Caro Benedetto, probabilmente ti è sfuggito ma ho publicato questo
link il giorno 23 Febbraio. Comunque niente di male, come diceva
l'immenso Totò nel film Totò, Peppino e la malafemmena: "adbundandisi,
adbundandum"... ! Pertanto ripropongo a tutti di rivedere la mitica
scena della lettera! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Sabato 26
Febbraio 2022
“RUSSIANS”/ Da Dylan a Sting, canzoni sulla 3° guerra mondiale - di
Paolo Vites
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Così fu definita la canzone al suo apparire nel 1967 dalle maggiori
riviste musicali.
John Lennon disse: “E’ la canzone che avevo sempre desiderato scrivere!”
L’intro suonata da Mattew Fisher con l’Hammond M 102 fece diventare
famoso l’organo in tutto il mondo.
La canzone raggiunse il primo posto in quasi tutti i paesi del mondo ed
alla fine vendette più di 10 milioni di copie.
Molti si sono chiesti cosa significasse questo oscuro testo di difficile
interpretazione. Molti hanno dato la loro interpretazione personale,
sulla pagina ufficiale del sito dei Procol Harum ci saranno un centinaio
di spiegazioni diverse del significato della canzone, ma alla resa dei
conti, quello che conta è la dichiarazione fatta da Matthew Fisher alla
BBC Radio il 2 Marzo del 2000.
“Non so che cosa significano. E mi ha mai infastidito il fatto che non
so che cosa significano. Questo è quello che ho trovato piuttosto
difficile, soprattutto in America, dove le persone sono terribilmente
aggrappate ai testi e vogliono sapere che cosa significano, e dicono:
"Lo so, ho capito cosa significano questi testi". A me non me ne frega
un accidente di quello che significano. Sai, suonano alla grande ...
questo è tutto quello che devono fare”.
Leggete le diverse interpretazioni cliccando sul link sotto:
http://www.procolharum.com/awsoplyrics.htm
All'inizio del 1967 Brooker incontra il paroliere Keith Reid (che
diventerà l'autore di tutti i testi del gruppo e considerato sesto
membro effettivo della band, al punto da essere inserito nella
formazione del gruppo nelle copertine degli LP), che scrive il testo per
una melodia composta dal tastierista: l'idea di Brooker
nell'arrangiamento della canzone è quella di inserire un'introduzione
strumentale (ripresa poi tra una strofa e l'altra) ottenuta
sovrapponendo il basso del secondo movimento della Suite per orchestra
n. 3 di Johann Sebastian Bach BWV 1068 (conosciuta anche come aria sulla
quarta corda) con una melodia presa da un'altra opera del compositore
tedesco (BWV 645, il Corale in Mi bemolle maggiore Wachet auf, ruft uns
die Stimme).
Il tutto viene suonato dall'organo Hammond M 102 abbinato al Leslie:
ottenuto tramite il produttore Denny Cordell un contratto con una
piccola casa discografica, la Regal Zonophone Records (distribuita dalla
Decca Records), e scelto il nome di Procol Harum (che deriva da una
storpiatura del nome del gatto di un amico di Cordell, "Procul Harum",
che peraltro in latino significa qualcosa come "lontano da queste"), il
tastierista registra la canzone con alcuni session-man (alcuni
contattati tramite un annuncio su una rivista musicale britannica), tra
cui l'organista Matthew Fisher, ed in pochi giorni il disco arriva in
testa alle classifiche britanniche (negli Stati Uniti raggiunge il
quinto posto).
La versione originale della canzone presenta due strofe in più, tagliate
durante la registrazione per contenere la durata del brano entro i
quattro minuti (durata media del lato di un 45 giri), ma recuperate da
Brooker durante le esibizioni dal vivo. Sin dalle prime apparizioni alla
batteria vi è Bobby Harrison, che non è il batterista che ha suonato
durante la registrazione della canzone: costui, Bill Eyden, è un
batterista jazz che era stato chiamato appositamente da Denny Cordell
per la registrazione e che continuerà in seguito la sua attività di
jazzista (nella versione stereo della canzone pubblicata solo nel 1997
in un'antologia viene recuperata una registrazione dove invece, alla
batteria, vi è Harrison).
A WHITER SHADE OF PALE - Storia di una canzone.
Fonte: Classick Rock blogspot
Il 12 maggio 1967, circa venti giorni prima dell’uscita del
rivoluzionario album dei Beatles “Sergeant Pepper’s lonely heart club
band”, fece capolino sugli scaffali dei negozi “A whiter shade of pale”,
il primo 45 giri dei Procol Harum, che di lì a poco sarebbe passato alla
storia.
In meno di un mese il brano raggiunse la vetta delle classifiche inglesi
da dove non si sarebbe più mosso per sei mesi, arrivò senza alcuna
promozione nella top five americana e in capo a 10 anni, sarebbe stato
uno tra i 30 singoli al mondo ad aver oltrepassato i dieci milioni di
copie vendute. Come se ciò non bastasse, fu il numero uno nelle
classifiche di almeno 6 nazioni e venne tradotto in un’infinità di
lingue tra cui l’italiano dove grazie a Mogol e ai Dik Dik diventò
“Senza Luce”.
Artefice dell’operazione fu ancora una volta la Decca che nell’intento
di rinnovare il mercato discografico inglese, consigliò anche ai Procol
Harum (come aveva fatto con i Moody Blues) di tentare una
compenetrazione tra musica classica e rock. La band accettò e per una
serie di combinazioni fortuite e di intuizioni straordinarie, sortì per
mano del pianista Gary Brooker, dell’organista Matthew Fisher e del
paroliere Keith Reid un vero e proprio miracolo artistico e commerciale.
La canzone infatti non solo si innestava perfettamente nel proprio tempo
storico per struttura, mole e qualità degli ingredienti musicali, ma
anche per l’ appetibilità dei suoi riferimenti letterari, per la loro
consecutio narrativa e per quella giusta dose di visionarietà che
aderiva perfettamente al lato più psichedelico della “swinging London”.
Musicalmente, i riferimenti principali erano tre: "l’Aria sulla quarta
corda” di Bach su cui era imperniata l’intro di Hammond M 102 di Fisher,
la cantata BWW 140 “Wachet auf, ruft uns die Stimme”, sempre di Bach e a
sua volta ispirata alla “Parabola delle Vestali” di Gesù Cristo e
infine, dalla hit del 1966 di Percy Sledge “When a man loves a woman” a
cui Broker e Fisher si ispirarono per il groove dell’inciso.
Una serie di citazioni dunque che da un lato investivano tutta la
cultura classica e persino religiosa ma dall'altro venivano restituite
con modernità tramite una produzione impeccabile: quella di Denny
Cordell che per realizzare il tutto si avvalse degli atrezzatissimi
Olympic Sudios di Londra e del loro tecnico Keith Grant.
Ciò che però contribuì a fare del brano un’opera completa furono
sicuramente i testi di Keith Reid, il “sesto membro” dei Procol Harum il
quale licenziò certamente delle liriche oniriche e visionarie, ma che
attenevano alla realtà con una forza tale da renderle universali e
riconoscibili a tutto il mondo, entrando persino a far parte del gergo
giovanile di allora.
Una maestria poetica, quella di Reid, già percepibile dallo stesso
titolo: “A whiter shade of pale”, che sarebbe di per se intraducibile.
In inglese infatti “to turn pale” significa “impallidire” e “a shade
of...” equivarrebbe a “una tonalità di...” o “una sfumatura di...”,
tuttavia la frase intera si prestò a tante di quelle interpretazioni e
traduzioni da diventare non solo argomento bibliografico, ma restare a
tutt’oggi ardua da tradurre correttamente. Entrò quindi nello “slang”
giovanile riferendosi a una persona che impallidisce, trasecola quasi
sino allo svenimento o, nell’accezione psichedelica, viaggia, si perde
o, volendo, si sente male.
E anche se il titolo potrebbe sembrare metafisico, la stroria volle che
Reid si ispirò a un fatto realmente successo in un dancing dove una
ragazza già di per se pallida come un fantasma (“at first just ghostly”)
impallidì nuovamente per qualche motivo di un "pallore ancora più
ceruleo".
Tenendo ancora fede ad un perfetto equilibrio tra poetica e quotidiano,
Reid ambientò la canzone a partire da un concerto dei Procol Harum -
tanto concitato che il soffitto volò via - al termine del quale seguì
una conversazione così coinvolgente da far impallidire un interlocutore.
Ad essa seguì poi una specie di partita a carte in cui si innestarono
tutte le citazioni più visionarie del brano: l’incertezza riguardo a
quel trasecolare tanto evidente quanto misterioso, le sedici vestali
vergini (nella parabola del Cristo erano in realtà dieci) e uno strano
finale sospeso tra veglia e sonnoprima dell’inciso finale.
La versione originale comprese anche due ulteriori strofe, spesso
cantate dal vivo ma allora inedite, dove la giocatrice di carte
sembrerebbe essere allo stesso tempo una delle vestali o addirittura
l’essenza della musica che poi i musicisti avrebbero seguito nel suo
viaggio per l’oceano. Il tutto, restituito con continue citazioni
Shakespeariane e rimandi alla partita di carte.
