Barcelona, Spain - Gran Teatre del
Liceu, March 30, 2018
1. Things Have Changed (Bob on Piano)
2. It Ain't Me, Babe (Bob on Piano)
3. Highway 61 Revisited (Bob on Piano)
4. Simple Twist Of Fate (Bob on Piano)
5. Duquesne Whistle (Bob on Piano)
6. Melancholy Mood (Bob center stage - no harp)
7. High Water (Bob on Piano)
8. Tryin' To Get To Heaven
9. Full Moon and Empty Arms (Bob center stage - no harp)
10. Pay In Blood (Bob on Piano)
11. Tangled Up In Blue (Bob on Piano)
12. Soon After Midnight (Bob on Piano)
13. Early Roman Kings (Bob on Piano)
14. Desolation Row (Bob on Piano)
15. Long and Wasted Years (Bob center stage
then on Piano)
16. Thunder On The Mountain (Bob on Piano)
17. Autumn Leaves (Bob on Piano)
18. Love Sick (Bob on Piano)
(encore)
19. Blowin' In The Wind (Bob on Piano)
20. Ballad Of A Thin Man (Bob on Piano)
Madrid, Spain - National
Auditorium of Music, March 28, 2018
di So I ran
“Things Have changed”, molto bene come apertura, ma anche
l’uomo c’era, la terza sera al meraviglioso Nacional Auditorium of Music
di Madrid.
Con mio fratello, sempre un po' più depresso del solito, abbiamo deciso
di festeggiare assieme il nostro 40° anno di frequentazione agli
spettacoli di Bob, primo spettacolo nel '78 a West Lakes, sobborgo di
Adelaide.
I primi 2 shows sono stati un pò rovinati da inconvenienti tecnici con
il microfono di Bob (ogni tanto spariva la voce), ma tutto è stato
perdonato con il più grande spettacolo di tutti i tempi la terza notte.
Fin dall'inizio la folla era molto più coinvolta, notevolmente più della
insipida plebaglia delle precedenti 2 notti.
2 parole.
Desolation - Roooooooooooooooooooow.
Riconosciuta immediatamente dai suoni di apertura della chitarra, la
gente è diventata matta... Bob ha messo in piedo uno show nello show.
Sbalorditivo, pelle d'oca, elettrizzante. Bob era di nuovo senza
cappello, ma avrebbe dovuto calzarne uno da arbitro di ring mentre
frustava I Bobcats in un frenetico vortice agitando le sue braccia,
battendo il tempo con I piedi che lui (e la folla) hanno tenuto alto per
il tutto il tempo della canzone. Alla fine Stu, George e Tony
applaudivano anche loro, bhè, ho il sospetto che fosse più che altro per
incoraggiare Bob a tenere il passo.
Solo 10 magici minuti di canzoni e divertimento gloriosi ... Ho visto
almeno 2 dozzine di versioni della Desolation Row dal vivo (e le ho
amate tutte) ma questa era qualcosa da restare nei secoli ...
Tutti gli altri brani sono stati superbi e meglio delle prime 2 notti...
anche le cover di Frank sono state speciali.
Roba fantastica da parte di Bob ed i ragazzi (super-drum drum solo di
George!) ... possa non finire mai...!
Venerdì 30
Marzo 2018
Talkin' 10422
- homesweethomebg
Vendo 2
biglietti per il 03.04 - Roma fila 14 posto 22 e 24 Prezzo iniziale €120,00 vendo a € 80,00 cad.
Ciao Mister,
è bello il viaggio nella conoscenza. Non credo che vinceremo la sfida di
comprendere le fonti letterarie che, insieme alle canzoni della
tradizione americana, hanno costruito la bellezza senza tempo di molte
canzoni dylaniane, perchè l'Autore, consciamente o meno, ha fuso i
linguaggi in modo da rendere inconoscibie quello letterario o, meglio,
da rendere la lingua della poesia un'eco lontana che rieccheggia nelle
sue canzoni ma è, di fatto, inafferrabile e, proprio per questo, ancora
più suggestiva. Il riferimento al poeta italiano del XIII secolo
presente in "Tangled up in blue" mi porta a Dante, perchè la canzone
dice, nella quinta strofa, che ogni parola di quel poeta italiano del
XIII secolo "suonò vera e splendente come un carbone ardente, trasudando
da ogni pagina come fosse scritta nella mia anima, da me per te...";
questo riferimento al carbone ardente, mi ha fatto tornare in mente il
fuoco purificatore del canto XXVI del Purgatorio nel quale si immerge il
poeta provenzale Arnaldo d'Aniello, dopo che Guido Guinizzelli l'ha
additato a Dante come "il miglior fabbro del parlar materno". Penso che
l'eco dantesca sia giunta a Dylan mediata da Eliot che dedica il suo
poema "Waste land" a Ezra Pound, definito, con evidente richiamo
dantesco, "lo miglior fabbro", cioè il poeta maestro della generazione
modernista. E forse, aggiungo, al Dylan di quegli anni poteva piacere
immedesimarsi in un poeta ermetico ed oscuro come il provenzale
d'Aniello. Suggestioni? Richiami? Pura fantasia? Non so. So che Dylan,
oggi, per me è anche questo: scoperta e riscoperta della bellezza insita
nella musica e nella poesia. Grazie Bob! e grazie agli amici della
Fattoria! Tra l'altro: Dylan coverista dei Beatles? Anche questa non la
sapevo. Lunga Vita! Carla.
Ottimo il richiamo al canto XXVI del
purgatorio, dove ritroviamo ancora i lussuriosi in attesa di scontare
la pena purgatrice prima di poter accedere al Paradiso. Il protagonista
assoluto è il celebre poeta Guido di Guinizello di Magnano, più noto a
tutti come Guido Guinizelli, considerato l'iniziatore e l'inventore del
"Dolce stil novo", la corrente letteraria italiana del XIII secolo che
coinvolgerà anche Dante: La canzone di Guinizzelli "Al cor gentil
rempaira sempre amore" è considerata il manifesto ufficiale. Dopo aver
parlato con Dante Guido gli indica la figura di Arnaut Daniel,
italianizzato in Arnaldo Daniello, o Daniele (Ribérac, 1150 circa – 1210
circa), che fu il miglior rimatore e trovatore francese di lingua
occitana. Guinizzelli onora Arnaut con queste parole:
«O frate», disse,
«questi ch’io ti cerno
col dito», e additò un spirto innanzi,
«fu miglior fabbro del parlar materno".
Invece poi, quando Dante rivolge la sua attenzione ad Arnaut questo
risponde nella sua lingua e non in volgare come ci si sarebbe atteso:
Ieu sui Arnaut,
que plor e vau cantan; consiros vei la passada folor, e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
Le poche notizie che
abbiamo su questo trovatore si ricavano principalmente dall'antica vida:
da essa, infatti, sappiamo che proveniva da Ribérac, in Dordogna (nella
regione dell'Aquitania, vescovado di Périgord), che nacque da una
famiglia della piccola nobiltà ("fo gentils hom"), che studiò il latino
e fu dunque uomo "litteratus", probabilmente destinato alla carriera
ecclesiastica, che si dedicò, in principio solo in maniera amatoriale,
al "trobar" e che questa inclinazione lo spinse a lasciare le lettere e
farsi giullare professionista, che si compiacque di comporre rime molto
ricercate, difficili da comprendere e da imparare.
Fu in rapporti poetici e di amicizia col nobile trovatore Bertran de
Born, citato nella "Comedia" come Bertram dal Bornio, che Dante colloca
nel XXVIII canto dell'inferno tra i seminatori di discordie, in
compagnia di Maometto ed Alì, Pier da Medicina che mise zizzania tra il
tiranno di Fano e il signore di Rimini, Curione che consigliò Giulio
Cesare di vercare il Rubicone infrangendo così le leggi di Roma, Mosca
dei Lamberti, già citato tra gli spirti ch'a ben far puoser gl'ingegni
nell'episodio di Ciacco e che è qui ricordato per la frase "Cosa fatta
capo ha" a proposito dell'uccisione di Buondelmonte de' Buondelmonti,
che aveva ripudiato una donna degli Amidei, vendicandone l'onta. Dalle
lotte tra Amidei e Buondelmonti i cronisti medievali facero risalire le
divisioni cittadine in guelfi e ghibellini.
Scomparso il Guinizzelli nel fuoco, forse per lasciare spazio all'anima
accanto a lui, Dante si avvicina al penitente che Guido gli ha prima
indicato, dicendogli di avere gran desiderio di conoscere il suo
nome. Il penitente inizia a parlare di buon grado e in perfetta lingua
d'oc, dichiara di non potere né voler nascondere la propria identità,
tanto gli è gradita la cortese domanda fattagli da Dante: egli è Arnaut
Daniel, che piange e canta nel fuoco. Ripensa con preoccupazione i suoi
precedenti peccati, ma guarda con gioia alla beatitudine che lo attende;
prega Dante, in nome della grazia che lo conduce in Purgatorio, di
ricordarsi di lui una volta giunto in Paradiso.
Non saprei dirti in che modo Dylan sia venuto a conoscenza dei poeti
italiani, ma negli Stati Uniti, nel 1867, lo scrittore e poeta Henry
Wadsworth Longfellow portò a termine la prima traduzione statunitense in
lingua inglese della Commedia. Longfellow fu fra i fondatori del
cosiddetto Circolo Dante, un’associazione di letterati che aveva lo
scopo di promuovere in America la conoscenza di Dante e del suo poema.
E' probabile che tutti coloro che son venuti dopo abbiano latto e fatto
riferimento a questa traduzione.
