corrompe in un mambo lisergico/ Birra & Saliva, lacrime e abbracci. Stringi forte, Honey!
Afferra il piacere finchè dura. Domani potresti smettere di sospirare cedendo il passo alla rassegnazione. Rinuncio a me, al mio passato. Ricomincio a sognare, con le tue gambe aperte che non hanno pietà di me… non adesso! Ci incontreremo ancora in una dolce sera d’ottobre e Fred Bongusto, rasoio sul velluto ci inviterà a danzare per lenire il nostro sconforto. Stringimi ancora e carezza questa mia barba da bugiardo lestofante.
Stanotte mi sento ancora vivo, innocente e immacolato, ancora per qualche istante Dove andiamo adesso? Ti lascio guidare in questo mambo di redenzione Cavalca come se da ciò possa dipenderne la mia anima sconfitta Dammi gioia e pace, gimmie shelter, baby! Sarà forse un torto sentirsi vivi e anche un po’ meno teneri e solitari Cuore sotto vetro, se tento un respiro lungo posso collassate.
E se gonfio i muscoli mi sento vecchio e stanco, inutile e patetico E lo sono stato, solo, come una lanterna che vibra nelle remote oscurità di quest’umida caverna Incatenato al desiderio di rivalsa.
Ma a cosa servo? A chi? Nessuna nobiltà nella miseria/ I’ll remember you.
Vibrami nelle ossa, sulla pancia, nel profondo del mio malessere. L’autostrada è viva stanotte e dove mi condurrà lo saprò presto.Verso un posto-ristoro dove anime dannate mi daranno il benvenuto al loro Moto-Raduno di vacuità. C’è dolore e sangue e squallore e poi… ci sei tu, ancora una volta. Con le tue fatture di mancato accredito/ Ed ero ancora giovane quel giorno in cui il mio sguardo posandosi sul tuo perdeva rigidità. Ultimo mambo a Fiumefreddo..
Il cielo si tinge del nero delle tue mutandine. Il tuo respiro riempie i cerchi di fumo della sigaretta. E mi ritrovo ancora solo ad ordinare in questa triste rosticceria; cantina perpetua di sconforto / Animale solitario, calmo e mansueto che non sa ribellarsi al sua futura mattanza. Ricordo quel passo sinuoso riempire la stanza e il mio silenzio… Dove va la fiamma di una torcia incandescente quando il vento gelido la spegne? Luci nell’oscurità, candele perdute nel vento… Anime scomparse ritornano alla loro pace Non conosce dimora la mia inquietudine, ma c’è gioia, come c’è stato dolore e incomprensione. Viva la vida / Ho perso tutto, tranne me stesso, il mio orgoglio di spine.
Troverò mai un posto al riparo? E gente pronta a sentirmi, e un sorriso dietro cui perdere ogni sospetto. Ma la vita fugge e non la trovo nelle mie lacere calze E il sorriso che ogni giorno indosso come armatura E il trucco che mi rende sempre più vicino a ciò che non sono, per quello che non c‘è Un caleidoscopio di forme e colori e la mia essenza che esplode, gonfia di madreperlaceo furore, dentro occhi assetati di verità trasformate il mio idealismo in banalità la mia sofferenza in estasi, il qualunquismo in esistenza.
E non c’è più nessuna nobiltà nelle mie miserabili vesti. Ma sono sempre io quello che ha torto e fame e sonno quando nessuno è pronto ad offrire un ristoro a questa pelle martoriata che fu virile e adesso non lo è più. Spero tu stia osservando questa misteriosa ed onirica luna. Con lo stesso sguardo sognante di romantico trasporto: velivolo fatato in un cielo di stelle disperate ed agonizzanti, perse tra sospiri e bagliori nelle barbarie di questa vacua resistenza chiamata vita.

Riferimento alla canzone di Bob Dylan “Simple twist of fate” canzone da cui ha preso spunto l’autore per uno dei suoi pseudonimi (Dario Twist of fate)


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Detti e contraddetti del rock
Ovvero, massime di saggezza eterna dai grandi della musica                                         clicca qui

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Cinema : "Ascolti e visioni" dedicata alla band 'The Who'        clicca qui
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"Dylan's Vision of Sin"

Nel 2003 Christopher Ricks, un illustre critico letterario, pubblica un libro sulla poetica Dylaniana, "Dylan's Vision of Sin". Pochi musicisti nel 2006 possono sembrare cosi' estranei alla musica contemporanea quanto Dylan in Modern Times (2006). D'altra parte ignorare le tendenze e' sempre stata la sua arma segreta. (In passato, di solito, era lui che impostava le tendenze future, ma questa e' un'altra storia). Il titolo dell'album stranamente richiama un film di Charlie Chaplin, e la maggior parte delle canzoni ricordano generi e stili dell'infanzia di Dylan. Il brano di apertura, Thunder On the Mountain scimmiotta il suo sound blues-rock del 1965. Rollin' and Tumblin' e' una strana imitazione del blues-a-billy di Muddy Waters. La romanza latina di Beyond Horizon e il pathos domestico di Workingman's Blues #2, che vanta l'intimita' di una parabola di Cat Stevens, rappresentano al meglio il centro di massa musicale ed emotivo dell'album: una forma di nostalgia calma e rassegnata. La romantica Spirit On the Water (una ballata vecchio stile cantata alla maniera di Louis Armstrong) e l'apocalittica The Levee's Gonna Break allontanano l'idea che Dylan sia semplicamente un'icona senile tenuta in vita da astuti uomini d'affari, ma ben poco in quest'album va oltre l'attestazione della passata (passata) grandezza di Dylan
(Tradotto da Luca "Motobyte")

(fonte : scaruffi.com)

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MCR VS BOB DYLAN                        clicca qui

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I GRUPPI "MITICI".......

Chicago- 25 or 6 to 4 "Live" (1989)    clicca qui

 

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Lunedi 20 Ottobre 2008

Talking Bob Dylan Blues - Parte 428 -    clicca qui

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Vintage chronicles

Bob Dylan lascia la Baez per la donna che poi sposerà

Anticipiamo alcuni brani tratti da Down the Highway di Howard Sounes che uscirà da Guanda alla fine di agosto con il titolo Bob Dylan - Una biografia. Uno dei motivi della crescente freddezza di Bob nei confronti di Joan Baez era la modella Sara Lownds, della cui esistenza la Baez non sapeva nulla in quel momento. Sara Lownds sarebbe ben presto diventata la donna più importante della vita di Bob e alla fine anche la sua prima moglie, la madre dei suoi figli e la fonte di ispirazione per alcune delle sue canzoni più belle. Nonostante i modi quasi aristocratici, Sara era di umili origini. Aveva avuto un' infanzia molto difficile e sembrava proprio che volesse dimenticare quasi tutto il suo passato; la cosa, unita al rifiuto di concedere interviste, ha fatto sì che la sua vita sia rimasta misteriosa almeno fino a oggi. Al Chelsea, la vita di Bob e Sara scorreva in modo molto tranquillo. In camera avevano un pianoforte su cui Bob componeva le sue canzoni, ma erano in pochi a sapere che abitava lì. «Era un tipo piuttosto timido e tranquillo», ricorda il direttore del Chelsea, Stanley Bard. Quando aveva voglia di emozioni Bob se ne andava a bere al Kettle of Fish, al Village. Sara lo accompagnava raramente in queste occasioni. Invece non mancava mai Bobby Neuwirth, e talvolta c' erano anche Al Aronowitz e il cantante David Cohen. (...) Il capo dei buffoni era Bobby Neuwirth: rideva quando rideva Bob e gli teneva bordone nell' umiliare la Baez, che oltretutto era amica sua. Una volta Joan si aggirava leggiadra con una camicetta trasparente e Neuwirth fece pesanti allusioni all' evidente disinteresse di Bob (che anche davanti alla cinepresa la guardava appena e quasi evitava di parlarle). Della camicetta trasparente della Baez, Neuwirth aveva detto che era «una di quelle camicette vedo-non-vedo che nessuno vorrebbe vedere» e lei, sforzandosi di ridere con la sua consueta spavalderia, disse che stava per crollare dal sonno. «Ti dirò una cosa, sorella», replicò Neuwirth a quel punto. «È da un bel po' che sei crollata. Sei crollata prima ancora di poter pensare che stavi crollando». Quando fu spenta la cinepresa, la Baez si mise a piangere. «Se penso all' affetto con il quale Joan lo aveva portato sul palco con sé» ha detto Mimi. «Bob è decollato grazie a Joan, ma avevo capito che lui voleva soltanto approfittare della situazione per poi levare le tende. Di qui il mio disagio. Purtroppo Joan non ha mai voluto aprire gli occhi sulla realtà, perché era troppo coinvolta in quella storia. È così che la penso io». Secondo Pennebaker, Bob stava attraversando un periodo di transizione: quando lui e la Baez erano stati in tournée negli Stati Uniti, a marzo, formavano una squadra affiatata. Adesso invece lui «stava cercando di uscire dal ruolo di suo compagno, nella vita e nei duetti». Così la Baez non salì mai sul palco con lui e non avrebbe più cantato in pubblico con lui fino alla metà degli anni settanta. Bob non la invitò nemmeno ad andare con lui a Sintra, in Portogallo, durante la pausa della tournée nel Regno Unito. Invece, dagli Stati Uniti arrivò Sara. La Baez non sapeva ancora dell' esistenza della ragazza e durante una delle sue ultime visite a casa di Grossman si era persino messa una camicia da notte di Sara non immaginando a chi appartenesse. Quando Bob tornò a Londra e fu costretto da un malanno passeggero a stare chiuso nella sua suite, la Baez passò a trovarlo per vedere come stava e fu Sara ad aprirle la porta. Così Joan scoprì finalmente la donna che Bob vedeva di nascosto da lei da tanti mesi. Era la fine della loro relazione, e lei se ne andò immediatamente per proseguire la sua carriera, visto che al momento teneva anche concerti solisti in Gran Bretagna. Ne fu sconvolta, ma aveva una personalità forte e superò il rifiuto di Bob, del quale rimase amica; in seguito riuscì persino a ridere dell' accaduto. Come ha detto l' amica Nancy Carlen: «La sua forza sta nella capacità di ridere di sé e del mondo». Negli anni a venire, lei e Bob avranno dei ritorni di fiamma. Ma lui rimaneva il dongiovanni di sempre. A Londra cercò di sedurre la cantante Marianne Faithfull, cacciandola via quando lei rifiutò le sue avance, e, in assenza di Sara, frequentò la sedicenne cantante pop Dana Gillespie che aveva conosciuto a una festa a Londra. «Credo che passasse continuamente da una donna all' altra, come fanno in genere i musicisti», ammette la Gillespie con filosofia. Lei gli portava la chitarra e quando Bob aveva tempo libero gironzolava nella sua suite. Una volta Bob aveva preso in prestito i pantaloni della Gillespie, ornati di rose rosa e arancione. «E io me ne stavo lì, in mutande, senza poter uscire perché i miei pantaloni li aveva lui. Bob si infilava i miei, ma i suoi non mi stavano. Sono dovuta rimanere in albergo ad aspettare che tornasse. Mi aveva detto: "Torno fra un paio d' ore". Si è ripresentato quasi quindici ore dopo».

Sounes Howard

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Video : Al Diesan & his Band - "All along the watchtower"          clicca qui

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Video : Bob Dylan - Yonder Comes Sin                                             clicca qui

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Le foto di una gita Hibbing                                                                 clicca qui

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...e una a Duluth                                                                                    clicca qui   

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Piazza Duomo "Tempio del rock"                                                       clicca qui

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Between Trains – il Nuovo Album di Graziano Romani                   clicca qui

(di Shooting Star)

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Sarà una bella società.....il nuovo CD di Shel Shapiro                      clicca qui

 

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Domenica 19 Ottobre 2008

CARLOS SANTANA

 

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Sabato 18 Ottobre 2008

“Davide Imbrogno scarica i suoi fans”

Cronache Marritane
(ASCA) - Cosenza, 22 ottobre 2018 – Davide Imbrogno scarica i suoi fan: basta autografi su lettere e cimeli. In un video pubblicato sul suo sito web - come riferisce la Cnn - l'ex enfant prodige di Marri dice chiaro e tondo di averne abbastanza. ''Voglio dirvi per cortesia di non inviare piu' posta a nessuno degli indirizzi che avete. Non verra' piu' autografato nulla a partire dal 24 ottobre.
Se il timbro postale sarà con quella data o successivo, la posta verrà gettata via'', avverte "The Saint" , occhiali scuri indosso. ''Vi sto dando un avvertimento pacifico ed affettuoso. Ho davvero troppo da fare. Cosi'... basta posta dai fans e niente oggetti da autografare, grazie''.
Il 31enne scrittore e poeta, che ha pubblicato di recente una raccolta di poesie intitolata ''Piano dei Rossi Blues Revisited 41'', abita attualmente fra Castiglioncello, il sud della Francia e Dubai. In un'intervista alla televisione svizzera lo scorso gennaio aveva fatto infuriare i suoi ex concittadini, quando inforcati i suoi inseparabili occhiali fucsia, ha affermato: Marri? Non mi manca proprio per niente!!

C’è da capirlo, Davide: riceve in media 6mila lettere al giorno… O è forse un ingrato? E voi cosa ne pensate?
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Blackstones , Al Diesan , Pino Tocco , cronaca del concerto in Austria     clicca qui

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Un mattino di troppo per Bob Dylan

Canta con successo da una vita, ha vinto un Oscar ed è candidato al Premio Nobel per la letteratura... cos'altro si può dire di Bob Dylan? Che conviene leggere i suoi testi per scoprire tutto il resto.
Antiche tradizioni folkloristiche, richiami biblici, incursioni nella poesia anglosassone… la leggendaria carriera di Bob Dylan racchiude tutta la genialità dell’artista accostata al fascino della poesia: testi ricchi di idiomi, rime, aforismi… ma anche di quella sensibilità capace di dare voce alle immagini e alle sensazioni, propria dei grandi poeti.
Feltrinelli ha recentemente pubblicato la più ampia raccolta delle sue canzoni: "Bob Dylan Lyrics 1962 - 2001" un volume imponente, contiene 355 testi tradotti da Alessandro Carrera, professore di Letteratura Italiana e Comparata presso l’University of Huston, che li ha arricchiti di curiosità ed informazioni per agevolarne una lettura completa rispetto ai riferimenti letterari.

In un’interessante intervista rilasciata a “Maggie’s Farm”, il sito italiano di Bob Dylan, Carrera rivela i dettagli dell’impegnativa opera di traduzione alla quale si è adoperato per ben tre anni, racconta le difficoltà incontrate per “tradire” i testi originali il meno possibile e risponde alle curiosità dei lettori: si tratta di un’intervista molto speciale, quindi, interattiva: chiunque può intervenire, porre i propri quesiti e ricevere una risposta dal professore. ( Clicca qui per leggere l'intervista completa )

“Un mattino di troppo” è la ballata malinconica di un addio: la triste rassegnazione alla realtà di due ragioni che l’amore non riesce a salvare. Una stanza vuota, una strada nella notte e quei pensieri… che rompono il silenzio, ma non colmano il distacco.

In strada i cani abbaiano
Ed il giorno si fa scuro.
Non appena la notte arriverà,
i cani smetteranno di abbaiare.
E la silenziosa notte sarà distrutta
Dal suono nella mia mente,
perchè sono rimasto indietro per un mattino di troppo
ed un migliaio di miglia

Dall’ incrocio sulla mia porta,
il mio sguardo incomincia a sfocare,
non appena giro la mia testa verso la stanza
dove il mio amore ed io siamo stati sdraiati.
Ed io fisso la strada,
il marciapiede ed il segnale,
e sono rimasto indietro per un mattino di troppo
ed un migliaio di miglia

E’ un inquieto ed affamato sentimento
Che non dice niente di buono,
quando tutto quello che dico
lo puoi dire altrettanto bene.
Tu hai ragione da parte tua,
ed io ne ho dalla mia.
Siamo rimasti indietro per un mattino di troppo
ed un migliaio di miglia.

Bob Dylan

(fonte : guide.supereva.it)

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Blowin' in the wind : le cover italiane degli anni 60'

Kings / Jonathan & Michelle / Luigi Tenco - La risposta (Traduzione di Mogol)

Quante le strade che un uomo farà
e quando fermarsi potrà?
Quanti mari un gabbiano dovrà attraversar
per giungere e per riposar?
Quando tutta la gente del mondo riavrà
per sempre la sua libertà?
Risposta non c'è, o forse chi lo sa,
caduta nel vento sarà.

Quando dal mare un'onda verrà
che i monti lavare potrà?
Quante volte un uomo dovrà litigar
sapendo che è inutile odiar?
E poi quante persone dovranno morir
perché siano troppe a morir?
Risposta non c'è, o forse chi lo sa,
caduta nel vento sarà.

Quanti cannoni dovranno sparar
e quando la pace verrà?
Quanti bimbi innocenti dovranno morir
e senza sapere il perché?
Quanto giovane sangue versato sarà
finché un'alba nuova verrà?
Risposta non c'è, o forse chi lo sa,
caduta nel vento sarà.

Note alle cover in italiano

Il celebre brano di Bob Dylan è stato proposto come cover in italiano dai Kings, dal duo "buonista" Jonathan & Michelle, portabandiera della linea verde, e da Luigi Tenco, in un adattamento alla metrica italiana, abbastanza fedele, del noto paroliere Mogol (Giulio Rapetti). La versione dei Kings è quella che ha avuto il maggiore riscontro, ed è abbastanza fedele anche nell'arrangiamento (senza batteria). La versione di Jonathan & Michelle è invece con accompagnamento di batteria e l'alternanza di voci maschile e femminile in questo caso non appare molto adatta a valorizzare la canzone. La versione di Luigi Tenco, un poco accelerata, è rovinata da un tremendo arrangiamento stile orchestrina da piano bar, della quale siamo certi sia incolpevole il grande cantautore genovese (forse l'hanno inserita in post produzione). Tenco almeno evita, però, le parole tronche old-style della traduzione italiana. In tutte e tre le cover è saltata la terza strofa, sostituita da una ripetizione della prima.
A questa canzone e al suo celebre ritornello fa riferimento anche il noto brano Eppure soffia di Pierangelo Bertoli.

(fonte : musicaememoria.com)

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Dylan alla Viennale

La Viennale, il maggiore festival cinematografico austriaco (Vienna, dal 17 al 29 ottobre), dedicherà una delle sue rassegne fuori concorso a Bob Dylan.
La Viennale, il maggiore festival cinematografico austriaco (Vienna, dal 17 al 29 ottobre), dedicherà una delle sue rassegne fuori concorso a Bob Dylan. "Masked and Anonymous - Bob Dylan and the Cinema", questo il titolo della monografica, mostrerà film dedicati alla figura del musicista, o da lui interpretati. Tra le pellicole in programma, ci saranno Pat Garret & Billy the Kid (USA 1973, special edition 2005) di Sam Pekinpah, No Direction Home (USA 2005) di Martin Scorsese, Don't look back (USA 1967) di D. A. Pennebaker e I'm not there (USA 2007) di Todd Haynes. Inoltre, si potranno vedere i film che Dylan ha realizzato come regista - Eat the Document (1972) e Renaldo & Clara (1978) - e il documentario Masked and Anonymous (2003), una satira politica in cui Dylan, oltre ad aver scritto la sceneggiatura, interpreta la parte principale. Il festival mostrerà anche altre pellicole di interesse musicale, come Patti Smith: Dream of Life (USA 2007) di Steven Sebring e The night James Brown saved Boston (2008) di David Leaf. Vi sarà inoltre uno speciale dedicato a Werner Schroeter, regista che ha sviluppato in alcune delle sue pellicole un'estetica fortemente legata al melodramma. Nell'ambito dell'omaggio al regista tedesco, il 25 ottobre si terrà presso l'Akademietheater uno dei rari recital concerto di Ingrid Caven, una delle attrici principali dei film di Rainer Werner Fassbinder e Werner Schroeter. Come cantante, Ingrid Caven ha riscosso un notevole successo nella Francia degli anni '70, dove affascinò il pubblico con interpretazioni a metà tra Edith Piaf e Marlene Dietrich. La gran parte del suo repertorio sono canzoni di Peer Raben, il compositore che ha scritto alcune delle più celebri colonne sonore dei film di Fassbinder. Infine, verrà presentato "Olga Neuwirth, Music for Films", un DVD con i progetti cinematografici a cui ha partecipato la compositrice austriaca. Maggiori informazioni e programma completo: www.viennale.at (Juri Giannini).

(fonte : giornaledellamusica.it) segnalato da Marina

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Video : Like a Rolling Stone - (The Basement Tapes) Dylan & The Band    clicca qui

Aperta la pagina web , cliccate poi sulla destra su "NEXT" , potrete vedere a lot of video dell'epoca , I want you , Hurricane , The house of the rising sun, love minus zero/ no limits , Master of war , My back pages , It's alright Ma , etc. etc. per un totale di 272 clip , buon divertimento.

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SCRIVEVANO.......

Joan Baez sull'albero (Ap)

Con lei ci sarà anche Julia Hill, che visse due anni su una sequoia Per salvare un parco pubblico Joan Baez va a vivere su un albero La cantante che con Bob Dylan è stata la voce del movimento pacifista negli anni Settanta ora sposa la causa ambientalista

LOS ANGELES (Stati Uniti) - Negli anni Sessanta e Settanta è stata assieme a Bob Dylan la voce del movimento pacifista americano e internazionale.
Ora Joan Baez, stella della musica folk a stelle e striscie, ha deciso di sposare la causa ambientalista. E di gettarsi anima e corpo in una nuova campagna: il salvataggio di un parco urbano trasformato in orto collettivo da un gruppo di residenti, destinato ad essere cancellato e riurbanizzato. Per farlo ha deciso di prendere esempio da Julia «Butterfly» Hill, l'ambientalista americana che nel 1999 riuscì a salvare una pianta secolare dopo averci abitato sopra per un paio d'anni, tenendo sempre i riflettori puntati sulla vicenda.

GLI ORTI URBANI - La Baez farà lo stesso: stabilirà la sua nuova «residenza» è in un parco pubblico a Los Angeles. La cantante sarà affiancata proprio da Julia Hill che con lei si alternerà nel presidio del giardino. Le due donne si daranno il cambio vivendo su un albero all'interno di questa macchia verde di 5,7 ettari nella zona sud della metropoli californiana, dove dal 1992 circa 350 persone, in gran parte immigrati, coltivano verdure e frutta in orti. Il proprietario dell'area intende venderla per realizzarvi uno stabilimento industriale. Un tentativo di comprare il terreno da parte di un'organizzazione pubblica, è fallito e ora gli improvvisati contadini sono minacciati di sfratto.
SEMPRE IN PRIMA LINEA - Un piccolo gruppo di persone ha già cominciato a presidiare lla zona , ma l'arrivo della Baez è destinato a spostare i riflettori sulla vicenda. Per la cantante è l'ennesima iniziativa di una carriera segnata, oltre che dai successi artistici, anche dall'attivismo politico: lo scorso anno si unì ai manifestanti che prendevano d'assedio il ranch del presidente George W.Bush, per protestare contro la guerra in Iraq. La Baez, a 65 anni, torna peraltro alla ribalta proprio nei giorni in cui l'America celebra il sessantacinquesimo compleanno del cantante che ha condiviso molto con lei, Bob Dylan.
LA SEQUOIA SALVATA - Anche la Hill è una celebrità nel mondo degli ambientalisti. Il 10 dicembre 1997, allora ventiduenne, si arrampicò su una sequoia della California vecchia di sei secoli per impedirne l'abbattimento. Vivendo per due anni su una piattaforma costruita sull'albero (ribattezzato Luna), la Hill alla fine, nel dicembre 1999, la ebbe vinta: la società Pacific Lumber si impegnò a non segarlo e a crearvi intorno un'area protetta di 60 metri, in cambio del pagamento di 50.000 dollari raccolti dalla Hill e i suoi sostenitori.

(fonte : corriere.it)

 

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Venerdi 17 Ottobre 2008

DVD : Rolling Thunder Revue

Un documentario su Bob Dylan senza le sue canzoni ma con una cover band impegnata nel commento musicale sarebbe davvero da scartare a priori ma nel caso dei documentari della Highway 61 Entertainment, è necessario, anzi bisogna fare un eccezione. Joel Gilbert, interprete e studioso dilaniano di fama mondiale e ideatore della Highway 61 Ent., ha alle spalle già due documentari “1966 World Tour Through The Camera Of Mikey Jones” e “1966-1974 World Tours Through The Camera Of Barry Feinstain”, entrambi molto apprezzati per le affascinanti raccolte di immagini e interviste inedite da concerti e backstage, nonostante la colonna sonora fosse opera proprio della sua band gli Highway 61 Revisited. Il terzo capitolo di questa particolarissima serie di documentari, purtroppo non autorizzati, ripercorre un quinquennio fondamentale per l’intera carriera artistica di Bob Dylan ovvero la Rolling Thunder Revue, il particolarissimo tour mondiale del 1978 e i Gospel Years, questi tre periodi sono diventati i tre capitoli del Dvd e ognuno di essi offre una panoramica dettagliatissima di ogni evento. La formula usata è più o meno la stessa dei precedenti ovvero: foto e filmati inediti a cui fanno da sottofondo interviste esclusive, piccole sorprese e una gustosa colonna sonora degli Highway 61 con ospiti speciali per l’occasione Bruce Langhorne alla chitarra, Scarlet Rivera al violino, Rob Stoner al basso e la corista Regina McCrary. Questo nuovo documentario Si parte alla grande con il 1975 ovvero la Rolling Thunder Revue ed in particolare con la prima intervista dopo trent’anni a Rubin Carter, a cui Dylan oltre alla magnifica Hurricane dedicò insieme alla sua carovana zingaresca ben due benefit concerts noti come "The Night of the Hurricane I-II". Il famoso pugile ripercorre la sua triste vicenda giudiziaria ma soprattutto mette ben in evidenza tutta l’opera di sensibilizzazione che fu fatta da Bob Dylan proprio nel periodo in cui tutti sembravano ormai averlo condannato. Seguono poi altre interviste succulente come quelle a l’occasione Bruce Langhorne, Ramblin' Jack Elliott, alla violinista Scarlet Rivera, che forgiò il sound tex-mex di Desire e della Rolling Thunder Revue e al bassista e leaderband Rob Stoner che fu al fianco di Dylan fino al 1978. Non meno interessante è poi ciò che racconta la moglie di Jacques Levy sia a proposito di Joey dedicata al mafioso Joey Gallo sia al film Renaldo and Clara. Meno approfondito è il secondo capitolo dedicato al tour mondiale del 1978 di cui è rimasto davvero pochissimo avendo Dylan stesso fatto distruggere ogni cosa e soprattutto ripudiato anche di relativo disco dal vivo Live At Budokan, tuttavia viene fornita una bella chiave di lettura del processo di evoluzione sonora che ha condusse poi il cantautore americano ad incidere Slow Train Coming. A fare luce su quelle session che videro protagonista un giovanissimo Mark Knopfler come session man sono le interviste al produttore, il mitico Jerry Wexler, alla corista Regina McCrary e al celebre tastierista Spooner Oldham. A completare il quadro dell’evoluzione gospel-rock e della relativa conversione al Cristianesimo dei Born Again Christian sono le interviste inedite al Pastore Bill Dwyer che fu insegnante di teologia biblica di Bob Dylan e a Joel Selvin del San Francisco Chronicle. Le sorprese però non finiscono qui perché ad un certo punto appare anche Bob Dylan in un intervista inedita rilasciata a Pat Cosby per la KDKA TV nel 1980. Insomma le quattro ore di questo documentario, seppur assolutamente non ai livelli di No Direction Home, ne rappresentano l’ideale seguito in quanto ne riprendono il filo logico e lo spirito.

Salvatore Esposito

(fonte : ilpopolodelblues.com)

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Jakob Dylan viaggia solo

«Se mi fermassi a pensare, metterei la chitarra in un angolo e uscirei per cercarmi un lavoro, magari da contadino. Preferisco pensare che ci sia spazio per entrambi». Punto e a capo. Jakob Zimmerman Dylan liquida così la pratica edipica. Love minus zero, no limit. Nessun confronto con padre Bob, nemmeno adesso che l’ultima fatica del figlio del profeta e di Sara (quella cui dedicò la canzone omonima su Desire e Sad eyed lady of the lowlands) autorizzerebbe l’azzardo del paragone, stilistico se non altro. Sì, perché Seeing things, primo album da solista a dieci anni dall’esordio con la sua band, è “the dark side of Jakob”. Lontano dai Wallflowers, la carta da parati si stacca e mostra un muro di folk acustico venato di blues con infiltrazioni evidenti di malinconia e bagliori vocali degni del miglior Elvis Costello (Valley of the low sun). Stile canzoni sul dondolo in veranda all’imbrunire, da gatto con gli stivali romantico. Scarnificate, scortecciate, a volte anche accartocciate. Per amatori, non per tutti. Simple twist of fate. L’idea nasce all’improvviso, mentre Jakob è impegnato ad aprire i concerti dell’ultimo tour di T-Bone Burnett, grande musico e produttore dell’opera prima dei Wallflowers, Bringing down the horses: «Ero da solo, senza band. Una sola chitarra acustica. Attingevo dal materiale Wallflowers, ma in versione primitiva. Riproponevo le canzoni com’erano nate, nude e indifese, e prima dell’intervento dei Wallflowers. Fu una folgorazione. Volevo un disco di canzoni nuove, ma con quel tipo di prospettiva». Canzoni nuove, fuori dal mondo e anche dal mercato. Il primo a crederci è Rick Rubin, da poco nominato boss della Columbia. È lui, già fondamentale guida di Johnny Cash, ad asfaltare la strada a Dylan: «Prenditi il tuo tempo. Torna in studio e ricominciamo da capo la produzione». Il risultato è un ventaglio di dieci canzoni povere di suoni e ricche di simbolismi, immagini, metafore, mistero. In un modo o nell’altro figlie del country blues: «Quella è la musica che ascolto, il vocabolario cui attingo. Se sei un songwriter, questo dovrebbe essere il tuo campo, il tuo livello di guardia. Volevo scrivere canzoni che suonassero come se esistessero da sempre, come se fossero state scolpite nella pietra, non realizzate in qualche studio chissà dove». Canzoni eterne. Come On up the mountain. Come quelle del padre. Beh, non proprio uguali. Ma è vero, c’è spazio per entrambi, in questo vagare che a tratti sembra solo un semplice scherzo del destino, sì, proprio “a simple twist of fate”.
Massimo Cotto

(fonte : max.rcs.it)

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La leggenda del Chelsea Hotel

Sid Vicious uccise lì la fidanzata, Kerouac ci scrisse On the road e Lou Reed Walk on the wild side. La storia non si cancella, e noi ve la raccontiamo
Scrive Jutta da Stoccolma: “Devo venire a New York. Ho prenotato al Chelsea Hotel, ma ora sono indecisa sul che fare: è giusto dare i miei soldi a chi vuole scardinare un mito?”. È solo una delle centinaia di mail che arrivano a Living with the legends, il blog di uno dei residenti di lunga data al Chelsea, leggendario hotel definito dal New York Times Book Review “uno dei pochi luoghi civilizzati della città, se per civiltà si intende la libertà dello spirito, la tolleranza delle diversità, la creatività e l’arte”.

Il tono delle mail è sempre tra l’infuriato e l’incredulo: poco più di un anno fa il consiglio di amministrazione ha affidato la gestione a un nuovo management, reduce dalla ristrutturazione di tre lussuosi alberghi di Manhattan, frequentati da star del cinema e della musica, stilisti e modelle, dalle disponibilità economiche ben diverse da quelle dei clienti abituali del Chelsea, spesso artisti squattrinati che vi risiedono da anni e non sempre hanno i soldi per pagare. La prima mossa del nuovo management è stata di dare il benservito a Stanley Bard, 73 anni, da oltre 50 direttore dell’hotel. La sua “colpa”? Non sfruttare abbastanza quella che potrebbe essere una miniera d’oro. Il Chelsea è da sempre un rifugio sicuro per poeti, girovaghi, musicisti, pittori, attori e registi. Alcuni di loro erano già famosi quando vi hanno soggiornato, altri lo sarebbero diventati. L’unica cosa certa è che Bard non ha mai cacciato nessuno perché non poteva pagare il conto. Semmai si faceva lasciare un quadro, un manoscritto o qualsiasi altro oggetto con un valore artistico. La sua collezione privata, dicono, ha oggi un valore inestimabile.

