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" Volevo soltanto una canzone da cantare , e arrivò un certo momento in cui non riuscii a cantare niente . Così dovetti cominciare a scrivere ciò che volevo cantare perchè nessun altro scriveva ciò che volevo cantare . Non riuscivo a trovare niente di buono , ovunque cercassi , se ci fossi riuscito forse non avrei mai cominciato a scrivere canzoni . (Bob Dylan) |
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Venerdi 4 Aprile 2008 4 Aprile 1968 , a Memphis veniva ucciso 40 anni fà Martin Luther King , il nostro ricordo col discorso più famoso...... I have a dream (Ho un sogno) è la frase con cui viene identificato il discorso tenuto da Martin Luther King il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington al termine di una marcia di protesta per i diritti civili.
Il brano, estratto dal discorso e contenente questa famosa frase, è il seguente:
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Joan Baez ha cominciato la sua carriera verso la fine degli anni 50 come la figlia dai capelli corvivi del nuovo movimento folk americano. Cinquanta anni dopo, si è trovata ad occupare un ruolo più materno ora fà una cosa che molti non avrebbero mai immmaginato , compresa lei , quello della nonna. Dice Joan "Non ho avuto molto tempo da dedicare alla famiglia negli anni 60 e 70 , ma ora che ho 67 anni sì “ ha detto in una recente intervista al telefono " Mia mamma è ancora viva ed haun bel nipotino. La gente non ha di me questa immagine , in gran parte perché io non ho potuto darla , ma questa immagine di oggi è quella a cui dedico tempo ed energia ed è emozionante a me.hanno sostituito le mie due passioni : la protesta e la musica. L’uscita del suo nuovo album “Dark chords on a big guitar”, inizialmente era prevista per il prossimo mese di agosto, la sua pubblicazione è ora invece stabilita per il 9 settembre. Per Joan Chandoz Baez, classe Quarantuno, ex compagna di Bob Dylan, si tratta del primo disco di studio dopo quasi 6 anni. Il CD, assemblato nello scorso dicembre in uno studio nei pressi di New York, contiene dieci cover. Tra i brani sono da annoverare “Wings” di Joe Ritter, “Christmas in Washington” di Steve Earle e “Motherland” di Natalie Merchant. Intanto la Universal ha annunciato che spedirà nei negozi, pare inizialmente solo negli USA, un cofanetto intitolato “Joan Baez - The complete A&M recordings (1972-1976)”; il supporto è atteso per il 26 agosto e contiene, in 4 CD, i 6 LP che la Baez incise appunto per la A&M. I primi concerti della cantautrice si svolsero al Club 47 di Cambridge, Massachusetts, nel '59. L'incontro con Dylan risale all'aprile '61. Il suo brano più conosciuto rimane “We shall overcome”. Secondo il Chronicle de San Francisco, la Baez per la prima volta stà sostenendo un candidato presidenziale, sottolineando l'abilità di Barack Obama "porta l'unità ad un paese che è stato diviso troppo a lungo." "non ho avuto mai qualche cosa a che fare con la politica " ha detto la Baez, che negli anni 70 aveva marciato con Martin Luther King , ha protestato per la guerra in Vietnam a Hanoi ed ha sostenuto i diritti degli immigrati accanto a César Chávez. " Penso che il messaggio "di cambiamento" di Obama abbia il potenziale per arrivare a Washington. "tutti noi stiamo aspettando qualcosa che venga a rendere il nostro lavoro coesivo con gli altri" ha detto agli attivisti in ogni campo. " C’è gente meravigliosa che fa cose meravigliose e che risolve le cose , ma che deve essere vista”. Improvvisamente, ci è parsa una persona che vuol dare ancora una possibilità ai suoi sogni . La cantante , con i suoi capelli ormai grigi , desidera ancora la pace, l'armonia e l'uguaglianza , ed è disposta ancora una volta a radunarsi e a cantare - fino a che non l’abbia ottenuta . "la musica è la parte pacifica di me," ha detto, suggerendo che la musica di protesta potrebbe avere lo stesso effetto sulla guerra corrente in Irak come l’ha avuta sulla guerra di Vietnam. ( Dean Spencer news ) _____________________________________________________________________________________________________________________ George Ivan Van Morrison a.k.a. “ The Man “Il video di due “ giganti “ – Morrison & Dylan clicca l'immagineOrigini
Cresciuto in una famiglia
protestante di Belfast, Morrison ascolta molta musica sin dalla più tenera
età: sua madre era una cantante mentre il padre era collezionista di album
americani di jazz e blues. Anni '60
Morrison va via di casa a 15
anni per intraprendere la sua carriera musicale. Suona in diversi locali con
complessi skiffle e rock and roll prima di entrare a far parte del gruppo
dei Monarchs, con i quali partecipa ad una tournée in giro per l'Europa. Anni '70
Morrison si trasferisce in
California dove pubblica
Moondance
(1970), del quale cura anche la pruduzione. L'album raggiunge la 29^
posizione della classifica curata da
Billboard. Lo
stile di questo album è in netto contrasto con quello di
Astral Weeks:
se questo era un album intriso di tristezza e tenerezza,
Moondance è
invece ottimistico ed allegro. La
title track,
sebbene mai pubblicata negli Stati Uniti come singolo, diviene un grande
successo radiofonico. Anche
Into the mystic, canzone molto evocativa,
diviene molto popolare nel corso degli anni. Anni '80
Gran parte della produzione
di Morrison degli anni '80 prosegue l'esplorazione della spiritualità e
della fede, avvicinandosi alla New Age. Gli album tendono a perdere in
tensione musicale e ad assomigliarsi troppo tra loro, pur con zampate
improvvise di creatività come No Guru, No Method, No Teacher in cui spiccano
musicisti presenti in Moondance come il pianista Jef Labes.