Chiaramente all’epoca, come per molti testi psichedelici, non era
fondamentale “capire” realmente le parole, ma “assimilarne” il percorso
e in questo senso, la molteplicità delle immagini fornite dalla canzone,
contribuirono a renderla poeticamente universale. Poco progressiva se
non per il mix pop-barocco e molto abusata nel tempo. “A whiter shade of
pale” tuttavia non perse mai la sua forza evocativa dimostrando la
conflittualità delle sue componenti e dando il via a tutta una serie di
sviluppi che in pochi anni avrebbero condotto al prog vero e proprio.
"A Whiter Shade of Pale" , dei Procol Harum è l'alchimia che a volte,
senza alcun motivo apparente, si innesca e rimane lì, immutata nel
tempo: il testo ermetico di Keith Reid, sul quale critici e fans
continuano a scervellarsi, una melodia struggente vagamente ispirata
all’Aria sulla quarta corda dalla Suite n. 3 in sol maggiore di Johann
Sebastian Bach, il mitico organo Hammond che massacra di brividi la
pelle dell'ascoltatore, la voce pastosa, calda e graffiante da bluesman
di Gary Brooker.
Uscita, anzi, esplosa nel 1967, si becca nel 1968 il premio come
migliore canzone dell'anno, e possiamo dire che da quel momento la sua
notorietà non è mai scesa, anzi. Dicono siano state 800 le cover version
tra le quali quella di Annie Lennox del 2009, ma, dalla sfilza di nomi
illustri, possiamo citare Bonnie Tyler, Michael Bolton, Engelbert
Humperdinck, Richard Clayderman, Eric Clapton, Joe Cocker, Buddy Richard
.... Inserita in varie colonne sonore di film, secondo una classifca
stilata da BBC e PPL (Phonographic Performance Limited) è il brano più
suonato nei luoghi pubblici degli ultimi 75 anni (da quando esiste la
PPL per intenderci)
Personalmente continuo a preferire l'Originale (maiuscolo), con quella
che continua a venir considerata una delle più belle voci del rock, Gary
Brooker, e con quell'arrangiamento pulito, essenziale ed epico che, a
distanza di quasi 50 anni non riesce proprio a perdere splendore.
Come se non bastasse (e lo dicevo all'inizio) il testo continua ad
essere tanto coinvolgente quanto criptico. Mogol, nella traduzione in
italiano per la cover Senza Luce dei Dik Dik l'ha glissato in pieno: al
di là del fatto che in Italia eravamo abituati a testi molto, molto più
semplici, provar a comprendere questo per poi tradurlo sarebbe stata
davvero un'impresa non dappoco.
We skipped the light Fandango, Turned cartwheels 'cross the floor, I was
feeling kinda seasick, But the crowd called out for more,The room was
humming harder, As the ceiling flew away, When we called out for another
drink, The waiter brought a tray,
And so it was that later, As the miller told his tale, That her face at
first just ghostly, Turned a whiter shade of pale.
She said: "There is no reason, And the truth is plain to see, But I
wandered through my playing cards, And would not let her be, One of
sixteen vestal virgins, Who're leaving for the coast, And although my
eyes were open, They might just as well've been closed,
And so it was…
Una delle traduzioni possibili :
Ignorammo le luci del Fandango
Come i carrelli che giravano sul pavimento
Sentivo una specie di mal di mare
Ma la folla chiedeva il bis
Nella stanza il mormorio era così forte
Da far volar via il soffitto
Quando chiedemmo ancora da bereIl cameriere arrivò con un vassoio
E fu così che poi
Mentre il mugnaio raccontava la sua storia
Il volto di lei, dapprima solo spettrale,
Schiarì in un'ombra pallida
Lei disse: "Non c'è motivo Lo vedi da solo come stanno le cose"
Ma io vagavo fra le mie carte da gioco
E non avrei permesso che lei fosse
Una delle sedici vergini vestaliIn partenza per la costa E anche se i
miei occhi erano aperti
Sarebbe stato lo stesso se fossero stati chiusi.
E fu così…
La seguente parte del testo non fu inserita nella versione ufficiale
ma spesso cantata dal vivo:
Lei disse “Sono in licenza a casa,
ho avuto il permesso di scendere a terra”
ma, a dire il vero, eravamo ancora per mare…
così l’ho portata a forza davanti allo specchio
e l’ho obbligata ad ammettere
di essere quella sirena che prese in giro Nettuno.
Ma lei sorrise così triste
che la mia ira si spense immediatamente.
——————
Se la musica fosse il nutrimento dell’amore
la risata sarebbe la sua regina
e (come se dicessimo che ciò che é dietro si porta davanti)
possiamo dire che lo sporco diviene pulito nella verità .
La mia bocca a quel punto, come cartone
sembrò scivolare attraverso la mia testa
e così ci schiantammo, inabissandoci rapidamente
e ci unimmo al fondo dell’Oceano.
[1] Fandango: in molte traduzioni viene inteso come la danza spagnola,
ed il resto del verso ci starebbe bene, ma dopo aver letto numerose
interviste sia al paroliere Keith Reid che a Gary Brooker, mi sento di
avvalorare la tesi che si tratti di un locale, il Fandango, che stava
semplicemente chiudendo.
[2] Il prologo e il racconto del Mugnaio è la seconda novella de I
racconti di Canterbury (1380 circa), un'opera in versi (incompiuta) del
poeta inglese Geoffrey Chaucer.
Un gruppo di pellegrini, persone di varia estrazione sociale, si
incontrano in una locanda per iniziare il loro viaggio: la visita il
santuario di Saint Thomas Becket, a Canterbury. L'oste si offre di far
loro da guida e propone di ingannare il tempo del percorso raccontando
ognuno quattro storie, due all'andata e due al ritorno, mentre l'oste
alla fine giudicherà la storia più bella.
Una delle storie è narrata da un mugnaio e parla di un amante che,
convinto di baciare la sua bella, bacia invece il posteriore di un
falegname: plausibile, a questo punto, l'impallidire deciso della
ragazza, davanti ad una storiella sconcia.
Eppure (anche questo in diverse interviste) Keith Reid sostiene di non
aver mai letto I racconti di Canterbury. Non c'entra nulla, quindi, il
mugnaio della storia con il testo della canzone?
In un'intervista a SongFacts, Keith Reid dice:
"It's sort of a film, really, trying to conjure up mood and tell a
story. It's about a relationship. There's characters and there's a
location, and there's a journey. You get the sound of the room and the
feel of the room and the smell of the room. But certainly there's a
journey going on, it's not a collection of lines just stuck together.
It's got a thread running through it.
I feel with songs that you're given a piece of the puzzle, the
inspiration or whatever. In this case, I had that title, 'Whiter Shade
of Pale,' and I thought, There's a song here. And it's making up the
puzzle that fits the piece you've got. You fill out the picture, you
find the rest of the picture that that piece fits into."
"E' una specie di film, in realtà, che cerca di evocare l'umore e
raccontare una storia. Si tratta di una relazione. Ci sono i personaggi
e c'è un luogo, e c'è un viaggio. Puoi ottenere il suono della stanza e
la sensazione della stanza e l'odore della stanza. Ma certamente c'è un
viaggio in corso, non è una collezione di idee senza connessione. Ha un
filo che le unisce. "
"Quello che provo con le canzoni è come quando si ha un pezzo di puzzle,
l'ispirazione o una qualsiasi altra cosa. In questo caso ho avuto quel
titolo, "A 'Whiter Shade di Pale" e ho pensato, c'è una canzone qui. E
si compone il puzzle inserendo il pezzo che hai. Cerchi di comprendere
il quadro generale, trovi quello che manca ed inserisci quel pezzo."
Paul McCartney conobbe sua moglie Linda una sera del 1967, a casa di
amici.
Ad un certo punto qualcuno mise sul giradischi un 45 giri appena uscito,
e quelle note catturarono subito l'attenzione di tutti.
Ecco il ricordo di Paul: "… i versi erano così strani e poetici, e la
musica ricordava un famoso tema di Bach.
Tutti pensammo: Dio, che disco incredibile! Capimmo subito che quella
canzone era una specie di spartiacque, un nuovo termine di paragone. E
tutti ci chiedevamo chi fosse: qualcuno pensò a Stevie Winwood…". Non
era Stevie Winwood. Era un nuovo gruppo con uno strano nome di origine
latina: i Procol Harum. E la canzone era "A Whiter Shade of Pale", il
loro singolo d'esordio.
Quella canzone era già al numero 1 delle classifiche inglesi: vi sarebbe
rimasta per mesi, fino a diventare una delle canzoni più famose degli
anni '60, e di tutto il pop internazionale.
Paul McCartney aveva ragione: quella canzone diventò subito un punto di
riferimento in un mondo musicale che stava cambiando.
La stagione del beat era ormai terminata e si cercavano nuove strade,
quelle stesse strade che avrebbero portato alla frammentazione
stilistica degli anni '70.
Coloro che guardavano all'America si spingevano verso il rock-blues, che
di lì a poco avrebbe avuto in Jimi Hendrix il suo massimo esponente.
Altri sperimentavano forme musicali provenienti da altri paesi: molti,
fra cui gli stessi Beatles, fecero conoscenza con la cultura e la musica
orientale.
I Procol Harum tentarono una strada diversa, in cui trovavano posto
diversi elementi: l'estrazione classica di Gary Brooker, compositore e
pianista del gruppo, dotato di una voce calda venata di blues; i testi
del poeta Keith Reid, così inusuali e così pieni di sfumature
letterarie; il timbro caratteristico dell'organo Hammond di Matthew
Fisher, quasi il "marchio di fabbrica" del gruppo.
