Il 23 agosto 2009, in un caldo pomeriggio afoso, se ne andava
Lanfranco,
in silenzio, da solo, colpito da un infarto mentre stava costruendo uno dei
suoi meravigliosi bassi “Telelan” col corpo in alluminio.
Membro fondatore dei Blackstones, era diventato un amico amato
e stimato da tutti quegli artisti che come lui suonavano la musica di Bob.
Impossibile dimenticarti, il tuo sorriso è sempre nei nostri
cuori............!
The Blackstones : Mick, Frank, Riki, Darius, D.D.
REMEMBERING A FRIEND
Lanny Brush a.k.a. Lanfranco Veronelli
(Thanks to Al Diesan for this deep rendition)
a
Sabato 7 Agosto 2010
METROPOLIS Bob Dylan tribute
Friday, August 27, 2010 9:30 PM - 11:30 PM
Lady Beach - Via Roma, 113 - Ladispoli
Mr. AntonDjango's band presenta Like a Rolling Stone
la Storia del Rock e dei ’60 vista attraverso gli occhi di Bob Dylan
Sabato 28 Agosto
Piazzetta del Teatro – ore 21 - MOGLIANO VENETO
Like a Rolling Stone è uno spettacolo/concerto musicale che racconta la
nascita del grande rock attraverso storie – aneddoti - immagini proiettate
su schermo gigante e musica eseguita dal vivo. Il tutto si sviluppa attorno
alla vita, musicale e non, di Bob Dylan soffermandosi sul periodo d’oro del
rock (gli anni “sessanta”..) e sugli amici che assieme a Dylan hanno
contribuito all’affermazione di questo genere quali Rolling Stones e
Beatles, Jimi Hendrix ed Eric Clapton, Chuck Berry ed Elvis, ‘Creedence ,
Animals, Deep Purple… E ad accompagnare il pubblico in questa “colorata”
passeggiata musicale sarà la AntonDjango’s Band, gruppo musicale Veneto
presente sulla scena da diversi anni (nel curriculum della Band da ricordare
l’esibizione
in occasione del concerto di Bob Dylan al Pistoia Blues 2006..).
Set list: Oklahoma City,
Oklahoma - Zoo Amphitheatre - August 6, 2010
1. Leopard-Skin Pill-Box Hat (Bob on keyboard)
2. Don't Think Twice, It's All Right (Bob on guitar)
3. I'll Be Your Baby Tonight (Bob on guitar)
4. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on guitar)
5. I Don't Believe You (She Acts Like We Never Have Met) (Bob center stage
on harp)
6. Tweedle Dee & Tweedle Dum (Bob on guitar)
7. Spirit On The Water (Bob on keyboard and harp)
8. High Water (For Charley Patton) (Bob center stage on harp, Donnie on
banjo)
9. Honest With Me (Bob on keyboard)
10. Forgetful Heart (Bob Center Stage on harp)
11. Highway 61 Revisited
12. Workingman's Blues #2 (Bob on keyboard then center stage on harp)
13. Thunder On The Mountain (Bob on keyboard)
14. Ballad Of A Thin Man (Bob center stage on harp)
(encore)
15. Like A Rolling Stone (Bob on keyboard)
16. All Along The Watchtower (Bob on keyboard)
Il peso delle “canzoni di protesta” nel suo percorso.
Torna il libro di Marqusee
La parabola di Bob Dylan da sconosciuto imitatore di folk
singer a nume della canzone di denuncia, poi oracolo della controcultura, e
infine sornione artigiano di canzoni biblico-country, è troppo bella perché
non venga voglia di raccontarla ancora e ancora. È quello che ha fatto Mike
Marqusee, giornalista e attivista politico, nato in America e residente a
Londra, con il suo Wicked Messenger. Bob Dylan e gli anni Sessanta,
uscito ora in Italia nella buona traduzione di Seba Pezzani (Il Saggiatore
2010, pp. 368, €20). Marqusee, che si definisce un ebreo anti-sionista, ha
scritto su Muhammad Ali e sull’imperialismo inglese, sul cricket e
sull’India. Wicked Messenger (il “messaggero malvagio” che, oltre a essere
una citazione dalla Bibbia, è anche il titolo di una canzone di Dylan
inclusa in John Wesley Harding) è una riedizione ampliata di un libro uscito
nel 2003 con il titolo di Chimes of Freedom: The Politics of Bob Dylan.
Gli anni intercorsi e la revisione hanno fatto molto bene al libro, che
nella prima stesura era gravato dal desiderio di trovare a tutti i costi una
continuità politica nell’opera di Dylan. La prospettiva adottata adesso da
Marqusee è più distaccata ma anche più ampia e soddisfacente. Perché ciò che
molti ascoltatori di Dylan ancora non sanno, o preferiscono non sapere, è
che il più grande autore di “canzoni di protesta” ha scritto tali canzoni,
almeno esplicitamente, solo per tre anni, dal 1962 al 1964. Da allora, e di
altri anni ne sono passati quarantasei, Dylan ha avuto più cambi di pelle di
una colonia di serpenti, ma per moltissimi rimane quasi esclusivamente
l’autore di Blowin’ in the Wind e The Times They Are A-Changin’ – canzoni
significative ancora oggi, e che lui non ha mai rinnegato (le esegue ancora,
se pur con una voce e un arrangiamento molto diversi – e come potrebbe
essere diversamente?), ma che ormai sono solo la lontana scintilla di un
fuoco andato poi in tutte le direzioni.
Però è vero che senza quelle canzoni, senza la partecipazione, per quanto
limitata nel tempo, al movimento per i diritti civili, e senza le canzoni
della svolta elettrica del 1965 (che erano “di protesta” anch’esse, a modo
loro, solo che non protestavano più contro una stortura specifica della
società, ma contro la coercizione connaturata con la società stessa e contro
i suoi infiniti meccanismi di controllo), tutto quello che è venuto dopo (la
svolta country, le grandi ballate narrative degli anni Settanta, la scelta
religiosa poi fattasi meno esplicita, il recupero della tradizione folk e
blues degli anni Novanta e addirittura della canzone da salotto inizi
Novecento, come in alcuni brani degli ultimi dischi) non avrebbe lo stesso
peso, non poggerebbe su fondamenta così solide e non susciterebbe le stesse
reazioni, né negative né positive.
Bene, per chi non conosce ancora il Dylan degli anni Sessanta, o per chi
vuole ripercorrerne la parabola, il libro di Marqusee è prezioso,
documentato e ben scritto. Non segue solo Dylan, ma anche lo sviluppo dei
movimenti politici del decennio, facendo spazio anche ad altre figure
musicali, come Phil Ochs o Curtis Mayfield, che risultano utilissime per
collocare meglio la controversa eredità del Dylan di quegli anni. Le tappe
della ricezione politica di Dylan ci sono tutte: le reazioni alla sua
partecipazione insieme a Joan Baez alla marcia su Washington del 1963,
organizzata da Martin Luther King; le sue successive prese di posizione
critiche nei confronti di tutti i movimenti politici dettate da un
anarchismo artistico insofferente di ogni disciplina, il suo silenzio
imbarazzato sulla guerra del Vietnam, la fedeltà alle radici del folk
americano nella sua accezione più ampia, da Woody Guthrie a Hank Williams,
il suo ritiro nella famiglia alla fine di un decennio troppo convulso.
Marqusee aggiunge anche un capitolo finale nel quale accenna al Dylan più
recente, non solo degli ultimi dischi ma soprattutto del film Masked &
Anonymous e l’autobiografia Chronicles. L’autore discute con
obiettività anche la parabola di Bruce Springsteen, mostrando come le
canzoni che vogliono essere troppo esplicite, da Born in the U.S.A. a The
Rising, sono anche quelle che invecchiano più facilmente o che possono
essere più facilmente manipolate, il che dà quasi ragione a molta (anche se
non tutta) della reticenza maturata da Dylan dopo gli anni Sessanta, quando
il mondo era diventato troppo complicato perché si potesse ancora pensare di
cambiarlo con una chitarra a tracolla.
Review: Austin, Texas -
The Backyard - August 4, 2010
di Chris Bennett
L’inizio del tour estivo di Dylan negli Stati Uniti è stato 2 spettacoli in
uno. E' stato un inizio tiepido con diversi standard familiari e tre dei
suoi brani più opachi e più recenti.
Mentre la voce di Dylan era forte e chiara in tutto, tendeva a succhiare la
melodia di questi classici, senza lasciare nulla di memorabile al loro posto
- solo i testi eseguiti con poco zelo. Gli arrangiamenti sono stati allo
stesso modo senza vita. Ma hey, è stata la serata di inaugurazione, e il
sole non era ancora tramontato.
La sempreverde / versatile Lay Lady Lay, la canzone # 2, ha fatto sognare -
nessun trattamento può mascherare quel pezzo stupendo e Dylan la cantava
come se fosse stata la sua preferita. Ma nella canzone # 8 io ero avvolto in
un miscuglio di cose, irrequieto, una sensazione di brontolio, non speravo
più una svolta decisiva nello show. E poi è venuto. Cold Irons Bound mi ha
liberato. Dylan era fuori con l’armonica, e lui, la band e la folla hanno
ottenuto il loro primo assaggio di un arrangiamento vero e proprio, con la
giusta dinamica quanto mai necessaria. Il rumore della folla è raddoppiato
alla fine e una specie di "rumore rosa" si è instaurato da qui in avanti.
Dylan e Sexton non mollano mai. Grazioso e speciale, un concerto che era
appena decollato su un altro piano.. Non credo che i contributi di Sexton
possano essere esagerati - quando Dylan ha davanti uno spartito (o due) da
rispettare lui è molto meglio. E questo si aggiunge naturalmente alla sua
prestazione vocale. Sexton non è un musicista appariscente, ma ha inventiva
ed è avventuroso, e questa band mancava proprio di uno come lui.... I due
sembrano avere più chimica musicale adesso, o Sexton è più libero di
spaziare.
Suona figure che danzano intorno all’armonica ed alla tastiera di Dylan, la
miscelazione era molto efficace. Il suono dell’armonica di Dylan era davvero
sentito e tecnicamente impeccabile. Sono stato lontano per qualche anno
dagli show di Dylan dal vivo, e ora, per me, la sua tastiera suona meglio -
è più integrata nel suono generale - più interessante del suo lavoro di
chitarra. Il mix di questo spettacolo, per inciso, è stato eccellente. Tre
pezzi importanti nella seconda parte si sono messi in evidenza: Workingman's
Blues # 2 – questa è una grande canzone - un omaggio alla Hag, come la sua
roba migliore, anelli di verità difficili da ingoiare, ma anche un sacco di
spirito. Non sono sicuro se Ivan Neville è stato ospite solo per questo
show, ma ha aggiunto un certo peso con il suo lavoro di organo. Can’t wait,
- grande dinamica, Dylan di nuovo al meglio vocale. "Thin Man – a Dylan
piace ancora biascicare quetsa lirica - Mr. Jones è quello che ognuno di noi
vuole che sia - drammatico, una sorta di versione spaventosa , stile 1966.
Non perdete Dylan con Sexton in questo tour, se potete
Professor Louie, Miss Marie, Julien Poulson and The
Beards performed The Basament Tapes song 'Long Distance Operator' by Bob
Dylan. Live in concert, Squero di Dolo, Venice, Italy, 2 August 2010.
Professor Louie: Piano, Vocal
Miss Marie: Vocal, Percussion
Julien Poulson: Acoustic Guitar
Max Magro: Electric Guitar
Andrea Tolin: Bass
Emanuele Marchiori: Drums, Chorus.
Maggie's Farm Southern Band - Slow Train
Ogni Granello di Sabbia - Renzo Cozzani (Every Grain of Sand,
by Bob Dylan)
Dylan Dogs - You Are Gonna Make Me Lonesome When You Go
(Bob Dylan cover)
Make you feel my love (Bob Dylan) The Blackstones
a
Venerdi 6 Agosto 2010
Bob Dylan and His Band at The Backyard at Bee Cave -
Austin, Texas - 08/04/2010
Bob Dylan live in Austin,TX, Aug 4 2010 - LARS
Bob Dylan live 04082010 Austin,TX, Ballad of a Thin Man
Bob Dylan along the watchtower 08042010 Austin, TX
Review: near Paddock Wood,
United Kingdom - Hop Farm Festival - July 3, 2010
Bob Dylan, Fattoria Hop, Kent
di Holly Williams
L’ Hop Farm Festival ha confezionato alcuni “momenti” musicali, con una
selezione dagli anni Sessanta e Settanta di pesi massimi per tentare di
riconquistare i suoi giorni di gloria. Da Van Morrison a Blondie, Peter
Green e Ray Davies. Ma il più grande è stato, ovviamente, Bob Dylan.
Non avendo mai visto prima Dylan, anch’ io ho atteso il set Sabato. Lui ha
aperto con alcune canzoni da Blonde on Blonde, anche se a volte era
difficile dire se era una canzone o un grugnito. La loro intonazione lirica
e il ritmo erano piuttosto alterati, nel senso che devi arrivare a metà
canzone prima di riconoscere cose familiari come l'opener "Rainy Day Women #
12 & 35". La voce era scheggiata e poco armoniosa, come quando ha gracchiato
cantando "Oh, mamma, can this really be the end?" durante "Stuck Inside of
Mobile with the Memphis Blues Again", sembrava che davvero stava sul punto
di gracchiare.
Sinceramente la voce di Dylan non è mai stata armoniosa nel canto, ma il
concerto ha cominciato a marciare dopo averla riscaldata con i primi pezzi.
Il lavoro con l'organo Hammond e l'armonica è stato accolto con gioia dalla
folla, e tutto è stato supportato da una band ben stretta intorno a lui.
Ma purtroppo c'era zero interazione con il pubblico, anche con l’aiuto di
due schermi video che hanno mostrato solo una band coinvolta solo a metà -
nessuna emozione sui volti intrisi nei pochi primi piani consentiti, è
questo ha reso un po' difficile lasciarsi coinvolgere totalmente. Questa
cosa è sembrata eccessiva anche per le legioni di fans più vicini alla
stessa età di Dylan che ovviamente si erano spinti davanti alla barriera
frontale per essere più vicino al loro idolo.
Tuttavia, la possibilità di ascoltare le versioni dal vivo di "Like a
Rolling Stone" e "Forever Young" - le due canzoni meglio eseguite -
certamente ha sollevato lo stato d'animo. Diverse migliaia di persone hanno
cantato con entusiasmo “How does it feel?", si può essere sicuri che la
risposta era "dannatamente bene".
Al Diesan & Slow Train Band - Beyond here lies nothing
a
Giovedi 5 Agosto 2010
Set list: Austin, Texas -
The Backyard - August 4, 2010
1. Leopard-Skin Pill-Box Hat
2. Lay, Lady, Lay
3. Just Like Tom Thumb's Blues (Bob on guitar)
4. Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again (Bob on guitar)
5. Beyond Here Lies Nothin' (Bob on guitar, Ivan Neville on keyboard)
6. Tangled Up In Blue (Bob on guitar)
7. Rollin' And Tumblin'
8. Tryin' To Get To Heaven
9. Cold Irons Bound
10. Workingman's Blues #2 (Ivan Neville on keyboard)
11. Highway 61 Revisited
12. Can't Wait
13. Thunder On The Mountain
14. Ballad Of A Thin Man
(encore)
15. Like A Rolling Stone
16. All Along The Watchtower
Allora stringiamoci la mano e ti chiedo anche io scusa se ti sono parso un
po troppo sicuro delle mie opinioni.