Spiccano, in questo periodo della carriera,
Summertime in England (da Common One),
Cleaning windows
(da Beautiful Vision),
Rave On, John Donne
(da Inarticulate speech of the heart),
Tore Down À La Rimbaud
(da A Sense Of Wonder) e
In The Garden
(da No Guru, No Method, No Teacher). Anni '90
Nel 1990, Morrison
partecipa, insieme a molti altri artisti, allo spettacolo The wall,
organizzato da Roger Waters a Berlino, dove canta
Comfortably numb
con Roger Waters, Levon Helm, Garth Hudson e Rick Danko. InfluenzeL'influenza di Morrison può essere riconosciuta facilmente nella musica di molti artisti quali gli U2 (soprattutto The Unforgettable Fire), Bruce Springsteen (Spirit in the Night, Backstreets), Bob Seger, Rod Stewart, Patti Smith (responsabile di una versione poetica-proto-punk di Gloria), Graham Parker, Thin Lizzy, Dexys Midnight Runners e molti altri. Tra questi, Bob Seger in un'intervista a Creem ha affermato I know Springsteen was very much affected by Van Morrison, and so was I ("è chiaro che Springsteen è stato molto influenzato da Van Morrison e la stessa cosa è accaduta a me"). Premi e riconoscimentiGrammy Awards:
Altri riconoscimenti:
Discografia Album
Raccolte
Singoli
_____________________________________________________________________________________________________________________ La figlia di Teresa Augello cantata da Bob Dylan
Certo che quella di Alicia Keys è una bella storia, come tutte le storie di chi nasce figlio di tanti Paesi. La mamma di Alicia si chiama Teresa Augello, detta Terri, origini scozzesi, irlandesi e naturalmente italiane, che, dopo la separazione dallo steward giamaicano Craig, si è concentrata sulla sua bambina, diventandone l’istruttrice, la guida e poi (fino a pochi mesi fa) anche la manager. Quando Alicia, che è nata il 25 gennaio del 1980 (o del 1981), ha deciso di scegliere come nome d’arte Alicia Wilde, la mamma glielo ha fatto cambiare in Keys «perché ho fatto un sogno». Diploma in solo tre anni alla Professional performing arts school, iscrizione alla Columbia University poi abbandonata subito, la vita di Alicia Keys ha avuto un solo comun denominatore: la musica. Quando nel 1997 è uscito il film «The men in black», uno dei brani della colonna sonora («Dah dee dah - Sexy thing») era il suo ma nessuno se ne accorse. E così più o meno accadde per le colonne sonore di «Shaft» e «Dr. Dolittle» del 2001. Il boom è arrivato con il primo disco «Songs in A Minor», che ha venduto dieci milioni di copie e ha trasformato Alicia Keys in un super seller da quaranta milioni di dischi venduti, undici premi Grammy sulla falsa riga di altri campioni come Mariah Carey e Beyoncé che prima erano solo i suoi idoli. E l’ha fatta menzionare anche in un testo di Bob Dylan, che in «Thunder on the mountain» (da «Modern times» del 2006) canta, tra l’altro, «Stavo pensando ad Alicia Keys e non riuscivo a trattenere il pianto». Però !!! ( Dean Spencer news ) ______________________________________________________________________________________________________________________ Mick Jagger ha il pisello da bambino
Mick Jagger con la nuova fiamma, L'Wren Scott "You can't always get what you want" recita il ritornello di uno dei brani più amati dei Rolling Stones. Non si può sempre ottenere cià che si vuole e Mick Jagger lo sa da tempo. La natura ha deciso che lui e John Holmes sarebbero stati felici, ma passando per strade diverse. Mick avrebbe usato il microfono, John un altro attrezzo meno metallico ma altrettanto incisivo. Ciò che pochi avrebbero immaginato è che Jagger facesse un cruccio del suo pene. Al punto da ricorrere ad uno strano rituale magico per farselo allungare. A rivelare questi dettagli indiscreti è stato il regista Julien Temple, re dei videoclip e autore dei film La grande truffa del rock and roll (sui Sex Pistols) e Absolute Beginners (sui Mod e David Bowie). Secondo Temple, Jagger scoprì nel 1981 il rituale degli indios amazzonici per allungare il muscolo dell'amore. A quell'epoca i Rolling Stones erano impegnati sul set di un video diretto proprio da Temple, mentre Jagger faceva parte del cast di Fitzcarraldo, film estremo diretto da Werner Herzog e ambientato proprio in Amazzonia. Ossessionato dalla sua scarsa prestanza fisica, Jagger chiese di sottoporsi al rituale indio. Consisteva nell'infilare il proprio pene in una canna di bambù che poi veniva riempita di api. Gli insetti provvedevano a pungere il "fortunato", fino ad ingrossargli e allungargli gli attributi. "Mick trascorse mesi nella giungla per risolvere il problema" ha aggiunto il maligno Temple. Funzionò? No, a giudicare dalle parole di Janice Dickinson: "Sarà un dio del rock ma ha il pisello di un bambino" ha detto lei alla Bbc. Eppure Mick può vantare una galleria di conquiste eccellenti, da Marianne Faithfull a Jerry Hall, top model che è stata a lungo sua moglie e che ora vive nella casa accanto alla sua. Fino all'ultima conquista: la monumentale (1,93 di altezza) mora di fuoco L'Wren Scott, stilista e gallerista americana. Lui ha 63 anni, lei 40. ( Dean Spencer news ) _____________________________________________________________________________________________________________________ Suze : " Bobby , when it comes the VW van ? I'm freezing right to the bones , new york time said it was the coldest winter in seventeen years, i didn't felt so cold ! ". Bob : " It's just backside of us , let it park , i don't want come back some other day , we take the pic and asap we go away ". Suze : " I don't understand , it was just necessary ? ". Bob : " Yes baby , that van is our generation's "On the road" symbol , Kerouac said that in line , something is happening here but you don't know what it is , do you Miss Rotolo ?".
Bob : " OK , let's go ". Suze : " Finally , i was going round the band !". ______________________________________________________________________________________________________________________ T-Bone Burnett - " Mi piacerebbe produrre e registrare Dylan ".
left to right : Roger McGuinn - Joni Mitchell - T-Bone Burnett - Joan Baez - Bob Dylan - Rob Stoner - Bob Newhirt Il leggendario musicista e produttore T-Bone Burnett ha revelato che gli piacerebbe lavorare ancora con Bob Dylan . La carriera musicale di Burnett è iniziata quando Dylan gli ha chiesto di suonare nella Rolling Thunder Revue Tour 1975 , e i due hanno lavorato assieme recentemente per le canzoni del film “The divine secrets” delle Ya-Ya Sisterhood , ovviamente quando gli è stato chiesto se voleva considerare l’idea di produrre Dylan come aveva fatto con Elvis Costello e Robert Plant , Burnett ha risposto : “ Vorrei che me lo chiedesse , mi piacerebbe registrare Dylan con un suono profondo e caldo , tipo quello che sò che ama lui “. Burnett ha aggiunto che ha sempre amato preparare le sedute di registrazione nello stesso stile col quale le sedute di Robert Plant e quelle di Krauss per “Raising Sand” sono state realizzate . Ha anche aggiunto “ Mi piacerebbe essere capace di assettare la sala di registrazione con i microfoni e....lascia perdere ( risata) , mi piacerebbe potergli dare il suono giusto per lui , ma è complicato e non sò se potrei produrre o registrare per Bob “.