E funzionò subito: "A Whiter Shade of Pale" ebbe immediatamente un
enorme successo di pubblico e di critica.
Al pubblico piacque l'atmosfera della canzone, così suggestiva e
romantica, mentre la critica salutò una nuova forma di canzone "colta",
notando la somiglianza della progressione armonica con la celebre "Aria
sulla Quarta Corda" di Bach.
E fiorirono centinaia di cover in tutto il mondo, fra cui l'italiana
"Senza luce" dei Dik Dik, con il testo di Mogol: e oggi, quella canzone
così particolare è ancora amata in tutto il mondo.
Dopo un successo così grande, la lunga carriera musicale dei Procol
Harum conobbe diverse fasi.
Sono degli anni '60 altre canzoni famose, come il secondo singolo
"Homburg", ripresa in Italia dai Camaleonti con il titolo "L'ora
dell'amore", e "A Salty Dog", in cui la voce di Gary Brooker si liberava
a raccontare una storia di marinai e di terre lontane su un bellissimo
arrangiamento orchestrale.
Negli anni '70, cambiando spesso formazione, la band dette altre buone
prove di sé, senza però riuscire a ripetere il grande successo degli
anni precedenti.
Non importa: è bastata "A Whiter Shade of Pale" per riservare ai Procol
Harum un posto nella storia della musica.
Vogliamo trovare un difetto a questo capolavoro? All'epoca, le sole
critiche riguardarono la tecnica di registrazione, in mono e con una
qualità ben lontana da quella del contemporaneo "Sgt. Pepper" dei
Beatles.
Ma il tempo ha fatto giustizia. Nel 1997, trent'anni dopo, è stato
recuperato un nastro a quattro piste con una diversa registrazione della
canzone: quel nastro è stato remixato e rimasterizzato, con una qualità
finalmente all'altezza, e quella nuova versione, che gli appassionati
dei Procol Harum chiamano ormai "versione stereo", è stata inclusa in
una raccolta uscita l'anno scorso.
All'ascolto, l'emozione è ancora più grande.
Fin dal primo momento, il testo ermetico di "A Whiter Shade of Pale" ha
attirato la curiosità degli appassionati e degli addetti ai lavori: ma
cosa voleva dire Keith Reid con quelle parole? In tutti questi anni il
testo è stato analizzato in ogni minimo dettaglio, e moltissimi hanno
voluto cercare in quei versi significati nascosti e riferimenti
letterari, collegando le parole di Keith Reid a passaggi di "Canterbury
Tales" di Geoffrey Chaucer, o di "Tam o' Shanter" di Robert Burns, o di
"Alice in Wonderland" di Lewis Carroll.
Ma il significato della canzone non è mai stato veramente chiaro.
Giudicate voi:
We skipped the light fandango
Turned cartwheels 'cross the floor
I was feeling kinda seasick
But the crowd called out for more
The room was humming harder
As the ceiling flew away
When we called out for another drink
The waiter brought a tray
And so it was that later
As the miller told his tale
That her face, at first just ghostly
Turned a whiter shade of pale
She said: "There is no reason
And the truth is plain to see"
But I wandered through my playing cards
And would not let her be
One of sixteen vestal virgins
Who're leaving for the coast
And although my eyes were open
They might just as well've been closed
And so it was…
Ballavamo un delizioso fandango
Facendo le giravolte sul pavimento
Sentivo una specie di mal di mare
Ma la gente chiedeva il bis
Nella stanza il mormorio era sempre più forte
Mentre il soffitto volava via
Quando chiedemmo ancora da bere Il cameriere arrivò con un vassoio
E fu così che poi
Mentre il mugnaio raccontava la sua storia
Il volto di lei, dapprima solo spettrale,
Schiarì in un'ombra pallida
Lei disse: "Non c'è motivo Lo vedi da solo come stanno le cose"
Ma io vagavo fra le mie carte da gioco
E non avrei permesso che lei fosse
Una delle sedici vergini vestali
In partenza per la costa
E anche se i miei occhi erano aperti
Sarebbe stato lo stesso se fossero stati chiusi
E fu così…
La canzone aveva in realtà altre due strofe, spesso eseguite dal vivo,
che furono tagliate nel disco per contenere in quattro minuti la durata
del brano. Chissà, magari la chiave di lettura è negli ultimi due versi:
So we crash-dived straightway quickly
And attacked the ocean bed
Allora immediatamente ci tuffammo con forza
E affrontammo il letto dell'oceano
Forse nient'altro che un tentativo di seduzione. Riuscito, pare…
Questa storia, come spesso accade, ha anche il suo eroe oscuro, l'uomo
che quel giorno si trovò lì per caso.
Quest'uomo ha il volto di un batterista jazz, e il suo nome è Bill
Eyden. "A Whiter Shade of Pale" fu registrata in un pomeriggio
d'inverno, nei primi mesi del 1967. Quel giorno il batterista titolare
dei Procol Harum, Bobby Harrison, non prese parte alla registrazione.
Per qualche motivo mai del tutto chiarito, il produttore della band,
Denny Cordell, decise che in quella sessione dietro i tamburi doveva
sedere Bill Eyden, ben noto nell'ambiente londinese.
Eyden diede al brano un tocco di vivacità, con quelle rullate e quei
"fill-in" di impronta jazzistica fra una battuta e l'altra, contribuendo
in definitiva al risultato finale al pari degli altri strumentisti (gli
appassionati potranno fare il confronto con la versione stereo, in cui
alla batteria c'è Bobby Harrison). Fu liquidato con la paga sindacale,
15 sterline e 15 scellini, e non rivide mai più i Procol Harum.
Fu solo più tardi, dopo l'enorme successo della canzone, che a Bill
Eyden fu riconosciuta una cifra più alta, a titolo morale, per le sole
esecuzioni televisive in playback nelle quali Bobby Harrison mimava la
sua parte. Alla fin fine, forse la vera "ombra pallida" di tutta la
storia è proprio Bill Eyden…
Alla fine, pur con tutte queste spiegazioni, abbiamo la testa un pò
confusa e non siamo certi di aver capito tutto. Ma che importanza ha?
Credo poca, la musica è talmente potente ed il testo così criptico che
si perde l’importanza di capire a fondo il significato. Resta una grande
canzone, con una musica difficilmente eguagliabile e con un testo che ha
la forza di entrarti dentro anche se non sai cosa vuol dire. Forse un
giorno si presenterà alla ribalta un'altro styrano gruppo, con uno
strano nome e con una meravigliosa canzone dal testo criptico ed
incomprensibile, ma per il momento teniamo stretto nella mente il
ricordo della canzone e del suo scomparso autore....R.I.P.!
I geni straordinari con la Sindrome di
Asperger: ecco quali sono
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Sabato 19
Febbraio 2022
Talkin' 11954 -
miscio.tux
Oggetto: Precisazione
Caro Mr.Tambourine,
è sempre opportuno ricordare gli anni sessanta, pervasi com'erano da un
senso di speranza,mentre oggi i tempi sono oppressi da un senso di
catastrofe. Una sola piccola precisazione, la foto con Reagan non è un
fake di Sir Eglamore,(lui ci avrebbe messo la réclame del Memory Motel
di Juju), è del 1983, scattata nel corso della marcia commemorativa che
si è tenuta 20 anni dopo:
Carissimo Miscio, hai
perfettamente ragione, tra l'altro la pagina che tu segnali è proprio
quella dalla quale ho preso le foto, ma, scioccamente e distrattamente,
non ho collegato che Ronald Reagan era diventato Presidente 20 anni
dopo, e, non avendo letto la didascalia della foto, ecco lo scivolone.
Come potrai vedere, grazie al tuo aiuto, ho sostituito la foto, quindi i
conti tornano. E' una fortuna per Sir Eglamore aver fra i suoi servi più
umili una persona come te, ma lui non l'ha ancora capito, perso com'è
nel seguire la gestione della sua sexual SPA di via del pungilione,
forse gli è venuta la "Sindrome di Briatore", nota malattia che spinge
la gente a cercare di far più soldi possibile! "Laisser faire, laisser
passer" diceva de Gournay e forse un giorno anche lui capirà il
tuo valore....:o). Intanto grazie con le gambe, col culo, con la testa,
ciao ciao! Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 18
Febbraio 2022
BACKWARD IN
TIME.............
MARCH ON WASHINGTON - La marcia su
Washington del 28 agosto 1963
Il 28 agosto 1963 davanti ad una folla sterminata di persone Bob Dylan
partecipa alla Marcia per i Diritti Civili, conosciuta con il nome di
Marcia su Washington. Quattrocentomila persone presero parte a questa
marcia di protesta per i diritti civili in cui Martin Luther King
pronunciò il suo immortale discorso che iniziava con la celebre frase
"Io ho un sogno...".
Bob eseguì tre canzoni: When the ship comes in, Only a pawn in their
game e Keep your eyes on the prize.
Si tratta di un video eccezionale che dà realmente i brividi.
Un giovanissimo Bob davanti ad una folla numericamente impressionante
attacca con la sola chitarra "When the ship comes in" e qualche secondo
dopo che ha iniziato a cantare una giovane ragazza dai lunghi capelli
neri compare improvvisamente dietro di lui affiancandolo poi davanti al
microfono. E' Joan Baez che prosegue la canzone con Bob facendo la
seconda voce.