Certo..tutti quegli aneddoti spero un giorno li rivelerai.
Un saluto grande a te e a Mr.Tamburine.
p.s: Non l'ho detto, ma comunque Under lo ascolto molto volentieri d'estate.
Bella cosa questa pagina
http://www.maggiesfarm.eu/togetherlyrics.htm
... ma perché non le tieni tutte assieme dove hai già le altre?
http://www.maggiesfarm.it/ttt.htm
O almeno aggiungi il link qui:
http://www.maggiesfarm.it/peralbum.htm
Ci fai impazzire a trovarle...
Mi rendo conto che è un sito gigantesco e al punto caotico in cui è
difficile fare manutenzione. Forse posso darti una mano?
Hai fatto un lavoro magnifico e noi fan italiani te ne siamo
infinitamente grati.
Francesca Chiarelli
Cara Francesca, le pagine sono
già tutte assieme, segui questo percorso: Homepage/blackboard/Tutte le
traduzioni dei testi di Dylan - ti porterà a questa pagina che raccoglie
tutte le traduzioni :
http://www.maggiesfarm.eu/ttt.htm .
Capisco che a volte una ricerca possa
diventare macchinosa o difficile, ma Maggie's Farm è diventato talmente
vasto che queste difficoltà sono normali, bisogna avere un pò di pazienza e
capire bene come funziona l'integrazione tra le due parti del sito,
d'altronde non c'era altro metodo, inoltre ti dico che la separazione è
stata volutamente mantenuta per salvaguardare e rispettare il lavoro di
Michele Murino.
Per quanto riguarda la tua offerta di
aiuto è molto gradita, fammi sapere in che modo pensi di potermi dare una
mano così vediamo se possiamo trovare un modo funzionale per collaborare.
Aspetto tue nuove, Ciao, Mr.Tambourine
invece di "non so se ti ho visto, se ti avrei voluto baciare o uccidere"
"probabilmente non te ne sarebbe importato niente comunque"
andrebbe "se ti vedessi, non so se ti bacerei o ucciderei"
"probabilmente non te ne importerebbe niente comunque"
Francesca Chiarelli
Come già ti ho già spiegato non posso
intervenire sulle vecchie pagine di MF, comunque messaggio girato a Michele, ciao e grazie :o) Mr.Tambourine
Ho trovato girovagando qui e li' questo racconto di un fan di Dylan.
Bello e curioso.
Stefano C.
Okay, lo ammetto. Io sono un fan – lo sono stato da molti anni , da molti più
di quanto mi possa ricordare. Perché altrimenti non mi sarei appostato fuori dal
più esclusivo hotel di Glasgow con una temperatura sotto lo zero. Avevo
visto suonare Dylan l'anno prima a Glasgow, ed ero deciso a sacrificarmi
nella fredda attesa per rivederlo.
Così, ero in attesa per cercare di riuscire a scambiare qualche parola con
il grande uomo - e - se possibile, un autografo. Avevo preparato una piccola
collezione di pezzi scelti con cura ai quali l' aggiunta della sua firma li
avrebbe elevati a status di Santa Reliquia (il programma del tour del
1966; il programma dell’ Isola di Wight, una copia di "Writings and
Drawings).
Era una di quelle serate incredibilmente fredde, quando il respiro provoca
le nuvola di vapore, e per due ore o più, ho cercato di mantenermi in
movimento solo per mantenere un certo calore nel mio corpo. Dio sa che cosa
pensava la gente che stava dentro l’albergo. Dovevo essere pazzo - ma io
ero una delle uniche due persone lì, quindi ho pensato che avevo più che mai
la possibilità di veder uscire Bob.
Alla fine, un autobus si fermò fuori dall' hotel, era l’ora del sound-check
– la mia adrenalina aumentò. La porta dell’hotel si aprì e uscì un
……bodyguard. Per qualche istante non si mosse e guardò in cima alle scale
per avere chiara la scena e, ovviamente, valutare i rischi per il suo datore
di lavoro. Mi avvicinai e gli chiesi cosa ne pensasse circa la probabilità
di ottenere un autografo e, sorprendentemente, mi disse che potevo provare,
ma mi disse con garbo di non insistere se fossi stato ignorato per non
creargli problemi con Bob. Andava bene così. Sapevo le regole. Ora, tutto
quello che dovevo fare era aspettare l’arrivo di Bob e convincerlo a firmare
qualcuna delle cose che tenevo in mano.
Dopo circa cinque minuti, quella che sembrava una vecchia "borsa-umana" è
uscita dall’hotel indossando almeno tre giacche, una con il suo cappuccio
tirato sulla testa. Le mani in tasca, sembrava prendere tempo per avviarsi
verso il bus. Fu solo allora che fui certo – Era Bob Dylan. L’ho raggiunto
con il programma del '66 ed una penna – lui li prese tutti e due. L'aveva
fatto!
La realtà mi colpì, non stavo più davanti al suo bodyguard, era Bob Dylan
che parlava con me. Mi dispiace, devo scriverlo che ancora una volta - era
DYLAN che stava parlando a me. I miei sensi erano al culmine
dell’eccitazione. "Che cosa è questo?" mi ha chiesto.
"Uh? E' il programma del tuo tour del 1966", risposi. La sua mano si mosse.
La penna si spostava sempre più vicina al foglio del programma. Stava per
firmarlo. La sua testa si rivolse verso l'alto. Guardò verso di me.
L'espressione mi ha ricordato quella di un coniglio che sta per scappare.
Bob guardò la sua bodyguard e guardandolo dritto negli occhi, gli disse: "uuhh!".
Il panico si impadronì di me, sentivo che dovevo fare qualcosa. Ero
congelato in un momento di incredulità, ma qualcosa mi ha fatto dire:
"Potresti firmarmelo, per favore?". La sua mano si trasferì di nuovo verso
il programma, ma nella mia mente tutto quello che potevo vedere era sempre
il coniglio che correva nel campo verso la sua tana e sentivo che questa
sarebbe stata la fine. La sua mano si fermò. Eravamo entrambi immobili. Egli
emise un breve ma oh, così significativo, "mmmmmm".
Mi sono reso conto che dovevo ammettere la sconfitta, ma sembrava che fosse
Bob ad arrendersi alla mia richiesta quando distese le sue braccia verso di
me, ma invece mi ridiede il programma e la penna. I suoi occhi erano tornati
al buio sotto il suo cappuccio. Si voltò e salì sul bus. Avevo fallito.
(Fonte: http://www.rockmine.com/Meet.html)
a
Mercoledi 4 Agosto 2010
The Mail from Andy
Dear people at "Maggie's Farm",
I think you should not post any information about members of Dylan's family
who do not seek publicity themselves.
Apart from invading on Dylan's privacy you put those you "expose" at risk.
It's OK to post about Jakob and Jesse, because they work in the
entertainment industry, but please leave Dylan's other children alone!
If you care about Bob Dylan you should protect the privacy of those who are
probably dearest to his heart his children.
Any information about Gabrielle should be removed from your site.
Thank you.
All the best,
Andy
Cari amici di "Maggie's Farm",
Penso che non si dovrebbero pubblicare tutte le informazioni sui membri
della famiglia di Dylan
che non cercano pubblicità per se stessi.
A parte l'invasione della privacy di Dylan, si espongono queste persone a
rischi.
Va bene scrivere su Jacob e Jesse, perché lavorano nell'
industria dell' intrattenimento, ma si prega di lasciare gli altri bambini di
Dylan da soli!
Se vi preoccupate per Bob Dylan dovreste tutelare la privacy di coloro
che sono
probabilmente più cari al suo cuore - i suoi figli.
Tutte le informazioni su Gabrielle dovrebbero essere rimosse dal tuo sito.
Grazie.
Tutto il meglio,
Andy
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Dear Andy,
Thank you for your advice and your comments, but I think you're exaggerating
a bit, my post about Desiree it's only a curiosity that all the fans of
Dylan have, they are not F.B.I.'s records. All photos posted on my site are
available on The Internet.
However I think that basically you're right, so i removed all the photos of
Desiree from my site.
Ciao, Mr.Tambourine
Caro mr.Spaceman, forse ti sono sembrato un pò severo coi
tuoi pareri ma non era mia intenzione portarti offesa..se così è stato me ne
scuso.
Semplicemente volevo dirti che mi sei sembrato troppo severo con Under (che
pure io considero un lavoro di serie B della produzione dylaniana ma come
ripeto ci sono pezzi belli che purtroppo, almeno nel disco, non sono stati
trattati come dovevano) e con altri che forse sarebbe il caso, visto che non
lo hanno fatto in precedenza critici e pubblico, rivalutare. Qui parlo di
album come Empire (o New Morning) il quale malgrado sia soffocato da
arrangiamenti troppo anni '80 contiene a parer mio belle canzoni. Ma in quel
periodo Dylan volle fare un disco che potesse vendere molto, un disco "alla
moda" e il risultato non fu uno dei migliori né da un punto di vista
musicalmente qualitativo né di vendite.
Poi parlando di aneddoti tutto quello che volevo dire è di separare l'uomo
dal mito...come ripeto se Dylan si è comportato male con qualcuno sono cose
che riguardano la sua coscienza non i suoi lavori...mentre gli aneddoti del
"vecchietto travestito da barbone" arrestato perchè non creduto di essere
Dylan o che in Mexico si travesta da donna per non farsi riconoscere li
trovo divertenti.
Avrei anche pure io aneddoti da raccontare visto che conosco chi gli ha
fatto da cicerone nei due giorni passati a Brescia nel 2001, ma non potendo
attualmente avere il suo permesso non credo sia giusto raccontarli se non
uno divertente: andarono a bere un caffè in città e Dylan portava il suo
cappello da cow-boy; il barista non riconoscendolo (o manco sapeva chi
fosse) ha chiesto loro se stavano andando ad ascoltare un concerto. Ci fosse
stata la Pausini o Ramazzotti avrebbero magari consumato due rullini
fotografici...va beh..
Al di là di tutto comunque me l'ha descritto come una persona discreta ma
non orso come lo si possa pensare o come vuol far credere...anzi. Del resto
credo sia difficile essere Bob Dylan, nel bene e nel male.
Ciao Mr Spaceman, ciao Mr Tambourine, tutto chiarito spero... Un abbraccio.
Daniele Ardemagni
Credo che siate stati "chiari, corretti
e rispettosi " come si doveva. Continuiamo pure la discussisione con questo
Fair Play, che naturalmente varrà anche per le prossime discussione che
vorrete proporre. Non potresti convincere il tuo amico "cicerone" a darti il
nulla-osta per gli aneddoti di Dylan ? Salutami tanto la tua gentilissima e
graziosissima sorella, è nato Giacomo ? Mr.Tambourine :o)
Il nuovo mono-set di Bob Dylan, informazioni da Amazon
Il nuovo CD-Set di Bob Dylan, The Original Mono Recordings, uscirà il 19
ottobre, e costerà 129,88 dollari, secondo Amazon.com.
Album d'esordio di Bob Dylan in vinile, in mono, Columbia Records,
cortesia Searching For A Gem
Ecco le informazioni:
Prezzo di listino: 129,98 dollari
Il titolo sarà reso noto all’uscita il 19 Ottobre, 2010.
Etichetta: Sony Legacy
ASIN: B003XRDYX2
Descrizione del prodotto:
Questo Box raccoglie i primi otto LP di Bob Dylan, dal suo album di esordio
Bob Dylan nel 1962 a John Wesley Harding nel 1968, così come la maggior
parte delle persone li aveva sentiti, e come sono stati registrati per
essere ascoltati : in mono. --- Greil Marcus, tratto dalla note di BOB
DYLAN: THE MONO ORIGINAL RECORDINGS
I primi 8 album di Bob Dylan in studio in mono per la prima volta su CD:
Bob Dylan
The Freewheelin' Bob Dylan
The Time They Are A-Changin'
Another Side Of Bob Dylan
Bringing It All Back Home
Highway 61 Revisited
Blonde On Blonde
John Wesley Harding
-Ogni CD è confezionato in digipak, come le precedenti ristampe di Bob Dylan
-60 Pagin, libro a colori con nuove note di copertina, foto rare,
memorabilia, informazioni discografiche e molto altro
custodia rigida per tenere gli 8 CD ed il libro in digipaks (misure: 5.5 "L
x 3" W x 5 "H)
The Times They Are A-Changin', Columbia Records, particolare del retro
copertina, cortesia Searching For A Gem.
Inoltre anche il nuovo The Bootleg Series, vol. 9, dovrebbe essere
pubblicato nello stesso periodo.
Review: St. Herblain,
France - Zenith Nantes Metropole - July 1, 2010
La leggenda Dylan sul palco: Giù il cappello per Bob!
di Veronique Isabelle ESCOLANO et LaBarre
Bob Dylan allo zenit ieri sera, di 8.300 persone e un
pozzo di fuoco.
"Per cercare noi stessi ed il Bob Bob Dylan che c’è dentro di noi”, ha
scritto François Bon. Ieri, 8300 persone sono venute per il suo ritorno a
Nantes. Molti boomers, ma non solo.
Ore 20,45, Bob Dylan appare alla chitarra vestito di scuro, la faccia
nascosta dall'ombra del suo cappello, apre con Leopard Skin Pill-Box Hat. La
voce c’è. Più cesellata, più grave ma dannatamente bene. La sua voce è
adatta per sbancare tutti. E’ un pò annegata dai decibel, mi si adatta. Si
collega con It ain’t me babe. Nel terzo pezzo, Stuck inside, inizia e
finisce con l’ armonica e la tastiera. Ci sentiamo fortunati. Il caldo
aumenta rapidamente tra la folla. I lampi dei flash investono l’uomo che si
rifiuta ai fotografi professionisti.
Un maestro. Nella folla di spettatori, Jean-Louis Jossic. "Vengo a vedere il
mio maestro. Se ho un idolo, è lui. Prima ancora di pensare che un giorno io
avrei cantato, ero un suo fan assoluto. Io lo paragono a Van Gogh, con il
culmine di Blonde on Blonde. Spero che al mio funerale, la gente penserà a
cantare Absolutely Sweet Mary. "
Ho incontrato quattro ragazzi, tutti sui 25 anni, erano due settimane fa
alla Hellfest, poi sono tornati allo Zenith per gli ZZ Top. Essi potranno
anche parlare di Neil Young, dei Wild Cats ... La magia della musica. Dice
Sylvain "Ho preso uno schiaffo in faccia quando uscì il suo primo album nel
1962, gli altri sono meno " dylaniens ", ma è importante sapere chi è Dylan.
"Questa è un'occasione da non perdere”.
C'era Bob ... e Rimbaud. Hubert, 56 anni, capo della claque: fan tra i fans,
è arrivato come se fosse uno di famiglia. E qualunque cosa accada, non sarà
deluso: "Contrariamente a quanto talvolta si dice, ha una presenza scenica
così intensa che supera anche Mick Jagger. Ha scosso la mia adolescenza. La
prima volta che l’ho visto in concerto è stato nel 1972 all'isola di Wight.