I nuovi gestori hanno fatto recapitare a tutti gli ospiti fissi questa missiva: “Siete pregati di verificare che nessun sospeso sia rimasto nel vostro acconto. Ignorate la presente se avete già provveduto al pagamento”.
«Un vero disastro!», dice Jeanne Claude, moglie e partner creativa dell’artista Christo. La coppia abitò al Chelsea negli anni Sessanta, spesso senza pagare. E il pittore canadese Peter Schuyff, che vi abita da oltre 10 anni, racconta: «Qui ne ho viste di tutti i colori. Suicidi, scenate, gente che credeva di essere Dio… L’unico capace di tener testa a questo circo è sempre stato Bard, che gestiva la parte economica come un novello Robin Hood: a chi poteva permetterselo chiedeva di più, a chi non aveva un quattrino proponeva un fitto poco più che simbolico».
La storia del Chelsea Hotel non poteva non finire al cinema. All’ultimo festival di Cannes è stato presentato Chelsea on the rocks di Abel Ferrara: «Ho cercato di restituire la sua storia, le sue atmosfere narrando gli intrecci artistici e umani che sono nati nelle sue stanze», spiega Ferrara. Da lì è passata tutta la controcultura americana, in particolare negli anni Sessanta e Settanta. L’elenco dei nomi è impressionante, e per citarli tutti non basterebbe questo articolo. Le targhe commemorative appese sul portone onorano Mark Twain, Thomas Wolfe, Dylan Thomas (viveva nella camera 206: il 4 novembre 1953 si scolò 18 bicchieri di whisky di fila, entrò in coma e morì), Arthur Miller (ci abitò per sei anni: qui scrisse due romanzi e il dramma Dopo la caduta, la sua lettera d’addio a Marilyn), Eugene O’Neill, Tennessee Williams, Burroughs, che vi scrisse Il pasto nudo. In campo letterario, bisogna aggiungere Lee Masters, Gore Vidal, O. Henry (ci visse per anni, registrandosi ogni notte con un nome differente), Arthur C. Clarke (qui scrisse la sceneggiatura di 2001: odissea nello spazio), Gregory Corso, Ginsberg, Kerouac (ci scrisse Sulla strada), Simone De Beauvoir, Sartre, Bukowski...

Nel 1966 Andy Wharol vi girò The Chelsea girl, un’opera composta da 12 film della durata di circa mezz’ora ciascuno: davanti alla telecamera sfilano tutte le icone wharoliane, da Nico a Marie Menken, da International Velvet a Rona Page a Brigid Berlin, che in una scena memorabile si buca di methedrina attraverso i jeans.
Sempre in quel periodo, nella suite principale, la A17, Bob Dylan compose una delle sue più belle canzoni d’amore, Sad eyed lady in the Lowlands, dedicata alla moglie Sara.
E lì consumò la sua love story con Edie Sedgwick, musa di Wharol. Altro flirt, quello che negli anni Sessanta unì Leonard Cohen e Janis Joplin: lui le dedicò la Chelsea Hotel n° 2, che racconta di un rapporto orale: “I remember you well in the Chelsea Hotel, you were talking so brave and so free. Giving me head on the unmade bed”.
Al Chelsea Hendrix organizzava festini a base di droga e sesso; fu la casa di Milos Forman per le riprese di Hair. Madonna vi ambientò numerosi scatti del suo libro-scandalo Sex. A metà anni Settanta, Patti Smith e il fotografo Robert Mapplethorpe vissero la loro storia d’amore impossibile (lui era gay) tra le pareti di una delle sue stanze. E nella camera numero 100 (ma non chiedete di visitarla, le pareti sono state abbattute), il 12 ottobre 1978 Sid Vicious uccise la sua fidanzata Nancy: nel febbraio dell’anno successivo lo stesso Sid morirà per overdose in un’altra stanza dell’hotel.

Insomma, non è difficile capire come mai l’Herald Tribune gli abbia dedicato un lungo articolo il cui incipit è: “Il Chelsea Hotel è stato una specie di Torre di Babele della creatività e delle cattive abitudini che alcuni dei cervelli più sballati e autodistruttivi del mondo, almeno una volta, hanno chiamato ‘casa’”. Una casa destinata a diventare residence di lusso. Ma nessun party con Paris Hilton o Britney Spears potrà mai cancellare 50 anni di storia e di storie con Dylan, Hendrix, Patti Smith, Wharol, Kubrick, Basquiat, Frida Kahlo...

La playlist del Chelsea Hotel

A cura di Massimo Poggini . Pubblicato il 24 Luglio 2008.
Lo sapevate che il Chelsea Hotel di New York rischia una fine ingloriosa? Poco più di un anno fa la gestione è stata affidata a un nuovo management, e tutto sta cambiando in fretta: le stesse camere che negli ultimi 50 anni hanno ospitato le menti più fertili della controcultura americana saranno trasformate in residenze di lusso. Questo albergo è assolutamente mitico: tra le sue pareti sono nati film, musical, romanzi. Vi hanno girato video clip e scattato migliaia di foto. Molte suite sono dei veri e propri studi artistici. Siccome questo è un blog di musica, mi limito a citare le canzoni che sono state scritte nelle sue stanze e quelle che l’hotel ha ispirato. Ce ne sono così tante che si potrebbe fare una doppia compilation. Ci sono Sara e Sad eyed lady of the Lowlands di Bob Dylan, per cominciare. E se la figlia di Hillary e Bill Clinton si chiama Chelsea è grazie al brano Chelsea morning di Joni Mitchell. Ma bisogna ricordare anche Chelsea Hotel N° 2 di Leonard Cohen (racconta di un rapporto orale con Janis Joplin), Chelsea girls dei Velvet Underground, Third week in the Chelsea dei Jefferson Airplane, We will fall degli Stooges, Stella blue dei Grateful Dead, Walk on the wild side di Lou Reed (che abitò a lungo nelle camere 506 e 115), Like a drug I never did before di Joey Ramone, Edie (Ciao baby) dei Cult, Chelsea Avenue di Patti Scialfa, Chelsea Hotel di Dan Bern, Troubled notes from the Hotel Chelsea di Joe Myers & Casebeer, Chelsea Burns e Song to Alice di Karen Ann, Midnight in Chelsea di Jon Bon Jovi (in realtà la canzone parla dell’omonimo quartiere londinese, ma il video fu girato nell’hotel di New York), The Chelsea Hotel oral sex song di Jeffrey Lewis (il riferimento è alla canzone di Leonard Cohen), Buildings in Chelsea dei Counting Crows, Hotel Chelsea e City rain city streets di Ryan Adams. Inoltre la maggior parte delle canzoni di Poses, il secondo album di Rufus Wainwright, furono scritte in questo hotel nel 1999. Pete Doherty nel 2003 registrò parecchi demo in una stanza del Chelsea: alcuni di quei brani sono finiti nell’album dei Libertines, altri nel primo dei Babyshambles. Se volete saperne di più sulla storia del Chelsea Hotel, non perdete il numero di ottobre di Max.

(fonte : max.rcs.it)

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That Lucky Old Sun - Brian Wilson

Liberatosi dai fantasmi di Smile, il leggendario lost album dei suoi Beach Boys pubblicato quattro anni orsono a quasi quarant'anni di distanza dal suo concepimento, Brian Wilson spedisce "una lettera d'amore in musica dalla California del Sud" che rappresenta, sotto molti punti di vista, una summa della sua quasi cinquantennale carriera. Il disco è una sorta di concept sulle gioie della vita a Los Angeles e dintorni, a partire dalla title-track, un classico scritto nel 1949 da Beasley Smith e Haven Gillespie. La canzone si era depositata da qualche parte nella memoria di Wilson e, ascoltata di recente nella versione di Louis Armstrong, è diventato una delle fonti di ispirazione dell'intero album.

That Lucky Old Sun è un disco che cita a ogni pie' sospinto il glorioso passato del musicista, tornato a incidere per la Capitol negli studi di Hollywood, gli stessi in cui i Beach Boys fissarono su nastro alcune delle loro pagine più memorabili. Ma non sono soltanto le armonie dei Wondermints, la band che da alcuni anni accompagna il sessantaseienne musicista californiano, a rimandare all'epopea dei Ragazzi da Spiaggia. Leggere i testi delle nuove canzoni, zeppi di rinvii a un passato nel quale euforia e mal di vivere sono stati entrambi presenti in una crudele alternanza, è un po' come ripercorrere i momenti fondamentali, esaltanti o drammatici a seconda dei casi, della vita e della carriera di Wilson.

"Estate del '61 - canta in Forever My Surfer Girl, uno dei brani migliori della raccolta - una dea diventò la mia canzone/caddi nei suoi occhi oceano/infiniti come il cielo/sarà per sempre la mia surfer girl". La ragazza, evidentemente, è la stessa Surfer Girl che ispirò uno dei primi grandi successi dei fratelli Wilson. "Ho fatto un sogno - il brano stavolta è Southern California - cantavo con i miei fratelli/in armonia/sostenendoci a vicenda". Un'età dell'oro che non potrà mai più tornare, anche perché Carl se n'è andato dieci anni fa, portato via da un cancro, mentre Dennis è annegato nel mare di Marina del Rey prima di compierne quaranta. E poi il ricordo degli anni più bui della sua vita, proprio all'indomani della realizzazione di un capolavoro come Pet Sounds. "A 25 anni ho spento la luce - si ascolta in Going Home - perché non sopportavo il bagliore nei miei occhi stanchi". E ancora, in Oxygen: "Ho pianto un milione di lacrime/ho sprecato un sacco di anni/come ho fatto a cadere così in basso?/riuscivo a malapena a lavarmi la faccia". Un passato che, come è ovvio, non è stato dimenticato, e su cui Wilson sente ancora il bisogno di tornare in disco che, nelle intenzioni del suo autore, dovrebbe "suonare come Rubber Soul, con ciascun brano che confluisce nel successivo in maniera quasi spirituale". Ancora la vecchia ossessione del confronto con i Beatles, quindi, una rivalità positiva e salutare per Lennon e McCartney, cui l'ascolto di Pet Sounds fece da sprone durante le registrazioni di Revolver ma deleteria per Wilson, cui Strawberry Fields Forever, sentita per la prima volta in autostrada durante il periodo delle sessions di Smile, fece spegnere l'autoradio, accostare la macchina e mormorare sconsolato che i ragazzi di Liverpool "c'erano arrivati per primi".

That Lucky Old Sun ha quindi tutta l'aria di essere per Wilson un disco terapeutico. Un passo avanti, piccolo o grande che sia, verso il difficile obiettivo che insegue da tempo: quello di venire a patti con gli aspetti più oscuri della sua stessa leggenda.

Maurizio Zoja

(Fonte : delrock.it)

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BOB DYLAN & THE BAND
The Basement Tapes (Columbia, 1975)

Scheda di The Basement Tapes per il Mucchio Extra
Ci sono, purtroppo, troppi se e troppi ma attorno a questo album. Se Dylan avesse voluto pubblicare quelle canzoni nel 1967, anno della loro incisione... Se la selezione dei brani da includere fosse stata più assennata, evitando di escludere tasselli importanti di quell’esperienza (I Shall Be Released e Quinn The Eskimo sono clamorosamente assenti, per non citare che due brani celebri)... Se i bootleg successivi non avessero ridicolizzato questo vecchio doppio approntato da una Columbia ansiosa di festeggiare il ritorno a casa di Bob, scappato altrove per un breve periodo... Se non ci fossero tutti questi “se” saremmo al cospetto del capolavoro assoluto. Invece si tratta della mappa di quella repubblica invisibile descritta da Greil Marcus e raccontata attraverso questi brani (alcuni scritti e interpretati solo dalla Band) di affascinante nebulosità.
Alessio Brunialti

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SCRIVEVANO.......

Bob Dylan, il forzato del palco a colpi di rock smonta il suo mito

C' è qualcosa di enigmatico nel modo in cui Bob Dylan conduce la sua carriera. Continua a girare dovunque, ininterrottamente, dimesso e anticelebrativo come uno zingaro senza casa, palasport dopo palasport, lui che potrebbe chiedere di suonare nelle piazze più belle del mondo e nessuno potrebbe rifiutarglielo, lui che ha creato il rock e oggi lo sminuzza in polveri fini gettate al vento in serate "normali" che nulla hanno dell' evento, dell' occasione speciale che il suo nome, e la sua leggenda, esigerebbero. Perché? Come tanti ci affanniamo a decifrare la sua impassibile maschera. Al Palaizosaki di Torino (prima delle due tappe del minitour italiano che si è concluso ieri a Milano) c' erano ad aspettarlo solo seimila appassionati, con molti spazi vuoti nel palasport. Pubblico comunque notevole se pensiamo alla presenza costante sui palchi di mezzo mondo per quello che è stato definito il "Neverending tour", molti se pensiamo a questa insistita vocazione a sottrarre, sminuire, delegittimare ogni riverbero mitico. Per i primi quattro pezzi del concerto (Cat' s in the well, The times they are a-changin, Watching the river flow, It' s alright, ma' ) imbraccia la chitarra elettrica, che è già una piccola novità visto che negli ultimi anni suona quasi esclusivamente la tastiera (causa alcuni acciacchi che gli rendono difficile la posizione "con chitarra"), poi prende definitivamente posizione di fronte ai tasti, e un paio di volte (nel tripudio del pubblico) concede brevi assolo di armonica, ma già all' inizio si comprende l' umore del momento, che è quello di sempre: alternanza tra canzoni recenti e classici, sistematica destrutturazione delle melodie fino alla quasi totale irriconoscibilità. It' s alright, ma' la si deve dedurre dal testo, più ovvia The times they are a-changin che, volendo, è una canzone sempre attuale, non solo perché «i tempi stanno cambiando» ma perché c' è sempre qualcuno che non capisce quello che sta succedendo. Stupisce sempre la sua totale mancanza di seduttività. Sembra non voler far nulla per piacere, malgrado l' elegante vestito scuro e il cappellone bianco a tese larghe. Spezza le melodie sillabando sul tempo devastando ogni residua possibilità di cantarle, magari sottovoce, insieme a lui. Poi gioca a fare il crooner quando attacca Spirit on the water, ma ovviamente sembra un crooner sgraziato, affetto da laringite, e la sua band, di grande potenza elettrica, è costretta a simulare un' orchestrina da balera, languida e dinoccolata. Forse in questo momento i sogni di Dylan lo portano a immaginare scalcagnati teatrini di provincia, chissà, forse la sua irriverente sobrietà è una capriola dell' ego, una parodia dei processi di mitizzazione dell' universo rock, forse continua a invocare i fischi di Newport che nessuno oggi ovviamente avrebbe il coraggio di lanciare al suo indirizzo. Il meglio di sé lo offre rievocando l' antica Boots of spanish leather e soprattutto My back pages dove quel verso epocale e folgorante che dice «I was much older then, I' m younger than that now» («Ero molto più vecchio allora, ora sono più giovane») suona sublime e straziante. La canta come un fagotto avvoltolato in se stesso, senza ostentazione, ma è addolcita dal tempo, e il chitarrista può perfino lanciarsi in un solo rotondo, esaltante, indiscutibilmente lirico. Lascia le briglie sciolte al gruppo al momento di Highway 61, potente cavalcata elettrica e, a sorpresa, si concede perfino l' amata e odiata (forse perché responsabile principale della sua prigionia nel mito) Blowin in the wind in un' irriverente e antiretorica versione boogie. «Quante strade dovrà percorrere un uomo perché tu possa chiamarlo uomo?» la risposta come si sa è nel vento, e lì è rimasta, in questi ultimi quarant' anni. - 

GINO CASTALDO

(fonte : repubblica.it)

 

a
Giovedi 16 Ottobre 2008

INEDITI E RARITÀ DI BOB DYLAN      clicca qui

Ricordate , si dice "TELL TELL SAIS" , La7 docet again :o)

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Bob Dylan: solidarietà ai piccoli lettori del Canada

Una bella iniziativa che vede protagonista Bob Dylan: il cantautore ha deciso che destinerà parte del guadagno dei biglietti venduti per il suo tour in Canada per aiutare un progetto della associazione ‘Raise a Reader’.
Si tratta, dice il sito di MTV, di una associazione che ” si occupa di incrementare l’alfabetizzazione in Canada” fornendo aiuti economici a famiglie in difficoltà, che hanno l’opportunità di fare studiare i propri figli di avere un aiuto per l’acquisto di testi scolastici e non.
Un aiuto alle famiglie e ai giovanissimi lettori del paese è venuto nel tempo anche da altri artisti come Michael Bublé, Anne Murray e James Taylor.

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Dylan : Sarò compreso fra cento anni - (dagli archivi di MF)       clicca qui

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Alessandro Carrera ci scrive :

Gentili amici,
spero di farvi cosa gradita informandovi che che è
appena uscito un mio libro per le edizioni Vertigo di Roma. Il titolo è
“L’America al bivio della democrazia”, 352 pagine, 17 euro. Raccoglie
tutti gli articoli che negli ultimi tre anni (dal settembre 2005 al
settembre 2008) ho scritto per “Europa” (quotidiano del Partito
Democratico). È la cronaca degli Stati Uniti in questi tre anni, dall’
uragano Katrina alla campagna elettorale in corso. Spero che vi possa interessare.

Lo trovate in libreria in Italia, oppure disponibile
su www.internetbookshop.it a questo link:

http://www.ibs.it/code/9788862060165/carrera-alessandro/america-bivio-della.html,

oppure su www.lafeltrinelli.it al link:

http://www.lafeltrinelli.it/products/9788862060165/L'America_al_bivio_della_democrazia/Alessandro_Carrera.html

Grazie per l’attenzione e un cordiale saluto

Alessandro Carrera

Department of Modern and Classical Languages
University of Houston
4800 Calhoun Road
Houston, Texas 77204-3006

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Libri : Cronache di Siviglia

Gentile Michele Murino,
mi chiamo Michele Tosto e sono responsabile dell'ufficio stampa della
Round Robin Editrice. Ti scrivo per segnalarti l'uscita di "Cronache di Siviglia",
un racconto di viaggio ambientato tra Andalusia e
Portogallo in cui tra i trasognati scenari arabeggianti si narrano le
divertenti disavventure on the road del giovane protagonista, uno
studente romano. Abbiamo pensato di scriverti perchè sia io che
l'autore del libro, Federico di Vita, siamo grandi patiti di Bob
Dylan. Inoltre il romanzo è fittamente punteggiato da citazioni
dylaniane più o meno nascoste e, a un certo punto del racconto,
avviene un incontro con un fantomatico viandante portoghese, tale
Rodrigo Zyliàn... Il racconto che il viandante avrebbe (nella
finzione) consegnato al protagonista è un arcipelago di citazioni
dylaniane, la piccola storia del vecchio viaggiatore ripercorre più o
meno i temi trattati - e vissuti - dal Nostro negli anni '70.
Michele Tosto

clicca qui  per la scheda del libro

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Il Fantapoema di Davide "The Saint"

Premessa al Fantapoema Dylaniano:
Ho comprato "Tell tale signs" del grande Dylan e appena ho iniziato ad ascoltarlo, una serie di pensieri e parole hanno occupato la mia mente, e quasi come un'esigenza fisiologica ho iniziato a scrivere, come se quelle parole fossero demoni da scacciare via in una notte da esorcizzare. Ho scritto questo brano ascoltando la voce di Dylan e la sua voce prendeva le vesti di una Musa, ispiratrice di ogni frase, di ogni gesto, di ogni silenzio.

 

Gocce di vodka su lingue di santi blasfemi

di Davide Imbrogno

“Il più delle volte
la mia mente è sincera
Il più delle volte
sono abbastanza forte da non odiare.
Non mi costruisco illusioni fino a starci male
non sono spaventato dalla confusione, non importa quanto grande
riesco a sorridere in faccia all'umanità.
Non ricordo neanche com'era il sapore delle sue labbra sulle mie
Il più delle volte.” (tratto dalla canzone “Most of the time” di Bob Dylan)


Le uniformi vennero bruciate, e il cielo divenne un cerchio fatto di nubi, condannati e cappi,
avvoltoi ubriachi in volo, soldati in uniformi ottocentesche scendevano dalla collina nell’ora del tramonto, e luce fioca, luce calda, occhi e sangue sulla terra dei santi, uomini in tuniche rosse si diressero verso il fiume mistico, padri peccatori, e madri dannate dal dolore.
Mi persi nell’oscurità, in quella notte ogni Dio aveva smarrito il suo cielo, ed io con lui, e guardai il mio viso nello sguardo arrugginito di un barbone, le sue mani sanguinanti, il suo stomaco bucato, e ancora la notte..ticchettio di un pianoforte e voce di un’armonica puttana, disperata,
visioni di danzatrici scalze, balli nell’ora della notte, di quel sorriso ritrovato, e Lei, il suo sguardo lussurioso, un peccatore in una chiesa sconsacrata…

E verso Est echeggiano i tamburi della battaglia, due amanti salgono sul treno della gloria, e ancora rullo di tamburi, un plotone di esecuzione rompe il silenzio dell’ora, tra castità e commiserazione, “Arruolatevi a questo mondo!” dice un generale visigota, “e sopra la lapide di ogni caduto, versate qualche goccio di vodka”. Un sassofonista maledetto brinda al suo clamore con note disperate, e nacqui nel tempo del domani.
Nacqui in ritardo per rinascere in un tempo giusto, nacqui sentendo l’eco di tuoni e lampi che si propagavano verso una terra desolata, nacqui nel tempo in cui “Sarà il nulla a premiarci”,
e i fantasmi d’ieri divengono i Santi dell’oggi, il predicatore pronuncia la frase del domani
“Gloria a questo mondo vecchio!”
Nacqui in una nuvola d’oppio, a contemplare dolore, nacqui con i postumi di una sbronza, nacqui sotto la luce della luna, sotto la misericordia di un ultimo satellite esploso, tra monaci e guerrieri con occhi chiusi, e i loro sandali bucati sulla strada dell’Eterno Ritorno..

Le chiesi di guardarmi, E Lei disse “il mio sguardo ti redimerà da tutto questo male” E fu allora che voltai le mie spalle, e mi diressi ad occhi chiusi verso la valle, ma il tempo è trascorso..si odono urla e odore di peste, e con chitarre battenti e spirito di rivolta andammo verso la caverna a liberare i prigionieri, ma dinanzi la caverna un epitaffio diceva “Qui giace il nostro grande Maestro!” e sentimmo le risate dei prigionieri dentro la caverna, ci dissero
“andate via, o vi facciamo fare la fine del Maestro.
Andate via o uccideremo anche voi! Non abbiamo cicuta, ma fucili calibro 9!
Andate via, noi qui dentro siamo felici abbiamo la Pay tv!”

E la memoria entrò in camere vuote, in quelle mura si avvertiva odore di tempo perduto, lapidato, trafitto, e nel cuore della notte un uomo con il viso d’antieroe, resta sulla strada ad elemosinare compassione dal suo vicino di casa, ma i giardinieri dell’Eden sono in sciopero, e i sindacati in rivolta, l’albero del peccato continua a germogliare, nessuno pota i suoi rami, e nel mentre, Adamo ed Eva mangiano una macedonia di mele su una nave da crociera, lui indossa un panama, e lei, calze autoreggenti e mutandine di pizzo!

Ma sulla collina, un tozzo di candela continua ad emanare una fievole e illusa luce:
luce per incendiare l’ultimo cipresso contaminato,
luce per trafiggere l’ultimo giorno di grazia,
luce per un ultimo istante di beata vita!

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RINGO STARR SCARICA I FAN, ''BASTA AUTOGRAFI''

(ASCA) - Roma, 14 ott - Ringo Starr scarica i suoi fan: basta autografi su lettere e cimeli. In un video pubblicato sul suo sito web -  come rifersice la Cnn - l'ex Beatles dice chiaro e tondo di averne abbastanza. ''Voglio dirvi per cortesia di non inviare piu' posta a nessuno degli indirizzi che avete.
Non verra' piu' autografato nulla a partire dal 20 ottobre.
Se il timbro postale sara' con quella data o successivo, la posta verra' gettata via'', avverte Ringo, occhiali scuri indosso. ''Vi sto dando un avvertimento pacifico ed affettuoso. Ho davvero troppo da fare. Cosi'... basta posta dai fan e niente oggetti da autografare, grazie''.
Il 68enne batterista, che ha pubblicato di recente un nuovo album intitolato ''Liverpool 8'', abita attualmente fra Los Angeles, il sud della Francia e il Surrey. In un'intervista alla televisione britannica lo scorso gennaio aveva fatto infuriare i suoi ex concittadini, affermando che di Liverpool non gli mancava proprio nulla.

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In un video impostato sul suo sito Internet (www.ringostarr.com) il barbuto ed occhialuto Ringo Starr, l’ ex batterista dei Beatles, chiede ai suoi ammiratori di non spedirgli più lettere da autografare perchè è molto “ occupato” e ha tanto “ altro da fare” . Perciò, ammonisce Ringo — in una sorta di ringhioso ultimatum — “ dopo il 20 ottobre non speditemi più nulla” , perchè queste “ mail fan” saranno respinte. All’ inizio e alla fine di questo videomessaggio lungo 44 secondi Ringo solleva la mano destra e allarga le dita a V, accompagnando il gesto con la formula “ pace e amore, pace e amore” che è il suo marchio vocale da quando, insieme agli altri tre Beatles, andò a meditare in India. C’ è da capirlo, Ringo: riceve in media 6mila lettere al giorno… O è un ingrato?

clicca qui  per vedere il video

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Libri : Il cavaliere elettrico

Il Cavaliere Elettrico: viaggio romantico nella musica di Massimo Bubola
In uscita dal 20 settembre in tutte le librerie il nuovo e attesissimo libro "Il Cavaliere Elettrico: viaggio romantico nella musica di Massimo Bubola", scritto dal giornalista Matteo Strukul per la casa editrice Meridiano Zero. Per ulteriori informazioni www.meridianozero.it

 

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Mercoledi 15 Ottobre 2008

Ebay : All'asta l' acetato del 1° LP di Bob Dylan        clicca qui

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Tell Tale signs al 5° posto nelle classifiche irlandesi    clicca qui

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Tell Tale signs al 14° posto nelle classifiche italiane    clicca qui

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Bob Dylan: pubblicato "Tell Tale Signs"                      clicca qui

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TELL TALE SIGNS

di Gianni Sibilla

Le “Bootleg series” sono state una delle mosse più astute di Bob Dylan: colui che fu di fatto il primo artista pop-rock ad essere oggetto di un album illegale – il mitico “Great white wonder” - è stato anche il primo a legalizzare la diffusione di materiale d'archivio in maniera seriale, ben prima che il digitale rendesse tutto più semplice. E prima che altri colleghi (Springsteen, Young...) ci provassero seriamente.
A dire la verià, dopo i primi tre volumi, raccolti in un box nel 1991, la serie si è un po' persa per strada: i 4 volumi successivi erano concerti, tra cui certo alcuni memorabili, ma tant'è. Questo nuovo volume riporta tutto a casa, per usare una frase di Dylan. Due CD (tre, se siete fortunati a recuperare l'edizione deluxe) di inediti, versioni alternative, brani live. Tutti provengono dall'89 in poi, andando idealmente a completare quanto fornito dai primi tre volumi. La confezione, almeno quella standard - è meno sontuosa del box primigenio, ma per fortuna il contenuto no: un libretto assai dettagliato soddisferà le voglie dei fan più accaniti.
Come sempre, in questi casi, c'è una doppia chiave di lettura: quella dei fan, appunto, e quella dell'ascoltatore comune. Il fan si divertirà a confrontare il materiale con le proprie conoscenze e con le versioni originali. A farla da padrone, in questa raccolta, sono le versioni alternate del periodo “Oh mercy”, il disco che nel 1989 ha rilanciato Dylan grazie alla tormentata collaborazione di Daniel Lanois (e a cui venne dedicato anche diverso spazio nelle “Cronicles”, l'autobiografia pubblicata in Italia da Feltrinelli). Tanto per citare un esempio, canzoni come “Most of the time” dimostrano la tensione creativa di quelle sessioni, con i suoni diversi da quelli poi pubblicati ufficialmente. Inutile entrare nei dettagli: questo è uno di quei dischi da leggere, spulciando tra le note del booklet.
Il secondo livello è quello dell'ascoltatore non specializzato: qua dentro troverà ottima musica, che dimostra come Dylan, dal suo “ritorno” con “Oh mercy”, abbia mantenuto un grande livello non solo dal vivo con il famigerato “Never ending tour”, ma anche in studio. I dischi del cantautore sono usciti un po' a sprazzi, e il libretto ne spiega bene i motivi, senza ricorrere ai soliti stereotipi sull'artista bizzoso. Ma, a parte questo, ciò che dimostra questo box è la grandezza di Dylan anche in questo periodo. Alla faccia del declino: consigliatissimo, a tutti.

(fonte : rockol.it)

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Un racconto di Dario Twist of Fate a.k.a. poetadelcazzo79

Ciao Mr.T , per la gioia dei miei amici farmer e per l'antipatia di chi in passato mi ha contestato sul blog
segnalo che sono stato inserito in un blog molto visitato con un post dylaniano
Dammi ancora una pillola blu (e starò meglio) (One more cup of coffee)

http://faldoni.splinder.com/post/18716496/Dammi+ancora+una+pillola+blu+-
a presto e grazie per la fiducia! Dario Twist of Fate

Sono contento caro Dario , te lo sei meritato , ciao :o)

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Glaser: l'amore per New York passa da Voltorre            clicca qui
 

a
Martedi 14 Ottobre 2008

Talking Bob Dylan Blues - Parte 427 -    clicca qui

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Classifiche UK: direttamente al numero nove "Tell tale Signs"    clicca qui

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...Are times a-changin' ?

Nato dall’idea di Antonio Nardo di portare in scena le musiche storiche del rock degli anni Sessanta il progetto è diventato, dopo l’incontro con Giò Alajmo, giornalista - critico e autore, una rappresentazione di musica e teatro sull’America del Dopobomba.
Una rappresentazione che attraversa la nascita del rock’n ’roll, la poesia beat, le crisi politiche, le battaglie per i diritti civili e l’integrazione razziale, il grande sogno degli anni Sessanta vissuti da un ragazzo del ’43, orfano di guerra, che si trova a vivere il suo tempo e a inseguire una passione per la musica ritrovandosi in prima persona tra gli eventi del suo tempo; fino a chiedersi alla fine se davvero – come cantava Bob Dylan - i tempi erano cambiati.
Lo spettacolo è un po’ concerto, un po’ narrazione, un po’ integrazione visiva con luci, proiezioni e immagini che completano il percorso narrativo di questo messaggio di pace.
Un evento assolutamente imperdibile proprio nel 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani e della Costituzione Italiana, a 40 anni dall’assassinio di M.L.King e dal ..’68 , interpretato da Vasco Mirandola e Gaetano Rocco Guadagno e con le musiche d’epoca eseguite dal vivo dalla Mr.AntonDjango’s Band.
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MISSISSIPPI - Parole e Musica Bob Dylan

Ogni passo del cammino, percorriamo il limite I tuoi giorni sono contati, e così i miei. Il tempo si ammassa, ci affanniamo e graffiamo Siamo tutti inscatolati, senza nessun posto dove scappare La città è solo una giungla, con più commedie da recitare Intrappolato nel profondo, cerco di fuggire Sono cresciuto in campagna, ho lavorato in città I miei guai sono iniziati appena ho appoggiato a terra la valigia Non ho nulla per te e niente avevo prima Non ho niente nemmeno per me stesso ormai Fuoco nel cielo, il dolore scorre a fiumi Non c'è niente che tu mi possa offrire, ci vediamo in giro

Tutte le mie capacità espressive ed i miei pensieri così sublimi Non potrebbero mai renderti giustizia, con il raziocinio o con la poesia Ho sbagliato solo una cosa, Sono rimasto in Mississippi un giorno di troppo Il diavolo è nel vialetto, il mulo nella stalla Dì pure tutto quello che vuoi, ho già sentito tutto Pensavo alle cose che ha detto Rosie e sognavo di dormire nel suo letto Cammino attraverso le foglie cadenti dagli alberi Mi sento come un estraneo, che nessuno vede Così tante cose che non cancelleremo mai Lo so che ti dispiace, dispiace anche a me

Alcune persone ti offriranno il loro aiuto e certe altre no La notte scorsa ti conoscevo, stanotte no. Ho bisogno di qualcosa di forte per distrarmi la mente Ti guarderò finché non mi si accecheranno gli occhi Sono arrivato qui seguendo la stella del sud Ho attraversato quel fiume solo per starti vicino Ho sbagliato solo una cosa, Sono rimasto in Mississippi un giorno di troppo

La mia nave è andata in mille pezzi e sta affondando veloce Sto annegando nel veleno, non ho futuro, non ho passato Ma il mio cuore non è stanco, è leggero e libero Non nutro altro che affetto per tutti quelli che hanno navigato con me Se ne vanno tutti, o forse son già lì Devono tutti andare da qualche parte Stai con me piccola, stai con me in qualche modo, Le cose dovrebbero iniziare a diventare interessanti proprio ora

Ho i vestiti bagnati, attaccati alla pelle Non così stretti come l'angolo nel quale mi sono dipinto
Lo so che la fortuna attende di essere benevola Perciò dammi la mano e dimmi che sarai mia. Il vuoto è senza fine, freddo come l’argilla Puoi sempre tornare indietro, ma non puoi mai tornare indietro completamente Ho sbagliato solo una cosa, Sono rimasto in Mississippi un giorno di troppo.