Documento storico che travalica il discorso musicale. Len Chandler si
affianca a Bob ed a Joan durante l'esecuzione di "Keep your eyes on the
prize".
When The Ship Comes In -
Dall'album "The Times They Are
A-Changin'" (1964)
La canzone sembra essere stata ispirata a Dylan da una canzone dall'
"Opera da tre soldi" di Bertolt Brecht, "Lied der Seeräuber-Jenny", in
italiano "Jenny dei Pirati". Afferma Suze Rotolo, uno dei primi amori di
Bob Dylan (nonché la ragazza che con lui appare sulla copertina di "The
Freewhelin' Bob Dylan"): "Il mio interesse per Brecht costituì
certamente un'influenza per Bob. Stavo lavorando per il Circle in the
Square Theatre, ed egli veniva a sentire tutte le nostre
rappresentazioni. Rimase molto colpito dalla canzone per la quale è
divenuta famosa Lotte Lenya, Jenny dei Pirati".
Bob Dylan e Joan Baez cantano "When the Ship Comes in" durante la famosa
"Marcia su Washington" il 28 agosto 1963. Si tratta probabilmente della
prima esecuzione pubblica della canzone.
When the ship comes in (Quando la nave attraccherà) è una canzone molto
poco conosciuta dal pubblico italiano, nonostante sia una delle più
significative e belle creazioni dell'autore nel suo primo periodo,
quello del folk e della contestazione, quando era visto alla stregua di
un messia. Fu pubblicata nel 1964 nell'album The Times They Are
A-Changin', nel quale risalta per il ritmo vivace in mezzo ad altre
composizioni più cupe e monotone. La parte musicale è molto semplice,
basata su un giro circolare di chitarra acustica su cui si inserisce la
voce, e intermezzi di armonica; il testo ricco di rime interne e
allitterazioni accentua la musicalità del tutto. Il canto è profetico,
nasale e appassionato: fin dal primo verso (The time will come up/when
the wind will stop, Il tempo giungerà / quando il vento si fermerà)
assume il tono solenne di chi annuncia la fine (o l'inizio) del mondo.
Il tema non è nuovo, ma svolto con vena esemplare: una metaforica nave
viaggia in mezzo a mille insidie, diretta verso un fantasmagorico porto
al quale attraccherà nell'ora in cui i "nemici" saranno sconfitti. Da
notare l'uso della specifica parola "nemici": a quel tempo Dylan aveva
una certa propensione a dividere il mondo fra ciò che riteneva buono e
ciò che riteneva cattivo, fra "nemici" e "amici" a suo insindacabile
giudizio, come ammetterà più tardi in My Back Pages (I screamed/lies
that life is black and white, gridavo bugie che la vita è bianca e
nera).
Il testo si dipana fra descrizioni della natura giubilante (the fishes
will laugh /as they swim out of the path, e i pesci rideranno/quando
nuoteranno fuori dalla scia) e impennate metaforiche (the chains of the
sea/ will have busted in the night, le catene del mare/saranno spezzate
nella notte), per giungere alle ultime strofe, dove si descrive il
risveglio improvviso dei nemici, che si sforzano in tutti i modi di
"fare fronte alle domande" incalzanti, senza potere nulla contro
l'umanità scatenata loro contro (and like pharao’s tribe/they’ll be
drowned in the tide/and like goliath they’ll be conquered, e come le
armate del faraone/saranno annegati nella marea/e come Golia saranno
sconfitti, è il verso conclusivo). In una semplice canzone di due minuti
e mezzo Dylan riesce a condensare il secolare tema romantico dell'uomo
in lotta con un nemico enormemente più forte e la stessa lotta per i
diritti civili in America, che in quegli anni viveva una fase cruciale –
è facile riconoscere nei "nemici" che dicono "Faremo fronte alle vostre
domande" leader politici o personaggi di rilievo desiderosi di
difendersi presso l'opinione pubblica – entrambe inserite in un ottica
biblica di ineluttabilità e di certezza di vittoria, riscontrabile sia
nelle citazioni dirette delle armate del faraone e di Davide e Golia sia
e soprattutto nel tono solenne della voce; Dylan non invoca né spera,
semplicemente racconta ciò che accadrà quando la nave attraccherà, senza
lasciar trasparire dubbi sul dovuto e voluto trionfo.
"Verrà il
tempo quando i venti si fermeranno e la brezza cesserà di spirare. Come
la quiete nel vento prima che l'uragano cominci, l'ora in cui la nave
arriverà in porto. Ed i mari si divideranno e le navi si scontreranno e
le sabbie sulla riva tremeranno. Poi la marea risuonerà e le onde
scrosceranno ed il mattino comincerà a sorgere. I pesci rideranno
nuotando fuori dal loro corso ed i gabbiani sorrideranno e le rocce
sulla sabbia si ergeranno fiere, l'ora in cui la nave arriverà in porto.
E le parole che sono state usate per confondere la nave non saranno
capite mentre verranno dette perché le catene del mare saranno spezzate
nella notte e saranno sepolte nel profondo dell'oceano. Una canzone si
innalzerà mentre la vela maestra scenderà e la barca scivolerà verso la
spiaggia ed il sole rispetterà ogni faccia sul ponte, l'ora in cui la
nave arriverà in porto.
Poi le sabbie srotoleranno un tappeto d'oro perchè i vostri stanchi
piedi possano toccarlo ed i saggi della nave ancora una volta vi
ricorderanno che il mondo intero sta guardando. Oh i nemici si alzeranno
con il sonno ancora negli occhi e dai letti si scuoteranno e penseranno
di stare sognando. Ma si pizzicheranno e grideranno e sapranno che è
vero, l'ora in cui la nave arriverà in porto. Allora alzeranno le mani
dicendo "faremo ciò che volete", ma noi dalla prua grideremo "I vostri
giorni sono contati". E come il popolo del Faraone, saranno sommersi
dalla marea, e come Golia saranno vinti".
Parlare di The Queens
of Rhythm è come parlare di un oggetto misterioso. Più o meno tutti
sanno che sono state il gruppo di coriste che hanno accompagnato Bob
Dylan dal 28 Febbraio 1978 sino al 17 Ottobre 1987 nei concerti dal
vivo.
Trovare notizie su di loro non è stato facile, più ancora trovare foto
come testimonianza visiva di quei momenti indimenticabili.
Al giorno d’oggi, molte di loro non sono più in attività visto che
stiamo parlando di un decennio lontano nel tempo ben 35 anni. Alcune di
loro hanno oltrepassato gli 80 anni come Bob, Madelyn Quebec, la madre
di Carolyn Dennis, la seconda moglie di Bob, è nata nel 1935 e si
avvicina ai 90. Clydie King è scomparsa nel 2019 per un’infezione del
sangue. Di altre è quasi impossibile trovare notizie e foto nel WEB, o
se si trovano sono soltanto alcuni cenni che non fanno luce sulla
persona. Ho impiegato più di tre mesi esplorando in lungo ed in largo
Internet per trovare le fotografie che potessero testimoniare quel
periodo ricco di creatività e di concerti meravigliosi. Quello che
leggerete è quanto sono riuscito a trovare, ma se qualcuno di voi avesse
nella sua discografia o nelle sue pubblicazioni dylaniane ulteriori
notizie o foto che possano integrare quanto contenuto nella pagina, le
mandi alla Fattoria in modo da poter aggiornare la storia delle Queens
of Rhythm. Grazie in anticipo, Mr.Tambourine, :o)
Morto Ian McDonald, fondatore dei King
Crimson
clicca qui
Mercoledì
16
Febbraio 2022
Talkin' 11953 -
marco.chiani
Oggetto: Cinemonitor articolo Dylano
Salve,
sono il coordinatore della redazione di Cinemonitor, portale di cinema e
media entertainment della Sapienza di Roma, e scrivo per segnalare la
pubblicazione - avvenuta pochi minuti fa - dell'intervento di Marco
Zoppas sul tema Fellini, Castaneda, Dylan,
di seguito il link:
https://cinemonitor.it/in-un-campo-magnetico-fellini-castaneda-dylan/
Molte grazie per l'attenzione.
Marco Chiani.
Grazie a te Marco per
la segnalazione, tutto ciò che riguarda Dylan è sempre meritevole di
essere apprezzato! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Bob Dylan e l'arte della parola,
intervista ad Alessandro Carrera
clicca qui
Sabato 12
Febbraio 2022
Talkin' 11952 -
sillcat
Carissimo Mister, per la serie “Ho
suonato con Bob Dylan” ti invio la traduzione di una recente intervista
a Benmont Tench condotta dall'inarrestabile Ray Padgett e pubblicata
alcuni giorni fa sul suo sito. Come le altre chiacchierate di Padgett
con i musicisti che hanno lavorato con Bob, anche questa è ricca di
spunti e parecchio lunga. Ecco la prima parte, a giorni seguirà la
seconda. Saluti a tutti, Silvano.
Grazie davvero
carissimo Silvano, sei un collaboratore prezioso e contribuisci con il
tuo lavoro ed il tuo entusiasmo a rendere uniche queste pagine.
