Carissimo Mr.Tambourine, come andiamo?
Vorrei chiedere al simpatico Miscio se mi potrebbe inviare, attraverso
te naturalmente, la sua e-mail.
Gli vorrei fare una "proposta decente", ma purtroppo non ho il suo
contatto. Spero che Miscio ti dia il permesso di farmela avere e, nel
caso, lo ringrazio moltissimo in anticipo.
Un caro saluto e a presto! Dario Twist Of Fate.
Caro Dario, son certo
che appena Miscio leggerà la tua richiesta sarà felice di fartela avere
attraverso me. Restiamo dunque in attesa, e, come dice Oscar Wilde del
quale ammiro in modo esagerato il linguaggio, "Se non ci metterà troppo,
l’aspetterò tutta la vita". Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Ci tengo a ringraziare Mr. Tambourine che
con il suo articolo “Quella sera del 1984 a Verona” è riuscito a farmi
rivivere le emozioni di quella che anche per me è stata la prima volta
di un concerto di Dylan.
A presto, Marco.
Caro Marco, come
disse Marcel Proust: "Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono
felici, sono gli affascinanti giardinieri che rendono la nostra anima un
fiore". La tua mail mi ha reso felice! A volte mi sembra che quello che
scrivo non sia di interesse per nessuno, invece le mail come la tua
dimostrano che mi sbaglio. A volte la gioie più grandi sono quelle
inattese, questo lo diceva Sofocle, ed io sono completamente d'accordo
con lui. Grazie ancora per aver manifestato a me ed a tutti i
Maggiesfarmer la tua bellissima emozione! Alla prossima, Mr.Tambourine,
:o)
Era la sera del 28 Maggio 1984 quando Dylan entrò nel tempio sacro della
musica lirica dove di solito la fanno da padrone Tosca e Cavaradossi,
Calaf, Cio Cio San, Mimì, Rosina e Norma. Accompagnato da Greg Sutton al
basso, Colin Allen alla batteria, Ian McLagan alle tastiere e Mick
Taylor alla chitarra solista ed una buona settantina di minuti di
ritardo Bob sale sul palco per toglierci il freddo e l' umidità che
avevamo accumulato nell’attesa visto che la giornata non era delle
migliori. Avevamo sentito per un' ora e mezzo Carlos Santana ma tutti
nella storica Arena aspettavano soltanto di vedere Bob per la prima
volta nel nostro Paese, mentre fuori forse altri 10-12 mila giovani come
noi che non erano potuti entrare si sarebbero accontentati di ascoltare
il concerto dal di fuori. Dopo la lunga attesa finalmente le luci dell'
Arena si spengono e un' ombra passa davanti al microfono storpiando l'
italiano con il suo accento yankee, "Buonasera Verona!" provocando un
boato ed un lunghissimo applauso. Erano esattamente le 10,57 ed eccolo
Bob Dylan, 43 anni suonati, con la sua chitarra gialla e nera, il
giubbotto altrettanto nero, maglietta bianca, pantaloni attillatissimi
pure neri e stivaletti dello stesso colore. Partono le note di
"Jockerman" nel tempio del melodramma all' aperto. Di positivo il fatto
che non c' è stato il temuto assalto alla città da parte dei fans, tutti
hanno rispettato gli appelli degli organizzatori: "Non hai il biglietto?
Non venire a Verona, perchè tanto non ne abbiamo più". Vero o no, l'
appello è stato rispettato e nemmeno si son visti i soliti bagarini
perchè non avevano niente da vendere, i biglietti erano esauriti da una
settimana. Molti i personaggi della musica italiani davanti al palco, ho
visto Branduardi, De Andrè, Bennato e Guccini, Gianni Minà, Roberto
Vecchioni e Gino Paoli, ma sicuramente ce n’erano molti altri che non ho
visto. All’entrata i controlli sono stati severissimi, niente macchine
fotografiche, niente registratori , niente lattine e oggetti contundenti
tipo gli ombrelli che ci han fatto lasciare all’ingresso e che
naturalmente non abbiamo più trovato all’uscita, forse che i Veronesi si
riforniscono all’Arena per i parapioggia? Scherzi a parte, l’impianto
era imponente, almeno 500 fari e faretti, audio di 60.000 watt (così
dicevano gli “esperti”, e fuori nel piazzale ho contato 15 TIR e 6 Tour
Bus per lo Staff dei tecnici e dei roadies. Visto che aveva piovuto
tutto il giorno, per evitare corto circuiti, il palco è stato coperto
con un telone costato ben 22 mila dollari (così dicevano i soliti
“esperti”. Qualcuno raccontava dei problemi delle prove, così alla fine
le note di "Luceano le stelle" si sono accodate a quelle di "Infidels".
Le dodici colonne di cartapesta della Tosca erano state lasciate a far
da guardia alla “gente” di Bob e Carlos.
Su quei giorni veronesi, negli anni seguenti, si è saputo tutto e sono
saltate fuori anche molte registrazioni delle prove fatte a Sirmione.
Ecco l'elenco delle prove fate a Sirmione:
Unidentified Studio - Verona, Italy - Late May 1984 - Rehearsal before
tour
1. Unidentified Instrumental (Carlos Santana on guitar)
2. Unidentified Instrumental
3. Unidentified Instrumental
4. Vocal Improvisation
5. Unidentified Instrumental
6. Unidentified Instrumental
7. Unidentified Instrumental
8. Vocal Improvisation
9. Unidentified Instrumental
10. Almost Done
11. Almost Done
12. Almost Done
13. Almost Done (instrumental)
14. Almost Done (instrumental)
15. Enough Is Enough
16. Unidentified Instrumental
17. Dirty Lies
18. Why Do I Have To Choose?? (Willie Nelson)
19. To Each His Own (Ray Evans - Jay Livingstone)
20. Unidentified Instrumental (Carlos Santana on guitar)
21. Jokerman
22. All Along The Watchtower
23. Just Like A Woman
24. Highway 61 Revisited
25. I And I
26. Girl From The North Country
27. Shelter From The Storm
28. Shelter From The Storm
29. License To Kill
30. Ballad Of A Thin Man
31. When You Gonna Wake Up
32. To Ramona
Bob Dylan (vocal, guitar, harmonica), Mick Taylor (guitar), Ian McLagan
(keyboards), Gregg Sutton (bass), Colin Allen (drums).
Stereo studio recording, 90 minutes.
Si dice che dopo il concerto di quella sera il compianto Guido
Tofoletti, bluesman veneziano, conobbe Dylan e scorrazzò con Mick Taylor
tra Vicenza e Venezia.
L'ex Rolling fu portato in uno studio di registrazione nella periferia
di Vicenza, a Borgo Berga, per una session notturna con Toffoletti, dopo
espresse il desiderio di vedere Venezia e fecero l'alba in Piazza
S.Marco e dintorni.
Di quel concerto a parte l'atmosfera elettrizzante e la performance
allucinante, mi ricordo il povero Santana in balia del nostro eroe,
Blowin' non me la dimenticherò mai, dopo il primo ritornello Bob si
fermò per lanciare Santana in un' assolo, evidentemente improvvisato, e
dopo un nano-secondo di silenzio l'eroico Santana si lancio in
un'arpeggio molto spanish, da brivido, davanti a 23.000 persone (tra i
quali c’ero anch’io! Grande Carlos!!
A metà concerto Bob si avvicina al microfono e dice:
Thank you. Greg's gonna sing a song for you now called I Got My Mojo
Working e Greg esegue la canzone fra lo stupore di tutti.
A metà Like A Rolling Stone Bob dice:
"I wanna introduce here, the people who in the band. Playing on the
keyboards tonight, Ian McLagan. On the bass Greg Sutton. On the drums,
Colin Allen, and on the guitar Mick Taylor. This is one song I wrote a
few years back called When You Are Gonna Wake Up? I wanna dedicate this
to the (incomprensibile) poor. For (incomprensibile) poor.
Seguono quindi The Lonesome Death Of Hattie Carroll, Blowin’ In The Wind
e Tombstone Blues con Carlos Santana.
Dal concerto fu tratto un Bootleg composto da tre LP intitolato: The
Jokerman Plays In The Arena.
Non ho voluto fare la cronaca canzone per canzone, altri l’hanno già
fatto, io volevo solo ricordare la mia prima volta con Dylan e quel
concerto dal quale mi aspettavo chissà cosa e che invece fu un disastro.
Ma non ebbe importanza, la cosa non cambiò la valenza di Bob, si
trattava solo di una serata storta come altre ne seguirono negli anni
seguenti. Però ricordo chiaramente che subii il charisma e la presenza
fisica di Dylan in maniera notevole, cosa che mi era capitata solo con i
Beatles al Vigorelli. Confesso che quel charisma lo subisco ancora oggi
e per questo dico grazie!!!
Mr.Tambourine, :o)
Martedì 26
Ottobre 2021
Tell Me (Outtake from Infidels Sessions 1982)
Written by: Bob Dylan
The Bootleg Series, Vol 1-3: Rare & Unreleased 1961-1991
Tell Me
(Bob Dylan)
Tell me, I've got to know.
Tell me, tell me before I go.
Does that flame still burn? Does that fire still glow?
Or has it died out and melted like the snow.
Tell me.
Tell me.
Tell me, what are you focused upon?
Tell me what I'll know better when you're gone.
Tell me quick with a glance on the side.
Shall I hold you close?
Or Shall I let you go by?
Tell me.
Tell me.
Are you lookin’ at me and thinking of somebody else
Can you feel the heat and the beat of my pulse
Do you have any secrets
That will only come out in time
Do you lay in your bed and stare at the stars
Is your main friend someone who’s an old acquaintance of ours
Tell me
Tell me
Tell me, do those neon lights blind your eyes?
Tell me, behind what door your treasure lies.
Ever gone broke in a big way?
Ever gone the opposite of what the experts say?
Tell me.
Tell me.
Is it some kind of game that you're playin' with me.
Am I imagining something that never can be?
Do you have any morals?
Do you have any point of view?
Do you long to ride on that old ship of Zion?
What means more to you, a lap dog or a dead lion?
Tell me.
Tell me.
Tell me, is my name in your book?
Tell me, should I come back and take another look?
Tell me the truth, tell me no lies.
Are you someone, anyone? Prays for or cries
Tell me.
Ohhhhh oh Tell me.
DIMMI
parole e musica Bob Dylan
traduzione di Leonardo Mazzei
Dimmi, devo sapere,
Dimmi, dimmelo prima che io me ne vada.
Arde ancora quella fiamma? Scintilla ancora quel fuoco?
O si e' spento e sciolto come la neve?
Dimmi, su che cosa sei concentrata?
Dimmi ciò che saprò meglio quando te ne sarai andata.
Dimmelo subito, con una rapida occhiata di lato.
Debbo trattenerti
O debbo lasciarti andare?
Stai guardando me e pensando a qualcun altro?
Puoi avvertire il calore e il battito del mio polso?
Hai qualche segreto che verrà fuori in tempo?
Stai sdraiata a letto e fissi le stelle?
Il tuo migliore amico è una nostra conoscenza?
Dimmi, ti acceca gli occhi quella luce al neon?
Dimmi, dietro quale porta si trova il tuo tesoro?
Mai stata al verde in maniera eccezionale?
Mai fatto l'opposto di quel che dicono gli esperti?
