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Ciao
Mr.Tambourine , l'altro giorno mi son messo a risentire Highway 61
revisited ( il CD ) che era allegato ad un fascicolo di molto tempo fa
del "Grande Rock" . ma non c'è nessuna nota di copertina , intendo dire
i credits , mi sai dire chi erano i musicisti ? Grazie e complimenti per
il sito . Ennio
Certo Ennio , allora :
Bob Dylan : voce ,
chitarra , armonica , pianoforte , sirena della polizia .
Al Kooper : indicato
nelle note di copertina come Alan Cooper , organo Hammond e piano .
Paul Griffin : organo
e piano .
Bobby Gregg : batteria
.
Harvey Goldstein :
basso .
Russ Savakus : basso .
Michael Bloomfield :
chitarra elettrica .
Charly McCoy :
chitarra .
Frank Owens : piano .
Noterai che ci sono
diversi musicisti accreditati allo stesso strumento , ma questo è dipeso
solo dal fatto che il disco è stato realizzato in 5 diverse sessions nel
Columbia Studio A di New York il 15 e 16 giugno , il 29 e 30 luglio e il
2 e 4 agosto 1965 .
Aggiungo qualche
notizia sull' album :
Sono le parole di Bruce
Springsteen, vent’anni dopo, quando introdurrà Dylan nella Rock’n’Roll
Hall Of Fame, a descrivere in modo perfetto l’impatto devastante che
quel brano ha avuto nella coscienza collettiva della nuova America degli
anni Sessanta: "La prima volta che ho sentito Bob Dylan ero in macchina
con mia madre, la radio era sintonizzata sulla WMCA ed è arrivato quel
colpo di rullante che suonava come qualcuno che avesse aperto a calci la
porta della tua mente: Like A Rolling Stone. Mia madre, alla quale il
rock’n’roll piaceva, ci pensò un minuto, poi mi guardò e disse: ‘Quel
tizio non sa cantare’. Ma io sapevo che aveva torto. Rimasi lì senza dir
niente, ma sapevo di star ascoltando la voce più forte che avessi mai
sentito. Era scarna e sembrava nello stesso tempo giovane e adulta. (…)
Quando ero ragazzino, la voce di Bob in qualche modo mi eccitava e
spaventava, mi faceva sentire irresponsabilmente innocente, ancora oggi
mi fa lo stesso effetto. Era un rivoluzionario. Bob ti liberava la mente
come Elvis liberava il corpo. Aveva la visione e il talento per infilare
il mondo intero in una canzone. Inventò una nuova sonorità per il
cantante pop, superando i limiti di ciò che un artista può ottenere da
una registrazione e cambiò la faccia del rock per sempre. (…) Quando
avevo 15 anni e ascoltavo Like A Rolling Stone, ascoltavo un tizio che
aveva il fegato di prendersela col mondo intero e che mi faceva sentire
come se avessi dovuto farlo anch’io".
Nessun singolo era mai stato così lungo. Sei minuti, eppure non viene
tagliato nella versione a 45 giri (quando i Doors cercarono di fare la
stessa cosa con Light My Fire, si sentirono dire: "Chi credete di
essere, Bob Dylan?"). Nell’agosto del ’65 Rolling Stone sfonda le Top
10, numero due nella classifica americana e numero quattro in quella
inglese. Le regole della musica rock sono cambiate per sempre. Ancora
oggi, in referendum su referendum di appassionati o di critici, ogni
volta tutti concordano nel definire Like A Rolling Stone il singolo più
importante della storia del rock.
Canzone dal significato misterioso, ricca di immagini e personaggi
bizzarri (Miss Lonely, Mystery Tramp, Napoleon in rags, Diplomat,
Princess on the steeple, che inaugurano la ricchissima galleria di santi
e di perdenti che affolla Highway 61), ma proprio per questo
affascinante, è probabilmente indirizzata a Dylan stesso, che sull’orlo
della massima fama avverte che il successo sta per condurlo in una
strada senza via d’uscita, alla cui fine lo aspetta il caos totale. Ma è
soprattutto una forte dichiarazione di indipendenza, di qualcuno che sta
urlando, a costo di precipitare nella pazzia, che di fronte al mondo ci
devi stare da solo, mutuando la tua filosofia di vita direttamente dalle
esperienze della vita stessa, senza contare sugli altri o sui privilegi
della tua posizione: "Sei invisibile adesso / Non hai segreti da
nascondere".
Anche gli amici/nemici della vecchia scena folk, i Phil Ochs e gli Eric
Andersen che affannosamente hanno cercato fino a quel momento di stargli
al passo, alzano bandiera bianca: "Potrebbe essere la più grande
influenza di tutta la generazione", dichiara allora Andersen. "Credo che
i semi del futuro della musica siano stati piantati là. Non vedo nessun
altra forza paragonabile a quella di Dylan. Keats disse che un artista è
l’antenna della razza umana. Dylan è l’antenna della sua generazione".
Dylan torna in studio solo il 29 luglio. Nel frattempo ha litigato
violentemente con Tom Wilson, che la Columbia ha prontamente sostituito
con l’innocuo Bob Johnston e soprattutto, il 25 luglio, si è esibito a
Newport, al Folk Festival. Nel luogo dove fan, colleghi e critici lo
hanno proclamato due anni prima re del folk revival, Dylan questa volta
si presenta, sfrontatamente, con un gruppo elettrico, la Paul
Butterfield Blues Band. È il giorno in cui si scatena l’apocalisse e i
diavoli escono dalle viscere della terra.
Quando Dylan e il gruppo attaccano una Maggie’s Farm che sentita ancor
oggi suona violenta e devastante come Anarchy In The UK dei Sex Pistols
dieci anni dopo, scoppia la guerra. Una guerra che si trascinerà fino
all’anno successivo, ogni volta che Dylan e accompagnatori saliranno su
un palcoscenico, attraverso tutta l’America, l’Australia e l’Europa. Un
confronto senza precedenti che mette l’artista contro il suo pubblico,
in una contestazione aperta e dichiarata come non si è mai vista prima e
come non si vedrà mai più nel mondo del rock. Ma dopo di allora il mondo
del rock stesso non sarà più uguale a prima e la strada aperta
"sanguinosamente" da Dylan lascerà fuoriuscire decine e decine di
giovani band che avranno appreso la lezione e daranno vita al più grande
spettacolo sulla terra, il "rock’n’roll show" (che, per la cronaca, non
era quello che facevano i Beatles, con mezz’oretta di musica male
amplificata sommersa dalle urla dei fan).
Nonostante il momento altamente drammatico (che raggiunge il culmine
quando un Pete Seeger imbufalito cerca di staccare i cavi elettrici
dell’amplificazione, mentre Dylan e gruppo stanno suonando), Dylan solo
dopo pochi giorni si è già lasciato alle spalle l’avvenimento.
Il 29 e il 30 luglio, tornato dunque in studio, sono dedicati a varie
prove di Tombstone Blues (alla fine delle quali il bassista Russ
Savakus, sfinito, molla la spugna e viene sostituito da Harvey Brooks),
It Takes A Lot To Laugh, Positively 4th Street e una prima take, con
tutto il gruppo, di Desolation Row. In quest’ultimo brano Dylan è
stonato a livelli massimi e la canzone viene nuovamente provata in
formato acustico ma con Charlie McCoy alla chitarra elettrica. Il 30
vengono provate e registrate From A Buick 6 e Can You Please Crawl Out
Your Window?.