Dario Twist of Fate

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SCRIVEVANO.......

UNA CHIACCHIERATA DI MEZZANOTTE CON BOB DYLAN

Fort-Lauderdale,Sun Sentinel 29 settembre 1995
Intervista di John Dolen

traduzione di Alexan "Wolf"

Quando Bob Dylan chiama è quasi mezzanotte. Quando parla, lo fa con voce chiara e distinta. Si dimostra contemplativo, enigmatico, persino poetico, pur essendo a fine giornata, di rientro in hotel a Fort Lauderdale dopo una prova con la band.
La parte meridionale del suo tour attuale stasera ‘ingrana la quinta’ con il primo di due concerti al Sunrise Musical Theatre. Il tour, in corso da oltre un anno, si è guadagnato recensioni entusiastiche da parte della critica di New York, San Francisco e Dublino. Nel colloquio di quasi un’ora con John Dolen, direttore di Arts & Features, la prima intervista approfondita che abbia dato ad un giornale quest’anno, Dylan parla delle sue canzoni, del processo creativo e dell’esibizione gratuita di domenica scorsa all’Edge di Fort Lauderdale.

Domanda: Come molti, anch’io nel corso degli anni ho trascorso migliaia di ore ad ascoltare i tuoi dischi. Ancora adesso, non passa un mese senza Blonde on Blonde, Highway 61 Revisited, Slow Train Coming, Street Legal, Oh Mercy. Ti capita mai di sederti e riguardare tutti questi dischi dicendoti, hey, niente male?
BD: Sai, è ironico. Non li ascolto mai. Davvero, non li riconsidero mai, tranne che per prenderne delle canzoni qua e là da suonare. Forse dovrei ascoltarli. Come corpus di lavoro, ce ne potrebbe essere sempre di più. Ma dipende. Robert Johnson fece un solo disco – il corpus del suo lavoro è costituito da un solo disco. Pure, non c’è lode o stima abbastanza alta per ciò che rappresenta. Ha influenzato centinaia di artisti. C’è gente che ha pubblicato 40 o 50 dischi e non ha fatto quel che lui ha fatto.

D: Che disco era?
BD: Un disco chiamato King of the Delta Blues Singers. Nel '61 o '62. Era brillante.

D: All’inizio del mese la tua performance al concerto di Cleveland per il Rock and Roll Hall of Fame ha convogliato un sacco di attenzione. E’ importante per te? Qual è il tuo sentimento a proposito di questa istituzione?
BD: Non ho mai visitato l’edificio, ho giusto presenziato al concerto, che è stato piuttosto lungo. Perciò non ho commenti sull’interno o su una qualsiasi delle esposizioni che vi sono ospitate.

D: Ma come ti sembra l’idea di una “rock hall of fame” in se stessa?
BD: Non c’è più niente che mi sorprenda. Di questi tempi può accadere di tutto.

D: Allo show di domenica all’Edge, hai fatto molte cover, inclusa un po’ di roba vecchia, come Confidential. Era una canzone di Johnny Ray?
BD: Di Sonny Knight. Non la risentirai.

D: Oh, è questa la ragione per il tuo commento "provate a tramutare la cacca di toro in oro" allo show? Quelle cover erano qualcosa solo per gli spettatori dell’Edge? Vuol dire che non hai intenzione di fare altro materiale come quello nel tour, concerti del Sunrise compresi?
BD: Sarà il solito show che facciamo in questo tour, canzoni che la maggior parte della gente ha già sentito.

D: In tema di musica non-di-Dylan, Bob Dylan che cassette o CD si spara in questi giorni?
BD: Mai sentito John Trudell? Recita le sue canzoni invece di cantarle ed ha una band veramente buona. C’è un sacco di tradizione in quello che fa. Mi piace anche Kevin Lynch. E Steve Forbert.

D: Ci sono nuove band che ritieni degne di attenzione?
BD: Qua e là sento qualcuno e penso che siano tutti grandi. Per lo più non mi capita mai di risentirli. Ho visto qualche gruppo d’estate a Londra. Non so come si chiamano.

D: A questo stadio della tua carriera, una volta meritati ogni sorta di onore e di riconoscimento pubblico che una persona possa ottenere, che cosa ti motiva?
BD: Li ho avuti di entrambi i tipi. Ho avuto riconoscimenti positivi e negativi. Prestare attenzione a queste cose è patologico. Leggere di noi stessi ci fa ammalare. Devi provare a non pensarci o a liberartene prima possibile.

D: Per alcuni scrittori la motivazione consiste nel farsi carico di riuscire a portar fuori ciò che è dentro di loro e poi a metterlo sulla carta. Com’è per te?
BD: Esattamente così. Ma se non riesco a farlo accadere quando viene, sai, quando altre cose si intromettono, di solito non lo faccio accadere. Non vado in un certo luogo in un certo momento ogni giorno per costruirlo. Nel mio caso, molte di queste canzoni se ne stanno in giro imperfettamente…

D: Come songwriter, che cos’è il processo creativo? In che modo nasce una canzone come All Along the Watchtower?
BD: Ci sono tre modi. Scrivi i testi e cerchi di trovare una melodia. Oppure, se riesci a ottenere una melodia, allora tenti di ficcarci i testi in qualche modo. E infine il terzo modo è quando vengono entrambi insieme. Dove tutto accade confusamente: le parole sono la melodia e la melodia è le parole. E questo per qualcuno è l’ideale, come per me che riesco a partorire qualcosa. All Along the Watchtower era in quel modo. E’ balzata fuori in un tempo molto breve. Non mi piacciono le canzoni che ti fanno sentire flebile o indifferente. Per me ciò lascia un’intera quantità di cose fuori dal quadro.
(ndt, sono profondamente insoddisfatto della traduzione di questa risposta di Bob: leggetevela nell’originale. Ci sono dentro serietà, impazienza, ironia, indeterminatezza, molteplicità di significati - delle singole parole e dei costrutti verbali - e anche una rara e tremenda precisione)

D: Cos’hai provato quando hai sentito per la prima volta la versione di Jimi Hendrix di All Along the Watchtower?
BD: Mi sopraffece, davvero. Aveva un tale talento, era in grado di trovare delle cose in una canzone e di svilupparle con vigore. Trovava cose che altri non avrebbero pensato di trovarci dentro. Probabilmente la migliorò con il suo uso degli intervalli. In effetti, mi sono preso delle licenze con la canzone a partire dalla sua versione, e continuo a farlo ancora oggi.

D: Angelina dalle Bootleg Series è una grande canzone, ma, non importa quanto ci provi, non riesco a dare un senso alle parole; mi dai un indizio?
BD: Non provo mai a capire a cosa si riferiscano. Se ci devi pensare, non è lì (il senso).

D: Una canzone che mi ha sempre ossessionato è Senor, da Street Legal. L’hai mai suonata negli ultimi anni?
B: La facciamo forse ogni tre, quattro o cinque show.

D: Nei ’70, dopo alcuni anni passati all’estero, mi ricordo l’incredibile euforia che sentii quando tornai negli Stati Uniti sentendo le tue canzoni cristiane, una convalida delle esperienze che avevo fatto in Spagna. Ricordo i versi,
"Parli di Buddha
Parli di Maometto
Ma non dici mai una parola per colui che venne a morire al nostro posto ..."
Erano versi intrepidi. Adesso come ti senti a proposito di quelle parole e delle canzoni che hai scritto in quel periodo?
BD: Il fatto di scrivere canzoni come quelle probabilmente mi ha emancipato da altri tipi di illusioni. Ho scritto così tante canzoni e così tanti dischi (ndt, notare la distinzione) che non sono in grado di rivolgermi a tutti con proprietà. Non posso dire che sarei in disaccordo con quel verso. Sul suo piano, scriverlo per me fu una specie di punto di svolta.

D: Con un repertorio ampio come il tuo e con il successo di quest’anno del disco MTV Unplugged (ndt, non proprio acustico), perchè nei concerti di questo tour proponi sempre un suono così pesante di chitarra e batteria?
BD: Non è il tipo di musica che farà addormentare qualcuno.

D: L’altra notte all’Edge hai lasciato le armoniche sullo scaffale senza toccarle, c’è qualche ragione?
BD: Sono una tale dinamo su se stesse (ndt, forse: hanno una tale capacità di ricaricarsi da sole). Le prendo quando mi sento di farlo.

D: Hai fatto parecchi passaggi da queste parti negli ultimi 10 anni. Cosa pensi della Florida del Sud?
BD: Mi piace molto, a chi non piacerebbe? C’è molto da apprezzare.

D: Ora c’è Bob Dylan su CD-ROM, Bob Dylan nella Rete e tutta quella roba. C’è gente che ti prende troppo sul serio?
BD: Non tocca a me dirlo. La gente prende tutto seriamente. Rischi di diventare troppo altruista riguardo a te stesso, per via dell’energia mentale degli altri.

D: Al di là dell’Atlantico c’è un collega di nome Elvis Costello che, dopo di te, occupa un sacco di spazio sullo scaffale accanto al mio stereo. Siete entrambi prolifici, ogni volta ve ne uscite con album particolari, con una ricca produzione immaginativa e molto da dire, e così via. C’è qualche ragione per la quale non ho mai visto i vostri nomi e le vostre facce insieme in tutti questi anni?
BD: E’ buffo che tu dica questo. Ha appena suonato in quattro o cinque dei miei show a Londra e Parigi. Ha fatto molte canzoni nuove, suonandole da solo. Faceva cose sue. Avresti dovuto essere lì.

D: L’America è migliorata o peggiorata dai tempi di, diciamo, The Times They are A-Changin’?
BD: Vedo fotografie degli anni ’50, ’60 e dei ’70 e vedo che c’era una differenza. Ma non penso che la mente umana possa concepire il passato e il futuro. Sono entrambe solo illusioni che possono indurti a pensare che qualche tipo di cambiamento ci sia stato. Ma per chi è in giro da un po’, sembrano entrambi innaturali. Apparentemente procediamo lungo una linea retta, ma poi cominci a vedere cose che hai già visto. Hai mai avuto un’esperienza del genere? Sembra che giriamo in tondo.

D: Ora, quando guardi avanti, vedi ancora uno Slow Train Coming?
BD: Ora, quando guardo avanti, ha preso un po’ di velocità. In effetti, adesso va come un treno merci.
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Special : Bob Dylan and the West Coast     clicca qui

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Fotografia jazz: scompare W. Claxton   clicca qui

 

a
Lunedi 13 Ottobre 2008

Tell Tale Signs : l'opinione dei Maggiesfarmers

Ho subito registrato i due cd disponibili in streaming e li ho ascoltati per bene.
(Nota a latere: io ho imparato (circa a.d. 1972) ad amare Dylan su un mangiacassette monofonico,
dalle audiocassette prestatemi da un amico, piene di fruscii, click e pops, tramite
un altoparlante da 5 centimetri di diametro... per me un mp3 scaricato e registrato
tramite scheda audio ha una qualità eccelsa, superiore ad ogni immaginazione... :-)
ben vengano quindi queste stupende preview a costo zero)

Come tutti i "Bootleg Series" si tratta di roba per fan(atici) come noi,
su questo non c'è dubbio, e capisco quindi la scelta di creare il
cofanetto dorato a 160,00 euro. Se li avessi ce li spenderei, ma di questi tempi...
Per me si tratta di un disco molto interessante. E' bello vedere/sentire
come le canzoni si trasformano nelle mani di Dylan (una per tutte Mississippi!!!).

E' bello poter capire come nasce un capolavoro simile. Non si scaverà mai abbastanza
nel patrimonio di registrazioni dylaniane perché si troveranno sempre
delle perle, o quantomeno dei segni che rivelano il suo modo di lavorare
da artigiano delle emozioni.

Pensavo di trovare una Mississippi più simile a quella registrata da Sheryl
Crow e invece tutt'altro... anche allo stato embrionale lascia stupefatti per la sua
semplicità, come anche Red River Shore che è stupendissima. E Highwater con
l'ormai mitico Freddy Koella alla chitarra, completamente stravolta...
E' un disco pensato per noi che adoriamo Dylan, certo poco digeribile e
troppo monotono per essere apprezzato da un pubblico distratto.

Non sono per una condanna, e mi pare di capire che il terzo Cd (quello che costa
160,00 euro) forse è il migliore dei tre... vedremo se e quando
riuscirò a sentirlo... Sono curioso in particolare per Trying To Get To
Heaven, che ad Anzio (2001) fu strepitosa. Spero si tratti dello stesso
arrangiamento con quell'atmosfera jazzy così magica ed inusuale per Dylan.

Comunque, pur essendo sempre stato scettico sulla bontà dei concerti di
Dylan, ora non concordo con l'eccesso di critiche che sto leggendo, mi
sembra che si stia esagerando, specialmente ora che Lui ha raggiunto un'età
ragguardevole, che meriterebbe maggior rispetto "a prescindere!", come
diceva il Principe De Curtis.

Alla prossima
Bruno "Jackass"

P.S. un saluto particolare a Paolo Bassotti, lui sa il perché.

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Gli Anni '60
(Traduzione dall'originale inglese di Paolo Latini)

Era giunto il tempo perché qualcosa cambiasse, ma serviva ancora un elemento catalizzatore.

Il "Mersey-beat" cambiò per sempre la storia della musica. Il Mersey-beat proveniva dal niente, ma si portava dietro il potere della storia. La Gran Bretagna aveva avuto una scena musicale pidocchiosa per tutti i Sixties. Per lo più, i rockers inglesi scimmiottavano Presley. La Gran Bretagna non si identificava con il rock and roll, non apprezzava quelle sue attitudini "ribelli", non si divertiva ai suoi ritmi frenetici. In altre parole, quindi, il seme era già stato piantato. La Gran Bretagna ebbe una scena alternativa prima degli Stati Uniti: i blues clubs. Per tutti gli anni '50, in Inghilterra spuntavano blues clubs ovunque. Londra ne era l'epicentro, ma un po' tutte le maggiori città inglesi avevano la loro dose settimanale di blues. Diversamente dalla controparte rock, che era costruita attorno a meri imitatori, il cosiddetto British blues contava su veri innovatori che plasmarono la materia blues fino a farla diventare qualcosa di diverso. Cominciò una metamorfosi che trasformò il blues in musica "bianca": si enfatizzavano i ritornelli epici, si velocizzavano le chitarre ritmiche di Chicago, le parti cantate venivano smorzate perché il suono fosse più operatico, si flettevano i cori, si aumentavano gli arrangiamenti organistici e si aggiungevano armonie vocali. In pochi anni, i musicisti di british blues si trovavano a suonare qualcosa di profondamente sentito, come era il blues americano, ma con una potenza che nessun altro aveva sulla Terra.

Agli albori dei Sixties, i veterani di quella scena, o, se si preferisce, i discepoli, portarono alla formazione di bands come i Rolling Stones, gli Yardbirds e gli Animals. I Rolling Stones divennero "la" sensazione a Londra e registreranno i singoli che ebbero il maggior successo. Gli Yardbirds erano il gruppo più sperimentale di tutti, e furono il ginnasio di tre tra i migliori chitarristi di sempre: Eric Clapton, Jeff Beck e Jimi Page. Dalle loro ceneri nacquero due gruppi blues, i Cream e i Led Zeppelin, che in pochi anni, rivoluzionarono di nuovo la musica rock.

Liverpool era l'eccezione: non ebbe una scena alternativa ma un pugno di gruppi più commerciali. Il produttore George Martin fu il demiurgo che creò l'intera scena, insieme a Gerry And The Pacemakers e i Beatles, il gruppo che avrebbe poi avuto un successo mondiale. Le facce pulite e sorridenti dei ragazzi di Liverpool creavano un aspro contrasto con l'animalismo del blues selvaggio dei club del circuito underground. Ma i due fenomeni erano complementari. La "Beatlemania" rubò il momento di grazia che stava vivendo la musica blues e capì presto come convertire quella musica in un'attrazione di massa. Era nato il Rock come business.

I gruppi più influenti della seconda generazione furono i Kinks e gli Who. Entrambi registrarono concept-album e "rock opera" che parafrasavano l'operetta inglese nel linguaggio della musica rock. Ma, mentre i Kinks proponevano del rock melodico, gli Who, con le loro chitarre maniacalmente amplificate, puntavano ad un futuro più rumoroso e meno ingentilito. I Rolling Stones, i Kinks e gli Who rappresentano la triade rock di metà anni '60 che influenzerà per decenni intere generazioni di gruppi rock. Gli Who componevano canzoni autobiografiche sulla gioventù selvaggia e frustrata. I Rolling Stones scrivevano canzoni autobiografiche sui punk decadenti della classe operaia. I Kinks componevano vignette realistiche sulla vita ordinaria dell'Inghilterra borghese. Tutti e tre insieme hanno dato un affresco completo dell'epoca nella quale vivevano.

Cream e Led Zeppelin pagarono la loro quota del debito quando cominciarono a suonare un blues decisamente rumoroso. I lunghi solo dei Cream e i riff veloci dei Led Zeppelin crearono l'epitome dell'"hard rock".

The impact of British electricity on the American scene was equivalent to an earthquake. Kids embraced electric guitars in every garage of the United States and started playing blues music with a vengeance.

On the East Coast it was Dylan again who led the charge. His first electric performances were met with disappointment by his fans, but soon "folk-rock" boomed with the hits of the Byrds and Simon And Garfunkel.

Il movimento psichedelico che si stava diffondendo per tutto il paese in qualche modo si unì con l'ondata di rock elettrico e con i movimenti di protesta. Diventarono tutt'uno a New York e a San Francisco. I Velvet Underground e i Fugs fecero del rock and roll un'operazione intellettuale.

Nella West Coast tanto San Francisco quanto Los Angeles reagirono al boom del rock and roll in un modo tipicamente eccentrico. San Francisco, che stava diventando la mecca degli hippies, profuse l'"acid-rock", e Los Angeles, il cui milieu aveva già prodotto innumerevoli danni letterari e cinematografici, profuse Frank Zappa e Captain Beefheart, due dei più influenti musicisti del secolo. Zappa e Beefheart registrarono alcuni dei dischi tra i più sperimentali di sempre ever e fecero del rock and roll un'arte seria e maggiore. Le bands San Francisco, guidate dai Jefferson Airplane e dai Grateful Dead, si avvalevano di complesse armonie e di jams improvvisate, con le quali avvicinarono la musica rock agli eccessi intellettuali del jazz. Blue Cheer e Quicksilver spianarono la fondazione dell'hard-rock.

il rock psichedelico si diffuse per tutto il paese, fino a riversarsi in Gran Bretagna. Ben presto l'America produsse i Doors e l'Inghilterra i Pink Floyd, due bands la cui influenza sarà gigantesca. La psichedelia texana restò nell'anonimato, ma gruppi come Red Crayola erano "avanti" per il loro tempo. Anche Detroit restò ai margini del giro principale, comunque sia gli MC5 e gli Stooges fecero fare un passo in più allla musica rock sulle scale del rumore.

Il boom della musica rock negli Stati Uniti fece resuscitare il blues. Jimi Hendrix e Janis Joplin divennero stars, e innumerevoli musicisti di blues bianco riempirono i clubs di Chicago e di San Francisco. La Band, i Creedence Clearwater Revival e i Doobie Brothers raggiunsero nuove frontiere nella rivisitazione delle tradizioni della musica bianca e nera. Nel sud questo revival portò alla nascita del "southern rock" e gruppi quali gli Allman Brothers e Lynyrd Skynyrd.

La musica country era sempre monopolio di Nashville, ma molti artisti la univano alle meditazioni orientali, all'improvvisazione jazz e alla libertà del rock. Sandy Bull, Robbie Basho e John Fahey suonavno lunghi pezzi strumentali che potevano competere con le ambizioni della musica d'avanguardia.

Nel frattempo, la black music stava avendo una sua metamorfosi. Il Soul assunse la forma di una musica festatiola con il catalogo della Tamla Motown tra cui le Supremes, e il rhythm and blues mutò in un genere febbrile , il "funk", grazie alle spettacolari oscenità di artisti come James Brown.

In Gran Bretagna, la musica rock prese più di un sentimento europeo con i movimenti psichedelici nati al di fuori dei clubs. Canterbury divenne il centro del rock più sperimentale. I Soft Machine furono il gruppo più importante del periodo, dando alla musica rock una tinta jazz che sarà ispirazione del "progressive-rock". Tra i musicisti eccentrici e creativi che nasceranno dall'esperienza Soft Machine ci saranno Robert Wyatt, David Aellen, e Kevin Ayers. La loro eredità sarà ben presente in altre bands di Canterbury come gli Henry Cow, non meno creativi e improvvisatori.

Il Progressive-rock tagliò via l'energia del rock e la rimpiazzò con l'intelletto. Traffic, Jethro Tull, Family e più tardi i Roxy Music svilupparono una miscela di soul-rock che avava poco in comune sia con il soul che con il rock and roll: lunghe jams convolute, accenti jazzati, e arrangiamenti barocchi deragliarono dalla forma-canzone. King Crimson, Colosseum, Van Der Graaf Generator, i primi Genesis, Yes cominciarono a suonare brani sempre più complessi, teatrali ed ermetici. Gli arrangiamenti diventarono sempre più complessi, gli strumentisti sempre più virtuosi. Spesso venica adoperata una strumentazione elettronica. Bonzo Dog Doo Dah Band, Third Ear Band e Hawkwind crearono generi per i quali, al tempo, non esistevano nomi (cabaret decadente, world-music e hard rock psichedelico).

Il paradigma si allargò presto all'Europa continentale, che partorì i suoi primi grandi gruppi rock: Magma, Art Zoyd, Univers Zero.

Anche i folksingers britannici sembravano sempre più intellettuali francesi che cantastorie vecchia maniera. Il folk revival dei Sixties fu in gran parte opera di tre gruppi: i Pentangle, i Fairport Convention e gli Incredible String Band. Ma attorno a quelli, vivevano cantanti/cantautori come Donovan, Cat Stevens, Nick Drake , John Martyn, Syd Barrett e Van Morrison che stabilirono dei nuovi standard di espressività musicale per temi intimistici.

Gli anni '60 furono in definitiva l'era "classica" della musica rock. I principali sotto-generi del rock furono coniati in quel decennio. Il paradigma della musica rock, intesa come polo "alternativo", in contrapposizione alla musica pop commerciale, fu stabilito proprio negli anni '60. Le sperimentazioni selvagge permisero ai musicisti rock di esplorare una gamma di stili musicali che in pochi avvicinarono prima del 1966. Captain Beefheart e i Velvet Underground crearono addirittura un diverso tipo di musica rock dentro la musica rock, un diveso paradigma dentro il nuovo paradigma, uno che influenzerà musicisti alternativi per decenni. Non i giganti Bob Dylan e Jimi Hendrix, ma umili musicisti come Captain Beefheart, i Velvet Underground e Red Crayola sono forse i veri eroi dei Sixties.


anni 70
(Traduzione dall'originale inglese di Paolo Latini)
La morte di Jim Morrison, di Janis Joplin, di Jimi Hendrix e di molti altri, causò una sorta di raffredamento nel fenomeno rock. Dopo gli eccessi degli anni '60, Bob Dylan ed altri, intrapresero una strada più pacifica verso il nirvana del rock, e ri-scoprirono la musica country. Fu così che il "country-rock" divenne una delle prime manie degli anni '70, portando al successo gruppi come gli Eagles. Poi c'erano il reggae, che divenne un genere commercializzato grazie a Bob Marley, il funk, che divenne addirittura più assurdo e sperimentale con le bands di George Clinton, l'hard-rock, da cui nascerà l'heavy-metal (Blue Oyster Cult, Kiss, Aerosmith, AC/DC, Rush, Journey, Van Halen). I '70 segnarono tutto sommato un momento di quiete, contro le nevrasteniche battaglie dei '60.

Al volgere del decennio, il fenomeno musicale predominante fu l'emergere di una nuova generazione di cantanti/cantautori, diretta conseguenza delle ambizioni intellettuali della precedente generazione. Leonard Cohen, Tim Buckley, Nico, Lou Reed, Todd Rundgren, Joni Mitchell, Neil Young, Tom Waits, e il più famoso di tutti, Bruce Springsteen, stabilirono il paradagma di una personalità musicale che univa in sé quelle del classico compositore e del folksinger.

In Gran Bretagna, i primi anni '70 furono caratterizzati dall'espandersi dell'hard-rock e del progressive-rock, e quindi delle loro varie ramificazioni nei molti sotto-generi. I musicisti britannici conferirono una qualità "intellettuale" al rock'n'roll, qualità che regalò al rock una dignità pari a quella di cui godevano il cinema e la letteratura europei. Il rock britannico soffrì però della stessa stagnazione che stava affliggendo quello americano. L'impulso creativo e innovativo si spense rapidamente, e i nuovi generi creati dai musicisti britannici o diventavano sterili o si trasformavano in fenomeni commerciali. La decadenza musicale si portò dietro la decadenza del rock, personificata da dandies come David Bowie e Marc Bolan. Eccentrici sopravvissuti del progressive-rock come Robert Fripp e Peter Gabriel si riciclarono ridisegnandosi delle carriere avanguardiste, cosa che porterà ad una nuova e più estesa concezione della musica rock. Nuovi musicisti, come Kate Bush e Mike Oldfield aiutarono la musica rock a liberarsi delle classificazioni di genere e aprirono le porte ad una musica più astratta. Ma fra tutti, il musicista più influente fu Brian Eno, che dopo aver rinnovato il progressive-rock con i Roxy Music, ha inventato come solista la musica ambient.

Pressoché ignorato al tempo, il rock tedesco (noto anche come "kosmische musik") era probabilmente vent'anni avanti il rock britannico. Kraftwerk, Amon Duul, Tangerine Dream, Klaus Schulze, Faust, Neu! Can realizzarono alcuni dei più importanti albums dell'epoca, e dell'intera storia della musica rock. Guidarono la fondazione della musica popolare elettronica, del moderno rock strumentale, addirittura della new-age e della disco music.

A metà anni '70, più che "innovare", la parola d'ordine era "consolidare", ma ci furono due fenomeni che avrebbero avuto un grosso impatto sul futuro imminente: la disco-music e il punk. La Disco-music fu il primo genere ad usare strumenti elettronici per musica commerciale di massa. La musica da ballo cambierà per sempre. Si cominciarono ad usare arrangiamenti orchestrali, che diventarono presto tanto ordinari quanto gli assoli di chitarra. Il punk ebbe un impatto anche maggiore, perché si accompagnò al processo di emancipazione dell'industria discografica dal mondo delle "majors". Nacquero migliaia di etichette discografiche indipendenti, che producevano e promuovevano artisti alternativi, e presto l'intera scena musicale sarà divisa in due tronconi: il rock commerciale (quello di Elvis Presley e dei Beatles) e il rock alternativo (quello di Zappa e Grateful Dead). Il Punk in sé era un tipo di rock veloce, ruomoroso, ma divenne rapidamente un moniker per tutta la musica aggressiva dell'epoca.

Dalle ceneri del decadentismo di gruppi come i New York Dolls, i Ramones fecero del punk una religione, oltre che un suono.

A New York i punks erano tanto intellettuali quanto lo erano i folksingers di vent'anni prima. Patti Smith, Television, Suicide e Feelies erano i nomi principali della "new wave". La new wave fu realmente una "nuova ondata" di creatività, che ci trascina indietro fino agli anni '60, quando si competeva per innovare.

Dettagli sulla New Wave

I Sex Pistols guidarono la prolifica scuola punk in Gran Bretagna, dove il punk era una musica di ribellione dai forti connotati sociali e politici. I punks non erano necessariamente arrabbiati, anarchici e suicidi: i Clash e i Fall erano punks con un cervello.

Dettagli sul Punk

I Pere Ubu, e i Devo in Ohio, e i Residents e i Chrome a San Francisco spianarono la strada a centinaia di bands, che come gli Zoogz Rift superarono il formato-canzone e offrirono una musica tanto bizzarra e rivoluzionaria quanto lo fu quella di Zappa e Beefheart.

Altri dettagli sulla New Wave

Tom Petty, in California, fu uno dei pochi musicisti di quella generazione rimasti immuni dalla febbre della sperimentazione.

I Fleshtones e i Cramps e i Cars guidarono le tante bands che riscoprirono gli anno '50 e '60, nel segno del movimento "american graffiti".

Dettagli sul revival dei Sixties

In Gran Bretagna un'intera generazione di gruppi che stava sgobbando nei pub, ebbe la sua possibilità di emergere a livello nazionale ed internazionale. Elvis Costello, Police, Dire Straits sono i nomi più conosciuti tra quelli emersi da quel milieu.

Dettagli sul revival inglese

Blondie, Talking Heads e James Chance, e più tardi Madonna, portarono l'idea nelle discoteche di New York.

Dettagli sulla musica dance per i punks

Il numero di geni solitari crebbe esponenzialmente, e contò su uomini del rinascimento come Bill Laswell da Boston e compositori industriali demenziali come Foetus a New York (via Australia).

Il rock and roll era rinato. Proprio come a metà anni '60, ogni anno aveva la sua scorta di brillanti musicisti che si rimettevano a ri-scrivere il canone della musica rock. In Gran Bretagna venne per prima la musica industriale, inventata da Throbbing Gristle come un ibrido tra music d'avanguardia e musica rock, quindi il dark-punk, i cui principali nomi erano Joy Division, Siouxsie Sioux, Public Image Ltd, Cure, Killing Joke, Sisters Of Mercy.

Dettagli sul Dark Punk

Il Pop Group fu il combo più innovativo dell'epoca, e aprì la strada per le carriere di Rip Rig and Panic e Mark Stewart, anticipando la fusione di soul, jazz e hip hop.


L'Era del Rock Alternativo
(Traduzione dall'originale inglese di Paolo Latini)
Negli Stati Uniti la new wave cedette il posto alla "no wave" di Lydia Lunch, James Chance, Sonic Youth, Swans,

Dettagli sul Noise-rock

Nel frattempo, il punk-rock divenne "hardcore" e miriadi di bands terrorizzarono New York (Misfits), Boston (Mission Of Burma, Lemonheads), e soprattutto Washington (Bad Brains, Pussy Galore, Fugazi). La West Coast ebbe la sua dose di violenza hardcore, ma in qualche modo Los Angeles (Black Flag, X) e San Francisco (Dead Kennedys, Flipper, Camper Van Beethoven) riuscirono ad ospitare le scene più sperimentali. Tanto che a Los Angeles si estese una generazione di gruppi le cui radici affondavano nel "beach-punk" ma il cui sound era molto più complesso (Minutemen, Saccharine Trust, Universal Congress, fIREHOSE ), una scuola che è poi culminata nella carriera solista di Henry Rollins . In Australia si consumava una delle scene più intense, a partire dai più lontani Saints e Radio Birdman fino ai più recenti Lubricated Goat.

Dettagli sull'Hardcore

Dettagli sui cantautori degli anni '80

Il sud-est divenne una delle culle della melodia, che miscelava folk-rock e pop (B52's, REM).

Dettagli sul College-pop

L'intera scena nazionale beneficiò dell'espandersi delle etichette indipendenti. Los Angeles allevò la Paisley Underground e la scena dei cow-punk: Dream Syndicate e Gun Club emersero da quel revival creativo.

Dettagli sul revival psichedelico

Dettagli sul roots-rock degli anni '80

Ogni tipo di bands neo-rock invase New York, tra cui Band Of Susans. A Boston ce n'erano due tra le più influenti, Dinosaur Jr e Pixies, che de facto inventarono il "grunge" rock. Seattle vide il revival dell'hard-rock e il boom del grunge (Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam). Chicago fu testimone della nascita artistica del genio malato di Steve Albini con i Big Black. Minneapolis era l'elemento catalizzatore: gli Husker Du e i Replacements, e più tardi i Soul Asylum, cambiarono completamente la categoria stessa di punk-rock e gettarono le premesse per un ritorno alla forma canzone arricchita da un nuovo impeto. Kentucky fu un altro soprendente centro attivo: gli Squirrel Bait sono i capostipiti di una dinastia di gruppi che suoneranno un punk-rock convoluto, essenzialmente strumentale, tra cui i ci saranno gli Slint e i Tortoise.

La psichedelia nell'era del punk era tenuta in vita dai Butthole Surfers in Texas, dai Flaming Lips in Oklahoma, i Phish nel New England e da un'intera legione di guru a New York: Mark Kramer, Dogbowl, Jarboe, Lida Husik, Azalia Snail. E i Mercury Rev, l'unico gruppo abbastanza strambo da poter competere con i Flaming Lips.

Il roots-rock viveva ai margini, aiutato dal successo fortuito dei Black Crowes, dall'illustre carriere di Del-Lords e dall'energia fenomenale di bands meno conosciute come i Fetchin Bones.