E' una specie di gioco che stai facendo con me?
Sto immaginando qualcosa che non potrà mai essere?
Hai qualche morale?
Hai qualche punto di vista?
Hai una voglia matta di navigare su quella vecchia nave di Sion?
Cosa ha più significato per te,
un cagnolino da salotto o un leone morto?
Dimmi, c'e' il mio nome nel tuo libro?
Dimmi, dovrei tornare a dare un'altra occhiata?
Dimmi la verità, non dirmi bugie.
Sei qualcuno ? ... chiunque ?
Prega per questo piangi
Dimmi, ohhhhh oh dimmi
Lunedì 25
Ottobre 2021
A ruota
libera: Il disco con cui Dylan mostrò al mondo cos’è un cantautore
clicca qui
Ok grazie, avevo trovato la notiziola su
fb e riportata fedelmente senza fare ulteriori indagini sulla presenza
di Sexton nei concerti di Costello. Da una parte speravo in una sua
dipartita ma solo per poter ascoltare magari un nuovo sound nei prossimi
imminenti concerti di Dylan, visto che c'è anche un nuovo batterista. La
mia speranza è-era di vedere in live act la formazione che ha
accompagnato Dylan in "Shadow Kingdom", ma a questo punto vista ancora
la presenza di Sexton non sarà cosi. Peccato.
Salutoni, Stefano C.
Caro Stefano, credo
che a tutti piacerebbe poter ascoltare un nuovo sound dal momento che
quello che ci ha propinato Dylan negli ultimi anni è ormai nelle nostre
orecchie e naturalmente non ci dice più niente di nuovo. Ho considerato
la tua speranza per la band che ha accompagnato Dylan in "Shadow" ma,
personalmente, credo che sul palco in un live act non funzionerebbe, ma,
naturalmente come al solito, è solo la mia impressione. Ma sai, Dylan ci
ha sempre colti impreparati quando ci ha propinato le sue sorprese ed i
suoi cambiamenti, le sue trasformazioni nelle quali è ormai Maestro.
Forse un giorno potremo ascoltare una band con musicisti diversi da
questi, basta crederci e saper aspettare! Alla prossima, Mr.Tambourine,
:o)
Oggetto: Bootleg Series Vol.16 -
Springtime in New York
Ciao, Mr. Tambourine, a te e a tutta la
Farm!
Sono sempre io, Samuele, e come promesso invio, dopo quello scritto per
Music Map, l’approfondimento che ho scritto per Kalporz in merito al
Bootleg Series Vol. 16 di Bob Dylan. Spero che vi piaccia!
Caro Samuele, un
sentito grazie, come sempre, i tuoi scritti non han bisogno di commenti
negativi, son troppo "giusti"! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Oggetto: Brown Sugar - Canzoni con
riferimenti sessuali Rolling Stones e Beatles
Ciao Mr.Tambourine, a proposito di Brown
Sugar e la rinuncia degli Stones ad eseguirla ancora nei live concert.
I Rolling Stones, agli inizi, erano considerati i "cattivi", esempi da
non seguire, al punto che un tabloid inglese titolò:
"Lascereste uscire vostra figlia con un Rolling Stone?", mentre i
Beatles erano i cosidetti "bravi ragazzi", coi vestitini puliti, con le
relative camicie e le cravatte: Questo per collegarmi alla notizia che
hai pubblicato qualche giorno fa sulla faccenda "Brown Sugar", canzone
oscena per le cose descritte nel testo, sessista e razzista.
Ma anche i "perbenini" di Liverpool non scherzavano in quanto ad
eufemismi e allusioni sessuali come nel brano "Happiness is a Warm Gun"
(White Album, 1968), bandita proprio per questo dalle trasmissioni della
BBC. Inequivocabilmente di natura fallica la “pistola calda”, e poi il
coro “Bang, bang, shoot, shoot!”, laddove "shoot" nell’inglese
vittoriano significava eiaculazione, per non parlare di
“when I hold you in my arms, and I feel my finger on your trigger”, con
quell’inequivocabile dito sul grilletto. Infine “I need a fix”,
con "fix" che nello slang di quegli anni era una dose di stupefacenti.
Insomma, droga, sesso e rock’n’roll.
Ciao, Carmine.
Credo, caro
Carmine, che tu abbia fatto delle giuste e pertinenti osservazioni. C'è
anche un'altra notissima canzone che ebbe un successo straordinario nel
bridge della quale i tre autori John Lennon, Paul McCartney & George
Harrison hanno scritto:
She's the kind of girl who puts you down (chorus:Tit, tit, tit, tit,
tit, tit, tit, tit)
When friends are there, you feel a fool (chorus:Tit, tit, tit, tit, tit,
tit, tit, tit)
(chorus:Tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit,
tit, tit, tit)
When you say she's looking good (chorus:Tit, tit, tit, tit, tit, tit,
tit, tit)
She acts as if it's understood (chorus:Tit, tit, tit, tit, tit, tit,
tit, tit)
She's cool, ooh, ooh, ooh (chorus:Tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit,
tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit, tit)
Però per questa nessuno si è mai sognato di far notare questa
"stranezza" del coretto anni 50 che però usava la parola tette, tette,
tette, tette,tette,tette.tette,ecc....ecc.....!
Altro esempio è il classico "I Wanna Hold Your Hand", sempre dei
Beatles. Sembra un innocente tema pop per le masse, e ha dato al
quartetto un'immagine da bravi ragazzi che desideravano tenere la mano
della loro ragazza. Tuttavia, né Paul né John erano così innocenti, e il
secondo cantava in alcuni concerti dal vivo, specie al Cavern, «I Wanna
Hold Your Glands» («Voglio tenere le tue ghiandole», ndr), riferendosi
alle ghiandole mammarie o al seno.
Ce ne sarebbero anche altre, ma fermiamoci qui, tanto è solo un discorso
che non porta da nessuna parte! Io ero perfettamente a conoscenza di
queste cose ma, essendo un incallito Beatlesiano della prima ora, non mi
sono mai sognato di rivelarle a nessuno!!!
Ognuno ha le sue debolezze.............no?
Ciao, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Mercoledì
20
Ottobre 2021
Talkin' 11897 -
frana71
Au L'indice del mese di ottobre,
recensione del libro.
Grazie Francesco, alla
prossima, Mr.Tambourine, :o)
che Charlie si sia
unito alla band di Costello solamente per le due date di Kansas City ed
Omaha per sopperire all'assenza di Steve Nieve, pianista della band,
bloccato all'estero con l'impossibilità di tornare negli USA causa le
restrizioni covid 19.
Costello ha scitto
questo in proposito: "There is no sign of the US border opening for
French or UK citizens, so we were obliged to make a decision regarding
the appearance in Kansas City (August 27th) and in Omaha (August 28th).
My colleagues will be welcoming our friend, Charlie Sexton, the
brilliant Texas guitarist, who plays most of the time with Bob Dylan.
("Non c'è alcun
segno dell'apertura del confine degli Stati Uniti per i cittadini
francesi o britannici, quindi siamo stati obbligati a prendere una
decisione in merito all'apparizione a Kansas City (27 agosto) e a Omaha
(28 agosto). I miei colleghi daranno il benvenuto al nostro amico
Charlie Sexton, il brillante chitarrista texano, che suona la maggior
parte del tempo con Bob Dylan”.)
Quindi credo che
Charlie sarà di nuovo al fianco di Bob per il prossimo tour che partirà
il 2 Novembre da Milwaukee. Manca poco, stiamo a vedere! Alla prossima,
Mr.Tambourine, :o)
Sabato 16
Ottobre 2021
Talkin' 11895 -
mario_rizzo
Oggetto: Copertine
Ciao,
ai tempi di Modern Times ho realizzato questa ipotetica copertina che
copre, più o meno, tutta la produzione ufficiale dei dischi di Dylan e
vorrei condividerla con voi.
Al tempo degli LP il fronte/retro della
busta costituiva un elemento significativo di un lavoro discografico e
restava, in quanto immagine, strettamente legata nella memoria al
contenuto musicale. Oggi tutto è dematerializzato, al punto che anche il
supporto stesso è quasi scomparso, tranne che in alcune (costose)
edizioni per collezionisti. Certo è che chi ancora possiede certi 33
giri con immagini particolarmente curate o riuscite, se li tiene ben
stretti. C’è da dire anche che quando si realizzava un LP gli stessi
artisti, a volte, mettevano mano ai pennelli con pregevoli risultati: è
il caso, ad esempio di Joni Mitchell o John Mayall e dello stesso Dylan.
Altrimenti ci si affidava ad affermati artisti (Andy Warhol, Roger Dean)
o a grossi studi di grafica (Hipgnosis).
Non di rado gli stessi musicisti si mettevano d’impegno e scovavano idee
e folgorazioni che nessuno avrebbe dimenticato. E’ il caso del
celeberrimo dipinto dell'uomo schizoide del 21° secolo (noi??) che
appare sulla copertina dell'album discografico "In The Court of the
Crimson King" del 1969 del gruppo rock progressivo britannico King
Crimson. La copertina è strana, inquietante e potente come qualsiasi
altra cosa abbia a che fare con il gruppo. Peter Sinfield, fondatore del
gruppo, racconta che mentre stava finendo l’album, alla ricerca di una
cover, fece ascoltare alcune tracce a Barry Godber che era uno dei pochi
artisti che conosceva. Il risultato, come aveva intuito e sperato Peter,
fu strabiliante, ma questa fu l'unica copertina dipinta da Barry che
morì nel febbraio 1970 a soli 24 anni.
L'autore Barry Godber con la sua copertina
L’opera originale è in possesso di Robert
Fripp, altro importante componente del gruppo, mentre la copertina della
copia del mio disco, che tutt’ora posseggo, fu gettata da mia madre
nella spazzatura nei primi anni 70, in quanto ritenuta, evidentemente,
troppo orripilante!
Altro esempio in cui un artista ha avuto un ruolo di protagonista nella
realizzazione grafica dell’album è quello del quarto disco dei Led
Zeppelin sulla cui front-cover vediamo un vecchio contadino con lunghi
fasci di legname sulla schiena. L’uomo è fermo in un prato, si sorregge
con un bastone e rivolge il suo sguardo serio a noi che guardiamo la
copertina. Quest’immagine è un autentico dipinto a olio acquistato poco
tempo prima da Robert Plant, cantante del gruppo, in negozio di
antiquariato a Reading, in Inghilterra. Autore e periodo del dipinto
sono sconosciuti. Molte persone che hanno studiato l’album, critici ed
esperti di occultismo, pensano invece che il personaggio sia George
Pickingill, un contadino inglese vissuto tra l’800 e il 900. Sembra
certo che Pickingill praticasse arti magiche e frequentasse l’idolo di
Jimmy Page, l’esoterista Aleister Crowley, praticando con lui
l’occultismo. Ed ecco la costante di questa copertina: l’esoterismo,
l’occultismo, i simboli sparsi un pò ovunque, oggetto di studi e
svariate interpretazioni.
Dopo queste illustri premesse e soprattutto tenuto conto del declino cui
sono andate incontro le ormai desuete copertine, penso che difficilmente
mi cimenterò nell’aggiornare la multicopertina allegata alle ultime
opere di Dylan. Per cui mi limito a inoltrare quella di cui ho parlato
all’inizio di questa breve carrellata, sperando che non sia troppo
“pesante”, anche in byte.