Il 2 agosto vengono registrate diverse take di Highway 61 Revisited,
Just Like Tom Thumb’s Blues, Queen Jane e Ballad Of A Thin Man. Infine,
il 4, Dylan torna in studio con i soli Brooks e McCoy (secondo Clinton
Heylin alla chitarra c’è invece Bloomfield) e in un’unica formidabile
take rifà, acustica, Desolation Row.
Dylan deciderà di non inserire Can You Please Crawl Out Your Window? e
Positively 4th Street, che verranno in seguito pubblicate come singoli.
La prima delle due, però, proprio per la pubblicazione come singolo,
verrà reincisa con l’accompagnamento di Robbie Robertson e degli Hawks,
diventati nel frattempo la backing band dal vivo di Dylan.
Di questa formidabile serie di canzoni che hanno il passo di un blues
tagliente e metropolitano, la sola It Takes A Lot To Laugh (peraltro
provata anche in versione veloce con il titolo di Phantom Engineer)
sembra essere fuori posto. Brano country blues molto melodico e
rilassato, dallo splendido assolo di armonica, si distacca
dall’atmosfera generalmente nervosa e anfetaminica del resto del disco;
è comunque una delle più convincenti ballate mai incise da Dylan.
Appare fuori luogo perché Highway 61 ha invece il passo devastante e
quasi punk di Tombstone Blues, un treno merci lanciato a sferragliare
tra gli incubi peggiori della storia americana; di From A Buick 6 (una
rilettura di Milk Cow Blues di Sleepy John Estes, brano già tentato
durante le session di Freewheelin’ e quindi profondamente nel DNA, come
tutta la musica blues, di Dylan), dall’implacabile riff di Hammond e dai
testi che inneggiano a una donna con "una mente da cimitero" e che
"cammina proprio come Bo Diddley"; dell’epocale Ballad Of A Thin Man,
uno slow blues dominato dal piano incalzante di Dylan e dai riff
fantasma di Al Kooper all’Hammond; e naturalmente della title-track, una
cavalcata rock blues con tanto di sirene della polizia che spalanca una
visione d’America del tutto inedita, dove la parola "rifiuto" è il nuovo
messaggio: del patto fra Abramo e Dio, che suona come una autentica
bestemmia da parte dell’ebreo Zimmerman, così come dell’America fatta di
commessi viaggiatori affannosamente all’inseguimento del successo e di
astuti promoter.
È fatto della bellezza metropolitana e senza compromessi di Queen Jane
Approximately, dominata da quella scala discendente di accordi che
diventerà un riferimento d’obbligo per centinaia di brani rock fino ai
giorni nostri, e quelle parole che invitano a fuggire lontano da una
società che non ti capisce più.
È soprattutto Ballad Of A Thin Man a insinuare paesaggi da incubo
nell’ascoltatore: per anni si è pensato che un Mr. Jones fosse esistito
davvero, si è parlato di un giornalista dal medesimo nome con cui Dylan
avrebbe avuto un alterco. È un brano che il "nuovo" Dylan, con parole
sputate con veemente disprezzo, rivolge invece a tutti i piccolo
borghesi d’America ("Presenti il tuo biglietto / Per vedere il fenomeno
da baraccone / Che subito ti viene incontro / (…) E dice come ci si
sente / A essere un simile aborto / E tu dici impossibile") e ai
"professori" dell’establishment ("Hai letto tutti i libri di F Scott
Fitzgerald / Sei un uomo molto istruito, è risaputo"), con una dinamica
ben più devastante della similare The Times They Are A-Changin’ che
anch’essa si rivolgeva a genitori, insegnanti e classe dirigente.
"Perché qualcosa sta succedendo", insinua Dylan, rivolgendosi
all’America e sottolineando come i suoi giovani stiano andando da
tutt’altra parte rispetto ai sogni di carriera e di successo di mamma e
papà, "e tu non sai che cosa è". Il solco è scavato per sempre: se non
sai cosa sta succedendo, stattene lontano. Chiunque abbia visto il
magnifico film di Milos Forman Takin’ Off capirà il vero significato di
questa canzone: il film è la storia di uno dei tanti Mr. Jones del
decennio che non riesce a capire (non può) cosa sta succedendo alla
figlia e perché essa rifiuta il mondo preconfezionato e ipocrita dei
genitori per aderire a un universo "alternativo" fatto di hippie e
musicisti rock.
Il disco completa questa rassegna di incubi e di profezie con il brano
che forse più di ogni altro conduce Dylan vicino più che mai al concetto
stesso di poesia: Desolation Row è una allucinata galleria di
imbroglioni, pazzi, santi, perdenti e vagabondi che spuntano fuori da
ogni vicolo secondario di ogni città americana, chiedendo la loro dose
di impossibile speranza, con forti richiami alla poetica di T.S. Eliot
che Dylan chiama in causa nella canzone stessa. Li canta in un vortice
di lirismo che non raggiungerà mai più (a proposito di questo brano,
Dylan dirà negli anni Novanta di essere sbalordito di come potesse
scrivere canzoni del genere, di non avere la minima idea di dove andasse
a trovare versi di tale livello) e dove la performance vocale, con un
Dylan ben attento a lasciare intendere ogni singola parola, è di una
bellezza travolgente.
Forse per l’unica volta in tutta la sua lunga carriera Dylan si dichiara
entusiasta del suo stesso lavoro: "Non sarò mai più capace di fare un
disco come questo. Highway 61 è troppo bello. C’è un sacco di roba che
vorrei continuare ad ascoltare!".
Uno dei due brani lasciati fuori dal disco, Positively 4th Street,
merita qualche parola. Melodicamente una delle più riuscite composizioni
dylaniane, sorretta dal solito indovinatissimo riff di Hammond scovato
ancora una volta da Al Kooper e con quel caratteristico passo
discendente degli accordi, è un addio ricco di disprezzo ai vecchi
compagni della scena folk (la 4th Street è la strada del Village dove
Dylan ha vissuto a lungo), gli stessi che l’hanno fischiato a Newport
pochi giorni prima dell’incisione della canzone. Joni Mitchell racconta
che, dopo aver ascoltato alla radio questo brano, capì, scioccata, che
adesso "eravamo liberi di cantare di qualunque argomento. Dylan ci aveva
liberati del tutto".
Mai prima si erano sentite, in una canzone, parole come: "Mi vedi per la
strada / Fai finta di essere sorpreso / Dici: Come stai? Buona fortuna /
Ma non lo intendi davvero / Quando sai bene come me / Che preferiresti
vedermi paralizzato / Perché una volta sola non esci fuori / E lo urli
(…) / Vorrei che per una volta sola / Tu potessi essere nelle mie scarpe
/ E che per un momento solo / Io potessi essere te / Sapresti quale
strazio è / Vederti".
Highway 61 Revisited viene pubblicato il 30 agosto; due giorni prima, il
28 agosto, Dylan si esibisce con Al Kooper, Robbie Robertson, Levon Helm
(questi due del gruppo canadese The Hawks) e Harvey Brooks allo stadio
di Forrest Hills, vicino a New York, davanti a circa 15mila spettatori.
È ancora una volta guerra, come a Newport, e ancora più violenta. Il 3
settembre è la volta del prestigioso Hollywood Bowl di Los Angeles dove,
come accadrà in seguito a Berkeley, il pubblico californiano, più aperto
alla novità, non lo fischia. Ma è solo un episodio, perché quando, il 24
settembre accompagnato dalla line-up completa degli Hawks, comincia il
tour mondiale che terminerà nel maggio del ’66, la guerra divamperà dura
e sanguinosa.