Dylan potrebbe
certamente aver appreso tutte le notizie sui poeti italiani da Thomas
Eliot e da Ezra Paund che erano grandi amici. Pound visse moltissimi
anni in Italia, durante gli anni trenta e quaranta espresse ammirazione
per Mussolini, Hitler e Oswald Mosley; trasferitosi in Italia nel 1924,
sostenne il regime fascista fino alla caduta della Repubblica Sociale
Italiana. Catturato dai partigiani, venne consegnato alle forze armate
degli Stati Uniti d'America, dove fu sottoposto a processo per
tradimento. Dichiarato incapace, fu detenuto tredici anni in un
manicomio giudiziario fino a quando, liberato, tornò in Italia dove
trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Non stupirti se Dylan
ha coverizzato qualche canzone dei Beatles (Something, Come Together,
Yesterday, Nowhere Man, Things we said today), lo ha fatto anche con i
Rolling Stones coverizzando Brown Sugar. Alla prossima, live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 29
Marzo 2018
Talkin' 10420
- tiziana.gennari
Vendo un biglietto TRIBUNA LATERALE SX 1
An. fila 8 posto 31 - Palabam Mantova domenica 8 aprile prezzo di costo
euro 82 (80,50 + prevendita)
contattatemi a questo indirizzo mail:
tiziana.gennari@alice.it
Piergiorgio
Madrid, Spain - National
Auditorium of Music, March 28, 2018
1. Things Have Changed (Bob on Piano)
2. It Ain't Me, Babe (Bob on Piano)
3. Highway 61 Revisited (Bob on Piano)
4. Simple Twist Of Fate (Bob on Piano)
5. Summer Days (Bob on Piano)
6. Melancholy Mood (Bob center stage - no harp)
7. High Water (Bob on Piano)
8. Tryin' To Get To Heaven Bob on Piano)
9. Full Moon and Empty Arms (Bob center
stage - no harp)
10. Pay In Blood (Bob on Piano)
11. Tangled Up In Blue (Bob on Piano)
12. Soon After Midnight (Bob on Piano)
13. Early Roman Kings (Bob on Piano)
14. Desolation Row (Bob on Piano)
15. Spirit On The Water (Bob on Piano)
16. Thunder On The Mountain (Bob on Piano)
17. Autumn Leaves (Bob on Piano) xxxxxxxxxxxx
18. Love Sick (Bob on Piano)
(encore)
19. Blowin' In The Wind (Bob on Piano)
20. Ballad Of A Thin Man (Bob on Piano)
Mercoledì
28
Marzo 2018
Madrid, Spain - National
Auditorium of Music, March 27, 2018
1. Things Have Changed (Bob on Piano)
2. It Ain't Me, Babe (Bob on Piano)
3. Highway 61 Revisited (Bob on Piano)
4. Simple Twist Of Fate (Bob on Piano)
5. Summer Days (Bob on Piano)
6. Melancholy Mood (Bob center stage - no
harp)
7. Honest With Me (Bob on Piano)
8. Tryin' To Get To Heaven (Bob on piano)
9. Once Upon A Time (Bob center stage - no harp)
10. Pay In Blood (Bob on Piano)
11. Tangled Up In Blue (Bob on Piano)
12. Soon After Midnight (Bob on Piano)
13. Early Roman Kings (Bob on Piano)
14. Desolation Row (Bob on Piano)
15. Spirit On The Water (Bob on Piano)
16. Thunder On The Mountain (Bob on Piano - truncated due to mic
problems)
(20 minute technical break)
(encore)
17. Blowin' In The Wind (Bob on Piano)
18. Ballad Of A Thin Man (Bob on Piano)
Madrid, Spain - National
Auditorium of Music, March 26, 2018
1. Things Have Changed (Bob on Piano)
2. It Ain't Me, Babe (Bob on Piano)
3. Highway 61 Revisited (Bob on Piano)
4. Simple Twist Of Fate (Bob on Piano)
5. Summer Days (Bob on Piano)
6. September Of My Years (Bob center stage
- no harp)
7. Honest With Me (Bob on Piano)
8. Tryin' To Get To Heaven (Bob on piano)
9. Once Upon A Time (Bob center stage - no harp)
10. Pay In Blood (Bob on Piano)
11. Tangled Up In Blue (Bob on Piano)
12. Soon After Midnight (Bob on Piano)
13. Early Roman Kings (Bob on Piano)
14. Desolation Row (Bob on Piano)
15. Spirit On The Water (Bob on Piano)
16. Thunder On The Mountain (Bob on Piano)
17. Full Moon and Empty Arms (Bob center
stage - no harp)
18. Love Sick (Bob on Piano)
(encore)
19. Blowin' In The Wind (Bob on Piano)
20. Ballad Of A Thin Man (Bob on Piano)
Salve Mister,
grazie al cubo per lo splendido commento a "Man in the long black coat".
Ho letto "House carpenter" e sono stupefatta. Le ultime strofe sono la
reminiscenza del naufragio della nave di Ulisse e dei suoi compagni in
vista della collina del Purgatorio (canto XXVI dell' Inferno) con una
"variatio" geniale: i passeggeri della nave non sono uomini mai sazi di
conoscere, ma un uomo e una donna che hanno ceduto alla passione, come
Paolo e Francesca (Canto V dell'Inferno"). Bellissima la recensione del
concerto di Lisbona. Saluti e lunga vita! Carla. P.S. Prima che il
Paradiso o l'Inferno sbattano le porte in faccia a Bob, Sua Bobbità ci
dirà se conosce Dante?
Ciao Carla, bellissimo
l'inizio del XXVI canto dell' Inferno con la famosissima invettiva
contro Firenze:
Godi, Fiorenza, poi
che se’ sì grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
Bella anche l'idea di
sostituire l'equipaggio della nave con la donna e the man in the long
black coat (come già detto rappresenta probabilmente la morte, morte che
quando suona la campana di qualcuno, colui che è chiamato in causa non
può rimanere sordo al rintocco e deve incamminarsi verso l'eterno oblio.
La donna ha sentito il richiamo di the man in the long black coat e
così, come gli uomini di Ulisse, dopo tre giri in balia delle onde alza
la poppa e si inabissa di prua e sparisce per sempre. Certo è una donna
che ha ceduto alla passione proprio come Francesca da Polenta, o meglio
conosciuta come Francesca da Rimini, figlia di Guido il Vecchio da
Polenta, signore di Ravenna, che dopo il 1275 aveva sposato Gianni
Ciotto (" zoppo, sciancato ") o Gianciotto Malatesta, il figlio deforme
di Malatesta da Verucchio signore di Rimini. Nessun storico loro
contemporaneo fa menzione di Paolo e Francesca dopo il febbraio 1283,
quasi a voler censurare un episodio increscioso e imbarazzante per la
Signoria riminese.
Di Francesca abbiamo solo un presunto ritratto (foto Alinari) in un
affresco di scuola riminese del Trecento, nella chiesa di S. Maria in
Porto Fuori, ora distrutta, a Ravenna.
Certamente il canto V
ci mostra i più famosi esempi di lussuria, "i peccator carnali, che la
ragion sommettono al talento" dice Dante. Incontriamo così Semiramide
che per legge rese legale la lussuria, la regina Didone, personaggio
mitologico, innamorata, sedotta e abbandonata da Enea, che si suicidò
per amore e non tenne fede alla promessa fatta al marito Sicheo, poi
incontriamo Cleopatra Tea Filopatore, più semplicemente conosciuta come
Cleopatra, la donna capace di far girar la testa a due grandi come
Giulio Cesare e Marco Antonio, poi incontriamo la bellissima Elena, per
cui si combatté la lunga e sanguinosa guerra di troia, il grande
Achille, che combatté per scopi amorosi, poi ci sono Paride, l'amante di
Elena, Tristano che si lascerà morir d'amore e crepacuore seguito
dall'amata Isotta, poi Virgilio indica a dante più di mille anime che
morirono per cause d'amore.
A mio umilissimo
parere, il poeta italiano del trecento citato da Dylan in "Tangled up in
blue" è certamente Dante che con la storia di Paolo e Francesca ha
fornito a Dylan lo spunto per la canzone. Ma vediamo cosa dice in
proposito un articolo che chiama in causa diverse dichiarazioni dello
stimatissimo Prof. Alessandro Carrera:
«Then she opened
up a book of poems / And handed it to me / Written by an Italian poet /
From the thirteenth century / And every one of them words rang true /
And glowed like burnin’ coal / Pourin’ off of every page / Like it was
written in my soul from me to you / Tangled up in blue».
«Lei aprì un libro di poesie e me lo diede, scritte da un poeta italiano
del XIII secolo. E ogni parola mi suonava vera e luminosa, come se dalle
pagine traboccassero carboni ardenti, come se mi stesse scritta
nell’anima, da me per te, aggrovigliati alla malinconia». La domanda che
tutti i dylaniani si fanno da sempre è: chi è il poeta italiano?
Il XIII secolo, tanto per non sbagliarsi, è il Duecento. La scelta non è
vastissima: Dante, Cavalcanti, Guinizelli, Cecco Angiolieri, pochi
altri. Magari San Francesco? Jacopone da Todi? La cosa si complica
sapendo, come scrive Carrera, che nella primissima versione della
canzone Dylan cantava “fifte enth”, XV: quindi Poliziano, o il primo
Ariosto. Ma rimaniamo al XIII secolo.
In un’intervista del 1978 sul New Musical Express, il giornalista Craig
McGregor glielo chiede e lui risponde: Plutarco! Qui c’è uno dei misteri
filologici più intricati del XX secolo: in inglese “Plutarch” suona
molto simile a “Petrarch”, e quindi è assai probabile che Dylan
alludesse a Petrarca ma che o lui, o McGregor, o tutti e due si siano
confusi. Fermo restando che Petrarca è un poeta italiano… del XIV
secolo! Del Trecento!
Mica finisce qui, questa storia. Tangled Up in Blue è uno dei pezzi che
Dylan esegue più spesso dal vivo, e quel passaggio, negli anni, è
cambiato più volte. In svariate occasioni il poeta diventa Charles
Baudelaire, sicuramente uno degli autori che il neo-Nobel conosce
meglio. Altre volte (tutte documentate in concerto!) il poeta è
diventato il Vangelo di Matteo. Carrera spiega che a Houston, il 26
novembre 1978, Dylan cantò: «…lei aprì la Bibbia e cominciò a citarmi
Matteo, versetto 3, capitolo 33». Bella numerologia, tutta basata sul
sacro numero 3: peccato che il Vangelo di Matteo abbia solo 28 capitoli.
Un’altra volta ancora ha citato il libro di Geremia.
E finché è la Bibbia, sempre Carrera ha buon gioco nel ribadire:
«Sarebbe troppo poco dire che Dylan legge la Bibbia, cita dalla Bibbia…
Dylan è letteralmente attraversato dalla Bibbia, annega nella Bibbia e
con la Bibbia risorge alla superficie». E naturalmente si parla della
Bibbia di Re Giacomo, che fa capolino ovunque nelle sue canzoni e che in
inglese è scritta in una lingua lirica e meravigliosa, assai più densa e
pervasiva rispetto alle traduzioni italiane. Tornando al poeta italiano,
nel 2000 – scrivendo un pezzo per la rivista Q – Bono, il cantante degli
U2, ha tagliato corto: «Naturalmente quel poeta italiano è Dante. Ogni
parola scritta da Dante era indirizzata alla sua musa, Beatrice, e c’è
una Beatrice nella maggior parte delle canzoni di Dylan».
Le cose si fanno interessanti. In primis, Dante copre due secoli: nato
nel 1265, morto nel 1321, è attivo come poeta sia nel XIII che nel XIV
secolo. Inoltre, il riferimento a Beatrice è calzante. Sappiamo
benissimo che la Beatrice dantesca è la sublimazione letteraria di una
figura che, di storico, ha ben poco. In Dylan le donne a cui sono
rivolte le canzoni sono fantasmi letterari: come la cameriera che, nel
testo di Highlands, prima vuole che lui le faccia il ritratto e poi lo
insulta perché non legge romanzi scritti da donne; e lui ribatte «ho
letto Erica Jong», giocando sull’assonanza con il cognome di un amico e
collega – Neil Young – che ha citato, caso più unico che raro, pochi
versi prima all’interno della stessa canzone.