Saluti a tutti quanti e alla prossima, Mario.
Caro Mario, quanti ricordi ha scatenato in me
la tua mail. Voglio dire che la copertina del disco dei King Crinsom "In
the court of the Crimson King" con il viso dell'uomo schizoide del 21°
secolo con la bocca spalancata mi colpì nel 1969 quando la vidi per la
prima volta nel negozio di dischi sotto casa mia dove ero solito
comperere gli LP nuovi. Ti confesso che ancora oggi, quando la guardo,
mi procura un senso di disagio che non so giustificare. Allora la
copeertina di un disco era importante, era quella che ti faceva decidere
se comperare un disco invece di un altro, l'immagine aveva la sua
importanza tanto quanto la musica. In quegli anni i gruppi facevano a
gara a chi riusciva ad avere la copertina più famosa. Qui sotto posto le
foto di alcune di quelle considerate fra le più belle:
e chissà quante ne ho
dimenticate. Oggi tutto questo non c'è più! Mi son chiesto tante volte
perchè, ed alla fine mi sono convinto che quel mondo è sparito ed io sto
vivendo in un mondo che non ha più niente di quello nel quale sono nato.
Pazienza, come dicono le novizie "Questo passa il convento", quindi
accontentiamoci. Grazie per l'interessante collage delle copertine
dylaniane, gran bella idea! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 15
Ottobre 2021
Intervista
al batterista e bassista Charlie Drayton
Charlie Drayton è un musicista unico e
speciale, molto richiesto, in quanto è ugualmente abile sia come
batterista che bassista, quindi la sua caratteristica musicale è quella
della sezione ritmica in toto. La lunga ed eclettica lista dei credits
di Charlie include nomi come Herbie Hancock, Keith Richards, Johnny
Cash, Chaka Khan, Mariah Carey, Michelle Branch, Seal, Iggy Pop, Neil
Young, Janet Jackson, Courtney Love, tra molti altri, e suonato il ritmo
per l'irresistibile hit del B-52 "Love Shack". In questo estratto dal
mio Studio Musician's Handbook (scritto con Paul ILL), Charlie ci dà uno
sguardo dietro le quinte del suo lavoro di sessione.
“Mi dai un pò di informazioni su come sei entrato nel lavoro di
session?
Mio padre mi ha indirizzato verso lo studio della musica in tenera età
mentre lo guardavo fare sessions di jingle a New York. Occasionalmente
mi faceva cantare in qualche spot che richiedeva una voce giovane, sia
in un coro, in un gruppo, sia in una performance solista.
Prima che una sessione iniziasse, di solito trovavo un posto tra il box
della batteria (erano gli anni '70) e la sedia del basso e
l'amplificatore B-15 (che era l'amplificatore per basso standard in
qualsiasi studio di New York all'epoca). Ci sono volute solo poche
sessions per sapere che essere in studio era come essere nella migliore
scuola in cui saresti mai potuto entrare per imparare musica, e tuo
padre è il principio. Poi un giorno mio padre ha portato la band nella
quale stavo suonando in studio per farci migliorare e crescere
nell'ambiente dello studio. Che sballo viaggio è sentirti riprodotto in
alta qualità audio per la prima volta! Ricordo ancora la prima volta,
vividamente.
Se ricordo bene, la mia prima sessione di registrazione professionale è
stata quando ho suonato la batteria per John Sebastian. Era brillante e
un grande motivatore. Entrare in studio è stato facile, ma quel primo
giorno di registrazione è stato per me un inferno! La parte spaventosa è
stata cercare di non essere sopraffatto dal fatto che il bassista fosse
Anthony Jackson (un turnista di New York molto apprezzato) e il
chitarrista Steve Khan (penso che Stevestesso mi abbia consigliato per
quella sessione). Inutile dire che fui agganciato e lo sono ancora.
Cosa porti con te in un sessione?
Dipende da cosa richiede la musica o il produttore e da quale cappello
indosso durante la sessione, ma elencherò solo alcuni degli elementi a
caso. Entro in studio con senso dell'umorismo, cuore e mente aperti e
molta pazienza.
Porto anche un bollitore per l'acqua calda e del tè alle erbe, una
quantità infinita di caramelle alla menta senza zucchero, un pò di
incenso, bacchette, pepe di Caienna, senape inglese calda, peperoncino
tritato e cardamomo macinato fresco.
Inoltre, non c'è niente di meglio che avere la tua attrezzatura in una
session! Per me potrebbe consistere in batteria, piatti, stracci, nastro
da hockey, microfono a proiettile, Bass pod Line 6, iPod per la
disattivazione della batteria e alcuni dei miei pezzi preferiti di
percussioni manuali. Inoltre bassi, chitarre, pedal steel,
amplificatori, pedali e un cavo davvero buono. Porto anche le mie cuffie
(Sony 7506 o Audio Technica TH-M50) insieme a un cavo di prolunga. A
volte porto anche il mio pechinese nero "Holiday".
Personalizzi ciò che porti in base alla session?
Ci provo, perché sono fortunato ad avere accesso a una vasta selezione
di attrezzi che mi piacerebbe vedere il più spesso possibile.
L'attrezzatura da palco è diversada quella dello studio di
registrazione?
Questo dipende da cosa mi ispirerà a eseguire una performance o da che
cosa ho accesso in quel momento. A volte posso aggiungere qualche pezzo
di attrezzatura che non mi appartiene, quindi praticamente qualsiasi
cosa che mi aiuti ad alimentare la musica.
Cosa ti piace nel tuo mix in cuffia?
La libertà di suonare come voglio. La mia prima preferenza però sono le
cuffie quando è possibile. Mi piace cantare con gli altoparlanti a basso
livello. Se suonerò dal vivo con una band, inserirò l'intero gruppo nel
mix. Se suono su tracce preregistrate, è possibile che io non suoni
insieme a tutti gli elementi nella traccia. Proverò diverse combinazioni
di elementi nel mix finché non mi sentirò bene e mi sentirò più a mio
agio.
Cosa vedi che è comune a tutti i bravi musicisti di session?
Un buon turnista non è necessariamente un musicista migliore di un
musicista senza esperienza di session, ma un buon turnista ha il
vantaggio di avere più strumenti tra cui scegliere ed è abituato a
restringere le opzioni. Affrontare le avversità è fondamentale. Se il
tuo talento è in stallo e stai passando una giornata di merda ma ti sei
impegnato per una session, indovina un pò? Devi presentarti e suonare la
musica! Più lo faccio, meglio ci arrivo.
Cosa sai ora che avresti voluto sapere quando hai iniziato?
Che saremmo arrivati a vivere in un'epoca in cui non c’è bisogno di
avere molto talento per avere successo nel mondo della musica.
L'arte di suonare musica e il successo commerciale sono ora due cose
completamente diverse.
Non so perché alcuni portano i computer nelle sale di registrazione per
alcune delle ragioni sbagliate e rovinano l’arte ed il mestiere di
creare e fare musica. Non sono contro i computer, ma pensavo che la
musica si potesse suonare bene anche senza di essi. I Milli Vanilli non
ti hanno convinto di questo? (Milli Vanilli sono stati un gruppo di musica pop e dance formato da
Frank Farian in Germania nel 1988, i cui frontmen erano Fab Morvan e Rob
Pilatus. Il gruppo ottenne enorme successo con il primo album,
intitolato All or Nothing in Europa e distribuito in America come Girl
You Know It's True. La loro ascesa fu frenata quando si scoprì che le
voci presenti nei dischi non erano in realtà quelle di Morvan e Pilatus.
Negli anni successivi il duo registrò nuovi lavori, stavolta dichiarando
le voci originali, che riscontrarono scarso consenso commerciale.
I dubbi sulle reali capacità del duo sorsero già durante le loro prime
interviste, dove dimostrarono una scarsa conoscenza della lingua
inglese, che portò i presenti a chiedersi se fossero effettivamente
Morvan e Pilatus a cantare nei dischi. I sospetti trovarono ulteriore
riscontro in seguito ad un incidente tecnico durante una esibizione "dal
vivo" promossa da MTV nel dicembre 1989, in cui la musica e le voci (che
erano inaspettatamente in playback) cominciarono a ripetersi
all'infinito. Anche in seguito alla pressione di Morvan e Pilatus, che
avrebbero voluto cantare nel disco successivo, il 12 novembre 1990
Farian confessò ai giornali che fino a quel momento non erano state
usate le loro vere voci. Quattro giorni dopo venne revocato il Grammy
vinto, e di lì a poco la Arista Records rescisse il proprio contratto
con il gruppo. Vennero fatte partire almeno 26 cause contro Pilatus,
Morvan e la Arista Records, tutte con l'accusa di frode. La loro
attività cessò ufficialmente dopo la morte prematura di Rob Pilatus
avvenuta nel 1998.)
Qualche consiglio per qualcuno che inizia a fare il turnista?
Non perdere la connessione o lo spirito di suonare in un ambiente dal
vivo. Lo spirito è un ingrediente chiave che ti consente di brillare e
prendere le decisioni giuste durante la sessione. Abbraccia la musica
con il tuo cuore, anche se non è la tua tazza di tè. Sii nel momento, e
questo non significa suonare tutto quello che sai.
Hai qualche consiglio da musicista di session?
Sii prima un musicista senza alcun titolo prima della parola musicista.
Mi divertirò di più a sentirti suonare. Non limitarti. Sii nel momento,
perché in studio prendi decisioni musicali che possono durare una vita
su disco.
Quali sono le sessioni più difficili per te?
Quando i sogni del produttore sono irrealizzati. A volte alcuni non
hanno la capacità di suonare il loro strumento, quindi vengono fuori
suggerimenti all'infinito, le peggiori idee musicali possibili per te da
suonare, o come dovresti suonarle.
Che tipo di sessioni sono le più divertenti?
Quando non ti sembra di lavorare e non vuoi che la sessione finisca.
Cosa odi di una session di registrazione?
Quando non si registra!!!”
Puoi leggere di più da The Studio Musician's Handbook e da altri miei
libri nella sezione degli estratti di bobbyowsinski.com.
Charley ha contribuito all'album "Dirty Work" dei Rolling Stones del
1985 ed è stato uno dei membri fondatori degli X-Pensive Winos di Keith
Richards. Ha suonato negli album "Talk is Cheap" e "Main Offnedeer" di
Keith, oltre a "Cosmic Thing" dei B-52 (era il batterista di Love
Shack), "Ceremony" dei Cult (come bassista) e in tournée con Simon &
Garfunkel.
Dal 2011, Charley è il batterista dei Cold Chisel dopo la morte di Steve
Prestwich. Ha suonato negli ultimi tre album dei Chisel e ha co-scritto
"Buried Treasure" dall'album più recente "Blood Moon".
Ora Charley sta tornando per suonare nella backing band di Dylan.