La sua musica era più folk che rock, aveva il gruppo intorno a lui. Dopo è
stato diverso. Ma non siamo mai stati delusi da Bob. Accanto a lui, sua
figlia Violaine, 22 anni. "Siamo stati educati in questa cultura. Dylan,
Neil Young ... Dylan è il riferimento. Mentre i Doors o gli Stones si sono
portati via più di un artista. E poi quale artista di oggi durerà
quarant'anni? Non ce n’è un’altro! "
Nostalgia. Marie-Claire Ghislaine, anni cinquanta. E’ ricaduta nei suoi anni
‘70. "Siamo stati giovani. Lo abbiamo visto per 20 anni, ed è stato bello”.
"Le nostre figlie hanno imparato la chitarra sui pezzi di Dylan”. "Sappiamo
che vedremo qualcosa di molto pro. Ed i ricordi riaffiorano”.
Caro Daniele.
Onestamente, con tono pacato, ti dico che quello a giudicare ed a "sputare
sentenze" sei stato tu (riguardo quello che ho detto).
Io ho solo parlato dei dischi e dell'aspetto della produzione(attenendomi ai
fatti storici e non inventando). Ho detto che SAVED è un brutto disco ma ho
parlato della MIA opinione, sei tu che l'hai fatta apparire come un
"giudizio Universale" dandomi del saccente presuntuoso etc. etc.
Io sono libero quanto te di dire quello che mi appassiona di Bob o meno.
Se vengo incuriosito dal fatto che abbia fatto licenziare un poveraccio lo
scrivo quante volte lo desidero. Qui sei tu che hai messo a me i "limiti" a
ciò che posso esprimere o non posso esprimere. Ma io sto parlando di Bob,
dei dischi, non di Te e del tuo approccio a Saved o a Blood (ho solo fatto
un osservazione su SAVED non su di te che lo ami). Io non sono nessuno per
dire che REAL LIVE sia brutto, ma se lo penso e lo dico per quale ragione
devi dire che io lo abbia espresso a nome di tutti?
Dato che non è vero?
Ho sinceramente parlato dei dischi. Colorando la cosa con aneddoti. Dove
vedi questa saccenza? Nella vita capita di fraintendersi, quindi se sei
d'accordo continuiamo a parlare di Bob liberamente e perdonami se puoi la
mia determinazione sull'argomento. Nessuno si crede nessuno qui, ne
tantomeno io che oltretutto ascolto molto volentieri TTL, SELF PORTRAIT e
REAL LIVE.
Se sono rimasto colpito in senso negativo dal fatto che Bob abbia sempre
terrorizzato i suoi musicisti perchè non posso dirlo? (non ci apro i
dibattiti..sono cose che scrivo da contorno alla mia PERSONALE opinione
sugli albums).
Spero in un pacifico chiarimento.
Mr.Spaceman
Ma Jakob ha certamente un innato talento come il papà
Bob
di Mark Robertson
Il luccichio nei suoi occhi e il familiare birignao sono entrambi promemoria
dell’inconfondibile al quale Jakob Dylan non può sfuggire. Quando tuo padre
è uno dei musicisti più famosi del pianeta, è difficile allontanarsi dalla
realtà.
E tuttavia sembra proprio il tipo di ragazzo che prende tutto sul serio.
Ha avuto, per sua stessa ammissione, "una educazione molto confortevole, ma
- hey! - Non è un grosso problema con il papà che ho”. E se la sua mamma è
Sara Lowndes, la famosa Sad-Eyed Lady of the Lowlands di Dylan allora è
facile anche con lei.
Dopo tutto, egli avrebbe potuto cambiare il suo nome a mettere le persone al
largo delle chiacchiere.
Invece, ha mantenuto il nome della famiglia e ha continuato a scrivere
canzoni.
E la prossima settimana tornerà in Scozia per un imperdibile spettacolo all’
Arches di Glasgow, per promuovere il suo secondo album da solista “Women and
Country”.
Anche se ha avuto diversi dischi di platino per le vendite in tutto il mondo
degli albums con la sua band The Wallflowers, quasi sempre viene citato per
essere il figlio di Bob Dylan.
Ma per quanto lo riguarda avere un papà superstar non è né una benedizione
né una maledizione.
"Non lo so cosa sia più importante," conferma. "E' quello che è. L'unico
modo che sia vantaggioso per me è che ho idee musicali che alcune persone
non hanno".
"Quando ho iniziato a fare musica, ho pensato che il nome non sarebbe stato
un grosso problema, ma avevo torto".
Lungi dal rinunciare prima di iniziare, Jakob ha trasformato l'avido
interesse dei media per la sua famiglia in qualcosa che lo motivava.
"La verità è, è che lui è come un grosso elefante che circola nella mia
stanza, così come lo è per tante altre persone."
E mentre Bob ha coltivato un'immagine pubblica come il trovatore con il
cuore di pietra, Jakob insiste che invece Bob è sempre stato coerente con
lui.
"Era affettuoso," dice. "Quando ero un ragazzino, era un dio per me. Lo dico
come qualsiasi ragazzo che ammirava il suo papà e ha avuto un grande
rapporto con lui. Non ha mai perso una sola partita di campionato della
scuola che ho giocato. Ha raccolto ogni palla di home-run che io abbia mai
colpito. Ed è ancora molto affezionato a me. "
E per un uomo come Bob Dylan, che ha prodotto una musica molto influenzante
nel corso degli ultimi 40 anni, è forse inevitabile che ci siano punti in
cui avrà sentito un pò di se stesso nel songwriting del figlio.
Ma quando si parla di questo Jakob è irremovibile, lui non scrive mai per
compiacere il padre.
"Io penso che ci sono alcune cose che lui possa riconoscere", dice Jakob. "E
lui le può apprezzare un pò più di altri. Sono abbastanza realista per
sapere che alcune cose che ho fatto non sono necessariamente il genere di
musica che funziona sempre.
"Ma io sono sempre emozionato se lui ascolta la mia musica, ed è sempre
incoraggiante, lo è sempre stato".
Si ha la sensazione che il nuovo album di Jakob sia qualcosa che suo padre
approverebbe. Women and Country è, dopo tutto, un bellissimo disco ricco di
grandi melodie e testi fortemente riflessivi.
E' il seguito del 2008 nel modo di vedere le cose, che è venuto dopo un paio
di album di successo con The Wallflowers negli anni '90. E Jakob insiste
nell’affermare che per lui è stato il conseguimento di una sensazione senza
tempo.
"Non voglio sembrare retrò," dice, "ma io non voglio scrivere per l’attuale,
voglio solo scrivere qualcosa che suoni bene anche fra dieci anni. "E’ più
facile dirlo che farlo, ma è necessario essere in grado di tirare fuori
anche questo lato del songwriting."
Certo, avere uno dei più grandi cantautori viventi del pianeta in famiglia
ha i suoi vantaggi.
"Sarebbe sciocco fingere non ci sono somiglianze," dice. "Ci sono molti
autori che non si può dire che non danno forma alla loro vita creativa. Da
adolescente, ho seguito il pop-rock inglese per poi scoprire che erano tutti
fan di papà. Lui ha toccato tutti gli stili di musica."
Ma ci sono anche altri paragoni musicali, con cantautori come Elvis
Costello, John Prine e persino Tom Waits.
Ma mentre suo padre era la voce del movimento folk, Jakob ha sfruttato l’
energia del punk. "Sarebbe una forzatura dire la mia musica non chiami in
causa il mio stile di vita", ammette. "Non c'è nessun segreto su come è la
mia vita".
Così cita artisti del calibro di The Clash che vivono la loro vita come una
ispirazione di massa. Ancora oggi suona ancora una chitarra Fender
Telecaster in omaggio a Joe Strummer.
"Sono cresciuto nei primi anni 80 ed è stato un bel momento, alcuni di
questi gruppi sono stati molto popolari, ma anche in realtà molto bravi",
ricorda. "Ero lì al momento giusto. E' stato un periodo esaltante”.
Di ritorno in California dopo aver lasciato il college a
New York, Jakob ha formato The Wallflowers. Il loro debutto è stato epico,
il loro secondo album “Bringing Down the Horse” vendette sei milioni di
copie in tutto il mondo. Nel 1998, The Wallflowers hanno vinto due Grammy
per la Migliore Canzone Rock e la Migliore Rock Band Performance nella
stessa notte in cui l' album di Bob “Time Out Of Mind” ha vinto la categoria
“Album Of The Year”.
Dopo le mega-vendite con la band, Jakob ha deciso di fare da solo proprio
due anni fa.
"L'idea per il primo album è nata dalla frustrazione," dice "e realmente non
avevo un’idea chiara su chi volevo a suonare con me", ammette. "Sono giunto
alla conclusione che forse semplicemente non dovevo cercare nessun tipo di
suono, dovevano essere solo le canzoni e basta."
Questa volta, Jakob ha voluto ampliare i suoi orizzonti con l’aiuto di
T-Bone Burnett - che aveva anche lavorato con The Wallflowers. Burnett fa
parte della aristocrazia musicale degli Stati Uniti, dopo aver scritto,
prodotto e suonato per tutta una serie di nomi stellari tra cui Bob Dylan,
Roy Orbison, Tony Bennett e Emmylou Harris.
T-Bone ha visto crescere Jakob, essendo stato in tour con Bob per la sua
ormai leggendaria tournée 1975-1976 Rolling Thunder Revue.
Jakob dice di ricordarsi poco di quel tempo, ma da allora ha visto le sue
foto da piccolo che dormiva a fianco del palco. "E' stata una corsa
incredibile per tener d’occhio questo ragazzo da quando aveva cinque anni,"
dice T-Bone.
«L'ho guardato svilupparsi e continuare ostinatamente di fronte ad eventi
che un sacco di altra gente avrebbe detto “All’inferno tutto”. "Non posso
immaginare di dover fare grandi cose per seguirlo, il carattere di Jakob è
chiaramente definito ed è con successo accattivante, il che la dice lunga
anche su Bob come un padre. Non credo che Jakob abbia venduto un solo disco
solo perchè è il figlio di Bob. "
Jakob Dylan ha imparato alcune cose nei suoi ormai 20 anni di frequentazione
del settore della musica, ma c'è qualcosa che aveva ben imparato anche
prima, mantenere le sue ispirazioni vicino al cuore.
"Sono stato intorno alla musica da quando ero molto piccolo, quindi la mia
esperienza è iniziata solo quando ho iniziato a lavorare. Detto questo, non
c'è un manuale di regole per queste cose, faccio le cose che mi vengono in
mente, e un sacco di queste derivano dalla mia esperienza, e sì, lo so,
anche da un paio di altre cose che vengono da persone che conosco ma non
posso nominare".
"Non posso dirvi cosa sta succedendo dietro le quinte".
Mantenere le cose avvolte nel mistero, tale il padre, tale il figlio.
Ciao Mr. Tambourine,
in effetti, in relazione al discorso Dylan/Pooh,
anche io avevo subito pensato - leggendo del brano di ispirazione
dylaniana che i Pooh avevano pronto nel '67 (come da articolo citato da
Sandro Neri nel libro dedicato alla celebre band di Facchinetti e soci)
che potesse trattarsi di "Brennero '66", che tu citi.
Però ho scartato
l'ipotesi perchè quel brano era già stato scritto da Facchinetti e
Negrini appunto nel '66, mentre Neri parla chiaramente di un brano del
'67 o oltre, quindi una novità rispetto a "Brennero '66", che in
effetti in qualche modo sarebbe stata anche avvicinabile a certe
canzoni-denuncia del primo Dylan, visto che nel testo Negrini
raccontava la triste storia di un uomo ucciso in un episodio di
terrorismo in Alto Adige. A proposito, preciso che - a differenza di
quanto riportato nel trafiletto da te citato - "Brennero '66" non fu
scartata dai responsabili di San Remo per i capelli lunghi dei Pooh,
quanto perchè il testo di Negrini era appunto molto coraggioso nella
denuncia di un episodio così tragico e certo non in sintonia con il
Festival dei Fiori fatto di canzonette abbastanza innocue e
spensierate. Tanto è vero che poi il brano fu riutilizzato in seguito
per l'altra manifestazione canora similare, il Festival delle Rose, ma
Negrini fu praticamente costretto dalla casa discografica a modificare
il testo, attenuandone la denuncia diretta, riscrivendolo in gran parte
e puntando più sull'aspetto poetico che politico (e questa è la canzone
che poi i Pooh incisero nel loro album di esordio, "Per quelli come
noi", del periodo discografico che li vide legati alla Vedette di
Sciascia).
Resta dunque il mistero di quale sia il brano "dylaniano"
dei Pooh che a questo punto secondo quando riporta Neri dovrebbe
collocarsi tra il '67 e il '70, ovvero prima di "Opera Prima" (quarto
album della band e il primo dopo il passaggio dalla Vedette alla CGD).
Io ho un sospetto che potrebbe trattarsi di "Waterloo '70", altro brano
di denuncia (una protest song in un certo senso) a firma
Facchinetti/Negrini, con un testo molto drammatico in cui i Pooh
denunciavano la follia della guerra in una canzone in cui il
protagonista si ritrova con i suoi compagni a combattere "in un'alba
senza domani ... ma nessuno sa per chi". In un certo qual modo il brano
potrebbe avere reminiscenze di brani come "John Brown" e "Masters of
war", o di altri brani anti-militaristi dylaniani. Non ne sono però
convintissimo al cento per cento. Quindi resta valido il mio invito ad
indagare (se qualcuno magari ha contatti con Negrini o Facchinetti
potrebbe chiedere lumi?).
Ciao a tutti,
Michele "Napoleon in rags"
ps:
Ecco comunque il testo di "Waterloo '70"
WATERLOO '70
(Facchinetti/Negrini)
Nasce il giorno intorno a noi / chiaro è
l'orizzonte ormai / mille sguardi freddi e lontani / in un alba senza
domani.
Un minuto e poi / forse anche per noi solo il buio ci sarà.
Siam venuti fino qui / ma nessuno sa per chi / sembra tutto in un
incubo strano / ed il mondo sembra lontano.
Ma la realtà fredda tornerà
/ quando il cielo brucerà.
Ci han portati sopra le nuvole / poi ci
hanno gettati qui / dove i fiori muoiono subito / e nessuno chiede per
chi.
La mia casa sta laggiù / dove il cielo è sempre blu / dove il
vento canta di sera / la canzone di primavera / la mia donna è là e mi
aspetterà / finchè tutto finirà .
Ora il vento muove le nuvole / e le
porta via con sè / morte è la minaccia terribile / ma che cosa resta
di me?
L'erba presto crescerà / le rovine coprirà / e nasconderà gli
occhi stanchi / di fantasmi lividi e bianchi / ma non basterà
un'eternità / per scordare la verità.
Anche nella mia città / più
nessuno aspetterà / nel vento c'è una nuvola nera / che ha distrutto la
primavera...
E, per la cronaca, ecco anche il testo di "Brennero '66",
versione addolcita per essere accettata al Festival delle Rose dopo la
"censura" di San Remo.