Che Dylan amasse Rimbaud, è noto da sempre. Che volesse essere Rimbaud è
testimoniato dalla sparizione dopo Blonde On Blonde (il famoso,
misterioso incidente in moto). Che sappia a memoria Baudelaire è
altrettanto inoppugnabile. Studiosi/detective hanno rintracciato
citazioni da Blake, Browning, Yeats, Whitman, Cummings, Ginsberg. E non
dimentichiamoci di «Ezra Pound and T.S. Eliot fighting in the captain’s
tower», i due poeti che «litigano nella torre del capitano» nel testo di
Desolation Row. Tutto questo per dire cosa? Per dire che, quando pensa
“letterariamente”, Dylan pensa da poeta. Con i romanzieri premiati dal
Nobel, non c’entra nulla. Semmai c’entra con i poeti che hanno vinto,
con Tagore, Yeats, T.S. Eliot (appunto!), Quasimodo, Pasternak, Seferis,
Neruda, Montale, Heaney, Szymborska… Secondo noi Dylan, accanto a loro,
non sfigura. Anche se forse una volta ha confuso Petrarca con Plutarco.
Si parla spesso di Rimbaud associatndolo al nome di Bob Dylan perchè
agli inizi della sua carriera Bob citò il “poeta maledetto” come una
delle sue fonti di ispirazioni totali, ma cercar di fare un parallelo o
un paragone fra Bob Dylan e Rimbaud è cosa molto azzardata e forsanco
inutile. Rimbaud è stato tutto quello che Dylan non è mai stato o non ha
mai voluto essere, come dice il proverbio “fra il dire ed il fare c’è di
mezzo il mare”, dire una cosa non vuol poi dire farla, e forse solo
l’abuso di alcool e droghe possono aver creato un breve collegamento fra
i due, ma questo vale almeno per altre centinaia di migliaia di altre
persone che bevono, si drogano e forse tentano, in un modo o nell’altro,
di mettere su carta o su Facebook le loro esperienze e le loro idee.
Rimbaud fu senza ombra di dubbio il
ragazzo degli eccessi estremi della sua epoca, ma non ebbe la
possibilità di vivere a lungo perchè butto, già da giovane, tutte le sue
immense possibilità al vento, cosa che poi condizionò il resto della sua
breve vita. Ciò che diede la carica alla sua vena poetica e ribelle fu
l'incontro con Verlaine, poeta francese fra i più famosi, omosessuale,
del quale si innamorò. Verlaine lo spinse ai confini della poesia. Ma
Verlaine, che aveva abbandonato la moglie ed il figlioletto per iniziare
l’avventura con Rimbaud, si stancò presto di questo giovane intelligente
ed estremo visionario, rivoluzionario in tutte le sue manifestazioni,
egocentrico ed insicuro, e così, dopo diversi alterchi, Verlaine decise
di mettere fine alla loro torbida relazione ferendo Rimbaud con un colpo
di pistola durante un litigio. Verlaine verrà incarcerato per due anni
mentre Rimbaud ritornerà nelle Ardenne dove viveva la sua famiglia e
scriverà “Una stagione all'inferno” (Une saison en enfer), che è uno dei
capolavori della letteratura mondiale e non solo di quella francese. È
forse quello che ha contribuito di più a creare il mito di Rimbaud e a
ispirare tanti artisti e correnti letterarie. Ma Rimbaud non riuscì più
a riprendersi dopo quei tristi fatti, dimenticò la poesia, bruciò tutti
i suoi scritti per cominciare una vita ben al di sopra delle righe, una
vita fatta di droghe, alcool e carcere. Fece l'insegnante a Londra, lo
scaricatore di porto a Marsiglia, il mercenario nelle Indie Olandesi, il
disertore a Giava, l'inserviente al seguito di un circo, il capomastro a
Cipro e il commerciante in Abissinia. Rimbaud dovette infine tornare in
Francia per curarsi da un tumore al ginocchio, gli dovettero tagliare la
gamba e morì a soli 37 anni per le cause conseguenti all'amputazione.
Il poeta "maledetto" che volle rinnovare la poesia con l'audacia di un
adolescente, aveva spazzato via tutta la retorica precedente, arrivando
persino a rinnegare Baudelarie, da lui giudicato "trop artist", e non
avendo a disposizione più niente che non fosse falsato dalla retorica,
cominciò a fidarsi solo delle sue sensazioni che chiamava "pure".
Inventò così la poesia della sensazione traducendo in poesia quello
stato psicologico dal quale nascono i nostri atti. Rimbaud diventò così
la punta estrema di se stesso e di ogni audacia letteraria e poetica,
andò così avanti che neppure i simbolisti e nemmeno i surrealisti
riuscirono a seguirlo. Non ebbe discepoli e neppure imitatori, nondimeno
è ancora il punto fisso di partenza per qualunque avventura poetica
inzuppata d'estremismo.
Dylan, forse escluso il periodo dell’assunzione pesante di sostanze
stupefacenti, pre incidente motociclistico per intenderci, non è stato
niente di tutte queste scellerate estremizzazioni, è stato invece la
voce, e, in qualche modo, la coscienza morale dell'America, un’America
che era ancora un assurdo mix di puritanesimo e affarismo spudorato
spinto all’estremo con ancora la questione della segregazione razziale
tragicamente ed ingiustamente aperta, dove la differenza tra bianco e
nero, anche dopo la sciagurata e terribile guerra di secessione, era
ancora rimasta ai punti di partenza, fino al quando il 24 settembre 1962
la Corte Suprema degli Stati Uniti impone all’Università dello Stato del
Mississippi -“Ole Miss” - nella cittadina di Oxford - di accogliere come
studente James Meredith, al quale fino ad allora era stato inibito
l’accesso in quanto studente di colore in una Università riservata ai
bianchi.
Meredith entrerà nell’Università il 29 settembre, scortato dall’esercito
inviato dal Ministro della Giustizia Robert Kennedy, dopo una battaglia
con morti e feriti. Dylan scrisse la canzone “Oxford Town” in risposta
ad un invito aperto della rivista Broadside, in merito a canzoni che
avessero come tema uno dei fatti più importanti del 1962: l'iscrizione
di uno studente di colore, James Meredith, all'Università del
Mississippi. Questo cominciò a far nascere domande nella mente degli
americani: “Chi era quel giovinastro che si permetteva di bacchettarli,
ed ancora in più vasta misura l’Establishment politico dirigenziale che
non aveva mai permesso a nessuno di criticare e sbeffeggiare l’operato
delle grandi imprese consociate, la John Birch Society (JBS) per
esempio, che era un'associazione politica ultraconservatrice che
propugnava ideali discriminatori e spesso d'estrema destra quali il
razzismo, l'antisemitismo, l'omofobia e l'anticomunismo, o i Master of
war che mandavano migliaia di giovani di leva a morire per i loro
sporchi interessi nel mercato degli armamenti da guerra e non
accettavano le reprimende di questo giovinastro ancora praticamente
sconosciuto.
Dylan è uno dei più grandi scrittori di
canzoni, alcune della quali resteranno nella storia come Blowin’, The
Times they are a-changing o Like a rolling stone, mentre moltissime
altre sono da anni, qualche volta immeritatamente, finite nel
dimenticatoio, canzoni che altri hanno ripreso ed usato per i loro scopi
ed ideali politici. Dylan non ha mai assunto una posizione politica
precisa, ha sempre preferito tirare l’acqua al suo mulino, stare ai
margini di ogni tipo di movimento senza mai voler esserne coinvolto,
Dylan è sempre stato per se stesso e per la sua arte e basta, un lupo
solitario, e alla lunga è rimasto davvero solo, tre matrimoni falliti,
figli ormai uomini diventati quasi estranei alla sua vita, Jakob quando
parla del padre riesce soltanto a dire Lui, la parola papà non gli esce
dalla bocca, questo è triste e credo che anche Dylan ne risenta, il suo
essere acido ed il non concedere mai niente al pubblico forse è parte
del suo carattere schivo ma forse è parte anche di questo, una grande
persona, ma una persona ormai sola. Lontano dalle sue canzoni Dylan è
stato un flop. Il libro “Tarantula” scritto solo per soldi e con poca
ispirazione ed il film “Renaldo & Clara”, che gli farà perdere qualche
milione di dollari, sono le dimostrazioni più evidenti. Quindi vediamo
solo qualche similitudine, qualche ispirazione che Dylan ha cercato di
rubacchiare a Rimbaud, ma non si vede un collegamento fra l'essere ed il
non essere, la questione dell' "Io non sono qui" non riguarda Dylan in
persona, non è una sua opera, Dylan è sempre stato qui, nei dischi e nei
concerti, l'idea di “I’m not there”, anche se per ipotesi partisse dal
famoso "Je est an autre" di Rimbaud, cosa della quale molti hanno
dubitato fortemente, è forse solo una trovata bislacca per fare
cassetta, l'idea di un regista che ha voluto fare un omaggio finanziario
a se stesso e contemporaneamente uno alquanto macchinoso a Dylan, un
film dove il dialogo tra i protagonisti è fatto con frasi estratte dalle
sue canzoni, con personaggi (a parte la fenomenale Blanchette) molto
difficilmente assimilabili all’immagine di Dylan. Dylan non è stato solo
“Io non sono qui”, Dylan c’era, Dylan c'è ancora, nel bene o nel male,
apprezzato e criticato, venerato come un profeta o deriso come un
buffone. Sulla sua pelle è passato di tutto e di più, ma tutto è
scivolato senza intaccarlo, sempre seduto sulle rive “Watching the River
Flow “.
Quando Rimbaud diceva “Je est” e non “Je
suis”, cioè “Io è” in terza persona e non “Io sono” in prima voleva
significare che il suo IO era diventato un corpo estraneo alla sua
coscienza, non era più il fondamento del suo pensiero, e nemmeno poteva
esistere come “status” privilegiato. Così l’IO non pensa più, è invece
pensato, assiste all’aprirsi ed allo svilupparsi del pensiero come uno
spettatore esterno, come se a pensare fosse un altro. Da un punto di
vista filosofico questo svalutare l’IO come soggetto del pensiero è
quasi una bestemmia, soprattutto nella Francia che ha ancora dietro le
spalle la tradizione di Renè Descartes, poi latinizzato in Cartesius e
da noi meglio conosciuto come Cartesio.
Cartesio fu osteggiato dalla Chiesa cattolica, che mise all’Indice la
sua produzione letteraria nel 1663, e anche alcuni ambienti universitari
(Utrecht e Leida gli vietarono l’insegnamento, sospetto di essere
eretico, il pensiero cartesiano è comunque un punto di svolta
determinante nella storia della filosofia moderna: l’impostazione
metodologica, il ricorso al meccanicismo e al razionalismo deduttivo, le
innovazioni in campo matematico (si pensi al piano cartesiano…) ne fanno
con Bacone e Galileo uno dei padri del pensiero scientifico moderno, con
apporti ed intuizioni che faranno vedere i loro sviluppi in molti
filosofi dei secoli a venire: da Spinoza a Locke, da Leibniz a Hume,
fino all’avvio dell’idealismo tedesco con la filosofia Hegeliana.