Naturalmente, ho riportato anche nella pagina "Ho suonato cob Bob" la
prima parte dell'intervista in attesa della seconda parte. L'ho
riportata anche qui sotto per facilitare la lettura agli amici
Maggiesfarmers! Come è di moda dire adesso dopo Sanremo: Con le gambe,
con il culo, coi miei occhi, Ciao ciao! Alla prossima Mr.Tambourine, :O)
Andare in tour e registrare con Bob
Dylan. Parla l’Heartbreakers Benmont Tench.
Come ho già scritto altre volte, pochi tour di Bob Dylan amo tanto
quanto il cosiddetto “True Confessions Tour” del 1986. Quella è stata la
prima volta che Dylan si è fatto accompagnare da una band già famosa:
Tom Petty & The Heartbreakers. Lo scorso autunno Richard Fernandez, tour
manager di lunga data di Tom Petty, mi ha raccontato alcuni episodi
dietro le quinte. Oggi, nell'anniversario del primo show di Dylan con
gli Heartbreakers [Wellington, Nuova Zelanda, 5 febbraio 1986], sentiamo
qualcuno che fu sul palco ogni notte: Benmont Tench, il leggendario
tastierista degli Heartbreakers.
I due tour di Dylan con gli Heartbreakers non sono stati l'unica
occasione in cui Benmont ha suonato con Bob. All'inizio degli anni '80
aveva già registrato per “Shot of Love” e “Empire Burlesque”, e decenni
dopo è riapparso nel mondo di Bob: prima nel brano colonna sonora "Cross
the Green Mountain" (2003) e poi in due tracce di “Rough and Rowdy Ways”
(2020). Ovviamente abbiamo parlato anche di questo.
Ecco la mia chiacchierata con Benmont.
Ray Padgett: Vorrei parlare soprattutto dei tour con gli
Heartbreakers, ma tu ti sei incrociato altre volte con Dylan. La prima
volta furono le sessioni di “Shot of Love”? So che partecipasti con Mike
[Campbell, chitarrista degli Heartbreakers].
Benmont Tench: Sì. C’era anche Mike, ma non finì sul disco.
Registrarono con Mike una versione diversa di "Heart of Mine", ma alla
fine non la usarono. Mike è su “Empire Burlesque”, un paio di dischi
dopo.
Tutto iniziò perché mi chiamò Jimmy Iovine. Stava facendo delle prove
con Bob per vedere se potevano lavorare insieme. Jimmy mi coinvolse
perché non conosceva nessun altro di quelle sessioni e voleva il mio
suono lì dentro.
Ma Lui e Bob non andavano d'accordo. A mia insaputa, Jimmy se ne andò
nel mezzo delle sessioni e mi lasciò in quello studio dove non conoscevo
nessuno, nemmeno Bob. Alla fine della giornata, Bob mi chiese: "Puoi
tornare domani?" E io: "Non posso". C'era una riunione della band o
qualcosa del genere, non potevo saltarla. Nemmeno per Bob.
Ma poi mi richiamò un paio di mesi dopo per registrare “Shot of Love”.
Forse proprio perché gli avevo detto di no.
Quella fu la mia prima esperienza di lavoro con lui, e fu meravigliosa.
Gli Heartbreakers come band hanno lavorato con lui quattro o cinque anni
dopo. Ma nel frattempo la maggior parte di noi – credo tutti noi tranne
Tom [Petty] – avevamo suonato su alcune tracce di “Empire Burlesque”.
Quindi ci conosceva un pò prima che Elliot Roberts [manager sia di Dylan
che degli Heartbreakers] ci proponesse di essere la sua band per un
tour.
RP: Ho letto una voce secondo cui sei stato coinvolto nelle prove
per il tour del 1984, ma non potesti farlo. È vero?
BT: Il tour da cui Glyn Johns ha tratto il disco “Real Live”?
RP: Quello. Con Mick Taylor, in Europa.
BT: Sì. Qualcuno mi chiamò e mi chiese: "Puoi venire a questo indirizzo
a provare?" Risposi: "Non posso andare in tour, perché sto lavorando con
Tom". E quello: "Vuole solo capire come suonerebbe con un tastierista".
Così andai. C’era Colin Allen dei Bluesbreakers di John Mayall alla
batteria e al basso credo ci fosse Gregg Sutton. E loro, indicando il
tipo alla chitarra, mi dissero: "Quello è Mick". Dissi: "Fantastico”.
Iniziammo la jam. [Bob] voleva improvvisare, provare alcune canzoni e
altre cose. Dopo un pò mi resi conto che quel "Mick" era Mick Taylor.
Appena iniziò a suonare dissi: "Hey, aspetta un minuto! Aspetta un
minuto! Wow!" Ma sarebbe stato impossibile per me fare quel tour.
Finirono per prendere Ian McLagan, una scelta molto brillante. Mac
[Lagan] era uno dei miei eroi.
RP: Parliamo del Farm Aid, prima del tour. [La prima esibizione di
Dylan accompagnato da Tom Petty & the Heartbreakers fu in occasione
della prima edizione del Farm Aid, a Champaign, Illinois, il 22
settembre 1985.] Poco fa hai accennato che fu Elliott Roberts il vostro
anello di collegamento. Come successe che gli Heartbreakers e Dylan si
unissero?
BT: Ci sono un paio di cose che ho capito. Quando registrammo “Shot of
Love”, l'assistente di Bob era Debbie Gold. Aveva un bel caratterino, ma
era intelligente. Io e lei andavamo d’accordo. Poi arrivò Mike
[Campbell], e questa fu un'idea di Chuck Plotkin [il produttore]. Debbie
mi rivelò che disse a Bob: "Beh, se ti piacciono Benmont e Mike,
dovresti provare a suonare anche con qualcuno degli altri
Heartbreakers". Forse gli suggerì Howie [Epstein, bassista] e forse Stan
[Lynch, batterista], così quando fu l’ora di “Empire Burlesque”, tutti
noi quattro eravamo su brani di quel disco. Quindi lui ci conosceva già.
Non so se andò esattamente così, ma questo è ciò che mi ha raccontato
Debbie.
Comunque, per Farm Aid, Elliot [Roberts] ci rappresentava insieme a
Tony Dimitriades. Penso sia stato Elliot che alla fine ha collegato
tutti i punti. Tom [Petty] probabilmente aveva già incontrato Bob, ma
non credo avesse registrato con lui. Non era su “Empire Burlesque” come
noi altri. Quindi Elliot o qualcun altro gli avrà detto: "Perché non fai
questa una tantum con Bob?"
La cosa mi rese davvero felice perché le esperienze in studio mi erano
piaciute molto. Non solo era un autore e un interprete leggendario, ma
era diventato un autore e un interprete leggendario perché è
dannatamente bravo. In “Shot of Love” avevo avuto modo di suonare questa
musica fantastica con il suo creatore. E la band… semplicemente assurda!
Jim Keltner, Tim Drummond, Fred Tackett, Steve Ripley, Danny Kortchmar,
le Queens of Rhythm ai cori… Hai parlato con Keltner, vero?
RP: Sì, un paio di mesi fa.
BT: Okay. Jim Keltner è uno dei miei migliori amici. Ci siamo visti
proprio ieri. Due anni fa mi sono trasferito in una nuova casa,
scoprendo che, in cinque minuti a piedi giù per la collina, arrivavo a
casa di Jim. Durante tutta questa pandemia, la nostra clausura è stata
con Jim, [sua moglie] Cynthia e la tata. Una clausura piuttosto buona.
RP: In un certo senso, Jim [Keltner] sembra un pò come te: una di
quelle persone che Dylan si porta dietro negli anni. Magari passano
decenni, ma poi te li ritrovi sul palco o in studio.
BT: Credo che lui e Jim abbiano una relazione più stretta della nostra.
Poi Jim è una meraviglia. Molte delle persone più speciali sanno che Jim
è davvero speciale. E Bob Dylan, oh sì, quello è unico! Il nostro lavoro
è un pò prendere ciò che abbiamo imparato da Bob e dire agli altri:
"Ehi, che ne dici di questo?"
Al Farm Aid suonammo forse cinque canzoni. Puoi trovarne brutte copie
su YouTube. Pensavo fosse stato eccezionale, elettrizzante. E non per il
nome di Bob Dylan, ma perché era stato grande rock and roll. Poco dopo
ci dissero: "Ragazzi, volete fare un tour?" Naturalmente rispondemmo di
sì, o forse fu Tom [Petty] a rispondere di sì perché sapeva che tutti
noi l'avremmo fatto. È così che abbiamo iniziato un viaggio di due anni
a suonare con Bob.
RP: Quindi, quando vi esibiste insieme al Farm Aid pensavate che
sarebbe stata una tantum che finiva lì?
BT: Non ricordo, è probabile. Averlo fatto forse convinse Bob che
eravamo adatti. Forse Bob si divertì davvero. Forse capì che eravamo
veramente bravi. Forse l’ingaggio era a buon mercato. [Ride] Non lo so.
Finimmo per accompagnarlo per alcuni tour. Fece di noi una band molto
migliore perché ci insegnò. Avevamo già un ottimo swing. Prestammo molta
più attenzione ai dischi di Howlin' Wolf, Little Richard, Earl Palmer, a
certi dischi country che suonavano davvero bene perché avevano delle
ottime sezioni ritmiche. Bob è un uomo che ha contribuito a creare il
vero swing del rock and roll. L'ha ereditato in qualche modo attraverso
lo spirito, attraverso il vento, attraverso qualcosa nella sua linea di
sangue, cercando semplicemente di essere il migliore. Ha ereditato lo
swing di Charley Patton, Robert Johnson, Tom Johnson, Memphis Minnie,
Howlin' Wolf, Elvis Presley, Buddy Holly, Earl Palmer, Little Richard.