Ha suonato il basso per Bob nel Guitar
Legends'- Festival - Auditorio de la Cartuja - Siviglia, Spagna - 17
ottobre 1991
Set list
1 All Along The Watchtower (bob Dylan)
2 Boots Of Spanish Leather (Bob Dylan)
3 Across The Borderline (Ry Cooder/John Hiatt/Jim Dickinson)
4 Answer Me, My Love (Gerhard Winkler/Fred Rauch/Carl Sigman)
5 Shake, Rattle And Roll (C. Calhoun alias Jesse Stone)
6 I Can’t Turn You Loose (Otis Redding)
1 Bob Dylan (guitar & vocal) backed by
Phil Manzanera, Richard Thompson (guitar), Jack Bruce (bass), Ray Cooper
(percussion), Simon Phillips (drums)
2-4 Bob Dylan (acoustic guitar & vocal), Richard Thompson (acoustic
guitar)
5 Bob Dylan (guitar & vocal) backed by Keith Richards (guitar), Steve
Cropper (guitar), Edward Manion (saxophone), Chuck Leavell (keyboards),
Charley Drayton (bass), Steve Jordan (drums).
Guitar Legends è stato un concerto tenutosi nell'arco di cinque serate,
dal 15 ottobre al 19 ottobre 1991, a Siviglia, in Spagna, con
l'obiettivo di posizionare la città come destinazione di intrattenimento
per attirare il sostegno per Expo '92 a partire dall'aprile successivo.
Martedì 12 Ottobre 2021
Talkin' 11893 -
catestef
Oggetto: Domanda
Come ben sapete il testo di Like a
Rolling Stone inizialmente non era quello che conosciamo. Ovvero il
testo c'era ma comprendeva anche altre strofe che poi sono state
eliminate da Dylan. Bob stesso affermò che erano venuti fuori fogli su
fogli, un testo lungo una quaresima.
Sarebbe bello quindi conoscere anche il materiale scartato di Like a
Rolling Stone. Si trova da qualche parte? Qualcuno lo conosce?
Stefano C.
Caro Stefano, come già
certamente saprai, la canzone fu registrata il 15 e 16 giugno 1965 negli
studi di Tom Wilson e pubblicata il 20 Luglio dello stesso anno. La
canzone fu incisa su un 45 giri con la collaborazione dei seguenti
musicisti: Mike Bloomfield (chitarra), Al Kooper (organo), Paul Griffin
(piano), Russ Savakus (basso) e Bobby Gregg (batteria - suo il famoso
colpo di rullante dell'inizio). Il brano fu il più grande successo di
Bob Dylan e rimase per ben tre mesi nelle classifiche statunitensi.
La canzone è nata da un lungo pezzo di versi che Dylan scrisse in aereo
mentre tornava negli States dopo la tournee inglese. Nel 1966, Dylan
descrisse la sua genesi al giornalista Jules Siegel:
Era come un pezzo di vomito lungo dieci pagine. Non aveva un titolo,
solo una cosa ritmica che metteva su carta tutta la mia amarezza di
allora. Alla fine non era odio, era come cercare dire a qualcuno
qualcosa che non sapeva. Non l'avevo mai pensata come una canzone,
finché un giorno ero al pianoforte e sul foglio avevo scritto "Come ci
si sente?" e tutto il resto, così cominciò a prendere forma la canzone
che alla fine risultò di quattro strofe intercalate dal ritornello,
tutto il resto che avevo scritto lo buttai.
Per la cronaca, la
prima volta che Al Kooper incontrò Bob Dylan fu nel Giugno del 1965,
alla seduta di registrazione di "Like a rolling stone". Fu portato lì
dal produttore Tom Wilson ed essenzialmente era un chitarrista. Ma vista
la presenza di Mike Bloomfield non avrebbe mai potuto farcela a suonare
la chitarra e così, quando Wilson si allontanò per un attimo perchè era
stato chiamato al telefono, Kooper si sistemò dietro l'organo, uno
strumento che non aveva mai suonato prima. Detta così sembra uno di quei
miti apocrifi, troppo belli per essere veri. Ma la verità è confermata
dai nastri inediti delle registrazioni della seduta in cui si sente
Wilson, di ritorno in sala d'incisione, che vede Kooper dietro l'organo
e gli chiede: "E tu che ci fai lì?" Kooper si mette a ridere. Wilson
ride a sua volta e poi dice: "Oh, OK." A Dylan piace quello che Kooper
sta suonando e così chiede al tecnico di alzare il volume dell'organo, e
così la storia del rock'n'roll è fatta. Poche settimane dopo Kooper
aiuta di nuovo a cambiare il mondo quando fa parte del gruppo elettrico
che accompagna Dylan al Festival di Newport. E poco dopo ritorna in
studio con Dylan per le sedute di registrazione dell'album Blonde on
Blonde e poi, dopo un'interruzione di quattro anni, viene richiamato nel
1970 per gli album Self-Portrait, Dylan e New Morning. Dopo un'altra
lunga pausa viene richiamato in servizio negli anni '80 per gli album
Empire Burlesque e Knocked-Out Loaded. Quando poi suona anche nell'album
di Dylan del 1991, Under the red sky, significa che è apparso su nove
diversi album di Dylan in quattro differenti decenni, quasi certamente
più di qualsiasi altro musicista di Dylan. Da anni Kooper suona l'organo
nei concerti dal vivo dei Rolling Stones.
Detto questo, non
credo che qualcuno abbia avuto l'occasione o la fortuna di leggere il
testo originale, io non ne ho trovato traccia, da nessuna parte, ma
certamente, se qualcuno è in possesso di notizie più precise al riguardo
ce lo farà sapere, credo che ogni dylaniano pagherebbe una bella cifra
per poter leggere l'originaledi LARS! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Lunedì 11 Ottobre 2021
Lecco: Dylaniati di tutto il mondo
unitevi: contest dedicato a Bob Dylan
clicca qui
David Crosby: "Non riesco più a vivere
di musica"
clicca qui
Sabato 9 Ottobre 2021
Oh Mercy (1989)
“Non ho un posto per sparire, non ho cappotto. Sono su un fiume
impetuoso in una barca ondeggiante e sto cercando di leggere un appunto
che qualcuno ha scritto a proposito della dignità.” (Bob Dylan)
Perché Oh Mercy è uno dei dischi più importanti della terza fase di Bob
Dylan? (*) Principalmente per ragioni anagrafiche e del contesto in cui
viene prodotto e inciso. Il suo autore veniva infatti da una sequenza di
album che avevano messo d'accordo critica e pubblico, ma in senso del
tutto negativo. Infatti dopo l' inusuale, ma coraggioso Empire Burlesque
(1985) Dylan dava alle stampe due lavori che sono considerati tra le sue
peggiori produzioni di sempre. Stiamo parlando di Knocked out Loaded e
Down in the Groove, rispettivamente del 1986 e del 1988. Eppure in
seguito ai tour con Tom Petty and The Heartbreakers e con i Grateful
Dead, accade qualcosa. Il Nostro infatti ha uno dei tanti ripensamenti e
decide di coinvolgere in fase di produzione il mago Daniel Lanois, su
segnalazione dell’amico comune Bono Vox. Ora, mentre oggi la distanza
tra questi due artisti appare meno evidente e scontata, non era affatto
lo stesso prima della realizzazione di Oh Mercy. Per una volta non
dobbiamo affidarci a terze persone, visto che lo stesso Dylan dedicherà
uno dei capitoli più avvincenti e ispirati nella sua autobiografia,
Chronicles Vol.1. Si parla quindi di New Orleans e della lavorazione di
un nuovo disco, il quale dovrebbe, si spera risollevare la carriera
ormai finita di un autore che incide musica da oltre 26 anni
(all'epoca).
Pubblicato il 18 settembre 1989, Oh Mercy è il 26esimo disco in studio,
comprendente dieci tracce. Solo due di queste superano appena la durata
di cinque minuti, dato già sorprendente per gli standard del suo autore.
Fin dai titoli e dai crediti possiamo notare come il disco appaia
differente rispetto al canone anni ottanta e più in generale, a
confronto con altri lavori del passato. Un nutrito gruppo di musicisti
accompagna Dylan tra cui lo stesso Daniel Lanois e Cyril Neville dei
Neville Brothers. Senza mezzi termini, il disco viene salutato come un
grande ritorno e un trionfo a livello di critica. In effetti il suo
valore aumenterà a distanza di tempo e resta uno dei dischi più al passo
coi tempi, per un autore che lungamente è stato refrattario a questa
idea di suonare un tipo di musica contemporanea. Non è un caso se tra i
ripensamenti ci saranno, di lì a breve, due dischi contenenti solo pezzi
tradizionali folk, country e blues.
Oh Mercy si apre con l'ispirata e tesa Political World, ma già dalla
seconda traccia mostra barbagli di tenerezza e di sentimento agrodolce,
grazie a brani come Where Teardrops Fall, ma soprattutto con la ballata
per piano, Ring Them Bells, con il cuore oscuro e misterioso di Man in
the Long Black Coat. Da citare anche Everything Is Broken, un pezzo che
per molti critici riflette sull'entropia del mondo. Ma è nel secondo
lato che Dylan e Lanois calano un pokerissimo d’assi che da queste parti
non si sentiva da tempo. Most of the Time, What Good Am I, What Was It
You Wanted e la tenera conclusione di Shooting Star, intervallate dall’
intensa e calda ballata per piano di Disease of Conceit. Da segnalare
come durante queste sessions siano state registrate e successivamente
scartate canzoni del livello di Dignity, God Knows e Born in Time.
Soprattutto la splendida Series of Dreams: probabilmente tra le migliori
canzoni di Dylan da Desire (1976) in poi. Una inaspettata sorpresa per
quel 1989 dove il mondo stava andando letteralmente a pezzi, Everything
is Broken appunto. Sono tanti gli artisti, colleghi e critici che
spenderanno qualche parola per manifestare il proprio apprezzamento nei
confronti di questo album. Ne citiamo almeno quattro: Lou Reed, che
definì Disease of Conceit la migliore canzone dell'anno, mentre Willie
Nelson e Mark Lanegan renderanno giustizia ai brani What Was It You
Wanted e Man in the Long Black Coat con due intense e convincenti
riproposizioni. L'ultimo, ma non per importanza è la testimonianza di
Eric Andersen. Proprio Andersen qualche tempo prima aveva affermato che
Dylan fosse un artista giunto ormai al suo capolinea, a livello
artistico. Eppure non bisogna mai vendere la pelle dell'orso prima di
averlo ucciso, men che meno quando l'orso risponde al nome di Bob Dylan.
Andersen con onestà intellettuale dirà infatti che queste canzoni sono
sostenute e incoraggiati da tocchi tenebrosi, oscuri, paludosamente
arcaici di Lanois. Oh Mercy urla incertezza, desiderio, dolore,
compassione e verità nascoste. Quasi un gioco morale. Questi brani sono
brutalmente sinceri, di chi non si sottrae al dolore. Quest'album
riflette una mezzanotte personale buia, la proverbiale ora di buio,
attraversando i territori sconfinati di un'anima senza protezione.
Scrivere questa confessione deve essergli costato non poco. Eppure
questa non sarà l'ultima volta; e non è sorprendente tutto questo, alla
luce di album del valore di Tempest e Rough And Rowdy Ways?
Un consiglio: anche se avete sempre manifestato pregiudizi verso Bob
Dylan e la sua musica, almeno per una volta provate a cedere. Troverete
un disco di livello eccelso, raro e prezioso.
“Il più delle volte metto bene a fuoco tutto quello che ho intorno.