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Giovedi 3 Aprile 2008 "Our lady" il gruppo di Renzo Cozzani di scena questa sera al Pegaso Live Music Bar di via Aurelia Nord 92 ad Arcola.
Renzo Cozzani al MFFF Umbria 2007 - Città di Castello Questa sera “Our Lady” in concerto, un gruppo musicale che si è costituito circa due anni fa: è un ensemble semiacustico che si caratterizza per l’unione tra strumenti e sonorità caratteristici del folk-rock con altri più tipici della tradizione classica e popolare. Il repertorio proposto si basa essenzialmente su composizioni originali in lingua italiana di Renzo Cozzani unite alla riproposizione di brani di autori del folk-rock d’oltreoceano quali Bob Dylan, Emmylou Harris, Neil Young, Patti Smith, Lucinda Williams, Leonard Cohen ed altri, con la particolarità che diverse di queste (in particolare Dylan, Young, Cohen) sono versioni tradotte in lingua italiana. Il gruppo è costituito da Alessandra Rossi clarinetto; Francesca Rossi violoncello; Renzo Cozzani chitarra e voce; Roberto Pelosi slide, concertina; Simone Vignoli chitarra e voce; Valeria Liborio voce, percussioni. ( da " il SecoloXIX " - La spezia ) ____________________________________________________________________________________________________________________ " La Stampa " dedica un articolo a Murino e Dylan Ciao Mr. Tambourine , Upsy-daysy , i can't refuse at Napoleon in rags and the language that he use , take a dekko maggiesfarmers !
Comunque , al di là di quello che dichiara l'assessore Cristina Rore mi sembra molto strano che il management e il sito ufficiale di Dylan diano la conferma di una data senza aver prima ricevuto i soldi dell'acconto sul cachet , o sbaglio ?!!! ____________________________________________________________________________________________________________________ Due chiacchiere con Al kooper
Se glielo dici, si schermisce. Eppure Al Kooper è veramente una leggenda. Non fosse che per l'organo Hammond di Like A Rolling Stone di Bob Dylan, il brano che nel 1965 cambiò le coordinate sonore del rock. Con Dylan Al Kooper ha collaborato spesso, ma la sua attività di “ragazzo prodigio” - organista, pianista e produttore, ha cominciato a suonare appenatredicenne nel '57 - ha avuto una vera e propria esplosione negli anni '60, prima con i Blues Project, poi con i Blood, Sweat & Tears e il progetto Super Session (con Mike Bloomfield e Stephen Stills). Quest'ultimo disco, ristampato nel 2003 con l'aggiunta di qualche inedito, è forse quello che rappresenta meglio il suo stile segnato dal blues. Kooper ha collaborato fra gli altri con i Rolling Stones, Jimi Hendrix, Harry Nilsson e ha prodotto gli album d'esordio dei Lynyrd Synyrd e dei Tubes. Non possiamo ricordare qui tutte le sue avventure, ma ci ha fatto piacere ritrovarlo in gran forma, nonostante un filo di amarezza qua e là tra le sue parole. Al Kooper ha suonato ieri a Forlì e sarà domani 1° maggio al Teatro Gentile di Cittanova, Reggio Calabria. Cosa sta facendo in questi ultimi tempi? Sto suonando soprattutto dal vivo. L'anno scorso sono riuscito a pubblicare un disco, Black Coffee, dopo un lungo silenzio e ora ne ho cominciato un altro. Con il mutare dei tempi e con l'affermarsi di un suono sempre più commerciale non dev'essere stato facile trovare un'etichetta discografica. Lo è stato, ma ho avuto anche fortuna perché la persona che gestisce l'etichetta con cui è uscito Black Coffee è un altro musicista. Si è trattato della collaborazione tra due musicisti. Come definirebbe la musica che sta facendo? La stessa che ho sempre fatto. Faccio quello che faccio e cerco di migliorare con il passare del tempo. Non mi sono avventurato in qualcosa che non ho già fatto. È riuscito a raggiungere anche un pubblico nuovo? Non è una cosa che devo fare io. Io faccio le mie cose, le lancio e chi le prende, le prende. Non posso fare nulla per agganciare un pubblico nuovo. Quest'ultimo dovrebbe essere interessato alla musica del passato. Come ci si sente ad essere una leggenda del rock? Non penso a me stesso come a una leggenda. Vorrei che mi pagassero di più per suonare la mia musica, così potrei stare in posti migliori e viaggiare in aereo in condizioni migliori. Non mi sento per niente una leggenda.
Tra i tanti dischi che ha fatto ce n'è qualcuno che ama in modo particolare? Quando ho finito un disco non lo riascolto più, così non ho particolari preferenze. Di solito passano dieci o quindici anni prima che io riascolti uno dei miei dischi. E tutto quello che sento alla fine sono gli errori. Non è un'esperienza piacevole e di solito non lo faccio. Sono gli altri a farmeli risentire. Questo vuol dire che non le va di essere coinvolto nelle ristampe? Quella di «Super Session», per esempio, è molto bella. Sono molto interessato alle ristampe. Mi permettono di migliorare il suono dei vecchi dischi con la nuova tecnologia. La nuova edizione di Super Session suona meglio di come abbia mai fatto in passato. È vero che nella famosa session di Dylan per «Like A Rolling Stone» lei era stato chiamato per suonare la chitarra? Ero un ospite. Dovevo soltanto fare una visita allo studio e vedere le session. Non ero stato ingaggiato per suonare. È stato un incendio spontaneo. È difficile suonare con Dylan? Abbiamo un'alchimia molto buona quando suoniamo ed è molto divertente farlo. Quando capita è sempre molto piacevole. Lo ha sentito di recente? Adesso saranno passati un paio d'anni, ma ogni tanto ci sentiamo. Se mi chiamasse domani, ricominceremmo a parlare come sempre.
A proposito degli artisti difficili con cui lei ha collaborato, cosa ci può dire di Harry Nilsson? Aveva una voce fantastica, ma non amava cantare dal vivo. Era un artista incredibile. Ma non sopportava le stanze d'albergo e gli aerei. Devi essere molto motivato, in questo mestiere, perché quando sei in tour soltanto un paio delle 24 ore di una giornata sono piacevoli. Devi soffrire 22 ore per stare bene soltanto per due. Non è un equilibrio matematico. L'unica persona che capiva veramente questa cosa era Bill Graham (uno dei primi grandi organizzatori e manager della storia del rock, n.d.r.). Lui riusciva a mettere gli artisti a loro agio. Se suonavi per lui stavi in un bell'albergo, i camerini erano accoglienti, il cibo era ottimo. Lui capiva perfettamente che se sei felice, suoni meglio. Ma questa cosa è morta con lui. La gente adesso pensa solo a fare soldi e non si preoccupa dello stato d'animo di chi suona. ( by Giancarlo Susanna ) _________________________________________________________________________________________________________________ Music from Big Pink – Dylan and The band Da qualche parte, nel bel mezzo dello sterminato
archivio fotografico di Elliott Landy, riposa un vecchio scatto in bianco e
nero. Impolverato e seducente, reclama un posto d'onore, ma anche un
nascondiglio, per essere scoperto e vissuto con la sorpresa che merita.