BRENNERO '66 (Facchinetti/Negrini)
Ora non senti
nessuna voce fra gli echi della sera / Tanto ma tanto silenzio lì
intorno / non fa paura / si muore bene in silenzio.
E una campana tra i
monti racconta alla gente lontana / di te che sei morto per niente
lassù.
Nella tua casa di pietra bruciata / non han mai visto la neve.
Ora sul muro è rimasta soltanto quella tua foto / stringevi in mano il
fucile.
E una campana in paese racconta a una donna che piange / di
quel tuo fucile che non servì a niente.
T'hanno ammazzato quasi per
gioco / per dimostrare alla gente / che tra quei monti la voce del
tempo / degli uomini uccisi / non deve contare più niente.
E la campana
un po' triste che a te sembra tanto lontana / potrebbe tacere e
lasciare il silenzio per te.
Caro Napoleon, riporto la prima mail
dove poni la questione:
La mail di Michele Napoleon in rags
Ciao a tutti i Maggiesfarmers,
sto leggendo il bel libro di Sandro Neri dedicato ai Pooh, "Pooh. La grande
storia 1966-2006" pubblicato da Giunti (molto bello e che consiglio a tutti
gli appassionati di musica italiana). Nel capitolo del 1967 viene riportato
quanto segue:
"L'estate dell'amore è alle porte. Per la prima volta tutto il mondo si
trova sintonizzato sulle stesse frequenze, quelle di Sgt. Pepper's dei
Beatles. Il flower power, l'onda hippy arrivata dall'America, divide il beat
italiano. La "linea gialla" di Lucio Dalla, Luigi Tenco e Gianfranco
Reverberi, contro quella "verde" che ruota intorno a Mogol.
Ma intanto il primo obiettivo del nuovo anno (riferito ai Pooh, nota di
Napoleon) è arrivare a Sanremo, come i Pooh dichiarano pubblicamente.
"Abbiamo già pronto il pezzo. E' una canzone favolosa, assolutamente nuova.
Un genere a metà tra Bob Dylan e i fratelli Grimm. Adatto ai bambini grandi
e ai grandi bambini" (...)
C'è qualche super esperto dei Pooh in ascolto che è in grado di dirmi a
quale canzone si riferisce l'articolo?
Siete a conoscenza inoltre di altri collegamenti
Pooh/Dylan? A parte quelli a me già noti, tra cui Roby Facchinetti che più
volte interpretava "Like a rolling stone" e altri pezzi dylaniani negli anni
sessanta (in uno strano stile anglo-bergamasco, ricordo di
aver letto su varie biografie), o Red Canzian che tra i suoi dipinti (è
anche pittore) annovera anche un ritratto di Dylan, o naturalmente il
recente pezzo dei Pooh "La casa del sole", splendida cover di "House of the
rising sun". Fatemi sapere, grazie!
Ciao a tutti,
Michele "Napoleon in rags"
Per risolvere proverò a girare la domanda direttamente
ai Pooh, sperando che ci possano dare la risposta esatta :o)
Caro Spaceman..mi sembri che tu pecchi un pò di superbia
(senza offesa). Prima di tutto non ho detto che Saved è bello quanto Blood
on the tracks. Ho detto "addirittura" che lo preferisco. Ma l'ho detto a
nome mio...non come: "è così per me e deve essere così per tutti". Sono
anche io musicista e qualcosa di musica credo di capirne, ma con questo non
voglio convertire nessuno a ciò che penso. Quel che dico non è Vangelo ma
solo un' opinione, non è un "giudizio" come fa qualcuno, vero...?
Dici che Shot of love è brutto? Beh, ti rispondo che se in un album trovi
pezzi quali Every grain of sand, The groom's still waiting at the altar,
Lenny Bruce e Proprierty of Jesus andrei piano con certe affermazioni...può
non rientrare nei capolavori ok, puoi non condividerne le tematiche (come
anche in Saved) ma da qui a bollarlo "brutto" come ti sei permesso di fare
tu non mi pare molto democratico né di ampie vedute.
E' vero (e me ne ri-scuso per l'ennesima volta) che non amo Blood On The
Tracks se non tre o quattro episodi (nelle versioni live fra l' altro) ma
non mi sono mai permesso di dire che faccia schifo...se è piaciuto a molti
ci sarà un motivo..se a me non è piaciuto del tutto e mi annoia avrò il mio.
Quanto ai pettegolezzi del licenziamento di un cameriere, o che Dylan si
travesta da barbone o da donna per non farsi riconoscere, che certi
musicisti hanno "paura" di lui non credo siano cose che interessino alla
produzione dei suoi lavori o al pubblico. Sono cavoli suoi...ne risponderà
lui alla sua coscienza se sono vere o meno certe cose che si dicono.
Il mio parere su Under l'ho già espresso e credo che ci siano delle belle
canzoni in quell'album (a mio avviso almeno quattro o cinque), ma che non
sia un lavoro finito del tutto bene..colpa di Dylan o dei fratelli Was o
della Sony non me ne fotte..è un album così..una caduta dopo Oh Mercy dalla
quale Dylan si è rialzato da anni ormai pubblicando capolavori negli ultimi
tredici anni..da TOOM a Modern Times fino a TTL. Quindi può essere
abbondantemente perdonato.
Gli album che siano belli o brutti non possiamo essere noi a dirlo..ognuno
ha il suo parere ed il suo punto di vista..ci pensa la storia a promuoverli,
a bocciarli o a rivalutarli..
Basta con questo fare da bacchettoni, da sapienti e da dotti; se ci si
comporta così è inutile aprire "discussioni" se poi invece di esprimere
pareri "si danno "giudizi" con dita puntate come se fosse "verità assoluta".
Conosco gente a cui piace tantissimo Under come altri album di Bob presi a
calci o fatti uscire sotto contratto forzato, come Self Portrait o Real
Live..non è gente stupida o impreparata sull'argomento...è gente che con
quei lavori possono anche avere dei ricordi particolari e quindi sono legati
ad essi. Come chiunque di noi può avere con altri dischi o canzoni.
Ripeto...basta fare i saputelli...non si arriva a nessuna conclusione e si
rischia solo di aprire diatribe e mezzi litigi su un argomento a cui tutti
teniamo che risponde al nome di Bob Dylan. Che ne pensi Mr. Tambourine?
Daniele Ardemagni
Comimciamo dalla prima parte della tua
mail. Certamente ognuno di voi esprime la propria opinione senza voler
convincere nessuno, è solo e rimane la vostra opinione, valida per voi e
magari non per un altro. Le opinioni ed i gusti sono strettamente personali
e quindi non giudicabili da nessuno. Trovo inutile che vi scagliate
metaforicamente uno contro l’altro, anche se questo da più sapore alla
minestra ! Ognuno ha diritto di dire la sua e nessuno ha il diritto di
contestarlo, questo per un principio di libertà e civiltà che vorrei fosse
rispettato, anche se, lo ripeto, questi scambi di opinioni con attacchi
personali sono molto belli ed intriganti, ma ripeto ancora una volta, non
sono giustificabili. Devo anche compiacermi con tutti voi che finora avete
scritto perchè avete gestito le vostre diatribe con una buona dose di
civiltà senza mai cadere nel volgare o peggio negli insulti inutili.
L’argomento è il disco di Dylan "Under the red sky" ed ognuno può dire cosa
non gli piace e perchè senza per questo dover essere contestato. Le idee ci
stanno tutte, valide o meno, a seconda del metro di giudizio di ognuno di
noi, quindi continuiamo a parlare del disco e del lavoro di Dylan con tutti
i paragoni e le opinioni che vogliamo, ma evitiamo di commentare gli altrui
commenti, altrimenti si rischia di entrare in un circolo vizioso e non
uscirne più. Caro Emanuele, potrai non essere d’accordo con Mr. Spaceman,
con me, con tutti gli altri, ma che importa, tu esprimi la tua idea e gli
altri la loro. Questo non vuol essere un rimprovero per nessuno, serve solo
per chiarire che certe cose alla fine servono a poco ed escono dal seminato.
Il fatto della pretesa di licenziamento del cameriere di Aosta che ha
salutato Dylan incontrandolo nel corridoio è un fatto reale, di cronaca, che
interessa molte persone, molte più di quanto tu possa pensare, è un momento
della vita di Dylan, che può o meno contribuire a capire la sua intricata
personalità. Che si sia travestito da donna e da barbone è sacrosanta
verità, niente è inventato, ci sono tanto di fotografie a testimoniare
questi ed altri fatti dei quali oggi non abbiamo parlato ma dei quali
potremo parlare in futuro (per esempio: il famoso incidente in motocicletta
c’è stato o no ? Gerry Garcia ha detto che non c’è mai stato nessun
incidente, che Dylan si era solo ritirato dalla vita pubblica e dalle scene
per disintossicarsi, per ritrovar se stesso e per godersi in santa pace il
suo matrimonio con Sara che era stato celebrato da poco. Altre persone che
hanno frequentato Dylan in quel periodo dicono la stessa cosa , altre invece
giurerebbero sulla testa della loro madre che Dylan fu vittima di un
terribile e drammatico incidente che rischiò di paralizzarlo e che lo
sfigurò. Personalmente propendo per la versione di Garcia, mi sembra la più
logica ed aderente alla realtà dylaniana di quel periodo, ma potremmo
discuterne per mesi senza mai trovare un accordo, infatto sono 50 anni che
se ne discute ancora, ed ognuno rimane sempre sulle sue posizioni). Questo
per dire che tutto quello che riguarda Dylan interessa i fans, anche se la
cosa può dar fastidio come nel caso delle latrine puzzolenti dello scorso
anno. Tutto serve per cercare, e sottolineo cercare di capire come e da cosa
è costruito quell’enorme monumento che risponde al nome di Dylan.
Che i musicisti hanno paura di Dylan non è un’invenzione, la cosa fu
dichiarata da Tom Petty e confermata da Roger McGuinn, detta dalle loro
labbra: Quando Dylan entrava nella stanza nessuno poteva parlare se non
interpellato. Immaginati i poveri Freeman, Kimball, Recile ed Herron, sul
palco tremavano dal terrore, ad accezzione di Garnier che dopo oltre 2.000
concerti con Bob forse ci aveva fatto il callo, ma sapeva che doveva stare
zitto anche lui. Suonare per Dylan è certo un buon lavoro e penso anche
redditizzio, ma credo abbia insito la necessità di star zitto al momento
opportuno e di non parlare quando non sei stato interrogato. Non è un
mistero per nessuno che Dylan viaggia da solo, mangia da solo, dorme da solo
(forse), e vede i suoi musicisti solo sul palco per un breve sound check (e
non tutte le volte) e per lo show. Quest’anno con Sexton le cose sono un pò
cambiate, forse Dylan ha preso Charlie in simpatia e gli permettte cose che
ad altri non sono mai state concesse, con la conseguenza che c’è più spazio
anche per gli altri, infatti la resa della band quest’anno è molto diversa
da quella dell’anno scorso. Dylan stesso sembra coinvolto e non annoiato
come era evidente lo scorso anno, ed anche questo è un dato di fatto che
interessa moltissime persone, e se Dylan fa degli show noiosi, banali ed
improvvisati uno dietro l’altro come è successo l’anno scorso, alla fine
anche lui deve giustificarsi con suo pubblico, cioè noi, quelli che paghiamo
fior di quattrini per vederlo, infatti quest’anno le cose sono cambiate in
meglio, non sono ancora al livello che potrebbero facilmente raggiungere con
qualche piccolo altro accorgimento, per esempio un pianista ed un organista
che sappiano suonare davvero, altro esempio sarebbe quello di evitare di
fare assoli di chitarra come ogni tanto gli prende il bizzo di fare, Dylan
non è mai stato una lead guitar e sarebbe molto meglio che lasciasse questo
compito a chi sa eseguirlo come si deve.
Ti dirò inoltre che non è facile per un fan dylaniano, che sappiamo essere
coinvolto a volte fino al fanatismo o all’integralismo più becero, accettare
dischi di serie B da Dylan, per un fan Dylan è obbligato a dire cose sempre
intelligenti, sempre profetiche, a scrivere sempre testi altamente letterari
e sempre avanti nei tempi, le canzoni dovrebbero essere tutte all’altezza di
Like a rolling stone, Forever Young, The Times e via di questo passo. Lui
sbaglia spesso, (ogni tanto scrive cose come Wiggle Wiggle) perchè anche se
è un genio ha in lui anche una parte umana simile a noi, ha anche lui i suoi
cali, i suoi momenti no e le sue debolezze. Ma noi fans questo non lo
ammettiamo, lo rifiutiamo, non perdoniamo, critichiamo il più pesantemente
possibile con la più grande leggerezza. La verità sta sempre nel mezzo, a
volte sbaglia lui e a volte sbagliamo noi, ma è la vita, pensa che noia se
fossimo tutti perfetti o tutti scemi !
Trovo i tuoi scritti molto ben fatti, anche se qualche volta ti lasci
prendere la mano e sconfini, ma spero che continuerai a scrivere su Maggie’s
Farm. C’è una cosa finale che non mi trova in linea con te, TTL non è un
capolavoro, è, nel metro-Dylan, un album in stile minore come tanti altri,
così come di Blonde on Blonde c’è ne solo uno e basta. Dylan ha fatto altri
capolavori nella sua carriera, ma nessuno all’altezza di Blonde. Almeno
questa è la mia opinione, contestabilissima da tutti, ma resta sempre la mia
opinione. :o)
Mr.Tambourine
Il 29 luglio 1966, Bob Dylan ebbe un incidente motociclistico. Oltre a
questo, non sappiamo esattamente cosa sia accaduto quel giorno.
Ci sono molti che hanno speculato. Ci sono anche persone che affermano di
sapere cosa è successo. Ma poiché questo si è verificato nei giorni prima di
Internet e TMZ, gli eventi effettivi sono rimasti avvolti nel mistero per
decenni. Dylan ha sempre sostenuto di aver avuto diverse vertebre rotte, ed
è stato visto indossare un collare dopo l'incidente.
Quello che sappiamo è che a quel tempo la salute di Dylan sembrava avere un
gran deteriorioramento, e il suo carico di lavoro era sempre più intenso. L’
"incidente" era una scusa che ha permesso a Dylan di porre fine a tutto.
Nessuna apparizione in televisione, nessun libro, nessun tour. Si era preso
il suo tempo per pensare, raggruppare, e trascorrere il tempo con la sua
famiglia.
Da allora, molti si sono chiesti circa la reale portata dell'incidente, e le
ragioni possibili per fare sembrare che fosse stato anche peggio. Mentre ci
sono state molte teorie contrarie
http://www.earthtimes.org/articles/news/208993,bob-dylan-had-no-motorcycle-accident-says-dutch-artist.html,
Howard Sounes, nel suo libro, Down The Highway (Grove Press), ha fatto del
suo meglio per studiare tutte le possibilità
http://www.americanheritage.com/articles/web/20060729-bob-dylan-motorcycle-woodstock-methamphetamine-robert-shelton-howard-sounes-ed-thaler.shtml
. Ha scritto che Dylan aveva parlato col suo manager, Albert Grossman, in
Bearsville, New York, nel luglio 1966. Dylan procedeva sulla sua moto,
seguito in auto dalla moglie Sara. La maggior parte delle persone sulla
scena sono d'accordo che c'è stato un incidente. Egli non è stato ricoverato
in un ospedale vicino, ma spinto al suo medico, Ed Thaler, a 50 miglia di
distanza, a Middleton. Egli passò la convalescenza a casa Thaler per sei
settimane, anche se è non è mai stato chiaro quando questo soggiorno sia
effettivamente iniziato. Thaler, e Dylan, insistono sul fatto che non era
una farsa per disintossicarsi. Quando il regista cinematografico di Dylan,
D.A. Pennebaker, è andato a visitare Dylan nel mese di agosto ", egli non
sembrava essere stato coinvolto in un incidente."