Il più delle volte riesco a stare con i piedi per terra. Posso seguire
il sentiero, posso capire i segnali, tengo la destra quando la strada si
fa tortuosa, riesco ad affrontare qualunque cosa mi capiti, non mi
accorgo neanche che lei se n'è andata, il più delle volte.” (Bob Dylan)
N.B. - Nel testo si fa riferimento in apertura alla cosiddetta terza
fase discografica di Dylan. Per convenzione alcuni critici hanno
distinto nel seguente modo la produzione degli album in studio di Bob
Dylan:
Prima fase (1962-1969)
Seconda fase (1970-1978)
Terza fase (1979-1990)
Dario Twist of Fate
Venerdì 8 Ottobre 2021
Talkin' 11892 -
benede
Oggetto: Armonica e supporto di Bob Dylan
all'asta
Ti mando questo link, se a qualcuno
interessa può fare un' offerta, sembra che Dylan l' abbia suonata nel
1987.
Ciao Benedetto.
Ciao Tambourine, ti segnalo questa cover del grandissimo Rod!
Che dire, Rod è
fantastico nelle canzoni di Bob, a mio parere la voce più bella e
suggestiva di ogni tempo. Grazie, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 7 Ottobre 2021
Talkin' 11890 -
silcatt
Oggetto: Intervista a Christopher Parker
- ref: Talkin' 11887 - magicbus21 - Giovedì
30 Settembre 2021
Gentilissimo Tamburino,
ti invio la traduzione dell’intervista di Ray Padgett a Christopher
Parker, già segnalata su Maggie’s Farm da Alessandro (vedi Le news del
30 settembre).
Sono molto interessanti queste lunghe chiacchierate di Padgett con
musicisti che hanno lavorato al fianco di Dylan. Chris Parker, poi, l’ha
accompagnato in un periodo davvero particolare, l’inizio del Never
Ending Tour (personalmente penso che i concerti del biennio 1988/89 –
per fortuna quasi tutti reperibili in rete – siano tra le cose più
sorprendenti del Nostro).
Alla prossima! Silvano
Christopher Parker e
l’inizio del Never Ending Tour di Dylan. “Sono solo un fottuto poeta.”
Christopher Parker è stato il primo batterista del Never Ending Tour di
Bob Dylan. Per tre anni, a partire dal 1988, si è diviso tra il Tour e
il suo lavoro nella house band del Saturday Night Live, insieme al
chitarrista di Dylan G.E. Smith. Parker è stato seduto a pochi passi da
Dylan per tutto il periodo formativo del Never Ending Tour, suonando
centinaia di concerti prima di lasciare alla fine del 1990.
L'ho chiamato di recente per parlare di come è stato coinvolto, della
sua relazione con Dylan, dei fan ossessivi, delle canzoni che hanno
provato ma che non hanno mai suonato, degli scherzi a Bob e molto altro
ancora.
Un grazie a Chris per aver trovato il tempo di chiacchierare! Questo
autunno uscirà Tell Me, il nuovo album del suo combo jazz Chris Parker
Trio. Potete vederli suonare su YouTube e rimanere aggiornati su Chris
sul suo sito web.
Ray Padgett: Puoi spiegarmi come sei entrato nella band di Dylan? So che
negli anni precedenti eri al Saturday Night Live con G.E. Smith. Fu lui
il tramite?
Christopher Parker: Sì. Come sai, G.E. [Smith] era il leader della band
e mi disse: "Ti interesserebbe questa cosa?" A quel tempo, il bassista
del Saturday Night Live era T-Bone Wolk. Così noi tre andammo al Montana
Rehearsal Studio, che oggi non esiste più, e iniziammo a suonare con
Bob. Credo che in un paio di giorni suonammo un centinaio brani, un
sacco di roba fantastica. Non solo materiale di Bob, anche brani di
altri autori. Fu davvero divertente, e lui sembrò apprezzarlo.
RP: Come hai conosciuto G.E. Smith?
CP: Lo incontrai al Saturday Night Live quando mi chiamarono per essere
nella house band. Era l'86, mi sembra. Il batterista era Steve Ferrone,
ma stava partendo in tour con i Duran Duran, quindi c'era una
possibilità. In quello show avevo già fatto il batterista per artisti
ospiti – Quincy Jones, Leo Sayer, Boz Scaggs, Linda Ronstadt e Aaron
Neville, Elvis Costello, Paul Simon – e altre cose con Joe Cocker e
Belushi, ma si era trattato solo di suonare come ospite, non ero mai
stato nella house band.
RP: Stavo guardando la tua discografia e sei davvero su tanti album,
anche prima del Saturday Night Live e di Bob. Eri soprattutto un
turnista o andavi pure in tour?
CP: Sono stato parecchio in tournée con artisti diversi. Ho iniziato con
Paul Butterfield, poi per un po’ sono andato con Bonnie Raitt. Ho fatto
un tour con Ashford & Simpson quando stavo lavorando ai loro dischi.
Facevo parte di una band chiamata Stuff e per un po' finimmo per fare da
spalla a Joe Cocker nei suoi tour.
RP: Tornando a Bob: ricevi la chiamata e vai in sala prove. A quel
punto, eri un fan o conoscevi solo quei brani che tutti conoscono?
CP: Per essere onesti, non ero un fan, ma c'era stato un interessante
intreccio di vite. Nel 1970 feci il provino per una band a Woodstock.
Risposi a un annuncio su Rolling Stone, "Cercasi batterista". La banda
si chiamava Holy Moses.
Mi presero e iniziai a lavorare lassù. Incontrai una ragazza che poi è
diventata mia moglie. Sua madre era una grande fan di Dylan e finì per
comprare la casa di Bob, su a Byrdcliffe. La prima volta che accompagnai
a casa questa ragazza, fu proprio nella [vecchia] casa di Bob a
Byrdcliffe. Lui non era più lì, ma la sua atmosfera era sicuramente
rimasta.
La gente a Woodstock parlava sempre di Bob. "Beh, l'ho visto... potrebbe
essere nei paraggi... doveva venire qui... dovrebbe..." Tutti lo
citavano sempre in qualche contesto, anche se a quel tempo non credo
vivesse lì.
Frequentando questa ragazza, questa donna che poi è diventata mia
moglie, cominciai a esplorare la proprietà, a esplorare le stanze ed è
stato sorprendente. Fu allora che iniziai ad ascoltare i suoi dischi. Mi
piacquero molto Nashville Skyline e John Wesley Harding. Non ero
completamente consapevole della poesia, non ero ancora un fan. Ma dopo
averlo incontrato e aver provato con lui, aver ascoltato la sua voce e
la sua poesia, divenni un fan istantaneo.
RP: Come fu quel primo incontro? Ti presentasti allo studio e cosa
successe dopo?
CP: Ci presentammo. Poche parole e cominciammo a suonare. G.E. [Smith] e
T-Bone [Wolk] conoscevano molte delle canzoni, io no. Le citavano,
sembravano conoscere qualunque cosa lui volesse suonare. Io mi sono
semplicemente buttato, come ti ha detto anche Colin Allen [batterista di
Dylan nel tour europeo del 1984] nell’intervista che gli hai fatto. Lui
inizia a suonare qualcosa e tu ti butti. Non c'è mai stato nessun
"Uno-due-tre-quattro, e questo è il tempo, e questo è il tipo di feeling
che voglio". Non mi ha mai detto "Va bene" o "Non farlo", ma mi guardava
come per dire “Non saresti qui se non apprezzassi quello che stai
facendo, quindi continua a farlo”. A un certo punto ebbi il coraggio di
chiedergli: "Cosa vuoi che suoni su questa?" E Bob rispose: "Sono solo
un fottuto poeta".
Era tutto molto simile al jazz, come ha detto Jim Keltner [1]. Lo senti
e trovi un ritmo, e non suonare due volte la stessa cosa. Quando
riprendevamo una canzone già provata il giorno prima, era completamente
diversa. Probabilmente facemmo tre o quattro versioni diverse di "Heart
of Mine". Un tipo che si occupa degli archivi a Tulsa, mi ha mandato i
nastri di alcune di quelle prove e puoi ascoltare tutte queste diverse
versioni di "Heart of Mine". È stato divertente riascoltarle.
RP: Wow, mi sembra fantastico.
CP: La qualità audio non è eccezionale, ma lì c’è la genesi della band.
T-Bone [Wolk], che era un musicista fantastico, non suonava solo il
basso, ma anche la chitarra acustica, la fisarmonica e cantava. A volte
lui e G.E. [Smith] facevano i cori. Altre volte T-Bone metteva giù il
basso e suonava la fisarmonica, quindi c'era Bob all'acustica, T-Bone
alla fisarmonica e io suonavo le spazzole o qualcosa di simile.
Abbiamo avuto tanti momenti davvero intensi; non solo i suoi brani, ma
cose come "Barbara Allen", una canzone presente anche nella versione
cinematografica di “A Christmas Carol” di Alistair Sims. Bob adorava
quella canzone, e la suonammo spesso in tour.
C'erano esplorazioni da parte di tutti. Suono la chitarra? Suono con le
spazzole? Suono la fisarmonica? G.E. spesso suonava solo l’acustica o
solo la Telecaster. Bob a volte suonava l'acustica con un'armonica al
collo, nel tradizionale stile Bob, oppure la Stratocaster. La band
avrebbe potuto essere molto, molto elettrica oppure avrebbe potuto
essere molto intima e folk. Anche jazz. I brani potevano fluttuare come
un disco del Bill Evans Trio.
Eravamo nella stanza e diceva: "Sto cercando di scrivere una canzone
qui". Non so che canzone fosse, ma la sta scrivendo su un tovagliolo di
carta sul davanzale della finestra. Era immerso nei suoi pensieri. Mi
chiedo che canzone fosse.
RP: Durante tutte queste prove, tu eri già ingaggiato o fu solo una
lunga audizione?
CP: Ancora un'audizione. Penso che provammo quattro o cinque giorni la
prima settimana e poi altri tre o quattro giorni la settimana dopo.
Eravamo legati al Saturday Night Live. [Dylan] fu molto accomodante,
perché lo spettacolo era piuttosto impegnativo con pre-registrazioni,
artisti ospiti e tutto quello che portava allo show del sabato.
Poi un giorno si presentò Elliot Roberts [il manager di Dylan]. Mi prese
da parte e mi disse: "Ha qualcosa in arrivo. Ti interesserebbe?" È stato
allora che capii di avere un ingaggio, perché stavano parlando di date,
a cominciare da qualche anfiteatro in California. Risposi sì e quello fu
l'inizio. T-Bone [Wolk] non voleva farlo perché era impegnato con Hall &
Oates, ma trovarono Kenny Aaronson, con cui io non avevo mai suonato
prima. Entrò subito.
RP: Vista in retrospettiva, questa è stata la partenza del tour
praticamente infinito di Dylan, almeno fino al Covid. Vi fu presentato
come l'inizio di qualcosa di grande o semplicemente come "Andiamo a fare
due mesi di concerti"?
CP: Fu presentato come una cosa una tantum. "Potresti fare un piccolo
tour estivo? Sei settimane circa.” Non è stato sicuramente presentato
come un tour senza fine. Poi, passavano sei settimane o un mese e loro
dicevano: "Abbiamo un altro gruppo di date. Riesci a farle?" E io
continuavo a dire sì.