Lo conosceva. Lui era quello. Suonare con lui alla chitarra ritmica era
come dire: "Bene, questo è ciò che abbiamo sempre cercato di fare".
Eravamo lì, però non sapevamo che ci fosse un altro posto dove andare.
Lui ci ha portato in quell' altro posto. Quella consapevolezza non mi ha
più lasciato, perché ne ero assetato. Non sapevo dove fosse l'oasi nel
deserto, ed eccola lì, acqua da bere. Acqua fresca e limpida, ciò di cui
avevo bisogno per la mia anima.
Gli Heartbreakers sono sempre stati in grado di suonare a braccio. Se
Tom [Petty] diceva suoniamo "I Fought the Law", noi la facevamo, non
avevamo bisogno di provarla, l'avevamo sentita un milione di volte alla
radio. Uscivamo e suonavamo. Penso che probabilmente a Bob sia piaciuto
questo di noi. Non è stato molto difficile insegnarci una canzone – e a
volte non ce l’insegnava nemmeno. Iniziava a suonarla.
Non importava se c'erano 20 o 60 o 70mila persone a guardare. In un
certo senso, se conosci a fondo la canzone ma non l'hai mai suonata, sei
nella condizione migliore per farla. Non avevo mai fatto una cover di
"Desolation Row" con una band. Non l'avevo mai suonata in vita mia, ma
l'avevo ascoltata un milione di volte. A un festival iniziò proprio a
suonarne gli accordi. Nel giro di quattro battute, pensai: "Buon Dio,
stiamo suonando ‘Desolation Row’!" Ed eravamo sul palco ed è stato
bellissimo.
Una sera a Filadelfia disse: "Possiamo suonare "I Dreamed I Saw St.
Augustine'?" Sono sicuro che non l'avessimo mai provata, al massimo
potremmo averla accennata in camerino. Quella è una delle canzoni che mi
hanno portato in profondità nella sua musica. Quando uscì “John Wesley
Harding” sentii qualcuno che lo suonava dalla finestra di un dormitorio,
andai direttamente al negozio e mi persi in quel disco. Così suonammo “I
Dreamed I Saw St. Augustine”. Più avanti, stessa cosa con "Lonesome
Death of Hattie Carroll" e con "Tomorrow Is a Long Time". Lui ed io
stavamo camminando uno accanto all'altro mentre la band saliva sul
palco. Per chiacchierare, gli chiesi: "Cosa vuoi fare come canzone
lenta?" E lui: "Conosci "Tomorrow Is a Long Time’?” Risposi di sì e lui
disse: "Facciamola, solo io e te e forse Mike". Quando arrivò il
momento, iniziò a suonare "Tomorrow Is a Long Time" solo con me e Mike
[Campbell, chitarrista]. Fu a Göteborg, in Svezia, c’erano 20.000
persone. Non l’avevamo mai suonata con lui prima, né tra di noi. Fu
trascendente, fu trascendente.
RP: Qual era il ruolo di Tom [Petty]? Erano co-bandleader? Oppure
Bob era il leader e Tom solo un altro membro della band di
accompagnamento? Come funzionava la dinamica tra loro due?
BT: Beh, per me gli Heartbreakers non si sono mai sentiti solo un
gruppo di accompagnamento. Con Tom abbiamo lavorato come una band in cui
lui era il nostro chitarrista e cantante. [Dopo che i Mudcrutch, la sua
prima band, si sciolsero] stava lavorando a un disco da solista con
gente come Jim Keltner, Al Kooper e Jim Gordon. Leggende. Ma decise di
lasciar perdere quel disco per tornare al formato band con il gruppo di
Gainesville, cioè noi.
La mia opinione sul suo ruolo era che lui era ancora il leader degli
Heartbreakers, ma era anche una specie di collegamento. Bob diceva:
"Voglio suonare questa canzone", "Voglio usare questo finale", "Così è
sbagliato, gli accordi sono questi". E noi ci rimettevamo a lui, ma non
avremmo mai detto "Accidenti, è fantastico" se non avessimo pensato che
lo era davvero. E lui non ci avrebbe mai detto "Accidenti, è fantastico"
se non l’avesse realmente pensato. Poteva essere severo quando voleva,
ma alla fine ce l'abbiamo fatta.
Non per fare confronti o discutere la qualità, ma The Band erano già
Levon & the Hawks. Erano un gruppo quando Bob iniziò a suonare con loro.
Fu la stessa cosa. Prendere una band già pronta, essenzialmente fratelli
di sangue. È stato semplicemente meraviglioso. Avevamo tutti fatto
qualcosa per “Empire Burlesque”, ma per essere davvero così ci voleva
l'intera band, incluso Tom, tutti insieme, a suonare quelle canzoni.
Amico, è stato stupendo!
Gli Heartbreakers hanno sempre avuto grandi canzoni perché avevamo Tom,
ma mettici Bob e hai un altro livello. È stato bellissimo. Il ruolo di
Tom era chitarra ritmica e armonie voci. Penso che fosse davvero felice.
Felice di essere il ragazzo che suona la chitarra ritmica, quindi senza
più bisogno di discutere ogni cosa. Tom non doveva contare su di noi,
non doveva darci indicazioni. Guardavamo tutti Bob come falchi, come
avevamo sempre guardato Tom, ed eravamo giusto in contatto con lui. È
stato magnifico, sì magnifico.
RP: Cosa ricordi dei primi giorni del tour in Australia e Nuova
Zelanda? Ricordi qualcosa dei primi due spettacoli?
BT: Credo che il primo concerto sia stato a un festival in Nuova
Zelanda. Arrivammo lì circa una settimana prima per fare un pò di prove,
acclimatarci al tempo, e ci fermammo a Wellington. In Nuova Zelanda, se
ben ricordo, non andò bene. Almeno per noi sul palco. Molte cose erano
un mezzo disastro. Situazioni tipo “Ah, non sapevo fosse in questa
chiave...” Allora partivamo con la nuova chiave e Bob si rendeva conto
che non voleva essere in quella chiave, quindi tornava alla chiave
originale. Era piuttosto traballante. Non so cosa ne pensasse il
pubblico.
Dopo un paio di date in Nuova Zelanda, volammo in Australia. Lì siamo
stati davvero bene. Da quel momento in poi, penso che quel tour in
Australia e Giappone sia stato in gran parte veramente buono. Era
davvero uno spettacolo rock and roll, quindi ci furono momenti incerti,
ma, buon Dio, chi vuole la perfezione? È molto più divertente volare
senza rete, quando fai un errore e dici "Uh, come farò a tirarmi fuori
da tutto questo?" Poi ne vieni fuori, atterri in piedi e potresti
persino aver migliorato le cose.
Quando [l’esecuzione] veniva un pò grezza, non era una cosa tipo “così
non va proprio bene”. Era grezza come il rock and roll dovrebbe essere.
Non stonata, non sbagliata, ma viva, qualcosa che respira, cambia e
vive.
RP: Una cosa che colpisce guardando i video e ascoltando le
registrazioni è che sembra che tutti, incluso Bob, si stiano divertendo.
Dylan, anche quando si diverte, di solito non sorride da orecchio a
orecchio come sembrava fare quando suonava con voi.
BT: Mi sembra che ci stessimo tutti divertendo davvero. Io ero
estasiato. Se vedi il film realizzato da Gillian Armstrong [“Hard to
Handle”], ti rendi conto che non sto nella pelle. Ballo dietro l'organo,
salto su e giù perché sono davvero elettrizzato.
Alla fine, non credo che Bob fosse molto felice. Non credo sia stata
colpa nostra, ma penso solo che non fosse molto felice. In “Chronicles”
puoi leggere la sua opinione su tutto questo. Ma l'inizio fu
meraviglioso e per tutto il tempo ci furono parti semplicemente
fantastiche. C'erano sempre concerti o parti di concerti eccezionali.
Sempre.
In Australia, la prima notte effettuammo il check-in in hotel e chi
stava facendo il check-in alla stessa ora? Lauren Bacall. Così più tardi
scendemmo tutti al bar, o alla caffetteria, o qualunque cosa fosse. Lei
era laggiù. Bob ci aveva fatto imparare alcuni standard. Diceva
“Impariamo ‘Lucky Old Sun’, impariamo questo, impariamo quello…” Ci
aveva fatto imparare un vecchio standard, "All My Tomorrows". Non capivo
quel tipo di accordi, ma ci arrivammo. Lui ed io sedemmo al pianoforte e
la suonammo per Lauren Bacall. E lui la cantò. Che bel momento! Lauren
Bacall e Bob Dylan. Semplicemente bellissimo, un ricordo ancora vivo di
quel tour. Accaddero cose del genere.
Sfortunatamente ero al culmine, o quasi, del mio uso di cocaina, quindi
ero in uno stato mentale alterato. Ma penso di aver suonato bene. So che
la band suonò bene e non credo fossi l'unica persona che assumeva
cocaina in quel tour. Bob non l’ho mai visto fare nient'altro che bere
un bicchierino di whisky e fumare una sigaretta. Io ero decisamente
trasgressivo, non molto responsabile di me, ma non credo abbia influito
sui concerti.