A sottolineare l’impatto che la "nuova" musica di Dylan ha sulla società
americana del tempo, basti l’esempio di Huey Newton e Bobby Seale, i due
fondatori del movimento delle Pantere Nere (in seguito divenuto un
gruppo rivoluzionario di lotta armata in difesa dei diritti della gente
di colore), che, come raccontano le loro biografie, scrissero il
manifesto del movimento mentre ascoltavano senza interruzione Ballad Of
A Thin Man.
Come disse Phil Ochs in quei giorni: "Dylan è come l’Lsd, ormai; è
entrato nella psiche di troppa gente, e l’America è un Paese in cui
molta gente non ha la psiche a posto. Ho paura per lui".
Le cover imperdibili:
Like A Rolling Stone, John Mellencamp (da Artisti Vari, The 30th
Anniversary Concert Celebration, 1993)
Con l’apporto di Al Kooper alle tastiere, Mellencamp offre una resa
formidabilmente efficace di uno dei brani meno interpretati di Bob
Dylan, arricchito dell’interplay vocale, durante le strofe, delle sue
due coriste. Il risultato, per intensità, è pari quasi all’originale. Da
ascoltare è anche la portentosa resa del brano fatta da Jimi Hendrix a
Monterey nel ’67 (su Jimi At Monterey) con un tempo più rallentato ma di
una potenza emotiva impagabile mentre il debito che pagano i Rolling
Stones nella loro versione del ‘95 è divertente e sufficientemente
ispirato.
Highway 61 Revisited, PJ Harvey (da Outlaw Blues, 1991)
Abrasiva e caotica, è cantata con la stessa devastante intensità di un
Kurt Cobain, con una voce che giunge direttamente dal profondo delle
viscere (o degli inferi, se preferite…).
Positively 4th Street, Jimmy LaFave (da Trail, 1999)
Lo chiamano il "Bob Dylan di Austin", ed è uno dei migliori interpreti
dylaniani degli ultimi dieci anni. Questa ripresa del brano inciso
durante le session di Highway 61, in una esecuzione dal vivo, è di una
potenza e di una liricità formidabile, degne dell’originale. Una
performance davvero da brivido.
tratto da
http://www.geocities.com/rovinggambler61/chapter61.html di
Paolo Vites
Ciao e grazie per i
complimenti , :o)
Mr.Tambourine
|
5241
Hey Mr.Tambourine (
questo saluto ti sembrerà banale e scontatissimo ) , ti segnalo questo
articolo del cavolo ( ho detto cavolo ma volevo dire un'altra cosa ) che
ho trovato in internet , quella che lo ha scritto potrebbe fare coppia
con il famoso commentatore del TGLa7 , non trovi ? Ciao e grazie per la
risposta , Andrea .
Prestigiacomo e
Fini sono i nostri Bob Dylan e Joan Baez
Non so voi, ma io
trovo strepitosa la coppia Stefania Prestigiacomo-Gianfranco Fini. Sono
i nostri Bob Dylan e Joan Baez. Lei e lui alleati, uniti dalle idee. Lei
e lui insieme, l’anno scorso, a favore del referendum sulla fecondazione
assistita. Insieme a sparigliare le carte sulle questioni di coscienza
nella coalizione di centrodestra. Lei e lui a pensarla allo stesso modo
anche oggi sulle unioni di fatto. Lei e lui che condividono le stesse
convinzioni anche sulla droga e sul velo islamico. Lei e lui alti, belli
e simpatici. Lei e lui che hanno due famiglie, le loro rispettive
famiglie. E non stanno insieme, nessuna relazione, nessun amore, hanno
dichiarato, dopo che anche un grande quotidiano nazionale aveva
sostenuto che fosse nata una love story. Però lei e lui dicono che hanno
fatto molta strada politica insieme e molta altra ne faranno. Mi piace
la coppia Stefania Prestigiacomo e Gianfranco Fini perché condividere
una strada è molto più di un’avventura. Conosco un solo modo con cui un
uomo e una donna possano stabilire un legame vero. E non è il sesso
appassionato, che per quanto appassionato quanto può resistere alla
quotidianità? Un mese?, tre?, magari anche un anno? No, non è il sesso
ma condividere una creazione. Mettere al mondo un figlio. O anche
un’idea. Non so se avete mai creato con un uomo qualcosa di diverso da
un figlio o da un matrimonio. Davvero immagino di sì. Due miei amici (un
uomo e una donna) hanno scritto un libro insieme. In queste cose o ci si
prende a fucilate o ci si adora. Scrivere un romanzo insieme è una
faccenda più intima di un matrimonio. Vuol dire che per l’altro non hai
più segreti. O ti metti in gioco o non ti metti. Il punto è che solo se
ti metti in gioco veramente il romanzo viene bello. E chi legge
percepisce che è autentico. A prescindere dal gossip, dalle smentite, a
prescindere da tutto, adoro la coppia Stefania Prestigiacomo-Gianfranco
Fini, perché me li vedo come due eroi romantici da Cime tempestose. Lei
e lui che condividono ideali, lei e lui che sfidano il destino, lei e
lui che sfidano i giornali, lei e lui che sfidano il partito, lei e lui
strada facendo. In fondo, se devo dirvi la verità, mi dispiacerebbe
davvero se non si fossero mai innamorati nemmeno per dieci minuti.
47 commenti to
“Prestigiacomo e Fini sono i nostri Bob Dylan e Joan Baez”
menodizero ha
scritto
24/12/2006 alle
ore 19:27
Rispetto le
opinioni delle direttrice anche se personalmente non ho ancora
conosciuto, nella mia ormai non più giovane vita, un politico (italiano,
europeo, mondiale, e di ogni schieramento) a cui riferirsi con
l’aggettivo “strepitoso” o da “adorare”…
In ogni caso il
paragone usato in questo articolo mi pare del tutto inappropriato e
irriverente per i Sigg. Dylan e Baez…
Nulla di più
lontano dalla coppia Fini e Prestigiacomo, in tutti i sensi.
Ma cosa avrebbero
creato o starebbero creando insieme questi due signori? Quattro ideuzze
in croce, sulle quali si ricredono peraltro a giorni alterni…ma per
favore!!!
Dylan e Baez
hanno segnato un’epoca, intere generazioni, il costume e la società solo
attraverso la creazione artistica…Il primo in particolare mai ha voluto
farsi tirare per la giacchetta dalla politica, di qualunque segno fosse,
e chi ci ha provato si è beccato una delle caustiche e velenose
risposte…
Dylan ogni anno è
tra i papabili per l’assegnazione del Premio Nobel alla letteratura…non
mi risulta altrettanto per Fini o per Prestigiacomo!!!
Certo, di tempo
ce n’è…chissà, nella vita mai dire mai, forse tra qualche anno un nobel,
magari per la pace, la coppia più bella del mondo se lo beccherà…se così
fosse, mi rimangerò tutto, cospargendomi il capo di cenere, a patto che
in quell’occasione a Stoccolma il duo salga a ritirare il premio
leggendo ad alta voce (no, cantarlo no!!!) il testo integrale di
“Masters Of War”, SENZA ARROSSIRE PER LA VERGOGNA!
Bleek ha scritto
27/12/2006 alle
ore 16:06
Ah…scusa,
mi sfugge se quello con il manganello era Dylan o la Baez…….