Il rock australiano d'improvviso si estese, fino a raggiungere le classifiche, pur mantenendo meriti artistici con gruppi come i Church.

Gran parte dell'impulso di tutto quello che stava accadendo proveniva dalla piccola e lontana Nuova Zelanda, che allevava una scena indipendente fin dai giorni dei Tall Dwarfs, Clean e Chills, una scuola che avrebbe avuto il suo picco con i lavori ambiziosi di Peter Jefferies e Roy Montgomery.

Dettagli sulla new-wave del pop

Nel frattempo un altro fenomeno dei ghetti di strada, l'hip hop, rivoluzionò la scena musicale e bands come Beastie Boys, Run DMC, Public Enemy riuscirono a giungere fino al pubblico rock. Produttori come Tackhead erano strumentali nella ridefinizione del concetto di "composizione".

La Gran Bretagna seguì un altro corso, e andò quasi nell'opposta direzione, con della musica sempre più semplice e commerciale. Tutto ebbe inizio con il sound modernista di Ultravox, Wire e XTC, e le loro melodie vagamente robotiche. Quindi Japan e Simple Minds fecero di quel sound un pomposo pop da classifica. Ed infine gli Orchestral Manouvres in the Dark e altri crearono il synth-pop, che era solo pop suonato da strumenti elettronici e cantato da una donna o da un gay (con poche eccezioni a questa regola). I Depeche Mode e i Pet Shop Boys furono probabilmente quelli che raggiunsero il maggior successo. Gli irlandesi U2 e gli Smiths deviarono piano piano verso la melodia.

Dettagli sulla new-wave del pop

L'Australia ha dato agli anni '80 due delle figure più imponenti della musica rock: Nick Cave, che un univa Jim Morrison, Tom Waits e il rock gotico, e Foetus, che fece della musica industriale il futuro della musica classica.


Gli Anni '90
(Traduzione di Paolo Latini)
Negli anni '90 il rock alternativo ha continuato il suo processo di espansione, artistica e commerciale. Il trend generale che ha dominato il decennio, portava ad una musica sempre più astratta, ormai orfana dell'etichetta "dance/party".

Innanzitutto, gli anni '90 furono il decennio dei cantautori astratti: comositrici come Robin Holcomb, Tori Amos, Lisa Germano e Juliana Hatfield, compositori come Matthew Sweet, Magnetic Field, Smog, Beck . Il Canada poteva vantare Jane Siberry e Loreena McKennitt, due delle musiciste più concettuali dell'epoca, fino a quando Alanis Morissette non si propose quale leader del movimento folk femminile. L'Irlanda aveva due delle migliori voci, Sinead O'Connor e Enya, alle quali presto si aggiune l'islandese Bjork. In Inghilterra, solo Polly Jean Harvey gareggiava con queste maestre.

Il "Foxcore" fu una breve mania di provenienza West Coast, fatta di gruppi punk femminili come le Hole, Babes In Toyland, L7 e Seven Year Bitch.

La musica industriale segnò un imporvviso ritorno a Chicago con due degli atti più discussi del decennio: Ministry e Nine Inch Nails, ispirati dalle vecchie glorie europee tra cui i KMFDM. Seguirono a ruota New York con Cop Shoot Cop e Type O Negative, San Francisco con Neurosis, Steel Pole Bath Tub, Thinking Fellers Union. Il Texas rispose con una florida scuola industrial/psichedelica che includeva i Pain Teensm Bedhead, e i Vas Deferens Organization.

Il rock gotico proveniva dai posti assolati (Lycia, Black Tape For A Blue Girl) e non fu mai tanto popolare quanto la variante nordica della musica industriale.

Suoni rudi continuavano a dominare nei frutti del grunge, e New York (Unsane, Helmet, Surgery, Monster Magnet) e Los Angeles (Tool, Stone Temple Pilots, Kyuss, Korn) ebbero la loro fetta di torta.

La techno fu la nuova tendenza nella musica dance. inventato a Detroit negli anni '80, dai disc jockeys Juan Atkins, Kevin Saunderson e Derrick May, la techno oltrepassò l'atlantic e si stabilì in Inghilterra e nel vecchio continente (Front 242), marciando mano nella mano con la scena dei rave. L'America fu lasciata indietro (Moby e poco altro).

La Gran Bretagna fu il regno della musica psichedelica. Comicniò tutto a Liverpool con i revival di Echo And The Bunnymen e Julian Cope, quindi prese velocità con il dream-pop (Cocteau Twins, gli australiani Dead Can Dance, i norvegesi Bel Canto, e più tardi con la formidabile triade Slowdive, Bark Psychosis e Tindersticks) e con le bands scozzesi di noise-pop (Jesus And Mary Chain e Primal Scream ) fino a raggiungere l'apice con lo shoegazers (My Bloody Valentine, Spacemen 3, Loop, Spiritualized, Catherine Wheel), prima di finire per costituire una nuova forma di ambient music.

Alla fine del decennio, la Gran Bretagna fu inondata dal Brit-pop, una trance indotta dai media di pop super-melodico che partoriva innumerevoli "next big things", dai Verve agli Oasis ai Blur agli Suede ai Radiohead, la band con la quale terminò. Ma le cose melodiche migliori provenivano dai gruppi più umili, guidati da ragazze, come Primitives e Heavenly.

Negli anni '90 spopolarono anche l'heavy metal, in particolare quella di Los Angeles con Metallica, Jane's Addiction, Guns And Roses, che presto si sbriciolò in una miriade di sott-generi (doom metal, grind-core, death metal, etc) e il funky-metal (Red Hot Chili Peppers e Rage Against The Machine a Los Angeles, Primus e Faith No More a San Francisco). Marilyn Manson fu l'ultimo fenomeno che ricaricò il genere.

Details on The Golden Age of Heavy Metal

Il punk-pop nacque a Los Angeles negli anni '80, ma in qualche modo maturò da altre parti nei '90 (Green Day a San Francisco, Screeching Weasel e Pegboy a Chicago).

Gli anni '90 furono anche la decade del rock intellettuale, dove le canzoni non potevano essere solo melodia e ritmo, ma dovevano essere deformate e sconvolte. New York si mosse col rhythm and blues (Jon Spencer Blues Explosion, Soul Coughing, Royal Trux) e la psichedelia (Yo La Tengo ), Boston con la psichedelia (Galaxie 500, Morphine) e il pop (Breeders, Belly), Seattle con la psichedelia (Sky Cries Mary, Built To Spill), Los Angeles con la psichedelia (Mazzy Star, Red Temple Spirits, Medicine, Grant Lee Buffalo), San Francisco con il folk e il country (American Music Club, Red House Painters), Washington con il punk-rock (Unrest, Girls Against Boys), Chicago con il punk-rock (Jesus Lizard) la psichedelia (Codeine, Eleventh Dream Day), il pop (Green, Smashing Pumpkins) e il country (Uncle Tupelo). Tutti questi avevano un debito con l'umile scuola del Kentucky, inaugurata dagli Slint e portata ai massimi livelli dai Tortoise.

Replicanti punk-rock in Texas (Ed Hall), Minneapolis (Cows), Tennessee (Today Is The Day) continuavano a scioccare la nazione.

A San Francisco ha inizio la moda del lo-fi pop con Pavement, padri putativi di Sebadoh, Guided By Voices, etc.

Gli stati del sud-est divennero forti di un sound sempre più intelligente (Bitch Magnet, Blind Idiot God, Don Caballero, Grifters) poi culminato nella scuola del North Carolina (Polvo, Seam).

I sintetizzatori analogici sono tornati di moda con Jessamine, Magnog, Labradford.

Ma nuovi stili spuntavano letteralmente ovunque: Rhode Island (Six Finger Satellite), Arizona ( Calexico), Ohio ( Brainiac), Montana (Silkworm), Michigan (Windy & Carl).

L'Inghilterra non mutò la sua variante di musica psichedelica, che però cominica a toccare l'avanguardia dissonante (Stereolab, Ozric Tentacles, Pram, Flying Saucer Attack, Porcupine Tree).

Anche la musica elettroncia ebbe il suo momento di fama, ora nella dance, ora nell'ambient ora nel noise. Musicisti ed ensemble elettronici provenivano dal Belgio (Vidna Obmana), Francia (Air, Deep Forest, Lightwave), Germania (Sven Vath, Mo Boma, Oval, Mouse On Mars, Air Liquide), Canada (Skinny Puppy, Front Line Assembly, Delerium, Vampire Rodents, Trance Mission), paesi scandinavi, e specialmente dal Giappone (Zeni Geva, Boredoms, Merzbow, the triad of noise). In Inghilterra la scena ambient elettronica fu rivitalizzata da Orb, Main, Rapoon, Autechre.

La musica dance inglese ebbe un successo maggiore (in termini di creatività) delle rock bands inglesi: Madchester (Stone Roses), rave (Saint Etienne), transglobal dance (Banco De Gaia, Loop Guru, Transglobal Underground, TUU) ambient house (Orbital, Future Sound Of London, Aphex Twins, Mu-ziq), jungle (Goldie, Squarepusher, Propellerheads), trip-hop (Portishead, Tricky), e plain techno (Meat Beat Manifesto, Prodigy, Chemical Brothers) ridefinirono i processi compositivi e figliarono innumerevoli generi ibridi.

La musica industriale e il grindcore in qualche modo di sono uniti per generare suoni terrificanti con i Techno Animal e Godflesh.

Gli irlandesi Cranberries e gli scozzesi Belle And Sebastian sono tra le rivelazioni di fine decennio.

Dall'Australia provenivano sempre grandi esembles, e in particulare una delle più importanti bands strumentali , Dirty 3.

Il successo dei cantautori continuerà per tutto il decennio. Tra i leaders di bands influenti, molti continueranno a proporre buona musica anche da solisti: Natalie Merchant, Kristin Hersh, Bob Mould, Frank Black, Paul Westerberg, Mark Eitzel, Scott Weiland, Chris Cornell, e, il più grande di tutti loro, Mark Lanegan.

Freedy Johnston, Vic Chestnutt, Peter Himmelman, My Dad Is Dead, Mountain Goats sono tra le nuove voci del decennio, ciascuno con la sua eccentricità.

E i ranghi sembrano aumentare di numero, verso la fine del decennio: Jeff Buckley, Sparklehorse, Elliott Smith, Richard Buckner, Ben Harper, Joe Henry, Songs:Ohia, Damien Jurado, Pedro The Lion, etc.

Nell'universo femminile, Jarboe, Azalia Snail e Lida Husik furono pesantemene influenzate dalla psichedelia.

Cat Power, Beth Hart, Neko Case, Amy Denio, Heather Duby, Edith Frost, Shannon Wright sono tra le artiste sperimentali che emergeranno alla fine degli anni '90.

Liz Phair, Sheryl Crow, Fiona Apple, Lili Haydn rappresentano il rovescio commerciale della medaglia, la cui apoteosi sono state le innumerevoli hits di Mariah Carey.


(fonte : scaruffi.com)

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Cohen, Young, Dylan, Cash E il rock diventa vita vera

di Antonio Lodetti     clicca qui

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Joan Baez : Per lei l’America è sempre «on the road»   clicca qui

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Ivano Fossati ha forse scritto il suo "Desire"     clicca qui

 

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Venerdi 10 Ottobre 2008

Cari Maggiesfarmers , oggi parto , vado in Austria con Al Diesan , Pino Tocco ed i Blackstones , per vedere la "Great Dylan Night " , ci aggiorniamo a lunedi , sperando di riuscire a rispondere a tutte le domande della Talkin' , che questa volta sono piuttosto impegnative e richiedono anche un lavoro di ricerca , non sono questioni da risposta immediata a braccio . Le risposte della Talkin' vanno scritte , riscritte , lette , rilette , meditate e rimaditate , devono essere il più chiare ed obbiettive possibile , si deve tralasciare i sentimenti e le emozioni personali , essere il più estranei possibile ( non incompetenti ) per non essere di parte , porsi cioè al di sopra delle parti , anche se può sembrare irrazionale un comportamento siffatto. Devi stare attento alle parole , alle frasi che usi , cercare di non offendere od urtare la sensibilità di nessuno , saper criticare , o  commentare o solo esprimere opinioni sull'opera di Dylan è sempre rischioso , trovi mille persone d'accordo con te e mille contro , e , di solito , la maggioranza di quelli che poi scrivono alla Talkin' sono quelli contro :o) , ma questo è il sale della Talkin' !!!!. Al massimo rimanderò di un giorno la Talkin' , ma credo che questo non sia un problema per nessuno.

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Rimandato all'anno venturo il Nobel per Dylan , ci vuole pazienza , prima o poi l' Intellighenzia Svedese capirà l' idiozia delle sue scelte , a meno che sotto non ci siano ragioni di interesse economico a noi poveri mortali sconosciute , e più non dico , ma il dubbio rimane !!!!!!

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Tell Tale Signs Available Now!

The 8th Installment in Dylan's "Bootleg Series"
Columbia Records is happy to announce today's release of Bob Dylan's "Tell Tale Signs: The Bootleg Series Vol. 8".

Los Angeles Times: "'Tell Tale Signs' is not just "extra" Dylan. It's essential Dylan." ( Tell tale Signs non è un "extra" Dylan . E' l'essenziale Dylan )

San Francisco Chronicle: "For Bob Dylan, these are outtakes. Most musicians would call them their greatest hits." ( Per Bob Dylan questi sono scarti. Molti musicisti li avrebbero chiamati i loro greatestd hits )

The BBC: "Beautiful, brave and beguiling." ( Bello , coraggioso ed ingannevole )

Boston Globe: "a feast for casual fans and Dylanologists alike." ( una festa per i fans occasionali ma anche per i dylanigisti )

Read more great reviews: http://bobdylan.com/news/tell-tale-signs-the-first-reviews-are-in

Thanks for listening!

bobdylan.com

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Tell Tale Signs : l'opinione dei Maggiesfarmers

Sono entrato in possesso del nuovo doppio dello Zio.
Che dire: F.A.V.O.L.O.S.O, inediti e versioni alternate da svenire.
Ciao a tutti e buon ascolto
Enrico

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Market Blues for Brixton Boss (from the daily mail)
 





Tim Wheeler, il capo esecutivo dell’immobiliaria inglese Brixton, nel presentare i conti di metà anno, ha sorpreso tutti gli azionisti, citando una famosa frase di Dylan: None of them along the line know what any of it is worth (=nessuno di loro lungo il confine sa quale sia il valore di ciò).
Mr. Wheeler racconta ai suoi azionisti di Brixton: “E’ il nostro dovere raccontare le cose come stanno. È sbagliato per qualsiasi affare pensare che i problemi economici si risolvano da soli: è un messaggio scomodo, ma è onesto e giusto.”
Mr. Wheeler poi ha usato la metafora da All Along The Watchtower per paragonare gli acquirenti opportunisti a dei thieves (=ladri) e i proprietari che non vogliono vendere a dei jokers (=buffoni).
Il boss di Brixton ha definito la previsione nel settore “apocalittica”, dopo che la società ha sofferto una perdita pre-tasse di 236,7 milioni di sterline, contro i 192 milioni di sterline di profitto dell’anno precedente. La compagnia disse di essere stata colpita da nuove tasse sugli immobili vuoti e la caduta di valore del suo portafoglio affitti, mentre gli assetti netti sono scivolati del 26% lasciandolo a 1,16 bilioni di sterline.
“C’è confusione ed un elemento di diniego riguardo alla prezzatura diretta delle proprietà, dovuta alla mancanza di transazioni” ha detto Mr. Wheeler.
La sua incertezza riguardo la corretta valutazione delle proprietà conferma l’adeguatezza delle liriche di Dylan, che recitano:           “There must be someway out of here, said the Joker to the thief. There’s too much confusion, I can’t get no relief. Businessmen, they drink my wine, Ploughmen dig my earth. None of them along the line know what any of this is worth”.

( Dean Spencer News )

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Bob Dylan fa 8 con "Tell Tale Signs"                                                       clicca qui

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Vienna : I film di Dylan alla Viennale 2008                                             clicca qui

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Dylantube :  tanti video di Bob                                                                 clicca qui

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Debutta a Milano il 'Rock'n'Music Planet'                                             clicca qui

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50 anni di rock scendono in piazza Duomo                                              clicca qui

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Libri : Franz Di Cioccio & Riccardo Bertoncelli – Sulle corde di LUCIO (2008)



E’ possibile scrivere qualcosa di nuovo su un mito della musica italiana?
E’ possibile scrivere qualcosa di nuovo se quel mito si chiama Lucio Battisti?
Alla casa editrice Giunti hanno pensato di si, e in occasione del decennale del volo tra gli angeli del grandissimo Lucio hanno deciso giustamente di pubblicare un libro dedicato al mito Battisti.
Ovviamente sarebbe stato inutile pubblicare un libro monografico come tanti altri già pubblicati dedicati al grande artista, perciò si sono affidati alla capacità e memoria di due personaggi molto diversi, ma accomunati dalla stessa identica passione: la musica.
I personaggi in questione sono Franz Di Cioccio punto di riferimento della musica prog italiana, mente pensante nonchè cantante e batterista della Premiata Forneria Marconi che è stato per un lungo periodo compagno di viaggio e protagonista sonoro di molte canzoni di Lucio Battisti, e Riccardo Bertoncelli giornalista di lungo corso che a Battisti ha dedicato più di un articolo.
Come dicevo fare il classico libro monografico probabilmente poco avrebbe aggiunto a quanto è già stato scritto su Lucio Battisti, quindi i nostri hanno cercato una via diversa, quasi da detective, per parlare della musica e dell’uomo Battisti, dando vita a un libro molto discorsivo (cosa che mi è piaciuta moltissimo), con poche analisi di tipo criptopippe e affidandosi alla memoria in primis di Franz Di Cioccio, che ebbe modo di suonare con Lucio in maniera assidua, dello stesso Bertoncelli, che come giustamente dicono i nostri ognuno di noi ha il suo Lucio Battisti, e poi di alcuni dei protagonisti più importanti nella vita privata e musicale di Lucio. Nel libro quindi troverete le testimonianze di Roby Matano (Campioni), Pietruccio Montalbetti (Dik Dik), Valter Patergnani (l’antesignano dei tecnici del suono italiani), Mara Maionchi (si la vera star di Xfactor), Alessandro Colombini (produttore e cofondatore della Numero Uno), Alberto Radius (un nome una chitarra), Cesare Monti (tra le tante cose fotografo, artista visuale e fratello di Pietruccio dei Dik Dik) e Marva Jane Marrow (cantante e traduttrice).
Attraverso le testimonianze degli autori del libro e delle persone citate sopra, viene ricostruita la vita e la musica di Battisti senza però voler esser didascalici.
Il merito principale di questo libro è che essendo tante e diverse le voci che lo compongono viene fuori un ritratto diverso dal solito, con più sfaccettature dove la personalità umana e artistica di Lucio Battisti (ma in parte anche di Mogol diciamola tutta) esce decisamente piena. Infatti non tutti cantano la stessa canzone, più di uno canta fuori dal coro, di alcuni fatti leggerete versioni molto diverse e questo contribuisce a farsi un idea propria del protagonista del libro non necessariamente identica a quella degli autori. Inoltre altro merito di Sulle corde di LUCIO è di dare un idea di come era l’Italia musicale e non negli anni dell’esordio di Lucio Battisti come musicista prima, autore poi e infine protagonista, e di come l’Italia sia cambiata anche musicalmente con l’apporto di Lucio, ad esempio non sono poche infatti le canzoni scritte da Battisti che ebbero successo cantate da altri e la nascita della Numero Uno che viene considerata la prima etichetta semi-indipendente italiana.
L’unica critica che mi sento di muovere a questo bel libro è che sia, come del resto Di Cioccio e Bertoncelli ammettono, troppo sbilanciato sul primo Battisti, poco spazio viene dato sia all’ultimo periodo Battisti-Mogol che al Battisti-Panella. Mancano poi le voci di Mogol, di Panella e dei familiari, questa è una pecca che lascia in bocca un senso di non del tutto compiuto e che rende il libro da imperdibile a buono, peccato!
A parte queste pecche il libro è decisamente godibile, si legge volentieri e ha il grosso merito di rendere ancor più tridimensionale la figura di Lucio Battisti e in parte dei suoi testimoni.
Lo consiglio a tutti perchè, come detto prima, ognuno di noi ha il suo Lucio Battisti!!!

Mario (luglio 2008) - Anno di produzione: 2008 - Etichetta: Giunti Editore

Produttore: Franz Di Cioccio - Riccardo Bertoncelli - Pubblicato il 27 Luglio 2008 da Mario in Libri, Oltre la Musica

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Van Morrison: Astral Weeks

Recensione di: Neu!_Cannas , (Monday, August 25, 2008)

Dite addio a Madame George.
Provate tristezza, versate una lacrima per lei, provate un pò di dolore per lei. Il dolore, il sentimento più strano e complesso, cha racchiude un pò tutti gli altri, dall'amore alla solitudine, dalla gioia alla nostalgia. In tutto c'è il dolore, anche se è in forme meno visibili, a volte è persino possibile confonderlo con un sentimento buono. E allora il dolore nel vedere l'emarginato George, alla subdola piccola gioia nel rendersi conto di essere quanto meno superiore. Ma l'uomo disse che lo show deve andare avanti, e se lo show è la vita, allora la condizione di Madame George è assolutamente indifferente al corso degli eventi. E allora perchè soffermarsi tanto su questo reietto, decantandolo, infondendo sentimenti tristi? La vita, la musica, non potrebbe essere fatta soltanto da graziate Ballerine, tanto dolci quanto maestose nei loro movimenti? No perchè anche in queste visioni prima o poi, visibilmente o meno, forme di dolore, più o meno profonde, si verrebbero a formare, magari anche solo nostalgia o forte tristezza trasmessa soltanto a pelle, soltanto dalla musica stessa. E allora tutto è dolore, la musica soprattutto, e Van lo scoprì con T.B. Sheets qualche anno prima. I tempi delle ragazze dagli occhi marroni e delle facili glorie erano finiti, o comunque era tempo di riflessioni. Era tempo di settimane astrali, collocate tra una primavera fredda e un caldo autunno, senza passare per l'estate, perchè quello è solo un miraggio, un'illusione. In estate tutto sembra andare bene, tutto sembra risolvibile, anche il dolore sembra scomparire dietro al sole. E quindi armiamoci di viali lunghi, tra foglie secche, sentiamoci grandi, come mai faremo nella nostra vita, carichiamoci di chitarra e percorriamo questo lungo sentiero, descrivendo tutto ciò che vediamo, senza escludere nulla. E' una missione difficile, soprattutto se hai solo ventitre anni e riesci a completare il tutto in sole due sessioni. Come si chiama Flusso di Coscienza vero? Era James Joyce se non erro. Si era proprio lui. E il risultato sembra un quadro impressionistico o una semplice poesia beat: questo disco è di una maestosità che non ha paragoni in musica stessa, non li ha mai avuti e mai li avrà, perchè davvero qui non si tratta solo di musica, sebbene sia semplicemente immensa. E allora lasciamoci prendere da Astral Weeks, percorriamo quel lungo sentiero fatto di poesia e solitudine in cui soltanto i grandi non sanno perdersi. E allora riusciresti a trovarmi? In questo idillo formato da chitarre e flauti, con innesti di archi che formano un'aria surreale, con la forte voce di Van Morrison che ci ricorda che siamo pur sempre sulla terra. Eppure è Van stesso a dire sul finale che stiamo salendo in paradiso, in un'altro tempo, in un'altro spazio, e in un'altra faccia addirittura. E così chi sia Jimmy e quale sia la sua storia sembrano davvero dettagli, perchè i testi sembrano essere ricamati sulla tela armonica con una perfezione magnifica, riuscendo a dare sempre più informazioni, riuscendo sempre più ad allungare i versi, senza mai risultare fuori ritmo, anzi è proprio la sua voce lo strumento principale di tutte le tracce. E quando si butta in quelle discese folli di scioglilingua ripetendo fino allo spasmo una parola o una frase, sembra irrangiungibile e forse lo è. E ci sentiamo soddisfatti senza il bisogno di leggere tra le righe, perchè ormai senza accorgercene di nulla siamo nel pieno di quella strada enorme dei cipressi, in cui nulla è peccato, neanche amare una ragazzina di quattordici anni appena, perchè soltanto l'amore riesce a penetrare tra la fitta flora del viale dei cipressi. E allora aspetta, presi ancora una volta dalla Cypress Avenue, guarda in alto, fiocchi di arcobaleni condiscono un cielo limpido dai pregiudizi. Questo deve essere l'amore, circondato com'è da un panorama così romantico che continua al di fuori dal viale, o forse in una stradina parallela, in cui i giovani si amano ingenuamente, credendo ancora in quell'amore estivo, frivolo, perchè è pur sempre il 1968, e il mondo era assente da Cypress Avenue: la summer of love era passata e aveva lasciato i suoi residui di speranza, quanto meno fiochi. Ecco perchè questo disco a maggior ragione è diventato così importante.
E mentre la musica si assopisce ci rendiamo conto dai primi versi e dalla coerenza sonora di essere ritornati su quel viale, stavolta molto più decisi di prima, con un ospite che lo abita nella sua emarginazione. Madame George è li sotto un albero, mentre gioca a domino sembra molto più grande con un cappello in testa e sorseggiando vino. Tutti i ragazzi gli rubano le sigarette e si prendono beffe di lui. Un personaggio gentile eppure così maltrattato da tutti, nella sua condizione eterna di emarginato e di diverso. Dite addio a Madame George, prendete quel treno, lontano da lui, scappate da Madame George, ma prima abbiate almeno il rispetto nel suo dolore versando per lui una lacrima. Ditegli grazie quando a testa bassa vi restituirà i vostri guanti, senza pretendere nulla in cambio se non il nostro appagamento con questo paradiso acustico. Ma voi scappate via da lei, prendete un'altra strada, non lontana da quella dei giovani amanti, dove risiedono dolci danzatrici dai movimenti graziosi, come se vivessero in carillon incantati che un solo tintinnio di campanello accenda. E allora inizia la visione, e non ricordi l'ultima cosa che ti passava per la testa. Forse era stesso Madame George di pochi minuti prima, ma non importa: tutto ciò che devi fare è suonare il campanello, ed ecco la tua ballerina. Sembra tutto svanito, tutto tornato alla normalità, fino alla deliziosa conclusione. Resta ancora la copertina da osservare, quel cerchio perfetto iscritto in un quadrato, e il volto di Van tra il verde degli alberi. Il suo volto sembra davvero provare un sottile dolore in superfice, ma enorme dentro. Un dolore che soltanto madre natura può intendere, essendo essa stessa la causa. E allora è proprio da lei che un uomo deve rivolgersi, è proprio quella la strada da percorrere, dovessero passare due giorni o due anni, credo sia questa la differenza tra un'artista formidabile e una comune persona: il tempo impiegato per trovare una soluzione o semplicemente per venire a capo di una difficile riflessione, che si tratti di dolore o di amore o di qualsiasi altra cosa, perchè la natura non fa differenze di sentimenti.
E allora chiudi i tuoi occhi e riposati per l'amore che arriverà scorrendo tra il tuo flusso di coscienza.
Van Morrison.

(fonte : debaser.it)

 

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Giovedi 9 Ottobre 2008

Cos’è Tell Tale signs ?

E’ uscito , l’abbiamo ascoltato , abbiamo detto la nostra opinione.
Leggendo le recensioni ho l’impressione che qualcuno si sia lasciato prendere un pò la mano , giudicando gli scarti di studio a volte superiori alle versioni degli album.
Allora mi viene spontaneo chiedermi perchè queste outtakes siano state scartate a suo tempo , forse chi doveva scegliere era al momento incapace di intendere e di volere ?
Io cerco di stare il più possibile con i piedi per terra , scarti erano e scarti rimangono , al di là della curiosità che possono suscitare , al di là della bellezza intrinsica delle takes , al di là di tutto , furono scartati allora perchè le takes erano inferiori musicalmente ( intendo arrangiamenti non ben definiti ) , le atmosfere non erano quelle giuste ma ben al di sotto degli standard di un disco ufficiale , le parole non erano ancora nella loro forma giusta , il cantato a volte mancava del pathos necessario ( l’esecuzione di una take a volte si prende alla leggera perchè lo scopo magari è quello di collaudare il giro di basso, l’assolo della chitarra , il suono ed i passaggi del piano , la prova dell’armonica , così la voce , in quel preciso momento diventa meno importante , e si canta tanto perchè ci sia , sapendo che al momento della take finale verrà certamente cambiata , il suono a volte è sporco , impreciso , gracchiante , i volumi non sono calibrati come da manuale , il basso in certe parti è invademte , troppo forte , quasi distorto , idem per batteria e persussioni , ma giustamente è una prova , e lo scopo di una prova è completamente diverso da quello di una take definitiva. Per questi motivi queste takes vennero scartate , naquero come takes e non come lavori definitivi , e giustamente vennero tagliate e riposte nei cassetti.
Ora le hanno ritirate fuori dai loro polverosi ripostigli , qualche grafico pubblicitario gli ha creato intorno una bella confezione , le takes sono state messe a casaccio sui dischi ed il tutto è stato messo in vendita per la gioia del Dylan-fans  che in questi ultimi anni stanno imparando ad accettare di tutto , cose belle e cose oscene , soprattutto oscene ( dal punto di vista musicale e vocale ) stanno applaudendo e magnificando una voce che purtroppo non c’è più , canzoni che non ci sono più , rese irriconoscibili dalla mancanza delle loro caratteritiche vocali e strumentali , concerti deboli e deludenti , musicisti ancora più deboli e più deludenti , un Dylan ai minimi storici delle sue prestazioni , fra un paio d’anni avremo solo la sua persona sul palco ma non la sua voce se si continua su questa strada.
Detto questo , e la cosa non mi rallegra perchè anch’io come tanti altri fans vorrei fermare Dylan nel suo tempo migliore , ora si comincia a borbottare che qualche pezzo di Tell Tale Signs sia migliore delle versioni da album ! La cosa mi fa sorridere , va bene essere fedeli a Bob , stravedere per lui , ringraziarlo per tutta la vita per le emozioni che ci ha saputo dare in tutti questi anni , ma le esagerazioni hanno sempre stonato , in tutti i campi della vita. Giudicare migliori queste takes mi sembra fuori dalla realtà , capisco l’entusiasmo e la voglia di avere qualcosa di diverso da Bob , il desiderio che lui sia eterno e sempre all’altezza , ma non è così , così non funziona. Bob è BoB , i suoi album sono i suoi album , i suoi scarti sono e rimangono i suoi scarti. Mi aspettavo un nuovo album , so che c’è , da qualche parte è pronto , andrà rivistato e limato , migliorato , ci sarà qualcosa da rifare , da puntualizzare , e questo richiede tempo , ma il mercato non ha tempo di aspettare , Dylan ha vinto il Pulitzer , il suo mercato tira di brutto , la richiesta è grande , Modern Times ha compiuto il miracolo di arrivare ai primi posti nelle classifiche in tutto il mondo : Ecco allora la necessità impellente di far uscire qualcosa. Si aprono i cassetti e si tira fuori quanto di meno peggio ci possa essere , si fa una confezione all’altezza di un album e si mette il tutto sul mercato , si scrivono fiumi di parole sfruttando la debolezza sentimentale dei fans ed un nuovo album di scarti , col nome di Tell Tale Signs , viene immesso sul mercato. Operazione commercialmente brillante ( prezzi a parte ) , ma poi tutta questa operazione deve superare la prova delle orecchie , e questo Tell Tale Signs non ce la fa , alle orecchie non si può mentire , le versioni sono quelle che sono , imperfette , grezze , superficiali , a volte inutili come i pezzi dal vivo.
Questo Tell tale Signs mi sembra uno specchietto per le allodole , e di allodole ce ne sono ancora tante , me compreso. Non voglio offendere nessuno , ho solo cercato di mettermi dall’altra parte , dalla parte dei non fans dylaniani , che sentendo i dischi si guardano in faccia stupiti e si chiedono come sia possibile che un artista del nome e del calibro di Bob Dylan permetta di mettere in vendita tanta scarsezza a suo nome. Non dimentichiamo che questo è ancora il Dylan di quasi vent’anni fa , quando la sua voce era ancora intatta , Dylan non è più quello che ci stanno proponendo con questo BS8 , quel Dylan è stato mangiato dal tempo , rimane qualcosa che gli assomiglia dal punto di vista fisico , come sfogliare l’album delle foto dei ricordi . Il Dylan attuale è un patetico Bob Dylan , non si capisce più quello che mugugna e che suona , sempre distante e distaccato dal pubblico come allora , ma almeno ai tempi c’erano le prestazioni , oggi mi chiedo cosa possa giuistificare l’andare a vedere un concerto di Bob. Certo Dylan sta invecchiando come tutti noi , è alla soglia dei settanta ed il suo impegno e la sua partecipazione , il suo entusiasmo , la sua verve , la sua pungente satira , la sua capacità di osservazione e di narrazione non sono più quelle dei venti , dei trenta o dei quaranta , o forse non gliene frega più di tanto , sta sul palco perchè probabilmente è una cosa che gli piace fare e non ha molte altre alternative di vita. Persi moglie e figli , avanzato nell’età , un uomo perde la sua voglia di essere se stesso anche se si chiama Bob Dylan , allora il desiderio di Robert Zimmerman viene schiantato dalla esigenza di Bob Dylan , purtroppo il nostro idolo ha dimenticato come si fa ad essere Robert Allen e si ricorda solo come si fa ad essere Bob Dylan , quel Dylan che tutto ha ribaltato , ha preso e rivoltato come un calzino , che ha piegato le idee del mondo al suo modo di vedere , che ha saputo far nascere il sole , ma che non potrà mai fermare il tramonto.
Mr.Tambourine

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Tell Tale Signs : il geniale pasticcione

di Riccardo Bertoncelli

Il Geniale Pasticcione ha preparato un'altra antologia delle sue, non cronologica, non lineare, con allegra confusione tra live, studio e cameretta. Questa volta però almeno ha delimitato il campo, raccogliendo solo pezzi degli ultimi vent'anni; alla faccia di chi ritiene che la vena si sia esaurita dalle parti di Blood On The Tracks (pochi, a dire il vero), si comincia con Oh Mercy e si arriva a Modern Times, attraversando i controversi affascinanti anni della maturità e della vecchiaia. Due dischi per i comuni acquirenti, tre nella tiratura limitata per eletti; con molte scoperte preziose che neanche i bootleggers conoscevano (negli ultimi vent'anni Bobby D ha imparato a blindare gli archivi un po' meglio) e la conferma che il nostro uomo si esprime meglio in solitudine o poca compagnia, senza troppi addobbi.