Fu una bellissima performance quella di Sydney ripresa nel film. Ma c'è
molto, molto di più. Credo che Bob abbia messo mano al montaggio e sono
sempre stato curioso di conoscere il montaggio originale della regista,
e se Bob lo pubblicherà mai in qualche modo.
A quel punto non stava ancora decostruendo le canzoni, erano versioni
molto simili ai dischi. Canzoni che avevamo ascoltato per tutta la vita
e che ci piacevano com'erano. Diceva “questa canzone” e iniziavamo a
suonarla, oppure lui iniziava a suonare e noi lo seguivamo. Conoscevamo
i lick di apertura di "Just Like a Woman" e di tutte queste cose, quindi
ci veniva naturale.
In seguito, ha trovato la sua strada nel cambiare le melodie o nel
cambiare completamente la struttura degli accordi. Nel film “Masked and
Anonymous” c’è una scena in cui stanno pensando di convincere Jack
Frost, il personaggio interpretato da Bob, a partecipare a una sorta di
Telethon e uno dei presidenti del board dice: "Jack Frost! Nessuno più è
in grado di dire quale canzone stia cantando." Garantisco che quella
battuta l’ha scritta Bob. Ma quello è venuto dopo.
Noi le suonammo nel modo in cui le sentivamo e nel modo in cui le
avevamo sempre sentite. Ma non eravamo una cover band. Era tutto tranne
che una cover band. Non era karaoke. Come ho detto, era qualcosa di
vivo, era bello.
RP: Nel film [“Hard to Handle”] ti si vede suonare la parte d'organo
di Al Kooper in "Like a Rolling Stone". Mi chiedo se sia stato eccitante
eseguire una parte così iconica. Tu hai un sacco di canzoni iconiche con
Tom Petty, ma hai contribuito a crearle; forse è diverso con una canzone
che ti ha preceduto.
BT: È diverso, sì. È una canzone che sento da quando avevo 12 o 13
anni. Il nostro primo tour è stato come opening per Al Kooper. Al era
stato a lungo un mio eroe.
RP: Veramente? Il primo tour degli Heartbreakers?
BT: Sì. Nel disco solista che Tom aveva abbandonato c’era Al Kooper. Al
in realtà era il musicista leader delle sessioni. Conoscevo Al, perciò è
stato doppiamente dolce interpretare la sua parte d'organo. Penso che mi
si veda saltare felice in quel brano.
RP: Ti è piaciuto suonare i vecchi standard? Le canzoni rock 'n roll
dei primi anni '50? Gli spettacoli si aprivano con "Justine" e ci sei tu
all'organo che fai questo divertente riff. Ci sono un sacco di canzoni
del genere nei set.
BT: "Justine"? Penso di essere al piano e che sia Bob all'organo. Aveva
una tastiera DX7 con sound program. Uscivamo noi e trascinavano davanti
al palco la tastiera che Bob suonava e facevamo "Justine". Non la
conoscevo, come non conoscevo "Red Cadillac and a Black Moustache” e
canzoni del genere. Non so se le trasmettevano alla radio di Gainesville
e comunque al culmine del primo rock 'n roll io avevo tre o quattro
anni. Non conoscevo quelle canzoni. Quale modo migliore per impararle se
non da Bob?
RP: Hai qualche ricordo del periodo in cui siete stati in tour con i
Grateful Dead nell'86? Penso che abbiate fatto solo alcuni spettacoli,
Dylan con gli Heartbreakers e i Dead.
BT: Dividevamo il cartellone. A volte aprivamo noi, a volte loro.
Suonammo negli stadi. Non era come uscire dai camerini, fare un paio di
gradini ed essere ai lati del palco, perciò non era così facile uscire
ad ascoltarli. Ero un grande fan dei Grateful Dead, quindi ero un pò in
soggezione. Salutai e parlai con Bob Weir perché avevamo un amico in
comune, ma non credo di aver parlato con nessun altro.
Quegli spettacoli erano troppo grandi per me. Troppo grandi per capirli
o concentrarmi. Era tutto un pò strano.
C'è un filmato su di noi mentre suoniamo in uno di quei concerti,
l’hanno inserito in una trasmissione del Farm Aid. Sembra che siamo in
uno stadio vuoto o qualcosa del genere. Ma non era affatto vuoto. È solo
il modo in cui è stato girato, sembra che stiamo suonando in un limbo.
FINE DELLA PRIMA PARTE
Venerdì 11
Febbraio 2022
Celati
forever: cosa insegna Bob Dylan a noi scrittori fuori standard
clicca qui
Quentin Tarantino: Tangled Up in Blue,
la mia canzone preferita di sempre
clicca qui
Sabato 5
Febbraio 2022
Talkin' 11951 -
Fuscantonio
Oggetto: Buddy Holly
Ciao Mr. Tambourine, 63 anni fa, il 3
Febbraio 1959, in un incidente aereo perdevano la vita Buddy Holly,
Ritchie Valens e Big Bopper. Quel giorno fu ribatezzato “Il giorno che
la musica morì”. Ti segnalo questi due articoli per ricordarli
giustamente:
3 febbraio 1959: “Il giorno in cui la
musica morì”
clicca qui
La "profezia", poi l'aereo cadde: il
giorno in cui morì la musica
clicca qui
Ciao, Antonio.
Grazie Antonio, io mi
ero dimenticato che quel maledetto incidente era accaduto proprio in
questi giorni. Ho pubblicato i tuoi link in questa forma perchè il link
era troppo lungo. Permettimi, a beneficio di chi vuole conoscere di più,
di integrare con quest'altri articoli.
Buddy Holly
pensò di dettare le regole del rock'n'roll
clicca qui
Rimbaud, Verlaine e la lite che finì a
pesci in faccia
clicca qui
Giovedì 3
Febbraio 2022
Talkin' 11950 -
juju.zhang79
Senti un po’ Tambù,
ti volevo chiedere un grande favore. Ricordi quella recensione di Shadow
Kingdom scritta da Dario, quella che tu hai pubblicato due o tre volte?
Ecco, mi è talmente piaciuta che ti chiederei di pubblicarmela ancora
una volta. Se possibile con una dedica alla mia bella Shang Li, la
migliore fra le ragazze di Via del Pungiglione, suona il piffero come
non ci fosse un domani e oggi ha festeggiato il suo millesimo massaggio
qui da noi. Mi piacerebbe proprio dedicarla a lei perché se lo merita,
sempre che tu non rischi di incappare in grane legali, beninteso. So fin
troppo bene quanto pesino economicamente e psicologicamente le grane
legali e non vorrei mai che tu dovessi rivolgerti a un legale per
transare con il micragnoso Dario Twist of Money. Comunque Shang mi ha
appena raccontato un episodio che mi ha subito insospettito: un suo
cliente abituale, un anziano signore molto galante che prima di
andarsene le ha mormorato all’orecchio “I’ll Remember You”, durante la
benefica seduta ha tirato fuori un piccolo libricino e le ha letto un
audace racconto su due focosi amanti che finiscono all’inferno; il
libretto è poi stato dimenticato sotto il cuscino, si intitola: “Inferno
- Edizioni Bignami” e vi è un’annotazione a lapis che recita:
“pubblicare recensioni Dylan se no Dario rompe”. Sarà mica tuo? Mi sa
che tu, Tambù, sei un bel furbetto e vieni qui senza dirci chi sei.
Contento tu, ti avrei fatto lo sconto, non c’è niente da vergognarsi.
Comunque hai visto come migliora il mio italiano? Diventa sempre più
forbito, ormai sono proprio una vera signora milanese e la gestione del
Gates of Eden comincia a pesarmi. Sai che è proprio vero quello che
dicono i fan di Bob Dylan? Lui ti cambia la vita, ti indica la strada.
Sta succedendo anche a me, sai? Ho letto che ha venduto tutte le sue
preziose canzoni e ho capito che anche per me è venuto il momento di
fermarmi e godermi il gruzzoletto che mi sono sudata. Non lo vorresti
magari comperare tu il Gates of Eden? Guarda che ti sto offrendo una
grande occasione, gli affari vanno a gonfie vele, e, malgrado la crisi
economica di questi anni, rimane un business in grande espansione; gli
italiani risparmiano su tutto, ma per il piffero non badano a spese. Un
piccolo investimento iniziale e per te sarebbe la svolta, la tua
meschina esistenza, trascinata fra un divano spelacchiato e il timone di
un sito morto, prenderebbe subito colore: tu, finalmente pesce spada che
come siluro fende la cresta dei marosi turchesi, potresti centrare il
bersaglio delle tue aspirazioni; su un tappeto volante di banconote da
500, potresti volteggiare fra palme cariche di datteri, capezzoli color
del rame, caraffe di ambrosia e aragoste blu. Il mio centro massaggi lo
conosci e sai che le ragazze stantuffano notte e giorno come locomotive
a vapore. E’ la volta che potresti vedere anche tu la pecunia, il
conquibus, gli sghei. Devi solo volerlo. Come dicevano Aristotele,
Plotone e Platino, “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la
notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c'è un'alba che
ci aspetta.” Puoi ancora prendere la vita per le corna, credi in te
stesso. Come diceva maestro Wang Yang Ming “Finché c'è fica c'è
speranza.”
La tua glande amica Juju..
La recensione di
Shadow Kingdom la trovi nella pagina
Gli scritti di Dario
Twist of Fate Greco.