Ciao Andrea , sono pienamente
d'accordo con te , articolo no comment e paragone irriverente , non
trovo altre parole , ho fatto una ricerca veloce in Internet per vedere
chi fosse l'autore e , sorpresa , ho scoperto che si tratta della
direttrice di "GRAZIA" (
http://grazia.blog.it/2006/12/21/prestigiacomo-e-fini-sono-i-nostri-bob-dylan-e-joan-baez/
). Fermo restando il diritto di ognuno di esprimere le proprie idee , ho
trovato davvero inutile ed un tantino esagerato scomodare la Baez e
Dylan per un simile paragone . Mah...........almeno i commenti
all'articolo sono divertenti ! La coppia sarebbe perfetta.....Ti
ringrazio per la iniqua segnalazione :o) , ciao ed alla prossima .
Mr.Tambourine
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5242
ciao sai il
significato di knockin on heavens door di bob dylan?
riccardo
Ciao
Riccardo,
la canzone è stata scritta su commissione e dunque fa
riferimento ad un argomento preciso perchè quell'argomento serviva, ed
era stato chiesto a Bob.
Dylan infatti l'ha scritta per la colonna
sonora del film "Pat Garrett & Billy The Kid" scritto da Rudy Wurlitzer
e diretto da Sam Peckinpah e la canzone racconta la morte dello
sceriffo Colin Baker. Questi viene contattato dallo sceriffo Pat
Garrett (a caccia del fuorilegge Billy The Kid) per andare a catturare
alcuni dei complici del Kid e farsi rivelare da questi ultimi il
nascondiglio di Billy. Lo sceriffo Colin è un personaggio disilluso che
accetta solo per denaro di seguire Garrett: "Un giorno di questi quando
avrò finito la mia barca me ne andrò da questo maledetto territorio...
Tanto, ambizioni non ne ho mai avute...", dice a Pat mentre lavora ad
uno scheletro di barca che sta tentando di costruire per risalire il
fiume.
Nel verso "Mama take this badge off of me", Mama è il nome della
donna con cui lo sceriffo vive (nel doppiaggio italiano diventa
"Mamma") e che segue lui e Garrett fino al rifugio dei fuorilegge.
Nello scontro a fuoco che ne segue Colin Baker viene colpito
mortalmente e va a morire con il ventre squarciato dai proiettili
presso il fiume sul quale voleva fuggire con la sua barca mentre Mama
lo osserva in lacrime. In sottofondo Dylan canta una appropriata
"Knockin' On Heaven's Door"... Il "badge" è naturalmente la stella da
sceriffo che Colin indossa...
Se poi Dylan volesse dare alla canzone
anche un significato in chiave personale... quien sabe?
Ciao
Michele
"Napoleon in rags"
Ci sono due storie a tal proposito
, la prima dice che Billy fu ucciso da Pat Garrett , la seconda che
Garrett , fuorilegge , ladro di bestiame e compagno di Billy in gioventù
lo risparmiò inventando la storia dell'uccisione . Ho riportato qui
sotto le versioni delle due storie per completezza di informazione :
PAT GARRET & BILLY THE KID
Quien es, Quien es? La storia del "Kid"
Le storie della frontiera possiedono i caratteri contraddistintivi
dell’epica. Realtà e leggenda si compenetrano, fatti e personaggi che
pur provengono da un contesto reale sono circonfusi da un alone
favoloso. Le gesta degli eroi positivi e negativi che siano assumono
connotati e proporzioni straordinarie. Un’aura di romanticismo pervade
cronache di fatti che fuori da tale eccezionale contesto non
rivelerebbero alcunché di prodigioso. I racconti del West solleticano
l’immaginario collettivo, si alimentano gli uni degli altri,
ingigantiscono nella pratica del racconto orale, della fioritura
letteraria, qualche volta dell’iconografia fotografica. Billy The Kid,
come William Cody, come Wild Bill Hickock, come il generale Custer o
Cavallo Pazzo, appartiene a una galleria di personaggi mitici che
sconfina dalle pagine dei giornali, dai resoconti del tempo, per
divenire pura essenza mitologica.
Attorno alla vita di Billy The Kid germinò una pletora di scritti, più o
meno tendenziosi, spesso non aderenti alla realtà, liberamente affidati
al galoppare di sbrigliate fantasie. In qualche caso vi fu un grado di
affidabilità maggiore che produsse stesure più verosimili, aderenti
all’effettivo svolgersi dei fatti. Abbiamo cercato di raccogliere un po’
di dati per fare chiarezza e conoscere più a fondo la cornice di uno dei
più affascinanti dischi della storia del rock. La fonte principale da
cui derivarono varie biografie, buone o cattive, è "The autentic life of
Billy the Kid", diario dei fatti che proprio lo sceriffo Pat Garrett
stilò di propria mano, affidando la stesura definitiva al giornalista
Ash Upson. Henry McCarty nacque attorno al 1859 negli "slums" irlandesi,
nei quartieri più poveri di New York. Nel 1873 sua madre, vedova, si
risposò con William H. Antrim a Santa Fé, cognome che in qualche caso il
ragazzo mutuò.
Da adolescente Billy frequentò dubbie compagnie che lo indussero a
furtarelli, procurandogli una temporanea reclusione. La prima evasione
della sua vita passò per la cappa di un camino. Allontanatosi
definitivamente dalla casa materna, alternò un regolare lavoro presso
fattorie a furti di bestiame, conducendo una vita libera e selvatica.
Incline alla musica, buon parlatore e lettore, sensibile e brillante nei
rapporti personali, di modi cortesi benché facile a scoppi d’ira,
turbolento spirito libero, il 17 Agosto 1877 in Arizona, freddò un
prepotente che probabilmente non aveva accettato di perdere al gioco
d’azzardo, specialità nella quale il giovane "vaquero" sembrava
eccellere.
Da qui iniziò una vita randagia, raminga, per pascoli e alture, al di
sopra della legge, forte di un codice morale tutto personale che
escludeva la rapina a treni e banche, lo stupro, l’omicidio che non
fosse dettato dalle necessità della legittima difesa, della rappresaglia
per un’azione uguale. Ma non era un Robin Hood, non rubava ai ricchi per
dare ai poveri. Viveva la sua vita selvaggia, al di là del bene e del
male. Come William H. Bonney, nome che assunse non si sa per quale
ragione, si unì nel New Mexico alla banda dei Regolatori, finendo
coinvolto fino in fondo nell’annosa e cruenta faida fra Ragazzi e
Regolatori, durissimo conflitto che si protrasse dal 1878 al 1879 nella
contea di Lincoln.
Sir John Henry Tunstall, emigrato dall’Inghilterra nel 1876, era un
allevatore che aveva assunto alle proprie dipendenze Billy, entrando poi
in acerrima concorrenza con Lawrence G. Murphy, commerciante senza
scrupoli che, tramite malversazioni di ogni genere, si era costruito un
piccolo impero. Le prepotenze di Murphy si esplicavano in oscure trame
che impinguavano i suoi guadagni di agente indiano per i Mescalero, cui
forniva carni e verdure. Controllava le proprietà altrui, trafficava in
bestiame rubato, forte di collusioni governative che gli garantivano
impunità. Si circondò di teste calde pronte a difendere i suoi
privilegi, primo fra tutti James J. Dolan, uomo con la mano sempre
pronta sulla Colt. Tunstall, che comunque non sembra essere stato uno
stinco di santo, si associò all’avvocato scozzese Alexander McSween, un
passato discusso e mani in pasta per ciò che concerneva il mondo dei
cavilli legali. Il giovane possidente britannico fondò successivamente
la Lincoln County Bank, ampliò il suo giro d’affari entrando in aperto
scontro con un Murphy che aveva via via abbandonato gli affari,
delegando il losco Dolan alla gestione del patrimonio. Le due fazioni
entrarono in collisione quando Dolan, spalleggiato dallo sceriffo,
decise di aggredire Tunstall e i suoi. Dick Brewer, non meno equivoco
luogotenente del neo-banchiere, mise insieme una torma di tagliagole per
vendicare sottrazioni di cavalli avvenute troppo frequentemente.