L'immagine è stata scattata nella campagna di Woodstock, a West Saugerties,
stato di New York, nel 1968.
La musica, tutto un programma: da una parte la sezione ritmica, precisa e
tuonante e solenne ed evocativa; dall'altra l'organo di Garth Hudson, il più
adulto e preparato musicalmente (con studi classici alle spalle), ma anche
carismatico sperimentatore di sonorità e arrangiamenti. Nel mezzo, il lavoro
di chitarra di Robbie, serpeggiante come nessuno, virtuoso senza spocchia,
appassionato sostenitore di paesaggi melodici atipici. Le voci: il
meraviglioso falsetto romantico/solitario di Richard Manuel fa da
contraltare all'allegria campagnola/grossolana dei fascinosi Danko e Helm.
______________________________________________________________________________________________________________________ PROCOL HARUM – la band più raffinata
Quando si parla dell'organo Hammond, la mente non può non soffermarsi almeno per qualche istante a una canzone che nel 1967 fece innamorare milioni di ragazzini, vendendo 11 milioni di copie. Gary Brooker, cantante e pianista del gruppo compose quel "A Whiter Shade Of Pale" che costituirà il maggior successo del gruppo. I Procol Harum sono stati un gruppo di rock progressivo britannico, tra i primissimi esponenti di tale corrente musicale negli anni sessanta: vengono considerati "uno dei gruppi più influenti nella storia del rockFranco Fabbri, Così il rock trovò Bach e perse l'innocenza, da L'Unità del 3 dicembre 2002" e "i profeti del suono orchestrale Riccardo Bertoncelli, Marco Fumagalli e Manuel Insolera, Il pop inglese, Arcana Editore, Roma, maggio 1974, pag. 40". Storia dei Procol HarumQuando si parla dell'organo Hammond, la mente non può non soffermarsi almeno per qualche istante a una canzone che nel 1967 fece innamorare milioni di ragazzini, vendendo 11 milioni di copie. Gary Brooker, cantante e pianista del gruppo compose quel "A Whiter Shade Of Pale" che costituirà il maggior successo del gruppo. Le origini del gruppo: i Paramounts
Nel 1962 il tastierista
diciassettenne Gary Brooker è il leader di un gruppo di rhythm 'n' blues, i
Paramounts,
nati all'inizio del decennio nella cittadina inglese di Southend-on-Sea
(Essex) e formati oltre che da Broker dal chitarrista Robin Trower, dal
batterista Barrie James Wilson e dal bassista Chris Copping: come molti
altri gruppi che si affacciano sulla scena beat britannica, riescono ad
ottenere un contratto con la EMI, e ad incidere il loro primo 45 giri nel
1963. La nascita dei Procol Harum: A whiter shade of pale
All'inizio del 1967 Brooker
incontra il paroliere Keith Reid (che diventerà l'autore di tutti i testi
del gruppo e considerato sesto membro effettivo della band, al punto da
essere inserito nella line-up del gruppo nelle copertine degli LP), che
scrive il testo per una melodia composta dal tastierista: l'idea di Brooker
nell'arrangiamento della canzone è quella di inserire un'introduzione
strumentale (ripresa poi tra una strofa e l'altra) ottenuta sovrapponendo il
basso del secondo movimento della Suite per orchestra n. 3 di Johann
Sebastian Bach BWV 1068 (conosciuta anche come
Aria sulla quarta corda)
con una melodia presa da un'altra opera del musicista tedesco (BWV 645, il
Corale in Mi bemolle maggiore
Wachet auf, ruft uns die
StimmeNel 2005 Matthew Fisher intenterà una causa contro Gary
Brooker sostenendo di aver collaborato a scrivere la musica
dell'introduzione di
A Whiter Shade of Pale).
La versione originale della canzone presenta due strofe in più, tagliate
durante la registrazione per contenere la durata del brano entro i quattro
minuti (durata media del lato di un 45 giri), ma recuperate da Brooker
durante le esibizioni dal vivo. Sin dalle prime apparizioni alla batteria vi
è Bobby Harrison, che non è il batterista che ha suonato durante la
registrazione della canzone: costui, Bill Eyden, è un batterista jazz che
era stato chiamato appositamente da Denny Cordell per la registrazione e che
continuerà in seguito la sua attività di jazzista (nella versione stereo
della canzone pubblicata solo nel 1997 in un'antologia viene recuperata una
registrazione dove invece, alla batteria, vi è Harrison). Il successo
Dopo il fulmineo successo di
"A Whiter Shade of
Pale", i Procol Harum dopo l'estate incidono un altro 45 giri
che ottiene altrettanto successo,
Homburg:
anche questo brano viene inciso in italiano (con il titolo "L'ora
dell'amore" ed il testo scritto da Daniele Pace) dai Camaleonti,
ed arriva al primo posto in classifica (dal 26 gennaio al 2 febbraio),
restando complessivamente in hit parade per undici settimane; la versione
dei Procol Harum vi rimane invece per otto settimane, non andando oltre al
settimo posto.