Per penetrare appieno nella formula “Je est un autre” occorre risalire
al contesto in cui viene espresso da Rimbaud. Il giovane ribelle si
mette in contrapposizione con la concezione artistica in uso
nell’ambiente letterario della sua epoca: le sue parole hanno il tono
della sfida e del desiderio di cambiamento. Qual è l’avversario a cui
Rimbaud lancia la sua sfida? Ce lo dice lui senza mezzi termini: «la
poesia soggettiva» ricercata da Izambard e la poesia della corrente
Parnassiana e del secondo romanticismo, per la quale Rimbaud passa da
una iniziale ammirazione ad un distacco pressoché totale, che alla fine
lo conduce alla satira ed al disprezzo del passato e del presente.
Dylan, al contrario, non ha mai cercato di essere un superpoeta, e forse
nemmeno un poeta, si è accontentato di essere un artista, anzi,
l'essenza dell'artista nascosto dietro il muro dell’incomunicabilità
personale, Dylan è stato pensieri e parole, e noi conosciamo più le sue
parole che il suo essere uomo. Uomo come noi? In tutto? Nelle cose
giuste e negli errori, anche lui con i suoi sbagli, le sue meschinità,
le sue sciocchezze come ognuno di noi? Forse, ma la differenza è che lui
ha saputo esprimere ciò che noi non avremmo mai saputo fare, cose che
forse non sarebbero mai passate nemmeno per scherzo per il nostro
cervello, e da questo punto di vista non è stato un grand' uomo, ma un
uomo grande, un artista gigantesco che ha sorpassato l’uomo pur restando
sempre coi piedi per terra.
Rimbaud sembra invece voler esaurire in
sé tutta la volontà della poesia stessa, così che qualcuno lo definirà
il “cantore dalla gola secca”. Leggere Rimbaud dà certamente una scossa,
forse perchè lui ci delinea qualcosa di inafferrabile ed atroce, la
crisi, certamente alimentata dal tipo di società del suo tempo (non poi
così diversa dalla nostra, una società con gli stessi difetti), del suo
passato familiare, ma il mondo di Dylan è un’altra cosa e diverse sono
le mire di Rimbaud rispetto a quelle di Dylan. Si discute ancora sulla
natura di questa rivolta rimbaudiana anche se ormai serve a poco perchè
è cosa fuori dal tempo, mentre invece Dylan, ancora attivo, potrebbe
teoricamente estrarre dal suo cilindro ancora qualche sconosciuto e
meraviglioso coniglio. Il ribelle Rimbaud traccia una direzione da
seguire, o meglio subisce un tracciato, tipo «se l'ottone si desta
tromba, non è certo per colpa sua» perchè la responsabilità è della mano
dell’uomo. C'è sempre questo scacco all'IO, l'IO che rimane smarrito,
che viene da chiedersi perchè un IO così forte ed intenso sembri invece
perdersi in un bicchier d’acqua.
« Io è un altro » dirà Rimbaud ormai invasato, un Rimbaud che si lascia
possedere dal linguaggio non avendo ormai più sovrastrutture che lo
separano dall'ignoto (Inconnu). Trasporre nella magia il suo dissenso è
l'unico modo che può consentirgli di rigenerarsi. “Une Saisone en Enfer”
mantiene la promessa o la scommessa, se vogliamo, superando tutte le
aspettative.
Dylan avrebbe voluto fare suo in maniera totale lo spirito di Rimbaud,
ma tutto è ormai diverso, l’epoca è diversa, le esigenze diverse, le
realtà diverse, e Dylan capisce di essere obbligato a rimanere coi piedi
ben piantati per terra se non vuol far la fine di Morrison o Hendrix,
l’epoca dei voli mentali e delle utopie è ormai finita, l’idealismo di
“Blowin’” è roba passata, la realtà ora è molto più materiale e
pericolosa, così Bob si inventa un “falso incidente” per allontanarsi
dall’orlo di quel burrone che potrebbe perderlo per sempre.
Qui la realtà ha il sopravvento sulla fantasia, a differenza di Rimboud
che si lascia annullare dai voli pindarici della sua fantasia che lo
porteranno a sprecare in sciocchezze materiali il suo immenso talento,
la vita ha il suo valore, perchè buttarla via per così poco? Dylan ha
continuato per altri cinquant’anni ad offrirci perle di pensiero,
Rimbaud getterà tonnellate di talento alle ortiche riducendosi a far
lavori che una mente come la sua non poteva accettare, ma qualcosa era
scattata nella testa ormai fuori controllo del ragazzo e lo bloccherà
per sempre, una specie di Ictus sintetico che lo riduce senza più
volontà. Rimbaud era già morto prima di morire davvero, chissà dove
sarebbe arrivato se avesse avuto la volontà di continuare.
Dylan , anche con le sue grandissime parole rimane pur sempre, al di là
dell’artista, del songwriter, del letterato self- made-man, un uomo
comune, un uomo di tutti i giorni, un uomo che potremmo incontrare per
strada, un uomo con la capacità di pensare e di esprimere, per se e per
gli altri, un uomo utile a tutti, mentre Rimbaud purtroppo non è stato
un uomo nemmeno utile a se stesso.
Naturalmente molti hanno espresso la loro libera interpretazione su
quest’argomento, questa è solo una interpretazione personale, che
potrebbe essere tanto esatta quanto sbagliata perchè nessuno di noi ha
la verità in tasca, abbiamo solo il nostro pensiero, però è bello
provare ad esporlo anche su un argomento tanto difficile da
interpretare.
Mr.Tambourine
Domenica
25
Marzo 2018
Salamanca, Spain - Multiusos
Sanchez Paraiso, March 24, 2018
1. Things Have Changed (Bob on Piano)
2. It Ain't Me, Babe (Bob on Piano)
3. Highway 61 Revisited (Bob on Piano)
4. Simple Twist Of Fate (Bob on Piano)
5. Summer Days (Bob on Piano)
6. Make You Feel My Love (Bob on Piano)
7. Honest With Me (Bob on Piano)
8. Tryin' To Get To Heaven (Bob on piano)
9. Once Upon A Time (Bob center stage - no
harp)
10. Pay In Blood (Bob on Piano)
11. Tangled Up In Blue (Bob on Piano)
12. Soon After Midnight (Bob on Piano)
13. Early Roman Kings (Bob on Piano)
14. Desolation Row (Bob on Piano)
15. Spirit On The Water (Bob on Piano)
16. Thunder On The Mountain (Bob on Piano)
17. Why Try To Change Me Now (Bob center stage - no harp)
18. Love Sick (Bob on Piano)
(encore)
19. Blowin' In The Wind (Bob on Piano)
20. Ballad Of A Thin Man (Bob on Piano)
La performance di Dylan è stata stupefacente, la sua voce era
assolutamente magnifica.
''Don’t Think Twice '' mi ha fatto venire la pelle d'oca, ma ‘’Why try
to change me now’’ mi ha fatto letteralmente sgorgare le lacrime (queste
2 erano decisamente le mie preferite, ma quanto erano grandi!).
Ogni fibra nel mio corpo è tornata al 1999 dove l'ho visto per la prima
volta (Lisbona Arena), è incredibile testimoniare che dopo 19 anni nello
stesso identico posto Bob è migliorato ancora in modo così maestoso,
artista geniale!
Sono arrivata a tarda notte il 21 marzo all'aeroporto di Lisbona.
Era stata una lunga giornata ma un breve volo. Come al solito mi sono
persa cercando di raggiungere la mia destinazione Couchsurfing. Ishay,
gentilmente, mi stava aspettando. Bevo un bicchiere d'acqua e vado a
letto subito.
22 marzo. È il giorno. Non vedo Bobby da pochi mesi dall'ultimo
spettacolo al Beacon Theatre di N.Y. Ero impegnata a tradurre un libro
sul suo viaggio nel Sud della Francia nel 1975. Era stato occupato e
turbato scrivendo il primo verso di Desolation Row! E Dio sa quanto
questa canzone sia densa e complessa!
Mi alzo presto e guardo il mare ed il cielo blu dalla mia finestra. La
temperatura è fresca. Dopo una bella colazione con il mio ospite, mi
preparo e faccio una lunga camminata verso la sede.
4 camions e 2 autobus sono parcheggiati nel parcheggio aperto.
L'ambiente circostante è progettato come zona pedonale, quindi passo
solo un po' di tempo a passeggio. Nel tardo pomeriggio, 2 furgoni neri e
2 auto nere girano per entrare nel parcheggio, accanto agli autobus. In
una c'è sicuramente Bobby.
Ho la sensazione di un 'Déjà Vu. Tutte quelle persone, che conosco. Tony
e Stu scendono da un Van, poi Donnie e Charlie.
Mi guardo intorno cercando George che è già vicino alla porta. La band è
qui! Bobby è scivolato di soppiatto dall'auto verso la porta, mostrando
solo la sua felpa verde. Ma lui è qui!
C'è un sacco di tempo fino allo spettacolo alle 21:00. La metropolitana
mi porta nel centro di Lisbona, ma mi stanco rapidamente di traffico e
folla. Mi siedo su una panchina.
Io e Monika decidiamo di andare a mangiare qualcosa prima di tornare
alle porte che sono state aperte alle 19.30 È un grande locale,
un'arena. Pochi sono i fans già in coda. Ritrovo rapidamente il mio buon
samaritano. Il biglietto è per la balconata. Mi avvicino il più
possibile al palco, solo per avere una visione globale.
Giusto in tempo, Stu sale sul palco, strimpella la sua piccola melodia.
George boom! Boom! sul suo tamburo e via con ”Things have changed”, e
dopo la canzone Bob resterà al piano. A volte in piedi, ma la maggior
parte del tempo seduto. Per una sola canzone, l'unica cover di Sinatra
“Why try to change me now” si porterà al centro della scena! Nessuna
sorpresa per me. Ho già sentito tutte queste canzoni prima.
Faccio il mio Karaoke, come al solito. Il primo brano è difficile per la
Band. Il suono non è buono, sembra un pò una cacofonia! Poi in una delle
canzoni, non ricordare quale, Tony è in difficoltà e lo segnala a
Charlie e Donnie. Qualcosa è andato storto. Bobby resta impassibile. Sta
borbottando più che cantando “'Make you feel my love”, “Blowin' in the
wind”sembra essere sabotata! Il pubblico ha un pò di tempo per ballare
in “Thunder on the mountain” Nessuno sembra riconoscere "Tangled up in
blue" col nuovo arrangiamento.
Ero felice di essere a Lisbona. Ho avuto globalmente una buona giornata
e una piacevole serata.
Grazie Bobby! Buona notte e riposati bene. Domani è un altro giorno.
Sabato 24
Marzo 2018
Bob Dylan, la
notte di Lisbona sotto la stella dei padri nobili
clicca qui
Salve Mister, ciao amici,
metto a disposizione quel poco che so. Dai sacri testi deduco che i
musicisti della sessione, a Nashvile, per la registrazione di "Blonde on
Blonde" fossero numerosi; tra loro figurano Al Kooper, Robbie Robertson
e, solo per "One of us must know", Rick Danko. Questo brano, per altro,
come già ricordato dal Mister, è l'unico registrato a New York. Non so
dire se quella lunga serie di musicisti citati facesse parte della
"Band", poichè Jon Bream li cita individualmente. Sto lavorando un po'
su "Tempest", che trovo sconcertante... ascolto e leggo, magari ci
raccapezzo qualche cosa di buono. Se avete bisogno di rinverdire l'amore
per Bob, un po' messo a dura prova dalle cover sinatriane, riascoltate
"Man in the long black coat", da "Oh mercy"... per me, un capolavoro.