DYLAN: Cosa è cambiato? Beh, è ... mi ha limitato. E' difficile parlare del
cambiamento, sapete? Non è il tipo di modifica che si può esprimere a parole
... Oltre al cambiamento fisico. Ho avuto alcune vertebre sballate; le
vertebre del collo. E c'è davvero poco di cui parlare. Non voglio parlarne.
Così alla fine, ho avuto il mio incidente di moto, che mi ha tenuto lontano
da tutta la altre cose, ma non mi importava più di esse.
-------------
PLAYBOY 1978
: L'incidente motociclistico nel 1966 ha qualche relazione con la tua
sparizione e il tuo bisogno di rilassarti?
Dylan: Beh, ora stai saltando indietro nel tempo .... Cosa stavo facendo?
Non lo so. Ma è venuto il tempo. E' stato quando ho avuto l'incidente di
moto? Beh, tenevo un andazzo piuttosto difficile e non avrei potuto
continuare a vivere in quelo modo molto più a lungo. Il fatto che l'ho fatta
ad uscirne è stato abbastanza miracoloso. Ma, sai, a volte hai delle cosew
troppo vicine e devi allontanarti per essere in grado di vederle. E qualcosa
di simile è accaduto a me in quel momento.
---------------
DYLAN, 1984 : Quando ho avuto questo incidente di moto ... Mi sono
svegliato ed analizzato i miei sensi, mi sono accorto che stavo solo
lavorando solo per tutte quelle sanguisughe. E io non volevo farlo. Inoltre,
avevo una famiglia e volevo solo stare con i miei figli.
---------------
Dylan, sulla rivista Spin
Magazine, dicembre 1985 : Nel 1966 ho avuto un incidente con la moto che
si è concluso con diverse vertebre rotte e una commozione cerebrale. Che mi
ha messo “fuori” per un pò. Non potevo continuare a fare quello che facevo.
Ero abbastanza al limite prima di tale incidente. E quesslo mi mise così giù
che ho potuto vedere le cose in una prospettiva migliore. Prima non avevo un
qualsiasi tipo di prospettiva. Io probabilmente sarei morto se avessi
continuato a vivere come stavo facendo.
-----------
Iintervista su Esquire con Sam Shepard : E' stato la mattina presto
sulla cima di una collina vicino a Woodstock. Non mi ricordo nemmeno come
sia successo. Sono stato accecato dal sole per un secondo. . . . Mi è
capitato di guardare verso il sole con entrambi gli occhi e sono rimasto
cieco per un secondo e mi ha preso il panico o qualcosa del genere. Ho
calcato il piede sul freno e la ruota posteriore si è bloccata e sono
trovato per aria che volavo.
---------------
In una conferenza stampadel 1965 a San Francisco, a Dylan è stato chiesto il
simbolismo della moto nel suo songwriting e sulle copertine degli album.
Potete vedere la sua risposta qui sotto, a partire dal minuto 1:29:
Harold Lepidus, "Bob Dylan Examiner"
http://www.examiner.com/x-21829-Bob-Dylan-Examiner~y2010m7d30-Dylans-back-pages--How-bad-was-that-motorcycle-accident-on-July-29-1966-?cid=examiner-email
Accadde ieri - 1 Agosto 1971 - The Concert for
Bangladesh
Quando Dylan suonò con George Harrison - di Salvatore
"Eagle"
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Concert For Bangladesh
Il Pakistan è uno strano Paese, diviso in due parti che
distano fra loro migliaia di chilometri e che sono profondamente diverse per
razza, cultura e lingua. Sono due isole islamiche separate dall'India indù;
una parte occidentale più ricca e importante e una orientale, il Bangladesh,
sempre trascurata e povera. Nel 1969 sembrò che la storia cambiasse, con
elezioni democratiche che segnarono il riscatto delle popolazioni orientali.
Ma il regime del Pakistan Occidentale rifiutò l'esito delle consultazioni e
scatenò una guerra civile per mantenere il potere. Nessuno ha mai conosciuto
le vere cifre di quei giorni; si parla di milioni di morti e di un numero
ancora maggiore di profughi che dal Bangladesh fuggirono verso l'India per
scampare alle persecuzioni. Di quella tragedia in Occidente arrivò solo
l'eco ma qualcuno fece in modo che se ne sapesse di più; Ravi Shankar, per
esempio, originario del Bengala, profondamente toccato dalle storie di
violenza e miseria che amici e parenti gli raccontarono in quei giorni
drammatici per averle viste con i loro stessi occhi. Shankar si propose di
aiutare quei milioni di disperati in fuga usando la sua autorità di stimato
maestro; e per fare le cose al meglio, coinvolse l'amico George Harrison,
suo discepolo e guru ancora molto ascoltato dalla comunità rock. Siamo nella
primavera 1971, i Beatles si sono sciolti da un anno ma il loro fantasma
continua ad aleggiare. Harrison ha pubblicato da poco un album epocale, il
triplo All Things Must Pass, arrivando al primo posto delle classifiche con
una canzone che sarà la sua gioia e il suo tormento, My Sweet Lord. Il
racconto dell'amico lo impressiona, la sua musica e la sua fama gli paiono
armi che vale la pena di usare per una battaglia di civiltà. Decide di
organizzare un concerto per aiutare i profughi e di farlo a New York, al
Madison Square Garden, coinvolgendo gli amici che ci staranno. Shankar spera
di raccogliere 25mila sterline per fornire aiuti, Harrison scommette su
qualcosa di più - «i Beatles erano stati abituati a pensare che, se devi
fare una cosa, la devi fare in grande - perché non puntare allora a
raccogliere un milione di dollari?». Alla fine i milioni di dollari saranno
più d'uno, anche se con i tristi fastidi che vedremo. «Passai tre mesi a
telefonare a tutti quelli che conoscevo. Volevo che fosse un concerto unico
nel suo genere, indimenticabile». Harrison si spende con generosità e ha
successo. Coinvolge l'amico Eric Clapton, il fratello Beatle Ringo Starr, i
quasi Beatles Billy Preston e Klaus Voorman e i nuovi amici americani Jim
Keltner e Leon Russell - saranno il nucleo della backing band. Riesce a
tirare dalla sua Bob Dylan, l'elusivo Dylan che ancora non ha deciso cosa
farà da grande e negli ultimi cinque anni ha tenuto un solo show vero e
proprio, all'Isola di Wight. Il signor D ci pensa, indugia, tentenna ma alla
fine ci sarà, e sarà l'attrazione principale. Quasi tutto riesce a George.
Il «quasi» si chiama John Lennon, il vecchio compagno con cui è rimasto in
buoni rapporti che però sta attraversando uno dei periodi più polemici e
inquieti della sua esistenza. John sarebbe anche disposto a partecipare ma
vuole farlo con Yoko Ono, insostituibile partner di quei giorni. George è
perplesso, si oppone, cerca di convincerlo a presentarsi da solo. La
discussione va per le lunghe. Non se ne farà nulla. George e i suoi amici
salgono sul palco del Madison Square Garden il pomeriggio di domenica 1
agosto 1971 e poche ore dopo tengono un secondo spettacolo, com'è abitudine
a quei tempi - matinée e serata. I biglietti sono andati a ruba, ci sono i
bagarini ad attendere 20mila persone a ogni show («e neanche un poliziotto»,
proclama fiero il manager Allen Klein giurando sulle buone vibrazioni della
giornata). È un evento, un «devo esserci» ma anche un'occasione di buona
musica, con l'inizio mesmerico di Ravi Shankar con sitar e piccolo ensemble
e poi lo show di Harrison & Friends, e alla fine Bob Dylan. I quarantamila
si divertono e con loro i milioni che acquisteranno il triplo disco che
uscirà mesi dopo, attirati da quella compagnia di all stars. Non tutto
riesce bene, e oggi viene da essere anche più severi, con la polvere del
tempo; ma come non intenerirsi davanti a George che apre il suo cuore più
melodico (Something, Beware Of Darkness) e chiede aiuto a Clapton per una
replica dal vivo di While My Guitar Gently Weeps, il gioiello del Doppio
Bianco? Anche quella è novità, emozione, le canzoni dei Beatles dopo
Candlestick Park che volano via dai giradischi, atterrano su un palco,
assumono nuovi colori. Gli amici sono bravi e intraprendenti. Ringo canta It
Don't Come Easy, Leon Russell si lancia in una Jumpin' Jack Flash degna di
Mad Dog & The Englishmen. Non sono più gli anni Sessanta, c'è un'aria dolce
e incerta di pop, rock, country senza la smania di ricerca di qualche anno
prima; e soffia forte un vento d'America, anche se il padrone di casa è
inglese e parla, forse per emozione o per orgoglio, con un accento
spiccatamente Mersey. Arriva Dylan, e fino all'ultimo è stato un giallo.
«Avevo questa scaletta per sommi capi, e dopo Here Comes The Sun c'era solo
l'indicazione Bob, con un punto interrogativo. E quando arrivai a quel
momento dello show mi girai a guardare se c'era davvero, perché la sera
prima si era agitato, aveva visto tutte le telecamere e microfoni in quello
spazio immenso e aveva detto: ‘Senti amico, non è il mio posto. Non posso
farlo. Devo tornare a Long Island, ho un sacco di affari da sbrigare.' E
invece, quando mi voltai stava già entrando in scena, tutto nervoso, con la
sua armonica e la chitarra. Era una situazione tipo ‘ora o mai più', e
dunque annunciai: ‘Sono contento di avere portato qui un amico di noi
tutti... Mister Bob Dylan'». Dylan è in un momento della sua carriera un po'
così: New Morning, Watching The River Flow, i trent'anni appena compiuti.
Nelle prove prima dello show, George gli ha chiesto se possibile di suonare
qualche canzone vecchia delle sue, tipo Blowin' In The Wind, e lui si è
inalberato: Perché, tu farai I Wanna Hold Your Hand? In scena però si placa,
è gentile, concentrato, e così disponibile da proporre non solo il vecchio
inno ma tutto un repertorio di classici: A Hard Rain's Gonna Fall, It Takes
A Lot To Laugh, Blowin' In The Wind, Mr. Tambourine Man, Just Like A Woman.
Li canta spostando un po' gli originali, inaugurando la serie delle
riletture che con gli anni diventerà lunghissima - Mr. Tambourine spazzolata
da un vento della prateria, Just Like A Woman e Blowin' In The Wind con
piglio cowboyesco; ma le canta con la sua voce vera, vivaddio!, quel naso &
gola & cuore che aveva marchiato l'immaginario degli anni 60 e con gli anni
60 era volato via, dalle parti di Nashville Skyline. Ne viene uno show non
perfetto ma prezioso, da tenersi stretti; anche perché passeranno altri anni
prima che Dylan decida di ritornare, questa volta regolarmente, sulle scene.
Harrison chiude il concerto con una commossa Bangladesh scritta per
l'occasione, poi affida quella giornata al marketing. Uscirà un disco
triplo, vendutissimo, e un film che in quegli ingenui giorni sazierà la fame
di tanti appassionati rock specie nelle province più lontane, come la
nostra. Oggi mettono disco e film sullo stesso piano, circonfusi di gloria e
storia, ma non è proprio così. George amava l'album e molto meno quello che
uscì nei cinema, frutto di un progetto che considerava inaccurato. Lo scrive
a chiare lettere nell'autobiografia di I, Me Mine, se qualcuno si prende la
briga di andarsela a leggere (da qualche tempo è disponibile anche in
traduzione italiana, pubblicata da RCS Libri Illustrati). «Quelli di Allen
Klein girarono il film e il film non fu fatto bene. Dopo il primo concerto
scendemmo dal palco che eravamo quasi fritti dai grandi riflettori bianchi.
Le luci del palco non si erano viste per nulla. Domandai al tecnico delle
luci cosa fosse accaduto, e lui rispose che gli avevano detto di tenere
accese le luci bianche, e uno di loro disse: ‘Ma no, non abbiamo bisogno di
quelle luci per girare il film', ma dentro di sé pensava: ‘Ah ah, ormai
comunque lo abbiamo girato, adesso per il secondo spettacolo possono anche
usare le luci colorate'. Il secondo spettacolo è stato a mio avviso
migliore. Le luci erano molto belle però il film non ‘venne fuori'. La
cinepresa al centro sul fondo del Madison Square Garden girò una pellicola
completamente buia, con solo una puntina di luce al centro, e non si vedeva
niente. Un'altra cinepresa, sistemata a metà dell'edificio, sulla destra,
era difettosa. Sulla sinistra, a metà, c'era una terza cinepresa, che aveva
dei grossi cavi elettrici che pendevano davanti all'obiettivo, e rimasero lì
per tutta la durata del concerto, Così ci restavano soltanto la cinepresa
nella buca dell'orchestra di fronte al palco e quella a mano, che però non
aveva la sincronizzazione fra immagine e suono. Il film che potete vedere è
il risultato di un sacco di manipolazioni. Per esempio la mia prima canzone,
Wah Wah, nel film è il risultato dell'edizione di dodici tagli di montaggio.
Tre di questi sono veri, gli altri nove finti. Abbiamo dovuto mettere
insieme riprese diverse da postazioni diverse. Abbiamo dovuto selezionare
parti di inquadrature di alcune riprese e poi ingrandirle, con il risultato
che appaiono molto sgranate - una cosa stupida da farsi. E ci sono altre
cose che sono andate storte». Ma i fastidi del film sono nulla rispetto alla
lite con il fisco che nascerà da quel concerto. Gli agenti americani non
riconosceranno mai la natura benefica dell'evento e i proventi dello show,
del disco e del film resteranno congelati su un conto bancario per anni, in
un turbinio di ricorsi, citazioni, interventi legali: una cifra fra gli otto
e i dieci milioni di dollari. Sarà una delle grandi amarezze della vita di
Harrison, insieme alla memorabile causa per il plagio di My Sweet Lord
affrontata in quello stesso periodo. Ma quello che alla fine importa è che
il nobile Beatle riuscì nel suo intento, «suscitare molta attenzione sul
Bangladesh, a far circolare la notizia», e per usare sempre la viva voce di
George nell'autobiografia (siamo alla fine degli anni Settanta), «ancora
oggi mi capita di incontrare camerieri in ristoranti bengalesi che mi
dicono: ‘Oh, lei, signor Harrison! Quando eravamo nella giungla a combattere
era bello sapere che qualcuno là fuori si stava preoccupando per noi». The
Concert For Bangladesh, il disco, in origine era un triplo vinile in una
elegante scatola, con un fascicolo ricco di illustrazioni. Ora è diventato
un boxettino tascabile di due cd dove tutto è in miniatura. Ci sono i brani
dell'originale, remixati, più un inedito: una Love Minus Zero/No Limit di
Dylan dal concerto pomeridiano. Anche il film ha subito un restauro e ora
viene proposto in doppio dvd (Warner Music Vision). Nel primo disco c'è il
film di Saul Swimmer che spopolò nei cinerock degli anni 70. Nel secondo
tutta una serie di special features piuttosto interessanti: un documentario
rievocativo dei protagonisti (anche George, intervistato prima della morte),
rare immagini dalle prove, dal soundcheck e dal concerto pomeridiano, e una
serie di brevi inserti vari fra cui due sul "making" del film e dell'album.
(riccardo bertoncelli) George Harrison & Friends - Concert For Bangladesh
(Epic, 2CD) ***½
(Fonte:
http://delrock.it/album/0/concert_for_bangladesh.php)
The Concert for Bangladesh - George Harrison & Friends
Il concerto per il Bangladesh ha segnato un'epoca. E'
stato il primo esempio noto globalmente di concerto organizzato per
raccogliere fondi a scopo benefico. Era il 1 agosto 1971, e in quel periodo
il giovane stato asiatico stava vivendo momenti drammatici. Già conosciuto
con il nome di Pakistan orientale, aveva deciso di diventare indipendente
dal governo di Islamabad che scatenò un conflitto. L'India corse in aiuto
della nuova nazione, ma ovviamente della guerra ne fece le spese la
popolazione civile. George Harrison, svincolato dall'esperienza Beatles,
raccolse con sé grandi stelle della musica sul palco del Madison Square
Garden di New York. Non c'era ancora la strada della televisione via
satellite come nel recente caso del Live 8, a raccontare l'evento in tutto
il mondo. Però c'era il cinema e presto il grande schermo celebrò, grazie
alla regia di Saul Swimmer, il concerto che uscì poi in triplo vinile e
doppia audiocassetta. Ovvio che nella riscoperta attuale (benemerita) di
materiale da riversare su Dvd ecco che non poteva mancare anche questo
grande evento.
George Harrison al concerto per il Bangladesh
Esiste anche il doppio Cd rimasterizzato, ma l'immagine è sicuramente più
importante nel caso di un concerto come il Bangla Desh. Perche è bello
vedere come iniziò: sul palco salì un uomo indiano dalla piccola statura,
sempre sorridente, di nome Ravi Shankar. Suonava uno strumento a molti
sconosciuto, il sitar, complicato e affascinante nel suono e nella forma.
Eppure il mondo della musica popolare e del rock'n'roll aveva già iniziato a
conoscerlo come ispiratore di alcune atmosfere dei Beatles (soprattutto del
già citato Harrison) e per la partecipazione al Festival di Monterrey,
precedente alla grande kermesse di Woodstock. Shankar, nella prima facciata
in vinile del triplo album, presentò un lungo brano chiamato Bangla Duhn.
Grazie a questa partecipazione, la musica indiana e l'arte di Shankar
iniziarono a fare breccia nel pubblico e in tanti artisti che vollero
collaborare con lui: da Yehudi Menhuin a Philip Glass, Jean-Pierre Rampal e
tanti altri. Poi i musicisti come Billy Preston, solista in That's the way
God planned it, Eric Clapton, Leon Russell, Ringo Starr, Klaus Voorman al
basso, Jesse Ed Davis alla chitarra, il gruppo Badfinger, la sezione fiati
diretta da Jim Horn. E poi Bob Dylan, segnando un momento particolare di un
evento già di per sé memorabile. L'arrivo di Dylan cambiò tutto, almeno per
i brani che lo videro protagonista. Abbandonò il pianoforte per imbracciare
il basso (così come faceva nella band di immortalata in Mad dogs &
Englishmen), Ringo Starr scese dalla batteria e prese in mano il tamburello.
Harrison restò come chitarra solista accanto a Dylan, chitarra acustica,
armonica e inconfondibile voce. Bene, a questo puntro troviamo subito un
grosso, enorme difetto: l'assenza di Mr.Tambourine Man. Non solo per la
riconosciuta bellezza del brano, ma proprio perché nel film aveva un suo
ruolo importante grazie anche al boato del pubblico che già in precedenza
aveva accolto con entusiasmo Blowin' in the Wind. Non è certo l'inclusione
di Love Minus Zero/No Limit (uno dei tre brani inediti del secondo Dvd, con
il quartetto ricordato in precedenza) a poterci consolare. Ovvio che
salutiamo con favore invece la riproposta della conferenza stampa le
testimonianze (il Leon Russel di oggi è tutto da vedere, i capelli e la
barba ci sono sempre: bianchissimi), gli inserti con la lavorazione del
film. Ma soprattutto il concerto non ha assolutamente perduto il suo
fascino: come se la pellicola fosse il ritratto di Dorian Gray. Per quanto
riguarda l'edizione de luxe completano la confezione un bel libretto con
foto del concerto, alcune cartoline con il logo The George Harrison fund for
Unicef, la riproduzione delle parole di Bangladesh e del manifesto
originale.
George Harrison ha sempre sostenuto di essere nato un
giorno prima della data di nascita che gli è sempre stata attribuita, e cioè
il 24 febbraio. In realtà, questa affermazione è stata in un certo senso
sconfessata dalla sorella Louise, secondo la quale la loro madre scrisse sul
proprio diario che George venne alla luce dieci minuti dopo la mezzanotte
del 25 febbraio.
Cresciuto in una famiglia operaia (il padre era un autista di autobus),
George era il più piccolo e timido di quattro figli. Molto presto la madre
si accorse della sua passione per le chitarre (le disegnava sui quaderni
scolastici) ed acconsentì a comprargliene una di seconda mano al porto di
Liverpool. Era una Gretsch modello "Duo Jet" da cui George non si sarebbe
mai più separato e che, molti anni dopo, avrebbe mostrato orgogliosamente
sulla copertina dell'album Cloud Nine (1987).
George imparò a suonare quando era adolescente, nel
periodo dello skiffle, vale a dire nella seconda metà degli anni cinquanta.
Nel 1956 fondò assieme al fratello maggiore e ad alcuni amici il gruppo
dilettantistico dei "Rebels". Poco dopo, nel 1958, il compagno di scuola
Paul McCartney, notato il suo talento, lo presentò a John Lennon, che aveva
fondato il gruppo dei Quarrymen. Vista la giovane età (appena quindici anni)
Lennon, che era il leader del gruppo, non lo accettò subito ma ritenne la
sua bravura indispensabile per la crescita musicale del complesso. George
iniziò quindi a seguire i Quarrymen, suonando sporadicamente la chitarra
quando era assente il chitarrista ufficiale, fino a diventarlo a tutti gli
effetti nel 1959, poco prima che il gruppo cambiasse il nome in Beatles.
Nel corso del primo ingaggio ufficiale dei Beatles nel 1960 ad Amburgo, è
rimasto celebre l'episodio legato al suo rimpatrio forzato in Inghilterra in
quanto ancora minorenne e non autorizzato al lavoro.
Il ruolo nei Beatles
All'interno del gruppo Harrison ricoprì un ruolo non certamente marginale,
come accompagnatore ai più prolifici e quotati colleghi Lennon & McCartney.
Per i primi anni le sue prove compositive non furono frequenti, tuttavia, la
sua voglia di smuovere i ritmi poveri dello skiffle e di dare alla chitarra
un ruolo più predominante nei fraseggi del rock furono fondamentali per
l'evoluzione musicale del complesso.
La prima composizione firmata da Harrison come compositore individuale fu
Don't Bother Me, inclusa nell'album With The Beatles (1963), poiché la
strumentale Cry for a shadow, risalente ai tempi di Amburgo, era co-firmata
insieme a Lennon. George prese quindi coraggio e continuò a scrivere: altre
sue canzoni da ricordare sono I Need You, If I needed Someone (entrambe del
1965), Taxman e I Want To Tell You (1966),segni evidenti della sua crescita
musicale e della graduale emersione del suo talento. Tra l'altro, nel 1964,
sul set del film A Hard Day's Night, George conobbe la modella Patty Boyd: i
due si sposarono all'inizio del 1966.
A partire dal 1965 Harrison iniziò a cercare una propria identità musicale
al di fuori del contesto dei Beatles. Conobbe il maestro indiano Ravi
Shankar, con il quale iniziò a studiare ed a suonare il sitar. Il suo
interesse per l'Oriente lo portò quindi ad abbracciare, più dei compagni,
musica e religione indiana. Successivamente, tracce evidenti di questo suo
interesse sarebbero affiorate in molte canzoni, sia con i Beatles sia come
solista. Harrison fu tra i primi ad innestare strumenti orientali nel rock,
e durante la permanenza con i Fab Four, suonò il sitar nelle canzoni
Norwegian Wood (This Bird Has Flown) (1965), Love You To (1966), Within You,
Without You (1967) e The Inner Light (1968), le cui basi musicali vennero
incise interamente a Bombay da musicisti del luogo. I frequenti soggiorni in
India comportarono per lui diversi viaggi, nei quali presto non fu più
seguito dagli altri tre Beatles.
Nel secondo periodo di attività dei Beatles Harrison assunse un ruolo di
primo piano, sia come chitarrista, affinando uno stile di chitarra
inconfondibile, sia come autore originale ed intenso di alcune splendide
canzoni come While My Guitar Gently Weeps (1968), Here Comes The Sun e
Something (entrambe del 1969), quest'ultima suo personale capolavoro, la
seconda delle canzoni dei Beatles più incise da altri cantanti[senza fonte].
Divenne inoltre un importante riferimento per molti chitarristi dell'epoca.
Il suo talento non tardò a farsi sentire, benché fosse fortemente limitato
da Lennon e McCartney che verso di lui mostrarono sempre l'atteggiamento di
chi è più grande. Il carattere schivo ed introverso non gli consentì di
ottenere il giusto spazio all'interno del gruppo. Questa situazione fu per
lui motivo di frustrazione ma anche stimolo competitivo.
Considerato da sempre, alcune volte a torto, "il terzo" dei Beatles, in
qualità di autore e produttore Harrison fu in realtà molto più attivo di
quanto si creda. Alla fine degli anni Sessanta furono infatti numerose le
sue produzioni per la Apple a favore di artisti come i Badfinger, Billy
Preston, Jackie Lomax e Radha Krishna Temple. Desideroso di intraprendere
progetti individuali e sempre incline alla sperimentazione musicale, in quel
periodo Harrison si cimentò inoltre, per l'etichetta sperimentale Zapple, in
musica d'avanguardia per film con Wonderwall Music (1968), colonna sonora di
sapore orientale e con Electronic Sound (1969), un esperimento non troppo
riuscito di musica elettronica.
L'esordio come solista
Quando i Beatles si sciolsero Harrison aveva solo ventisette anni. Aveva
comunque trovato la sua identità musicale ed era pronto per iniziare la
carriera solista. Il vero e proprio esordio avvenne con All Things Must Pass
(1970), un album ambizioso e di grossa mole in cui poté mettere pienamente
in luce la maturità artistica raggiunta. Il disco è triplo, co-prodotto con
Phil Spector e registrato con Eric Clapton e Dave Mason, ed è unanimemente
considerato il suo capolavoro. Quando uscì sorprese notevolmente la critica,
che aveva sottovalutato per lungo tempo il talento del chitarrista ed
ottenne un notevole successo di pubblico, arrivando a vendere la
sorprendente quantità di circa sei milioni di copie in tutto il mondo, di
cui circa la metà negli Stati Uniti. Il pezzo forte dell'album era il
singolo My Sweet Lord, brano di enorme successo più tardi accusato di plagio
per avere la melodia troppo simile a quella di He's So Fine, un successo
delle Chiffons risalente ai primi anni sessanta.
La causa di plagio tra My Sweet Lord e He's So Fine è senza dubbio una delle
più lunghe e controverse che si ricordino. Arrivò in tribunale nel 1976, ben
cinque anni dopo la denuncia, e terminò inizialmente con una sentenza
secondo cui Harrison aveva inconsciamente plagiato la canzone quando questi
insistette che gli venne spontanea. Harrison fu per questo accusato di
"plagio inconsapevole" e gli venne comminata una multa di oltre 1.600.000
dollari. Il fatto più sconcertante per lui fu che la canzone che gli diede
maggiore successo gli fece conoscere anche l'onta del tribunale. In seguito
si scoprì, però, che il suo manager di allora Allen Klein faceva il doppio
gioco, "comprando" il caso e cercando di acquistare per sé i diritti di He's
So Fine. In questo modo, Harrison avrebbe dovuto pagare la multa
comminatagli dal giudice al suo ex-manager. Di conseguenza, fu intentata
un'altra causa, che terminò nel 1990 con la cessione ad Harrison dei diritti
della canzone plagiata nei mercati più importanti dietro il pagamento delle
sole spese che Klein sostenne, pari a 576.000 dollari.
Il concerto per il Bangladesh
Nell'estate del 1971, rispondendo ad un invito di Ravi Shankar, Harrison
organizzò in prima persona il celebre Concerto per il Bangladesh, iniziativa
benefica a favore delle popolazioni di profughi dalla guerra civile tra
India e Pakistan che portò alla costituzione dello stato del Bangladesh.
L'evento, che sarebbe diventato il suo "fiore all'occhiello", fu la prima
iniziativa musicale di beneficenza di ampia portata ed ebbe una risonanza
mondiale. Il 1º agosto furono organizzati due spettacoli dal vivo al Madison
Square Garden di New York che fecero registrare il "tutto esaurito" grazie
alla presenza di ospiti illustri quali Bob Dylan, Ravi Shankar, Eric
Clapton, Leon Russell e Ringo Starr.
Gli spettacoli furono seguiti da un pubblico di circa 40.000 spettatori. Il
secondo concerto fu registrato e pubblicato sul triplo LP live intitolato
The Concert for Bangla Desh (1971), che ottenne un notevole successo in
tutto il mondo.
Dall'evento fu ricavato anche un film concerto dallo stesso titolo (1972).
George Harrison e Ravi Shankar ricevettero poi il premio Child Is The Father
of the Man dall'UNICEF, come riconoscimento per gli impegni umanitari,
mentre il doppio album ricevette il premio "Album dell'anno" ai Grammy
Awards del 1972.
Considerando la portata dell'evento, gli intenti benefici furono tuttavia
raggiunti soltanto parzialmente. Nel corso del 1972, i funzionari del Fisco
americano sollevarono varie questioni in merito ai proventi raccolti dal
concerto e dalle iniziative connesse.
L'album, tra l'altro, non fu considerato una pubblicazione benefica, con la
conseguente applicazione sui proventi della normale tassazione per le
pubblicazioni standard. Una parte consistente dei fondi raccolti rimase
quindi bloccata fino al 1981.
Fu un duro colpo per Harrison, che rimpianse per lungo tempo il fatto di
aver organizzato il concerto in fretta (cinque settimane soltanto) e di non
aver istituito, causa i tempi ristretti, una fondazione benefica a cui
destinare subito e senza problemi tutti i fondi raccolti.
Gli anni Settanta
Come riflesso dei suoi interessi umanitari e soprattutto dopo le spiacevoli
vicende fiscali seguite al Concerto per il Bangladesh, nell'aprile 1973
Harrison istituì la Material World Charitable Foundation, una fondazione con
cui volle supportare attivamente vari progetti di beneficenza in tutto il
mondo. Alla fondazione decise di donare i proventi dai diritti d'autore di
alcune canzoni incluse nel suo album successivo, Living in the Material
World, che ancora una volta fece registrare vendite molto alte, forte del
successo dei singoli Give Me Love (Give Me Peace On Earth),che comunque
dimostrarono che George era interessato più alla spiritualità che alla
materialità.
Nel 1974 Harrison fondò una propria etichetta discografica, la Dark Horse
Records, la cui prima scrittura andò all'amico e maestro di sitar Ravi
Shankar. Con lui l'ex-Beatle effettuò, tra novembre e dicembre di quello
stesso anno, una tournée di cinquanta concerti tra gli Stati Uniti ed il
Canada. L'evento avrebbe dovuto tra l'altro promuovere l'uscita dell'album
Dark Horse e del singolo omonimo. Harrison aveva gravi problemi alla voce ma
non fu possibile annullare la tournée, che fu un fiasco finanziario e
ricevette critiche pesantemente negative da parte della stampa americana,
compromise seriamente le vendite del disco e addirittura la reputazione di
Harrison all'interno del business discografico. Le reazioni negative
suscitate dal tour americano contribuirono, almeno in parte, a favorire il
graduale distacco di Harrison dalla ribalta. Tra le sporadiche apparizioni
della seconda metà degli anni Settanta si ricordano una partecipazione
televisiva al programma Saturday Night Live con Paul Simon nel 1976 ed una
piccola parte in All You Need Is Cash (1978), un graffiante film parodistico
di Eric Idle (del gruppo di comici inglesi Monty Python) sulla storia dei
Rutles, una banda fittizia che prendeva in giro i Beatles.
Due passatempi, in questo periodo, iniziarono ad assorbire molto del suo
tempo libero: la passione per le corse automobilistiche di Formula Uno, che
lo vide ospite frequente tra il pubblico degli appassionati in varie parti
del mondo, e la cura attenta per lo splendido parco della sua tenuta di
Friar Park, nei pressi di Oxford.
L'artista continuò a pubblicare nuovi lavori, registrati per lo più nel suo
studio privato a Friar Park, uno tra i più sofisticati del mondo. Le vendite
dei dischi si mantennero su livelli piuttosto buoni e gli fruttarono qualche
altro successo di media classifica: You, da Extra Texture (Read All About
It) (1975), This Song e Crackerbox Palace da Thirty-Three & 1/3 (1976) e
Blow Away da George Harrison (1979).
La HandMade Films
Alla fine degli anni Settanta, l'amicizia con il gruppo di comici Monty
Python lo stimolò nel finanziare la produzione del film Life Of Brian
(1978), inizialmente rifiutato dalla Warner Brothers. L'iniziativa ebbe
successo tanto da indurlo a fondare con il socio Dennis O' Brien la casa di
produzione HandMade Films, parte della Dark Horse Productions, con
l'obiettivo di finanziare pellicole dal budget contenuto, che le case più
grandi avrebbero magari rifiutato.
Nel frattempo, anche la vita privata aveva raggiunto una tranquilla
stabilità. Dopo il divorzio dalla prima moglie Patti Boyd, nel 1978 Harrison
aveva sposato Olivia Trinidad Arias, una ex-segretaria della Dark Horse di
origini messicane, da cui aveva avuto il figlio Dhani.
Successivamente, nel 1979 Harrison pubblicò, prima in edizione limitata
(Genesis Publications) poi in edizione commerciale (1980), il libro I Me
Mine, una breve ma celebre autobiografia in cui rivelava retroscena inediti
e amari dell'epoca dei Beatles e del suo difficile rapporto con la fama e
con lo show business, due realtà molto spesso accettate con riluttanza.
Gli anni Ottanta
Negli anni ottanta Harrison, sistematicamente boicottato dalla propria casa
discografica che aveva perso fiducia in lui come artista commercialmente
appetibile, ridusse notevolmente l'attività musicale e si dedicò
prevalentemente alla produzione cinematografica, ottenendo buoni successi
internazionali soprattutto come produttore esecutivo dei film dei Monty
Python. Nel corso della sua attività, la HandMade Films alternò pellicole di
successo ad episodi meno fortunati. Verso la metà del decennio la casa di
produzione di Harrison, che era comunque diventata una presenza importante
nell'ambito del cinema indipendente britannico, dovette chiudere i battenti,
specialmente in seguito all'insuccesso di Shanghai Surprise.
Sul fronte discografico, l'album Somewhere in England (1981) ricevette
addirittura l'affronto di essere rifiutato dalla casa discografica, finché
Harrison non vi incluse la bella All Those Years Ago, suo personale tributo
all'ex-collega John Lennon, recentemente scomparso e inizialmente destinata
al nuovo album di Ringo Starr. Il singolo, a cui parteciparono lo stesso
Ringo, Paul e Linda McCartney, diventò un immediato successo internazionale.
Dopo l'insuccesso del debole Gone Troppo (1982) trascorsero cinque anni
durante i quali l'artista - a parte gli impegni nel campo della
cinematografia - rimase lontano dalle cronache facendo parlare di sé assai
di rado. Scarse furono anche le apparizioni in pubblico, tra cui sono da
segnalare un'estemporanea presenza sul palco con i Deep Purple in Australia
(1984), lo special televisivo Carl Perkins Tribute (1985) e la
partecipazione al concerto per il decimo anniversario della fondazione
benefica Prince's Trust (1987).
Rientro in scena
Pubblicato alla fine del 1987, l'album Cloud Nine segnò il prepotente
rientro di George Harrison sulla scena musicale ed ottenne un notevole
successo, che riuscì a rinverdire antichi fasti. Prodotto insieme a Jeff
Lynne, che collaborò anche alla scrittura dei brani, il disco si avvale
della presenza di altri illustri colleghi quali Eric Clapton, Elton John,
Gary Wright e Ringo Starr. È il tipico album di un artista di mezza età che
si ripresenta al pubblico dopo alcuni anni con consumata classe e disinvolta
eleganza.
L'album si segnala, in particolare, per gli arrangiamenti curati e per le
melodie fresche e briose, che hanno in un certo senso "aggiornato" la magia
dei Beatles agli anni Ottanta. Il singolo Got My Mind Set On You, cover di
una vecchia canzone di Rudy Clark cara ai Beatles fin dai tempi di Amburgo,
riportò il nome di Harrison in vetta alla classifica statunitense dopo molto
tempo. Buon successo ottenne anche la canzone When We Was Fab, in cui
Harrison ricordava i tempi andati evocando intenzionalmente i Beatles. La
canzone deve una parte della sua popolarità al sofisticato e divertente
videoclip nel quale Harrison interpreta un musicista di strada e nel quale
figurano anche Ringo Starr nel ruolo del batterista, di Jeff Lynne in quelli
di un suonatore di violino e Elton John in quelli di un passante che fa
l'elemosina a Harrison non accorgendosi di essere derubato dallo stesso. Nel
finale del brano (di stile molto "beatlesiano") si inserisce uno splendido
assolo di sitar suonato dallo stesso Harrison come a voler ricordare il suo
importante periodo di sperimentazione orientale.
Il 25 febbraio 1988, il giorno del suo 45 compleanno, è stato ospite al
Festival di Sanremo, dove è stato premiato per il video più visto del
momento: When We Was Fab.
I Traveling Wilburys
L'anno successivo suscitò sorpresa la partecipazione di Harrison a Traveling
Wilburys (1988), un progetto discografico di moderna american music
straordinariamente riuscito. L'album, che ottenne un notevole successo
commerciale vendendo oltre cinque milioni di copie in tutto il mondo, è
accreditato ai fantomatici "fratelli Wilburys", sigla dietro la quale oltre
all'ex-Beatle si celavano Bob Dylan, Tom Petty, Jeff Lynne e Roy Orbison il
quale morì improvvisamente poche settimane dopo l'uscita del disco. Questo
lavoro deve il suo successo critico e commerciale al fatto di essere
riuscito a trarre il meglio da ciascuno dei musicisti coinvolti, ed in
effetti ottenne un riscontro superiore a quello che avevano ottenuto (o
avrebbero potuto ottenere) gli album solisti di ciascun componente del
gruppo.
Le critiche che in passato avevano messo in ombra una parte della produzione
di Harrison erano ormai un lontano ricordo. Anche Paul McCartney, dopo tanti
anni, gli propose di tornare a comporre insieme. Harrison tuttavia rifiutò e
preferì continuare a lavorare in altre occasioni con i suoi più recenti
collaboratori che, invece, avevano apprezzato il suo talento da sempre e non
lo avevano mai criticato. Nel periodo, infatti, Harrison seguì ancora i
"Fratelli" anche in alcuni loro progetti solisti: Nel 1989 contribuì agli
album Full Moon Fever di Tom Petty, Mystery Girl di Roy Orbison e, nel 1990,
anche a Under the Red Sky di Bob Dylan.
Sempre nel 1989, infine, il termine del secondo decennio di carriera
individuale fu onorato con la pubblicazione di una bella antologia, Best Of
Dark Horse 1976-1989, in cui sono raccolti i brani più importanti del
periodo e due canzoni nuove.
Gli anni Novanta
A molto tempo ormai dai fasti Beatles, negli anni novanta George Harrison,
ormai appagato sotto molti punti di vista, si divise comodamente tra i
consueti impegni nel campo della cinematografia ed una comoda attività
musicale. L'unico risultato in studio fu il secondo capitolo della saga dei
Traveling Wilburys, ironicamente intitolato Traveling Wilburys, Vol. 3
(1990), che ottenne un confortante successo commerciale. Il disco è dedicato
allo scomparso Roy Orbison ed è realizzato sempre in compagnia dei
"fratelli" Bob Dylan, Tom Petty e Jeff Lynne. Quest'ultimo produsse il
lavoro assieme ad Harrison.
Espletati gli impegni con la "famiglia" Wilbury, nel dicembre 1991 il
chitarrista, convinto da Eric Clapton, decise di affrontare nuovamente il
pubblico, a tanti anni dall'ultima tournée. La mossa fu comunque criticata
dai media, visto che Harrison optò solo per alcune date da effettuarsi in
Giappone. Ad accompagnarlo c'erano l'amico di sempre Eric Clapton e la sua
band, un gruppo di musicisti di prima scelta in cui si segnala Chuck Leavell
alle tastiere. Il risultato discografico fu il doppio album Live In Japan
(1992) che, nonostante le critiche positive, nulla aggiunse alle fortune di
colui che fino a quel momento era un ex-Beatle. Da segnalare che durante il
tour in Giappone George Harrison ebbe un'avventura con l'allora moglie di
Eric Clapton, Lory Del Santo. È stata lei a rivelarlo nel 2007 affermando
che quella con Harrison fu molto più che un'avventura, e che, nonostante
fosse durato solo 3 giorni, fu per lei un periodo molto felice.
Poco dopo la tournée giapponese, il 6 aprile 1992, Harrison suonò dal vivo
alla Royal Albert Hall di Londra. Il concerto faceva parte delle attività
promozionali per il lancio del NLP, Natural Law Party (Partito della Legge
Naturale), ideologia dietro la quale si celava ancora una volta l'anziano
Maharishi. Successivamente, un altro impegno di rilievo fu la sua
partecipazione al concerto di tributo alla trentennale carriera dell'amico
Bob Dylan realizzato al Madison Square Garden di New York il 16 ottobre 1992
e trasmesso in TV via satellite. Le registrazioni del concerto furono
pubblicate sul doppio album dal vivo Bob Dylan - The 30th Anniversary
Concert Celebration (1993). Verso la fine dell'anno, il 6 dicembre, Harrison
fu poi il primo musicista insignito del "Century Award", prestigioso
riconoscimento alla carriera da parte della rivista americana Billboard.
Nel 1994, a causa di problemi finanziari, Harrison fu costretto a vendere la
HandMade Films. La spiacevole vicenda portò con sé strascichi legali
destinati a durare a lungo.
Quello stesso anno, il chitarrista tornò in studio di registrazione insieme
con Paul McCartney e Ringo Starr per portare a termine il progetto Anthology
dei Beatles, realizzato tra il 1995 ed il 1996 in un film-documentario e ben
tre doppi album. Nonostante le critiche controverse, il progetto ha avuto il
potere di consolidare ulteriormente il mito della più famosa pop band del
Novecento. George appare in alcuni momenti molto sarcastico nel ricordare i
vecchi tempi.
Gli ultimi anni
Il meditativo Harrison, come di consueto, tra un progetto e l'altro non fece
parlare molto di sé. Dopo l'Anthology dei Beatles, nel 1995 lavorò alla
compilazione di In Celebration, un box antologico di Ravi Shankar. Nelle
note di copertina del cofanetto ebbe il privilegio di essere definito il
vero padrino della world music. Lavorò poi alla produzione di Chants Of
India (1997), un nuovo album di studio del musicista indiano.
Nel 1998, da un'intervista concessa dallo stesso Harrison, si venne a sapere
che il musicista aveva recentemente sofferto di un tumore alla gola,
provocato dall'aver fumato troppo, un grave ostacolo che ne aveva bloccato
l'attività musicale. Rincuorò comunque i suoi fan, dichiarandosi
completamente guarito.
Alla fine del 1999 Harrison subì un'aggressione da uno squilibrato,
introdottosi nella sua residenza inglese. Fu salvato dalla moglie Olivia che
ruppe una lampada sulla testa del suo aggressore, che tra l'altro aveva
sempre odiato i Beatles.
Nel 2000 curò poi personalmente la realizzazione di una edizione
rimasterizzata del celebre album All Things Must Pass, pubblicata all'inizio
del 2001, nella quale tra l'altro aggiunse My Sweet Lord 2000, una nuova
versione di My Sweet Lord incisa probabilmente per dimostrare la sua
estraneità al plagio, ed annunciò l'imminente pubblicazione di un nuovo
album unitamente ad un box antologico con nuove ristampe degli album del
catalogo Dark Horse Records.
La fine
Quelle che erano state confortanti notizie sul suo stato di salute subirono
netta smentita, quando, nell'estate del 2001, fu confermato che il musicista
era affetto da una forma di tumore al cervello ormai in stato avanzato e
quindi inoperabile.
George Harrison è morto di cancro all'età di 58 anni il 29 novembre 2001 a
Los Angeles nella villa di Ringo Starr, a Beverly Hills. Il suo corpo è
stato cremato, come da lui richiesto nelle sue ultime volontà, e le sue
ceneri, raccolte in una scatola di cartone, sono state sparse nel sacro
fiume indiano, il Gange. Alla notizia della morte tanti fan si radunarono
presso gli studi di Abbey Road, simbolo dell'epopea beatlesiana per
commemorarlo, la maggior parte di loro non era neanche nata quando i Beatles
raggiunsero fama mondiale. La sua scomparsa ha suscitato commozione in tutto
il mondo, compresi personaggi come Tony Blair, la Regina d'Inghilterra, gli
amici di sempre Paul McCartney e Ringo Starr piangendolo sapendo che la sua
chitarra gentile non avrebbe più suonato. Poco dopo la morte, la moglie
Olivia rilasciò alla stampa la seguente dichiarazione: «Ha lasciato questo
mondo come aveva vissuto: consapevole di Dio, senza paura della morte ed in
pace, circondato dalla famiglia e dagli amici. Spesso ripeteva: "Tutto può
attendere, non la ricerca di Dio e amatevi l'un l'altro"».