Si comincia con una meraviglia, Mississippi, una outtake di Time Out Of Mind proposta in tre lezioni. Il brano vedrà la luce nel 2001 su Love And Theft, in una versione suggestiva ma così lontana dalla carne straziata e dal disagio dell'originale. Succede spesso, in DylanLandia. Le canzoni nascono, crescono, si sviluppano, non è facile coglierle in perfetto stato di grazia, nella migliore esposizione, e Dylan oltretutto è noto per essere un pessimo giudice di sé. Anche una volta che hanno debuttato in società, subiscono continue limature o lifting radicali, e più per estro inquieto che per smania di perfezionismo. Tell Tale Signs è pieno di abbozzi o riletture del genere, una manna per gli studiosi e i fans più attenti: una eccentrica Born In Time provata ai tempi di Oh Mercy ma pubblicata solo su Under The Red Sky, una Ain't Talkin' troppo in carne per valere quella già nota, una Most Of The Time cui ancora manca l'aura luminosa che la renderà irresistibile e Everything Is Broken in una esecuzione pelle/ossa da far male,"basic R&B mix". Varie registrazioni live ci danno un'idea, ma giusto un'idea, del gusto dylaniano che si evolve e muta i lineamenti delle creature già note: Cold Iron Bounds è una fenice che continua a morire e risorgere, Ring Them Bells una dolcezza anche se mugugnata scontrosamente e High Water fa impressione per quanto è forte e indocile, più fuoco che acqua, pur con quel testo e nello scenario suggestivo delle cascate del Niagara.

Non sono un grande fan degli ultimi album, quindi prendo come un regalo il fatto che l'antologia sia sbilanciata dalle parti di Oh Mercy e Time Out Of Mind, dischi che invece adoro; il meglio di Tell Tale Signs viene da lì, dal lavoro di cesello con Daniel Lanois, e peccato che i due soci non abbiano capito subito la grandezza di brani come Series Of Dreams e Dignity (ma le conoscevamo già) e poi Red River Shore, Dreamin' Of You, God Knows. Da non dimenticare una 32-20 del periodo World Gone Wrong, omaggio a un Robert Johnson sempre citato e mai eseguito. Il cuore di Dylan batte sempre lì, at the crossroads, in quegli avventurati anni depressi e anche prima. Non lo ha mai nascosto, e una volta lo ha raccontato bene a un giornalista di Der Spiegel che gli chiedeva quali fossero le sue influenze. "Canzoni base degli anni 20 e 30, più qualcosina dei 50. Poche cose circoscritte: folk americano, blues, un po' di rockabilly".

(fonte : delrock.it)

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Tell Tale Signs : How does it feels ?

di Dario Twist of Fate

Ciao Mr.Tambourine !
non ho potuto evitare di notare la tua vena caustica nei confronti di questo Bootleg Series 8 , gli hai dato giù davvero pesante...
non che io lo consideri un capolavoro o un disco inscindibile nella discografia del nostro...
però ci sono per me cose di indubbio interesse, questa davvero grande versione di Most of the time ad esempio, che riporta alla mente le New York session del 74, e quella Tangled con quella chitarra sporca e irrequieta...
boh, ci sono cose notevoli secondo me, però capisco anche il tuo punto di vista...

diciamo cmq che la mia febbre dylaniana nasce nel dopo "Love and Theft" e che pur avendo molti ricordi, il tempo è ancora breve, non sono un fan di vecchia data, non conosco i grandi momenti, ne ho solo sentito parlare, ma di seconda mano...
immagino che essere un fan di dylan nei '70 fosse davvero differente...coi vinili, non so...
mi si stringe il petto a pensare a ciò che è stato...adesso restano solo le briciole e sarà sempre peggio...
Born in time, come direbbe il Nostro...

ecco forse io sono uno che non è nato in time...
e sono alla rincorso di un sogno che non mi appartiene...
nonostante quella potente versione di High Water, era davvero bello il suo show con quei due formidabili chitarristi, che erano Koella e Campbell(?) non ricordo...
ricordo un giovanissimo Davide (Te Saint) che tornò deluso dal concerto di Roma 2003 e sono passati già 5 anni
e io a consolarlo :- cosa ti aspettavi?
Forse di vedere BOB DYLAN invece di bob dylan ?

ma da un pò di tempo abbiamo solo questo piccolo bob ormai...
ce lo faremo bastare visto che non si vedono altri giganti in giro...
e che forse la musica e il rock non sono più quelli di una volta...
e forse questo Bootleg Series 8 è davvero un disco inutile, ma risveglia in me una passione dylaniana che non sentivo più da molti mesi...
forse al prossimo tour tornerò ai suoi concerti, forse no...
forse è davvero passata quella frenesia, quel feeling...
poi però arriva questa preziosa e imperfetta Dreamin' of you e qualcosa prende calore dentro di me o forse no...
Ma Dylan era ancora DYLAN in quella sala d'incisione, aveva davvero qualcosa un fuoco sacro del rock che Lanois cercava di catturare e di raffreddare per meglio produrre un disco che non era possibile realizzare, io capisco la frustrazione di questo produttore che cercava in ogni modo di realizzare il suo personale Blonde on Blonde, ma i tempi erano davvero cambiati e così l'Uomo e il genio che però di tanto in tanto tornava, e chissà quante volte sarebbe stato così ancora...
e questo Bootleg Series, sembra quasi una risposta a Lanois, vedi amico si poteva fare anche così, poteva funzionare lo stesso, oppure?

e questa storia degli oppure che con Dylan dobbiamo tollerare da sempre, sprazzi di genio, come ha detto giustamente Bertoncelli , Dylan è un geniale pasticcione...
personalmente ho smesso di difendere il Nostro a spada tratta, dato che neppure lui ci prova più a farlo...
megluio stare dalla parte dei detrattori forse, meglio criticare e stroncare gli ultimi due lavori in studio...

caro Mr.Tambourine , considera questo mio sfogo da dylaniato frustrato, che si aspetava a breve un disco nuovo che ormai non arriverà più...almeno non per questo inverno 2008-09

e allora How does it feel?
che Dio abbia pietà di noi , in fede

Dario Twist of fate

E' vero Dario , ho picchiato duro , ma questo è il Dylan di 20 anni fa e "Tell Tale Signs" sono gli scarti di quel Dylan , proporceli ora mi sembra "operazione nostalgia" fatta male. Certo , alcuni pezzi sono belli perchè Dylan è sempre Dylan , specialmente 20 anni fa , ma se allora ha scartato queste takes ci sarà stato un motivo , qualcosa che a lui non andava o non piaceva , per questo aveva deciso di metterle in un cassetto ? Oggi le cose son cambiate , Dylan è un'altro , completamente diverso da quello di Tell tale Signs , anche a me dispiace sentirlo chiamare "pasticcione" ma purtroppo è la verità , queste operazioni prettamente commerciali rovinano ulteriormente l'immagine di Dylan più di quanto non stia facendo lui stesso nel neverendingtour, caro Dario, The times they are a-changin' !

Mr.Tambuorine , frustrato e deluso quanto te :o)

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Talkin' about Bob : Così la pensava Bertoncelli    clicca qui

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Video : Highway 61 - Varazdin 2008                      clicca qui

Se non si riconoscessero le parole "highway 61" potrebbe essere qualunque altra cosa che non ha niente a che vedere con la Grande "Highway 61! di Bob Dylan.

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Video : Bob Dylan - Leopard-Skin Pill-Box Hat-Bergamo 16 giugno 2008   clicca qui

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Time out of mind " Capolavoro" : così scriveva Maggie's Farm                     clicca qui

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Oggi si assegna il Nobel per la letteratura , poche speranze per Dylan          clicca qui

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Dylan ispirato da poeta scozzese

Il leggendario cantautore Bob Dylan ha rivelato che il poeta scozzese Robert Burns rappresenta la sua più grande fonte d´ispirazione.
La star di Blonde On Blonde ha dichiarato che i versi di Burns su ´A Red, Red Rose´ hanno avuto un gran effetto sulla sua vita, più di qualsiasi altra cosa.
Dylan ha confessato questa sua preferenza durante la campagna My Inspiration di HMV durante la quale gli artisti rivelano le proprie preferenze.
Il Dottor Gerard Carruthers, direttore del Centre For Burns Study dell´Universita´ di Glasgow, ha definito questi versi tra i più romantici di tutti i tempi.
( fonte : newsic.it )

Ecco i versi della poesia

A Red, Red Rose

O my Luve's like a red, red rose,
That's newly sprung in June:
O my Luve's like the melodie,
That's sweetly play'd in tune.

As fair art thou, my bonie lass,
So deep in luve am I;
And I will luve thee still, my dear,
Till a' the seas gang dry.

Till a' the seas gang dry, my dear,
And the rocks melt wi' the sun;
And I will luve thee still, my dear,
While the sands o' life shall run.

And fare-thee-weel, my only Luve!
And fare-thee-weel, a while!
And I will come again, my Luve,
Tho' 'twere ten thousand mile!

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Joan Baez

La stella del folk torna a brillare nella stagione musicale milanese - Sabato 11/10/2008

Teatro Ventaglio Smeraldo - Milano (MI) - Piazza 25 Aprile, 10 - Tel. 02 29006767

Lei, l'alter ego musicale di Bob Dylan, ha dato un grande contributo alla storia della musica folk. Joan Baez, classe 1941, ha trasformato il suo impegno politico in essenza musicale, ha diluito la sua musica nell'impegno sociale.

La marcia per i diritti civili ha cui partecipato con Dylan nel 1963 è stato molto più di un gesto simbolico, così come, rovistando nella sua discografia, restano ancora graffianti album come Joan, Come from the Shadows e Blowin' Away. Milano è pronta ad accoglierla per un altro incontro, intimo ed emozionante.
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Live At The Royal Albert Hall, 1971 - The Byrds

Dal dizionario 24.000 dischi : Byrds

Roger McGuinn ha tenuto nascosto questo nastro per più di 30 anni, nel garage, dicono, di casa sua. Probabilmente se n'era dimenticato, perchè è davvero strano che con la fame di inediti che affligge certi cataloghi nessuno abbia mai pensato prima a una pubblicazione: come bonus del cofanetto Legacy di There Is A Season, per esempio, non ci sarebbe stato più che bene.

Ad ogni modo è un bellissimo nastro, musica e suoni. E' il 13 maggio 1971, Londra. I Byrds sono adulti, diciamo pure vecchi, girano da sei anni e stanno per salutare l'affezionato pubblico. McGuinn/Crònos ha mangiato uno a uno i suoi figli ma a un certo punto si è fermato e la band ha tirato un sospiro di sollievo. Il quartetto con Clarence White, Skip Battin e Gene Parsons dura dall'autunno 1969 e finirà nell'estate del 1972; non solo la più longeva formazione della storia Byrds, anche una delle compagnie più riuscite, con quel brillante mix di country folk e sprizzi di energia rock, con quel mosaico esteso e in chiaroscuro di Bob Dylan, Jackson Browne, psichedelia e Grand Ole Opry. Dopo anni di crisi le vendite sono tornate buone e la band suona al ritmo di 200 serate l'anno, battendo teatri e palasport ma non disdegnando i colleges. Untitled è stato un ottimo album e giusto quello i ragazzi presentano ai fans della Royal Albert Hall, a cominciare dai due pezzi più riusciti, Lover Of The Bayou e Chestnut Mare.

Hanno una scaletta collaudata, sono vivi e concentrati, e si sente: con calma ed eleganza scivolano da un periodo all'altro della loro storia, cucendo senza soluzione di continuità cover dylaniane e visioni psichedeliche, Jimmy Reed e Woody Guthrie, il vecchio zio Chuck Berry (Roll Over Beethoven) e il tenero nipotino Jackson Browne (Jamaica Say You Will). Si concedono il lusso di esagerare, con una fuffosa Eight Miles High di oltre 18 minuti; ma al momento di chiudere scelgono il saio francescano e nel più religioso silenzio intonano una Amazing Grace da pelle d'oca, a cappella.

Riccardo Bertoncelli

(fonte : delrock.it)

 

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Mercoledi 8 Ottobre 2008

BOB DYLAN "Tell Tale Signs" - di Gabriele Benzing            clicca qui

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Bob Dylan : Il profeta e la sua maschera ( parte seconda) - Gli anni 70'

di Gabriele Benzing - (fonte : ondarock.it)                                                                clicca qui

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Don't think twice it's all right                                                     clicca qui

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SCRIVEVANO.....

Bob Dylan: Oh Mercy

Recensione di: benzo24 , (Sunday, January 02, 2005)

Correva l'anno 1989 ed era dai tempi di Infidels che Bob Dylan non pubblicava lavori all'altezza delle sue capacità e della sua fama: una serie di dischi poco curati distrutti da scellerate produzioni di cattivo gusto. Il primo passo fu quindi dare un "suono" che esaltasse le qualità delle canzoni e così la produzione fu assegnata al geniale Daniel Lanois, il disco che ne uscì è Oh Mercy ed il risultato fu sbalorditivo!

Fin dalle prime note l'ascoltatore è introdotto in un mondo magico, fatto di suoni densi e caldi, mentre passano in rassegna brani di una bellezza dirompente, di un'intensità superiore che solo Dylan riesce a dare con il suo tocco.
Come non rimanere attoniti di fronte a "Man In The Long Black Coat", gente come Tom Waits o Nick Cave (per fare solo due nomi) è da sempre alla ricerca di scrivere momenti così splendenti e vigorosi.

Oh Mercy, un disco, la realtà, un sogno reale o meglio: la realtà di "una serie di sogni" che ci racconta di posti dove cadono le lacrime, di montagne piene di pecore smarrite, di campane che scandiscono la perdita dell'innocenza, di gente che soffre e lotta nella notte a causa della malattia della Vanità, confini invisibili, strade incorniciate da alberi africani in cui soffiano delle brezze minacciose.
Un mondo dove tutto è un compromesso, in cui tutto è spezzato, dalle strade ai cuori, un mondo senza amore, senza dignità in cui non si distingue più il bene dal male, un mondo sovrastato dalla figura dell'uomo con il lungo cappotto nero, ladro di sogni, ladro d'amore, che ci lascia soli con i nostri rimpianti e i nostri ricordi, soli in mondo di stelle cadenti, che bruciano in pochi istanti e svaniscono nell'immensa oscurità, dove una solitaria voce sussurra, grida, invoca e ripete sempre la stessa parola: pietà!

(fonte : debaser.it)

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Ascolta Bob Dylan impara ad essere eroe

da Repubblica — 30 agosto 2008 di FRANCO BOLELLI

"L' eroe è chi capisce il grado di responsabilità che deriva dalla sua libertà». Bob Dylan, che andrebbe citato un giorno sì e quell' altro anche. Non l'eroe enfatico e retorico. Non il «possiamo essere eroi anche solo per un giorno» di David Bowie. No, Dylan ci dice che a essere eroica è la forma stessa della nostra relazione con il mondo, e che il più alto grado di questo eroismo quotidiano sta nel coniugare libertà e responsabilità. Non la libertà come licenza incondizionata, non la responsabilità come serioso dovere. è la loro empatia a essere eroica ".

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NOBEL 2008 : Dylan fanalino di coda

STOCCOLMA (Reuters) - La corsa al premio Nobel per la letteratura sembra quest'anno apertissima, con gli eterni favoriti in campo, come il romanziere statunitense Philip Roth e lo scrittore giapponese Haruki Murakami.
Per i bookmaker britannici Ladbrokes, tra i possibili vincitori c'è anche l'italiano Claudio Magris, seguito dall'israeliano Amos Oz e dall'americana Joyce Carol Oates.
Bob Dylan, invece, è fanalino di coda nelle scommesse registrate da Ladbrokes.
Intorno alle decisioni del comitato per il Nobel, intanto, regna il mistero più fitto, e la data di annuncio del premiato di quest'anno non verrà resa nota fino a quando non ci sarà un vero favorito in grado di distaccare gli altri candidati.
La stagione dei Nobel comincerà il 6 ottobre con l'attribuzione del premio per la medicina.
Altri possibili candidati al Nobel letterario: il poeta australiano Les Murray, il romanziere nigeriano Chinua Achebe e il poeta siriano Ali Ahmad Saïd, che si firma con lo pseudonimo Adonis.
Nel 2007 il prestigioso riconoscimento era andato alla britannica Doris Lessing.

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Donovan: 'Sono uno zingaro bohémien, non un nostalgico dei Sixties'   clicca qui

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20 ottobre : Donovan a Roma per i Beatles                                                clicca qui

 

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Martedi 7 Ottobre 2008

Tell Tale Signs: Tell It Like It Is

Pre-Release Review by Sadi Ranson-Polizzotti

Così volete sapere , se vale la pena di comperare il cofanetto di Tell tale signs ? Vale ogni penny , e non semplicemente per lo zoccolo duro dei fans , ma se non conoscete i bootlegs o come il resto di noi , conoscete le diverse takes di molte canzoni ( in particolare di Oh Mercy ) , allora siete pronti per un ossequio regale. Prendetelo .
Ne vale la pena perchè Dylan è al suo meglio dagli anni 90’ fino al 2006.

Quello che chiarisce questo set , e che gli altri dischi non hanno fatto , è di mostrarci in quanti diversi modi può cantare le sue canzoni. Potremmo sentirle ancora diverse nei concerti , questo è vero , così conosciamo le varianti . ma quello che è interessante in questo disco è proprio come una canzone come “Most of the time” può suonare in una take scartata ( particolarmente nel disco One ). É così totalmente diversa , così assolutamente amabile , come dire , così assulutamente ogni cosa che può battere la versione dell’album , questo per me vuol dire tanto , perchè sono affezzionata alla versione dell’album : allora ho ascoltato la take scartata del disco uno e c’è una dolce armonica che fa la parte del leone. Come si sposa bene con la semplicità della chitarra . Il ritmo non posso definirlo perchè è variabile ( almeno questo sembra al mio orecchio poco addestrato ). Per la maggior parte rimane come in sospeso , ma è difficile seguire l’armonica nei diversi cambiamenti che attraversa , almeno finchè non si capisce il ritmo che non è così “evidente”. Quasi con noncuranza la canzone funziona molto bene . Al momento è la canzone che ascolto di più , e lo sarà probabilmente anche per voi , almeno fino al momento che avrete trovato un’altra preferita , cosa che io non sono ancora riuscita a fare perchè tutto è così mutevole , forse dipende dalla mia mentalità , dalla mia età , o da tante altre cose , tutto è così mutevole in quello che c’è nel disco.

“Dignity” è un’altra da sottolineare , compare nei dichi in diverse versioni ( come alcune altre ) io preferisco quella con l’introduzione di piano perchè mi è sempre piaciuto Dylan al piano perchè è molto dotato su quello strumento .
Quando avrò avuto il tempo di ascoltare tutti e tre i dischi nei prossimi giorni o settimane , sarò più precisa , allora forse sarà una recensione diversa , più di questa pre-recensione sommaria di come gli album stanno assieme , e l’esperienza completa dell’ascolto. Oggi è un non-sequitor totale , qualcuno ascolta più un album intero ?
Con l’avvento degli iPod , iTunes , Windows Media Player , spesso si fa un mix , raramente un album intero , ma questo è un’altro argomento.
La confezione del box con i tre album è bella ed è accompagnata da un brochure eccellente con le liner notes ( che non ho ancora letto per farmi la mia valutazione delle tracce , posso essere d’accordo o non con quelle , ma avere due opinioni è sempre meglio.
Inoltre è disponibile un CD singolo in vinile di “Dreamin’ of you” con una tremenda foto di copertina di Randee St. Nicholas. C’è una donna sulla copertina con Dylan , chi sarà ? Potrebbe essere una modella o forse un amore di Dylan , questo è quello che ho pensato. La musica su vinile suona sempre differente ( almeno al mio orecchio : i CD sono molto più puliti , come un amico che ha appena fatto il bagno.
I tre CD sono accompagnati con un’eccellente riproduzione di lusso delle copertine dei singoli (45s) , alcuni dei quali sono stati pubblicati , altri sono sconosciuti , altri realizzati apposta per quest’evento.
Da quando è con la Columbia , Dylan ha realizzato oltre 1.200 singoli ed extended-play in tutto il mondo. La serie comincia nel 1963 con un promo di “Blowin’ in the wind”. Prendo nota che le copertine sono molto belle in questo libro deluxe del Cd , ma io non posso pensare come un produttore pubblicitario che pensa allo stile del marchio. Dylan stesso è ovviamente il marchio , a questo punto , ma ho notato che le canzoni sono elencate in questo modo , solamente “Most of the time” invece delle abbinate “Most of the time” come ho visto su bobdylan.com come scritte da lui.
Qualcuno sta parlando da solo qui , senza comunicare , perchè dovrebbe esserci una continuità in come le canzoni sono elencate , invece che alla rinfusa , e questo creerà piccoli problemi in futuro per le scolaresche che non le conosceranno correttamente ed esattamente come Dylan avrebbe desiderato .
La gamma delle songs proviene un pò da tutto , dal buon vecchio rock del portico ad alcune vere ballate di couble-dancing , dal rock&roll al country al folk , le ballate gospel e le ballate traditionals. Non tutti i musicisti potrebbero permettersi un pasticcio del genere , ma Dylan lo fa , potrebbe andar bene per una o due cose , ma mischiare tutti i generi non si mai visto. Dylan ha chiamato se stesso uno “spedizioniere musicale” e questa raccolta lo dimostra , forse un viaggiatore che passa diversi luoghi con musiche diverse e assorbe tutto , questo è quello che è Dylan in “Tell Tale Signs” , ma come ha detto Suze Rotolo nel suo libro “A freewheelin time” , tutto il lavoro di Dylan viene analizzato al microscopio , e questo è vero.


Disc I

Mississippi (Unreleased, Time Out Of Mind)
Questo è il primo pezzo del 1° Cd e la chitarra è eccellente , così come lo è Dylan nella sua durezza. Questa canzone potreste averla cantata con gli amici sotto il portico ( non ho dubbi che l’aggiungerete al vostro repertorio ). Una storia in una canzone , certi fraseggi così familiari e così “dylan”. La canzone appare tre volte nella confezione col cofanetto , e sono tutte diverse , a dimostrare che Dylan può prendere una cosa e voltarla in un’altra con assoluta facilità nel modo migliore.

Most of the Time (Alternate Version, Oh Mercy)
Una versione acustica velocizzata – totalmente differente dalle altre versioni che hanno un grande sound. Ora mi piace di più questa versione , ma solo perchè ho ascoltato le altre versioni molte volte. Ci sono delle gemme in questo set , e sicuramente questa canzone è una di quelle.

Dignity (Demo Version No. 1, Oh Mercy)
Anche questa dalle sessions di Oh Mercy , è solo un demo col piano e Dylan canta una versione dignitosa di Dignity. É accreditata come un demo-take , e come mi piacevano le altre versioni che avevo sentito , devo dire che questa è la migliore perchè il piano crea la miglior atmosfera. É giusta in tutto , sia metaforicamente che letteralmente.

Someday Baby (Alternate Version, Modern Times)
Le altrrer versioni che conosciamo di questa canzone , hanno troppo un’impronta pop-jazz , sembra di vedere le ragazze della squola ballare con i loro iPood , e questo è bello. Questa versione è buona , ma non decolla , si percepoisce meno divertimento , un piccolo presentimento per il futuro....sameday baby.

Red River Shore (Unreleased, Time Out Of Mind)
Apparentemente il Dylan camaleonte nel modo di cantare. Qui c’è il nostro uomo con un semi country accento del sud , appropriato perchè la canzone è molto simile ad una country-ballad : la breve storia di un uomo pieno di dubbi ( Era fuori in mezzo al nero ruggito dei venti , ma non riesce mai ad avere un appuntamento con “la ragazza del fiume rosso”).

Tell Ol’ Bill (Alternate Version, North Country Soundtrack)
Mi ricorda Things Have Changed. Forse non tanto le parole ( non ho avuto ancora l’occasione di leggerle ) ma il suono di questa canzone è molto simile , buona cosa.
La canzone non è ben definita , ma và seguita a lungo , forse mentre state guidando.
Alla lunga ti prende e ti porta con essa , come la marea che sta salendo.

Born in Time (Unreleased, Oh Mercy)
Mi è piaciuta fin dalla prima battuta , ed è un peccato che sia rimasta esclusa da Oh Mercy , ma allora , ogni artista deve fare una scelta perchè non è possibile inserire tutto. I testi sono pura poesia , una melanconica canzone sull’amicizia che va e viene , e inerente a questi , i problemi delle relazioni complicate. C’è rammarico , molto rammarico in questa canzone , è una canzone “nuda” e forse per questo era stata scartata , chi può dirlo ? E’ stata pubblicata ora ed io sono contenta , qualche volta aiuta lasciar fuori qualcosa e certamente , se c’è qualcosa che può metterci in relazione con questa , la cosa ci aiuta.

Can’t Wait (Alternate Take, Time Out Of Mind)
“In si bemolle” come dice la voce all’inizio del nastro. Ha un suono scuro , da tarda notte. Così tutto diventa afoso , con una punta di rugosità nei particolari , una combinazione di Dylan per dimostrare lo strazio e l’angustia che ci sono nelle canzoni che suonano umili , sembra dire “ State con me , seguitemi “.

Everything is Broken (Alternate Take, Oh Mercy)
Sono content che dica ancora “broken meear”. In dylanesco non si pronuncia “mirror”. Non c’è nel dizionario. E’ stato detto abbastanza su questa canzone , così adesso l’avete anche qui.

Dreamin’ of You (Unreleased, Time Out of Mind)
Ho scritto un articolo intero su questo pezzo , una canzone eccellente , con un testo molto familiare , ma troppo lungo per inserirlo in un pezzo solo , leggete il mio articolo in proposito.

Huck’s Tune (from “Lucky You” soundtrack)
“When I kiss your lips, the honey drips, I’m gonna have to put you down for a while.” Non è una cosa sexy , tuttavia la differenza è sottile , però sembra più vicina al romantico , come in tante altre canzoni di Dylan , questa linea sottile balza agli occhi immediatamente . La canzone ha un sound country e sembra una canzone d’amore per una ragazza irlandese , lirica. “I tried you twice, you can’t be nice, I’m gonna have to put you down for a while.” Cosa voglia dire con “put you down” è quello che la rende interessante , è un gioco di parole , un doppio senso che potrebbe voler dire qualcosa di diverso da quello che si capisce al primo momento.

Marchin’ To The City (Unreleased, Time Out Of Mind)
Un inno che comincia in una chiesa per tornare qui di nuovo , lui “ non cerca niente negli occhi di chiunque altro”. E’ un lento molto bluesy , che combina di nuovo le diverse situazioni della vita. Suona bluesy , con influenze religiose , ma a me non sembra una gospel-song .

High Water (For Charlie Patton) (Live, 2003, no location given)
Rock n’ Roll sicuramente. Non la mia preferita , ma certamente buona per far ballare la gente e non mi sorprende che sia stata presa da un’esibizione live , questo rende la canzone più “ooomph” . E’ buona , ma a mio parere , manca della grazia di altre canzoni incluse nel cofanetto.


Disc II

Mississippi (Unreleased Version, Time Out Of Mind) *note a different cut of this exists on disc no. 1 as the first cut of the boxed set.
Un’altra canzone sul tempo che si accumula , una canzone “dilla com’è” dal punto di vista di un uomo , effetivamente uno specchio dei tempi.

32-20 Blues (Unreleased, World Gone Wrong)
Ovviamente, Blues e Blues vero , tempo battuto coi piedi , quello che voglio suonare o sentire qiando sono con i miei amici sotto il portico in estate. Come ogni canzone blues , anche questa è la storia che coinvolge una donna , problemi affettivi , e un pò di violenza ( c’è anche di mezzo una pistola ) . Una canzone classica nella tradizione blues , una storia divertente da seguire , la donna , naturalmente , è quella che vince.

Series of Dreams (Unreleased, Oh Mercy)
C’è più parlato che cantato , ma c’è qualcosa di simile in ogni Dylan’s song.
La monotonia ripetitiva mi ha reso difficile entrare in questa canzone , avrei voluto più variazioni di quelle che ci sono qui . I testi , di nuovo , sono eccezzionali ( nessuna sorpresa in questo ) ma la musica non rende loro giustizia. Posso immaginare cosa dovrebbe succedere , ma le cose sono disunite , non succedono assieme , non ci sono abbastanza variazioni per suscitare il mio interesse.

God Knows (Unreleased, Oh Mercy)
Non quello che sembra all’inizio. La canzone in se non parla di Dio , ma piuttosto più una canzone su qualcuno che non può essere rimpiazzato. La religione poterbbe anche starci , ma è un misto fra le due cose. C’è qualche relazione e dell’ottimismo , e questo mi rende ottimista.

Can’t Escape From You (Unreleased, December 2005)
Una balata che assomiglia a qualcuna delle vecchie ballate anni 50’. Nel testo , è ricorrente il tema delle campane e del treno che appare in molte canzoni di Dylan. Uno potrebbe facilmente vedere una coppia che balla romanticamente.

Dignity (Unreleased, Oh Mercy)
Altra versione più movimentata di quella del disco 1 , ma la prima è superiore dal mio punto di vista. Il Be-Bop non sembra essere adatto alla tematica della canzone , senza dubbio un momento di divertimento nelle sedute di registrazione , ma in definitica sembra essere un pastrocchio di musica e parole.

Ring Them Bells (Live at The Supper Club, 1993)
Ancora campane – il bello di questo pezzo è l’immediatezza , le chitarre hanno un bel suono , chiaro , sembrano il suono delle campane . Dylan stesso sembra cantare con la voce squillante , non ancora tranquilla e cavernosa come sembra essere oggi ( lui , per scelta o per necessità è sempre stato uno stilista nel cantare ) . C’è qualche urlo nel sottofondo , ma il suono è eccellente , solo un pò gracchiante nel backgruond a mio modo di vedere . La canzone si spiega da sola.

Cocaine Blues (Live, 1997)
Come si capisce dal titolo , una canzone blues . Tuuti conosciamo il suono , molto bene . In definitiva un blues sulla cocaina , e come ho detto prima per l’altra canzone blues , anche qui c’è una donna e una pistola.

Ain’t Talkin’ (Alternate version, Modern Times)
Una buona take , sia una che l’altra sarebbero state bene nell’album , adesso le abbiamo tutte e due. Questa ha un buon marchio , e il suono commovente da il senso giusto al testo. Vera magia.

The Girl On The Greenbriar Shore (Live, 1992)
Una bella canzone acustica , col suono cristallino. Un’altra storia , ma cosa sono le canzoni se non storie ? Quello che rende Dylan più di un poeta è che non tutte le canzoni degli altri artisti sono “storie” , questo è un vero regalo di Dylan che sembra avere la spada in mano , come ha dimostrato centinaia di volte . Questa potrebbe facilmente essere una storia per un libro o una poesia diretta.

Lonesome Day Blues (Live, 2002, no location given)

Questo è il Dylan che sentiamo nei concerti attuali. E’ vitale e canta con verve. La band è eccellente e c’è una bella qualità sonora.