Il 18 Febbraio 1878, Dolan assassinò Tunstall e iniziò una sanguinosa
reazione a catena. Gli appigli legali dell’avvocato McSween non poterono
trattenere la furia dei suoi uomini, i "Regolatori", tra cui Billy,
legato da sincera riconoscenza a Tunstall. Venne ucciso uno dei sicari e
trucidato assieme al suo sottoposto lo sceriffo Brady che aveva
minacciato di arrestare McSween. Due settimane dopo si scontrarono le
parti e Brewer perse la vita. La cittadina stava diventando un inferno e
ciò che era nato come un comune regolamento di conti si stava
trasformando nella cosiddetta Guerra della Contea. Gli scontri si
susseguirono puntualmente, McSween venne scagionato dalle accuse,
intervenne l’Esercito, il Presidente Rutheford B. Hayes si occupò in
prima persona della questione. La situazione divenne incontrollabile ed
esplosiva. Dolan fece eleggere un nuovo "marshall" che desse la caccia
ai Regolatori, rastrellando outlaws mercenari pronti a battersi per un
pugno di dollari. La piccola città di San Patricio fu distrutta. McSween
non rimase a guardare e assoldò una squadra di cinquanta uomini che
guidò a Lincoln, ai magazzini di Murphy. Cinque giorni durò la
sparatoria fino a quando non sopraggiunse la Cavalleria. I Ragazzi
incendiarono la casa di McSween e qualcuno dei Regolatori, fra i quali
il Kid, riuscì a sfuggire. McSween fu raggiunto da una raffica di
proiettili. L’incontenibile e truculenta lotta che nessuno sapeva
fermare si protrasse per un anno e la contea di Lincoln divenne una
jungla di fuorilegge, inchiodata al caos e all’arbitrio. Immerso in tale
irrefrenabile bagno di sangue, si schierò definitivamente anche Billy,
destinato a divenire uno dei capi dei Regolatori.
Esauritasi la vampa dell’odio per autoconsunzione, Billy sopravvisse con
l’usata pratica del furto di cavalli. Tentò una conciliazione con la
parte avversa organizzando una "fiesta" con gli antichi rivali. Ma un
uomo venne ucciso da Dolan e Billy si offrì di testimoniare contro
l’irriducibile nemico in cambio di una moratoria sui suoi carichi
pendenti. Dolan sfuggì tranquillamente alla legge e il Kid ritornò
all’abigeato, non mancando di farsi notare in qualche sparatoria. I
delitti a lui attribuiti ammonterebbero a quattro, nonostante qualcuno
gliene abbia ascritti ventuno. Un giornalista lo definì per la prima
volta "Billy the Kid", furono spiccate taglie (500 dollari la più alta)
e la leggenda trovò legna da ardere. Anche i trascorsi di Pat Garrett,
vecchio amico di Billy, eletto sceriffo per eliminare il pericoloso
bandito, non erano granché, essendo anch’egli noto alle autorità locali
a causa di un’antica attrazione per il bestiame altrui. Con un
accanimento implacabile e la velenosa costanza, caratteristica di chi
tradisce un amico in nome di una causa ritenuta superiore, Garrett si
mise sulle piste del vecchio compagno, braccandolo con scientifica
precisione. Lo scovò una prima volta a Fort Sumner, dove Billy protetto
dall’omertà dei peones che in lui avevano incarnato un piccolo eroe
locale, andava a svernare, già stanco di una vita a rischio che lo
teneva lontano dalle "senoritas" e dal buon tempo.
Fu l’antivigilia del Natale 1880. Cascarono nella rete il Kid e altri
quattro compagni. Charlie Bodrie restò sul campo, gli altri si arresero.
Billy fu processato e condannato all’impiccagione, con sentenza da
eseguirsi nell’Aprile 1881. Ma riuscì a cavarsela ancora una volta, dopo
due settimane di detenzione, lasciandosi la prigione alle spalle e i
corpi di due custodi stesi per sempre. La caccia senza quartiere
continuò implacabile. La notte del 14 Luglio 1881, Pat Garrett lo colse
nell’abituale rifugio di Fort Sumner. Danno da pensare le scarse cautele
che Billy prese per tutelare la propria vita. Era come calamitato da un
destino già scritto. Di questa ineluttabilità il Kid possedeva
un’imperscrutabile coscienza. Una stanza buia nella quale Pat si era
appostato. Penetrando l’oscurità, Billy avvertì una presenza estranea.
"Quien es,? Quien es?" ripeté, forse presagendo la fine. La risposta
immediata furono due pallottole, una delle quali lo raggiunse al cuore.
Garrett tornò dal suo committente compiuta la missione. Billy dimenticò
la Colt "Thunderer"41 e gentilmente bussò alla porta del cielo.
Alias, cioè tutto quello che vuoi tu - Quando Dylan incontrò Sam
Peckinpah
James Coburn e Kris Kristofferson furono chiamati a interpretare due
personaggi che per almeno venticinque volte erano già comparsi nella
storia del cinema. Nel 1958 Arthur Penn, con "Furia selvaggia" aveva
assoldato Paul Newman per riscrivere la storia del più famoso pistolero
americano di tutti i tempi. Ma una delle prime trascrizioni da un testo
letterario era arrivata con il regista King Vidor che, pescando da un
romanzo di Noble Burns, aveva diretto "Billy the Kid" nel 1939. Vale la
pena di ricordare, fra gli altri, anche "Billy the Kid returns" del
1938, di Joseph Kane, "The Kid of Texas" de1 1950, di Kurt Newmann, "The
outlaw is coming" del 1965, di Norman Maurer e "Dirty little Billy" di
Stan Dragoti, del 1972, in chiave anti-romantica. Negli anni più
recenti, la coppia "Young guns" (1988) di Christopher Cain e "Young guns
II - La leggenda di Billy the Kid" (1990) hanno riesumato il mito del
giovane fuorilegge. Alias non è un personaggio di fantasia. Sulle pagine
autobiografiche vergate da Pat Garrett il personaggio compare e riveste
un ruolo fondamentale, quale braccio destro del "Kid". Dylan non
conosceva a menadito l’opera cinematografica di Peckinpah ma si guardò
tutti i film disponibili dopo che ebbe ricevuto una telefonata da
Rudolph Wurlitzer. Il giovane amico, romanziere dell’East Coast di belle
speranze, già abbastanza conosciuto quale sceneggiatore di "Strada a
doppia corsia" di Monte Hellman, gli proponeva di entrare nel cast per
un film che Sam stava allestendo e per il quale aveva scritto la
sceneggiatura.
Anche Kris Kristofferson, protagonista del film insieme a James Coburn,
si adoperò perché Bob desse il suo consenso, conoscendo la sua passione
per l’ambiente messicano e l’epopea del West. Il regista di "Gangster
Story" a stento sapeva dell’esistenza di Dylan e non aveva mai ascoltato
le sue canzoni. Sfibrato dalle persecuzioni dello "Spazzino", al secolo
Jules Weberman, che screditava sistematicamente la sua onorabilità,
fermo da tempo, con il solo hit di George Jackson e la partecipazione al
concerto per il Bangladesh quali recenti e positive tappe della sua
carriera, Dylan, letto e approvato il copione, finì per accettare
l’invito e si spostò con tutta la famiglia, alla fine di novembre, a
Durango, presso la Sierra Madre, città di fiorente malavita e di poche
attrattive. Vi rimarrà, eccettuate saltuarie escursioni, per tre mesi,
dalla fine del 1972 al marzo del 1973. Era curioso di conoscere il mondo
della celluloide dall’interno, benché fosse destinato a trarne
conclusioni negative. Ben pago della piccola parte che gli era stata
ritagliata, sebbene Wurlitzer gliene avrebbe affidata volentieri una
anche più grande, enigmatico e ironico tipografo, pard di Billy, Dylan
ricevette il compito di occuparsi della colonna sonora, componendo le
canzoni necessarie all’uopo. Alias è un personaggio sdrammatizzante, un
misterioso "buffo" la cui presenza lieve allenta il respiro tormentoso e
crepuscolare della storia.
I suoi interventi smorzano dunque i toni tetri e scuri delle scene,
stemperando quel senso di ineluttabilità che incombe ovunque. Chiuso in
un inespugnabile mutismo del quale pagavano le conseguenze non solo i
giornalisti, accuratamente evitati, ma anche la moglie Sara, Dylan si
mise all’opera e il secondo giorno di riprese stava già provando Billy.
Peckinpah, convinto dalle pressanti insistenze del trio Kristofferson,
Wurlitzer, Coburn che caldeggiavano la partecipazione di Bob, si appartò
con il folksinger e dalla stanza dove Dylan gli aveva eseguito qualche
canzone, uscì completamente entusiasta. Si consolidarono quindi una
stima e una fiducia reciproca, unitamente a una comune visione di
intenti nella lettura del film. Ombroso, romantico, pervaso di fatalità,
scandito da una cadenza molto lenta, il film subì i rimaneggiamenti e le
limitazioni imposte da una produzione miope, preoccupata di risparmiare
sui costi, insensibile alle esigenze artistiche e alla linea che
Peckinpah voleva seguire, accusando il regista di deviare largamente
dagli obbiettivi iniziali. Diverse scene furono brutalmente tagliate
senza il consenso di Peckinpah (fra le altre, una dove il regista
interpretava il ruolo di un becchino, la scena iniziale in cui Garrett è
abbattuto da Poe) e le musiche composte da Bob, ad eccezione di Knockin’
On Heaven’s Door, sparpagliate qua e là senza costrutto, mai
sincronizzate con i tempi delle sequenze. Un incidente tecnico, la
caduta di una macchina da presa, falsò alcune riprese, dando agli sfondi
una luce opaca e sfocata.
La MGM e il suo produttore Gordon Carroll ostacolarono il rifacimento
delle scene rovinate e, all’insaputa di tutti, solo qualche breve tratto
fu girato nuovamente. I giorni a Durango furono un inferno per Dylan e i
suoi familiari, oppressi dalla noia, da insofferenza e insoddisfazione,
tutti desiderosi di tornarsene a casa e di attendere ai propri casi, non
ultimo il ritorno ai tour dopo ben otto anni di assenza dalle arene. Nel
Febbraio 1973 finirono le riprese e si diede il via al montaggio. Le
registrazioni che erano state iniziate in un granaio-studio,
proseguirono con risultati deludenti a Città del Messico, negli studi
CBS, per essere completati ai Burbank Studios di Hollywood, dove il
suono trovò i giusti ingredienti. "Pat Garrett e Billy The Kid" arrivò
nei locali cinematografici nell’estate 1973, alterato nel ritmo,
nell’assemblaggio delle scene, tradendo, almeno in parte, quelle che
erano le aspettative di regista e cast. Tutti ne restarono delusi e la
critica, per prima, non sempre fu benevola nei confronti della
pellicola. Dylan stesso non mancò di esternare il suo rammarico per il
risultato finale. Qualche anno dopo "Renaldo and Clara"(1978) ribadirà
con la sua discussa, ambigua, ciclopica realizzazione, un rapporto mai
completamente sviluppato e armonico fra Dylan e il cinema, destinati ad
attrarsi e a respingersi nello stesso tempo.
La porta del cielo
"A loro non piace che tu sia così libero" "Ci sono pistole oltre il
fiume pronte a mirare contro te, lo sceriffo sta seguendo la tua pista
per prenderti, cacciatori di taglie vorrebbero anche loro agguantarti,
Billy a loro non piace che tu sia così libero. Accampato tutta la notte
nella berenda, giocando a carte fino al sorgere del sole nell’hacienda,
lassù a Boot Hill vorrebbero spedirti, ma Billy non mi voltare le
spalle. Corteggiando qualche senorita che nel suo scuro corridoio ti
porterà al buio in qualche posto solitario, lei ti saluterà, Billy sei
così lontano da casa…" Con questi versi e altri Dylan accompagna Billy
the Kid sulla soglia dell’immortalità. La musica che vestirà queste
liriche sembra essere già stata scritta da un ispirato Orfeo della
sierra che veglia da anni sull’agave e sul cactus, sulle scabre rocce
rossicce e sulle sponde del Rio Grande, sui tavoli delle posade
imbandite di tequila e tortillas, sul galoppo di broncos, criniere al
vento. Dylan ha disseppellito una melodia che era inabissata da qualche
parte. Peckinpah aveva imparato ad ammirare Dylan ma non poté impedire
l’ingaggio di Jerry Fielding, uno specialista in colonne sonore, perché
coordinasse il lavoro di Bob e lo instradasse sul giusto binario.
Precedentemente, durante gli uggiosi giorni sul set, Dylan aveva
effettuato lunghe prove in uno studio di fortuna, mettendo su nastro i
suoi tentativi di abbozzare qualche canzone per il film. Una sera di
gennaio, con Kris, Rita Coolidge e Coburn, con i musicisti di
Kristofferson, si era prodotto in una Will The Circle Be Unbroken,
anthem della country song. Aveva anche preparato una Holly’s Song che
poi verrà esclusa dal disco. Il contributo di due sessionmen messicani,
trombettisti, si era rivelato infruttuoso. Organizzò pertanto un viaggio
a Mexico City per registrare qualcosa. Kristofferson che si era portato
i suoi musicisti perché potessero togliersi la soddisfazione di suonare
con Dylan, si scontrò con la legislazione messicana che prevedeva un
musicista locale per ogni artista "gringo" che partecipasse alle
incisioni. Ci furono anche dei malintesi fra Kris e Bob e, soprattutto,
ce ne furono fra questi e i musicisti, ai quali secondo un uso
frequentissimo Dylan comunicava a stento gli accordi da eseguire,
procedendo per proprio conto per tutta la durata dei pezzi. Disagio che
cento altri fra i quali Mike Bloomfield testimonieranno negli anni a
venire.
Dylan non era soddisfatto delle svariate versioni che di Billy erano
state registrate. Ne sopravviveranno tre sul disco, decisamente diverse
l’una dall’altra, sia nell’esecuzione strumentale che nell’impostazione
vocale. Con la politica del carciofo, Dylan ridusse il gruppo
accompagnatore, eliminando prima le trombe, poi la batteria e infine la
chitarra elettrica. Con il bassista Terry Paul salvò una versione
essenziale ma pregnante, denominata Billy 4, comparsa poi nella seconda
facciata del "soundtrack". Sparito anche il brano Goodbye Holly
(torneranno mai alla luce tali inediti?), Dylan si riservò gran parte
delle registrazioni per le session californiane. Fielding cercò di
rivoluzionare tutto, trovandosi di fronte un interlocutore stranamente
docile e disponibile. Pretendeva di far cantare a Dylan una strofa di
Billy in svariati punti del film. Le cose presero poi una piega diversa.