Daniel Lanois, oltre a Dylan, è un grande. Ciao a tutti! Carla.
Ottima "Man in the
long black coat"! Parliamone un pò!
Per prima cosa dobbiamo dire che "Man in the long black coat" si rifà ad
un vecchio traditional intitolato "House Carpenter"
http://www.maggiesfarm.eu/testiH/housecarpenter.htm
Succede spesso che la verità si nasconda dietro una allusione o fra le
righe di una canzone, proprio come in “Man in the Long Black Coat”.
Nel bellissimo e significativo testo di questa poetica supercanzone si
assommano e si accavallano importanti tematiche universali come
l’incapacità di fermare e trattenere il proprio destino nelle nostre
mani, forze contrastanti come il bene e il male, la desolazione che
dilaga nel mondo, il dispregio e la corruzione della coscienza, la
fuggevolezza di questa nostra esistenza che adesso c’è e fra un attimo
potrebbe sparire per sempre come se non fossimo mai nati, o forse
mantenere nella nostra mente il ricordo delle cose che abbiamo visto e
vissuto. La canzone narra la storia di una donna, che in una serata
estiva colma di desolazione e silenzio, dona il suo cuore a un
misterioso uomo “dal lungo cappotto nero”. Lei stessa si avvicina
all’uomo chiedendogli di danzare in una sala da ballo situata nella
periferia di una città. A questo punto egli, con il volto celato da una
maschera e colmo di polvere, citando la Bibbia sostiene la corruzione
della coscienza umana:
"Disse che la coscienza umana è vile e corrotta.
Non puoi seguirla come fosse una guida,
quando sei tu a doverla soddisfare"
Molto ambigua questa dichiarazione, un’affermazione che potrebbe quasi
svelare la sua effettiva identità. La donna, a questo punto, fugge
assieme a quest’uomo misterioso ed intrigante, non lasciando più alcuna
traccia di sé:
Non disse mai nulla.
Non lasciò nulla di scritto.
…Non una parola, non un ‘addio’,
nemmeno un appunto
L’identità misteriosa del protagonista dal lungo cappotto nero potrebbe
dunque essere abbinata a una rappresentazione personificata del male, o
Satana stesso se vogliamo estremizzare il concetto espresso da Dylan. Vi
sono molti dubbi e molte interpretazioni al riguardo, e alcune di esse
lo identificano addirittura con la morte stessa. Ma alcuni elementi non
quadrano. Perché mai la donna si consegna di sua volontà allo
sconosciuto? E perché, se fosse davvero la morte, essa dovrebbe
consigliare di non fidarsi della propria coscienza nel ruolo di guida
interiore?
La desolazione del paesaggio descritto nella canzone è un elemento che è
solo un a semplice cornice alla vicenda ma è altrettanto importante. I
grilli friniscono, le finestre sono spalancate, un vestito di cotone
soffice é steso ad asciugare. Un paesaggio che ricorda il silenzio, ma
non un silenzio di pace e serenità, bensì quello di una desolazione
angosciante.
Qui viene spontaneo cercare i rimandi alla verità che potrebbero essere
celati fra le parole di questa canzone. La desolazione, mascherata da
apparente pace, rimanda in particolare alla tragedia dell’olocausto, ad
una terribile immagine in particolare: Il cancello di Auschwitz con la
famosa scritta, il fumo della morte che sale lento portando quei
disgraziati in cielo, nel paesaggio imbiancato dalla neve, immagine di
pace, di desolizione e silenzio allo stesso tempo. Nessuno sa niente,
nessuno parla, la vigliacca coscienza corrotta dell’umanità ha trovato
in questo immane genocidio il suo più basso grado d’espressione.
Un altro fatto molto più recente potrebbe essere oggetto di comparazione
con “Man in the long black coat”, la tragedia dell’11 settembre 2001. in
questo caso l’America è la donna che cade in balia dell’uomo al quale
ognuno di noi può attribuire l’identità che ritiene più opportuna, e
così facendo manda in frantumi un sogno che durava da secoli. La morte
di 2.752 persone e la desolazione dopo il crollo delle due torri ci
viene mostrata come una massa immensa di polvere, detriti e vittime
innocenti di qualche sciagurato modo di pensare, ma questo non importa,
delle vittime non rimane nulla, solo qualche oggetto fracassato fra la
massa di detriti. Ij questo caso è la realtà della morte, che si beffa
di tutto e di tutti, ma allo stesso tempo ricorda ai vivi ciò che il
male è in grado di provocare alle persone, al paesaggio, alla memoria
della gente.
Ed ecco un’altra interpretazione di "Man In The Long Black Coat" opera
del prof. Aidan Day
La scena di apertura di questa canzone, apparentemente molto grafica,
presenta le conseguenze di una poderosa forza naturale:
Cricket are chirpin', the water is high
There's a soft cotton dress on the line hangin' dry,
The window's wide open, African trees bent over
backwards from a hurricane breeze.
I grilli friniscono,
l'acqua e' alta
c'è un vestito di cotone leggero appeso ad asciugare
una finestra spalancata, alberi africani
piegati all'indietro dal soffio di un uragano.
La delicatezza e la vulnerabilità di quel vestito sono pertinenti alla
canzone perché l'impatto dell'uragano è un tema dominante per una forza
che ha spazzato via la donna o la ragazza che poteva averlo indossato.
L' uomo:
Not a word of goodbye, not even a note,
She gone with the man in the long black coat.
Non una parola di
saluto, nemmeno un biglietto
Lei se ne è andata con l'uomo dal lungo cappotto nero.
Il misterioso
viaggiatore, che viene in città ed effettua qualche trasformazione prima
di sparire, è un archetipo di un film Americano. La trasformazione può
essere liberatoria, portatrice di vita. Il viaggiatore può adempire ad
una funzione rassomigliante a Cristo. Ma qui il viaggiatore ha un
aspetto chiaramente inquietante. Celando un altro volto lui è, in parte,
una figura di morte:
He looked into her eyes when she stopped him to ask
If he wanted to dance, he had a face like a mask.
Somebody said from the Bible he'd quote
There was dust on the man in the long black coat.
Lui guardo' negli
occhi di lei quando lei lo fermò per chiedergli
se voleva ballare, lui aveva il viso come una maschera.
Qualcuno diceva che citava dalla Bibbia
C'era polvere sull'uomo dal lungo cappotto nero.
Qui la morte e la
parte erotica si cercano l'una con l'altra. L'uomo dal lungo cappotto
nero, indossando non solo la polvere del viaggio ma quella della morte,
rappresenta allo stesso tempo una mascolinità sinistra, perfino
satanicamente seducente. La sua attrattiva, il suo potere di
costrizione, sufficiente a causare che la ragazza lo avvicini, è
abbastanza forte da indurla ad abbandonare la sua casa, a lasciare la
sicurezza e ciò che conosce. E lei ha fatto un errore.
Nella quarta strofa Dylan critica un certo pensiero secondo il quale non
ci sono errori nella vita, e che ogni cosa accade fondamentalmente senza
il nostro consenso. Tale punto di vista è dedotto dall'atteggiamento
disinvolto delle persone che non vivono la vita nella sua pienezza, ne
affrontano la morte nel suo estremo. La ragazza aveva cercato di uscire
dalla banale routine. Lei ha corso un rischio:
There are no mistakes in life, some people say,
It is true sometime, you can see it that way,
But people don't live or die, people just float.
She went with the man in the long black coat.
Non ci sono errori
nella vita, dice qualcuno
a volte è vero, puoi vederla cosi'.
Ma le persone non vivono o muoiono, le persone semplicemente
galleggiano.
Lei se n'è andata con l'uomo dal lungo cappotto nero.
Lei ha corso un
rischio ed ha fatto un errore. Quanto sia grave l'errore lo si coglie
nel modo in cui la strofa finale delinea la scena del testo come
testimonianza di un'energia che è minacciosa nella sua frustrazione,
un'energia che è l'opposto di ogni cosa vitale:
There's smoke on the water, it's been there since June,
Tree trunks uprooted 'neath the high crescent moon.
C'è del fumo
sull'acqua, è lì sin da giugno
tronchi sradicati sotto la luna crescente
Se Dylan attribuisce in questa canzone una dimensione negativa e
distruttiva alla mascolinità stessa, poi allo stesso tempo solleva dubbi
circa l'esistenza di una capacità umana che può misurarne la dimensione.
Nella terza strofa ci sono alcune righe in cui Dylan contesta l'idea che
gli esseri umani abbiano qualsiasi capacità per esprimere un giudizio
moralmente puro:
Preacher was talkin', there's a sermon he gave,
He said every man's conscience is vile and depraved,
You cannot depend on it to be your guide,
Il predicatore stava
parlando, stava facendo un sermone
disse che ogni coscienza umana è vile e depravata,
non puoi contare su questo per farti guidare
When it's you who must keep it satisfied.
quando sei tu che
devi soddisfare tutto questo.
La più oscura visione di queste righe, dove le ultime due si isolano per
la caratteristica del battito della lettera "t", è che non esiste
nessuna cosa come la purezza. Nessuna cosa che sia una facoltà
attendibile per chiunque. La coscienza è, piuttosto, complice del male
che essa giudica. Essa non è al di sopra del male che uno fa, e dipende,
invece, dal male che si fa. Essa ha bisogno che uno faccia del male per
esistere. La coscienza partecipa all'interresse dell'ego. Il punto
sconcertante del racconto è che la coscienza può essere vista come
provocatrice del male che uno fa, essa stessa generatrice del male in un
ciclo auto-giustificante ed auto-realizzante. Questa considerazione può
riferirsi alla ragazza che ha fatto l'errore ed ha seguito il pericolo,
ma il cui vero sbaglio è stato l'essere portata a sbagliare da una
coscienza corrotta. Può anche riferirsi alla figura dell'uomo dal lungo
cappotto nero che avrebbe preso la ragazza per avere la sua coscienza
soddisfatta.
Aidan Day - Professor of British Literature and Culture
Live long and
prosper, Mr.Tambourine
Venerdì 23
Marzo 2018
Confermata la
data giapponese al Fuji Rock Festival
Oggi bobdylan.com ha confermato la data
del 29 Luglio 2018 - Naeba Ski Resort, Yuzawa-cho, Niigata Prefecture,
Japan - Fuji Rock Festival.
1. Things Have Changed (Bob on Piano)
2. It Ain't Me, Babe (Bob on Piano)
3. Highway 61 Revisited (Bob on Piano)
4. Simple Twist Of Fate (Bob on Piano)
5. Summer Days (Bob on Piano)
6. Make You Feel My Love (Bob on Piano)
7. Honest With Me (Bob on Piano)
8. Tryin' To Get To Heaven (Bob on piano)
9. Don't Think Twice, It's All Right (Bob on Piano)
10. Pay In Blood (Bob on Piano)
11. Tangled Up In Blue (Bob on Piano)
12. Soon After Midnight (Bob on Piano)
13. Early Roman Kings (Bob on Piano)
14. Desolation Row (Bob on Piano)
15. Spirit On The Water (Bob on Piano)
16. Thunder On The Mountain (Bob on Piano)
17. Why Try To Change Me Now (Bob center stage - no harp)
18. Love Sick (Bob on Piano)
(encore)
19. Blowin' In The Wind (Bob on Piano)
20. Ballad Of A Thin Man (Bob on Piano)
Ciao Mr. Tamburine, ho un biglietto per il cinque
aprile in ottima posizione . Ti chiedo la cortesia di pubblicare
l'annuncio sulla tua bacheca. Lo vendo al prezzo di acquisto (euro 120).
Grazie e complimenti per il sito.
Valerio d'Andria
Vendo biglietto per
Roma 5 Aprile 2018 ottima posizione
Fatto, postato anche
in "Vetrina". Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 22
Marzo 2018
Talkin' 10415
-
calabriaminimum
Nella versione finale del disco Blonde on
Blonde i The Band (intesi come gruppo) non sono presenti su nessuna
traccia.
Se sono presenti, come tu stai sostenendo:
1) non sono riconoscibili come "collettivo"
2) non sono stati accreditati
Gli unici due elementi accreditati sono Robbie Robertson e Rick Danko.
Su Danko oltretutto ci sono elementi contraddittori. Personalmente non
riesco a riconoscere nessun tocco di questi
musicisti nella versione finale del disco. Fatta eccezione per Robbie
Robertson. Discorso a parte, ovviamente per Bobby Gregg, che aveva
sostituito Levon Helm.
(Sempre dal mio punto di vista) una formazione di The Band senza Levon
Helm è un po' come i Pink Floyd senza Roger Waters (se mi consentite il
paragone) La timeline del gruppo con i membri originali e formatori va
dal 1968 al 1977. Nel 1983 dopo l'abbandono dalle scene, il gruppo
riprenderà l'attività discografica e concertistica senza Robbie
Robertson, che
aveva intrapreso con una certa fortuna la sua carriera solista, prima
come autore di musiche per il cinema e poi come artista solista, nel
1987. Continuo ad affermare ciò che ho scritto nell'intervento
precedente. Oltretutto i The Band nel 1966 non erano ancora un "vero"
gruppo e cito ancora:
The Band was a Canadian-American roots rock group formed in Toronto,
Ontario in 1968 by Rick Danko (bass guitar, vocals), Garth Hudson
(keyboards, saxophone), Richard Manuel (keyboards, vocals), Robbie
Robertson (guitar, vocals), and Levon Helm (drums, vocals). The members
of The Band first came together as rockabilly singer Ronnie Hawkins's
backing group, the Hawks, which they joined one by one between 1958 and
1963.
Credo sia necessario, per non creare confusione fare una distinzione
"formale" tra The Hawks e The Band. Il problema potrebbe nascere qualora
si consultasse Wikipedia (versione Italia) che fa davvero molta
confusione tra le varie formazioni, nomi e date.
Credo sia abbastanza sterile stare a
sottilizzare se prima si chiamavano Hawks e quando han cambiato nome in
The Band, sostanzialmente era lo stesso gruppo di musicisti che avevano
accompagnato Ronnie Hawkins e successivamente Bob Dylan. All'inizio
Dylan aveva invitato solo Levon Helm e Robbie Robertson
ad unirsi alla sua backing band ma dopo due concerti Robertson disse a
Dylan che erano leali verso i loro compagni di band, e gli disse che
avrebbero continuato con lui solo se avesse ingaggiato tutti gli Hawks.
Dylan accettò e invitò Levon and the Hawks andarono in tour con lui per
una serie di concerti dal settembre 1965 al maggio del 1966, col nome di
Bob Dylan and The Band.
Nel
gennaio del 1966, per quello che sarebbe dovuto essere il prossimo album
di Dylan, Blonde on Blonde, fu registrata a New York "One of Us Must
Know (Sooner or Later)", che fu pubblicato come singolo poche settimane
dopo e successivamente fu selezionata ed entrò a far parte di Blonde On
Blonde. In "One of Us Must Know", Dylan era accompagnato dal batterista
Bobby Gregg, dal bassista Danko (o forse Bill Lee, non è sicuro), dal
chitarrista Robbie Robertson, dal pianista Paul Griffin e da Al Kooper
(che era più un chitarrista che organista) che però in quella occasione
suonava l'organo. Questa fu l'unica canzone che vide (a parte Robertson)
la presenza di un membro della band (Rick Danko - non certo peraltro).
Poi come sappiamo, Dylan si trasferì a Nashville per ricominciare le
registrazioni con altri musicisti del luogo, portando con se i soli
Robertson ed Al Kooper. Quindi
Blonde on Blonde vedrà la presenza dei membri di The Band solo nelle
sessions di New York che non saranno utilizzate per il disco perchè il
suono non era quello che aveva in mente Dylan. Chi volesse sapere cose
più particolareggiate può cliccare sotto il link al sito ufficiale di
The Band e troverà una lunga e dettagliata biografia.
Su Blonde on Blonde
saranno accreditato i seguenti musicisti: Bob Dylan – vocals, guitar,
harmonica, piano, Bill Aikins – keyboards, Wayne Butler – trombone,
Kenneth Buttrey – drums, Rick Danko or Bill Lee – bass guitar (New York
sessions), Bobby Gregg – drums (New York sessions), Paul Griffin – piano
(New York sessions), Jerry Kennedy – guitar, Al Kooper – organ, guitar,
Charlie McCoy – bass guitar, guitar, harmonica, trumpet, Wayne Moss –
guitar, vocals, Hargus "Pig" Robbins – piano, keyboards, Robbie
Robertson – guitar, vocals, Henry Strzelecki – bass guitar, Joe South –
bass guitar, guitar. Penso che a diverse riprese abbiamo detto tutto
quello che era necessario dire su Blonde On Blonde e su Levon and The
Hawks/ The Band. L'unica cosa da dire ancora e che nell'interno di
potertina di BOB c'era la foto di Claudia Cardinale la quale pretese che
la sua immagine fosse levata dal disco per ragioni note solo a lei.
Alla prossima caro
Dario, Mr.Tambourine, :o)
Mercoledì
21
Marzo 2018
Talkin' 10414
-
andreadelmonte83
Ciao Mr.Tambourine, come va?
Verrai a Roma per i concerti di Dylan?
Se può interessare:
Vendo due biglietti del concerto di
Bob Dylan a Roma per la data del 03/04/2018, poltronissima Fila 6 posto
36 e 38.
Prezzo di costo come da fattura ticketone.
Un abbraccio. Andrea
Ciao Andrea, lieto di sentirti,
tutto sommato non va male, si invecchia dignitosamente e finora la
salute tiene. Non sarò a Roma e nemmeno a nessun altro concerto di Bob
di quest'anno, la mia pensione non mi permette cose di questo genere, ma
tanto ci siete voi a mandarmi le vostre recensioni :o)))))))))). Spero
di poterti incontrare in un'altra occasione, tanto la stima e
l'amicizia non si degradano col tempo! Ho postato naturalmente il tuo
avviso in "Vetrina" anche se ormai siamo agli ultimi giorni, spero tu
riesca a venderli.Un abbraccio anche a te, Mr.Tambourine, :o)
Cari amici della Fattoria volevo
segnalarvi che ho finito di leggere un libro intitolato
"FAMOUS BLUE RAINCOT" scritto da Massimo Cotto. Un racconto pieno di
interviste a COHEN, veramente molto interessante, che fa capire per chi
non lo sapesse la grandezza di questo grande artista. Vi dico solo cosa
ha detto di lui il nostro BOB: "LEONARD COHEN E' UNA DELLE POCHE PERSONE
IN CUI, PER QUALCHE ISTANTE MI SAREBBE PIACIUTO TRASFORMAMI". Per chi ha
voglia e tempo di leggerlo, fatelo, almeno a me ha insegnato molte cose.
Mi piacerebbe conoscere il Vs. punto di vista.
Con affetto, Marcello
Ciao Marcello, grazie
per la segnalazione. Ho dato indicazioni dove si può acquistare il libro
e sotto ho postato un articolo con la recensione dello stesso. Spero che
se qualcuno lo leggerà vorrà mandarci una piccola recensione. Live long
and prosper, Mr.Tambourine, :o)
____________________________________________________________________________________________________________________
"I famosi impermeabili blu" - Massimo
Cotto racconta Leonard Cohen
clicca
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Martedì 20
Marzo 2018
Talkin' 10412
-
calabriaminimum
Ciao Mr T.
attenzione, non facciamo confusione sulla backing band di Dylan che
suona nella versione finale di Blonde on Blonde. Salvo per Robbie
Robertson (e probabilmente Rick Danko) nessuno dei The Band prenderà
parte alle sessions finali di Blonde on Blonde, che si svolgono a
Nashville e non a NYC, come potete vedere qui:
https://en.wikipedia.org/wiki/Blonde_on_Blonde#Personnel
Aldilà dei crediti, faccio fatica a riconoscere alcun elemento dei The
Band, che hanno invece un modo molto particolare di suonare e di
accompagnare Dylan. Su Blonde on Blonde riesco a riconoscere bene solo
Al Kooper all'organo, e forse Robbie Robertson alla chitarra. Sono quasi
sicuro di non sentire (e non credo sia un problema dovuto al mastering)
nessuno dei tastieristi di The Band. Nemmeno Rick Danko, che ha un modo
molto personale di suonare le linee di basso.
Che ne dite?
Dario Twist
Ciao Dario, forse hai
letto distrattamente la mia risposta a Carla, riporto testuali parole:
"il gruppo collaborò con il Dylan per le prime sessions di quello che
molti ritengono il suo capolavoro assoluto, Blonde on Blonde". Non ho
detto che tutto Blonde On Blonde fu registrato con i membri di The Band.
Le sessioni di registrazione ebbero inizio a New York nell'ottobre del
1965, con la partecipazione di numerosi session men, inclusi i membri
della backing band di Dylan dal vivo, i The Hawks (più tardi The Band).
Le sedute continuarono fino al gennaio 1966, ma soltanto una traccia che
finì sull'album fu completata, One of Us Must Know (Sooner or Later).
Dietro suggerimento del produttore Bob Johnston, Dylan, accompagnato dal
tastierista Al Kooper e dal chitarrista Robbie Robertson, si trasferì a
Nashville, Tennessee. Queste sessioni, con l'apporto di alcuni musicisti
della scena locale, furono maggiormente fruttuose, e nel febbraio-marzo
'66 si ebbe la registrazione di tutte le rimanenti canzoni dell'album.
Aggiungo qui, non per
te che già sai queste cose, ma per coloro che sono meno ferrati, un
breve riassunto della storia delle sessions di Blonde on Blonde:
Rientrato dal tour
inglese, Dylan decise di portarsi gli Hawks, che diventeranno The Band,
in studio di registrazione. Una prima seduta prodotta da Bob Johnston si
tenne tra il 5 e il 6 ottobre, allo Studio A della Columbia a New York.