Miss The Mississippi (Unreleased, 1992)
Oh , l’armonica…..Questa è realmente una magnifica canzone se vi piace il delicato e struggente suono dell’armonica , che è perfetta per il titolo del pezzo. Una canzone lenta , prima che cominci a cantare del ritorno alla casa sul Mississippi dalla grande città . I testi suonano come una cartolina....” Mi manchi tu ed il Mississippi...” Veramente amabile.

The Lonesome River (with Ralph Stanley)
Country con violino in sottofondo , è divertente e se vi piace il country vi piacerà anche questa. E’ come una canzone da cantare in duetto davanti al fuoco dell’accampamento , e qui Dylan lo fa con Ralph Stanley . Funziona bene e ci sono alcuni eccellenti assoli per ogni strumento.

Cross The Green Mountain (From “Gods and Generals” soundtrack)
Probabilmente la canzone più intense di questo CD in termini di liriche . Bella , tranquilla , melanconica , che si può dire , dolceamaro addio in qualche modo , rassegnazione ed osservazione.


Disc III

Duncan & Brady (Unreleased, 1992)
Publicata in origine da Carl Sandburg nel 1927 col titolo di “Brady” nella sua collezzione di canzoni folk. Questa canzone , dicono le note di copertina , viene dalle “Bromberg Session”, procede come una clip dicono le note , “attiva”.

Cold Irons Blood (Live, Bonnaroo, 2004)
Questa ha un grande potenziale , e Dylan sposa le parole con la musica in perfetta sincronia.

Mississippi (Unreleased, Version No. 3, Time Out Of Mind)
Bella e probabilmente la più bella versione che ho sentito da molto tempo , Più morbida e più ritmata . Un pò più triste delle altre , questo è quello che comunica , una calma bellezza.

Most Of The Time (Alternate Version No. 2, Time Out Of Mind)
Qui mi ripeto : questa è una delle mie canzoni preferite , ed è difficile per me non amare anche le altre versioni , per essere onesta. Questa versione è simile a quella pubblicta e diversa da quella acustica nel precedente disco. E’ difficile stabilire quale sia la migliore perchè sono così diverse. Questa include una meravigliosa linea di basso.

Ring Them Bells (Alternate Version, Oh Mercy)
Il piano eccellente mostra qui quello che era stato tagliato da Bob . Le liriche si alzano in piedi in questa versione e per questa ragione , la chiarezza del piano e la semplicità del suond , devo inserirla fra le mie favorite.

Things Have Changed (Live, June 15, 2000, Portland, OR)
Una vera live version , più lenta , ma questo aggiunge qualcosa di diverso.
Le note di copetina precisano che l’oscar che si vede sull’amplificatore di Bob ( che tutti abbiamo visto nelle fotografie ) , non è l’originale ma una copia . Conosciamo questa canzone da “Wonder boyd” dove si adatta meravigliosamente al video
Formidabile con Tobey McGuire.
Ci sono volte che è difficoltoso , qualcuno ha detto , riconoscere le canzoni di Dylan perchè per la maggior parte hanno lo stesso suono , io non ho trovato questo problema ( specialmente se ascoltate tanti bootlegs , si prende l’abutudine a questo tipo di mix e le canzoni si riconoscono abbastanza velocemente ) . Comunque questa take è troppo “leggera” , non da inserire fra le preferite.

Red River Shore (Unreleased, Version No. 2, Time Out Of Mind)
Il suono del Sud. Dylan è qui , come nell’altra out-take , e la storia è sempre quella , entrambe le versioni sono buone. Questa è leggermente diversa e suona più “New Orleans” in sottofondo . La prima versione del precedente disco mi piace di più , ma è solo una differenza estetica.

Born In Time (Unreleased, Version No. 2, from Oh Mercy)
Diversa dalla precedente versione , questa è la migliore delle due. La chitarra segue il testo e la voce di Dylan qui è migliore. Le liner notes dicono che tuttavia la miglior versione non è ancora stata realizzata , questo può essere vero , ma questa va nella direzione giusta , se non la finale. Amen.

Tryin’ To Get To Heaven (Live, October 5th, London, England)
Una lentissima versione , con una tranquilla e contemplativa chitarra. Dylan suona più pieno qui , forse per la lentezza del tempo , il testo è chiaro ( il souno di questo boolleg è cristallino per me ). Una grande take , davvero , che io considero uno dei “nuovi” classici.

Marchin’ To The City (Unreleased Version No. 2, Time Out Of Mind)
In contrasto all’altra versione , questa è più gospel-sound , e procede con un Be.Bop gradevole che la rende più scattante. La musica da alla canzone un significato diverso , così sembra , la discussione è aperta.

Can’t Wait (Alternate Take Version No. 2, Time Out Of Mind)
Come dicono le note , “questa canzone va ascoltata alle 3 di notte , lo capisco. L’altra versione è come il sole che nasce. “Maybe for you it’s not that late…” canta Dylan , “But as for me, I don’t know how much longer, I can wait…” . La canzone è lenta e come appesantita , e quando dice “It’s got to end” si capisce chiaramente il perchè di questa aggiunta di peso alla canzone . Il testo si sviluppa in un pesante arrangiamento strumentale , e si adatta come in una perfetta suite.

Mary And The Soldier (Unreleased, World Gone Wrong)
Questo viene dallo studio di registrazione casalingo di Bob Dylan , questa canzone prende lo spunto dalle ballate folk tradizionali ( pensate a “Ballan in D plain” ). Quando ho sentito le prime note ho pensato a Donovan (Donovan!) , perchè lo stile della chitarra suona proprio così , ma quando la canzone continua diventa una Dylan-song , con il dylan-style. Il picking della chitarra è eccellente ( meglio di Donovan ). É un bel modo di chiudere....restiamo ancora in dubbio dopotutto....comunque , se non tutti , molti di noi.


Thanks for reading,
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SCRIVEVANO.....

Bob Dylan : Oh Mercy

Recensione di Viva Lì (Friday, July 21, 2006)

"Oh Mercy" è uno di quei dischi che non ti aspetti, che pensi non sarebbero mai potuti arrivare e poi, tutto d'un tratto, te li trovi tra capo e collo senza nemmeno capire il perchè e il per come, però ti piacciono, e questo ti basta. Frasetta un pò troppo romanzata? Può darsi, ma assolutamente corrispondente a verità. Perchè non è opinione isolata sentire molti vecchi fans di Dylan affermare: "Dopo "Infidels", Bob non ha più imbroccato mezzo disco", e un po', per chi conosce "Oh Mercy", vengono istantaneamente i brividi.

Dall'incontro tra David Lanois (storico co-produttore degli U2, artefice del grande successo di "The Joshua Tree") e Bob Dylan, in pratica la leggenda del folk cantautoriale, non poteva che nascere un capolavoro, come puntualmente è avvenuto. In effetti, gli umori e le armonie musicali inseguite da Lanois Dylan le conosce bene: pochi lo sanno, ma fra Dylan e gli U2 videro la luce alcune interessanti collaborazioni musicali (per la band di Bono Dylan si improvviserà anche provetto suonatore d'organo). E così, quando ormai gli anni Ottanta stanno volgendo inesorabilmente al termine, la zampata leonina di Dylan appare, se possibile, ancora più vigorosa e incisiva. E mentre in Italia ci si chiedeva "Cosa resterà di questi anni Ottanta?" (poco, in verità), Bob Dylan cantava "Where Teardrop Falls". Capite la differenza?

"Oh Mercy" è un disco doppio, nel senso che presenta due condizioni musicali: ritmico e classicheggiante nella prima parte, più lento e intimista nella seconda. Dylan si rifà a vecchi amori di gioventù: dalle atmosfere alla Creedence Clearwater Revival, ai vecchi miti come Guthrie o Hank Williams. I brani sono tutti impeccabili e sontuosi, spesso addirittura spiazzanti: "Political World" è un blues distorto e affascinante, "Everything Is Broken" dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, essere il brano cardine dell'intero album, ma, sebbene stupendo, non è nè migliore nè peggiore di altri, forse solo un pò più ritmato e incalzante. Ma sarebbe un errore ignorare ballate come "Ring Them Bells", tenera e stringata, veloce ed essenziale. Le emozioni ritornano prepotentemente in primo piano con la bellissima "Man In The Long Black Coat", e questa volta, come in una sorta di miracolosa trasformazione vocale, Dylan canta persino in maniera pulita e poco traballante. La voce è roca, ma chiara e puntuale, precisa nel tratteggiare suoni e odori di una storia umida e bagnaticcia, come lo è l'America cantata, sempre con partecipazione e mai con distacco, da un Dylan in effervescente stato di grazia.

La seconda parte, appunto. Pezzi lenti dicevamo, eppure ancora una volta stupendi. Si potrebbe accusarlo di inconcludenza e si potrebbe persino dire che tutti i brani di questa seconda parte un pò si assomigliano (ed in parte è vero), ma la freschezza compositiva e la ritrovata serenità musicale, impediscono qualsiasi critica negativa. "What Was It You Wanted" è bellissima, ma ad eccellere è la mestissima "Shooting Star", uno dei più bei brani firmati Bob Dylan da molti anni in qua. La mano di Lanois è presente, ma non è un peso: sotto la guida esperta di un produttore furbo e astuto, Dylan riesce finalmente a ritrovare la propria vena cantautoriale, seppur dolente e invecchiata (ma è prevedibile), rispetto ai tempi in cui sobillava le folle con "The times they are a changin". Si può dunque tranquillamente gridare al miracolo, peccato però che il successivo album, "Under The Red Sky", sia vacuo e a tratti persino pietoso. "Oh Mercy" è l'ultimo grande acuto di un Dylan che, per qualche attimo, sembra aver ritrovato la sua forma migliore. Che sciuperà, come spesso in questi ultimi anni gli è accaduto, in quattro e quattr'otto.

(fonte : debaser.it)

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Il 7 ottobre 1992 moriva Augusto Daolio , MF lo ricorda così                 clicca qui                         _______________________________________________________________________________________________________________

Joan Baez in concerto : 11 Ottobre Teatro Smeraldo - Milano

Joan Baez si esibisce, invece, al Teatro Smeraldo l’11. Classe 1941, la folksinger, nota anche per il suo impegno politico e per l’unione artistica e sentimentale con il grande Bob Dylan, è impegnata nella promozione del nuovo lavoro «Day After Tomorrow».
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Mac’s Back & Super Bowl Boss

Il nuovo album di Paul McCartney, che uscirà il 17 novembre, sarà firmato dal nome del suo alter ego dedito alla dance, “The Fireman”, in duo con il membro dei Killing Joke e produttore dei Verve, Youth. L’album si intitolerà “Electronic Arguments” e conterrà 17 brani tutti scritti dallo stesso McCartney.
Mentre negli USA, a Washington, è stato annunciato che sarà Bruce Springsteen ad esibirsi nell’intervallo musicale della finale del football americano, evento sportivo più atteso negli Usa, il Super Bowl. Bruce suonerà nello stadio di Tampa, in Florida, il 1° febbraio con la sua band di vecchia data: la “E Street Band”. Per gli americani l’intermezzo musicale è una tradizione che risale al 1967, e questa per Bruce è la prima volta!

( Dean Spencer News )

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Dig out your soul: Intervista agli Oasis    clicca qui

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Donovan, un film doc sulla sua vita          clicca qui

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Londra, in mostra foto rare dei Sex Pistols, Who , Rolling Stones e Bob Dylan    clicca qui

 

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Lunedi 6 Ottobre 2008

Talking Bob Dylan Blues - Parte 426 -    clicca qui

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Tell Tale Signs è uscito , aspettiamo le vostre recensioni !!!!!!!!!

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Dal cilindro del poeta rock anche inediti sul vecchio West

di Antonio Lodetti

Bob Dylan è il più impenetrabile fra i grandi cantori del nostro tempo ma, come dice il suo manager Jeff Rosen, «è maniacale nel prendere iniziative straordinarie per tutelare la sua immagine che così cresce costantemente di valore». L’ultimo ventennio è stato davvero aureo per Bob; lasciando perdere il premio Pulitzer e tutti gli avvenimenti extramusicali, l’ultimo album Modern Times è volato in vetta alle classifiche e i precedenti, come Time Out Of Mind, hanno riscosso un unanime succeso di critica. Così Mr Dylan - senza rallentare il «tour senza fine» - pubblica in questi giorni Tell Tale Signs. Rare adn Unreleased. 1989 - 2006, doppio cd ricco di rarità e inediti. La settimana prossima uscirà la versione «de luxe», con un terzo cd di cammei, più la versione in quattro lp, visto che Bob sostiene da tempo che «i suoni dei cd cono atroci».
Inediti. Parola magica ma spesso segno di fregatura nel mondo rock. Qui si può andare tranquilli; ce n’è davvero un bel campionario. «Molti di noi hanno paura di morire nel buio e non essere dove gli angeli volano», canta in Red River Shore, storia di cowboy dall’arrangiamento vivace scartata da Time Out of Mind ma definita da Dylan e dai suoi musicisti «una delle canzoni migliori del cd». Misteri del marketing, ora il brano, un traditional, esce inedito in una versione smagliante. Da ragazzo Dylan idolatrava Woody Guthrie ma non dimenticava le radici nere del blues. Qui per la prima volta s’avvicina al «satanico» Robert Johnson rileggendo la sua 32 - 20, che con la sua voce odierna, a metà strada tra il rutto e il ringhio roco, non fa rimpiangere l’asprezza dell’originale. E poi si butta sul pianoforte gospel, da ebreo «che bussa alle porte del Paradiso», per pennellare l’enfatica Marchin’ to the City, gran ballata che si trasformerà nella nota Till I Fell In Love With You. E se non basta c’è il Dylan romantico, tra Hank Williams il walzer e i Platters, che ondeggia tra i ricordi in Can’t Escape For You, composta per un film mai realizzato.
Gran musica; un nuovo piccolo-grande squarcio a rinnovare la leggenda di un personaggio che è aedo rock e cantore bucolico, anticlericale e giullare di Dio, poeta maledetto e del sociale, cronista e visionario. Tutto e il contrario di tutto, spiazzare sempre e comunque ora con parole chiare ora con metafore oscure. Già nei primi anni Sessanta aveva descritto beffardamente le bizzarrie della sua poesia: «Sono un ladro di pensieri/non un sottrattore di anime/ho costruito e ricostruito sopra ciò che è in attesa/una parola una melodia una storia un verso/chiavi nel vento per disserrarmi la mente». Così si spiega il legame con la tradizione; come trasformo un’antica melodia popolare nell’inno Masters Of War ora rilegge Tell ’Ol Bill della Carter Family, propone versioni alternative - e sempre diverse - di pezzi già noti come Can’t Wait, racconta il suo genio e la sua umoralità in brani dal vivo dalle tinte bluegrass come The Lonesome River con Ralph Stanley, o architetta la cavalcata rock Ring Them Bells, tratta da uno special del ’93 per Mtv mai andato in onda.

(fonte : http://www.ilgiornale.it)

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L'ultimo Dylan, "Tell Tale Signs"

di Marinella Venegoni

Le Bootleg Series sono nate anni fa per togliere pane ai denti dei bootleg, le registrazioni clandestine che in epoca pre-internet molto sottrassero a Bob Dylan e alla sua casa discografica in termini di royalties. Poi, dopo internet, nessuno ci fece più caso:-))).
Il 3 ottobre è uscito il n.8, che ricopre il periodo fra il 1989 e il 2006: quello del Dylan della piena maturità e oltre, dei dischi che appartengono al presente di quest'uomo che per tutta la vita ha tentato di sfuggire al proprio mito. Senza riuscirci.
Il doppio album "Tell Tale Signs" va ascoltato, credo, senza guardare i titoli, le note, senza cogliere le indicazioni degli inediti. E' un flusso travolgente eppure quieto, una magistrale dimostrazione di misura e di abilità; si coglie la fattura squisita della musica e anche il pregio del Dylan interprete,accorato e dedicato, con una passione che sembra più accesa che dal vivo; a volte fa sorridere quando sembra cantare con il naso, dev'essere un suo segno di disagio.
Il Vate di Duluth si avventura pure in pezzi d'epoca non suoi, come la dolcissima "Miss the Mississippi " di Doc Watson, per lui inedita, che raccomando caldamente di ascoltare. Degli ultimi brani che ha scritto, ho riapprezzato "Ain't Talking", il pezzo che chiude "Modern Times", l'ultimo album del 2006 che secondo me è il più bello di questo lungo periodo affrontato nell'album.
In generale, "Tell Tale Signs" raccoglie 27 brani con registrazioni del tutto inedite e versioni "esclusive" di brani contenuti nei dischi degli ultimi due decenni. Ci sono anche performances live, e un libretto con storie e testi di canzoni. C'è pure una versione in vinile, di 4 lp in edizione limitata. Buon Dylan a tutti.

(fonte : lastampa.it)

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Il tesoro nascosto del profeta rock

di Stefano Mannucci

Non sappiamo ancora come andò davvero quel mattino. Dylan giura che la ruota posteriore della Triumph si era bloccata mentre lui cercava di evitare una macchia d'olio sulla Striebel Road, non lontano dalla sua casa di Woodstock.
E poi non dormiva da tre giorni: tutti volevano un pezzo della sua anima, magari per sbranarla, dopo averlo fischiato per aver rinunciato alla «purezza» da folksinger in nome di un vertiginoso approccio al rock. In poco meno di due anni aveva realizzato tre album "elettrici" ("Bringing it all back home", "Highway 61 revisited", "Blonde on blonde") che qualcuno ha definito «una delle più alte espressioni culturali del Ventesimo secolo».
Insomma, era dannatamente sotto pressione, quel 29 luglio 1966. Di certo, volò sopra il manubrio della sua moto: all'ospedale gli diagnosticarono la frattura delle vertebre del collo. Circolarono voci che lo volevano in punto di morte, tutti i concerti furono annullati e la convalescenza si protrasse, in un alone di mistero, per mesi e poi per anni. Dylan ne approfittò per immergersi nella vita di famiglia, nella quiete bucolica che poi generò il suo controverso ritorno in chiave country, lontano dalla cannibalizzazione dello show business. Più di quarant'anni dopo, nessuno sa se quel ritiro dalle scene fu forzato o volontario. In quei giorni, il "Chicago Tribune" scrisse: "Un tipico gesto del profeta è la sparizione e la ricomparsa, con un nuovo messaggio". Il profeta. Quante volte era già apparso e svanito nel nulla, Dylan? Nel '63 lo avevano visto e ascoltato, a Washington, il pomeriggio glorioso della Marcia, quando Martin Luther King urlò al milione di persone che lo circondavano: "Ho fatto un sogno!". Ed era solo, Bob, in quella notte del '78 quando - sostenne - la sua stanza cominciò a roteare davanti ai suoi occhi, e lui, l'ebreo che aveva nelle vene sangue turco, lituano, russo e americano, lui che non ha mai smesso di cercare la Risposta davanti al Muro del Pianto, intuì che quello era Gesù venuto a offrirgli la Fede.
Il profeta. Agli inizi degli anni Settanta l'ambiguo A.J. Weberman, leader del Fronte di Liberazione Dylan rovistava nella sua immondizia per capire da un dentifricio spremuto o da una zuppa in scatola quanto Bob si fosse «venduto al sistema». E trent'anni dopo, ci sono volute sei o sette maschere d'attore (compresa quella femminile di Cate Blanchett) per raccontarne l'inafferrabilità nel film "Io non sono qui". Lui, intanto, canta da quasi mezzo secolo, e da vent'anni strapazza le sue canzoni nel "tour che non finisce mai". Si mostra, si offre, ma tu capisci che non lo conoscerai mai. È la perfetta incarnazione dell'insondabile mistero dell'America moderna: puoi attraversarla in lungo e in largo, studiarla a fondo nelle sue tradizioni e nelle sue spinte incongrue, ma non la capirai davvero. A Dylan hanno assegnato il Premio Pulitzer alla carriera, e anche quest'anno è in lizza per il Nobel: ma della sua parola c'è ancora sete, così come della sua musica, che attraversa come un bolide luminoso i territori mistici del folk, del blues, del gospel, del rock disincarnato, dove ogni personaggio è uno spettro e un simbolo, ma disegnato con una vividezza tale che potresti quasi toccarlo.
Dai suoi archivi, dallo scavo di una discografia nascosta e apparentemente inaccessibile, continuano a spuntare tesori. Come l'ottavo "volume" della "Bootleg series", un doppio (e triplo in edizione limitata) cofanetto intitolato "Tell tale Signs", ricco di inediti (due su tutti: lo stregato "Red river shore" e le due letture impalpabili e magnetiche di "Mississippi") e di versioni alternative di brani datati fra il 1989 e il 2006. In quel periodo Dylan è stato di nuovo sfiorato dalla morte fisica (nel 1997 gli fu diagnosticata una pericardite) e da una continua rinascita artistica. Così descrive, lui stesso, il rapporto fra i tre dischi (qui ampiamente rappresentati) che rappresentano la sua più recente trilogia di capolavori. «In "Time out of mind" indietreggiavo e combattevo per uscire dall'angolo. Poi, quando incisi "Love and Theft", ero già in salvo. E non mi trovi già più nei solchi di "Modern Times". Sono sceso dal ring, ho lasciato l'edificio». Il profeta condannato a boxare in eterno con l'ispirazione, con la cifra nascosta del messaggio.
Poi lo ascolti cantare - per la prima volta nella sua carriera - uno dei testi sacri del padre fondatore del blues, Robert Johnson, e rabbrividisci: perché "32/20" è la storia di un uomo che chiede alla sua donna dove abbia trascorso la notte. E quando capisci che di lì a un attimo impugnerà la sua Colt per lavare l'affronto, la voce di Dylan ti accompagna sull'orlo dell'inferno. Su Johnson circola la leggenda che avesse venduto l'anima al diavolo in cambio del talento chitarristico: il profeta invece canta con la nonchalance di chi non è mai sceso a patti. Ti dice come stanno le cose: ma pare che ti guardi insolente. E taccia.

(fonte : iltempo.ilsole24ore.com)

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Sony BMG, presto il cambio di nome in Sony Entertainment     clicca qui

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È morto Nick Reynolds, fondatore del Kingston Trio

Nick Reynolds, membro fondatore del Kingston Trio, è morto all'età di 75 anni. Reynolds aveva formato il trio nel 1957 a Palo Alto in California con Bob Shane e Dave Guard (sostituito da John Stewart nel 1961), ottenendo un grande successo nel corso degli anni '60. Il Kingston Trio ebbe un ruolo decisivo per la nascita del movimento del folk revival americano, tanto che Bob Dylan lo citò tra le sue influenze.

(fonte : giornaledellamusica.it)

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Joan Baez: ‘Il mio un disco religioso? Può essere, ma non l’ho fatto apposta’     clicca qui

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Stills: canto l’utopia come ai tempi di Nash    clicca qui

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Mogol: «Lucio si nascose perché non accettava condizionamenti»      clicca qui

 

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Domenica 5 Ottobre 2008

IL RE CREMISI

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Sabato 4 Ottobre 2008

Il 4 ottobre 1970 moriva Janis Joplin , MF la ricorda così     clicca qui

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Ho ascoltato Tell Tale signs

di Mr.Tambourine

Ogni album di Dylan in uscita è sempre un’evento a livello mondiale , questo mi e ci rallegra perchè Bob è sempre il # 1 of all the time. Tell tale signs non fa parte della categoria dei dischi ufficiali , è l’ottavo della serie parallela Bootlegs , e pur essendo un disco ufficiale suona come un vero bootleg. La qualità è scarsa rispetto ai dischi titolati , ma devo dire che spunta dalle tracce una vera spontaneità , la spontaneità delle prove , quando si cerca la soluzione musicale migliore.
Si tratta di scarti di studio , registrazioni grezze , ma ripeto , possiedono una spontaneità incredibile , questo oltre il fatto se le tracce possano piacere o meno. Non tutto il contenuto di questo Tell Tale Signs brilla di luce propria , troppe tracce sono davvero scarse , troppo al di sotto degli standard , eppure il disco prende , forse perchè le registrazioni risalgono al tempo quando la voce di Dylan era ancora estremamente suggestiva , possideva ancora quella magia indefinibile che ti penetra e ti fa vibrare le budella . Sicuramente Tell Tale Signs richiede diversi ascolti per essere apprezzato , al primo ascolto l’ho trovato , escluse alcuni eccezzioni , un disco monotono , ma avanzando nel numero di ascolti l’opinione comincia a cambiare , si comincia ad apprezzare anche quello che al primo ascolto “suona male”. Non si può certo gridare al capolavoro , in fin dei conti è sempre una raccolta di scarti , ma il disco riesce a dimostrare la grandezza di Dylan , la sua versatilità come songwriter e come performer , la sua straordinaria ricchezza di idee , la sua umanità in netto contrasto con l’atteggiamento del Dylan-personaggio che sembra voler evitare ogni tipo di contatto col suo pubblico.
Dunque possiamo dire che Robert Zimmermann continua ad interpretare la parte di Bob Dylan , il personaggio che lui ha creato e si è cucito adosso come una seconda pelle , facendola diventare la pelle principale , la pelle pubblica , nella quale ha imprigionato per l’eternità il povero Zimmermann , colpevole soltanto di aver Inventato Bob Dylan , il classico topolino che mangia l’elefante.
Tell Tale Signs scatena emozioni contrastanti , di piacere e di disappunto , Tell Tale Signs sconcerta ancora una volta l’ascoltatore , ma forse è Dylan che ci sconcerta ancora una volta , e chissà quante cose ci sono ancora nei suoi cassetti per sconcertarci per altri cento anni !
E banale ripetere che Dylan è unico , ma nel panorama artistico degli ultimi 50 anni non riesco a trovare un artista che possa essere paragonato a lui , intendo paragonato nei contenuti , nella potenza del messaggio lanciato e , diciamolo pure , nella bellezza delle sue canzoni che troppa gente afflitta dalla easy-listening mania non conoscono e non apprezzano , diciamo peggio per loro e passiamo oltre. Ho ascoltato e seguito molti artisti , grandi nomi che resteranno nel firmamento della musica , penso ai Beatles con la loro unica ed irraggiungibile popolarità a livello potremmo dire planetario , penso ai Rolling Stones che a 70 anni hanno ancora la forza e la potenza di fare gli stadi da 100.000 persone , fenomeno unico , irripetibile ed irraggiungibile , penso alla bellezza di certi brani dei Beach Boys , penso alla totalita dello spettacolo dei Pink Floyd , ricordo di averli visti allo Stadio delle Alpi a Torino , credevo di andare a vedere un concerto e invece ho visto un film in diretta , incredibile !. Potrei parlare di un centinaio di altri artisti altrettanto validi e creativi , ma nessuno può stare sul gradino dove da anni si trova solo Dylan.

Ho ascoltato tutti i pezzi di Tell Tale Signs nell’anteprima della NPR messa a disposizione su internet : http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=95047293 , ho registrato i brani e mi sono fatto i due CD , non avrò la confezione ma di quella non me ne importa , di Dylan conta la musica e non le illustrazioni o le confezioni.
Queste sono le mie prime , e sottolineo personali , impresioni ricevute da un ascolto molto superficiale , affidato per il momento solo alle orecchie e non ancora alla mente :

1) Mississippi : Accattivante versione casereccia , gli manca la maestosità della versione dell’album.

2) Most of the time : Grezza e bruttina , proprio uno scarto , idea apprezabile che andava rielaborata.

3) Dignity : questa take merita dal 5 al 6 , non di più , la voce di Dylan 9 , il brano è scarno che più non si poteva ma Dylan lo rialza con le sue doti interpretative.

4) Somebody baby : Simpatica , ci può stare , un Dylan molto rilassante e rilassato , non paragonabile a quella di Modern Times.

5) Red River shore : Buona , specialmente il suono delle chitarre addolcisce e rende convincente la take , il basso è appena abbozzato e non all’altezza del resto, più curato nei particolari musicali sarebbe stato un brano da album.

6) Tell ol’ Bill : Inutile , un vero scarto , la canzone vale ma la take no.

7) Born in time : Bella , mi ricorda un’altra canzone , uno dei pochi Highligth di BS8.

8) Can’t wait : Bel blues ingiustamente scartato da Lanois , mi piacerebbe ascoltare una versione di Clapton.

9) Everything is broken : Costruzione musicale fine anni 50 , forse meglio della versione di Oh Mercy.

10) Dreamin’ of you : Ottimo progetto di canzone , purtroppo questa è solo un primo abbozzo di quello che avrebbe potuto essere un grande pezzo.

11) Huk’s tune : Bella e completa , richiama troppo altre canzoni dylaniane .

12) Marchin’ to the city : Proprio una blues-take da lavorarci sopra ancora tanto, potenzialmente un gran brano ancora allo stato brado.

13) High Water : Versione live , una delle tante , con cose così si può fare un bootleg di ogni concerto.

14) Mississippi #2 : E solo una prova , niente a che vedere con la versione del disco.

15) 32-20 blues : La canzone è di Robert Johnson , sembra di ascoltare una traccia del primo album di Johhny Winter quando Johhny imitava spudoratemente Bob , cover accattivante.

16) Series of dreams : Peccato quelle fastidiose batterie e percussioni , il pezzo ha una sua personalità , direi ottimo pezzo , all’altezza del Dylan inspirato e creativo , con un arrangiamento più appropriato sarebbe stata degna dell'album.

17) God Knows : Torniamo ancora al primo disco di Johhy Winter , senza la fantastica chitarra di Johnny.

18) Can’t escape from you : Potenzialmente una buona canzone , suoni sregolati , una vera take vicina alla realizzazione.

19) Dignity : Versione superflua , non dice proprio niente , take senza personalità.

20) Ring them bells : Brano live , stesso discorso già fatto , solo una discreta testimonianza tratta da un concerto.

21) Cocaine blues : Altro brano live , come sopra.

22) Ain’t talking : Proprio una versione alternativa come dice il titolo della track , con quei fastidiosi bassi pompati come era di moda negli anni 90’.

23) Girl on the greenbriar shore : sembra il primo Dylan delle talking-blues ballads , bella ma fuori tempo.

24) Lonesome days blues : Altro brano dal vivo , niente aggiunge e niente toglie , manca un vero chitarrista di delta-blues per dare al brano una caratteristica personale più evidente.

25) Miss the Mississippi : Il gioiello dell ‘album composto da Doc Watson , potrebbe stare tranquillamente su Love and Theft , ma non era una Dylan's song.

26) Lonesome river : In ogni locale di Nashville si cantano canzonette come queste senza dover scomodare Bob Dylan.

27) Cross the green mountain : La canzone è bella e merita , la take è resa inascoltabile dai soliti bassi fuori luogo , una bella take in tutti i sensi.

Bene , queste sono le mie impressioni dopo il primo ascolto , in seguito molti di questi giudizi probabilmente cambieranno ma al momento "hic est" . In sostanza una compilation di cose già sentite , curata meglio nelle scelte avrebbe potuto anche meritare la sufficenza , in questo modo fa fatica a decollare e convincere.

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Le mie impressioni su "Tell tale signs" (di Michele "Napoleon in rags" Murino )    clicca qui

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Bob Dylan: in uscita il nuovo "Tell Tale Signs"

di Paolo Vites

Da anni, quello che è unanimemente considerato il più significativo fra gli autori di musica rock di tutti i tempi, Bob Dylan, ha dato il via a una serie di pubblicazioni che permettono di intrufolarsi nei suoi archivi personali e ascoltare una vasta collezione di brani scartati per vari motivi dai suoi tanti dischi ufficiali.
Si chiama Bootleg Series, facendo riferimento ai tanti dischi pirata (i bootleg, appunto) che negli anni, senza autorizzazione sua o della casa discografica, hanno invaso il mercato dei cultori e dei collezionisti.
Il nuovo episodio (il Volume 8, che uscirà in Italia il 3 ottobre in versione doppio cd e deluxe - tre cd più due libri allegati, al prezzo alquanto esagerato di circa 160 dollari) volge lo sguardo, dopo una lunga serie di episodi dedicati al suo periodo più fecondo e cioè gli anni Sessanta, agli ultimi vent'anni di carriera.
Si tratta di versioni alternative o brani totalmente inediti scartati da dischi come Oh Mercy (1989), Time Out Of Mind (1997, prodotto da Daniel Lanois e vincitore di due premi Grammy), Love And Theft (2001) e il recente Modern Times (2006).
Quello che ne emerge è un ritratto ricco di fascino e di sorprese: alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, infatti, Dylan aveva pubblicamente annunciato di non scrivere più canzoni nuove (“Al mondo ce ne sono già abbastanza” aveva dichiarato) limitandosi a produrre due dischi di vecchi traditional folk e blues in solitaria chiave acustica. Era stato uno shock per tutti, fans e colleghi musicisti. In fondo Dylan, come avevano detto i Beatles, era sempre stato quello che “indicava la strada”.
Quello che invece questo Bootleg Series racconta è il drammatico riemergere della sua incomparabile abilità di autore, troppo forte per tenerla celata: ecco capolavori che sembrano uscire da una vecchia raccolta di musica folk degli inizi del secolo come Mississippi (in ben tre versioni diverse; Dylan, ai tempi, l’aveva regalata a Sheryl Crow che ne fece una versione), Red River Shore, una lunga ballata dal delicatissimo sapore tex-mex con tanto di fisarmonica o ancora il blues dolente e maestoso di Marchin’ To The City.
Per arricchire il menu, sono state incluse alcune esibizioni dal vivo degli ultimi anni, che francamente suonano un po’ fuori posto e non sono neanche fra le migliori del nostro, più un paio di brani apparsi su colonne sonore, la bellissima Cross The Green Mountain (dal film Gods And Generals) e Huck’s Tune (da Lucky Town).
Una raccolta, questa, che non è solo per fan, ma diventa essenziale per tutti coloro che hanno amato la grande musica d’autore.