RP: Dovesti rinunciare al Saturday Night Live a un certo punto?
CP: No, no, perché G.E. Smith era nella band e voleva continuare a
farlo.
RP: Quindi continuaste con entrambe le cose?
CP: Fortunatamente per noi, non dovemmo mai rinunciare. Bob ed Elliot
Roberts lavorarono tenendo conto dei nostri impegni. Non programmavano
concerti il sabato e nemmeno il giovedì se avevamo pre-registrazioni. Io
e G.E. [Smith] abbiamo accumulato migliaia di miglia volando avanti e
indietro.
RP: Sembra un programma faticoso…
CP: È stato faticoso. È stato faticoso, ma davvero divertente andare
dagli NBC Studio 8H [di New York] a dovunque fosse, New Mexico o Canada.
Suonammo dappertutto. Ieri ho trovato i manifesti della Turchia e
dell'Italia.
È stata una fortuna, fino a quando G.E. [Smith] decise di non volerlo
più fare. Ci fu un lungo processo di audizioni per trovare un altro
chitarrista, il che è stato davvero difficile. A quel punto Kenny
Aaronson se n'era già andato e avevamo Tony Garnier. Dopo i concerti,
nel retro dell'autobus, gli insegnavo i brani o quale avrebbe potuto
essere il feeling per quella canzone. Fu davvero gettato nella mischia e
fece benissimo, come ha continuato a fare per 30 anni da allora.
RP: Ci fu un cambiamento nel suono o nell'atmosfera quando se ne andò
Kenny Aaronson e arrivò Tony Garnier?
CP: Sì, cambiò l'atmosfera e cambiò il suono. Tony entrò suonando il
basso acustico. Suonava anche l'elettrico, ma aveva un approccio
differente. Lui è un musicista diverso, un grande musicista, ma di
sicuro fermò la cosa che avevamo costruito, che era questa flessibilità
di andare in una direzione rock o folk o jazz o reggae. In qualsiasi
direzione [Dylan] volesse andare, noi ci saremmo andati.
Non abbiamo suonato due volte la stessa cosa. Abbiamo suonato qualcosa
di diverso ogni sera o qualcosa che era adatto per quello show.
Succedeva spesso, specialmente su brani familiari come "Rainy Day Women"
o "Times They Are a-Changin'". Quella aveva un certo feeling in 12/8, ma
quando diventava troppo comoda in 12/8, [Dylan] la cambiava in 4/4. La
metteva in rigorosi ottavi piuttosto che a ritmo di shuffle.
RP: Come comunica questi cambiamenti? Sei un batterista e qualcosa tipo
l'indicazione del tempo influenza davvero quello che stai facendo.
CP: Non lo comunicava. Io dovevo guardare. Stava in piedi proprio di
fronte a me e osservavo soprattutto il suo linguaggio del corpo. Quello
era l'unico indizio. Non mi ha mai indicato quattro o sei con le dita,
né ha mai detto "shuffle" o "ottavi diretti", o cose simili. Non disse
mai niente. Era solo la mia interpretazione del suo linguaggio del
corpo. E spesso non voleva le luci, quindi era difficile vederlo.
RP: Non solo. Ci furono alcuni spettacoli in quegli anni in cui suonò
indossando una felpa con il cappuccio alzato, il che probabilmente
rendeva molto più difficile vedere cosa stava facendo.
CP: Oh si. Ci fu un momento molto divertente un Halloween. Dovevamo
suonare a Chicago. Era da un po' che indossava la felpa con cappuccio.
Felpa con cappuccio, scialle da preghiera, Ray-Ban e blue jeans. Così
qualcuno della troupe diede a tutti una felpa con cappuccio, blue jeans,
uno scialle da preghiera e occhiali da sole.
Bob non veniva mai al soundcheck, ma a volte dopo aver cenato veniva a
dare un'occhiata al palco. Quella sera lo fece, e tutti indossavamo una
felpa con cappuccio, uno scialle da preghiera, blue jeans e occhiali da
sole. Quando arrivò, vide tutti vestiti come lui. Ci fu un silenzio di
tomba per quelli che mi sembrarono 10 minuti, ma probabilmente furono 30
secondi. Poi sorrise un po’. Capì lo scherzo. Non disse niente, ma capì
lo scherzo.
Ci fu un altro episodio nel backstage quando suonammo in questo posto
chiamato Memphis Mud Island, che è un isolotto nel mezzo del
Mississippi. Devi prendere una funicolare per arrivarci e cose del
genere. Non ci sono nemmeno camerini, solo una stanza in cui puoi
accordare gli strumenti prima di salire sul palco. In quel periodo
dell'anno c’erano probabilmente più di 40 gradi e zanzare giganti
ovunque, quindi tutti stavamo cercando di ripararci in quella stanza.
Per qualche motivo, un membro degli Eagles era da quelle parti e volle
raggiungerci. [2] Eravamo seduti nella stanza, solo Bob e noi della
band, in silenzio. Nessuno stava dicendo niente. Stavamo solo cercando
di prepararci mentalmente per il concerto, ma nessuno parlava. Ed ecco
che entra questo tipo degli Eagles. Noi sempre silenzio. Finché lui
disse a Bob: "Allora Bob, come sta il tuo cazzo?"
Ci fu un silenzio mortale. Poi, dopo alcuni secondi, Bob dovette
sorridere. Erano rari i momenti in cui lo vedevi sorridere e divertirsi
per qualcosa che succedeva. Perché lui è Bob. Ha visto di tutto, suonato
ovunque, conosce tutti, niente lo turba davvero, ma è stato bello vedere
un momento come quello in cui a sorpresa sorrise.
RP: A proposito di ospiti, nei primi concerti Neil Young si unì alla
band per una mezza dozzina di serate. Come successe?
CP: Suonavamo in California e lui viveva nelle vicinanze. Arrivava con
la sua Cadillac decappottabile, tirava fuori dal bagagliaio il suo
Silvertone Amp e la sua chitarra e li sistemava accanto a me, a sinistra
della batteria, e suonava tutta la notte. Era fottutamente fantastico.
Anche Jerry Garcia si unì. In Inghilterra, George Harrison si unì un
sacco di volte, è stato davvero bello, e pure Ringo [Starr]. Abbiamo
suonato la doppia batteria in diversi concerti in Francia. In tour avevo
abbastanza pezzi di ricambio per mettere insieme un altro kit. Due set
di batteria installati uno accanto all'altro, ed è stato semplicemente
fantastico. Prima degli spettacoli parlammo molto e sentii raccontare
direttamente da lui dei primi tempi con quei ragazzi [i Beatles]. Belle
conversazioni, parlando di batteria, tecnica, attrezzatura e cose del
genere.
Van Morrison si unì ad Atene. Fu in uno stadio di calcio e il pubblico
lanciò
M-80 sul palco. Sai, petardi simili a piccoli candelotti di dinamite che
esplodevano ai piedi di Bob e di Van Morrison. Salii su un montante e
vidi queste esplosioni. Non li turbarono, continuarono a suonare.
C'era una donna, il suo passaporto diceva che si chiamava Sara Dylan.
Immagino avesse cambiato nome. Sarà venuta a un centinaio di concerti,
sempre con un rotolo di monetine. Lanciava monetine sul palco. Se facevi
un giro dopo lo spettacolo – non l'abbiamo mai fatto, ma il mio tecnico
della batteria e diversi ragazzi della troupe raccoglievano queste
monetine. Erano sempre 5 o 10 dollari di nichelini.
RP: È molto bizzarro, su un paio di livelli.
CP: Sì. Totalmente, totalmente, totalmente bizzarro. Si sarebbe poi
presentata a Helsinki e si sarebbe presentata su quest'isola in
Norvegia. Mi chiedevo, come cazzo è arrivata fin qui?
C'era sempre un entourage, un gruppo di persone che voleva vederlo,
voleva parlargli, voleva fargli vedere un quadro, voleva mostrargli
qualcosa che avevano fatto per lui, voleva dargli un manoscritto che
avevano scritto quando erano in Vietnam con l'Agente Orange che
esplodeva sopra le loro teste [3] e come quella tal canzone gli avesse
salvato la vita. Blocchi pieni di cose scritte a mano, fotografie,
sculture, il paraurti di una Mercury del '49. A volte davi una
sbirciatina nel suo camerino e vedevi questa pila di cose imbustate.
Teschi, corna di manzo, non sapevi mai cosa ci sarebbe stato nel suo
camerino. Nessuno buttava via la roba. Tutto è stato catalogato.
Soprattutto a Los Angeles o New York, la gente lo assediava.
RP: Ti è mai capitato di avere personalmente a che fare con queste cose?
CP: Sì, per associazione. Quando iniziai a lavorare con Bob, non ci
volle molto. All'epoca avevo una casa a Kent, nel Connecticut. Già dopo
il primo tour, la gente si fermava sul vialetto e chiedeva: "Puoi
raccontarmi un po' com'è lavorare con Bob?" Persone in pick-up con le
rastrelliere per i fucili a pompa, persone in bicicletta. Si
presentavano a casa e bussavano alla porta. Non è una bella situazione.
Come la gestisci? Nessuno era… stavo per dire che nessuno era pazzo, ma
erano tutti un po' pazzi. Erano ossessionati da Bob.
RP: Inquietante. (Sì, mi rendo conto dell’ironia.)
CP: Qualsiasi informazione avessero ottenuto da me sarebbe stata acqua
per il loro mulino. Alcune persone si presentarono più di una volta.
"Ecco un dipinto che ho fatto. Puoi portarlo a Bob?", o "Ecco una
lettera che ho scritto. Puoi assicurarti che Bob la riceva?" Ero il
tramite per Bob. Dicevo: "Davvero non posso.” Tracciai una linea lì. Non
avrei preso alcunché per poi darlo a Bob dicendogli "Questo è di
qualcuno del Connecticut che è ossessionato da te".
Cercavo di essere gentile e di dissuaderli dal ritornare, perché ero con
la mia famiglia. Fu strano. Ci furono alcuni momenti strani.
RP: Musicalmente, come si sono evoluti lo spettacolo e la band nel corso
dei tre anni? Abbiamo già parlato dell'arrivo di Kenny [Aaronson] e
dell'arrivo di Tony Garnier], ma in termini di suono e di come avete
interagito tra di voi?
CP: Ci siamo sentiti sempre più a nostro agio. Nel corso dei tre anni
molte cose sono cambiate. Suonavamo brani diversi o affrontavamo cose
diverse.
RP: Nel caso di aggiunte all’ultimo momento, cover di canzoni
semisconosciute, quando venivano provate? Si lavorava molto nei
soundcheck o furono provate prima del tour?
CP: Alcune cose le avevamo suonate prima del tour. "Oh, sì, ricordo di
averla suonata", e poi G.E. [Smith] e Kenny [Aaronson] o Tony [Garnier]
che dicevano: "Come vuoi farla?" "Gli piace in Sol, vuoi farla in Sol?"
"Scendiamo di mezzo tono per ogni evenienza". Una specie di ripasso. E
questo succedeva nel backstage o sull'autobus, non quando ero alla
batteria. Io ascoltavo. "Ok, potrei fare qualcosa del genere. Forse
funzionerà." L’avrei suonata per la prima volta in concerto con Bob che
cantava.