La session era incentrata su due canzoni: I Wanna Be Your Lover (una
specie di parodia della beatlesiana “I wanna be your man”) e Can You
Please Crawl Out Your Window?, che però non trovarono collocazione
sull'album in uscita.
Il 30 novembre, Dylan e gli Hawks registrarono il brano Freeze Out,
successivamente reintitolato "Visions of Johanna", Freeze Out era una
composizione ambiziosa, dieci minuti di epica surreale. Ma nemmeno con
l'ausilio dei musicisti di studio Bruce Langhorne, Paul Griffin, e Al
Kooper, Dylan riuscì a registrare una versione del brano che lo
soddisfacesse.
Dylan non effettuerà altre sessioni fino all‘anno successivo, il 21
gennaio 1966, ritornò in studio per registrare un'altra lunga
composizione, She's Your Lover Now. Anche questa seduta fallì e Dylan
non ritentò più di registrare ancora la canzone, ma una take del 21
gennaio riemergerà anni dopo, sul cofanetto The Bootleg Series Volumes
1–3 (Rare & Unreleased) 1961.
Dopo aver fallito la registrazione di due potenziali brani da includere
sul nuovo disco, Dylan si fece perplesso sull'uso degli Hawks come band
di studio. Fece un'altra session allo Studio A il 25 gennaio, ma questa
volta insieme al batterista Bobby Gregg, al bassista William E. Lee, al
pianista Paul Griffin, e con Al Kooper all'organo; Robbie Robertson
suonò ugualmente durante queste sessioni, e molti membri degli Hawks
presenziarono in studio, ma la loro presenza è incerta per la mancanza
di una documentazione attendibile. Comunque, due nuove canzoni furono
finalmente registrate: Leopard-Skin Pill-Box Hat e One of Us Must Know
(Sooner or Later).
Un'altra seduta si tenne il 27, ma non ne uscì niente di buono. Quindi,
la difficoltà di completare i brani e i lenti progressi delle session,
contribuirono alla decisione di Dylan di cancellare le ultime tre sedute
di registrazione già prenotate in precedenza. Tempo dopo Dylan
incontrerà il critico Robert Shelton e gli confesserà: «Oh, ero
veramente giù. Voglio dire, in dieci sedute, non siamo riusciti a
registrare una sola canzone. Era colpa del gruppo. Ma, allora non lo
sapevo. Non volevo pensarlo».I
Il trasferimento a
Nashville
Allora Dylan pensò che cambiare scenario di registrazione e musicisti
avrebbe aiutato a migliorare la situazione. Il produttore Bob Johnston,
che aveva già avuto qualche esperienza precedente agli studi Columbia di
Nashville, decise, in accordo con Dylan, di spostare lì le sedute di
registrazione dell’album.
Il 14 febbraio 1966, Dylan tenne la sua prima seduta di registrazione al
Music Row Studios di Nashville. In aggiunta ad Al Kooper, Dylan e
Johnston reclutarono l’armonicista, chitarrista e bassista Charlie
McCoy, i chitarristi Wayne Moss e Joe South, e il batterista Kenny
Buttrey.
Tre canzoni furono registrate in questa prima sessione, Fourth Time
Around e Visions of Johanna furono finalmente completate per
l'inclusione sull'album. Ulteriori tentativi di ri-registrare
Leopard-Skin Pill-Box Hat, invece, si rivelarono insoddisfacenti.
Il giorno dopo, Dylan fece un'estesa seduta che durò fino alle prime ore
del mattino del 16 febbraio. Fu durante questa sessione che Dylan
registrò un'altra composizione epica, Sad-Eyed Lady of the Lowlands, che
andrà ad occupare un'intera facciata del disco in uscita.
Un'altra session, il 17 febbraio fu dedicata alla registrazione di una
delle canzoni dal titolo più celebre e bizzarro tra quelli scritti da
Dylan, Stuck Inside of Mobile with the Memphis Blues Again. Un nastro
master completo della canzone fu completato con successo e
successivamente incluso nell‘album finale.
L'8 marzo furono registrate Absolutely Sweet Marie, Just Like A Woman, e
Pledging My Time. Un'ultima, lunghissima sessione durata tutta la notte
tra il 9 e il 10 marzo, produsse nastri definitivi di Most Likely You Go
Your Way (And I'll Go Mine), Temporary Like Achilles, Rainy Day Women
#12 & 35, Obviously Five Believers, I Want You, e Leopard-Skin Pill-Box
Hat, tutte completate e pronte per essere pubblicate.
Dylan rimase molto soddisfatto delle session di Nashville, e quando
supervisionò il mix finale di Blonde on Blonde, in aprile a Los Angeles,
si accorse di avere abbastanza materiale per un album doppio.
«Il tipo di suono che più si avvicina a quello che avevo sempre avuto in
mente, è quello sul disco Blonde on Blonde», affermerà Dylan nel 1978.
«Un sottile e teso suono al mercurio. Metallico e rilucente. Quello è il
tipo di sonorità che cerco. Non sono sempre stato in grado di ottenerla.
Il più delle volte mi sono dovuto accontentare di una combinazione di
chitarra, armonica e organo».
Ti ringrazio per aver
dato modo di riparlare di BoB, alla prossima, live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
La leggendaria chitarra Gibson rischia
una ingloriosa bancarotta
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Lunedì 19
Marzo 2018
Talkin' 10411
-
ventu955
Ciao, ho due biglietti x mantova sold
out, blocco N, posti adiacenti 69-71,visibilita' ottima, il prezzo con
prevendita 100+100
Contattatemi ventu955@gmail.com
Naturalmente questo
post è anche nella nostra "Vetrina". Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Enrico Ciacci, uno dei più grandi
chitarristi italiani ci ha lasciato
Enrico Ciacci se n’è andato alcuni giorni
fa, lasciando libero io suo letto all’Ospedale Gemmelli di Roma dove era
ricoverato per una grave malattia, ma troppo poco è stato fatto per
ricordarlo come meritava. Chitarrista, compositore, fratello di Little
Tony, nato a Tivoli 75 anni fa, era un’ ottimo chitarrista, compositore
di colonne sonore, appassionato di rock and roll, era stato lui a
trasmettere al fratello Tony la passione per Elvis e la musica americana
dell'epoca.
Antonio (Little Tony), Enrico (chitarrista) e Alberto (bassista),
avevano iniziato da giovani a fare i primi tentativi di spettacolo nel
mondo della musica grazie anche al padre Novino, cantante e
fisarmonicista, e allo zio Settembrino, chitarrista. Una lunga
collaborazione, quella fra Enrico e Little Tony, che ricordiamo essere
scomparso nel maggio del 2013, che li aveva portati a esibirsi insieme
sui palchi di mezzo mondo e a condividere una lunga carriera. Simili
anche nell'aspetto: anche per Enrico capelli corvini, ciuffo
d'ordinanza, occhiali scuri, abiti in pelle e giacche rigorosamente
frangiate in stile Elvis.
E fu proprio Enrico a far conoscere e amare il rock and roll a Tony. Con
lui ha lavorato anche alla stesura di numerosi successi come ‘Quando
vedrai la mia ragazza' e ‘Il ragazzo con il ciuffo'. Queste le parole di
Enrico Ciacci in una recente intervista in cui ricordava gli esordi:
"Nel 1962 iniziai a far parte dei musicisti “turnisti” alla RCA ed ebbi
la fortuna di essere chiamato da Ennio Morricone, non ancora famoso a
quel tempo, per gli arrangiamenti di “Andavo a 100 all’ora”, un brano
che dette il via alla popolarità di Gianni Morandi. Alla RCA rimasi per
ben 29 anni dove prestai la mia attività e le mie doti, che si andavano
sempre più affinando, con grandi nomi di direttori d’orchestra e maestri
musicisti. Per fare qualche nome cito Bacalov, Nino Rota, Armando
Trovajoli, Riz Ortolani,Carlo Savina, e Jerry Goldsmith. Con Guido e
Maurizio De Angelis ho avuto l’opportunità di suonare nello sceneggiato
TV “Sandokan” che è stato un successo mondiale dove la mia chitarra
venne apprezzata dal pubblico e dalla critica".
Buonasera Mr.Tambourine,
cercavo la formazione che ha accompagnato Dylan alla serata dei Grammy
nel 2011 ma nella pagina “tutte le backing band di Dylan” non l’ho
trovata, forse perchè è stata una data unica non facente parte del Tour?
Grazie, Alberto.
Esatto, quando Bob Dylan
suonato alla notte dei Grammy il 13 febbraio 2011 con i membri della sua
band, Stu Kimball, Donnie Herron, e Tony Garnier si sono uniti a lui gli Avett
Brothers e Mumford & Sons per eseguire una versione rauca di "Maggie's
Farm". Mancavano George Recile e Charlie Sexton, ma c’era un ospita di
prestigio sul palco con loro, Harvey "The Snake" Mandel, storico
chitarrista dei Canned Heat.
Harvey Mandel
Canned Heat, left to right: Bob Hite
(Voice), Harvey Mandel (Guitar), Larry Taylor (Bass) Alan Wilson
(Guitar, harmonica, voice)
Naturalmente non hai potuto trovare questa band nell'elenco delle
backing band perchè non lo era, è stata un'occasione unica, come al
concerto del Bangla Desh o come al Live Aid e quindi non
classificabile come backing band dylaniana. Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Salve Mister,
grazie per le ulteriori notizie e per la battuta di Jannacci che è una
piccola perla di ironia verso il sapere quando diventa saccenza.
A proposito di band dylaniane, tra appunti, trascrizioni e materiale
vario non molto ordinato, mi sono persa quanto è stata sciolta la "Band"
per antonomasia. Sto scoprendo l'inquieta bellezza di "Oh mercy" e mi
piacerebbe sapere che ne pensate di "Tempest" ; dopo che l'ascolto,
d'istinto, torno a "New morning". Ciao a tutti e lunga vita! Carla.
I membri originali
iniziarono a suonare insieme facendosi chiamare The Hawks (e
successivamente Levon And The Hawks) come backing band del cantante
Ronnie Hawkins.
La prima grande occasione, però, si presentò quando Bob Dylan li reclutò
come propria band di supporto durante il suo tour del 1966 (documentato
nell'album discografico The Bootleg Series Vol. 4: Bob Dylan Live 1966,
The "Royal Albert Hall" Concert e nel film documentario Eat the
Document); in studio, il gruppo collaborò con il Dylan per le prime sessions di quello che molti ritengono il suo capolavoro
assoluto, Blonde on Blonde (pubblicato nel 1966), e in seguito su The
Basement Tapes (raccolta di sedute informali incise durante il 1967
mentre Dylan era convalescente a seguito di un grave incidente
motociclistico) e Planet Waves (1974).
Dopo aver lavorato con Dylan, il gruppo si ritirò per la prima volta per
incidere del materiale proprio, e da allora è iniziata la loro
instancabile carriera costellata di successi, con almeno due dischi
epocali come Music from Big Pink (1968) e l'omonimo The Band (1969). In
quegli anni presero parte al festival di Woodstock (pur non comparendo
nel celebre film che documenta l'evento) e al festival dell'Isola di
Wight.