Fa pensare che Knockin’ On Heaven’s Door (relata refero) fu definita da
Fielding "una cacata mostruosa". In California le sedute ebbero
risultati diversi e ottimali. Con Jim Keltner alla batteria, il
chitarrista Bruce Langhorn, il bassista Terry Paul della band di Kris e
la stella, Roger McGuinn, Dylan lavorò al meglio.
Donna Weiss, Brenda Patterson e Priscilla Jones coprirono la parte
rilevante di quei cori che grande ruolo avrebbero avuto nella fortuna
dei pezzi cantati. Riferisce Clinton Heylin, al cui prezioso lavoro ci
siamo abbondantemente riferiti nel redigere queste pagine, che con rara
accondiscendenza Dylan avesse costruito le musiche per il film più in
ottemperanza alle idee del regista che alle proprie. Pat Garrett & Billy
The Kid, fu pubblicato nel 1973 dalla CBS e come un vino di grande
qualità ebbe bisogno di qualche anno per essere apprezzato pienamente
dalla critica specializzata. Ci fu una netta spaccatura fra la risposta
del pubblico e quella degli esegeti. Ai "Che cos’è questa merda?" di
Greil Marcus, "Semplicemente orrendo" di John Landau, risposero i fan
assetati di Zimbo, scaraventando il singolo nei Top 30, avvenimento che
non accadeva dai tempi di Lay Lady Lay. Dylan si stizzì per
l’accoglienza ricevuta dalla critica e forse covò la sua vendetta
ponendo le basi per il capolavoro che sarà Blood On The Tracks. Ma a
distanza di anni, a bocce ferme, la colonna sonora che veste le imprese
di Pat Garrett ha un suo irresistibile fascino, indipendentemente
dall’apogeo toccato con Knockin’ On Heaven’s Door. Dedicato a Peckinpah,
il disco si apre con uno splendido strumentale in cui giganteggia la
chitarra di Bruce Langhorn con i suoi suadenti fraseggi.
È l’atmosfera "caliente", messicaneggiante che Dylan adorava e che
riproporrà poi in Romance In Durango. Cadenzata e contrassegnata dal
costante rullio dei bongos di Russ Kunkel segue Cantina theme(Workin’
for the law). Langhorn affianca Jim Mc Guinn, ali abituate ad alte
quote, per un brano interlocutorio, meno magico del precedente, ma
pronto a suggerire colori e aromi della sierra. Billy 1 parte con
l’armonica che disegna il tema portante, mentre le chitarre
costituiscono un solido tappeto sonoro. Dylan canta con un pathos fuori
ordinanza una canzone ariosa e soleggiata, fra il pulsare del basso e un
intreccio di corde arpeggiate. Bunkhouse Theme è ancora uno strumentale,
solo Dylan e Carol Hunter. Una notte calda, ridondante di stelle, nel
patio. Scintillio di arpeggi e una fitta di nostalgia in fondo al cuore.
Conclude la facciata River Theme i cui vocalizzi volteggiano sul fondo
di basso e chitarre. Brano estatico, contemplativo, con la voce di Byron
Berline che si aggiunge a quelle femminili. La seconda facciata si apre
con il luccicante strumentale Turkey Chase, old-time trasportato dal
facondo fiddle di Byron Berline e dal Jolly Roger che altri non è che
l’ex leader dei Byrds. È una preparazione all’epos del brano guida.
Eccola Heaven’s Door, con Dylan che lancia la sua preghiera alle stelle.
Un giro di accordi che ti entra nelle dita e che suoni naturalmente se
solo sei vicino a una chitarra. Un lamento funebre di angelica
consistenza, un ode che è uno dei sigilli base fra le mille ballate
rock.
Qualcuno spieghi ai "kids" che i Guns & Roses non c’entrano. Si
affiggano manifesti per le strade dove sia scritto a caratteri cubitali
che questa canzone è di Dylan, solo di Dylan. Dopo questo lampo, il
disco procede coerente lungo la sua linea. Final Theme, uno strumentale
di grande rilievo con il flauto di Gary Foster che conduce la melodia.
Con le chitarre, l’inconfondibile jingle jangle di Roger McGuinn
inghirlanda uno strumentale ricco di pieni melodici. Altre due versioni
di Billy chiudono il disco: Billy 4, session messicana sopravvissuta in
cui ci sono soltanto Dylan e Terry Paul, come sarà su Blood On The
Tracks, sinfonia introdotta dal nobile preludio di Planet Waves. Dylan
canta con voce sfacciata, hobo e gambler, viandante del sogno. È lui
alla chitarra, con il suo tocco asciutto ed è lui, naturalmente, nel
devastante finale di armonica. Billy 7 è molto più lenta. Anche la voce
ha un timbro più profondo. Scandisce, tesse piccoli fili. È questa una
versione ancora più intima e confidenziale, quasi sussurrata
all’orecchio. A lume di candela, nel nerofumo di una cantina, fra botti
di tequila e di vino odoroso. Fa solecchio accostando le mani sulla
fronte, il vecchio Bob, cercando una luce lontana che illumini diafane
figure di cavalieri.
Qualcuno laggiù, nelle riserve indiane, giura che quando il tramonto si
tuffa nel grande pozzo della notte Billy The Kid sfianchi ancora il suo
purosangue in lunghe cavalcate selvagge, al chiarore della luna. Giurano
che canti una triste canzone. A voi che leggete questa storia e siete
arrivati fino in fondo io so che è stata data in dono la possibilità di
avere questa visione. Il grande spirito vi protegga e vi accompagni,
amici per sempre, miei navajos.
di Francesco alias Caltagirone, tratto dalla rivista Late For The Sky,
n. 47, luglio 2000
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Il test del DNA per Billy The
Kid
A cura di Omar Vicari
Brushy Roberts
In un giorno di caldo torrido, più o meno attorno al 1948, in una di
quelle “Highways” solitarie del Sud-Ovest degli Stati Uniti, un cronista
di un giornale locale aspettava qualcuno in un punto prestabilito
dell’autostrada. All’ora convenuta, un qualcosa di irreale, certamente
una figura d’altri tempi sbucata chissà da dove, gli si parò davanti gli
occhi.
Un vecchissimo cowboy con un’altrettanta vecchia colt appesa a un lurido
cinturone cominciò a dire che Pat Garrett non l’aveva ucciso. No, non
poteva averlo fatto visto che ora era là e che poteva finalmente gridare
al mondo come erano andate le cose dal momento che era vivo.
Il Kid, scappato alla pistola di Garrett quella notte del 13 luglio
1881, se cosi fosse, sarebbe vissuto per altri settanta anni col nome di
Brushy Bill Roberts nella città di Hico (Texas), dove sarebbe morto nel
1950 per un attacco di cuore.
Siamo ai confini della realtà in cui è lecito credere tutto e il
contrario di tutto. La questione, comunque, per quanto singolare, è
aperta alle più svariate ipotesi e quanto è accaduto già per Jesse
James, Butch Cassidy e Sundance Kid, ora vale anche per William Bonney,
alias Henry Mc Carty, ovvero Billy the Kid.
Nell’estate del 2003 è stato annunciato sulla stampa americana che
sarebbe stata fatta un’indagine sui misteri che ancora circondano la
morte di Billy the Kid.
A distanza di circa un secolo si vuole sapere, una volta per tutte, se
il desperado è stato realmente ucciso quella notte di luglio del 1881
dallo sceriffo Pat Garrett a Fort Sumner (New Mexico).
