MAGGIE'S FARM - SITO ITALIANO DI BOB DYLAN

             

           

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THE  BEATEN  PATH

THE DYLAN'S PAINTINGS AND THE REAL PLACES

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Mercoledì 30 Settembre 2020

Talkin' 10968 - duluth49

Oggetto: The Bootleg Series Vol. 8 - Tell Tale Signs: Rare and Unreleased 1989-2006

Ho una piccola curiosità, vorrei sapere l'album in oggetto contiene tre cd di magnifiche liriche. Mi piace particolarmente HUCK'S TUNE, dato il mio scarso inglese qualcuno saprebbe dirmi dove il Ns. BOB ha trovato questa melodia. Nelle note di questa canzone si legge testualmente: From "Lucky You" soundtrak. Criteria recording Studio Miami May 12.13. 2006. Un grazie come sempre al grande Tambourine per il suo immenso lavoro.
Saluti Marcello.

Caro Marcello, non ci sono molte notizie su questo brano, molti siti attribuiscono il brano a Bob Dylan, invece il sito ufficiale di Bob
https://www.bobdylan.com/songs/hucks-tune/  non lo cita ne come autore delle parole e nemmeno della musica.
L’unica cosa sicura è che il brano fa parte della colonna sonora del film drammatico americano del 2007 “Lucky You”, diretto da Curtis Hanson e interpretato da Eric Bana, Drew Barrymore e Robert Duvall. Il film è stato girato in esterni a Las Vegas. La sceneggiatura era di Hanson e Eric Roth, ma il film è stato parzialmente ispirato dal film di George Stevens del 1970 The Only Game in Town.
Se qualcuno dei nostri amici ha notizie maggiori certamente ce lo farà sapere. Ciao, un abbraccio, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Martedì 29 Settembre 2020

Talkin' 10967 - samuconf93

Ciao Mr. Tambourine,
Leggendo i recenti post di alcuni lettori, e anche il tuo, mi vedo costretto a mettere un pò d’ordine in relazione all’articolo “Bob Dylan: poeta o buffone?”, l’intervista di Rai Cultura ad Alessandro Carrera. L’intervista è presente da anni e anni sulla Farm:
http://www.maggiesfarm.eu/poetaobuffone.htm 

Come si nota da ciò e dall’introduzione, nella quale si cita “La Voce di Bob Dylan” come libro del 2001, mentre ormai ovunque si cita l’edizione ampliata e ristampata del 2011, l’intervista risale al 2004/2005, il periodo durante il quale Alessandro Carrera stava traducendo per Feltrinelli l’autobiografia di Bob Chronicles Vol. 1. Inoltre, sempre ripercorrendo l’intervista, si noterà che l’ultimo album citato per quanto riguarda la discografia di Bob Dylan è “Love and Theft” (2001). E non c’è neppure una menzione al Premio Nobel, al quale sarebbe impossibile non fare riferimento in un’intervista che riguarda Bob e la poesia.
Come spesso capita con “mamma Rai”, l’errore è di casa. L’intervista, risalente a più di quindici anni fa, è stata pubblicata sul portale web Rai soltanto l’anno scorso e non riporta - cosa gravissima - la data originale del pezzo. Non c’è, inoltre, alcuna nuova autobiografia di Bob in corso di traduzione, quantomeno per ora.

Attenzione, quindi, e mi riferisco a tutti, a verificare con più accuratezza le fonti sul web, perché si rischia di incappare in fake news colossali!
Un caro saluto, Samuele Conficoni

Hai ragione da vendere caro Samuele, però avrai notato che nella mia risposta a Stefano Catena ho citato una Talkin' del 2009 con relativa risposta del Prof. Carrera. Se poi mamma Rai incappa in qualche errore di datazione può anche starci, nessuno è perfetto, nemmeno noi che, pur tacciandoci di essere esperti in materia dylaniana, ogni tanto incappiamo in qualche errore, ma lo si fa in buona fede e con le migliori intenzioni, non certamente con l'intento di fare gli spacciatori di fake news :o(((! Comunque grazie davvero per la tua giusta puntualizzazione! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Lunedì 28 Settembre 2020

Talkin' 10966 - catestef

Oggetto: Carrera biografia Dylan

Ho letto nell'articolo da te pubblicato Bob Dylan: poeta o buffone? - Intervista al musicologo Alessandro Carrera
che Carrera sta curando l'autobiografia di Bob Dylan. Si può sapere qualche cosa in più, in anticipo?
Grazie, Stefano C.

Ciao Stefano, avrai notato che l'intervista fatta al prof. Carrera è datata 2019. Io ricordo a tal proposito che nella Talkin' 5600 di Lunedi 26 Gennaio 2009 l’amico Francesco da Pompei ci scrisse chiedendo notizie di Chronicles Vol. 2., io girai la domanda al Prof. Alessandro Carrera, che aveva tradotto in italiano Chronicles Vol.,1 che così mi rispose:
Caro Mr.Tambourine,
anch'io ho ricevuto voci. Dicono che il secondo volume di Chronicles dovrebbe essere pronto per questa primavera, mentre altre voci dicono che sara' pronto un nuovo album in studio, oppure che sara' registrato in primavera, quindi sara' disponibile in estate o in autunno, ma davvero non so di piu'.
A presto! Alessandro.