( fonte : ilsussidiario.net )

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Il segno del tempo

di Renato Tortarolo

UN UOMO con i capelli lunghi, il volto incorniciato dalla barba, stretto in abiti scuri, si aggira sulla scena di battaglia. Osserva i feriti, ascolta i lamenti, sembra impassibile davanti al al macello, in realtà è lo sguardo di chi ha già visto la stessa mattanza e sa che altro dolore scenderà sulle divise e sui cannoni. Il filmato si può vedere su You Tube, il cavaliere solitario e silenzioso è Bob Dylan, l’epopea in bianco e nero è quella della Guerra Civile americana, il set invece è il kolossal tv “Gods and Generals”, concepito nel 2003 per celebrare l’ascesa e la caduta del generale ed eroe confederato Thomas “Stonewall” Jackson.

“Muro di pietra” era il soprannome meritato resistendo il 21 luglio 1861 all’avanzata unionista, nella prima battaglia di Bull Run. L’eroismo fu indiscusso. Altra cosa, invece, la carneficina che si sarebbe ripetuta durante quella guerra fratricida. Dylan, come racconta nelle sue “Chronicles”, ha fatto ricerche minuziose nella New York Public Library per scrivere la colonna sonora del kolossal. Ma c’è il fondato sospetto che quelle lunghe sedute siano state l’ennesimo passo nel grande ventre storico e letterario del Paese, che in altri termini, molto più fisici, il poeta e cantautore ha attraversato per tutta la vita. E non solo per raggiungere un altro posto in cui suonare. Esistono pochi artisti, nel senso più ampio, che abbiano dell’America un senso geografico, inteso come distanze fra gli uomini e da Dio, e allo stesso tempo una conoscenza che va al di là di qualsiasi sondaggio, reportage, inchiesta televisiva o tributo folcloristico.

Mai come in questi giorni di assoluto disorientamento per gli americani, la prospettiva che offre da sempre Bob Dylan nelle sue canzoni e nel suo rock popolare risulta quasi profetica, aggettivo che si ripete per l’intera carriera. A 67 anni, Dylan pubblica oggi il doppio album “Tell Tale Signs” con 27 brani, praticamente tutti inediti anche se si tratta di versioni di motivi già noti. Non tutti, ma in gran parte. C’è infatti nel songbook del poeta americano, già entrato più volte nei rumors per il Nobel, toccato da numerose onorificenze accademiche e premiato quest’anno con il Pulitzer, un senso di immanenza che lo rende straordinariamente attuale.

E ancora più singolare che si tratti di un repertorio che l’assoluta devozione dei suoi ammiratori, una distesa piuttosto ampia di letterati, docenti universitari, colleghi, scienziati, uomini di legge e di scienza, ha ormai pelustrato in ogni latitudine, mentre il web, come nel video su YouTube, copre per le nuove generazioni. Dylan, però, non può limitare la sua voce a una semplice raccolta discografica, anche se nella versione deluxe “Tell tale Signs” conterrà un terzo cd con altri 12 inediti più un libro in edizione rilegata con i progetti grafici dei singoli.

Come si concilia tanta prodigalità con i fulmini e i tempi grami che si sono abbattuti sugli americani in questi ultimi tempi? E perché Dylan ha questa prodigiosa vocazione divinatoria? Su quest’ultima curiosità si può dire facilmente che l’osservazione dei propri simili e un certo grado di conoscenza dello scontro fra bene e male fanno parte della sua cultura: «Molti sostengono che io sappia abbastanza di religione, ma il mio sistema di valori morali si rifà più ai vecchi spiritual che a qualsiasi invettiva contro il diavolo». Sul fatto invece che Dylan avverta il senso del tempo e racconti scenari che poi si avverano, soprattutto sul piano emotivo, è probailmente il mistero più affascinante che lega ormai tre generazioni a questo artista sfuggente, che pure riappare regolarmente in concerti nei posti più disparati del mondo.

Canzoni come “Dignity”, “Most of the Time”, “Born in Time”, “Can’t wait”, o “Series of Dreams”, tutte in versioni che non si conoscevano e che confermano le doti di semplicità musicale unite a una notevole forza visiva, sono soltanto delle tappe, tutte con una loro angolatura stilistica precisa, dal rock al blues al folk meno contaminato, di un viaggio maestoso come solo Herman Melville ha saputo immaginare e non solo per distese sempre più vaste, nel suo caso il mare, ma nel dubbio che accompagna qualsiasi persona di buon senso.

Ci sono due canzoni, sulle quali si potrebbe discutere all’infinito in sede accademica: “Mississippi” e “’Cross the Green Mountain”, scritta per il kolossal sulla Guerra Civile. La prima espone Dylan a quel processo di fuga che è prima di tutto la riaffermazione della libertà individuale, cardine di qualsiasi rapporto sociale, «ad ogni passo tracciamo una linea, i vostri giorni sono segnati e così i miei...». Nella seconda, la pietà per la madre che apprende per lettera la morte del figlio soldato è ombreggiata dal fumo che si alza lontano, dal respiro e dai gesti lenti e ruvidi che si scambiano i combattenti. Tutto è avvolto nella tragedia, ma tutto sembra naturale.

( fonte : ilsecoloxix.ilsole24ore.com )

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ESCE "TELL TALE SIGNS", INEDITI E HIT DI BOB DYLAN    clicca qui

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BOB DYLAN, ESCE DOPPIO CD CON INEDITI E RARITA'       clicca qui

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Attesa febbrile per l'ultimo album di Bob Dylan                                clicca qui

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Il nuovo doppio cd di Bob Dylan                                                          clicca qui

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Tell Tale signs : rock da archivio di Bob Dylan                                  clicca qui

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Uscite discografiche (3 ottobre 2008)                                                   clicca qui

 

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Venerdi 3 Ottobre 2008

Ascoltate in anteprima le 27 canzoni di "Tell Tale signs"   clicca qui

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Bob Dylan sputa nel piatto dove ha sempre mangiato

Introiti leggendari per l’industria discografica.

Dylan ha criticato l’industria musicale definendola “ Spattazuta ipocrita”.
Il cantante scritto re dice che preferisce le industrie librarie ed artistiche , che lui descrive come “ più degne”.
Parlando al “The Times” Duylan dice “ Il mondo della musica è un mucchio di spazzatura ipocrita.
So che le industrie librarie sono molto più “sensate”. E il mondo dell’Arte ? Sono entrato a piccoli passi , si , devo dire che sono molto più onesti , mantengono sempre quanto promesso senza sconfessarsi.
Di base sono ciò che dicono di essere. Loro non pretendono , ed essendo stato nel mondo della musica per la maggior parte della mia vita posso dirvi che questo non è il modo , lasciatemi dire che sono senza dignità.
"Basically, they are who they say they are. They don't pretend. And having been in the music world most of my life I can tell you it's not that way. Let's just say it's less dignified."

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SCRIVEVANO.....

Bob Dylan, Blowin´ in the Pulitzer

di Giancarlo Susanna

La notizia farà discutere soprattutto in ambito accademico: a Bob Dylan (67 anni il prossimo 24 maggio) è stato assegnato un prestigioso Pulitzer alla carriera, «per il profondo impatto avuto sulla musica popolare e sulla cultura americana attraverso composizioni liriche dallo straordinario potere poetico». Sembra proprio che gli estensori della motivazione abbiano tenuto conto della leggendaria idiosincrasia di Dylan ad essere definito «poeta» e se si pensa che il grande cantautore americano è il primo musicista rock a ricevere questo riconoscimento, si comprende ancora meglio la sua eccezionale portata.

Come hanno spiegato gli stessi orgaizzatori, in questa maniera il Pulitzer intende «esplorare l´intera gamma dell´eccellenza musicale americana». Altri premi Pulitzer per le arti sono andati al dramma August: Osage County di Tracy Letts, per il miglior testo teatrale e a The Brief Wondrous Life of Oscar Wao di Junoz Diaz per il miglior romanzo. Daniel Walker, con il libro What Hath God Wrought: The Transformation of America 1815-1848, ha vinto il Pulitzer per la saggistica storica. Per quanto riguarda il giornalismo, il Washington Post ha conquistato sei Premi Pulitzer, mentre due sono andati al New York Times e uno al Chicago Tribune.

Prima di Bob Dylan, sono stati insigniti di questo premio speciale (non viene attribuito ogni anno) i musicisti jazz John Coltrane (2007) e Thelonious Monk (2006) e il compositore George Gershwin. Un Pulitzer alla carriera per le arti è stato assegnato anche allo scrittore Ray Bradbury, autore tra le numerose opere di Cronache marziane e Fahrenheit 451. Secondo l´editore Simon Schuster, che ha pubblicato con grande successo il primo volume della sua autobiografia (in Italia uscita per i tipi di Feltrinelli), Bob Dylan è al lavoro per terminare il secondo. A differenza di Tarantula, arrivato sul mercato letterario nel 1970 dopo una lunga e tormentata gestazione (la prima edizione italiana è del 1973), l´autobiografia propone una scrittura più limpida e chiara, anche se altrettanto brillante e geniale. Muovendosi sul filo della memoria, Dylan non sta seguendo un percorso cronologico, ma si sposta da un periodo all´altro della sua lunga vicenda artistica senza svelare, tra l´altro, gli aspetti più privati della sua vita.

Nonostante abbia dimostrato di essere un eccellente scrittore, Bob Dylan resta legato soprattutto alla difficile arte dello scrivere canzoni, un´arte che ha imparato da testardo e onnivoro autodidatta e che ha poi profondamente modificato, portando una scrittura evocativa e poetica a un livello di popolarità mai prima raggiunto nell´ambito della lingua inglese. Nel suo stile sfaccettato e poliedrico confluiscono e convivono mille influenze diverse: dalla tradizione del folk e del blues, che Dylan conosce a menadito, alla Bibbia e a Shakespeare, da Arthur Rimbaud e T.S. Eliot a Brecht e Ginsberg, da Kerouac a Corso. Il tutto, non va mai dimenticato, fortemente legato alla musica. La sua tecnica, la capacità sorprendente di usare rime e alliterazioni, di collegare in un folgorante corto circuito mondi e culture apparentemente distanti, sono sempre e comunque espressione di una musicalità «naturale» e subito riconoscibile.

Alla luce del Pulitzer, non possiamo che ripetere quanto abbiamo detto e scritto moltissime volte: il mondo della popular music senza Bob Dylan sarebbe radicalmente diverso. Meno ricco, meno suggestivo, meno ispirato. Non ci sarebbero forse Leonard Cohen, Lou Reed, Eric Andersen, Patti Smith, Jackson Browne e mille autori che hanno reso e rendono la nostra esistenza molto migliore. L´unico rimpianto, visto e considerato che Dylan è arrivato in Italia per la prima volta nel 1984 (se si eccettua il misterioso viaggio del 1962/63), è non aver potuto ascoltare le sue canzoni in un teatro o in un locale del nostro paese nel momento più alto della sua creatività. Per fortuna abbiamo dischi, libri e dvd. Riascoltandoli, rileggendoli e rivedendoli, ci rendiamo conto del rispetto e dell´amore che quest´uomo scontroso e geniale merita e pretende. Non dimentichiamolo, la prossima volta che andremo a un suo concerto.

(fonte : unita.it )

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Bob Dylan - Nashville Skyline    di Alessio Brunialti   clicca qui

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Michael Bolton canta il rhythm & blues                       clicca qui

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Recovery - Loudon Wainwright                                     clicca qui

 

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Giovedi 2 Ottobre 2008

Profilo di Bob Dylan                                      clicca qui

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5 video di Bob                                                 clicca qui

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'"SOMETHING ELSE" -  Robin Thicke    clicca qui

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The Beatles : ovvero la musica

Ovvero, la musica. Ovvero, l’inizio di un’era destinata a lasciare un segno indelebile nella storia: sette anni di incisioni fondamentali, tutti i generi musicali sperimentati con enorme successo, un genio che a distanza di decenni continua a lasciare stupiti. Questo sono i Beatles, questa la loro storia.
Liverpool e dintorni, anno 1957. John Lennon (9/10/1940) suona con il suo gruppo – i Quarrymen – a una festa di beneficenza di paese. Più giovane di due anni, l’allora chitarrista Paul McCartney (18/6/1942) lo osserva stupito ("quel ragazzo – dirà più tardi – non si ricordava le parole e le improvvisava tutte, in un modo completamente assurdo"). Un amico comune li presenta, non scocca ancora alcuna scintilla, ma Paul viene accolto nella band. Di lì a poco anche George Harrison (25/2/1943), amico di Paul, entra nella formazione come chitarra solista. Quando nel 1960 il gruppo si arricchisce di due nuovi membri, il bassista Stuart Sutcliffe (1940-1962) e il batterista Pete Best (1941), la band ha già cambiato nome: da Quarrymen a Johnny And The Moondogs fino a Silver Beatles (costruito su un gioco di parole: ‘beetles’ significa ‘scarafaggi’, e ‘beat’ rimanda all’omonimo movimento musical-letterario). Di lì a poco l'aggettivo Silver verrà eliminato e il nome del gruppo sarà pronto per la leggenda.
Dopo alcune esibizioni nella nativa Liverpool, i cinque si trasferiscono ad Amburgo e si esibiscono in una serie di locali del quartiere a luci rosse: riescono a non farsi troppo distrarre dalle grazie femminili, migliorano la qualità delle esibizioni live e guadagnano qualche soldo. Dopo aver inciso un singolo come gruppo-spalla di Tony Sheridan ("My Bonnie/The Saints", 1961) i Beatles rientrano a Liverpool, cominciano a suonare al mitico Cavern Club e incontrano Brian Epstein (un negoziante di dischi che diventa loro manager e organizza un provino per Decca Records). E qui casca l'asino, perché produttori e funzionari che più tardi si sarebbero mangiati le dita giudicano vecchio il loro suond e non vendibile il loro look. Stesso lungimirante risultato presso altre etichette, fino a quando nel 1962 i Beatles approdano alla Parlophone, accolti da quello che diventerà il 'quinto' Beatles: il giovane e geniale produttore George Martin.
Nel frattempo la formazione della band conosce un vero e proprio terremoto: la morte del povero Stuart Sutcliffe sposta Paul al basso, mentre Pete Best viene giudicato da Martin non all’altezza del suo ruolo e lascia il posto a Ringo Starr (ovvero Richard Starkey, 7/8/1940): l'ex-batterista di Rory Storm And The Hurricanes si perde solo l'incisione del primo singolo dei Beatles ("Love Me Do", registrato con un session-man), ma consegna a Pete Best il premio per il musicista più sfortunato di sempre. Di qui in avanti, infatti, i Beatles riscuotono un successo che nessun altro ha mai eguagliato nella storia della musica.
E questo nonostante la primissima realizzazione susciti scarsa attenzione, perché poco tempo dopo il brano "Please Please Me" e l’album omonimo portano i Beatles in testa alle classifiche inglesi: è il 1963 e non c'è giovane che non venga conquistato dalla musica e dal look della band. Si vestono come loro, cantano le loro canzoni, sognano loro e soltanto loro, giorno e notte: è nata la 'beatlemania’.
Il talento di Lennon e McCartney sembra un fiume in piena e la loro collaborazione frutta una serie di album e di canzoni memorabili: "She Loves You", "I Wanna Hold Your Hand", "From Me To You" conquistano il pubblico inglese, e poco per volta anche gli Usa si accorgono che qualcosa di memorabile sta accadendo oltreoceano. Il 1964 è infatti l’anno dello sbarco dei Beatles (e della beatlemania) in America: l’apparizione all’Ed Sullivan Show provoca una sorta di effetto-domino che rapidissimamente rende i quattro ragazzi di Liverpool famosi in tutto il paese, e di qui in tutto il mondo (inizieranno presto tournèe in Europa, Asia e Australia). Nella primavera dello stesso anno, fatto unico nella storia, ai primi 5 posti delle classifiche di Billboard ci sono 5 brani del gruppo, mentre altri sette sono sparsi in varie posizioni. Milioni di copie vendute, attenzione frenetica di stampa e tv, tutti i ragazzi del mondo che cercano di imitare i quattro artisti (e tutte le ragazze innamorate di loro!). Che desiderare di più? Interpretati anche due film piuttosto divertenti ("A Hard Day's Night", in italiano "Tutti per uno" e "Help!", "Aiuto!"), i Beatles sfornano successi apparentemente senza alcuna fatica. Tanto che tra il 1964 e il 1965 realizzano ben 4 album ("A Hard Day's Night", "Beatles For Sale", "Help!" e "Rubber Soul"), venendo premiati per meriti economici dalla stessa regina Elisabetta con il titolo di baronetti.
L'ERA DEI GRANDI CAMBIAMENTI
In tutta questa baraonda qualcosa comincia a muoversi verso nuovi panorami. Il sintomo più evidente è che vengono interrotte le esibizioni pubbliche, anche se in realtà nastri e filmati dell’epoca raccontano che poco spazio esse concedevano alla musica: il popolo dei fan, colto da isteria e crisi di pianto, non sembrava minimamente interessato ad ascoltare le canzoni e non era raro che i concerti fossero molto più una lotta con il servizio d'ordine che altro.
A parte le esibizioni live, dunque, il grosso cambiamento è sul piano personale e musicale. Nel primo caso Lennon, Harrison e McCartney cominciano ad avvicinarsi alla spiritualità orientale, non disdegnando peraltro flirt con la psichedelia e le droghe. Dal punto di vista musicale le composizioni del gruppo diventano più complesse, emergono nuove influenze (dal soul alla musica indiana), ma soprattutto si fa strada una forte vena sperimentale. "Revolver" (1967, votato recentemente l’album più bello del secolo) contiene brani più articolati, con testi surrealistici e suoni più duri, mentre contemporaneamente vengono inseriti arrangiamenti d’archi nelle canzoni melodiche. Tra i singoli usciti lo stesso anno abbiamo forse la canzone più famosa di tutti i tempi, "Yesterday", a cui seguono "Paperback Writer", "Nowhere Man", "Eleanor Rigby" e "Penny Lane" (il cui lato B, incredibilmente, è costituito dalla celeberrima "Strawberry Fields Forever").
Nuovo anno, nuovo capolavoro: "Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band" (1967) è una collezione di canzoni che inventa di fatto lo stile brit-pop, portandolo alle sue vette più alte. L’arrangiamento di George Martin ormai si fonde completamente con le composizioni di Lennon e McCartney diventandone parte integrante. Impossibile, insomma, pensare "Lucy In the Sky With Diamonds", "A Day In The Life" o "All You Need Is Love" (singolo uscito successivamente all’album) senza l’apporto del grande George in sede di produzione. Ma la novità è che Harrison sta cominciando a scrivere alcuni tra i brani più belli dell’ultimo periodo del gruppo.
Nel frattempo però cominciano a sorgere forti tensioni interne, tra Paul e John in particolare; la morte di Brian Epstein c'entra non poco, perché il loro manager storico ha certamente giocato un forte ruolo coesivo. Ma, come vuole la leggenda, grande importanza assume il divorzio di John Lennon, che lascia la moglie per amore di un’artista giapponese chiamata Yoko Ono, e inizia con lei a intraprendere una serie di iniziative alternative, dall’impegno pacifista a un’attività parallela come musicista sperimentale.
Nonostante tutto ciò, la successiva realizzazione dei Beatles lascia di nuovo tutti a bocca aperta: nel 1968 esce il cosiddetto "White Album", un doppio LP di qualità eccezionale. Abbandonato il pop, i quattro ragazzi (ebbene sì, perché nonostante la maturità artistica, l’età media della formazione è di ventisei anni) sfornano qualcosa che non è paragonabile a nulla di precedente. Rock, sperimentazione e melodia si mescolano in maniera inusitata, frammentaria, a volte disarmonica, ma assolutamente unica. Il risultato nasce in parte proprio dalle difficoltà comunicative tra i membri della band, che spesso si trovano a incidere senza gli altri componenti, sbizzarrendosi così a proprio piacimento. Paul scopre tanto una vena acustica (restiamo ancora senza parole di fronte alla bellezza di "Blackbird", "I Will" e "Mother Nature’s Son") quanto un'eccellente ispirazione hard-rock ante litteram (non per nulla "Helter Skelter" è stata ripresa sia dai Motley Crue sia dagli U2, senza scordare però "Back In The U.S.S.R." e "Birthday").
John si dà a un rock sperimentale con atmosfere molto oscure ("Revolution 9", "Dear Prudence", ripresa non per nulla da Siouxsie and the Banshees, "Happiness Is A Warm Gun", e la stupenda "Julia", dedicata alla madre morta quando John era un bambino). George, in compenso, abbandonato per un momento il sitar, realizza forse il brano più bello dell’album e tra i migliori dei Beatles in assoluto, "While My Guitar Gently Weeps", il cui struggente assolo viene suonato dall’amico Eric Clapton. Di poco precedente all’uscita dell’album, il singolo "Hey Jude", uno dei più famosi pezzi del gruppo, riconferma che anche la vena per la forma più classica della canzone pop-rock non è affatto venuta meno.

VERSO L'IMMORTALITÀ
Dopo l’uscita di "Yellow Submarine" (1968), episodio minore in una storia fuori dal comune, nel 1969, ormai in clima di smobilitazione, vengono realizzati un album in studio ("Abbey Road") e un live composto unicamente da pezzi nuovi ("Let It Be", 1970). La registrazione di quest’ultimo è testimoniata da un film nel quale i 4 si esibiscono sul tetto della casa discografica, dando il via per l’ennesima volta a una moda. Ma, come si dice, siamo alla frutta: nonostante i brani ancora una volta splendidi ("Let It Be", "Get Back", "Across The Universe", "Here Comes The Sun", "Something") la formazione non prova più alcun desiderio di proseguire insieme, e il 10 aprile del 1970 Paul McCartney si assume l’ingrato compito di annunciarlo a tutto il mondo.
Che cosa rimane da dire? Molto e insieme molto poco. Nel corso degli anni Settanta diverse voci annunciano l’imminente reunion del gruppo, fino alla fatidica data dell’8 dicembre 1980, giorno in cui un folle uccide John Lennon. Paradossalmente, l’evento tanto atteso ha luogo proprio quando la sua impossibilità è ormai un dato di fatto: dopo un inaspettato rientro ai vertici delle classifiche inglesi con la ristampa in digitale di "Sgt. Pepper’s" nel 1987, e dopo la fortunata pubblicazione della "Beatles’ Anthology" nei primi anni novanta, Yoko Ono annuncia di avere custodito registrazioni inedite di Lennon. E, soprattutto, di essere disposta a consegnarle ai tre beatle rimasti. Nel 1995 "Real Love", ma soprattutto "Free As A Bird" con opportune inserzioni vocali di McCartney, ricreano per un istante il miracolo. Nonostante la resa non perfetta (soprattutto per quanto riguarda la voce di Lennon, originariamente incisa in maniera piuttosto artigianale), il risultato è in grado di evocare l’eco della passata grandezza.
Per la gioia di tutti i fan, però, non è ancora finita. Nel 2000, infatti, i 4 ragazzi di Liverpool sono di nuovo in testa alle classifiche di tutto il mondo. "1", la raccolta di tutti i singoli giunti al primo posto delle hitlist inglesi e americane nel periodo della loro sfolgorante collaborazione, riporta magicamente il tempo indietro ai mitici anni sessanta. Cosa questa che si ripete 3 anni dopo, quando "Let It Be... Naked" ripropone l'ultimo lavoro della band senza gli arrangiamenti postumi del produttore Phil Spector, che soprattutto McCartney non aveva mai gradito. Ma nel frattempo un altro beatle se n'è andato: George Harrison muore di cancro il 29 novembre 2001. Ed entra definitivamente nella leggenda.

( fonte : mtv.it)

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Wilco, un brano gratis a chi va a votare alle presidenziali      clicca qui

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Zimmers in tour , il cantante ha 91 anni e due membri 102    clicca qui

Video : The Zimmers - My generation ( The Who )                 clicca qui

Video : The Zimmers - I don't want to take a shower              clicca qui

Speriamo che anche Bob sia ancora in giro per il mondo col neverendingtour a questa età !!!

 

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Mercoledi 1 Ottobre 2008

Tell Tale Signs : i primi testi      clicca qui

Questi sono i primi testi del nuovo album di Dylan , se qualcuno vuole fare la traduzione la invii a spettral@gmail.it

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SCRIVEVANO.....

È Dylan bellezza e non ci puoi far niente
di Toni Jop

Visto. Dal vivo e a distanza ravvicinata, sembrerà una sciocchezza ma può dare qualche soddisfazione aver potuto controllare le rughe dell´unico essere della terra che da decenni è sostenuto dal consenso unanime di una umanità mediamente rissosa. Come, finalmente, indagare a quattr´occhi il sorriso della Gioconda senza star lì a tirare il collo alle spalle di un mucchio di gente. Tutto questo, grazie a una discretamente violenta contraddizione verificata ieri sera alla Cavea dell´Auditorium romano. Il rock è, oltre alla musica che si produce dal vivo su un palco, anche il suo pubblico. La dimensione planetaria di Dylan evoca di suo un pubblico sterminato. E sterminata è stata fin qui la platea dalla quale l´artista si è lasciato intravvedere, poco e male. Ora, eccolo a un tiro di fionda mentre la platea viene drasticamente ridotta, tagliata, selezionata, addirittura abbigliata per l´occasione. Pochi fortunati - e che «mise», fratelli! - dentro e molti frustrati fuori. Così, per fortunata ingiustizia, abbiamo incrociato Bob Dylan alla stessa domestica distanza dalla quale abbiamo «dialogato», cantando in coro l´anno scorso, con una strepitosa Joan Baez, vecchia amica di Bob. La sua voce, al pari delle rughe, è divenuta un «tratto», un segno rapido ed essenziale molto lontano dalla pienezza di un disegno armonico accettabile nel dominio del decorativismo. Si può affermare che Dylan non è mai stato decorativo in senso pieno; ma il continuo lavoro «in levare» che Dylan ha condotto sul senso della voce all´interno del percorso musicale, stacca e molto rispetto alle incisioni degli anni Sessanta e Settanta. Ascoltandolo con l´attenzione concessa ieri dal raccoglimento della Cavea, per esempio mentre eseguiva Mr. Tambourine Man, (un brano «trappola» per il pubblico, perché non è mai quel che si aspetta, delude e Dylan lo sa) non si può evitare di pensare che questo colossale artista stia consapevolmente percorrendo una strada all´incontrario. Per via di questa rarefazione, di questa progressiva perdita di fasce armoniche, Dylan sta entrando nel mondo delle origini del folk-blues nordamericano, nella sua culla discografica, nella nursery morale lontana da qualunque vanità, dei suoi padri spirituali, a cominciare da Woody Guthrie dalle mani morenti del quale raccolse molti anni fa il testimone. Ma se la cultura del «noise», del rumore sporco in una registrazione appartiene al «beauty case» di una cosmesi tecnologica discretamente «alla moda», quel «ragliare» cacofonico sembra piuttosto la parte emersa di una ascesi artistica e morale iniziata molto tempo fa. Quella «sgradevolezza» che tanta sofferenza provoca in quanti - e noi per primi - vorrebbero dal palco la fotocopia di racconti musicali che avremo per sempre nel cuore, è verosimilmente il punto avanzato di una poetica che non ha mai cercato «il bello» e che anzi da questo ancoraggio diffusissimo ha preso costanti distanze. Così come hanno fatto più in generale l´arte concettuale, il fluxus, l´arte povera, il post dadaismo. Sconsigliamo di pesare Dylan fuori dal rapporto con queste correnti di pensiero e di azione: il grande Bob è sempre stato vicino a ciò che si muoveva in campo artistico e non ha mai perso di vista le avanguardie più spigolose e, diciamolo, impopolari. Questo fa il paio con il suo «standing» sul palco, tradizionalmente distante dal pubblico, e da questo in apparenza molto poco influenzato. Ma oramai il pubblico, anche ieri sera compostamente riformista, lo ha accettato così com´è e quando non lo ama ne prende timidamente le distanze impaurito dal suo stesso sentire: «Certo - considerava qualcuno all´uscita - sta invecchiando...». Ma questo piccolo ebreo di Duluth, meravigliosamente annoiato, sa anche questo e tira avanti lungo le strade di un tour infinito che a lui serve molto. Per evitare la malinconia? Lo abbiamo chiesto a Furio Colombo, che conosce Dylan da quando era un nessuno di genio che frequentava i club di New York. Forse Bob fa i conti con un fondo di depressione... «Forse - ha risposto Colombo - e chi non li fa?». Una pastiglia di rock e tutto passa: bastano una tremenda, percussiva versione di Like a Rolling Stone o una hendrixiana traduzione di All Along The Watchtower per far sfumare quel sottofondo di microrancori accumulati dal pubblico mentre, durante il concerto, fatica e suda cercando di riconoscere le tracce più note di Dylan, quelle di cui ha bisogno per provare commozione. La spunta per un pelo con Just Like a Woman, una delle ballate meno violentate del suo attuale repertorio. E «Nobody feels any pain...», riassume in coro l´ansia liberata di questa corale attesa di ciò che si sa, a memoria se occorre. E Dylan? Il corpo di Dylan? Non c´è o quasi, è una trascurabile implosione di forme e di essenze vitali che si muovono poco: il palco, come lo studio di registrazione, come il salotto di casa sua, è tutto uguale, come se non esistesse o non dovesse esistere una scena, un luogo in cui l´esposizione ha più forza di qualunque gioco sociale. Lui sta lì, con quegli occhi pieni di altrove, a fare le sue cose. Come un artigiano che pensa già al prossimo lavoro. Dio ce lo conservi.
(fonte : unita.it )

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"SEEGER AT 89"

Un’icona Americana , Pete Seeger , ha rappresentato gli ideali della Folk music negli ultimi 70 anni. Come amico del leggendario Woody Guthrie e menbro dei Weavers , Seeger ha scritto e cantato quelle traditionals song che oggi sono considerate dei classici. Il suo ultimo CD è intitolato semplicemente “ SEEGER AT 89 “. Dalla sua barca ancorata alla banchina sull’Hudson river a New York , Seeger parla al telefono della sua carriera.

Russel Hall : Hai in mente un particolare tipo di pubblico per questo nuovo album ?                                                                      Pete Seeger : No. Lascio questo tipo di considerazioni alle altre persone. Ho ascoltato una sola volta il mio album per essere sicuro che era venuto come lo avevo progettato . Non ho più ascoltato il disco , se ho una mezz’ora libera , leggo riviste o qualche libro. Non ascolto musica nemmeno quando guido , se lo facessi , avrei un incidente .

RH : Hai sempre enfatizzato le esibizioni dal vivo . Tornando agli anni 50’ e 60’ hai girato per i college , i campus , che a quel momento era una cosa inusuale da fare.
PS : Passavo inosservato . Puoi immaginare della gente in smoking , cantare canzoni folk inglesi ,
ma cantare il blues e le canzoni dei sindacati , tutte queste cose informali , era qualcosa di nuovo.
Comparivo in abbigliamento informale e convincevo gli allievi a cantare con me.
Non scorderò mai , alla McGill University di Montreal , cantando per 200 studenti che erano lettteralmnete schiacciati in una stanza di pochi metri quadrati , tutti erano fermi e cantavano al meglio con me.

RH : La tue canzoni più conosciute sono “ If i had a hammer” , “ Turn Turn Turn “ e “ Where have all the flawers gone?”. In ogni caso , quando le hai scritte , sapevi di avere qualcosa di speciale fra le mani ?
PS : No. In effetti , ho smesso di cantare “ Where heve all the flowers gone” dopo pochi anni , la consideravo un fallimento , ma allora , intorno al 1962 , il mio manager mi disse “ Pete , non hai scritto una canzone chiamata “Where have all the flowers gone ?”. Gli risposi “ Si , credo nel 1955”. Mi chiese se l’avevo registrata ed io gli risposi che non l’avevo fatto. “ Bravo , complimenti , l’ha registrata il Kingstone Trio”. Bene , ho chiamato Dave Guard , il cantante del Kingstone Trio , che era un mio vecchio amico. Dave mi disse “ Pete . non sapevo fosse una tua canzone. Toglieremo il nostro nome” Fu molto carino da parte sua , perchè tecnicamente non avrebbe dovuto farlo, ma loro tolsero il loro nome ed il mio manager fece mettere il mio. Ancora oggi , con i proventi di quella canzone pago le mie tasse”.