L'ultimo album, Brainwashed, è stato pubblicato un anno dopo la morte ed ha
ottenuto ottime recensioni da parte della critica. Il disco raccoglie undici
nuove canzoni ed il remake di uno standard, Between The Devil and the Deep
Blue Sea. Lasciato incompiuto da Harrison, il disco è stato successivamente
completato da Jeff Lynne e dal figlio Dhani. La volontà di Harrison, per
ammissione degli stessi Lynne e Dhani, era di pubblicare l'album come una
raccolta di demo. Prima della morte, tra l'altro, Harrison (sempre assieme a
Lynne) stava lavorando ad un'antologia dei Traveling Wilburys.
Contemporaneamente alla pubblicazione di Brainwashed, la moglie Olivia ed
Eric Clapton hanno organizzato un concerto in tributo alla sua memoria,
Concert for George, svoltosi alla Royal Albert Hall di Londra il 29 novembre
2002. La registrazione è stata pubblicata sull'album Concert for George
(2003). All'evento hanno partecipato Ravi Shankar, Paul McCartney, Ringo
Starr, Eric Clapton, Tom Petty, Jeff Lynne, Gary Brooker, Billy Preston,
Anoushka Shankar e il figlio Dhani. È spiccata la grande assenza di Bob
Dylan.
All'inizio del 2004 è stato pubblicato il cofanetto The Dark Horse Years -
1976-1992, contenente le nuove ristampe degli album da Thirty-Three & 1/3 a
Live In Japan, di cui Harrison aveva già parlato intorno al 2000. Tutti gli
album del periodo sono stati quindi reimmessi sul mercato (che erano fuori
catalogo da alcuni anni) accompagnati da un interessante DVD con interviste
inedite e divertenti video promozionali di alcune canzoni.
Ad ottobre 2005, infine, il Concerto per il Bangladesh (album e film) è
stato nuovamente pubblicato sia su doppio CD sia su DVD.
Nel settembre 2006 è stata pubblicata la versione rimasterizzata di Living
In The Material World del 1973 (in versione normale e in formato deluxe).
Il 29 novembre 2006, a cinque anni esatti dalla scomparsa di George
Harrison, Editori Riuniti (Collana Pensieri e Parole) pubblica 'Le Canzoni
di George Harrison' di Michelangelo Iossa, il primo volume che analizza i
testi di tutti i brani del canzoniere harrisoniano, dal periodo-Beatles sino
alle produzioni postume.
Sono stati declassificati e diventati ora consultabili i
documenti relativi ai primi anni ’70, quando l’accoppiata Nixon-Kissinger
metteva a ferro e fuoco il pianeta, con una particolare preferenza per il
Sudamerica e per l’Asia. Dopo il sostegno e le autorizzazioni esplicite alla
dittatura indonesiana, vengono alla luce le responsabilità sul genocidio in
Bangladesh.
La storia è quella della divisione tra India e Pakistan, e in particolare di
quella parte del primo Pakistan che ora si chiama Bangladesh; lo stato con
la più alta densità della popolazione al mondo; ad oggi composta di 140
milioni di abitanti.
Alla costituzione delle due entità, nel 1947, si disegnarono due stati, uno
a preponderanza islamica e uno a maggioranza indù, che a loro volta
contenevano numerose comunità che potremmo definire nazionali, veri e propri
stati assorbiti nell’immenso spazio colonizzato dalla Compagnia delle Indie
e poi confluito sotto la Corona inglese.
In questa occasione ebbe luogo la più imponente migrazione umana che la
storia ricordi, con decine di milioni di persone che per mesi si
incrociarono in cammino verso la loro nuova terra.
L’entità pakistana venne così composta dall’unione di due parti, una a
occidente e una ad oriente dell’India. Quella occidentale (l’attuale
Pakistan) era a sua volta il risultato dell’accorpamento degli stati indiani
a maggioranza islamica, quella orientale derivò dalla divisione del bengala
in due parti, la più occidentale diventò lo stato indiano del Bengala
Occidentale, l’altra venne denominata East Pakistan, in seguito Bangladesh.
L’East Pakistan era la parte più ricca, e fondava il suo benessere sul
commercio della iuta, il Pakistan occidentale era, ed è, povero di risorse.
Agli inizi degli anni ’70 a reggere il paese era il generale Zulfikar Ali
Bhutto, esponente dell’oligarchia familiare pachistana, con il sostegno del
generale Yahya Khan e degli americani; e il rapporto tra i due Pakistan
vedeva l’occidente dominare sull’oriente in virtù del controllo del potere
militare.
L’attuale Pakistan, oltre ad avere una composizione etnica differente da
quella bengalese, aveva costumi decisamente più rigidi, e li imponeva anche
al resto del paese, con le buone o le cattive, non rinunciando a depredare i
più ricchi fratelli, separati da 1200 miglia e settecento milioni di
indiani.
Nel 1970 le elezioni in Bengala consegnano all’Est la maggioranza
parlamentare, e costringono l’Ovest a rompere ogni indugio e infrangere ogni
limite.
Povero e meno popolato, l’attuale Pakistan, e con lui i suoi leader, poteva
contare solo sulla propria determinazione e sulla forza delle armi; armi che
provenivano da Washington, o procurate con i fondi americani.
Perché Nixon, o meglio Kissinger, sostenessero le operazioni del generale
Yaia, poi destinato a prendere il potere e presto detto, quanto noto; Yaia
era per gli americani la chiave per accedere al gotha del potere cinese,
vera e propria fissazione del gruppo che, ora come allora, aveva in mano le
redini della politica estera Usa. Kissinger e Nixon cercavano la Cina
comunista, le proponevano alleanze e spartizioni in Asia, ed erano
particolarmente ostili all’India. Amici di estremisti islamici e comunisti
cinesi, nemici della più grande democrazia del pianeta, curioso, ma non
troppo.
Quando la bengalese Awami League guidata dallo sceicco Mujibur Rahman si
aggiudica le elezioni, il Parlamento non viene più convocato. Dopo mesi di
attesa Rahaman annuncia che l’Est dichiara la sua “piena autonomia
regionale”, e di avere il completo controllo dell’amministrazione bengalese.
Per i militari fu il segnale, seguendo le intuizioni di Yaia ( “uccidetene
tre milioni ed il resto mangerà dalle nostre mani”) venne dato corso alla
“Operation Searchlight” destinata a devastare il Bengala Orientale. Non si
conoscono i numeri effettivi del genocidio bengalese, basti l’impressionate
dato di 50.000 sterminati nei primi tre giorni dell’operazione. I tre
milioni di vittime, sono una cifra realistica.
Furono uccisi tutti i maschi bengalesi che si trovarono, con particolare
preferenza per militari e studenti o intellettuali, in una sola notte a
Dacca vennero sterminati 7.000 bengalesi, la popolazione dimezzata in una
settimana.
Scioccati da tale violenza i bengalesi fuggirono in ogni direzione, dopo
poche settimane dall’inizio dell’operazione si contavano già 30 milioni di
profughi.
L’Awami League, fu bandita e Rahman arrestato; all’India non restò che
aprire i confini, e accogliere 10 milioni di rifugiati in un lampo.
Poi cominciarono gli stupri di massa, paragonati da una studiosa americana a
quelli praticati dai giapponesi a Nanchino, 400.000 o forse più bengalesi
vennero stuprate sistematicamente.
Paradigmatico il racconto della reporter Aubrey Menen, presente ad un
matrimonio bengalese, quando una pattuglia pakistana entrò nella casa, portò
la sposa nella camera nuziale ove venne stuprata, con calma, da ciascuno dei
soldati mentre gli altri tenevano sotto tiro i presenti. Andandosene alla
fine senza dire niente, lasciarono lo sposo distrutto, inginocchiato a terra
a vomitarsi addosso e la sposa incosciente e sanguinante alla vista dei
parenti e degli amici. Lo stupro usato come arma non l’hanno inventato nei
balcani.
L’India chiese a Nixon di intervenire, ma questi era di parere diverso,
visto che alla Casa Bianca dichiarava “ Yaia è un buon amico, capisco
l’angoscia di aver dovuto prendere misure del genere”.
Militari e diplomatici americani obbiettarono con forza, ma vennero rimossi.
Kissinger: “In tutta onestà, il presidente ha sentimenti speciali per Yaia.
Non si può fare politica su queste basi, ma sono cose che capitano nella
vita”.
Nixon a Yaia: “Quelli che si augurano un mondo più pacifico nella prossima
generazione, vi saranno debitori per sempre”
Lo schieramento sulla questione bengalese vedeva Usa e Cina, inattive , che
consideravano la questione un “affare interno pakistano” e sostenevano la
parte pachistana; opposte a India, Russia e satelliti, ai quali si
aggiungevano le popolazioni delle nazioni europee e del Giappone,
solidamente in sostegno dei bengalesi. Bbc continuerà la sua emissione per
il Bengala, e diventa così il media nazionale d’emergenza.
Nixon sul “Concerto per il Bangladesh”: “Così il Beatle sta dando i soldi ai
dannati indiani?”
Kissinger: “Sì……..dobbiamo tenere sotto l’India, ridurre il problema dei
rifugiati e della carestia, per toglierlgli la scusa per fare la
guerra……cominciare a formare una struttura politica (remeber Iraq? ndr) e
anche se succederà che nasca un altro stato in un paio d’anni, non deve
succedere nei prossimi sei mesi”
Nixon aveva una spiegazione antropologica anche per la sua opposizione
interna, affermando che gli ambasciatori in India rimanevano affascinati dai
modi da traditori degli indiani, e diceva di preferire i pachistani, forse
più stupidi (sic) ma diretti. Per Nixon gli indiani erano traditori e
bastardi (testuale).
E’ agli atti, con firma autografa, quel “Don’t squeeze Yaia” che la dice
lunga; per gli Usa era questione da nulla schiacciare il burattino.
Mentre rifiutavano aiuti all’India li consegnavano ai pachistani; pur
convinti dell’inevitabilità storica della divisione del Pakistan, Nixon e
Kissinger mostravano di preferire che la situazione di guerra si prolungasse
almeno per un paio di anni; al fine di riempire di profughi gli odiati
indiani.
Nell’agosto del 1971, dopo che Kissinger e Nixon avevano inutilmente provato
a convincere i cinesi a muovere truppe ai confini dell’India, questa firma
un trattato di pace e collaborazione con l’U.r.s.s, chiudendo
definitivamente l’esperienza terzomondista inaugurata a Bandung nel 1955.
(Da allora “terzo mondo” diventerà sinonimo di arretratezza, ma allora
indicava la divisione nella quale il primo mondo era quello schierato
accanto agli americani nella Guerra Fredda, il secondo era composto dai
paesi ad ispirazione comunista schierati con l’U.r.s.s, il terzo era quello
dei “Paesi non allineati” associati a Bandung ed il quarto quello composto
dagli stati rimanenti)
Alla fine dell’Ottobre del 1971, Indira Ghandi comincia un tour dei paesi
occidentali per perorare la fine dei massacri, tour che si conclude a
Washington.
I nuovi documenti a disposizione ci raccontano i gentiluomini esportatori di
democrazia senza filtri, non stupisce che la cifra resti quella ben
conosciuta dei pupari dell’invasione irachena.
Nixon e Kissinger discutono del giorno precedente, dell’incontro con Indira
Ghandi:
K.-“ Anche se è un puttana, abbiamo ottenuto ciò che volevamo, non potrà
tornare a casa e dire che non le abbiamo dato un caldo benvenuto, e
nonostante questo dovrà andare alla guerra per la disperazione”
N.-“Abbiamo davvero fregato la vecchia strega”
Non appena tornata in patria, alla fine di novembre, la “puttana” scrisse a
Nixon di sperare in un rafforzamento delle relazioni tra i due paesi.
Il giorno dopo, il 21 novembre, l’India invase il Bengala con un corpo di
200.000 uomini, mettendo fine ai massacri; in dieci giorni costrinse alla
resa e catturò i pakistani, e li portò in India per sottrarli alla vendetta
bengalese.
E’ opinione comune che l’attacco fosse pianificato fin da prima del viaggio
della Ghandi.
Gli Stati Uniti protestarono all’Onu contro l’aggressione al Pakistan,
dislocarono una portaerei nucleare nel Golfo del Bengala, fecero pressioni
sui russi, tagliarono gli aiuti all’India e fornirono altri fondi alla
dittatura pachistana.
Quando nulla si rivelò efficace, chiesero alla Cina di intervenire, offrendo
aiuto in caso di contro-intervento sovietico; anche qui inutilmente. Il 10
Dicembre 1971, Kissinger suggerì l’idea all’ambasciatore cinese all’Onu,
Huang Ha. Dai documenti declassificati risulta che dopo un paio di giorni i
cinesi risposero picche.
Dopo tre mesi le truppe indiane si ritirarono, lasciando ai bengalesi la
libertà e un governo formato dal vincitore delle elezioni Rahman, destinato
poi ad essere soffocata da una serie di dittature militari.
Avevano portato la democrazia, che qualcun altro poi avrebbe rubato.
Nei giorni scorsi Henry Kissinger, ora sedicente sostenitore della
collaborazione con il gigante indiano, si è scusato per aver dato della
“strega” ad Indira Gandhi, invocando a scusante che quello fosse “il
linguaggio di Nixon”, un gergo abituale tra i due, causa la passione di
Nixon per il turpiloquio.
Ancora oggi la politica statunitense mantiene un patto d’acciaio con la
dittatura militare pakistana, penalizzando l’India ad ogni occasione; le
recentissime aperture sono state accolte con diffidenza da Dehli, dove da
allora sono convinti che “Gli americani capiscono solo la forza”.
L’affermazione della supremazia del più forte guida, ora come allora, la
proiezione militare americana sul globo, non certo la diffusione e
l’esportazione della democrazia, o la lotta ai comunisti, agli islamici o al
prossimo nemico da dare in pasto alle opinioni pubbliche.
La notizia ha fatto il giro del mondo, “puttana” è sparito in quasi tutti i
paesi, e anche nel nostro la vicenda non ha meritato che un trafiletto
riguardo al “vecchia strega” su qualche giornale.
I tre milioni di vittime, e gli altri milioni di devastati non hanno
meritato una riga, le responsabilità del loro genocidio neppure; non una
riga.
Non stupisce che nessuno comprenda perché le nostre città sono piene di
bengalesi e pachistani, quanti italiani sanno da cosa sono dovuti fuggire,
quanti sanno chi ringraziare?
Opinioni pubbliche non certo impressionabili dall’apprendere che Kissinger
chiamasse strega Indira Ghandi; una disattenzione per la storia davvero
sospetta, quasi a non voler incrinare l’immagine del fiero alleato,
costruita nei decenni sul lavoro di migliaia di utili giornalisti dalla
schiena non troppo dritta.