Se ne parlò ancora sporadicamente negli anni a seguire con notizie più o meno veritiere che dicevano che a causa del cambiamento dell’Editore non sarebbe stato il Prof. Carrera a far la traduzione. Si parlò poi di una uscita nel dicembre 2019
https://www.amazon.it/Chronicles-2-Bob-Dylan/dp/0743230779
ma ancora oggi non ci sono notizie in merito e non si sà se e quando sarà pubblicato questo fantomatico Vol. 2 delle Chronicles.
Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Sabato 26 Settembre 2020

Bob Dylan: poeta o buffone? - Intervista al musicologo Alessandro Carrera                clicca qui

 

 
Venerdì 25 Settembre 2020

Quando Bob Dylan pubblicò un flop… di proposito                                                 clicca qui

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Workingman's blues # 2 - The Blackstones

 

 

 
Martedì 22 Settembre 2020

Talkin' 10965 - flavio.poltronieri

Cari Amici, vorrei segnalarvi il cd DYLANIANDO. Registrato il 7 novembre 2016 da Lorenzo Riccardi con Plinio Fraccaro alla chitarra e Ivano Grasselli al basso acustico, contenente 6 canzoni di Bob Dylan (3 tradotte in italiano), suonato in diretta durante le prove per il concerto di Spaziomusica a Pavia, in occasione del Premio Nobel + un estratto video della serata con 4 canzoni impreziosite da Betti Verri alla voce e Silvia Mangiarotti al violino. Per ordinarlo: lorenzo@lorenzoriccardi.it

Flavio Poltronieri

Grazie per la segnalazione Flavio, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

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LE GRANDI COVER...........

Joe Cocker - Watching The River Flow - 31 October 1980 - Metropol, Berlin

 

 

 
Lunedì 21 Settembre 2020

Bob Dylan per sempre: il mosaico frammentario di una leggenda                            clicca qui

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I chitarristi più importanti della carriera di Bob Dylan                                               clicca qui

 

 
Sabato 19 Settembre 2020

Talkin' 10964 - aurtag62

Oggetto: Ancora D.J.

https://pitchfork.com/news/bob-dylan-is-bringing-back-his-theme-time-radio-show/
Ciao e grazie per il tuo lavoro!
Aurelio

Grazie per la segnalazione Aurelio, avevo letto anch'io la notizia ma ti cedo volentieri l'anticipo! Comunque a partire dal 21 settembre fino al 28 settembre l'emittente statunitense riproporrà i vecchi episodi di “Theme time radio hour” ed inoltre ci sarà anche una puntata inedita della durata di poco meno di due ore intitolata “Whiskey”. Peccato che non sia un ritorno vero e proprio, ma con Bob non si può mai sapere!!! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

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Bob Dylan torna al "Theme time radio hour"                                                             clicca qui

 

 
Venerdì 18 Settembre 2020

Così scrivevano...........

LA REPUBBLICA INVISIBILE DI BOB DYLAN                                                            clicca qui

INTERVISTA A GREIL MARCUS di Paolo Vites - per la rivista "JAM"

 

 
Giovedì 17 Settembre 2020

Ma tu l'hai capito Bob Dylan?                                                                                     clicca qui

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Quando Bob Dylan apparve per la prima volta in California                                      clicca qui

 

 
Mercoledì 16 Settembre 2020

Bob Dylan per sempre: il mosaico frammentario di una leggenda                            clicca qui

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Dylan ama, Dylan ruba - di Leonardo Tondelli                                                              clicca qui

 

 
Martedì 15 Settembre 2020

Talkin' 10963 - ggmanca

Gentilissimi,
Propongo un articolo di approfondimento su alcune canzoni dylaniane del passato. Mi piacerebbe vederlo pubblicato sul sito.
Con i migliori saluti,
GGManca

Gemme dylaniane: la musica di Bob Dylan negli anni del 45 giri

La discografia di Bob Dylan, la circostanza è ben nota ai suoi estimatori, è sterminata. A una discografia “ufficiale” che si compone di circa quaranta titoli si sommano le oltre trenta uscite di dischi spesso doppi o tripli che contengono materiale antologico o registrazioni dal vivo oppure facenti parte di bootleg o, ancora, contenenti versioni alternative di canzoni pubblicate in album e mai distribuite precedentemente. I singoli pubblicati dal cantautore americano a partire dal 1962, poi, sono ancora più numerosi. Essi di norma riproducono brani pubblicati anche su album, e tuttavia alcune splendide songs dylaniane risultano pubblicate unicamente su singolo ancora oggi mentre altre, in anni successivi rispetto alla loro prima uscita, sono state incluse in raccolte antologiche come “Biograph”, "Bob Dylan's Greatest Hits Vol. II" e "Masterpieces". Parliamo di alcune di queste canzoni.

Nella sua versione definitiva “Positively 4th Street” fu registrata a New York il 29 luglio 1965 e anticipa un altro grande singolo di Bob inciso in quel periodo di grandi cambiamenti (non solo per Dylan ma per tutta la musica rock in generale). Il brano, una robusta ballata elettrica tipicamente dylaniana, uscì solo su singolo (con “Can you please crawl out your window?” fu poi inserita in “Biograph”, raccolta di tre CD, nel 1985). La sua apparizione sul mercato discografico può essere collocata temporalmente tra l’uscita degli album “Highway 61 Revisited” e “Blonde on Blonde”. I musicisti che realizzarono la canzone in studio rispondono ai nomi di Robert Gregg (batteria), Russ Savakus (basso), Frank Owens (pianoforte), Al Kooper (organo) e Mike Bloomfield (chitarra); alcuni di essi parteciparono alla realizzazione di entrambi gli album citati, altri suonarono solo in “Highway 61 Revisited” o solo in “Blonde on Blonde”. Il singolo, di un genere che fu subito definito folk-rock, scalò le classifiche di vendita. Rileva lo storico biografo di Dylan, Anthony Scaduto, che tale genere divenne quello preferito degli affaristi di una nuova Tin Pan Alley che non facevano che ripetere a cantanti autori e musicisti: “Ragazzi, buttatevi sul sound alla Dylan: è il genere che va”. Sulla scorta del gradimento di cui aveva iniziato a godere la musica di Dylan, la casa discografica Columbia fece appunto uscire i due 45 giri di grande successo “Positively 4th Street” e “Can you please crawl out your window?”. Alcuni versi di “Positively 4th Street” (“Hai proprio una grande faccia tosta/A dire che sei mio amico/Quando ero giù/Te ne stesti lì sorridendo/Hai proprio una grande faccia tosta/A dire che puoi dare una mano/Hai solo voglia di stare dalla parte/Della squadra che sta vincendo/”) e tutta la canzone in generale sembrerebbero alludere a dissapori maturati da Dylan nei confronti degli ambienti del folk tradizionale da cui si era già allontanato per abbracciare le sonorità elettriche del rock. Al riguardo il cantante di Duluth ha ufficialmente smentito tale interpretazione. Tra le covers più conosciute di “Positively 4th Street” vi sono quelle di Beatles, Byrds e Lucinda Williams.

“Can you please crawl out your window?”: il brano viene registrato durante le sedute di registrazione di “Blonde on Blonde”. Nell’incisione, che sul mercato discografico fu pubblicata come singolo nel 1965, Dylan è magistralmente accompagnato da The Hawks, futuri "The Band" (Robbie Robertson alla chitarra, Rick Danko al basso, Richard Manuel al pianoforte, Garth Hudson all’organo e Levon Helm alla batteria). La canzone risulta inserita nella discografia dylaniana come 45 giri fino al 1985, anno in cui viene inclusa nella raccolta "Biograph", contenente materiale la cui datazione è compresa tra il 1961 e il 1981. Da segnalare, tra le covers, quella della Jimi Hendrix Experience, che eseguì in pieno stile garage tipico dell’epoca, per la radio della BBC, una versione incendiaria della canzone (il brano è contenuto nel postumo hendrixiano “BBC Sessions”, pubblicato per la MCA Records nel 1998) e quella di Wilko Johnson e Roger Daltrey, pubblicata più di recente sul loro album “Going Back Home” del 2014. Ancora: di "When I Paint My Masterpiece" Dylan registrò una versione nei primi mesi del 1971 con la supervisione artistica di Leon Russel, che nel brano suona anche il pianoforte. La formazione di musicisti che eseguono il pezzo è composta da Jesse Ed Davis (chitarra), Don Preston (chitarra), Carl Radle (basso), Jim Keltner (batteria), Claudia Lennear e Kathi Mc Donald (cori). Di fatto, l'edizione più conosciuta (e di gran lunga superiore a quella dello stesso Dylan) di questa splendida song è quella di "The Band", che inserì la cover in "Cahoots", album del 1971. La canzone ancora incompleta fu offerta da Dylan alla Band a seguito di una richiesta specifica di Robbie Robertson. Quest'ultimo, durante le registrazioni di "Cahoots" chiese a Dylan se avesse disponibilità di qualche suo pezzo che il gruppo avrebbe potuto interpretare e inserire nell'album. Robertson, fortunatamente, fu accontentato. La versione dylaniana del brano trova spazio nell'"ufficiale" doppio antologico "Bob Dylan's greatest hits Vol. II", che esce nel Novembre del 1971. Segnaliamo, della stessa canzone, le covers di Grateful Dead, Hemmylou Harris ed Elliott Smith.

Parole misteriose come spesso accade nelle canzoni di Bob, quelle del testo di "When i Paint My Masterpiece". La sua ambientazione romana, peraltro, accende la curiosità (che rimane insoddisfatta) sulle circostanze in cui essa è stato scritta e sull'identità della "nipote di Botticelli" di cui si parla in alcuni versi. Pura poesia, i versi di "When I Paint My Masterpiece"! Ecco le parole della prima strofa: "Oh, le strade di Roma sono piene di rovine/Tracce di antichi passi ovunque/ti viene quasi da pensare che stai vedendo doppio/In una fredda, oscura notte sulle scale di Piazza di Spagna/mi affrettavo verso il mio hotel/dove avevo un appuntamento con la nipote di Botticelli/Ha promesso che sarebbe stata con me/quando avrei dipinto il mio capolavoro//".

Anche "Watching The River Flow", singolo del 1971, successivamente alla sua uscita su 45 giri viene inserito nella raccolta antologica "Bob Dylan's Greatest Hits Vol. II" (1971). Si tratta di un ritmato rock-blues elettrico registrato, se si escludono le coriste e il chitarrista Don Preston, dalla stessa formazione di musicisti presente in "When I Paint My Masterpiece". Il testo di questa canzone da qualcuno è stato interpretato come una dichiarazione di disimpegno da parte di Dylan nei confronti degli eventi sociali e politici oggetto fino a quel momento di molte delle sue canzoni. Scrive Robert Shelton, uno dei più noti biografi di Dylan, che dopo Israele (nel 1971 Dylan, che è di origini ebree, effettuò un viaggio nel paese mediorientale) Dylan incise insieme a Leon Russel e ai Tulsa Tops, un singolo, "Watching the River Flow", una specie di gospel rock molto vibrante. “La fotografia della pubblicità mostrava Dylan con l’occhio sull’obiettivo della macchina fotografica. A questo punto, voleva essere soltanto un osservatore:[…]” Leggiamo dal testo: "Gente che ha qualcosa da ridire dovunque uno guardi/Ti fanno fermare per leggere un libro/Perchè appena ieri ho visto qualcuno sulla strada e proprio non riusciva a non piangere./Oh, e nonostante tutto questo vecchio fiume continua a scorrere/non importa cosa gli si metta di mezzo e da che parte soffi il vento,/e finchè sarà così me ne starò semplicemente seduto/e guarderò scorrere il fiume."

Dylan, però, smette presto di osservare passivamente: l'assassinio di George Jackson, uno dei principali militanti del Black Panther Party (BPP), movimento rivoluzionario afroamericano, ucciso a colpi di fucile da un secondino che gli sparò alle spalle nel cortile della prigione di San Quentin, costituisce il motivo ispiratore e l'oggetto di un'altra sua celebre canzone uscita su 45 giri ("George Jackson", appunto, il titolo). Il cruento omicidio dell'attivista di colore scatenò una feroce campagna di repressione contro il movimento dei neri. Il singolo fu pubblicato il 12 Novembre del 1971. Sul retro la versione acustica (eseguita dal solo Dylan) del brano. Nella versione più completa “George Jackson” vede partecipare ai vari strumenti oltre Dylan (voce, chitarra e armonica), anche Kenneth Buttrey alla batteria, Ben Keith alla steel guitar, Leon Russell (stavolta al basso), Joshie Armstead e Rosie Hicks ai cori. Tra le cover più note quella di Joan Baez, che propose il brano in una sua tournée del 1977. La canzone, inizialmente pubblicata solo su 45 giri, nella sua versione più celebre fa parte della raccolta ufficiale "Masterpieces", pubblicata in Giappone e in Australia nel 1977.

"George Jackson", peraltro, fa venire in mente un ulteriore celebre successo dylaniano anch'esso “di protesta”, "Hurricane", dedicato alla vicenda giudiziaria di Rubin Carter, pugile afroamericano imprigionato a seguito di testimonianze false per un omicidio che non aveva commesso e per cui fu scagionato nel 1985. "Hurricane", che è contenuto nell'album "Desire", fu pubblicata anche su 45 giri, suddivisa tra le due facciate, nel 1975. La ballata fu realizzata in collaborazione con alcuni dei musicisti che avrebbero in seguito partecipato alla Rolling Thunder Revue.

E' con vero piacere che pubbblico il tuo ben costruito articolo caro GG. L'argomento è interessante, poco discusso e suscettibile di ulteriori numerosi approfondimenti. Inoltre le notizie fornite per i musicisti dimostrano che c'è stato anche uno studio di ricerca per questi particolari di grande interesse e certamente non secondari. L'idea è molto buona, speriamo che qualcun' altro dei nostri amici Maggiesfarmers raccolga l'idea ampliando le notizie sui 45 giri, spesso trascurati come se fossero dei prodotti di serie B...! Alla prossima e grazie ancora, Mr.Tambourine, :o)

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Jesse Ed Davis: la chitarra delle Grandi Pianure                                                       clicca qui

 

 
Sabato 12 Settembre 2020

Le canzoni più poetiche di Bob Dylan                                                                      clicca qui

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Bob Dylan va per la sua strada, per questo fa dischi grandiosi                              clicca qui

 

 
Venerdì 11 Settembre 2020

Quella volta che Bob Dylan salì in sella alla bici di Tolstoj                                     clicca qui

 

 
Giovedì 10 Settembre 2020

Il più empio dei crimini (di Bob Dylan?) - di Leonardo Tondelli                                 clicca qui

 

 
Mercoledì 9 Settembre 2020

Rough and Rowdy Ways: Un viaggio dentro noi stessi                                           clicca qui

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All Along The Watchtower - (Playing For Change) Song Around The World

 

 

 
Martedì 8 Settembre 2020

Rough and Rowdy Ways: Il Cuore di Tenebra di Bob Dylan                                    clicca qui

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Quella volta che Bob Dylan morì all’Isola di Wight                                                  clicca qui

 

 
Lunedì 7 Settembre 2020

Il Requiem di Bob Dylan per Bob Dylan                                                                   clicca qui

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Bob Dylan canta JFK e cita Amleto                                                                          clicca qui

 

 
Sabato 5 Settembre 2020

Talkin' 10962 - bassogab

Oggetto: fanzine the artist

Salve, scusate il disturbo…avevo trovato un appunto per la fanzine in oggetto su maggiesfarm.it (aveva una mail felicman@tiscalinet.it  che però pare non esista più…): sarei “disperatamente” in cerca di una (o più) copie di “the artist” SOLO IL NUMERO 2, quello con la copertina di Fernando Caretta, conoscete qualcuno che possa aiutarmi? Grazie.


Non saprei proprio darti nessun consiglio, pubblico la tua mail sperando che Michele Murino che allora aggiornava maggiesfarm.it possa ricordarsi qualcosa, o magari qualche altro amico lettore appassionato di fanzine che possa darci qualche informazione. Restiamo fiduciosi in attesa, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

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De Gregori, Il vero significato di "La Donna Cannone"                                            clicca qui

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Tutti i plagi effettuati da Fabrizio De Andrè                                                               clicca qui

 

 
Venerdì 4 Settembre 2020

Come il menestrello ha sconfitto l’età e il sogno americano                                     clicca qui

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Come rivedere "Il fenomeno Bob Dylan" del 1 settembre?                                        clicca qui

 

 
Giovedì 3 Settembre 2020

Talkin' 10961 - miscio.tux

Key West - Seconda Parte

2. Realtà e utopia: "both sides against the middle"
L'uccisione del presidente McKinley, per quanto importante, è il solo evento della canzone che ci immerga direttamente nella Storia. E' una porta attraverso la quale si entra, tramite una rimozione più che una elaborazione retrospettiva, nell'inconscio americano, che oggi somiglia così tanto all'inconscio di tutti. E ci si ritrova a Key West. Cosa cercavano qui Ernest Hemingway e John Dos Passos, Archibald MacLeish, Wallace Stevens, Robert Frost (1), e tanti altri? Qualcuno ha pensato che vi scorgessero "la reminiscenza di un mondo infantile ideale, in cui si possono sempre indossare pantaloni corti, polo e scarpe da ginnastica e rimanere a casa da scuola"(2). Se questo può valere per il turismo di massa, difficilmente tali personaggi potevano essere così ingenui. Il loro era ancora un turismo elitario, che immaginava di trasfigurare utopie di vita che non trovavano spazio in un società produttivistica e puritana, nelle bellezze naturali, nel rifugio e nell'accondiscendenza fornite da un luogo appartato. Su questi stessi sentieri però, a partire dagli anni 60', anche Key West divenne la meta di un turismo di massa dalle caratteristiche controculturali, dove i costumi e la droga erano più tollerati, e ci si poteva immaginare trasgressivi senza esserlo. Come riferisce una guida turistica:
[ In America all'inizio del XXI secolo la controcultura divenne gradualmente parte del mainstream. A Key West, lo spirito di fuga dai valori tradizionali e convenzionali, che aveva attratto gli scrittori e gli artisti degli anni '30 e '40, prosperò nei decenni successivi e nel presente. In tutti gli Stati Uniti nel ventunesimo secolo, uno Stato dopo l'altro ha promulgato leggi che legalizzano il matrimonio gay e rilassano le restrizioni sulla vendita di marijuana. Tali cambiamenti catturarono la silenziosa conclusione della ribellione della generazione del boom degli anni '60 e '70. Key West, con la sua atmosfera di festa esuberante, arrivò a rappresentare una destinazione in cui alcuni degli aspetti di quella ribellione, di solito condotti privatamente in altri luoghi, potevano essere mostrati un pò più pubblicamente. Allo stesso tempo, i valori immobiliari sono saliti.](3)
Possiamo allora visitarla un pò più da vicino, l'agognata meta balneare, visto che Dylan ne nomina luoghi specifici. Passeggiando tra le note incontriamo Amelia Street (4), una strada che non ha nulla di particolare, se non i combattimenti tra galli che si potevano osservare fino a qualche tempo fa. Un'altra citazione evanescente è quella relativa ad una inesistente Mystery Street. L'unico mistero lungo Caroline Street, una delle strade che costeggiano da vicino la dimora invernale di Truman è quello di un'agenzia (Haunted Key West Tours) inventata da un tale che guida i turisti vogliosi di emozioni alla ricerca dei fantasmi di Key West, a suo dire la città più infestata d'America (5). Il mistero però è presto risolto, perché i nomi delle strade di Key West come quelli delle città americane non significano molto, non hanno storia, sono solo nomi come "Newton Street", che non ha nulla a che vedere con Sir Isaac. Anche quelli in qualche modo collegati con la Storia, lo sono con una storia minore, di gente che ha trafficato un pò, e del resto Dylan non cita questi riferimenti ma solo luoghi "senza radici", come può essere Amelia Street. Le connotazioni più precise sono forse anch'esse amaramente ironiche, perché a Bayview Park ci si imbatte nel memoriale dei veterani del Vietnam (6), di fronte al quale il narratore sembra non provare la tenerezza che da lui si aspettano ("People tell me I ought to try a little tenderness"). Quella tenerezza che l'ingenuo dell'iperconsumo è disposto a concedere a chiunque, nella forma di superficiale pietà ("They can give you that bleeding heart disease " (7)) , quando non mette in discussione il suo status di privilegiato. A Mallory Square poi, non troviamo affatto la Casa Bianca di Truman (8) che è invece abbastanza lontana. Vi si incontra invece il classico turistificio postmoderno, con mangiafuoco, fachiri, gatti che saltano attraverso cerchi infuocati (9), venditori di souvenirs. Ciò che l'alloggio di Truman condivide con Mallory Square è l'essere finto, una Casa Bianca finta, ectoplasmatica come l'immagine che richiama, quella di un presidente che lancia bombe atomiche sul Giappone stando in bermuda. Il fatto che Key West sia "under the sun, under the radar, under the gun", non è poi difficile da associare alla presenza della base della US Navy.

Si tratta insomma, come osserva Carrera, di "un paradise divine con descrizioni da dépliant turistico". Raccontata in questo modo Key West è molto più simile a Desolation Row o a Scarlet Town che al paradiso. C'è certamente dell'ironia nel dipingere una meta vacanziera con attributi celesti, come la chiave della porta che conduce a innocenza e purezza, e il posto dove cercare l'immortalità. Nessuno andrebbe a cercare il paradiso a Riccione o a Cin Ciun Cian, (senza offesa, Juju!). Chi passeggia per queste strade però non sembra partecipare al Carnevale, ma piuttosto lo trasfigura ("I'm so deep in love that I can hardly see"), appartiene ad un'altra condizione (o generazione), è nato "dalla parte sbagliata del binario", non ha mai "vissuto nella Terra di Oz", ha "i piedi ben piantati per terra", sa che la realtà è fatta di violenza ("Got my right hand high with the thumb down"). Non possiamo allora fare a meno di domandarci come sia possibile che questa stessa persona descriva Key West come un paradiso spirituale. Qualcuno, secondo me con qualche probabilità di essere nel giusto, ha associato questa canzone a "Goin' to Acapulco", il paradiso di chi non ha l'alfabeto per chiamarlo tale(10). Qui non siamo però in una situazione premoderna. La residenza estiva di Truman (con l'idea che qualcuno si possa rilassare avendo sulla coscienza la vaporizzazione istantanea delle vite di uomini, donne e bambini di due città, e l'elenco degli orrori subiti dai sopravvissuti) in qualche modo fa il paio con l'accostamento tra Anna Frank e Indiana Jones (che troviamo in "I Contain Multitudes"), quella leggerezza che sperimentiamo passando, davanti al televisore, dalla notizia di una strage alla pubblicità di un materasso. I "Cristi color carne" di cui si faceva mercimonio in It's All Right Ma' sono ormai entrati in noi e sono costitutivi di un nichilismo che sembra ben oltre la portata della critica degli anni 60'. Eppure a me pare che Dylan ci racconti che dato che siamo ormai qui, che questa è la nostra realtà, da qui dobbiamo anche ripartire. In False Prophet, per esempio, troviamo una citazione dal Libro Egiziano dei Morti. La fonte è come ormai sappiamo, "Awakening Osiris" di Normandi Ellis. Si tratta di un testo romanzato, adatto al gusto del lettore casuale piuttosto che attento al rigore filologico. La stessa autrice non è propriamente una storica, nè tanto meno un'egittologa, ma piuttosto un'astrologa e chiaroveggente, che organizza viaggi in Egitto dal sapore misticheggiante. Dovremmo dedurne che Dylan si butta dentro un calderone New Age, che condivide la superficialità generale? Penso piuttosto che sia stato attratto dal valore estetico della frase, come ci ha abituato altre volte, all'uso dei materiali di provenienza più disparata, dai sommi poeti ai depliant. A questo punto però si mette assolutamente allo stesso livello del più alienato dei turisti, del culone che spezza le dita di Paolina Borghese. Si mette nel punto in cui la critica finisce e non può più salvarci da niente. L'eco di una rielaborazione razionale della storia si perde nell'etere, come la morte di McKinley, che non può più insegnare nulla. Non è la fiducia nel "risveglio delle coscienze" che ci guida, almeno non più. L'idea è che la Storia ormai non possa più parlare alle giovani generazioni (come dice nell'intervista), almeno non con un processo critico, costruttivo e razionale. Quell'uomo che conosce tutti gli spiritual gumbo-limbo (11) e i rituali indù ed è per questo è ritenuto benedetto (People tell me that I’m truly blessed‬) è anch'esso una figura immersa nell'ambivalenza. Può essere il turista a caccia di esotismi da consumare oppure qualcuno alla ricerca di senso. Anche qui dobbiamo intenderla con ironia? Molti hanno osservato che esiste una poesia di Wallace Stevens titolata "L'idea di ordine a Key West" (12). Apparentemente non c'è nulla che la colleghi alla canzone di Dylan, tuttavia la eco di Stevens potrebbe essere ben presente. Parlando del discorso poetico Stevens si chiedeva "This may be benediction, sepulcher, and epitaph." Cioè se fosse da intendere come una benedizione, una forza capace di incantare il mondo o solo un contrattempo, come un epitaffio che distrae un attimo, sulla via del sepolcro. Possiamo interpretare Key West come un tentativo di trasfigurazione, una volontà di reincantare il mondo? Vediamo un frammento dell'"Idea di Ordine":

Era la sua voce a rendere il cielo
più acuto nel suo scomparire.
Lei misurava puntualmente la sua solitudine.
Era l’unica artefice del mondo
in cui cantava. E quando cantava il mare,
qualunque cosa fosse, diventava
la sua canzone, perché lei lo creava.
Noi, guardandola camminare sola,
sapevamo che per lei non c’era mondo
tranne quello che cantava e, cantando, creava.

Gli accademici possono accapigliarsi chiedendosi se qui ci sia idealismo, se il mondo della poesia sia completamente separato dalla realtà, se questa "idea di ordine" sia il frutto della "volontà di potenza", se, in modo molto postmoderno, tutte le realtà siano in fondo costruite, per cui alla fine, nessuna descrizione del mondo può vantare una superiorità ontologica. Quello però che mi sembra di vedere, con la mia palese inettitudine nella raffinata arte di scrivere cazzate sull'arte, è che mentre in Stevens la creazione è implicitamente quella di una mente individuale, creazione che diventa condivisa solo indirettamente, attraverso la struttura comune del linguaggio, il canto di Dylan non è un canto in solitudine, i suoi materiali sono presi da una storia sociale e collettiva. Un'altra poesia di Stevens, "L'Uomo con la Chitarra Blu" fa al caso nostro (13):

L'uomo era curvo sulla chitarra/Una specie di sarto. Il giorno era verde.
Dissero: «Hai una chitarra blu/Non suoni le cose come sono».
L'uomo rispose: «Le cose così come sono/Vengono cambiate sulla chitarra blu».
Allora dissero: «Ma tu devi suonare/Una musica che ci trascenda, eppure nostra,
Una musica sulla chitarra blu/Delle cose precisamente come sono».

Dylan non ha una chitarra blu, astratta, ma una chitarra elettrica. Le cose che ha suonato hanno provocato un'onda d'urto sui modi di percezione non perché ha trasceso la vile condizione di chi lo ascoltava, riempiendola di contenuti che le erano estranei. Se ha avuto una presa sull'immaginario collettivo è perché ha reso evidenti mondi possibili che già esistevano nella mente delle persone, immanenti ma non ancora completamente espressi. Un detonatore più che un insegnante, che ha svelato cose che già tutti sapevano senza rendersene conto. E in cui l'atto di trascendere, come suggerisce qui Stevens non può venire dall'esterno, da una dichiarazione imperativa del poeta che ordina le coscienze, ma da una decisione individuale, diversa per ognuno di noi. Qual'è allora "l'idea di ordine" a Key West che Dylan può permettersi di enunciare per tutti, senza per questo cadere nell' interdetto di Stevens, quello per cui il poeta parlando della totalità diventerebbe il Grande Fratello autoritario che prescrive i comportamenti dei singoli? Non c'è che da ascoltarlo: il paradiso, la purezza, l'immortalità, in altre parole l'utopia. Il mondo non è il paradiso, ma se ci possiamo immaginare il paradiso vuol dire che possiamo cambiare il mondo. Come osserva Simon Critchley in relazione a Stevens: "La poesia ci permette di vedere la finzione come finzione, di vedere la finzionalità o la contingenza del mondo. Rivela l'idea di ordine che noi immaginativamente imponiamo alla realtà. In parole povere, il mondo è ciò che ne fai. Cioè la realtà che si vive non è ineluttabile, ma è una tra le tante possibilità. Non si tratta di estetizzazione della politica, del vecchio mito della chitarra che fa la rivoluzione, ma della funzione che dovrebbe avere l'arte, quella di farci vedere delle alternative oltre l'immagine della realtà che il pensiero dominante vorrebbe dipingere come ineluttabile. Nella prossima parte, l'ultima, sperando nel frattempo di non aver provocato qualche decesso (tra i quali il mio), tenterò di parlare della "strana" presenza della radio nelle due ultime canzoni di Rough and Rowdy Ways.

(1) Epica la scazzottata tra il socialista Hemingway e il repubblicano Stevens - http://www.pangea.news/hemingway-vs-stevens-sfida/
(2) Lynn Mitsuko Kaufelt - Key West Writers and Their Houses, 1989
(3) https://tinyurl.com/y635losp
(4) https://tinyurl.com/y4lbgpdm
(5) https://hauntedkeywest.com/about/  ; https://www.tripadvisor.it/AttractionProductReview-g34345-d15563756-Key_West_Ghost_and_Mysteries_Tour-Key_West_Florida_Keys_Florida.html 
(6) https://tinyurl.com/y347syne
(7) https://www.urbandictionary.com/define.php?term=Bleeding%20Heart%20Disease  - La "malattia del cuore tenero", il generico pietismo che non comprende o si disinteressa delle reali cause del dolore altrui.
(8) https://tinyurl.com/y39e9gtx
(9) https://www.bringfido.com/attraction/11362
(10 https://www.youtube.com/watch?v=pXEkfTeJ5rw  - anche se il link può essere fuorviante, perché Haynes associa la canzone al funerale della cultura popolare distrutta dalla modernità. La domanda potrebbe essere: viviamo oggi una analoga situazione di "apocalisse culturale", similmente a ciò che è accaduto alla culture tradizionali di fronte alla modernità, e se si, Key West (la canzone), come Goin' to Acapulco è la disperata proiezione di una via d'uscita?
(11) Anche qui troviamo ambivalenza. Oggi il limbo somiglia più ad un gioco da spiaggia che a una danza spirituale. Il suo rituale era il prodotto della cultura creola del profondo Sud e dei Caraibi. I creoli nel senso originario, cioè i figli degli schiavi africani nati nelle americhe, provarono un "omicidio psichico" che consisteva nella cancellazione della memoria africana nativa. I loro rituali sono quindi il tentativo di reinventare una loro relazione col mondo, una storia e un'esperienza comune. In questo senso anche la consumazione banale o quotidiana di un cibo come il gumbo subiva una specie di consacrazione in preparazione alla danza rituale del limbo, che a sua volta costituiva una simbolica reversione dello stato di morte costituito dalla schiavitù. La danza del limbo, specificamente, prevede il passaggio sotto un'asta sempre più abbassata, per cui il danzatore deve appiattirsi ad un punto tale da camminare come un ragno. Si dice che sia nato sulle navi che trasportavano gli schiavi dall'Africa,dove lo spazio era così angusto da obbligarli a muoversi come ragni umani.
(12) https://poetarumsilva.com/2012/04/30/wallace-stevens-idea-ordine-key-west/  - Lo stesso Wallace Sevens ha osservato, riguardo a tale poesia, che il nome "Ramon Fernandez", sebbene sia esistito un critico omonimo, è stato scelto solo per la sua musicalità, e non significa nient'altro.
(13) http://www.nuoviargomenti.net/poesie/tutte-le-poesie/  - Se si vuole, c'è un'altra accattivante coincidenza tra ciò che dice Dylan dei suoi versi, nell'ultima intervista, cioè che non sono metafore ma la "real thing", con quello che Stevens dice a proposito delle astrazioni di questa poesia: "They deal with the relation or balance between imagined things and real things [...] Actually, they are not abstractions, even though what I have just said about them suggests that.[...][W]hat they really deal with is the painter’s problem of realization: I have been trying to see the world about me both as I see it and as it is." ("Hanno a che fare con la relazione o il bilancio tra le cose immaginate e quelle reali [...] Effettivamente non si tratta di astrazioni, anche se quello che ho appena detto su di esse lo suggerirebbe.[...] Ciò con cui hanno realmente a che fare è il problema della realizzazione che si pone il pittore: ho cercato di vedere il mondo intorno a me sia come lo vedo io sia per come è.") Il brano è tratto da "Letters of Wallace Stevens",University of California Press, 1996.

Sono convinto che in qualche modo, tutti noi potremmo, volendo naturalmente, imparare qualcosa dall'amico Miscio, per esempio come si scrive un pezzo su una canzone con riferimenti che richiedono ore di ricerche. Una volta Renzo Arbore, per la pubblicità di una birra diceva: "Meditate gente....meditate!". Oggi io ripeto questa famosissima frase a tutti noi della Fattoria, il lavoro di Miscio è veramente ad un alto livello per la completezza e la difficoltà, fermo restando che si può condividere tutto o niente di quello che scrive Miscio, ma le note e le ricerche non si possono davvero contestare. Il mio bravo a te caro Miscio, e non credo di essere l'unico della Fattoria ad ammirare il tuo lavoro e leggerti con gioia e curiosità! Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Mercoledì 2 Settembre 2020

Talkin' 10960 - cerutti.andrea70

Ciao Mr.Tambourine, ti mando quella che secondo me è una delle migliori esibizioni di Dylan di sempre. Preciso esibizione e non concerto. Originale la scelta delle canzoni, notevoli gli arrangiamenti.
Ciao, Johnny in the basement

Bob Dylan and Norah Jones live in Concert at Benaroya Hall (Seattle, 7/16/2005)

 

Bellissimo, Norah Jones è straordinaria proprio come lo era il padre, quel grandissimo Ravi Shankar, maestro di sitar anche di George Harrison. Norah non ha mai avuto un buon rapporto col famosissimo padre. Norah, all'anagrafe Geethali Norah Jones Shankar, è cresciuta con la madre Sue Jones, cantante di musica soul. All'età di 16 anni cambiò il nome in Norah Jones tagliando così definitivamente i rapporti col padre. Alla prossima e grazie, Mr.Tambourine, :o)

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Bob Dylan e Joan Baez: Storia di un amore a tempo di folk                                       clicca qui

 

 
Martedì 1 Settembre 2020

“Eccola di nuovo, che mi fa ciao, improvvisamente io la vedo qui, davanti agli occhi miei, eccola di nuovo!” Così cantava Shel Shapiro con i suoi Rokes all’inizio della loro sfavillante carriera, ed allora ho pensato di rubare loro questa frase, scritta dai parolieri italiani Cassia e Mogol per tradurre il successo inglese scritto da Cat Stevens “Here comes my baby”, noto soprattutto per la versione dei Tremeloes.
Ed allora eccola di nuovo, naturalmente mi riferisco alla Fattoria che, dopo un giusto periodo di riposo per rifarsi un pò il trucco, ritorna in pista per affrontare la seconda parte di quest’anno strano, difficile, pericoloso, bizzarro, inimmaginabile e via di questo passo. Certamente le notizie dylaniane arriveranno col contagocce perchè anche il Nostro genio ha dovuto bloccare la sua attività concertistica penso con un gran dispiacere perchè ormai da anni la sua vita è quella che si svolge sul palco e non quella che passa just like that of an ordinary well-off person nella sua grande residenza situata al 29400 Bluewater Rd, Malibu, CA 90265, U.S.A.!
Certamente tutta la storia del Covid-19 avrà lasciato il segno anche nell’animo di Dylan, ma tutto questo scompiglio e dolore creatosi attorno a questo maledetto virus (chissà poi da dove è venuto....forse un giorno qualcuno aprirà qualche archivio segreto e la verità salterà fuori, ma probabilmente tutti noi, come cantavano i Nomadi, "Ma noi non ci saremo.......noi non ci saremo....!) che ancora sta seminando morte e paura in tutti i paesi del mondo, senza contare i danni economici che la gente ha dovuto subire e che probabilmente nessuno ci potrà mai risarcire. Dylan ha certamente a libro paga tutto un apparato permanente che lo accompagna nei suoi concerti in giro per il mondo, di certo un bel numero di persone se contiamo i roadies che col loro veloce e prezioso lavoro montano e smontano in poche ore tutta l’amlificazione, le luci e gli scenari necessari all’attuale show dylaniano, viaggiando sui camion e dormendo spesso dentro di essi. Poi ci sono i tecnici del suono, quelli degli strumenti, quelli delle luci, gli accompagnatori e gli organizzatori del tour. Tutte queste persone a fine anno, sommate assieme dovrebbero fare una cifra con diversi zeri e, naturalmente, bloccare tutto questo è una spesa che l’organizzazione di Dylan deve sostenere senza poter trarne alcun profitto.
Ma, come si suol dire, questo è quello che oggi passa il convento, piaccia o non piaccia, e così dobbiamo continuare tutti cercando di arrangiarci nel mioglior modo possibile. Quindi, carissimi amici lettori e collaboratori, se le notizie scarseggeranno, sappiate fin d’ora che non sarà per colpa mia......!
Come ben sapete, queste pagine sono sempre a vostra disposizione per i vostri commenti, commenti che sono un pò anche il sale della Fattoria che così può rappresentare una veduta dylaniano ad ampio spettro e non essere solo una mia opinione od un mio commento.
Quindi, riesumando la famosa frase della poesia “Agli Eroissimi” scritta dal ravennate Olindo Guerrini che la incluse nelle “Rime di Argia Sbolenfi”, una silloge pubblicata nel 1897 sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti, che così recitava:
Perché, lungi dai colpi e dai conflitti,
Comodamente d’ingrassar soffrite,
Baritonando ai poveri coscritti
"Armiamoci e partite?"
La frase verrà poi usata per dileggiare la retorica militarista di certi personaggi del ventennio che incitavano i giovani ad andare a combattere mentre loro stavano al sicuro seduti sulle loro comode poltrone, ma questa è tutta un’altra storia che non deve essere discussa in questa sede.
Resto dunque in attesa delle vostre opinioni che mi aiuteranno certamente a sopperire la mancanza di notizie. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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HIGHWAY 61 REVISITED: l’autostrada che ha ispirato Dylan                                     clicca qui

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Bob Dylan: Perchè il cantautore cambiò il suo nome?                                               clicca qui

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