Hai ragione quando dici che il sito è morto, anche se continua col suo
standard di visite giornaliere. Dylan ha 80 anni e le news su di lui
sono quasi zero, la pandemia ha bloccato qualsiasi attività
concertistica per moltissimo tempo e di conseguenza non c’era mai niente
da pubblicare o recensire su Bob. Speriamo che la situazione migliori in
futuro e che si possa tornare alla normale attività anche se gli anni a
Bob non li può togliere nessuno e negli ultimi concerti la gente diceva
che era malfermo sulle gambe. Comunque Bob continuerà a salire sul palco
anche se dovessero spingerlo su con la sedia a rotelle! Alla prossima
carissima Juju, portati bene e se puoi monetizzare il "Gates of Eden"
fallo, per tutti arriva il momento del meritato benessere! Live long and
prosper, Mr.Tambù, :o)
Mercoledì
2
Febbraio 2022
L’industria musicale e la videoludica: i punti in comune e le divergenze
clicca qui
Ciao Mr. Tambourine, ti scrivo per farti
una confessione...
Mi sono sempre considerato un buon Dylaniano. Buono nel senso che non
frugo nella sua spazzatura, non gli urlo "Giuda!" quando lo incontro per
strada, non mi lamento se nei suoi concerti cui assisto lui storpia le
canzoni, non gli tengo il muso se vende i diritti delle sue canzoni, a
Natale non posso fare a meno di "Christmas in the Heart" e così via. E'
stato ed è tutt'ora molto importante per me. Non dico che mi ha salvato
la Vita, ma l'Anima probabilmente sì, e mi ha insegnato a vedere tutto
in un modo differente. Mi ha offerto un punto di vista originale, mi ha
aperto la mente e mi emoziona ogni giorno. Tutto questo dovrebbe fare di
me un "buon Dylaniano" anche se talvolta mi chiedo se non lo sono
abbastanza. Perché? Semplicemente perché mi porto sempre addosso
l'amarezza di non riuscire a far capire al resto del mondo (amici,
colleghi, conoscenti, famiglia, chiunque incontro per strada) come mai
Dylan sia così importante per me, perché lo è per tanti altri e perché
non lo si può paragonare a nessun altro. Ci ho provato anche qui su
maggiesfarm, dicendo cose del tipo che prima di Dylan il mondo era
quello del Medioevo, piccolo e piatto, ora invece ci sono infiniti
Universi e dimensioni parallele, che prima di Dylan nuotavo in una
piscina di pochi metri quadrati e ora invece mi immergo nelle immense
profondità Oceano, eppure non credo di essermi fatto realmente capire.
Ma la Vita è sempre pronta a sorprenderti, specie quando meno te lo
aspetti. Recentemente ho visto il film "The Mauritanian". Il film narra
la storia vera di Mohamedou Ould Slahi, arrestato nel 2002 in Mauritania
in quanto sospettato di essere coinvolto negli attentati dell'11
settembre. Trasferito nella prigione di massima sicurezza degli Stati
Uniti a Guantanamo. senza prove e senza accusa, interrogato e torturato
per anni. Viene scagionato da ogni accusa e liberato 14 anni dopo. Il
film si conclude con una breve apparizione del vero protagonista della
storia, di Mohamedou, che prima ci mostra in quante lingue è stato
tradotto il libro, scritto da lui, che racconta questa storia e poi...
Poi sorprendentemente sorride e dice...: "Bob Dylan"... e mentre lo dice
si sente partire la canzone "The man in me", di Dylan, e Mohamedou la
canta, e dice che è proprio lui l'uomo di quella canzone, e continua a
sorridere.
Mohamedou si è fatto 14 anni di carcere a Guantanamo, ingiustamente, è
stato umiliato e torturato. Ora è finalmente libero e cosa fa da uomo
libero? Ascolta e canta una canzone di Dylan. E quasi si commuove
nell'ascoltarla, e gli da un significato nuovo, personale, unico,
profondo, e quando dice "That's me" nessuno può mettere in discussione
le sue parole, perché glielo si legge in faccia che quell'uomo è davvero
lui. E io ancora una volta mi ritrovo a sorprendermi, non solo per tutto
quello che un uomo come Mohamedou può insegnarti, ma anche per come
Dylan sia così universale, trasversale, infinito e ancora tutto da
scoprire, giorno dopo giorno.
The last scene from the Mauritanian movie المقطع الأخير من فيلم
الموريتاني - YouTube
"The man in me will do nearly any task
And as for compensation, there's a little he would ask
It take a woman like you
To get through to the man in me
Storm clouds are raging all around my door
I think to myself I might not take it any more
Take a woman like your kind
To find the man in me
But, oh, what a wonderful feeling..."
Marco on the Tracks
Carissimo Marco, non
crucciarti, anzi rallegrati di essere riuscito a capire ciò che ad altri
è ostico se non impossibile. Come disse Ennio Flaiano “Il peggio che può
capitare a un genio è di essere compreso”. Credo che tu sappia
perfettamente quanto Dylan si sia impegnato per confonderci le idee,
intendo dire che con le sue canzoni diceva una cosa e con le parole
(nelle interviste) spesso diceva l'esatto contrario. Forse anche lui non
ci tiene ad essere realmente capito e si diverte a confonderci. Ci
vorrebbero un paio di libri per descrivere tutte le stranezze dylaniane,
cose che a volte sembrano senza senso o illogiche, ma Dylan si è sempre
prodigato per darci canzoni meravigliose per capire, ma se non sappiamo
capire, allora è meglio che ci confonda. Non preoccuparti degli altri,
anche loro avranno i propri "guru" o "idoli", magari in un altro campo.
Ti faccio un esempio terra terra, la compagnia di pensionati che
frequentavo io la mattina (prima di rompermi i coglioni e
conseguentemente abbandonarla) era formata da gente che aveva tre
argomenti, Inter, Juventus, Milan. Ogni tanto la variante erano i funghi
(d'estate) e il Giro D'Italia. Per il resto il mondo poteva crollare che
a loro non interessava, non c'era verso di far loro cambiare argomento
almeno ogni tanto, ne tanto meno parlare di qualcosa che era fuori dalla
loro cultura stile "Gazzetta dello sport", inteso naturalmente il
riferimento alle pagine che trattano di calcio. "La vita è veramente
molto semplice; ma noi insistiamo nel renderla complicata" diceva
Confucio, e forse aveva dannatamente ragione. Ma, tutto sommato, avere
la capacità di emozionarsi e di commuoversi vedendo una situazione o
sentendo una canzone non è cosa da tutti, e tu dimostri con le tue
parole di avere una grande sensibilità, e questo è bellissimo. Sei una
persona che ha un dono, cerca di passarlo anche ad altri, ma se non ce
la fai pazienza, in fondo anche Gesù non è riuscito a convincerli tutti,
anzi, qualcuno per invidia o per paura ha trovato più sbrigativo
metterlo sulla croce! Aveva forse colpe? Vedi come le persone sono
strane? Sii sereno più che puoi, gli altri dovranno arrivarci o da soli
o facendo tesoro delle tue parole, però il risultato non dipende da te o
dalla bontà delle tue parole, alcuni proprio sono negati per capire e
bisogna tenerli così come sono, anche se questo può dar dispiacere.
Proprio in questi giorni, per la ricorrenza della Shoah, le televisioni
ci stanno bombardando con storie ed immagini che non dovrebbero essere
viste, anche se purtroppo sono la rappresentazione di una realtà e di
una criminale ferocia che ha trovato moltissimi proseliti nel mondo.
Credo che gli uomini si stiano ammazzando sin dal momento del passaggio
dalla scimmia all'uomo, miliardi di persone ferocemente trucidate o
vessate in questi ultimi due milioni di anni. Forse meglio non pensarci
e rivolgere la nostra mente altrove, magari verso Dylan come fanno molti
di noi. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Martedì 1
Febbraio 2022
Talkin' 11948 -
sewe14
Oggetto: Tim Drummond
Ciao Mr. Tambourine. "Gironzolando" su youtube mi sono imbattuto nel
concerto che Bob ha tenuto ad Avignone nell'81 e devo dire che ne sono
rimasto molto colpito nonostante avessi già ascoltato diversi brani di
quel tour. In particolare, mi è strapiaciuta "Slow train coming": la
sezione ritmica sostiene magnificamente l'incedere della locomitiva
pilotata da capitan Bob e accoglie a bordo il pubblico in visibilio. Nel
mio piccolo, dall'89 al 2011, ho visto 11 volte "His Bobness" dal vivo,
ma devo confessare che un concerto con il coro gospel e quel po pò di
band mi manca assai. A proposito della band, vado pazzo per il mitico
Tim Drummond, bassista coreografico :-). Ho cercato di ritrovare il
video in cui, il 20/10/1979, fece un apparizione memorabile con Bob al
Saturday night live (postato anche sulla Farm in occasione della
scomparsa del musicista nel 2015, se la memoria non mi inganna) suonando
"Gotta serve somebody" e "When you gonna weak up", ma non riesco a
trovarlo; penso sia stato rimosso per motivi di copyright, anche se
stranamente "I believe in you" (il terzo brano di quella serata) è
reperibile. Qualcuno sa darmi qualche dritta su dove posso vederlo?
Grazie anticipate, un saluto a tutti gli amici della Farm.
Ciao Marco, eccoti i link dove puoi rivedere i
video che hai chiesto: