Lunedì 19 Settembre 2022 Talkin' 12015
- silcatt
Oggetto: Ho suonato con Dylan: Intervista
a Winston Watson (parte 2°)
Carissimo, ecco la seconda parte
dell'intervista di Ray Padgett a Winston Watson, che fa seguito alla
prima parte pubblicata su Maggie's Farm l'8 settembre.
Saluti a tutti e alla prossima! Silvano
Come sempre un
grandissimno grazie!!! Alla prossioma, Mr.Tambourine, :o)
MTV Unplugged, Woodstock ’94 e altri
show memorabili. Parla il batterista Winston Watson.
di Ray Padgett
(6 settembre 2022)
Fonte:
https://dylanlive.substack.com/p/bob-dylan-drummer-winston-watson
Oggi ricorre il 30° anniversario del primo show di Winston Watson con
Bob Dylan. Winston, come ha ricordato nella prima parte della nostra
intervista, iniziò a Kansas City [6 settembre 1992], a metà di un tour,
senza alcuna preparazione – non aveva nemmeno incontrato Dylan quando
salì sul palco – ma quel concerto lo avviò per un sentiero che avrebbe
seguito per i successivi quattro anni.
Ecco allora la seconda parte della nostra conversazione. La prima parte
ci ha dato una panoramica del suo periodo con Bob, mentre nella seconda
parte parliamo di dieci spettacoli e tour particolarmente degni di nota.
Winston mi ha raccontato dei grandi momenti che ha vissuto dietro la
batteria – Woodstock '94, MTV Unplugged, i concerti del Supper Club –
oltre ad alcuni show meno noti ma con buone storie.
traduzione di Silvano Cattaneo
Supper Club Shows – 16-17 Novembre
1993
Winston Watson: Il locale era stato uno speakeasy, una sorta di
posto privato per i mafiosi o qualcosa del genere. Era uno show con
cena. Il palco era piccolo. Confezionarono dei doppiopetto giallastri
apposta per noi, pensavo fossero piuttosto eleganti.
Suonammo canzoni davvero interessanti come "Jack-A-Roe" e cose che non
erano proprio rumorose. Subito dopo suonammo al Letterman [Show].
Ricordo di aver pensato che si continuava a migliorare sempre di più.
In una delle due serate vennero a trovarci i Nirvana. Stavano suonando
all'Irving Plaza o in un posto del genere. Krist Novoselic e Dave Grohl
erano al piano di sopra. Il mio tecnico della batteria aveva dato a Dave
un paio di quelle bacchette che poi avrei usato nel nostro MTV
Unplugged, quelle con il nastro rosso sopra. Se guardi Unplugged dei
Nirvana [registrato il giorno dopo gli spettacoli di Dylan al Supper
Club], Dave le sta usando: penso siano quelle che gli ho dato io.
Woodstock ‘94
Winston Watson: Alloggiavamo in un hotel ad Albany, vicino
all'aeroporto. Incontrai i Nine Inch Nails, i Cypress Hill e alcune
altre band, tutti a far casino al bar dell'aeroporto. I ragazzi dei Nine
Inch pensavano che fossi con i Cypress Hill, e i ragazzi dei Cypress
Hill pensavano che fossi con i Nine Inch.
Il giorno dopo andammo sul posto. Pioveva e ci volle un'eternità per
arrivarci. Ci volle così tanto tempo che ci fecero arrivare il cibo,
ormai tutto freddo. Ci chiesero se volevamo prendere l'elicottero, ma
tutti dissero di no. Sull'autobus ci cambiammo con i vestiti di scena,
scendemmo e salimmo sul palco senza sporcarci di fango. Non ho mai avuto
un granello di fango addosso.
A un certo punto chiesi a Bob se voleva una sigaretta. Stavamo fumando,
noi due, alla destra del palco e ricordo un milione di fotocamere che
scattavano. Pensai: "Wow, chi si sarà appena esibito?". Guardai oltre la
spalla di Bob e vidi che erano tutte puntate su di noi. Fu piuttosto
scioccante.
Il palco era enorme, non avevo nessuno vicino. Odio questo tipo di
concerti. Sono cresciuto suonando nei bar e anche se sono in un'arena mi
piace avere i miei ragazzi vicini. So che con le arene si fanno soldi,
ma preferisco suonare più serate in un bel teatro. Era troppo grande.
Qualcuno sentì qualcosa? Non lo so.
Pete Townshend disse [su Woodstock originale]: "Oh, l'ho odiato. Ha
cambiato la mia vita, ma l'ho odiato." Ecco, so esattamente di cosa stai
parlando, Pete. Non è il mio concerto preferito, ma sentire tutti quelli
che conosci che ti chiamano da casa e ti dicono che ti hanno appena
visto in TV, è stato fantastico.
Roseland 1994 e suonare con Bruce, Neil e Little Richard
Winston Watson: Adoro suonare con Bruce. Lui e Neil Young sono
due dei chitarristi più fragorosi con cui abbia mai suonato.
Ray Padgett: Neil non mi sorprende, ma non l’avrei detto di
Bruce.
WW: Ricordi il leggendario spettacolo al Roseland [Roseland
Ballroom, New York City, 20 ottobre 1994] in cui entrambi salirono sul
palco con noi?
RP: Già, nel '94. Suonarono solo la chitarra, non credo abbiano
cantato.
WW: Fu fragoroso come gli MC5, te lo giuro. Solido come una
roccia, amico. Bruce è un grande chitarrista ritmico. Sono stato
fortunato a suonare due volte con lui e due volte con Neil Young. Mi
sembra che allo Shoreline Neil sia salito con noi, e poi abbiamo fatto
una piccola cosa da qualche parte in Germania, credo nel '95. Averlo
intorno è sempre stato divertente perché lui e Bob sono davvero buoni
amici.
Ma il massimo fu quando suonammo con Little Richard in Finlandia [Pori,
21 luglio 1996]. Davvero fantastico! La persona che io penso sia il
creatore assieme alla persona che è il creatore. Non lo vedi spesso. Ci
sedemmo tutti sul palco a sinistra e assistemmo allo spettacolo di
Richard. Bob e io ci guardammo, come due studenti e ci dicemmo qualcosa
tipo "Amico, che band!" La sezione fiati di Jerry Hey era come una banda
chiesastica, e conoscevano le mosse giuste. Erano tirati come la pelle
di un tamburo e Richard fu davvero eccezionale. Dopo aver visto quei
tipi, fu quasi imbarazzante andare in scena quando toccò a noi. Anche
Bob si sentiva così.
MTV Unplugged
Winston Watson: C'è lo show che hanno mandato in onda e poi ce
n’è un altro che non conteneva hit, niente che qualcuno avrebbe davvero
riconosciuto. È un filmato di noi nei nostri abiti quotidiani mentre
facciamo le prove e cose del genere, e a Dylan piacque di più degli
spettacoli veri e propri. Suonammo tutte cose che non vennero incluse
nell’edizione finale.
C'è una versione davvero interessante di "I Want You" che sta circolando
adesso su YouTube [ndt:
https://www.youtube.com/watch?v=tiZOqEF2HCQ ]. Sono sorpreso che non
l'abbiano editata. Siamo nei nostri abiti normali e ancora una volta è
una prova.
Poi ci furono le due serate. Dopo aver registrato la prima, tutti i
dirigenti [di MTV] si lamentarono che non ci fossero hit. Niente "Once
upon a time you dressed so fine", niente “Everybody must get stoned”,
non c'era niente di tutto ciò. Loro erano sottomessi a queste cose. A un
certo punto Bob disse okay. Il prodotto finale è quello che è successo.
Penso che sia un misto delle due serate, ma credo soprattutto della
seconda serata.
Ray Padgett: Quindi è stato assillato da un sacco di pressioni.
Sono sorpreso che abbia capitolato.
WW: Alla fine forse è stata una buona idea, ma ero convinto che
la parte più interessante fosse quella dove non suonavamo quelle cose.
Io ero ansioso di vedere cosa Dylan sarebbe stato capace di tirar fuori
da quei concerti. Non credo che al pubblico in generale fregasse un
cazzo di quello che stava facendo, a parte i successi di cui potevano
parlare ai figli o su cui fare la loro dissertazione o quant’altro.
Purtroppo le persone non vogliono davvero ricordarti per come sei,
vogliono ricordarti per come eri. Di te hanno il loro ricordo
imbalsamato.
RP: Mi sembra che Bob abbia dovuto combattere contro tutto ciò
fin dalla metà degli anni '60.
WW: Dal primo giorno. Anche Wayne Kramer [degli MC5] ti direbbe
la stessa cosa. Gli ho detto il termine che uso, "imbalsamatori della
memoria". Ha pensato che fosse fantastico.
Praga 1995
Ray Padgett: Abbiamo parlato [nella prima parte] del modo in cui
Bob suonava la chitarra. Volevo chiederti di quando non ha suonato la
chitarra. Quei concerti diventati famosi perché lui ha cantato al centro
della scena senza strumento, a Praga nel 1995 [11, 12 e 13 marzo].
Immagino fosse malato.
Winston Watson: Entrambi lo eravamo. Malati per davvero. La
battuta era che io avevo fatto ammalare Bob, ma fu il viaggio in aereo.
So solo che c'era qualcosa, che c'erano persone malate su quell'aereo.
Accadde prima che cominciassero a pulire a fondo le cabine. Eravamo nel
'95, nessuno immaginava quanto fossero sporchi gli esseri umani sugli
aeroplani. Sono stato scherzosamente accusato di tutto questo.
Mi sembra di aver chiamato il [tour manager] Victor Maymudes all’una e
mezza o nel pomeriggio. Gli dissi: "Amico, devi venire nella mia stanza.
Non credo di riuscire a fare lo spettacolo." Poi entrai nella doccia e
non lo sentii quando arrivò alla mia porta. Fece aprire la camera al
portiere e mi trovò svenuto sotto la doccia, con l'acqua che scorreva.
Avevo la febbre, avevo vomitato l’anima. Ero emaciato, disidratato e
tutto sottosopra.
Ancora non sapevo che avevano rinviato lo show. La cosa mi risollevò
perché, anche se non riuscivo a stare in piedi, ero determinato ad
andare a suonare quello spettacolo. Ma non c'era proprio verso che sarei
stato in grado suonare. Quando scoprii che avevamo cancellato il
concerto e che avevamo un giorno libero, potetti davvero rilassarmi. Il
giorno dopo, quando abbiamo fatto il concerto, stavo molto meglio, ma
avevo la gola secca e le mie costole sembravano essere state prese a
calci.
Dylan non suonava la chitarra, il che mi lasciò interdetto. Ricordi
quello che ti dicevo sul suo senso del ritmo? Guardavi la sua mano
destra e la paletta della chitarra, appena oscillava in una certa
direzione sapevi cosa fare. Quindi ho dovuto cercare altri riferimenti,
ma non c’è voluto molto per abituarsi.
RP: E mentre cercavi di capirlo, come se non bastasse eri ancora
malato.
WW: Ero rauco, riuscivo a malapena a parlare e avevo ancora un
po' di febbre, ma niente mi ha mai curato più velocemente di una sudata
a un concerto rock and roll. Nei giorni successivi ci volle un po’ a
rimettermi in forma, ma migliorai parecchio. Non ci furono altri giorni
di riposo dopo.
RP: Quei concerti furono un po’ turbolenti per voi, ma divennero
leggendari tra i fan.
WW: La gente si accodò immediatamente, divennero parte delle
storie che si raccontano. Ne parlarono i giornali. Bob aveva le sue
mosse [sul palco] e pensavo che erano fantastiche. Qualunque cosa
faccia, che sia animata o fuori dall'ordinario, vorrai vederla.
Soprattutto quando parla. Ogni volta che dice qualcosa sul palco, fa
notizia. Non è bizzarro?
1995 – I concerti con i Grateful Dead
Winston Watson: Secondo la crew di Jerry [Garcia], ero una delle
poche persone a parlargli in quel periodo. Me lo disse Ram Rod [roadie
di lunga data dei Grateful Dead]. Pensavo mi stesse prendendo in giro
Il nostro primo concerto con loro fu a Highgate [Vermont, 15 giugno
1995]. Abbatterono le recinzioni ed entrarono, come a Woodstock. Figo!
Ero famoso per rompere le bacchette. Dovetti prenderle di un’altra marca
perché non si rompessero mentre suonavamo. Se avessi suonato più
leggero, Bob l'avrebbe notato. Voleva che suonassi nel mio stile.
Durante il primo concerto [del tour] con i Dead, spaccai legna come un
castoro. Bob pensava che fosse divertente, perché cadevano pezzi
ovunque.
Il giorno dopo, eravamo al soundcheck, Ram Rod mi disse: "Alcuni di noi
della crew vorrebbero scambiare due parole con te quando hai un minuto.”
Pensai: "Oh cazzo, cosa ho fatto adesso?"
Terminato il nostro soundcheck gli dissi: "Amico, se si tratta delle
bacchette o se ho rotto qualcosa, senti il nostro contabile, ti farò un
assegno o altro. A volte mi lascio trasportare quando le butto." Perché
avevo visto che un paio di volte le bacchette rotte erano volate dalle
loro parti e pensavo di aver messo qualcosa fuori uso o rovinato una
delle preziose statuine di Jerry, o chissà che altro.
Si guardarono e iniziarono a ridere. Dissero: "No, fanculo le bacchette.
Vogliamo sapere di cosa gli hai parlato." Chiesi: "A chi?" E loro:
“Jerry." Ram Rod disse: "Sono stato con quel tipo [Jerry Garcia] più a
lungo di quanto tu sia in vita. In 13 anni non gli ho detto una parola.
Voglio sapere di cosa cazzo stavate parlando."
Pensai che fosse la cosa più divertente. Non avevamo parlato proprio di
niente! [Jerry] voleva sapere dove ero cresciuto. Ricordo che mi disse
che sembravo tanto giovane. Avevo appena compiuto 30 anni, ma sembrava
che ne avessi ancora 18. Parlavamo solo delle nostre vite e delle cose
ogni giorno.
A un certo punto, eravamo con loro al RFK Stadium [Washington] e mi
sentii sfinito. Caddi per davvero e dovettero somministrarmi ossigeno.
Quando mi ripresi, il mio amico era lì con me. Vidi la sua barba e gli
occhiali. Stava guardando il medico, serio come un caso di infarto.
"Abbi cura del mio uomo qui. Abbiamo bisogno di lui domani."
Dissi [imita il respiro affannoso]: "Non preoccuparti, Jerry... starò
bene..." Pensai che fosse bello che gli importasse davvero.
Parlammo molto. Semplicemente adorava che mi piacesse fare quello che
stavo facendo. Nello specifico, per lui era una cosa davvero
affascinante vedere me e Bob suonare insieme. Perché aveva visto Bob un
milione di volte. Gli dissi: "Sai, ultimamente abbiamo suonato alcune
delle tue canzoni. Non avrei mai pensato di avere la possibilità di
farlo." Pensava che fosse bello. Guardai la loro scaletta e gli dissi:
"Non so quale di queste adesso dovrai eliminare dal tuo set. O forse
puoi farle lo stesso e nessuno se ne accorgerà." [ride]
Ray Padgett: Credo che l'ultima volta che Jerry Garcia ha suonato
con Dylan sia stata uno di quegli spettacoli al RFK Stadium. Cosa
ricordi?
WW: Che Bob non lo lasciava suonare!
RP: Cosa intendi?
WW: Io volevo sentire quello che stavo aspettando di sentire. Non
è mai arrivato.
RP: Volevi sentire Jerry essere Jerry, che ti trasportasse nello
spazio.
WW: Esatto! Non c’era bisogno di fare Johnny Winter e Floyd
Radford [ndt: Floyd Radford è stato il secondo chitarrista della band di
Johnny Winter negli anni ‘70]. Mentre stavamo suonando, ricordo solo di
aver pensato: "Ho sentito la tua parte, Bob. Adesso lascerai entrare
Jerry?" Ma ovviamente era una cosa come tra fratelli, capisci cosa
intendo? È come se Bob stesse dicendo: "Ah, sì? Bene, senti un po’
questo.”
1995 [Montpellier, 27 luglio] – Concerto con i Rolling Stones
Winston Watson: C'è una storia divertente successa mentre stavamo
arrivando lì. Bob era sul nostro bus, tutti insieme. Stavamo accostando
e lui fa: “Sembra che ci sia una specie di grosso serpente lassù. Cosa
credi che sia?"
Stava indicando quella cosa degli Stones, come la testa di un cobra o
qualcosa del genere. Te lo ricordi il “Voodoo Lounge Tour”? Era come un
grosso cobra di metallo, che sputava fuoco o altro.
Dissi: "Non ne ho idea, amico. È grande, qualunque cosa sia." E lui:
"Sì... forse noi dovremmo prenderne due di quelli." [ride]
Uno era fottutamente ridicolo, talmente sopra le righe, ma due sarebbero
stati proprio assurdi e divertenti. Sono sicuro che cose così non
funzionino sempre, come tutti gli oggetti di scena. Solo a pensarne di
averne due, mi fa già ridere. Come la scena di Stonehenge in “Spinal
Tap”. [ndt: “This Is Spinal Tap” è il divertente film d’esordio di Rob
Reiner, un documentario musicale su una fittizio gruppo hard rock degli
anni ’70. Mai distribuito in Italia, si può ora vedere in streaming. Un
vero cult movie, soprattutto per gli appassionati di musica.]
Mud Island, Memphis – 19 ottobre 1995
Winston Watson: Quando ci esibimmo a Mud Island, Taylor Hawkins
suonava nella band di Sass Jordan e Percy Sledge aprì la serata per noi.
C’erano Sass Jordan, Jeff Beck, Percy Sledge e poi noi. Parlai con
[Jeff] Beck anni dopo e ricordava che la sicurezza fu davvero dura con
lui e il suo entourage, perché non poterono venire a salutarci.
Poi Taylor [Hawkins] è diventata il Taylor che tutti conosciamo e che ci
manca. Lo ricordo come fosse ieri. Il sole era già tramontato. Eravamo
gli headliner, guardai alla mia destra e lì c’era Taylor, seduto sulla
soglia del palco a seguire il nostro set. Non era ancora stato nella
band di Alanis [Morissette]. Era nuovo sulla scena. Lo ricorderò sempre
perché quando i Foo Fighters sono diventati quello che sono, ho pensato:
"Wow, non posso credere che sia lo stesso ragazzo che mi ha visto
suonare la batteria tanto tempo fa." Buffo come va questa vita, e ora se
n'è andato.
1995 – Tour con Patti Smith
Winston Watson: Quello fu uno dei miei tour preferiti. Amavo il
batterista di Patti, Jay Dee Daugherty. Era uno dei miei eroi. Con Paul
Collins’ Beat, con i Church… Jay Dee ha suonato con tutti. Guardavo il
loro set tutte le sere e guardavo il mio eroe Jay Dee al lavoro.
Quelle date che infilammo al Beacon Theatre [di New York] furono uno
spasso. Ne aggiungemmo una quando Michael Jackson diede di matto e
cancellò [i suoi concerti]. Occupava l'intero sesto piano del Four
Seasons e anche noi alloggiavamo lì in quel momento, il che era
piuttosto buffo. Quella serata in più è stata roba da leggenda.
Probabilmente una delle più divertenti che abbia mai avuto.
In seguito sarei andato a suonare con Oliver Ray, compagno di Patti e
suo chitarrista per circa dieci anni. Era un ragazzo allora. Ci
rivedemmo vent’anni dopo. Si era trasferito a Tucson, era lì da un anno
e ci incontrammo casualmente. Stavo suonando con un gruppo chiamato
Greyhound Soul, c'era una specie di notte degli artisti. Lui e sua
moglie erano annoiati a morte e stavano per andarsene. Poi mi vide e
aspettò che tutto finisse per ripresentarsi dopo vent’anni.
Adesso io e Oliver siamo in questa band, Saint Maybe. Con loro abbiamo
suonato a Città del Messico, al Diego Rivera Museum e Patti non aveva
mai suonato a Città del Messico. È stato incredibile. C'erano 6.000
persone lì, anche se non eravamo nessuno: ci amavano, perché ricordavano
che Oliver prima era stato nella band di Patti.
“Restless Farewell” per Frank Sinatra [19 novembre 1995]
Winston Watson: Avevamo provato un altro paio di canzoni. "This
Was My Love", ad esempio. Adoravo suonare le canzoni di Sinatra, ma
penso che a Frank piacesse molto “Restless Farewell”. Mi immaginavo
sentirgli dire "Quando arriva quel ragazzo di Dylan?" Quando guardi il
video, puoi vedere l'affetto genuino che entrambi avevano l'uno per
l'altro. Frank lo sta guardando e Bob sta guardando Frank come aveva
guardato Little Richard.
Dovetti indossare il mio completo stile Marvin Gaye. Ero in piedi
accanto a Tom Selleck che è enorme. Io sarò 1 metro e 78, 62 chili
bagnato fradicio, lui è grande e grosso e molto alto. Stava guardando il
mio vestito. Era verde lime, indossavo un dolcevita, scarpe slip on
stile Billy Fury. Avrei potuto essere uno dei Panther, l'unica cosa che
mancava era il berretto. Con quella sua voce mi fa: "Cavolo, quello sì
che è un vestito!”
Il cibo che c'era dietro le quinte era come guardare una scena di
“Caligola” con animali morti sparsi su un enorme tavolo lungo lungo e
qualsiasi cosa. Dire che era una festa sontuosa sarebbe sottovalutarla.
Chiunque tu possa immaginare era lì. C’erano Don Rickles, tutto il Rat
Pack, tutto il cast dei Sopranos e chissà chi altro, tutti lì. Il nostro
tavolo è stato davvero divertente. Mi sedetti a fianco di Bob. C'erano
Frank [Sinatra] e Barbara Marx, sua moglie. Clayton Cameron,
[batterista] che suonava con Tony Bennett, era l’altro seduto accanto a
me. Quindi, noi eravamo seduti a lato di Bob, e dall'altra lato c'erano
Danny Aiello e Don Rickles. Poi al tavolo vicino al nostro c'erano
Patrick Swayze e Roseanne Barr e Johnny Depp e Kate Moss. Era come se
fossimo in uno di quei disegni di Al Hirschfeld che vedi sul New Yorker,
caricature di persone che decorano una stanza in un evento di Hollywood.
Suonando quella canzone, in realtà, non dovetti fare molto, solo non
fare tanto rumore. Hai visto, nelle inquadrature sui presenti, come ci
guardavano mentre eseguivamo la canzone? C’era riverenza. Tutti ne
furono commossi. A un certo punto, quando staccano sul pubblico, vedi
che nessuno dice una parola, nessuno parla. Sono tutti davvero solenni.
Erano persone che avevo visto per tutta la mia vita in tv o al cinema, e
ci stavano guardando; e io lì, nel mio completo stile Marvin Gaye, che
mi stavo solo divertendo un po'. Puoi percepire la solennità mentre
fanno la panoramica.
Significa che musicalmente avevamo fatto il nostro lavoro, cosa che ho
sempre sentito di aver fatto in quella band, al meglio delle nostre
capacità. Anche se alcune sere non ci siamo riusciti, penso che nessuno
possa mai dire che non ci abbiamo provato o che io non abbia dato il
110%.
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Giovedì 8 Settembre 2022 Talkin' 12011
- silcatt
Oggetto: Ho suonato con Dylan: Intervista
a Winston Watson (parte 1°)
Carissimo Tambourine, rieccoci a un nuovo
appuntamento con le belle interviste di Ray Padgett ai musicisti che
hanno accompagnato Bob Dylan. Stavolta tocca al batterista Winston
Watson. Qui c'è la prima parte della lunga chiacchierata (Ray ha
promesso a breve la pubblicazione della seconda parte).
Buona lettura e un abbraccio a tutti, Silvano.
Suonare la batteria per Dylan nei ‘90.
Parla Winston Watson.
“Fu solo il più strano di tutti i
concerti”
di Ray Padgett - (4 agosto 2022)
Fonte:
https://dylanlive.substack.com/p/winston-watson-talks-drumming-for?utm_source=substack&utm_medium=email
traduzione di Silvano Cattaneo
Winston Watson ha suonato nella band di Bob Dylan per alcune delle
migliori prime annate del Never Ending Tour. Si è unito quasi senza
preavviso nel settembre 1992, nel bel mezzo di un tour, sedendo al
secondo sgabello della batteria al posto di un amico. Salvo poi
ritrovarsi altrettanto bruscamente non solo a restare, ma a diventare
l'unico batterista di Dylan per quasi quattro anni.
Lungo la strada ha suonato in concerti importanti, come Woodstock '94 e
MTV Unplugged e dietro a ospiti all-star, da Sheryl Crow a Van Morrison.
Si è anche ritrovato a partecipare con un piccolo contributo a “Time Out
of Mind”, un anno dopo aver lasciato la band. Ho parlato recentemente
con lui al telefono, dopo le sue date in tour con i ricostituiti MC5:
una lunga e piacevole chiacchierata su tutto questo e molto altro
ancora.
Questa è la prima parte. Nella seconda parte, che pubblicherò tra poche
settimane, parleremo di una dozzina di spettacoli particolarmente
importanti del suo periodo con Dylan: Woodstock '94, MTV Unplugged,
l’esecuzione di "Restless Farewell" per Frank Sinatra e altro ancora.
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Ray Padgett: Come entrasti nella band di Dylan?
Winston Watson: Facevo parte di una piccola band di tre elementi
a Los Angeles e contemporaneamente lavoravo anche in una compagnia di
set cinematografici, facendo un po’ di tutto perché avevo una figlia di
due anni. All’epoca il mio migliore amico, Charlie Quintana, suonava con
Dylan. Charlie aveva già suonato con lui al Letterman Show, quella cosa
con i Plugz nel 1984, ma a quei tempi non lo conoscevo ancora. L'avrei
incontrato tre o quattro anni dopo: diventammo vicini di casa e migliori
amici. Charlie mi aveva invitato al Pantages Theatre di Los Angeles dove
si stavano esibendo per sette serate, nel '92 [dal 13 al 21 maggio]. La
prima sera andai con mia moglie, ma il telefono continuò a squillare: a
quanto pare mia figlia stava facendo un gran casino con la moglie di
Charlie, quindi dovemmo lasciare lo spettacolo e tornare a casa.
La serata successiva andai da solo. Non sapevo niente di Dylan. Avevo
ascoltato le sue canzoni più famose e scherzato sulla sua voce come
chiunque altro. Semplicemente non era proprio il mio genere. Mi
piacevano i Soundgarden e Alice In Chains.
Ricordo che a quello spettacolo nessuno sembrava soddisfatto e tutti
bevevano. Dopo, Charlie [Quintana] e io mangiammo un boccone assieme, e
ricordo di essermi detto: "In quella band non ci suonerei neanche se mi
pagassero!" Mi pareva che nessuno si stesse divertendo.
A quel tempo vivevo a Studio City [un quartiere di Los Angeles nella San
Fernando Valley], ed ero sempre in contatto con Charlie. Qualche mese
dopo mi chiamò e mi chiese: "Ehi, cosa fai la prossima settimana?"
Voleva che volassi a Kansas City per suonare con loro. Pensavo mi stesse
prendendo in giro. Dissi “Cosa significa? Io e te? Perché mi risulta che
in questo momento ci siete tu e Ian Wallace [entrambi alla batteria].” E
lui: "No, sarete tu e Ian." "Oh, amico, nemmeno lo conosco. Che cazzo
vuoi che faccia?" E lui: "Andrà tutto bene. Alla fine del tour mancano
solo poche date e io devo andare a suonare con Izzy Stradlin." Dissi
okay.
Volai a Kansas City. Dovetti pagarmi il taxi con gli ultimi soldi che
avevo e mi diressi all'hotel. Andai nella mia stanza, ordinai il
servizio in camera, feci il bagno. Stavo lì, sdraiato nella vasca,
chiedendomi che cazzo ci facessi in quel posto. Ero terrorizzato. Non
avevo idea di cosa potesse succedere.
Una delle prime persone che vidi fu il [tour manager] Victor Maymudes:
era preoccupato per qualcosa e non era molto interessato a parlare con
me. Così andai ai tour bus. [L'autista] Tommy Masters disse a Victor:
"Questo è il tipo arrivato per suonare la batteria." Victor si girò con
il sorriso più grande stampato in faccia e disse: "Sì, ti stavamo
aspettando." Finalmente anche il resto della band salì sul bus e provai
a chiedere: "Cosa sta succedendo? Come funziona qui?", per cercare di
raccapezzarmi.
RP: Ricevesti almeno qualche istruzione musicale prima del
concerto? Tipo "Impara queste canzoni, fai questo o..."
WW: No! Avevano un kit di batteria nel retropalco e mi sedetti lì
un minuto a provarlo. Mi chiedevo dove fosse l’altro batterista che
avrebbe dovuto essere già lì, ma l’incontrai solo all’ultimo momento.
Pensai: “Non so cosa farò. Cercherò solo di non essere d’impiccio."
C’erano 80.000 spettatori [al Liberty Memorial Park di Kansas City]. Era
come affacciarsi sul Grand Canyon, ma di persone. Prima di noi suonò
Albert King. Quando arrivò il nostro turno avanzai dietro il kit: mi
sembrava di entrare in scena legato a un razzo, senza possibilità di
tornare indietro. Tony [Garnier] mi disse solo: "Guardami e guardalo. E
ti si svelerà da sé."
Fortunatamente ero stato al Pantages Theatre e sapevo cosa stavano per
fare. C'erano un sacco di shuffle e cose che pensavo di saper suonare,
ma per quanto riguardava gli arrangiamenti era come tirare a indovinare.
Niente assomigliava a qualcosa che avessi già sentito prima. Mi resi
conto che il pubblico riconosceva le canzoni solo quando iniziava a
cantarle, indipendentemente dal fatto che le cantasse nel modo in cui le
ricordavano o meno. Quando finalmente uscivano le parole, allora
scattavano urla e applausi.
RP: Quando salisti su quel palco a Kansas City [il 6 settembre
1992], avevi mai parlato con Bob?
WW: No. Non avevo mai incontrato l'uomo, non gli avevo detto una
parola in vita mia.
RP: Oh mio dio!
WW: Fu solo il più strano di tutti i concerti. Sembrava finita
prima ancora di iniziare, anche se poi pensai: "Wow, non è andata poi
così male. Non è stato così terrificante come temevo." Avevo Ian
[Wallace] vicino ed era la mia guida. Cercavo di duplicare quello che
faceva lui, stando un po’ alla larga. Ogni volta che lui voleva fare una
fiorettatura, io cercavo di tenermi basso.
La cosa divertente fu che Bob sapeva che c’era un nuovo elemento, ma non
sapeva chi fosse. Capisci cosa intendo? Quando si avvicinò al microfono
per iniziare a cantare, non si era ancora voltato a guardare la band. A
un certo punto, mentre stava cantando, si girò lentamente alla sua
sinistra e mi guardò. Io ero lì, con i miei capelli più grandi di quelli
di Angela Davis e addosso la mia roba California Hurley. Tra strofe e
ritornelli andò avanti per due ore, continuando a guardarmi. Quello fu
un po' snervante.
RP: A cosa pensavi quando ti arrivavano quegli sguardi?
WW: Rob Stoner una volta disse qualcosa su di lui che sparava
sguardi e io dissi: "Ragazzi, lo so." Ricordo di aver pensato: "Sarà
così per l'intero concerto, o è solo una mia impressione?" Come ho
detto, aspettava qualcuno, ma non credo si aspettasse me. Avevo appena
compiuto 30 anni.
Finimmo il set, lui lasciò di filata il palco e io pensai: "Okay, torno
a casa." L'unica cosa cui riuscivo a pensare era come andarmene da lì e
dove fossero le mie cose personali. Non avevo portato nessun vestito.
Avevo solo una vera tuta da pilota, alcuni mutandoni, pantaloncini e un
apple cap come se fossi nei Pearl Jam, che erano la cosa più in voga in
quel momento.
Ma Bob venne da me, mi disse che gli era piaciuto il modo in cui avevo
suonato e arrivederci a domani. Mi chiesi cosa volesse dire: avrei
continuato a suonare con lui, o mi avrebbero lasciato all’aeroporto il
giorno dopo?
Quando finalmente ebbi la possibilità di chiamare mia moglie, lei mi
chiese: "Allora quando torni a casa?" Risposi: "Non lo so." Continuai a
ripeterlo per due settimane o per quanto durò quel tour.
Ogni serata era qualcosa di diverso. Come posso descriverlo? Iniziò a
insinuarsi una sorta di pesantezza perché le persone ne scrivevano e io
non ero abituato a cose simili, non a quel livello. Ero stato su Circus
e Kerrang! e tutte le riviste rock, ma finire su USA Today… Ci vuole un
po' per abituarsi! Guardavo al passato e pensavo alla sua storia, e non
c’era niente che avesse a che fare con me. Dovevo andare avanti come in
un campo minato e non c’erano impronte che potevano guidarmi.
Penso che da me abbia sempre voluto che fossi me stesso. Mi immersi in
cose più vecchie, più roots, come Levon Helm o Jim Keltner, che avevo
già sentito prima ma che non avevo mai apprezzato finché non iniziai ad
andarci in profondità e ad ascoltare bene quelle incisioni. Quando poi
mi liberai di tutte le stronzate che avevo sul palco e ridussi il kit a
quattro pezzi, le cose migliorarono decisamente, si fecero più
divertenti e non così tese.
RP: Perché il kit ridotto di batteria ti aiutò in quella band?
WW: Pensai solo che fosse più figo. Non sembrava così ridicolo,
come un grosso kit stile Phil Collins. Ian [Wallace] aveva un kit
abbastanza grande e pensai di dover competere con quello, ma non lo
feci. Ero più a mio agio con un kit stile John Bonham. Mi piacciono i
due timpani, ma Levon [Helm] ne aveva uno. Più studiavo quel genere di
cose, più mi ricordavo com'era stato suonare nella band di mia madre,
invece di essere in una rumorosa rock band. Quello fu la svolta per me.
Sono cresciuto ascoltando musica country, periodo ’55-’76; poi, quando
le cose iniziarono a diventare più pop, la lasciai perdere. La cosa
divertente della mia discografia è che non c'è molto hip hop, ma c'è un
sacco di roba americana che parte dalla Guerra Civile e arriva ai giorni
nostri. Quel legame con la musica country mi ha salvato il culo nella
band di Bob.
Sono un musicista rock, punto. Sono cresciuto suonando rock and roll.
Questo è quello che sono ed è dove mi muovo meglio, ma mi piace suonare
anche molte altre cose. Quando mi chiamano per fare cose da cantautore,
cerco di ricordarmi di gente come Jim Keltner, Levon Helm e Richie
Hayward dei Little Feat. Quei musicisti hanno una certa cosa che è la
quintessenza americana. C’è uno swing non dichiarato. Più ne sapevo di
quei tipi e più imparavo quello swing e a non essere così rumoroso.
Perché sono piuttosto rumoroso. Ora suono con gli MC5. Siamo piuttosto
rumorosi, ed è quasi tutta colpa mia.
RP: Ho ascoltato le registrazioni dei concerti e avevi alcune
canzoni su cui scatenarti. Non era tutta roba country. Ogni sera
facevate "All Along the Watchtower" dove andavi giù piuttosto pesante.
WW: Sì, perché lui voleva fare rock. Neil [Young] era in giro con
i Pearl Jam. In quel periodo il rock era la cosa che andava per la
maggiore. Secondo alcuni tipi del management con cui avevo parlato,
attirava i più giovani. Il fatto che stessimo suonando rock, che
potessimo fare Woodstock '94 e l’MTV Unplugged e tutte quelle cose, ci
permetteva di parlare a una generazione che non lo aveva mai sentito,
davvero.
Qualunque sia stato il mio contributo, spero sia stato buono. Molti
musicisti con cui suono adesso sono più giovani e [il concerto] MTV
Unplugged è quando hanno sentito parlare di me per la prima volta. Mi
dicono: "Wow, tu sei il tipo con quei capelli alla batteria?"
Ora, vent’anni dopo, tutti hanno la mia pettinatura. Ma all’epoca ero
una delle poche persone ad andare in giro così; non un taglio afro come
Rob Tyner, ma una sorta di grande riccioluto afro, capisci cosa intendo?
RP: Sì, quella cosa era grande. Non ti faceva caldo mentre
suonavi?
WW: No, era come un gigantesco dissipatore di calore. In realtà
lo portava via, come i cani che hanno un mantello superiore e uno più
interno. Ma ci furono serate in cui suonare era difficoltoso, come in
Louisiana o in Alabama dove l’umidità non ti mollava un attimo. Li
legavi a coda di cavallo, ti attaccavi al condizionatore, ma nemmeno un
secchio d'acqua fredda bastava. Vengo dall'Arizona e so com'è il fottuto
caldo, ma l'umidità che hanno nel sud è da stare male. È come indossare
un costume da orso mentre suoni.
Mi lamentavo di avere troppo spazio nelle riprese, come se non bastasse
che ero sempre inquadrato dietro Bob nei piani fissi frontali. Ho messo
a repentaglio la mia privacy. Era già abbastanza brutto che lui dovesse
avere la sua security, io non avevo bisogno di quel genere di cose.
RP: Certo, con quei grandi capelli eri una figura riconoscibile.
Gli altri sembravano un po’ tipi qualunque.
WW: Sì, e le persone pensano che tu sia in un certo modo e
proiettano un’immagine su di te. E quando non corrispondi a quella
proiezione, si sentono offese o peggio.
RP: Cosa intendi? Cosa proiettava la gente su di te?
WW: Come se fossi sempre Animal, [il pupazzo batterista] del
Muppet Show. Non lo sono. Sono l'esatto opposto. Mi piace rientrare in
hotel e guardare la TV o fare altro. Non sono mai stato un gran
casinista, e anche quando l’ho fatto avevo sempre i piedi per terra.
Sai, quando le persone vogliono uscire, vogliono trascinarti nella vita
notturna. Vai nei locali, ti presentano ragazze, ma tu non sei per
niente come si aspettano. A volte capiscono, a volte si offendono. Non
sapevo come affrontare queste situazioni su grande scala, perché siamo
stati parecchio in tour. Non riuscivo a far capire alle persone che
l'interazione che stavo avendo con loro quella sera era un’eccezione
fatta per loro, e invece dovevo rifarlo ancora, ancora, ancora… Anche se
non ne avevo voglia, o avevo il cuore spezzato, o nostalgia di casa, o
un'intossicazione alimentare o altro. Ma non è da me essere scortese o
fare il sostenuto. Perché non sono diverso da chiunque venga a vederci.
Sono stato solo molto fortunato.
Fu diverso rispetto ad andare in tour con qualcuno tipo Sheryl Crow.
Magari ne sapevi di più perché era roba contemporanea, ma, cavolo, la
sua è musica che va molto indietro nel tempo. Il primo anno non ho avuto
nemmeno una pausa per cercare di assimilare tutta quella roba. E
comunque, non avrebbe fatto alcuna differenza perché nessuna delle sue
canzoni era più così.
RP: Anche se avessi potuto tornare indietro e ascoltare i suoi
dischi, non ti avrebbe aiutato a rifare le canzoni.
WW: Esatto. Come fai a giocare a freccette quando qualcuno
continua a spostarti il bersaglio?
Era come Miles Davis. Non credo gli fregasse un cazzo di quello che
avevi suonato la sera prima o la sera dopo; lui voleva quella cosa
quella sera, qualunque cazzo di cosa fosse. Adesso lo capisco più che
mai, principalmente grazie a Bob e a qualcuno come Howe Gelb dei Giant
Sand. Avevo suonato con Howe [Gelb] negli anni '80, cosa che mi ha
preparato all'imprevedibilità di Dylan negli anni '90. I due si
assomigliano. Sono molto prolifici, parecchio stravaganti e sono davvero
speciali. Sono il tipo di persone che incontri raramente e hai solo da
imparare.
Un sacco di puristi pensavano che non avessi diritto a stare lassù, e
posso capire perché. Sto vivendo la stessa cosa con i fan degli MC5.
Dico, vi rendete conto che avevo cinque anni quando quella band ha
iniziato? E vi rendete conto che avevo tre mesi quando è uscito il primo
disco di Dylan? Quindi, che cazzo dovrei sapere? Non sono andato a
cercare niente. Mi è stato chiesto di unirmi dal management di Dylan, e
mi è stato chiesto personalmente da Wayne Kramer [degli MC5], e ho detto
di sì. C’è chi parla e c’è chi fa. Io preferisco stare con quelli che
fanno.
RP: Hai detto che l'unica persona di cui ti importava l’opinione
era Bob. Come facevi a conoscerla? Perché altri musicisti mi hanno
confermato che non è uno che ti dà commenti dettagliati alla fine di
ogni spettacolo. È un po' imperscrutabile.
WW: All’epoca mia moglie stava particolarmente attenta a una
cosa. Noi la chiamavamo “la cosa alla Charlie Chaplin”. Una mossa che
lui faceva, come se entrasse davvero in quel feeling. Quando accadeva,
sapevo che stava iniziando il “Bob e Winnie Show”, come lo chiamavano
alcuni fans.
Lui ha un senso del ritmo fantastico e innato. Se gli piace qualcosa a
116 BPM, la suonerà sempre dentro quelle battute. Se diceva che qualcosa
era troppo veloce, non stavo a discutere. Se diceva che qualcosa era
troppo lenta, non stavo discutere.
RP: Tornando ai primi giorni, dopo quel tour di due settimane
sapevi che saresti tornato?
WW: No. Lui ed io ci sedemmo in un ristorante vicino a Lafayette
[l'ultima tappa del tour], fumammo un paio di sigarette e conversammo.
Gli dissi che mi ero davvero divertito. Perché non c’è proprio niente di
uguale, nonostante fosse stato terrificante – hai presente quella lama
del terrore da palcoscenico? Non ho bisogno di cadere da un aeroplano o
scalare l'Everest per provarla.
RP: Quindi cosa accadde dopo? Quando il tour riprese nel 1993 tu
eri l'unico batterista. Ian [Wallace] se n'era andato.
WW: Sì. Andammo in Irlanda per le prove, al Factory, la casa
degli U2. Fu allora che scoppiò un gran casino.
RP: Racconta.
[ride, sospira, lunga pausa]
RP: Se ti va…
WW: L'attrezzatura di Ian era lì, ma lui no. Non sapevo perché.
Ricordo di essere entrato in panico.
RP: Andando a quelle prove non sapevi che non ci sarebbero stati
due batteristi come l'ultima volta?
WW: No. La sua attrezzatura era ancora nel corridoio ed ero
convinto che fosse lì. Pensai: va bene, dovrò assestarmi con lui e
combattere per il mio spazio.
Bob mi aveva detto che non voleva che mi scoraggiassi, che se ero lì
c’era una ragione. Perché all'inizio ero intimidito. Poi, quando ho
preso confidenza, ha praticamente detto che non me sarei andato. Così
arrivai in Irlanda pensando che avrei mantenuto la mia posizione e se
Bob voleva un certo feeling, avrei fatto quello che mi veniva chiesto.
Entrai in sala prove e tutti gli strumenti erano sistemati, ma c’era
solo una batteria. La mia. Fu allora che feci due più due. Ricordo che
mi dissi: "Okay, adesso tocca a me."
Ti trovi in una situazione di lavoro con un gruppo di persone affiatate,
che hanno il loro modo di fare le cose e tu non vuoi sconvolgere il
branco. Vuoi allinearti, ma non andò così. Invece di introdurmi in
quello che stavano facendo, Bob cominciò a suonare il basso per un po',
con me che suonavo la batteria. Ricordo di aver pensato: "Accidenti, se
lui fa il bassista, cosa farà Tony [Garnier]?"
RP: Mentre suonava il basso cantava?
WW: No, suonava soltanto, cercando di stare alle mie battute e al
mio swing.
RP: Queste prove avevano un'atmosfera rilassata da jam session, o
Bob dettava certe canzoni o idee?
WW: Si iniziava con una sensazione. Potevamo costruirci sopra o
gettarla subito nella spazzatura. Potevamo cambiare strumenti, cenare e
iniziare qualcos’altro. Si beveva, si fumavano parecchie sigarette e si
ripartiva.
Non ho mai pensato di dover entrare nei panni di qualcun altro. Nessuno
mi disse mai suona così e cosà. È un sollievo, ma è anche terrificante
perché sta a te essere intuitivo. Ti intimidisce molto di più di quando
ti mettono davanti lo spartito. Siccome non sono un grande lettore di
spartiti, posso fingere di aver trovato la mia strada in mezzo a quello
che è scritto. Ma non puoi fingere di aver trovato la strada in mezzo a
un’atmosfera. La gente mi chiedeva come riuscissi a memorizzare tutta
quella roba. Io dicevo: "Facile. Non suonarla come se la ricordano
tutti. Suonala come lui la vuole oggi."
Ti dirò, qualunque cosa uscita in quei primi anni, è stata elaborata a
lungo. Ho affrontato di peggio, ma quello è stato uno stress mentale a
cui non ero preparato. Dopo la prima seduta, abbiamo avuto due o tre
giorni interi di prove, solo per prepararci al primo spettacolo di
Dublino.
Quello show era davvero importante. Chiunque all’epoca fosse famoso,
irlandese e vivo era presente in sala. Gli U2 erano lì perché eravamo
stati nel loro studio tutta la settimana, c’erano Carole King e Chrissie
Hynde e Kris Kristofferson ed Elvis Costello.
Devo ammettere onestamente che l'ultima sera che abbiamo chiuso le
prove, lui non era convinto che potessimo fare qualcosa di buono. Non
era felice finché non abbiamo iniziato il primo concerto in quel locale
dall'altra parte della strada, il Point Depot. Accendemmo la miccia e lo
incendiammo. Perché non avevamo niente da perdere. Suonai come un uomo
inseguito dai lupi. Dicono che un concerto vale dieci prove, ed è
fottutamente vero. Fu sbrindellato ma glorioso. Non c'era niente di
perfetto. Non era come una canzone degli Steely Dan, era rock and roll.
Poi suonammo sei sere all'Hammersmith [Apollo di Londra] e lì abbiamo
lavorato a un sacco di cose. John [Jackson] non era GE Smith e io non
sono Levon [Helm], ma per quanto riguardava il set rock non miravamo
certo a quel suono più morbido. Poi c’era la parte centrale dove faceva
tre o quattro canzoni acustiche, come "Little Moses” o "Boots of Spanish
Leather" o "It's Alright, Ma". Dopodiché mi arrampicavo di nuovo sul mio
kit e iniziavo a fare il mio piccolo fracasso con "God Knows" o "Wicked
Messenger". Anche i bis erano divertenti. Di solito c’era "Rainy Day
Women" e talvolta "Alabama Getaway" dopo che suonammo con i [Grateful]
Dead. Quella è sempre stata uno spasso da suonare.
Fece un sacco di cose che mi piacevano. Un sacco di brani da “Oh Mercy”,
“Blood on the Tracks” e “Blonde on Blonde”. Non ne sapevo proprio
niente, ma la mia ragazza dopo il liceo amava Bob Dylan. Metteva sempre
“Desire” mentre io avrei voluto lanciarlo dall'altra parte della stanza.
[ride] Lo metteva così tanto, e cantava sempre fuori tono, che alla fine
iniziai a metterlo sul giradischi da solo. Divenne lo sfondo della
nostra storia d'amore. Credo di averlo persino raccontato a Bob. Gli
dissi: "Se non fosse stato per Howie Wyeth [il batterista di ‘Desire’],
probabilmente non avrei mai ascoltato la tua musica così tanto." Howie
ci ha messo davvero tanta energia in quel disco.
RP: Hai menzionato le sezioni acustiche, più tranquille. Cosa
facevi mentre non stavi suonando?
WW: Quando Bob suona la chitarra acustica, penso che sia la cosa
più bella che qualcuno possa sentire. A parte Ry Cooder, non credo di
aver mai incontrato nessuno che lo sappia fare meglio e cantare allo
stesso tempo. Una volta stavamo provando parte del set acustico. Fu la
prima volta che ascoltai molto attentamente come eseguivano "Hattie
Carroll". Ne fui talmente commosso che non volevo tornare alla batteria
per la parte rock. Volevo sentirne altre di quelle cose.
Glielo dissi una sera: "Potrei sedermi lì e ascoltarti tutta la notte
senza mai suonare la batteria." E lui: "Pensi che lo farebbero anche
tutte quelle persone sedute là fuori?" E io: "Andiamo, amico, non
prendermi in giro!" Potevo parlargli in quel modo, il che era
fantastico. Ero diventato un fan. So che è meglio non dimostrarlo, ma
non potevo farne a meno.
Come chitarrista elettrico è considerato al massimo interessante, ma mi
piace anche quel suo lato. Sicuramente è un’impressionista. Penso che
suoni quello che vuole suonare e direbbe che è assurdo pensare che sia
matematica. È un pianista brillante, ma per quanto riguarda la chitarra,
anche dopo tutto questo tempo, ha ancora una sorta di candore. Sa tutto
quello che è implicato, ma conserva ancora una punta di innocenza lì.
Non lo si fa per interessi commerciali, si fa per motivazioni
esclusivamente artistiche e non te ne importa. Non è Eric Clapton, che
pure è fantastico. La parte di chitarrista che c’è in me sposa in pieno
quel suo lato. Anche se potrebbe non suonare bene in alcuni punti, mi
parla comunque. E se insieme finiamo da un’altra parte, sarà comunque
qualcosa di diverso.
E poi è uno spasso. Non credo che gli venga riconosciuto, ma per quanto
sia seria “Masters of War”, lui è un tipo davvero divertente. Lui e mia
figlia sono sempre andati d'accordo perché entrambi sono proprio
ridicoli assieme. Conosco donne adulte che ucciderebbero i propri cari
solo per stare con lui in una stanza. Quando mia figlia si palesava,
diceva: "Oh, ciao Bob!"
RP: Tua figlia è venuta con te in qualche tour o in alcune date?
WW: Sì. Lui scappava sempre con lei da qualche parte e avevano le
loro chiacchiere. Lei aveva dai due ai sei anni quando sono stato con
Bob, e poi nove anni quando ho suonato per Alice Cooper. È stata su
molti palchi e molto dietro le quinte. Per lei era solo un altro giorno
al lavoro di papà.
Ti racconterò questa storia divertente su di loro. Eravamo al Warfield
Theatre [di San Francisco] nel 1995, ci stavamo preparando per il
concerto. Mi stavo vestendo. Vedo mia moglie nella green room e non vedo
mia figlia. Chiedo: "Deb, dov'è Marcella?" Lei mi guarda, sbiancando:
"Non è con te?" Vado in panico. Incrocio uno dei nostri uomini, gli
chiedo se ha visto mia figlia. Dice: "No, amico, ti aiuteremo a
cercarla."
Tutti hanno dato una mano. Avevamo guardato ovunque tranne che nel
camerino di Bob. Salgo e busso in fretta e furia alla porta. Il suo
assistente apre ed eccola lì.
Eravamo già cinque minuti in ritardo per salire sul palco e loro due
stavano bloccando lo spettacolo. Dico: "Tesoro, andiamo. Bob deve andare
a lavorare adesso." E lei: “Oh, okay!” E lui le fa: “Dopo dobbiamo
parlarne ancora un po’, d’accordo?” Lei: “Ok, Bob.” E prende la sua
bibita ed esce incontro a mia moglie.
A quel punto raggiungo la band e aspetto Bob. Abbassano le luci del
teatro, Bob mi ferma con il braccio e dice: "Dobbiamo fare qualcosa per
quella ragazza." E io: "Oh amico, mi dispiace, ti adora e basta. Non
volevo che disturbasse il tuo spettacolo." Lui continua: "No, quella
ragazza alla lezione di arte. È davvero cattiva. Dobbiamo fare
qualcosa."
Avevamo comprato a Marcella un paio di stivali da cowboy e c'era questa
ragazzina pestifera nella sua classe di arte che ci aveva spruzzato
sopra della vernice. E Bob aveva chiesto a mia figlia come avesse fatto
a mettere quella vernice sugli stivali da cowboy. Quindi, mentre
cercavamo mia figlia, lei stava raccontando a Bob quella storia, e
stavano ritardando lo spettacolo. E lui mi ha fermato per dirmi: "Ehi,
dobbiamo fare qualcosa per quella ragazza." [ride]
RP: Di tutti quegli anni nella band, c’è un tuo tour preferito?
WW: Non so quale sia stato il mio preferito, ma direi '94 e '95.
Eravamo davvero impressionanti in quegli anni. A quel punto l'innocenza
era scomparsa, ormai era tutto business, ma noi avevamo qualcosa.
Ma proprio quando iniziai a crederci, fu allora che lui staccò la spina.
Sapevo che sarebbe arrivato quel momento, perché avevamo quella cosa che
facevamo tutte le sere e lui da un po’ non la faceva. Mi sentivo come se
fossi stato lasciato solo. Mi piaceva comunque, ma c'era meno
interazione. Non stavo facendo niente di diverso... forse era quello il
problema.
RP: La tua uscita deve essere avvenuta rapidamente visto che
passarono solo sei o sette mesi tra quei tour del '95 che ami e la tua
partenza nell'estate del '96, dopo i due spettacoli per le Olimpiadi di
Atlanta [3 e 4 agosto 1996, alla House Of Blues di Atlanta].
WW: Sì. Durante le Olimpiadi e tutti i concerti nel '96 non era
felice. Il suo manager ne aveva parlato con la band. Gli dissi: "Amico,
mi sento sull'orlo del divorzio, non è che abbiamo suonato assieme per
una vita, posso andarmene in qualunque momento. Non avere difficoltà a
dirmelo. Posso salire su un fottuto aereo in questo momento senza mai
voltarmi indietro." Ero stato con loro per parecchio tempo, potevo
capire.
Così successe che ricevetti una telefonata dal management. Dissi: "Va
bene, chi avete preso?" E loro "Cosa?" E io: "Ovviamente, se mi state
chiamando è perché volete che torni oppure perché avete qualcun altro.
Chi avete preso?"
Dissero che era David Kemper. Risposi: "È un ottimo musicista. Penso sia
quello cui sta mirando Bob adesso. Siamo stati rumorosi abbastanza a
lungo." È così che sono uscito da quel gioco. Sapevo che era meglio non
rimanere in Mississippi un giorno di troppo. [ndt: nel testo originale
“not to stay in Mississippi a day too long”, citando un verso della
canzone “Mississippi”.]
RP: Nel DVD che hai fatto anni fa [“Bob Dylan Never Ending Tour
Diaries – Drummer Winston Watson’s Incredible Journey”, di Joel
Gilbert], ricordi la volta in cui Van Morrison disse a Bob che avrebbe
dovuto licenziarti. Fu più o meno nello stesso periodo?
WW: Sì. Fu a cena. Van era visibilmente alticcio, ma continuava a
blaterare su qualunque cosa. Ad un certo punto sono stato tirato in
ballo per tutto quello che non andava. Mi sono alzato e senza tante
cerimonie ho posato il tovagliolo sulla sedia e sono uscito.
Quasi non avrei suonato il giorno dopo. Non mi importava cosa pensassero
gli altri e non avevo bisogno di qualcuno che aiutasse a minarmi il
terreno o a segarmi. Soprattutto non uno così.
Non avevo bisogno che qualcuno mi dicesse che facevo schifo. Volevo
sentirlo solo da Bob, e non me l'ha mai detto.
RP: Sei accreditato nel brano "Dirt Road Blues", ma “Time Out of
Mind” è uscito ben dopo che avevi lasciato la band. Com’è la storia?
WW: Era un’idea abbozzata che avevo registrato tempo prima.
C'erano due musicisti là dentro, Jim Keltner e Brian Blade, che
cercavano di replicare quello che avevo fatto io e non ci riuscivano.
Immagino non riuscissero a duplicare quel feeling che c’era nella mia
registrazione. Io lo chiamavo “porch stomp”, un sincopato da portico.
Come se ti sedessi in veranda e suonassi i cucchiai e battessi il piede.
Fu Keltner a dire: "Beh, perché non lo ripetete in loop? C'è Winnie che
suona lì. Basta mandarlo in loop e avete la canzone.”
RP: Ma [quando la suonasti] stavate provando proprio "Dirt Road
Blues" e quella era la parte che ti era venuta in mente, oppure stavi
semplicemente registrando una traccia di batteria casuale che poi è
stata usata?
WW: Non lo so. Sinceramente non ricordo.
RP: È interessante che [Dylan] si sia ricordato di un pezzetto di
batteria che avevi suonato forse diversi anni prima, o che qualcuno
abbia tirato fuori il file.
WW: Se ricordo bene la storia, o Daniel Lanois o lo stesso
Keltner disse che stavano lavorando a quell'idea e Bob o qualcuno fece
sentire la cosa originale, che era su una cassetta.
Il libro [“Listen Up! Recording Music with Bob Dylan”] di Mark Howard
[l’ingegnere del suono di “Time Out of Mind”] lo spiega. Penso di averlo
qui, aspetta un secondo. Okay, eccolo.
[Leggendo ad alta voce] “La canzone 'Dirt Road Blues' è stata creata da
una cassetta che Dylan aveva da un soundcheck. Mi chiese se potevamo
usarla, e così ho fatto un loop delle migliori otto battute e la band ci
ha suonato sopra. Ecco perché Winston Watson è accreditato alla batteria
nell'album. Siccome era una registrazione di un soundcheck, a Daniel
[Lanois] non piaceva, diceva che il suono sembrava la musichetta di Bugs
Bunny."
Quindi ecco qua. Una cosa improvvisata. Non c’entro con quel disco. O
perlomeno, così mi dice il mio ego modesto.
RP: È pur sempre una registrazione in studio in più di G.E Smith
e di molti altri membri delle band del Never Ending Tour.
WW: Giusto. Terrò presente.
RP: Nel tuo periodo con lui, si prese una pausa abbastanza lunga
come autore di canzoni, incidendo solo album di cover folk [“Good as I
Been to You” e “World Gone Wrong”]. C'era qualche sospetto che si fosse
lasciato alle spalle suoi giorni di autore?
WW: No, affatto. Il pozzo si asciuga mai completamente? Non credo che
possa accadere a qualcuno con una mente fertile come la sua.
Si fermerà? Forse ad un certo punto dovrà farlo come chiunque altro, e
sarà la prima persona a dirtelo.
A guardarlo lavorare c’era molto da imparare. Come quando sei un
apprendista e
tutti i lavoratori intorno a te come prima cosa si domandano perché
anche tu sei lì. Una frase che mi è piaciuta, con la quale sono in parte
d'accordo e in parte no, è che "è interessante, ma non è mai
divertente." Perché per me è stato interessante e molte volte pure
divertente. Non sempre. È stata sempre una faccenda seria, ma ci si
poteva divertire.
Come ho detto, ci furono volte così fragorose dove potevamo scambiarci
larghi sorrisi, tutti quanti; serate davvero eccitanti come la band da
roadhouse che eravamo. Non c'era niente di veramente sofisticato in
tutto quello. Avremmo potuto anche esserlo, ma non con me nella band.
(Fine 1ª parte)
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Naturalmente il grande
grazie di tutti noi dylaniati a Silvano che col suo lavoro ci permette
di godere di queste chicce!!! Alla prossima caro Silvano, Mr.Tambourine,
:o)
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Venerdì
2 Settembre 2022 Talkin' 12009
- nice2me Oggetto: Tab e
tonalità armonica Sara Ciao,
Ho trovato la tua mail sul tuo sito, spero tu sia ancora operativo.
Riesci a fornirmi queste info di Bob Dylan?
Grazie, Stefano.
Caro Stefano, ti ho messo due link dove potrai trovare gli accordi di
Sara sia con la nomenclatura europea sia con quella americana che usa le
lettere invece che i nomi degli accordi. Naturalmente non è possibile,
al contrario di altri strumenti, scrivere una tablatura delle parti di
armonica a bocca. Generalmente per le ballate si usa l'arminica
diatonica nella tonalità della canzone, mentre invece nel blues è
molto usata la tecnica del cross-harp.
https://dylanchords.info/18_desire/sara.htm
http://www.traditionalmusic.co.uk/dylan/sara.htm
Per essere più completo
riporto l'atricolo che scrisse Antonio Genovese alcuni anni fa su
maggiesfarm.it di Michele Murino sulla sopracitata
tecnica per l'armonica. Spero di essere stato abbastanza esauriente,
alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Dylan, l’armonica e la
tecnica “cross-harp”
di Antonio Genovese
Cari amici avrete notato che da qualche anno, forse più di dieci, Bob
suona l’armonica utilizzando esclusivamente la tecnica nota come
“cross-harp”.
Ciò, a mio parere, arricchisce grandemente i brani rock-blues, ma fa
perdere un bel po’ di fascino ad alcuni cavalli di battaglia del nostro,
tipicamente le ballate.
Per meglio comprendere di cosa si sta parlando, per i non musicisti,
ahimè è necessario introdurre qualche concetto teorico, seppure
“maccheronico”.
Come la stragrande maggioranza degli armonicisti folk, country, rock e
blues, Bob usa l’armonica diatonica.
Un’ illustre eccezione è rappresentata da Stevie Wonder che da
armonicista super raffinato usa un tipo di armonica che copre un maggior
numero di ottave.
L’armonica diatonica può essere prodotta in 12 differenti tonalità (da
DO a SI, una per ogni semi-tono). La cosa è piuttosto semplice: per
suonare melodie in DO si usa l’armonica in DO, per suonare melodie in RE
si usa l’armonica in RE e così via.
In questo caso si dice che l’armonica è suonata in “prima posizione” ed
è quella preferita dai musicisti folk, dal momento che è la più adatta
per suonare pezzi melodici e negli assolo viene usata la scala naturale
nella tonalità di base.
Sempre utilizzando l’armonica diatonica, esiste un modo alternativo di
suonarla che viene in gergo chiamato “cross-harp” e consiste
nell’impiegare un’armonica in un brano dalla tonalità differente
rispetto alla propria.
In particolare la tonalità del brano è cinque semitoni più in basso
rispetto alla tonalità dell’armonica. Esempio, con questa tecnica, un
brano nella tonalità di LA utilizzerà un armonica in RE.
Per gli amanti della teoria si suona la scala nel “modo misolidio”.
La ragione principale dell’utilizzo della posizione “cross-harp” è che
le note suonate con questa tecnica sono quelle tipicamente blues che non
sono ottenibili in modo naturale nella armonica in “prima posizione”.
Lo stile “cross-harp” è quello preferito per brani country/rock blues e
blues ovviamente.
Esempi tipici di utilizzo da parte di Dylan di questo stile sono alcune
versioni di Leopard Skin Pill-Box Hat, Watching The River Flow –
naturalmente dei blues – ma anche Baby Let me Follow You Down dal primo
album di Bob, Visions Of Johanna, etc, etc..
In aggiunta, questa tecnica è perfetta per aggiungere colore e riff
bluesy a brani rock (anche acustici).
Un esempio mirabile è l’assolo di armonica con il quale Dylan chiudeva
Tangled Up In Blue nei concerti del 2000-2001.
Il problema è che generalmente lo stile “cross-harp” non viene mai
impiegato per suonare melodie, non essendo in grado di riprodurle in
modo naturale.
Dylan, come sempre nella sua imperfezione, ci ha offerto grandissime
prestazioni in studio e live, utilizzando entrambe le tecniche.
Chi può dimenticare il bellissimo assolo in “What Can I Do For You ?”
che rappresenta per il sottoscritto uno dei pezzi di armonica (diatonica
e non) più belli mai realizzati.
Ebbene, in questo caso Bob utilizza la tecnica in posizione naturale e
sfiderei chiunque a produrre un assolo minimamente paragonabile
utilizzando lo stile “cross-harp”.
Per non parlare della stragrande maggioranza delle ballate nelle quali
Dylan impiega sempre la tecnica in posizione naturale.
Il fatto è che negli ultimi anni, il Maestro da una parte ha affinato
notevolmente la sua destrezza nell’impiego della posizione cross, ma
d’altra parte ormai usa solo quella !!!
Ciò significa che nonostante i suoi sforzi e la sua innegabile bravura,
brani melodici come Girl From The North Country non ne guadagnano un
gran che, anzi… avrei il sospetto che la distorsione blues delle melodie
originali nelle ballate, dovute alla tecnica della posizione cross,
abbiano anche l’intenzione di non creare eccessive distonie rispetto
alla limitate melodie che la voce attuale di Bob riesce ad esprimere.
Un altro esempio della scarsa adeguatezza di questo stile in determinati
casi è fornito da Shooting Star in Unplugged (peraltro una bellissima
versione), dove l’armonica appare abbastanza fuori atmosfera.
Ancora, mi viene da storcere il naso quando la semplicissima ma
bellissima e struggente melodia di The Lonesome Death Of Hattie Carroll
nell’assolo di armonica originale, viene sostituita oggi da riff non
irresistibili in quanto “costretti” dal pattern cross-harp.
Ben diversa è la resa in ballate dalla struttura rag time – blues, come
ad esempio Don’t Think Twice.
Il fatto è che in principio non è necessario preferire una tecnica
piuttosto che l’altra, anche se l’utilizzo dello stile cross-harp
potrebbe sembrare più virtuoso, ma ovviamente ciascuna può e dovrebbe
essere impiegata laddove risulta più efficace ai fini della resa
artistica del brano che si sta interpretando. D’altronde Dylan è in
grado di adoperare le due tecniche con uguale maestria e quindi è solo
un problema di “gusto”.
Le ultime prestazioni di Dylan con l’impiego della tecnica classica mi
sembrano risalire alla prima metà degli anni 90, quando utilizzava
ancora il rack porta armonica.
Fantastico l’assolo su Girl From North Country nel 30th Anniversary
Concert Celebration (1992). Notevole anche l’intervento trascinante di
armonica in Tight Connection To My Heart ai mitici concerti al Supper
Club ('93).
Successivamente, per usare un eufemismo alla Totò, per quanto riguarda
il sottoscritto: amaeba ! Non ricordo più nulla….. Insomma, chi mi può
aiutare nel ricordare quando è stata l’ultima volta che Bob ha suonato
l’armonica in posizione naturale? Naturalmente della data non me ne
frega più di tanto, solo vorrei provare a capire perché si è
intestardito a suonare l’armonica solo in posizione cross ?!?!!?
A lume di naso mi pare la stessa ma più recente fissazione a non volere
usare più la chitarra e per l’armonica non regge il discorso del mal di
schiena o dell’artrite. Mi sa tanto siano entrambe fissazioni
“artistiche”.
Spero di non avervi tediato troppo……Antonio Genovese
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Tour 2022, aggiunte 3 nuove date inglesi
02 Novembre 2022 - Manchester, England - O2
Apollo
04 Novembre 2022 - Oxford, England - New Theatre Oxford
05 Novembre 2022 - Bournemouth, England - Bournemouth International
Centre
Le date sono confermate da bobdylan.com! E'
probabile che nei prossimi giorni se ne aggiungano altre. |