RH : Più tardo anche Marlene Dietrich ne fece una cover ?
PS : Esatto . Marlene fece questa canzone nel suo one-woman show. Lei ha fatto il giro del mondo durante gli ultimi dieci anni della sua vita. Quabdo era nei paesi di lingua inglese , cantava le mie parole , ma se era in altri paesi cantava la versione con la traduzione tedesca. Francamente , la versione tedesca suonava meglio di quella inglese.

RH : Per tutta la vita sei stato l’avvocato delle cause sociali , penso che le canzoni abbiano un potere speciale di attirare l’attenzione su questi problemi ?.
PS : Diro questo : se la mostra è una razza umana qui , da qui a mille anni , la musica è una delle diverse cose che ci possono salvare. Altre arti possono aiutare , come la danza , o il cucinare , o dipingere , la scultura , gli sports possono aiutare nello stesso modo. Sto leggendo un libro che discute come NelsonMmandela ha usato l’amore per il rugby per compattare il Sud-Africa. Tuti i sudafricani si sono messi assieme per sostenere la loro squadra. La comunicazione è buona , abbiamo solo bisogno di incoraggiarla tradizione del parlare . Questa è la ragione per la quale la razza umana è riuscita a sopravvivere tanto a lungo.
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Quando le cover di Dylan fanno ca..re !       clicca qui

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Van "The Man" Morrison

In Pay The Devil, nel 2006, ha cantato. “Era la mia vita/è diventata la mia storia”. Per essere un genio lunatico, campione del malumore, Van Morrison è diventato molto prevedibile, da quando sembra aver trovato nell’amore per la musica la soluzione ai suoi dilemmi sull’Illuminazione. Con lo stesso metodo di Elvis Costello, alterna album eclettici e affidabili, come l’ultimo Keep It Simple, a lavori “a tema”(in vent’anni ha spaziato dall’album di folk irlandese a quello country, passando pure per un live col Signore dello skiffle Lonnie Donegan).
Il talento di Morrison è tanto grande che pure guidando col pilota automatico riesce a portare l’ascoltatore in posti impensabili, ad esempio in un disco semplice, senza palesi stupori, come Magic Time, che alla lunga rivela incredibili tocchi da maestro. Proprio il fatto di dimostrare così spesso, e apparentemente con così poco sforzo, di sapere essere ancora Van “The man”, aumenta i rimpianti per i troppi brani da crociera di lusso, per le troppe canzoni rancorose ma fiacche su amici infidi e giornalisti che non capiscono niente. Qualche consiglio per muoversi nella sua discografia recente? Assieme a Magic Time recuperate Back On Top, il sottovalutato The Healing Game e magari spingetevi fino al live A Night In San Francisco, con un medley tra Gloria e Shakin’ All Over– in compagnia di John Lee Hooker – degno dei tempi inarrivabili di It’s Too Late To Stop Now.
(fonte : sentireascoltare.com )

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Ligabue in concerto all’Arena Rock con fiati e violini    clicca qui

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Sunshine Superman: The Journey Of Donovan                clicca qui

 

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Martedi 30 Settembre 2008

Il nuovo cd di Bob Dylan da oggi online   clicca qui

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Modern Times - di Alessio Brunialti        clicca qui

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VINTAGE STORIES....

Bob, lo zotico

Joan Baez: Bob, lo zotico che amai Primo incontro fra Dylan e la cantante già famosa.
«Era tenero, ma sporco oltre ogni immaginazione» «Aveva una passione per mia sorella Mimi»

Anticipiamo alcuni brani tratti da Down the Highway di Howard Sounes che uscirà da Guanda alla fine di agosto con il titolo Bob Dylan - Una biografia. Joan Baez aveva solo sei mesi più di Bob, ma era già una star in America: i suoi concerti facevano il tutto esaurito. Nonostante apparisse sul palco a piedi nudi come una contadina e cantasse canzoni folk con voce verginale, la Baez era altezzosa, egocentrica e intelligente e nessuno aveva saputo tenerle testa. Il suo primo incontro con Bob avvenne al Gerde' s Folk City, una sera in cui lui suonava con Mark Spoelstra. Casualmente, Mark era stato con la Baez per un breve periodo di tempo nel 1956, in California, quando erano ragazzi: «Joanie, gli uomini se li prendeva e così aveva fatto con me quando avevo sedici anni. Si prendeva tutti quelli che voleva, li controllava. Sua madre una volta mi ha detto: "Non so, ma Joanie gli uomini li mastica e poi li sputa"». Nella sua autobiografia E una voce per cantare, la Baez descrive la prima impressione - pessima - che ebbe di Bob, l' uomo di cui si sarebbe innamorata e al quale il suo nome sarebbe rimasto legato per il resto della vita, anche se la loro relazione fu di breve durata. «Sembrava uno zoticone venuto dalla campagna in città, con quei capelli corti intorno alle orecchie e ricci sopra. Mentre si dondolava sui piedi, suonando, sembrava che scomparisse dietro la chitarra. Portava una giacca di pelle sgualcita e di due taglie più piccola. Aveva ancora le guanciotte da bambino, ma una bocca incredibile: morbida, sensuale, infantile, nervosa e reticente. Pronunciava con grinta le parole delle sue canzoni... Era assurdo, era una cosa mai vista ed era sudicio al di là dell' immaginabile». Nonostante fosse sporco, la Baez decise che lo voleva conoscere meglio e perciò fu un po' più che irritata quando, al loro secondo incontro, di lì a non molto, Bob mostrò più interesse per sua sorella Mimi, che aveva quindici anni. Il padre di Joan e Mimi, Albert, era di origine messicana e le ragazze avevano entrambe la carnagione scura e lunghi capelli neri. Mimi era più slanciata della sorella e, probabilmente, un po' più carina. La sera in cui conobbe Bob portava un semplice abito bianco che le stava particolarmente bene. «Trovai Bob affascinante. Non doveva essere lui il centro dell' attenzione quella sera, ma in effetti lo era, perché già allora era una personalità carismatica» racconta Mimi. Bob corteggiò Mimi, anche se stava con Suze, e la invitò a una festa, ma Joan ricordò alla sorellina che si doveva alzare presto la mattina dopo ed era meglio tornare a casa. La grande storia d' amore tra Bob e Joan Baez era ancora di là da venire. E questo valeva anche per la carriera discografica di Bob, che trovò diverse porte chiuse prima di ottenere un contratto. Izzy Young del Folklore Center portò Bob alla Folkways Records, ma il proprietario Moses «Moe» Asch non si mostrò molto interessato a lui. «Lo hanno cacciato via» ricorda Young. «Bob non era vestito in modo adeguato, dissero, o qualcosa del genere». Lui allora andò all' Elektra, dove non fece una bella impressione al presidente della società Jack Holzman, poi parlò con Manny Solomon della Vanguard Records, la casa discografica della Baez. Solomon sembrava interessato, ma non firmarono nessun accordo. Bob e Mark Spoelstra fecero una registrazione di prova, come duo, per un' altra casa discografica: Spoelstra cantava canzoni come Sister Kate e Dryland Blues e Bob lo accompagnava all' armonica, ma era demoralizzato quando uscirono dallo studio. «Ho fatto schifo» disse. «Che roba brutta». «Cosa? Sei stato grande!». «No, non ho suonato per niente bene. Non avevo il giusto feeling». E probabilmente aveva ragione, visto che quella session non portò a niente. Nell' ottobre del 1961, però, i contatti che Bob si era creato e aveva coltivato durante i primi dieci mesi a New York cominciarono a funzionare e John Hammond, un responsabile della Columbia Records, la più grossa casa discografica degli Stati Uniti, firmò un contratto con Bob. All' epoca, Hammond era forse il discografico più famoso di New York. Nato in una famiglia dell' alta società - suo padre era un banchiere e sua madre una Vanderbilt - aveva frequentato Yale e studiato musica alla Julliard. Aveva scritto per le rubriche musicali dei giornali, era stato impresario teatrale ed era diventato famoso per aver scoperto Billie Holiday e aver lanciato Benny Goodman. Adesso era un distinto gentiluomo sui cinquant' anni, alto e sempre in giacca e cravatta. Stava mettendo sotto contratto con la Columbia artisti del folk revival, ma voleva solo i migliori e perciò si aggirava per il Greenwich Village, ascoltando i musicisti e consultando le persone di cui aveva stima, come Paddy Clancy. Nella sua stessa famiglia aveva, con suo rammarico, un altro consigliere: il figlio diciottenne John Hammond jr, che aveva intrapreso la carriera di musicista blues. «Non riusciva a digerire il fatto che volessi fare il cantante blues o il musicista, forse perché sapeva che era un mondo pieno di insidie e che si faceva una vita dura» racconta John. Il rapporto tra padre e figlio era difficile, ma quando ne aveva l' occasione, il ragazzo parlava al padre dei musicisti di talento che conosceva al Village e tra questi c' era anche Bob Dylan.

Sounes Howard

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Marc Bolan

30-09-1947   16-09-1977
Birthday Tribute

Mark Feld (in origine Toby Tyler, poi Mark Bowland e infine Marc Bolan) avrebbe avuto 61anni oggi. Comunemente si pensa che prese la “Bo” e “lan” dal nome di Bob Dylan per comporre il suo cognome.
Nato a Hackney, Londra, Marc per tre anni (1971-1973) insieme con i sui T. Rex, era il campione delle classifiche inglesi. Il re del Glam Rock, Marc fu stregato dal rock an’ roll la prima volta che sentì Elvis e Eddie Cochran alla radio, ma dal ‘63-64 Bob Dylan e i Beatles furono la sua passione più grande.
Blowin’ in the Wind fu la sua prima registrazione nel gennaio 1965, quando Marc aveva solo 18 anni e l’unica volta in cui suonò l’armonica.

http://it.youtube.com/watch?v=oE2UaOgEOek

Marc fu, per tutta la sua breve vita, un grandissimo fan di Dylan e non perdeva una occasione per mostrarla nelle sue interviste e nelle sue canzoni:
“ Bob Dylan Know’s and I bet Alan Freed did,
There are things in life that are better not to behold”
Ballrooms of Mars

Poi nel suo 45giri Telegram Sam, l’enorme successo de1 1972 con un milione di copie, il Bobby in questione, lascava pochi dubbi:

“Bobby’s alright
Bobby’s alright
He’s a natural born poet
He’s just out of sight”

Bobby sta bene
Bobby sta bene
E un poeta nato
Lui è soltanto fuori dalla vita pubblica.

http://it.youtube.com/watch?v=0zoTuh9TMds

Nel link, sentirete le suddette rime al minuto 1,22” e addirittura ripetute, per sottolineare il suo affetto per Dylan, al minuto 2,02”.

Molti critici pensavano che l’album di Dylan Self Poltrait che usciva nel luglio 1970 era una specie di scherzo di pessimo gusto, ma mentre tutti cercavano di capire che cosa era successo e dove era finito il grande poeta, Marc era uno dei pochi musicisti a difendere Bob. Una lettera scritta da Marc, pubblicata l’11 luglio 1970 dal Melody Maker, un giornale inglese molto popolare e importante nella mondo della musica, Marc protestava sulle critiche fatte a Self Poltrait.

<<I’ve just listened to Dylan’s new album, and in particular “Belle Isle”, and I feel deeply moved that such a man is making music in my time. Dylan’s songs are now mainly love ballads, the writing of which is one of the most poetic art forms since the dawn of man.
“Belle Isle” brought to my memory all the moments of tenderness I’ve ever felt for another human being and that, within the superficial landscape of pop music is a great thing indeed. Please, all the people who write bitterly of a lost star, remember that with maturity comes change as surely as death follows life.>>

<<Ho appena ascoltato il nuovo album di Dylan e in particolare “Belle Isle” e mi sento profondamente commosso per il fatto che un uomo come lui stia facendo questo tipo di musica nel mio tempo. Le canzoni di Dylan oggi sono per la maggior parte ballate d’amore, le cui parole sono una delle maggiori forme poetiche dalla comparsa dell’uomo sulla terra.
“Belle Isle” mi ha fatto ricordare tutti i momenti di tenerezza che ho sentito per un'altra persona e che, all’interno del mondo superficiale della musica popolare, è una grande cosa. Chiedo a tutte le persone, che scrivono con amarezza di una star perduta, di ricordarsi che con la maturità arriva il cambiamento con la stessa certezza con cui la morte succede alla vita.>>

Dean Spencer News

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Lunedi 29 Settembre 2008

Talking Bob Dylan Blues - Parte 425 -    clicca qui

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Colgo l'occasione a seguito della mail della carissima Marina ( Talkin' 425 - mail 5453 ) per parlare del libro di Marcus , ecco le diverse recensioni del libro :

Greil Marcus - Like a rolling stone
Cavoli a merenda
di Stefano Tettamanti

Non state a credere a chi vi dice che Bob Dylan è scorbutico e arrogante. Ho un amico che lo vede spesso e mi assicura che al contrario il vecchio Bob è un cordialone, sempre pronto alla chiacchiera e alla risata, disponibile e alla mano. Insomma che non se la tira per niente e che non si riesce a capire come sia nata la leggenda di un Dylan antipatico e figastorta. Io del mio amico mi fido e sono certo che dica la verità. Del resto se non lo sa lui che lo vede spesso. Il mio amico aggiunge, per uno scrupolo che gli fa onore ma che non cambia la sostanza delle cose, che lui Dylan lo vede la notte, quando dorme. Sì, insomma, lo vede in sogno. Ma lo sogna spesso e lo sogna sempre gentile. E io gli credo. Anzi, lo invidio anche un po’ il mio amico, per quell’intimità con Bob cui il mio inconscio non mi ha mai autorizzato. Ma non dispero, prima o poi vedrai che me lo sogno anch’io. Anzi, ora che so che non morde magari riesco a togliermi qualche curiosità. Tipo: Bobby, si può sapere, una buona volta, chi diavolo è quel Napoleon in rags, il Napoleone negli stracci, dell’ultima strofa di Like a Rolling Stone? Oppure: che burlone che sei, Robertino, ora però ti siedi qui e mi spieghi perché mai il Diplomatico in groppa al cavallo cromato con miss Lonely si ostinava a portare sulla spalla un gatto siamese. O ancora: Ma tu Come una pietra che rotola di Gianni Pettenati, 1966, traduzione di Mogol, l’hai mai sentita? E non li hai denunciati perché sei un signore o solo perché non conosci l’italiano? Ma se proprio non mi verrà dato di sognarlo (il mio inconscio rispetta la privacy degli artisti) esaudirò le mie curiosità pescando nel diluvio di omaggi, encomi, santini, articolesse, agiografie scritte e filmate, memorabilia anche un po’ feticistiche che di questi tempi inonda il mercato e prosciuga le tasche dei poveri dylandipendenti come me, il libro più entusiasmante che lo celebri: Like a Rolling Stone (Donzelli, euro 13,50), biografia che Greil Marcus, sommo maestro della critica musicale, dedica a una canzone nel quarantennale della sua incisione, il 15 giugno 1965, studio A della Columbia, New York. Sei minuti e sei secondi che, per dirla senza tanta enfasi, compirono il miracolo di rinnovare il sogno americano, scolpirono per l’eternità il sound di una generazione e la colonna sonora di un mondo che si stava ribaltando. I sei minuti e sei secondi della più grande canzone di tutti i tempi in un libro da non perdersi neanche per sogno.
 

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Like a rolling stone continua a stupire

Un' Opinione di pavese78 su Like a Rolling Stone - M. Greil (23 Maggio 2007)

La valutazione di questo autore:

Vantaggi: carino
Svantaggi: nessuno
Lo consiglieresti ai tuoi amici? Sì
Opinione completa
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Il sottotitolo del libro Like a rolling stone, "Bob Dylan, una canzone, l'America", ne spiega esattamente l'argomento: una monografia sulla canzone che la rivista Rolling Stone ha giudicato la più bella di tutti i tempi, su come è nata e sulla storia dei musicisti che l'hanno incisa. Più in generale il libro intreccia la storia di Dylan, con quella dell'America che ascoltava le sue canzoni. Quella generazione che secondo quanto afferma Greil Marcus "ora sta vivendo sulle ceneri degli anni '60, noi tutti siamo sommersi di anniversari nostalgici, quasi come per far sentire in colpa, ad esempio, non solo chi non andò a Woodstock, ma persino chi non era neanche nato. Se leggendo il libro vi sentite in colpa anche voi, vuol dire che ho fallito."
Invece Marcus ha vinto la sua sfida, il libro è una macchina del tempo, capace di trasportare il lettore in un'altra epoca, riuscendo a farci ascoltare in sottofondo le canzoni che l'hanno ispirata e quelle presenti nella Top 40 dell'anno 1965.
Nonostante Like a rolling stone contenga l'esperienza della musica precedente (il folk, il blues, il delta blues) e preannunci la musica futura (il rock, il punk), le "istituzioni" del folk e molti fan non hanno perdonato a Dylan il passaggio dal folk al rock. Ne è riprova il grido "Judas!" ("Giuda", nel senso di traditore) durante il suo primo concerto elettronico.
Eppure Dylan ha sempre adorato i suoi fan, gli piace sentire che il pubblico apprezza la sua esecuzione e questa può essere una delle cause che lo sta portando a proseguire il Never Ending Tour, ma Marcus ci spiega anche che "Dylan è uno sperimentatore, sempre alla ricerca dell'esecuzione perfetta, della canzone che sta dentro alla canzone".
Dylan è un artista vero e completo. Ecco in che termini Marcus parla del primo volume dell'autobiografia di Dylan (Chronicles in uscita per Feltrinelli) : "Mi ha impressionato la sua prosa, non ha niente da invidiare a Mark Twain o a Wilbur Smith. È crudele che una sola persona abbia così tanto talento in diverse arti."
Like a rolling stone è un singolo che dura 6 minuti, negli anni '60 lo standard era 3 minuti - durata perfetta per la radio e per i dischi (i 45 giri) - conseguentemente nel primo disco la canzone era divisa a metà fra i due lati ed in radio venne tagliata a 3 minuti, almeno fin quando qualcuno non scoprì che dopo la dissolvenza forzata la canzone continuava, a quel punto le radio vennero assalite da telefonate di ascoltatori desiderosi di ascoltare cosa avvenisse dopo quei 3 minuti. Insomma il successo della canzone è anche derivato da una curiosa e fortunosa operazione di marketing.
Secondo Marcus una delle caratteristiche che rende grande questa canzone è "il suo movimento che si unisce alla storia dell'America, attraversata da una pietra rotolante, da Boston in giù, composta da pionieri e disperati, immigrati che hanno una speranza, quella che deriva dal detto Ogni uomo può diventare il Presidente. Da qui nasce il sogno Americano."
A queste parole aggiungerei che Like a rolling stone cerca di incrinare questo sogno, porta alla luce alcune incongruenze della società americana, anche per questo rimane una canzone di protesta. Infatti essa sembra narrare, in maniera allegorica, la storia di una donna ricca ormai in completo declino ed alcuni hanno voluto vedere nella donna la personificazione della società americana di quegli anni, combattuta fra la guerra in Vietnam e il problema dell'integrazione razziale, la guerra fredda e l'assassinio dei due Kennedy, di Luther King e Malcom X.
Greil Marcus analizza il testo parola per parola, la musica nota per nota così scopriamo che la canzone inizia come una favola (C'era una volta) e si conclude come un dramma (Sei invisibile ora, non hai segreti/da nascondere) e che "la una canzone non sembra costruita, non c'è un movimento verso un crescendo, è lì ora, completa, immediatamente percepibile".
Il libro non parla solamente del passato ma anche dei giorni nostri, di tutti quei musicisti che hanno suonato, utilizzato, citato nuovamente Like a rolling stone. Fra tutti questi artisti Marcus dedica ampio spazio alla canzone Come una pietra scagliata degli Articolo 31. La spiegazione di questa citazione è stata data direttamente da Marcus: "Una parte della canzone italiana è usato, nel film scritto da Dylan Masked and Anonymus, come sottofondo della scena nella quale si mostra Los Angeles desolata e distrutta. Come una pietra scagliata è anche inserita nella colonna sonora del film, perchè è una canzone che a Dylan piace molto".
Probabilmente Dylan si sente come noi quando ascoltiamo l'originale inglese: non riusciamo a comprendere completamente il senso del testo, esso ci viene trasmesso dalla musica, dal ritmo e dalla melodia. Uno dei grandi poteri della Musica...

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Greil Marcus - Like a Rolling Stone, Bob Dylan at the Crossroads
(Faber & Faber,2005)

Enlightining, revelatory, unmissable. Music book of the Year 2005

Greil Marcus in “Like a Rolling Stone” un’analisi al limite del paranormale della canzone – secondo lui e molti altri – chiave del repertorio del cantautore di Doluth, Minnesota, compie il suo più bel viaggio nell’America che Bob ha cercato di rappresentare e che torna prepotentemente alla ribalta con le scene di disperazione intorno alla New Orleans del dopo Katrina. In una approfondita quanto mai concisa analisi del sottovalutato film “Masked & Anonymous” ( mai visto in Italia, pagine 72 – 77) Marcus svicola tutte le backroads del chi siamo, del perché siamo qui, del dove veniamo e dove andiamo, del quando siamo arrivati, rubando dalle labbra del giornalista Tom Friend ( l’attore Jeff Bridges nel film ) la chiave che apre il mondo di Bob. You had to be there”, “Dovevi esserci”.
Perchè Dylan continua a girare il mondo per permetterci un giorno di recitare agli altri proprio questa frase. E in una lunga, agognante, via crucis di concerti descritti dai suoi recensori come “straordinari” ma – solo pochi mesi dopo – incomprensibili ai molti ( non a Marcus che nel libro trova motivazioni in esibizioni del 1963 ), Dylan ci si offre. Martire, santo, puttana ? Solo un uomo che ha smesso molto molto tempo fa di porsi domande e darsi risposte. Altrimenti non sarebbe mai riuscito a registrare un tale capolavoro in soli due take completi. Rivelatorio, imperdibile, illuminante.

Ernesto de Pascale

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1981, un ristorante a Maui. I clienti mangiano, bevono, chiacchierano, senza fare caso alla musica trasmessa dalla radio. Poi parte Like a Rolling Stone e i clienti smettono di mangiare, bere, chiacchierare, per cominciare a canticchiare, muovere i piedi, guardare la radio. In questo piccolo aneddoto è racchiusa la domanda a cui l’autore, uno dei più grandi critici musicali americani, vuole rispondere con il suo libro: perché Like a Rolling Stone? Non è la canzone più bella né la più rivoluzionaria nell’opera di Dylan, ma è l’unica che, anche a distanza di 20 anni, blocca un ristorante. Perché? La domanda, alla fine della lettura, rimane senza risposta. È il mistero delle canzoni eterne, quelle che, scrive Marcus, resistono ai musicisti e al cantante. Che vengono scritte una volta sola, ma quando vengono scritte sembrano inevitabili.

Letizia Bognanni

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L'intento del libro è di dimostrare come una incisione abbia cambiato in modo irreversibile la musica. "Like a Rolling Stone è più di una canzone, è qualcosa che oppone resistenza a chiunque cerchi di suonarla, è come se avesse un corpo e un'anima, tante erano le cose che Dylan cercava di dire, e tale la passione che lo animava." Era il 15 giugno del 1965, Dylan cominciava la sua sessione di registrazione negli studi della Columbia di New York. I Beatles avevano cambiato il mondo in cui lui e la sua generazione vivevano, e Dylan li percepiva come una sfida, uno stimolo. È bastato un giorno e la prima versione di "Like a Rolling Stone" è stata quella che il mondo ha conosciuto e che da allora molti musicisti hanno provato a riarrangiare.

( deastore.com )

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Greil Marcus
Donzelli ( www.fasen.it )

I crocevia di sui si parla nel titolo originale (Bob Dylan At The Crossroads) di Like A Rolling Stone, oltre a richiamare un altro personaggio leggendario della storia del blues e del rock'n'roll, Robert Johnson, illustrano decisamente meglio le svolte affrontate da Bob Dylan nel 1965. E' attorno a quell'anno che maturano alcune delle scelte, molti imprevisti e altrettante decisioni che cambieranno la storia della sua vita, ma anche quella del rock'n'roll. Like A Rolling Stone, fedele al concetto espresso da Greil Marcus nella parte centrale del libro ("La canzone è un suono, ma prima di questo è una storia. Ma non è un'unica storia") diventa allora il cardine attorno a cui ruota tutto l'immaginario pubblico e giovanile (ma non solo) di un'intera epoca. La ricostruzione è minuziosa ed estremamente articolata perchè gli snodi di Like A Rolling Stone, proprio come nella canzone, sono tanti e importanti. Tra gli antefatti vanno elencati la crisi dei missili di Cuba nel 1962 (il mondo sull'orlo dell'apocalisse e Bob Dylan che canta A Hard Rain's A-Gonna Fall), la bellissima epigrafe di Allen Ginsberg (tratta da Western Ballad) e l'assassinio di JFK. Nelle conclusioni c'è una dettagliatissima rivisitazione delle sessions che portarono a Like A Rolling Stone, giorno per giorno, take dopo take. Tra questi due estremi, tutto un mondo che Greil Marcus più lineare e divulgativo del solito, racconta con grande lucidità.

 

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Altri libri di Greil Marcus:
Quella strana vecchia America.
I Basement Tapes di Bob Dylan
Mystery train. Visioni d'America nel rock
Bob Dylan. La repubblica invisibile

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Se vi capita di passeggiare sul bagnasciuga di Malibù questa è la casa di Bob

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SCRIVEVANO............

Uno, nessuno, centomila Bob Dylan

di Roberto Brunelli

Volete sapere chi è Bob? È quello con la faccia accartocciata che sembra una scarpa sfondata, quel vecchio arnese all´angolo della strada, quello arruffato che ulula cose incomprensibili strascicando la voce, una voce che sembra esser stata presa a calci e poi gettata in fondo ad una caverna, quello con il tight nero con il colletto brillantinato. È, fondamentalmente, un musicista di strada. Per oltre quarant´anni ha suonato la chitarra, ora suona una specie di pianola (e peraltro in modo abbastanza rumoroso). È uno sradicato, su questo non ci piove. Mica si chiamava Dylan. Si è inventato questo nome da ragazzo, non gli piaceva chiamarsi Robert Zimmermann. Ebreo, sì, è un ebreo. Errante, altroché. Più di così: ieri l´altro sera stava a Roma, in concerto in un luogo a forma di palla chiamato Palalottomatica. Pensa, c´erano più o meno ottomila persone a sentir quel vecchio che sembra uscito da un circo malconcio, tantissimi ragazzi, tantissimi. Due sere prima ha suonato a Bolzano, ieri a Milano, prima a Zurigo, a Praga, in Svezia... è in tournée da mesi, da anni. Non si ferma mai. Non c´è un posto al mondo in cui sia a casa sua. Molti credono che sia pazzo (ad un certo punto ha fatto finta - o, chissà, magari ci ha creduto davvero - di essere un cristiano fondamentalista, o giù di lì): ora, «il menestrello d´America», quello che ha ridefinito il concetto stesso di musica popolare, semi barcollando sale sul palco preceduto da un´improbabile musica trionfale, un po´ alla Morricone, mentre l´annunciatore annuncia «the Columbia recording artist: Bob Dylan», ove il nome Bob Dylan è diventato un´icona, un´identità granitica e uno spazio infinito al tempo stesso, una contraddizione (il nostro destino non è il nostro carattere, ma è lo scherzo che il destino ha fatto al nostro carattere, scrive Philip Roth, un altro che ha fatto dello sradicamento il senso e il fine dell´America, della narrazione, dell´esistenza). Mai due volte la stessa cosa Allora, il vecchio si mette dietro la pianola e parte un rock´n´roll sfrenato, To be alone with you, e ti viene in mente che colui che fu eletto nel ´62, a ventuno anni, come il profeta del folk impegnato, da ragazzino voleva diventare una rock´n´roll star. Rock´n´roll, swing, blues, solo a tratti emerge il country nel concerto più strampalato e intelligente dell´anno duemilatre: è, di fondo, una messinscena, diversa da quella che Dylan allestiva l´anno scorso, che era diversa da quella della tournée precedente. Una messinscena aggrovigliata, cupa e bizzosa, che a sua volta capovolge quella rappresentava dall´ultimo album (uscito nel settembre duemilauno), Love and theft, che era stranamente malioso, solare, pomeridiano: lo sappiamo, Bob continua il suo eterno gioco di cambiare le regole del gioco e continua a brutalizzare le proprie canzoni in un modo sconcertante: It´s alright Ma´, I´m only bleeding - che da anni non suonava dal vivo, e che era un grido liberatorio («qualche volta anche il presidente degli Stati Uniti se ne sta lì nudo»: nel ´73 i fan americani impazzivano, perché lo rileggevano come un riferimento a Nixon) - ora è calata in uno scenario notturno e rivela accenti che non solo non conoscevamo nella canzone, ma nemmeno in Dylan, molto neri, molto obliqui, molto black. È un capolavoro, è più bella che mai. Ed è un paradosso, come è un paradosso questa Mr. Tambourine Man che nessuno (quelli sotto il palco sono tanti, di tutte le età e sanno fanaticamente tutto di Dylan) lì per lì riconosce, e che arriva a negarsi, a negare il proprio ritornello, la propria melodia («...youuu», «meeeee...»: ogni volta che Dylan arriva in fondo al verso, tira su la battuta di un´ottava). È lui che la rinnega, così come lui da giovane ha finto di rinnegare la propria matrice ebraica, per poi ritrovarla, poi perderla, poi diventare cristiano, poi... chissà. Un giorno Abramo incontrò Dio. Questo gli disse: devi uccidere tuo figlio. Abramo gli rispose: stai scherzando? No, se tu non mi obbedirai, non potrai mai più farti veder da me, dovrai correre lontano, sull´autostrada sessantuno. Sono i primi versi, più o meno, di Highway 61, che sabato notte è diventata dura, cazzuta, marmorea come non lo è mai stata. Il vecchio, vecchissimo Bob, canta l´anima del rinnegato (proprio con quell´album, Highway 61, fu accusato di rinnegare il folk), perché la sua è una mente paradossale, che attraverso il paradosso si interroga su Dio e sul tempo, appropriandosi delle icone americane come il blues, la tradizione folk, saccheggiando i testi sacri, laddove il paradosso diventa il principio e la fine della musica (ovvero della narrazione ovvero dell´esistenza): e mentre lo fa, stringe gli occhi, accenna a danzare come un ubriaco, tormentando quella pianola nera, con i baffetti che sembrano una barzelletta, i capelli non si sa se cotonati o impazziti, quell´abito da giocatore d´azzardo che da una vita non vince una partita. Il distruttore di canzoni . Non l´ha vinta perché non c´è niente da vincere. L´importante è giocare. Anche con i nostri sentimenti, se è necessario, visto che non possiamo fare a meno dei suoi classici, di cui lui è il traditore assoluto. Per Dylan non esiste «la canzone». Lui l´ha distrutta. Esiste un campo di semina, un corpus mitologico, che lui estende su un arco potenzialmente infinito: per ora si tratta di una quarantina di anni. Già i pezzi dell´ultimo disco, Love and Theft, amore e furto, in questi due anni di tournée hanno cambiato pelle, da Honest with me a Cry a While, alla bellissima Tweedle Dee & Tweedle Dum, lunga, emozionante, un rock´n´roll filosofico, beffardo, una sonorità piena che è rara nella storia dylaniana ma che è la cifra di ora, e potrebbe non esserlo domani. È un bastardo, Dylan: Don´t think twice, it´s alright ha quarant´anni, e come un quarantenne ovviamente ha un metabolismo diverso da quello di un neonato, così una delle canzoni-icona di Dylan diventa un ironico ricordo (ha! a tratti il vecchio Bob si dimentica il testo!) calato in un fatiscente saloon. E con il passo comicamente incerto (ma lo farà apposta?) il vecchio Bob ogni tanto si aggira per il palco con l´aria di chi se la ride: gli ultimi due bis sono Like a Rolling Stone e All Along the Watchtower. Soprattutto l´ultima - che nacque nel ´68 come un´acustica parabola biblica (il libro di Isaia, ragazzi) - non l´abbiamo mai sentita così forte e violenta, così notturna ed elettrica, così potente. Lui la canta come un diavolo ubriaco. Noi siamo innamorati, e lui se la ride. Lo considerano la quintessenza dell´America. Beh, è un ebreo nato a Duluth, nel Minnesota, a sei anni si è trasferito a Hibbing, chiamata «la più grande buca mai scavata dall´uomo» perché ospita una miniera gigantesca, poi si è inventato un nome e una storia mitologica, ha incarnato e rivestito il folk e il blues, il rock: l´America, sì. Ma solo se l´accetti come scenario del paradosso e dell´invenzione. Solo se l´accetti come patria immaginaria dei senza patria.

( www.unita.it )

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