Il suo fraseggio è l'altro indizio su come avrei accompagnato, oltre al
suo linguaggio del corpo. Il suo fraseggio è unico, come Frank Sinatra.
Il modo di muovere la melodia, aspettando il cambiamento nella musica
prima di cantare il testo che va su quel cambiamento, oppure anticipando
il testo prima del suo cambiamento musicale in modo che la fine della
frase sia quando senti il cambio musicale. Essere in grado di farlo è
semplicemente geniale. Non ci sono altri cantanti oltre a Frank Sinatra,
o forse Ella Fitzgerald o Ray Charles. Immagino anche Willie Nelson.
Qualcuno che ha una tale padronanza della canzone da poter allungare le
strofe, o stringerle o troncarle, accartocciare le parole o, al
contrario, distenderle in modo che i versi esprimano il loro umore in
quel momento, letteralmente in quel secondo. Ho imparato a godermelo
davvero, sempre di più, mentre suonavo con lui.
RP: Ci fu un po’ di delusione perché all'epoca non usò la sua tour band
per le cose in studio? Per Oh Mercy e Under the Red Sky non ricorse a
G.E. Smith, né a te, né agli altri.
CP: Sì, fu un po' una delusione perché avremmo voluto ascoltare quei
brani ed essere pronti a suonarli. Poi abbiamo visto uscire il disco e
[abbiamo pensato] "Oh, avrei potuto suonarci. Cavolo!" A volte è stato
un peccato perché il feeling che avevano dal vivo era più attuale che su
disco.
Ora che stanno pubblicando tutte queste Bootleg Series, forse a un certo
punto pubblicheranno roba dall'88 al '92. Ci sono state alcune
esibizioni incredibili, con Bob alla chitarra acustica e armonica. Come
ti ha detto Jim Keltner, ti farebbero piangere.
RP: Parlando di acustica, mi sembra che nei set acustici del primo
periodo ci fossero solo lui e G.E. Smith, e successivamente suonasti
anche tu.
CP: Ci si è evoluti nel tempo. Ricordo che una sera stavano facendo
"Knockin' on Heaven's Door", io ero sul lato del palco e mi dissi: "Sai
una cosa, qui si potrebbe davvero usare la batteria". I miei microfoni
erano accesi, mi avvicinai di soppiatto alla batteria e feci questo
riempimento gigantesco entrando nel ritornello. Bob si voltò e sorrise.
Però non lo ripetei la sera dopo e nei concerti successivi in cui
suonarono "Knockin'". Non gli piaceva. Se qualcosa gli sembrava
prevedibile o troppo scontata, la cambiava.
Mi piaceva quando i chitarristi stavano lì e provavano a vedere quali
accordi suonava Bob. Lui girava il manico della chitarra dall’altro lato
del palco. Dovevano usare le loro orecchie, il loro istinto o qualsiasi
altra cosa per adattarsi. Non puoi usare i bigini con Bob Dylan.
RP: In quella sorta di periodo intermedio in cui G.E. Smith annunciò che
se ne sarebbe andato, ci fu una serie di altri chitarristi sul palco,
ogni sera uno o due nuovi. Immagino che alcuni di loro avranno cercato
di guardare le sue mani. Sembra un'esperienza strana per un membro della
band.
CP: È stato molto duro ed è stato anche penoso. Straziante, davvero.
RP: Come mai?
CP: Ci furono alcuni momenti molto, molto imbarazzanti durante le
audizioni di chitarra. C'erano un sacco di musicisti che sarebbero stati
fantastici se avessero avuto la possibilità, ma hanno fatto dei passi
falsi, in mancanza di una parola migliore, chiedendo a Bob un autografo
o se potevano avere qualcosa di speciale. Non so cosa stessero
chiedendo, ma so che per qualche ragione, certamente non musicale, non
hanno avuto la parte. Finché il chitarrista con cui si sentì più a suo
agio fu il tecnico della chitarra, César Diaz, che accordava le chitarre
di Bob e gliele dava. Era sempre a lato del palco. Ma César, Dio lo
benedica, non era un chitarrista. Voglio dire, sapeva suonare la
chitarra, ma non era un membro della band. Questo è stato davvero
penoso. Divenne di fatto il chitarrista. Era così nervoso, non abituato
a stare sotto i riflettori, non abituato a esibirsi. E questo rese
davvero difficile realizzare l’amalgama della band.
Quella fu l'ultima goccia per me. Inoltre, stavo per avere il mio
secondo figlio e avevo già perso molto dell’infanzia del mio
primogenito. Era una cosa che mi spezzava il cuore. Avevo aspettato 19
anni con questa donna, la cui madre aveva comprato Byrdcliffe, avevamo
aspettato 19 anni ad avere figli perché volevamo farlo bene. Non avremmo
fatto un errore che avevamo visto fare ad altre persone, volevamo che il
nostro rapporto fosse solido.
Il mio primo figlio è nato nell'88 e sono stato in giro per i successivi
18 mesi. Poi è nato il mio secondo figlio, e la storia dei chitarristi
stava scivolando verso il basso. È stato straziante, davvero straziante.
Chiesi a Bob di lasciarmi andare a fare quello che dovevo fare con la
mia famiglia.
È stato un viaggio fantastico, tanta musica fantastica. La cosa più
dolorosa è non essere su nessuno dei dischi, non esiste un documento
ufficiale di quel periodo. Alcune interpretazioni furono buone quanto i
dischi classici, o persino migliori, o nuove e diverse.
RP: Hai parlato della versatilità e ascoltando alcuni bootleg si ritrova
sicuramente lì, ma l’altra cosa che salta fuori è che eravate
decisamente rock. È quanto di più vicino al punk Bob abbia mai fatto.
CP: Sì. Ricordo alcune ottime interpretazioni di certi brani. Alla West
Point Academy eseguì "Masters of War" e fu fantastico. Era come se i
Clash facessero Bob Dylan.
RP: Stavo giusto per chiederti di due o tre spettacoli specifici, e uno
è proprio quello di West Point che hai menzionato [4]. Fu piuttosto
controverso all'epoca. Ti ricordi il frastuono mediatico su Bob Dylan
che suonava in un'accademia militare?
CP: Sì, certamente. Fu una serata piena di tensione. Eravamo in tour da,
non so, tre o quattro mesi. Scendemmo dal bus. Affrontare i cadetti, la
struttura di questo luogo e l'atmosfera letteralmente militarista, tutto
fu molto ansiogeno. Nessuno sapeva come sarebbe stato lo spettacolo. I
cadetti ci fischieranno? Ci lanceranno delle cose? Non sapevamo cosa
sarebbe successo.
Chiaramente, c'era un gruppo di cadetti che lo conoscevano a fondo e
conoscevano a fondo la sua musica, e voleva essere lì. Il posto era
tutto esaurito. Fu uno spettacolo incredibile.
RP: Che mi dici di Toad's Place, 1990? Probabilmente la scaletta più
pazza dell'intera carriera di Dylan [5]. Tutte quelle strane cover,
"Dancing in the Dark", le sue canzoni che non aveva mai suonato. Qual è
la storia di quello spettacolo? Una specie di prova con un pubblico?
CP: Una prova con un pubblico, sì. [Il Toad’s Place] non è proprio un
teatro, lì tutti sono allo stesso livello. La batteria è sul pavimento,
le chitarre sono sul pavimento, il basso è sul pavimento. Non c'è
proscenio. Non credo che fino a quel momento avessimo mai suonato a così
stretto contatto con il pubblico. Di solito c'è un palco, la sicurezza,
le recinzioni o altre cose per tenere il pubblico e Bob separati, ma
quella fu davvero la dissoluzione della quarta parete. Le persone erano
proprio lì. Qualcuno mi guardava suonare la batteria a un metro di
distanza. Potevi sentire l'energia. La gente era coinvolta, chiedeva
canzoni. "Suona 'Baby Blue'! Fai 'Highway 61'!"
RP: Quando entrasti, sapevi che sarebbe stato così?
CP: No, pensavo che sarebbe stato vuoto e che avremmo provato e basta.
RP: Non sapevi che ci sarebbe stato un pubblico?
CP: No. Quando sono arrivate le prime persone ho pensato "Oh, devono
essere amici del management o dei proprietari del posto, o qualcosa del
genere”. Ma la gente ha continuato ad arrivare e ben presto è stato un
pubblico in piena regola.
RP: Di tutte le cover di Springsteen, "Dancing in the Dark" fu una
scelta bizzarra e non è che funzioni benissimo. Come è potuta succedere
una cosa così stravagante?
CP: L’ha semplicemente chiamata a gran voce. Iniziava a cantare qualcosa
e G.E. [Smith] diceva: "Okay, dai, sì, facciamola!". E io cercavo di
entrarci senza averla mai suonata prima.
Un paio di cose che fece durante le prove avrei voluto che poi le
avessimo suonate dal vivo. Abbiamo provato "God Only Knows", la canzone
dei Beach Boys, che è davvero una melodia difficile: ha un numero
dispari di battute e una figura orchestrale nell'intermezzo. Abbiamo
provato – come si chiama? – "Father of Time" o qualcosa del genere…
RP: "Father of Night"?
CP: "Father of Night", sì. Provammo canzoni di Willie Nelson e canzoni
di Hank Williams, alcune erano fantastiche. E canzoni di Woody Guthrie.
RP: Ho parlato con vari membri della band, ma tu sei il primo di quel
periodo. Ci sono opinioni piuttosto discordanti se Dylan frequenti o se
parli con la band fuori dal palco. Qual era l'atmosfera durante i tuoi
anni?
CP: L'atmosfera con lui era fantastica, a meno che non fossimo a Los
Angeles o a New York dove, come ho detto prima, le persone proprio lo
assediavano con richieste. "Guarda questo, ecco un dipinto che ho fatto,
ecco una fotografia del tal dei tali, ho pensato che dovresti avere
questo..."
Quando suonammo al Radio City [6], il camerino era pieno di star. George
Harrison, Allen Ginsberg, Peter Gabriel, Joan Baez… Arrivarono tutte
queste persone e cominciarono ad assediarlo. Tu cosa avresti fatto? A
Los Angeles una quantità assurda di persone. Jack Nicholson, Harry Dean
Stanton, Brian Wilson, Joni Mitchell. C'erano 100 persone in fila per
vederlo o dargli qualcosa. Non riesco a immaginare di avere a che fare
con questo tipo di attenzione e questo tipo di bisogno che ti viene
presentato in modo così tangibile.
Se eravamo in Oklahoma o nel New Mexico o in Colorado o posti simili,
era una persona normale. Aveva un lottatore di nome "Mouse" Strauss, un
ex pugile che era andato al tappeto così tante volte che era ancora un
po’ suonato. Veniva ad allenare Bob, facevano boxe insieme. Dopo gli
chiedevamo: "Ehi, com'è andata la tua sessione con Mouse?" Bob diceva:
"Oh, l'ho steso" o "Mi ha fatto ruzzolare". Eravamo semplicemente
persone normali. Non abbiamo avuto conversazioni infinite, ma abbiamo
senz’altro conversato. Dopo che nacque il mio primo figlio, quando
tornai in tour con lui la prima cosa che mi chiese fu: "Ehi Chris, come
sta quel bambino?"
RP: Hai detto che non ti diede mai molte indicazioni in anticipo. Ma dei
feeback dopo? Tipo "Voglio che domani sia più lenta" o "Mi è piaciuta
questa cosa che hai fatto".
CP: Mai.
RP: Non rende difficile sapere se quello che stai facendo è giusto?
CP: No, non è più difficile che suonare jazz con qualcuno. Hai una
sensazione, hai un'atmosfera. Se lui si girava e sorrideva, sapevo di
non aver cannato. Se non era soddisfatto, non lo sapevo, ma forse la
canzone sarebbe stata diversa la sera dopo.
Ho imparato da quel momento durante le prove, quando gli chiesi "Cosa
vuoi che suoni su questa?" "Sono solo un fottuto poeta."
_____________________________________________________
Note
[1] Vedi intervista a Jim Keltner, già tradotta e pubblicata su Maggie’s
Farm il mese scorso.
[2] L’episodio che sta raccontando si riferisce al concerto di Memphis
del 26 luglio 1988. Il membro degli Eagles era il chitarrista Joe Walsh
che poi si unì alla band nei bis per “Forever Young” e “Maggie’s Farm”.
[3] “Agent Orange” era il nome in codice dato dall’esercito statunitense
al defoliante ampiamente usato durante la Guerra del Vietnam.
[4] Dylan suonò all’Accademia Militare di West Point il 13 ottobre 1990.
Ritornò poi a esibirsi lì il 15 ottobre 1994.
[5] Si riferisce all’esibizione del 12 gennaio 1990 al Toad’s Place di
New Haven, Connecticut. In quella occasione, Dylan e la band suonarono
ben 4 set diversi, per un totale di 50 canzoni e di 4 ore di musica.
[6] Dylan si esibì 4 sere al Radio City Music Hall di New York, dal 16
al 19 ottobre, in chiusura dei tour del 1988.
Ti ringrazio di cuore
veramente, è una fortuna avere amici come te sempre pronti a raccogliere
la richiesta d'aiuto ed a spendere parte del loro tempo a favore di
tutti i dylaniati come noi! Alla prossima caro Silvano, Mr.Tambourine,
:o)
Mercoledì
6 Ottobre 2021
TOUR 2021
- Cancellata la data di Albuquerque
Oggi expectingrain.com che aveva elencato la
data da un paio di giorni l'ha cancellata:
11 Ottobre 2021 - Kiva Auditorium at the
Albuquerque Convention Center - Albuquerque, NM
Come ripeto sempre
meglio non fidarsi di ciò che non è confermato da bobdylan.com.
Martedì 5 Ottobre 2021
Talkin' 11890 -
catestef
Oggetto: Un ricordo targato 3/10/1987
Come non ricordare il primo concerto di Dylan che ho visto a Roma al
Palaeur il giorno 3/10/1987.
In prima fila, ovvero attaccato alle transenne sotto il palco in un
Palaeur strapieno un grande Dylan con Petty insieme agli Spezzacuori e
le Regine del ritmo.
Come non ricordare quando Roger McGuinn lo chiama cantando Mr.
Tambourine, e lui Bob Dylan viene fuori sul palco vestito con una
camicia bianca e un foulard nero con pantaloni in pelle nera scatenando
il delirio tra il pubblico cantando in apertura Bolowin in The Wind e
successivamente Like a Rolling Stone.
Una serata magica scolpita nel mio cuore e nella mia mente per sempre.
Stefano Catena.
Immagino la tua
emozione caro Stefano, trovarsi davanti a pochi metri Bob Dylan non è
cosa di tutti i giorni. Quel concerto era il 19° del Temples In Flames
Tour.
Roma Palaeur - Rome, Italy - 3 October 1987
1. Blowin' In The Wind
2. Like A Rolling Stone
3. Man Of Peace
4. Forever Young
5. Heart Of Mine
6. I And I
7. The Wicked Messenger
8. Shelter From The Storm
9. Seeing The Real You At Last
10.Simple Twist Of Fate
11.Tomorrow Is A Long Time
12.In The Garden
encore
13.Shot Of Love
14.The Times They Are A-Changin'
1-10, 12-14Bob Dylan (vocal & guitar) with Tom Petty & The
Heartbreakers.
Tom Petty (guitar), Mike Campbell (guitar), Benmont Tench (keyboards),
Howie Epstein (bass), Stan Lynch (drums)
and with The Queens Of Rhythm: Carolyn Dennis, Queen Esther Marrow,
Madelyn Quebec (backing vocals).
11 Bob Dylan Bob Dylan (vocal & guitar), Mike Campbell (guitar), Benmont
Tench (piano).
4, 8 Bob Dylan (harmonica).
13, 14 Roger McGuinn (guitar).
Io vidi lo stesso show all’Arena Civica di Milano e ricordo sempre (l’ho
già scritto diverse volte su queste pagine) che avevo Dylan con felpa
con cappuccio tirato sulla testa ed occhiali da sole a circa due metri
da me, ma mi accorsi che era lui solo quando lo vidi alzarsi, scendere
gli scalini ed entrare di fianco al palco.
Il concerto fu emozionante, con l’inizio di Roger McGuinn solo con
l’acustica, poi Tom Petty con gli Heartbreakers per il loro set, poi
chiamarono McGuinn e fecero alcune canzoni dei Byrds, poi sul palco salì
Dylan e le Queens of Rhythm. Momenti indimenticabili, proprio come i
tuoi! Grazie per aver ricordato quello splendido concerto, alla
prossima, Mr.Tambourine, :o)
Carissimo Tamburino,
innanzi tutto devo proprio dirti che i tuoi Porcolarum li ho ascoltati,
ma non mi piacciono per niente, mi ricordano il Rondò Veneziano che a
Cin Ciun Cian invece piace ancora moltissimo. Per mio modesto giudizio
mescolare musica classica e rock è delitto gravissimo causato da molto
ridicola pacchiana presunzione.
Comunque fra le tantissime cose che non ci sono da dire su Bob, durante
massaggio glatis a capitano dei carabinieri, stavo pensando che quando,
forse peccando di ottimismo, Dylan diceva: “tutte queste canzoni che
parlano di rose che crescono dal cervello delle persone e di amanti che
in realtà sono oche e cigni non moriranno mai”, oltre che schernire i
vari Ewan MacColl, stesse dichiarando il suo amore per il mondo della
balladry tradizionale anglo scozzese. Vale la pena ricordare quanto a
quel tempo maestri ballatisti come Joan Baez, Paul Clayton e Martin
Carthy fossero intimi del giovane Dylan. In realtà il multiforme
folksinger non si è mai trovato a suo agio con la ballata in senso
stretto. Dylan è profondamente americano, il suo mondo è il blues e il
folk autoctono, non quello di Mary Hamilton e Geordie. Tanto sono solide
e geniali le sue rivisitazioni di standard folk americani come Man Of
Constant Sorrow, Hiram Hubbard, Baby Let Me Follow You Down, No More
Cane On The Brazo, Delia, In the Pines, Stealin', Keep Your Hand on the
Plow, Dink’s Song, Moonshiner, San Francisco Bay Blues, Rocks and
Gravel, Wagoner’s Lad, Roll on John (e si potrebbe continuare
all’infinito, tale era la vastità del repertorio di cui in due anni
arrivò a disporre), quanto risultano incerte le rare interpretazioni di
ballate di origine britannica da lui eseguite, pezzi come Barbara Allen
(che Dylan giustamente adora e si ostina ad eseguire con una melodia
secondaria), Trees They Do Grow High, Fennario, Railroad Boy, House
Carpenter, Love Henry, Arthur McBride, Come All Ye Fair and Tender
Ladies, ecc.
Dylan generalmente, pur apprezzandola - è evidente -, si tiene alla larga
dalla balladry antica e, quando deroga, l’approccio è generalmente
mediato dalle versioni americanizzate di queste antiche ballate scozzesi
(vedi Volume 1 dell’Anthology Of American Folk Music di Harry Smith).
Allargando il raggio, anche nei brani originali la ballata in minore
latita; certo, ci sono North Country Blues (che dovrebbe piuttosto
intitolarsi North Country Ballad e che sembra uscita dal Ballad Book
della Baez), Wedding Song, Dirge, Blind Willie McTell… tutte splendide,
ma l’opera dylaniana rimane un monolite in maggiore.
Non so bene perché accada questo, probabilmente la ballata, che è un
genere delicato e arcaico, necessita di voci melodiose e mal si adatta a
un canto walkin' down the line, a uno stile ruvido e scoppiettante come
quello di Dylan. O forse è solo un problema di radici musicali; anche
nel repertorio di un Pete Seeger, che ha una vocalità perfettamente
compatibile con la ballata antica, le Child Ballads latitano.
Una cosa è sicura: Dylan, il re della ballata, non è certo un
ballatiere.
Anche maestro Wang Yang Ming dice: non si può avele gatto su ginocchia e
dentro panza allo stesso tempo.
Arrivederla Mr. Tambù, emozionalmente sua, la devota Juju.
Carissima Juju,
credo di essere completamente d’accordo con quanto scrivi (meno
naturalmente le brutte cose sui Procol Harum, ma in questo caso ognuno è
padrone di avere le proprie opinioni). Tutti sappiamo che Dylan non è
mai stato uno scrittore di ballate in senso stretto, e faccio
riferimento alla child ballads che tu citi nella mail. A mio parere si è
servito di questo genere e affini (credo tu ricordi che scippò una
canzone a Paul Clayton facendola diventare “Don’t think twice it’s all
right”, anche se i due rimasero ugualmente amici anche dopo la causa
giudiziaria intentata dalle rispettive case discografiche che fini con
un accordo monetario), che, sempre a mio parere, sfruttò la popolarità
ed i sentimenti della Baez per guadagnarsi un pò di fama immediata,
oltre a quella che giustamente si è meritata per le meravigliose canzoni
che ha scritto. Dylan è un “artista totale”, quindi è più che giusto che
abbia compiuto le sue trasformazioni andando a scavare sempre più nel
panorama musicale americano oltre che nella sua fervida e creativa
mente. E non è ancora finita, io son convinto che fino a quando Colui
che tutto move avrà la bontà di lasciarlo su questa terra a nostro
beneficio prima di chiamarlo a se per goderselo in santa pace per tutta l’eternità ci
farà altre gradirtissime sorprese. Come disse il Vostro grande filosofo
Lao Tse “Anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo”, la
strada che Dylan sta percorrendo da oltre sessant’anni è composta da
migliaia di miglia messe una in fila all’altra, ed il viaggio
continua..............!
Alla prossima, Mr.Tamborine, :o)
Respect: Il film sulla vita di Aretha
Franklin
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Venerdì
1 Ottobre 2021
Talkin' 11888 -
samuconf93
Oggetto: Errata Corrige
Ciao, Mr. Tambourine, a te e a tutta la
Farm!
Ringrazio l’amico che ha segnalato il mio errore in merito a “Sweet
Caroline”, prontamente corretto. Ricordavo entrambe le versioni (mi pare
che Denver ne abbia fatto una cover) e mi ero confuso.
A presto e un caro saluto!
Samuele.
Come dice un vecchio
adagio "Quattro occhi son meglio di due", ed in questo caso gli occhi di
magicbus21 (Alessandro Galimberti) sono stati utilissimi, e fa anche
piacere sapere che c'è sempre qualcuno pronto a darci una mano o
segnalarci una nostra svista! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)