Gary Brooker
Ottengono notevole fama l'anno successivo con la canzone "A
Salty Dog", adottato in Italia come sigla per il programma della
RAI Avventura,
e contenuta nel disco omonimo: anche quest'album, come i precedenti, è un
successo nella loro patria e negli Stati Uniti, ma alla fine dell'anno sia
Fisher che Knights abbandonano il gruppo, sostituiti da un altro
ex-Paramounts, il bassista Chris Copping, e i
Procol Harum
iniziano il nuovo decennio in quattro. Il declino ed il ritorno sulle scene
Gli album Rock rootse
Something Magic passano inosservati: in Inghilterra nasce il pumk e d il
tipo di sonorità dei
Procol Harum
sono indissolubilmente legate al passato, ed il gruppo si scioglie nel 1977
senza suscitare grandi clamori, lasciando via libera alla carriera solista
di Brooker, più che altro come componente aggiunto dal vivo della band di
Eric Clapton ed altre partecipazioni sporadiche (da segnalare quella come
vocalist nella canzone "Limelight"
degli Alan Parsons Project, contenuta nell'album del 1985 "Stereotomy"). Procol Harum : A Salty Dog
Difficile separare il nome dei Procol Harum dalla canzone che li ha resi popolari nel mondo nel lontano 1967, ossia "A Whiter Shade of Pale"... quel giro di organo Hammond di Gary Brooker , ispirato a Bach, è stato uno dei simboli sonori degli anni 60, e non solo, dato che il 45 giri del pezzo fu protagonista di clamorosi rientri nelle classifiche mondiali più volte negli anni successivi, al punto da infrangere la barriera dei 10 milioni di copie vendute. In Italia, la band fu oggetto di attenzioni particolari da parte degli artisti nostrani, visto che sia i Dik Dik ("Senza luce") che i Camaleonti ("L'ora dell'amore", ossia "Homburg") , spopolarono con rifacimenti dei loro pezzi. Ma i Procol Harum, sebbene associati ineluttabilmente a quel classico, furono capaci di produrre altra buona musica, e nel 1969 fecero uscire il loro terzo lavoro, ossia questo "A Salty Dog" , che nel nostro paese ebbe comunque una eco particolare, e chi ha la mia età o qualcosa di più forse si ricorda in quale contesto. Per chi non è intorno agli "anta" come il sottoscritto, chiarisco che a metà degli anni 70 esisteva in Rai un programma seguitissimo dai giovanissimi di allora, che si chiamava "Avventura", ed era una trasmissione dedicata ai documentari sulla natura o su particolari imprese di esplorazione in luoghi impervi o sconosciuti. La sigla di apertura era cantata da Joe Cocker, una cover di "She came in through the bathroom window" dei Beatles, e la sigla di chiusura era proprio "A Salty Dog" dei Procol Harum. Chi si ricorda di tutto questo, forse, come me ancora associa le prime note di archi e pianoforte del pezzo (con il rumore del mare e i versi dei gabbiani) al tramonto sul mare (in bianco e nero, purtroppo, ma bastava sognare i colori...) della sigla, e forse, come me, si emoziona come allora... "A Salty Dog" è una delle melodie più straordinarie della storia del rock, senz'altro al livello dei più grandi classici dei Beatles, nella quale tutto suona meravigliosamente...... dalla voce di Gary Brooker, delicata e potente nello stesso tempo, al sottofondo degli archi orchestrali, alla scelta delle pause e dei crescendo. Il testo riguarda la storia di tragedia e di speranza di un gruppo di sopravvissuti ad un naufragio, tema ricorrente nella discografia della band, se si pensa a "The wreck of the Hesperus" presente in questo stesso disco, e in "Whaling Stories" dal precedente "Shine on brightly". Di fronte ad un tale classico, il resto dell'album a che livello si colloca? A mio avviso si tratta di un livello più che buono; i restanti brani vanno ascoltati e valutati in sé, altrimenti il paragone potrebbe ingiustamente deprezzarli. In particolar modo trovo eccellente la triade finale del lato B (ho ancora il disco in vinile...), formata dalla ballata pianistica "All this and more", dal blues caldo ed intenso di "Crucifixion Lane", e da "Pilgrims Progress", quest'ultima con qualche similitudine con "A Whiter shade of Pale", soprattutto nell'uso dell'organo in sottofondo, e comunque assolutamente non ripetitiva rispetto al suddetto classico. Vanno segnalati con piacere anche due episodi a base di chitarra acustica: la delicata e raffinatissima "Too much between us", che forse potrebbe interessare ai fans di Nick Drake, e "Boredom", che, a dispetto del titolo non è affatto noiosa, anzi, il flauto e le percussioni le conferiscono una frizzante atmosfera da festa hippie.... I Procol Harum poi tirano fuori gli artigli (a modo loro, beninteso...) in "The Devil came from Kansas", il brano più assimilabile al rock duro, e si reimmergono nel clima tragico delle (dis)avventure marine in "The wreck of the Hesperus", mentre "Jiucy John Pink" è un blues molto "standard", con Robin Trower protagonista. "The milk of human kindness" è invece il brano meno memorabile del disco. Un'ultima nota sullo stile dei Procol Harum; secondo me, aldilà delle ovvie influenze, rintracciabili nella musica classica e nel blues soprattutto, questo gruppo aveva un suono molto originale (attenzione ho detto originale, non rivoluzionario), e non facilmente etichettabile. Un altro punto a loro favore. Peccato che però nei (pochi) lavori successivi ci sia stato un prematuro declino. Per la cronaca la band si è riformata nei primi anni 90, ma non è stata capace di suscitare clamori particolari intorno a sé. Comunque, pur non essendo un capolavoro (tranne la title-track che invece lo è, eccome!) , "A Salty Dog" va riascoltato o scoperto, perché merita. il testo della canzone "A Salty Dog" "all
hands on deck, we've run afloat! I heard the captain cry Formazione1967
1967-1969
1969-1971
1971-1973
1973-1977
1991-1996
1996-oggi
Discografia 33 giri e CD
45 giri La casa discografica indicata è quella che ha pubblicato il disco in Italia; come ricordato nel testo della voce, spesso non coincideva con quella che aveva stampato il disco in Gran Bretagna
____________________________________________________________________________________________________________ I Miti cambiano............in peggio ?Dimmi che lampada hai e ti dirò chi sei. Il nuovo vocabolario dei trentenni di oggi. Single con casa a caricoAnna: “L’altra sera mi si è fulminata la Tolomeo, sono inciampata sul Rope della Urquiola e mi è caduto il Nano dalla Baguette! Fortuna che è finito sulla Barcellona che ha attutito il colpo altrimenti sai che disastro.” Paolo: “A proposito, sai che mi sono arrivati i Ribbon colorati da mettere intorno alla K2. Finalmente possiamo mangiare in cucina!” Vi ricordate la sequenza iniziale del film Fight Club con Brad Pitt e Edward Norton? Quella col protagonista che si muoveva all’interno del suo appartamento mentre apparivano sullo schermo le scritte dei vari mobili IKEA? Sono passati quasi dieci anni e probabilmente se il regista David Fincher dovesse rigirare quella scena oggi, in sovrimpressione, insieme ai pezzi di IKEA, aggiungerebbe una serie di nomi diversi come: Cappellini, Vitra, Kartell; Flos. Insomma una serie di arredi di alto design al quale ormai nessun single che si rispetti rinuncerebbe mai. Si perché, se una volta i miti dei trentenni erano Bob Dylan e Kubrick, oggi sulle pagine di MySpace, tra gli Heroes, si sprecano le foto-icona di Tom Dixon, Ron Arad e Zaha Hadid ,.....mha ! _________________________________________________________________________________________________________________ BOB DYLAN DRITTO IN VENA
Chi è davvero Bob Dylan? Il regista
Todd Haynes prova a
risponderci mettendo in scena ben sei diverse identità: un musicista folk in
piena ascesa, un attore in stile James Dean, un bambino che vaga nel sud
dell’America, un giovane che dice di essere Arthur Rimbaud, uno strano
cowboy sul viale del tramonto e un cantante appena trasferitosi in UK.
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Mercoledi 2 Aprile 2008 VOLEVO SOLO FARVI CONOSCERE QUESTA INIZIATIVA A PARMA, CHE RIGUARDA ANCHE IL NOSTRO.
CIAO A TUTTI
MAURA
Ecco fatto , ciao e grazie.__________________________________Parole nel vento: un raccolta di saggi su Bob Dylan
Notizia di sicuro interesse per gli appassionati del menestrello: il 19
aprile uscirà per Interlinea una raccolta di saggi dedicati alla figura
del cantautore americano che ha segnato più di un’epoca.
L’antologia, dal titolo Parole nel vento, raccoglie testi tutti inediti in Italia ed è curata da Alessandro Carrera, scrittore e critico musicale, docente di letteratura in diverse università degli Stati Uniti e del Canada. Dal primo profilo dylaniano sul New Yorker del 1964, fino a In memoriam. Benvenuti ai ‘Tempi moderni’ di Bob Dylan di Stephen Hazan Arnoff, direttore editoriale della rivista Zeek. Parole al vento è presentata come “una raffinata biografia intellettuale” di una delle voci più significative della musica mondiale. Una lettura affascinante probabilmente per tante generazioni e non solo per qualche nostalgico degli anni Sessanta, considerando che il suo ultimo disco, Modern Times, è arrivato in vetta alle classifiche internazionali.
la copertina (provvisoria) del libro _____________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________ Dylan : Tutte le date dell'European tour 2008 clicca qui ___________________________________________________________
Edie Sedgwick : per lei Dylan scrisse “Like a rolling stone” ?
Registrata negli studi del produttore Tom Wilson durante una snervante due-giorni, tra il 15 e il 16 Giugno del 1965, e pubblicata per la prima volta lo stesso anno all’interno dell’album Highway 61 revisited, Like a Rolling Stone è probabilmente la più celebre e influente canzone mai scritta dal leggendario cantante, menestrello, poeta americano Bob Dylan (il cui vero nome è Robert Allen Zimmerman), nato nel 1941 a Duluth, Minnesota. Uscì come 45 giri il 20 Luglio 1965, e nonostante la sua lunghezza (più di sei minuti, il doppio della durata richiesta dalle radio ai tempi) divenne il più grande successo di Dylan, rimanendo per tre mesi nelle classifiche americane, battuta solo da Help! dei Beatles. All’esordio live della canzone al Newport Folk Festival è legata anche la celebre “svolta elettrica” di Bob Dylan, raccontata anche nel recente film I’m not there di Todd Haynes, che divise i fan (allontanando quelli più legati alla tradizione folk e abituati a vederlo suonare da solo con chitarra e armonica) e segnò un momento fondamentale e irripetibile nella storia del rock americano.
L’esordio live della canzone, al Newport Folk Festival, il 25 Luglio 1965. Si è sempre discusso molto sul significato della canzone, fin dai tempi della sua pubblicazione: l’interpretazione più comune riguarda la musa di Dylan e di Andy Warhol, Edie Sedgwick (a cui si dice sia dedicata anche “Just like a woman”) anche se sulle date della vicenda le diatribe storiche sono molte: tanto che il testo potrebbe riferirsi anche alla cantante Joan Baez. Ma sono in molti a vedere nel testo un significato più profondo, come Mike Marqusee, che scrisse appunto molte pagine riguardo i problemi di Dylan con il suo passato folk, e le cause politiche intraprese dall’autore in quegli anni: Like a Rolling Stone sarebbe quindi un pezzo assolutamente autoreferenziale. La canzone è così famosa e importante per lo sviluppo e la storia della musica rock negli Stati Uniti che la rivista Rolling Stone nel 2004 la decretò come la più grande canzone di tutti i tempi, non arbitrariamente ma sulla base di un sondaggio proposto a ben 172 rilevanti figure del settore musicale. In un’intervista dello stesso anno, Dylan commentò la notizia con schietto cinismo nei confronti delle classifiche, aggiungendo “Questa settimana è così, ma sai, chi può dire quanto durerà?”. Come spesso accade per i grandi classici del rock, anche Like a Rolling Stone ha conosciuto un numero sterminato di “coverizzazioni”, da Jimi Hendrix a Cher, da Neil Young a Michael Bolton, da Bob Marley ai Replacements. Probabilmente la versione più famosa è quella dei Rolling Stones , pubblicata nell’album Stripped del 1995, la leggendaria band che condivide con la canzone di Dylan quello stesso nome, nome pescato da un vecchio successo del bluesman Muddy Waters , ma nello slang newyorkese un " rolling stone " è anche uno straccione , un poveraccio che ha preso la strada sbagliata , uno che vive fuori dalle righe , una persona da evitare e compatire . ( Dean Spencer ) ______________________________________________________________________________________________________________________ BOB DYLAN A GIUGNO CHIUDE TOUR ITALIANO IN VALLE D'AOSTA clicca qui _____________________________________________________________________________________________ Edie Sedgwick - Sienna Miller - FACTORY GIRL clicca qui _______________________________________________________________________________ Video - Paul McCartney parla di Bob Dylan clicca qui _______________________________________________________________________________ Mick Jagger
Partiamo dal catalizzatore di tanti fermenti culturali degli anni 60: gli adolescenti. «Oh mio Dio». Non concordi sul fatto che i figli del boom post Seconda guerra mondiale accelerarono una rottura generazionale? «Non del tutto. La prima rottura culturale si ebbe addirittura negli anni 20, quando le ragazze iniziarono a indossare abiti corti e si rifiutarono di portare il reggiseno. Il fenomeno jazz fu sfrenato e chi aveva soldi provava un mucchio di droghe, o si ubriacava. Dopo la Prima guerra mondiale ci fu una grossa cesura culturale e musicale, grazie al jazz. Mia madre conosceva i balli scatenati degli anni 20, come il charleston e il black bottom, e me li insegnò». Proprio un bel quadretto, tu e mamma nel salotto di casa Jagger... «Adoravo fare quattro salti. Mia madre ballava spesso il jitterbug, allora lo chiamavamo jiving. Quelle ragazze che saltavano come forsennate avevano molta più libertà di prima. Intorno agli anni della Seconda guerra mondiale ci fu una grossa ribellione espressa negli abiti, vedi gli zoot suit dell'era swing. In Inghilterra, ciò volle dire teddy boys a inizio anni 50». D'accordo, ma in un contesto più ampio la rottura degli anni 60 fu più vistosa, sistematica... «Ok, gli anni 60 rappresentarono un grosso cambiamento, ma era pur sempre uno sviluppo dei tempi di Elvis. La sessualità dell'Elvis dei primi anni fu molto più scioccante per il pubblico medio di I Want to Hold Your Hand dei Beatles, che era insipida. Aveva le sue attrattive e la amavano tutti, me compreso, ma non aveva carica erotica. I selvaggi, tipo Elvis e Jerry Lee Lewis, facevano più paura, specie da un punto di vista sessuale». La rivoluzione iniziale degli Stones consistette nel rivisitare certa musica palesemente sexy come il blues americano e renderla rock. Ma al contempo gli artisti neri della tua generazione, Smokey Robinson e Isaac Hayes, da adolescenti evitavano come la peste il blues, considerandolo la musica dei loro genitori. Che cosa ti attirò verso il blues? «A 12 o 13 anni non sapevo cosa fosse il blues. Mi piaceva la musica pop bianca. Magari Connie Francis. Ascoltavo la sua Who's Sorry Now e Big Bill Broonzy per interi pomeriggi. Esisteva un'unica stazione televisiva, la Bbc, e i programmi li vedevi con mamma e papà. Alla tv inglese passavano alcuni artisti americani, tipo Sonny Terry e Brownie McGhee, in spettacoli gospel e blues. Oggi, quando si fanno ricerche, è questo il materiale che riaffiora. Sister Rosetta Tharpe, Memphis Slim, Lena Horne. E Big Bill Broonzy. Portati qui dagli appassionati di jazz tradizionale, musicisti skiffle come Lonnie Donegan». Poi fu James Brown a farti impazzire. Ricordo che la sua guardarobiera, Miss Sanders, si preoccupava di "Mick, quel ragazzino scheletrico" che bazzicava l'Apollo. «Adoro fare l'intrattenitore. Gli artisti che mi piacevano durante l'adolescenza, quelli che cantavano, ballavano e facevano casino, erano elettrizzanti. Con James Brown non contava solo il ballo, ma tutto l'insieme, compreso il gruppo che suonava. C'era la musica, asciutta e compatta. Poi c'era il pubblico intorno a te, con casalinghe che fumavano erba di pomeriggio. Lo spettacolo non si limitava all'artista, ma si estendeva al pubblico. La sua reazione era sempre interessante: sembrava di trovarsi in chiesa, in un certo senso». Ti sorprese l'arretratezza razziale in America, quando la visitasti con i Rolling Stones? «Girare il Sud per la prima volta fu scioccante. Andammo in tour con Patti LaBelle e i Vibrations: facevano acrobazie sul palco, qualcosa di grandioso. Quando viaggiammo con loro, in uno dei nostri primi aerei a nolo, ci accorgemmo che non potevano entrare in certi posti. Loro ci scherzavano su, ma non c'era da ridere. Avevo delle guardie del corpo, neri ex Fbi, ci fermavamo a un autogrill e loro venivano regolarmente sbattuti fuori. Io chiedevo: "Andreste a prendermi un panino, per favore?", e questo non era consentito». Spostiamoci al 1967. Quale fu la tua reazione quando uscì una rivista chiamata Rolling Stone? «Nel 1967 eravamo già famosi. Lo prendemmo come un complimento, ma si creò anche una certa confusione, perché la gente pensava che quel nome fosse di nostra proprietà, o che avessimo qualche legame con la rivista. Naturalmente, ben presto cambiarono idea». Come ti sembrò il modo in cui RS illustrò l'omicidio di un ragazzo nero per mano di un Hell's Angel al vostro live di Altamont nel 1969? «Onestamente, fu spiacevole. All'interno della comunità di San Francisco c'era la sensazione che quel genere di evento traumatico non sarebbe dovuto accadere proprio là. Non scordarti che Rolling Stone allora si considerava essenzialmente una rivista di San Francisco. Naturalmente noi dovemmo assumerci la nostra fetta di colpa, ma non fummo gli unici responsabili». Gli anni 60, quando gli Stones divennero superstar, furono straordinari, in particolare per l'America. Con una simile posizione privilegiata, perché questa tua riluttanza a guardarti indietro? «Ci furono enormi cambiamenti, è innegabile. Hai letto il libro Postwar, di Tony Judt? Un mattone, ma è illuminante, soprattutto da una prospettiva storica. Naturalmente, gli anni 60 furono importanti ma, in retrospettiva, quali furono i pro e i contro? La questione resta aperta a discussioni senza fine, da un punto di vista filosofico, morale, artistico/popolare o musicale. Ci sono così tanti fattori...». Che mi dici delle influenze di questa nuova musica, il rock, sul lessico popolare? Non è diventata essa stessa una vera forma culturale? «La cultura popolare e il r&r sono diventati uno strumento di comunicazione piuttosto sbrigativo. La gente cita versi di canzoni come un tempo faceva con la poesia, Shakespeare, o la Bibbia. O Lincoln». Allora concentriamoci sul nesso artistico/popolare. In quel periodo diverse discipline iniziarono a interagire. Andy Warhol realizzò la copertina di Sticky Fingers. Count Basie suonò alla festa per il tuo 29esimo compleanno per ospiti che andavano da Diana Vreeland di Vogue a Woody Allen, fino all'evangelista Marjoe. C'era anche Bob Dylan, che pronunciò la celebre frase: «È l'inizio della coscienza cosmica». Cosa si provava all'interno di quell'universo abbagliante? «I mondi dell'arte, della musica e della moda furono felici di incontrarsi. C'erano un mucchio di salotti. Il critico teatrale Ken Tynan e sua moglie Kathleen davano ricevimenti molto belli e non sapevi mai chi ci avresti incontrato. Magari eri l'unico cantante rock a casa di Ken, ma magari c'erano un commediografo e un cineasta. Io per loro ero qualcosa di esotico, ma lo erano anche tutti loro per me. Comprese le donne». Dunque concordi sul fatto che fosse una commistione piuttosto fuori dall'ordinario? «Certo, quel genere di eventi non era così comune nel decennio precedente. Accelerò molte cose. E, a causa di tutte queste intersezioni, la gente si mescolò. Fu stimolante. Mi faceva pensare a tante cose diverse, meglio e più creativamente che se fossi rimasto nella mia casella, quella del cantante rock». C'è qualcosa che ti fa ricordare volentieri quei tempi? «Penso agli effetti dei Beatles e di tutti gli altri gruppi sulla scena musicale. Ho scritto un soggetto per un film di Martin Scorsese, intitolato The Long Play. Parla dell'industria musicale. La struttura della musica popolare americana fu temporaneamente sconvolta da questa invasione. Prima sembrava di essere in un'altra era, come se fossimo ancora negli anni 30». Stai parlando del meccanismo di produzione e di vendita dei dischi? «Sì, e di come venivano divisi i profitti. Immagina io sia Frankie Avalon e qualcun altro l'autore. Il 50% dei proventi della composizione andava a un editore che poi vendeva a me, Frankie Avalon, la canzone. Io sceglievo la canzone con il mio impresario, o arrangiatore, o casa discografica: insomma, un sacco di persone. Poi entravamo in studio e c'era una big band, un'orchestra, un produttore e un addetto stampa. Io, Frankie Avalon, cantavo il brano e gli altri decidevano che fare». Cosa fu a cambiare le cose tanto drasticamente? «Arrivarono i Beatles e altri come loro. D'un tratto scomparvero arrangiatore, compositore, editore, addetto stampa. C'era un'etichetta discografica, ma i dirigenti stavano lì a chiedersi che fare, perché di loro non c'era bisogno. Si dovevano occupare solo di promozione e distribuzione. Dunque tutta questa pletora di funzioni fu stravolta da un giorno all'altro». Stai dicendo che il primato del gruppo autosufficiente, dagli Stones ai Beatles, fu un fattore decisivo nella trasformazione dell'industria musicale? «Il fattore "gruppo" fu di enorme importanza. L'autosufficienza cambiò completamente il modello finanziario della faccenda. Tutti quei compositori, arrangiatori, direttori d'orchestra e musicisti furono minacciati dal mutamento. Elvis non aveva mai scritto una canzone, così come Frank Sinatra». In conclusione, chi ha beneficiato del cambio? «I Beatles guadagnarono una fortuna. D'un tratto c'erano artisti a scrivere canzoni e ricavare denaro da composizione, pubblicazione e album». Ma gli uomini dell'industria discografica è difficile che restino a guardare gli artisti comandare... «Le case discografiche si trasformarono in enormi multinazionali. Le etichette furono tutte comprate da grandi gruppi. Diventarono meno indipendenti, guarda il caso dell'Atlantic venduta alla Warner Bros. Di conseguenza, in studio si vedevano sempre meno persone alla Ertegün (mitico fondatore dell'Atlantic, ndr)». Dirigenti e compagnie cambiano, ma gli enormi mutamenti tecnologici restano. Come hai fatto ad adattarti? «Preparo tuttora le scalette per i cd. I miei collaboratori dicono: "Be', questo pezzo non dovrebbe stare lì". E io replico: "Non prenderti nemmeno la briga di discuterne, perché nessuno ascolta più la musica in quel modo". La tecnologia nell'industria discografica è cambiata costantemente. Io ho cominciato con i 78 giri, ben presto non ce ne furono più e dovetti andare a comprare i 45. Nei giorni d'oro dei 45 potevi impilarli tutti nel jukebox e se non te ne piaceva qualcuno, bastava premere un bottone e veniva giù il disco successivo. Ero volubile come i ragazzini d'oggi che ascoltano un minuto di un brano in cd o mp3. Wear My Ring Around Your Neck di Elvis arrivava a stento a due minuti. Lo ricordo bene: 2:15. Mi basta e avanza». Tuttavia, se la tecnologia è cambiata, alcuni temi restano. Se prendi canzoni come Gimme Shelter e Undercover of the Night e le riporti agli avvenimenti mondiali di oggi, pare che tu avessi immaginato la colonna sonora per il terrore contemporaneo già molti anni fa. «Sì, siamo passati dalla rabbia degli anni 60 al terrore. Ma nel terrore c'è sempre molta rabbia. Politica e terrore non sono temi facili su cui lavorare. Se il ritmo funziona, ma i testi non sono all'altezza, il pezzo può suonare puerile e triviale. È un equilibrio delicatissimo. Il problema con la musica rock è che tende a volgarizzare le cose, se non vi si presta attenzione. Personalmente trovo molto più facile scrivere canzoni d'amore che pezzi sui tempi di oggi». Ma nel vostro ultimo album, A Bigger Bang, hai lanciato una piccola molotov. «Sweet Neocon. In effetti penso che l'attacco sia cattivello. Ho scritto quel pezzo all'inizio della guerra in Iraq. George Bush si era spinto un po' troppo in là, era tutto così palesemente sbagliato che pensavi: "Come può qualcuno appoggiarlo?". Tutta quella mescolanza di teoria democratica con una bella dose di fervore evangelico mi pareva completamente fuori dalla realtà». Che ne diresti di scrivere della vita e dei tempi di Mick Jagger? Non sarebbe ora? «Realizzare un'autobiografia sarebbe uno spasso. Una volta mi fu offerta una grossa somma, il che costituì una bella tentazione, e così iniziai a scrivere. Una noia mortale. Me ne stavo seduto con un giornalista come te, parlando all'infinito di questo famoso passato, vivendoci dentro e mi sembrò piuttosto ottuso. Farlo da solo, seduto di fronte al mio portatile? Be', per ora non se ne parla. Mi piacerebbe trovare un'altra forma. Non la consueta autobiografia della gente di spettacolo, che costituisce un genere a parte». Si potrebbe obiettare che Bob Dylan abbia sconvolto e reinventato quel genere con Chronicles. «Sì, l'ha fatto molto bene. Una parte del libro era decisamente mistificatoria (ride). C'erano passi meravigliosi, tipo quando descrive come si costruì un tavolo nel suo primo appartamento al Greenwich Village. Io non riesco neppure a ricordare il mio primo appartamento, figuriamoci l'arredamento...».
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Alcuni giorni fa dovevo chiamare Michele al cellulare , allora , conoscendo la sua abituale parlantina da fiume Colorado nel periodo della piena , ho chiamato il 4916 , - il suo credito è di 29,60 euro – mi ha informato la vocina , “ Forse ce la faccio “ mi son detto prima di fare il numero. Dopo gli argomenti tecnici e di varia umanità siamo venuti a parlare della Fattoria e gli ho chiesto speranzoso “ Cosa ne dici se ti intervisto per i lettori ? “ . “ Và bene comincia “ mi ha risposto . E’ chiaro che i miei 29,60 euri sono andati in fanteria , ma fa niente , ne valeva la pena !!!!!!!!! L’intervista a Michele “Napoleon in rags” Murino 1) Ciao Michele ,
prima Direi di no , ma i tuoi libri sono così interessanti che se anche calchi un pò la mano va bene , allora un grazie da me e da tutti i Maggiesfarmers. Mr. Tambourine ______________________________________________________________________________________________________________
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