Doppio ritratto per colui che
dichiarava di essere Billy The Kid
Le persone deputate a condurre le indagini sono lo sceriffo della contea
di Lincoln Tom Sullivan, il suo amico Steve Sederwall e il nuovo
sceriffo della contea di Baca, Gary Graves.
Lo scopo dei tre è riesumare i resti del famoso fuorilegge situati nel
vecchio cimitero di Fort Sumner e quelli di sua madre, Catherine Antrim,
in quello di Silver City. Una volta fatto questo, comparare il loro DNA
con quelli di Brushy Bill Roberts e di John Miller, due pittoreschi
personaggi che hanno gridato al mondo di essere loro il vero Billy the
Kid.
I tre uomini di legge hanno affermato che il loro scopo era
salvaguardare la “reputazione” di Pat Garrett, accusato da più parti di
aver ucciso un innocente e di averlo fatto passare per Billy the Kid,
mentre il vero fuorilegge scappava da Fort Sumner. L’identificazione
certa del corpo del giovane desperado fugherebbe in tal modo ogni
possibile dubbio sul fatto che William Bonney possa essere arrivato a
vivere sino alla vecchiaia.
Sfortunatamente la tomba di Billy the Kid è stata spazzata via
dall’alluvione del fiume Pecos nel settembre del 1904 e l’attuale
collocazione della pietra tombale del fuorilegge non corrisponde alla
posizione originale. Una riesumazione dei resti per un eventuale ”
cross-match ” del DNA sarebbe di conseguenza quantomeno opinabile.
Billy The Kid
William Bonney, dopo l’assassinio di Pat Garrett (perché di assassinio
si trattò), fu veramente sepolto nel vecchio cimitero di Fort Sumner, ma
è anche vero che la sua tomba rimase non contrassegnata per più di
trenta anni dopo che il cimitero, come già detto, subì l’alluvione del
fiume Pecos nel 1904. Il cimitero riportò notevoli danni tanto che i
resti di molti scheletri che affioravano da fosse non contrassegnate
dovettero essere seppelliti di nuovo in tutta fretta, cosa che creò una
plausibile confusione.
In sostanza, dopo l’alluvione il cimitero non esisteva più e, complice
il caos più completo, fu impossibile identificare i resti di quei corpi.
In altre parole il corpo di William Bonney era sicuramente tra quelle
salme, ma sapere con certezza quale fossero i suoi resti tra quelli
affioranti dal fango era impresa ardua.
Nel 1932 una nuova pietra tombale venne sistemata in memoria di Billy
the Kid, ma la probabilità che sotto possano esserci le ossa del Kid è
assai scarsa. Certo, al fine di ritrovare con certezza i resti del Kid
si potrebbero scoperchiare tutte le numerose tombe del vecchio cimitero
e prendere da ogni salma alcuni reperti da analizzare in laboratorio, ma
questo sarebbe un lavoro impegnativo, per di più dispendioso a cui
bisognerebbe aggiungere la considerazione di violentare le tombe di
altre persone con aspetti legali non indifferenti.
Catherine Antrim
Per ciò che riguarda la madre del Kid, la tomba di Catherine Antrim fu
trasferita nel 1882 quando venne deciso di spostare il vecchio cimitero
di Silver City fuori dall’abitato della città.
Non ci sono prove che i resti della madre di Billy siano stati di nuovo
sepolti nel modo appropriato.
La persona che a suo tempo si occupò dei trasferimenti delle varie salme
era l’acquirente dell’intera area del cimitero adibita in seguito per
altri usi. Quella persona dovette occuparsi della riesumazione e poi
della successiva nuova sepoltura delle varie salme in un’altra area.
Non esiste un documento che accerti l’esecuzione appropriata del lavoro,
anzi esiste la possibilità che più salme siano state risistemate insieme
o anche singolarmente, ma senza una precisa indicazione. Questo potrebbe
essere accaduto per Catherine Antrim.
Così, se si volesse pensare a una riesumazione dei resti della madre del
Kid, la probabilità di avere a che fare coi veri reperti di Catherine
Antrim sarebbe pari a zero.
William Antrim
Se poi con testardaggine si volesse comunque procedere a un
“cross-match” tra gli eventuali reperti provenienti dal cimitero di
Silver City con quelli di chi Dio solo sa di Fort Sumner e la prova
desse esito negativo (cosa assai probabile), questo non vorrebbe dire
che il Kid non sia mai stato sepolto lì e che sia veramente vissuto sino
in tarda età. Semplicemente bisognerebbe ammettere che non sono stati
testati i resti del vero William Bonney oppure quelli della madre.
E’ molto facile che, dopo 122 anni, i resti del Kid (129 per quelli
della madre) si siano quasi completamente decomposti e che sia rimasto
poco o nulla di lui.
Per quanto riguarda Brushy Bill Roberts, secondo le sue affermazioni,
Catherine Antrim non sarebbe stata sua madre, ma una sua lontana parente
e questo fatto di per se già alimenta seri dubbi sul risultato di
un’analisi genetica tra i suoi resti e quelli (presunti) della Antrim.
Insomma in poche parole non ci vuole un genio per capire che il test del
DNA tra i vari reperti possa risolversi in una bolla di sapone e che non
aggiunga niente di più a quanto già conosciamo del Kid.
Sebbene a corto di storia e privi dei più elementari strumenti di
archeologia, i tre investigatori hanno creduto che la loro posizione, in
quanto rappresentanti della legge, potesse autorizzarli a occuparsi di
cose delle quali non hanno competenza. Ma proprio in quanto esperti in
cose legali dovrebbero capire che l’esecuzione del test del DNA con
reperti di dubbia provenienza sarebbe cosa assurda, il cui risultato
sarebbe solo quello di inquinare il test stesso. In simili circostanze i
campioni di DNA verrebbero sicuramente invalidati in un qualsiasi
tribunale.
E’ lecito chiedersi se, aldilà della “salvaguardia della reputazione di
Pat Garrett”, alla base della questione non ci siano altri motivi come
per esempio denaro o speculazioni pubblicitarie con l’intento magari di
incrementare il turismo nel New Mexico.
Coloro che si oppongono ai test genetici e tra questi giornalisti,
storici ecc., non sono infastiditi più di tanto dal fatto che Brushy
Bill Roberts o altri reclamino al mondo di essere il vero William
Bonney. E’ risaputo che ormai da circa 122 anni il corpo del Kid riposa
da qualche parte nel cimitero del vecchio Fort Sumner ucciso a
tradimento da una pallottola di Patrick F. Garrett.
A testimonianza del fatto ci sono numerose prove e sarebbe ormai
auspicabile una volta per tutte porre fine alla discussione anche se
probabilmente ci sarà sempre qualcuno che continuerà a pensare che il
Kid quella notte sia veramente sfuggito a Garrett e che in qualche modo
sia vissuto sino alla vecchiaia in Texas.
Data la dubbia provenienza dei reperti, il “cross-match” del DNA
risulterebbe sicuramente non attendibile e rischierebbe di aggiungere
nuove ombre alla storia di Billy the Kid. La più che certa negatività
del test oltretutto potrebbe avere anche ripercussioni negative sul
turismo del Nuovo Messico. In definitiva, la riesumazione di reperti
certamente dubbi e l’esecuzione su di essi del test del DNA non
apporterebbe nulla di concreto se non quello di arrecare danno sia allo
storico cimitero di Fort Sumner che a quello di Silver City.
E' tutto , ciao :o)
Mr.Tambourine
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