Ufficialmente L'ultimo valzer (The Last Waltz) è il film concerto
diretto da Martin Scorsese che riprende quello che è stato l’ultimo concerto
dal vivo di The Band con la line-up originale tenutosi il 25 Novembre 1976 alla
Winterland Ballroom di San Francisco in California, il film uscirà due
anni dopo nel 1978.
Invece l’ultimo disco che vide la partecipazione della line-up originale
di The Band (nome assunto dal 1966) fu ”Island” pubblicato nel 1977.
The Band continuerà a fare dischi e concerti fino al 1999 ma con
l’ingresso di altri artisti al posto di coloro che avevano lasciato il
gruppo.
Invece per sapere le opinioni dei nostri lettori su "Tempest" clicca sul
link sotto e ti farai un'idea quasi completa dei giudizi che suscitò
alla sua uscita:
Charlie ‘Chalo’ Quintana, batterista dei
SOCIAL DISTORTION dal 2000 al 2009, è deceduto il 13 marzo 2018 all’età
di 56 anni. Charlie aveva suonato anche in tour per Bob Dylan.
Recentemente si era ritirato in Messico e si occupava di cani randagi.
Non sono state rivelate le cause della morte.
Charlie ha suonato per Bob il 22 Marzo 1984 nel “David Letterman Show”
negli NBC Studios al Rockefeller Center di NYC. La formazione che
accompagnò Bob in quella occasione era:
Justin Jesting (guitar) - Tony Marisco (bass) - Charlie Quintana (drums)
Alcuni anni dopo Charlie suonò per Dylan dal 27 Aprile 1992 (Paramount
Northwest Theatre, Seattle, WA) al 5 Settembre 1992 (Orpheum Theatre,
Omaha, NE) con la seguente formazione:
Bucky Baxter (pedal-steel guitar/mandolin) - Tony Garnier (bass) - John
Jackson (guitar) - Charlie Quintana (drums)
Ian Wallace (drums)
Nel mio recente trip a Londra sono andato
a vedere e sentire il musical "Girl from the North Country". Pienone di
giovani e vecchi. Tutti si aspettano qualcosa a lieto fine ma è una
storia da Grande Depressione. 1934, Duluth, una pensione economica,
gestita da Nick, moglie demente, figlio alcolizzato con ambizioni
letterarie, e Marianne, la figlia adottiva nera, incinta. Ci sono poi un
dottore/narratore somministratore di morfina, una famiglia con figlio
ritardato (che poi viene ucciso dal padre), un vecchio signore che Nick
vorrebbe far sposare a Marianne, un pugile fallito e scappato di
prigione che vorrebbe sposare Marianne, un più o meno pastore
protestante, e una giovane vedova amante di Nick, che però non lascia la
moglie demente. Tutti sognano qualcosa ma nessuno lo ottiene.
Alla fine tutti gli spettatori escono con sguardi pensierosi, afflitti,
sbigottiti, delusi... Bravi gli attori e tutti con bellissime voci, che
interpretano strofe delle canzoni di Bob, ri-musicate con intensità
emozionante, passando dal blues al gospel al country. Con un velato
accenno musicale a Girl of the north country, ci sono Slow train coming,
You ain' t goin' nowhere, Tight connection to my heart, Went to see the
gipsy, Is your love in vain?, Jokerman, Sweetheart like you, Idiot wind,
Hurricane, Forever young, Duquesne whistle. E una fusione di I want you
e Like a rolling stone che ti uccide dall’emozione! Buona la band:
pianoforte, chitarra, batteria, contrabbasso e violino.
Ti ringrazio per la
testimonianza, vedo che le canzoni sono molte e, come hai testimoniato
tu ben eseguite, a volte emozionanti, ma sembra che sia il plot del
musical ad essere un pò insipido e che lasci tutti dubbiosi, è strano
perchè le recensioni inglesi erano ottime, andrò a rileggermele. Grazie
ancora, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 15
Marzo 2018
Talkin' 10407
-
paolo.manclossi
Prendo spunto dagli interventi su "Down
the Grove" per esprimere un parere circa il rapporto critica-Dylan. La
storia è lunga e contraddittoria soprattutto quando parliamo dei
"critici" di casa nostra che con Dylan hanno sempre avuto un rapporto
complicato. Basti leggere le "stroncature" più o meno pilotate che nel
rispetto della "soggettivita" spesso hanno peccato di moda e analisi
superficiali. Io ritengo che le migliori critiche lette un un senso o
nell'altro spesso le ho trovate da "semplici" afficionatos del
Nostro.....senza nulla togliere ai cosiddetti "mostri sacri" della penna
specializzati a cui noi "neofiti" della fine anni 60 dovevamo fare
riferimento viste le scarse notizie e la evidente distanza dagli inizi
carriera di Dylan. L'avvicinamento al mondo Dylan praticamente lo si ha
dal post Planet Waves e il rimbombante eco del ritorno con la Band nel
'74. Noi europeii (Italia esclusa lo vedremo 10 anni dopo per la prima
volta nel 1984, nell'estate del 78. Street Legal, personalmente grande
musica riproposta ai massimi livelli soprattutto nel finale del tour 78
(il "live at Budokan non e' che una pallidissima esempio a confronto.
Stroncato dai commenti nostrani, Bertoncelli escluso, come lo furono i
dischi della trilogia (rivalutati nel tempo soprattutto per la lettura
live). Indidels doveva sostenere il tour europeo da qui interviste e
special televisivi e buone recensioni per un disco con incisioni
alternative superiori scoperte anni dopo. Poi sono arrivati dischi
contradditori stroncai o criticati pesantemente ma qualcuno dei quali
rivalutati nel tempo. Impegni contrattuali o sempli raccolte sfasate nel
tempo. Ma tra tutti piccoli gioiellini se ne trovano sempre mantenendo
il nostro in un confronto con gli altri artisti del ns. tempo sempre
sopra la media. Oggettivamente chi ha fatto meglio? Senza parlare poi
dell'attività live che secondo me non ha paragoni e che vede pochi
avvicinarsi.
Ciao
Paolo, il problema principale è che nel nostro paese, quando uno lavora
per un grande quotidiano, comincia a pensare di essere o infallibile o
un depositario della verità, uno al quale è permesso dire qualunque cosa
perchè ha acquisito uno "status quo" di supercredibilità col favore del
quale è convinto che gli altri pendano dai suoi pensieri. Invece,
proprio come dici tu, le voci più sincere sono quelle degli umili che
hanno il coraggio di chiedere le cose che ritengono che qualcun'altro
possa conoscere meglio di loro, e non è finita, perchè poi bisogna avere
anche l'umiltà di leggerle e se è il caso trarne vantaggio o
insegnamento. Dylan è un artista che anche per gli americani stessi è
problematico da capire, nei concerti dal vivo è difficilissimo capire
ciò che canta e le parole che sta dicendo, sarà una questione di accenti
o di modo di cantare, non saprei, ma il fatto è che molti madrelingua
targati U.S.A. si lamentano per la pronuncia dylaniana che rende
difficile la comprensione.
Molti dei
nostri amici Maggiesfarmers hanno scritto negli anni bellissime
recensioni ed espresso giudizi scevri da condizionamenti su Bob, e
naturalmente i migliori saggi sono stato raccolti nella pagina "Come
writers and critics" che si trova negli archivi del sito a questo
indirizzo:
http://www.maggiesfarm.eu/comewriters.htm . Di
sicuro coloro che hanno la brutta abitudine di usare paroloni
altisonanti difficilmente vengono compresi dal popolino, proprio come i
politici che dopo che hanno parlato dieci minuti nessuno ha capito un
cazzo di quello che hanno detto. C'è poi un problema grande come la
muraglia cinese che è la ristretta diffusione e la buona conoscenza
della lingua inglese, e questo te lo posso dire sinceramente con
profonda umiltà, a metà anni '60 sentivo Mr. Tambourine man, The Times
they are a-changing, Like a rolling stones e molte altre, specialmente
le canzoni di Blonde on Blonde, mi piaceva la musica e mi affascinava la
canzone, ma maledizione se riuscivo a capire una parola di quello che
Dylan cantava, ma mi piaceva lo stesso, riusciva a prendermi ugualmente,
raggiungere le corde della mia sensobilità e dei miei sentimenti senza
che io potessi capire una parola. Col tempo ho imparato ad ascoltare in
modo diverso e con il passare degli anni a riuscire a capire qualche
frase in più, ma Dylan è sempre stato l'artista più difficile da capire
Aveva un suo linguaggio e le sue visioni, e ce le raccontava come le
vedeva, solo che noi capivano a fatica, ma non importava, tutto era
ugualmente bello ed affascinante. Sul fatto che un disco sia più o meno
bello di un altro, più o meno riuscito, più o meno significativo, più o
meno importante, più o meno rivalutato nel tempo, si discuterà finchè il
sole non si spegnerà del tutto e la nostra galassia diventerà un
piccolo buco nero nello spazio senza fine. Perciò ascoltiamo e
riascoltiamo, e se un disco ci piace freghiamocene delle parole degli
altri, che conta è il nostro gusto e la nostra sensibilità, se un disco
ci piace non vedo perchè dovremmo dare ascolto alle parole di un critico
che lo ha stroncato, perchè potrebbe essere lui a non aver capito niente
perchè troppo preso da altri problemi. Quindi niente paura se ci piace
un disco, possiamo gridarlo ai quattro venti perchè niente e nessuno ci
deve venire a dire cosa ci deve piacere e cosa no. Dylan è sempre stato
e sarà sempre sopra la media degli altri artisti, in fin dei conti
finora è stato l'unico al quale è stato assegnato il Nobel per la
letteratura, anche se a molti sapientoni nostrani la cosa non è andata
giù perchè pensavano di essere più meritevoli di Bob, inutile fare nomi
perchè li conosciamo tutti. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Mercoledì
14
Marzo 2018
Talkin' 10406
-
samuconf93
Carissimo Mr. Tambourine,
ecco il link della quinta e ultima puntata del mio articolo sul NET di
Bob:
Spero che tu e tutti i Farmers abbiate apprezzato questo mio tentativo,
inevitabilmente limitato e parziale perché è impossibile dare giudizi
definitivi e al tempo stesso riassuntivi sul Never Ending Tour, un pezzo
di storia (non solo musicale) così ampio e variegato. Selezionare un
concerto per anno dal 1988 è stato per me un gioco divertente. Credo
possa servire a stimolare sia il lettore casuale sia il fan accanito ma
poco dedito ad ascoltare bootlegs ad andarsi a recuperare qualche live a
mio parere particolarmente valido.
Tra qualche giorno ti invierò il file completo dell’articolo, rivisto e
privo di eventuali refusi, così potrai pubblicarlo sulla Farm.
A presto e un caro saluto. Samuele.
Caro Samuele, devo
dire che hai fatto un ottimo lavoro che merita di essere parte di
Maggie's Farm. Ti faccio notare che, per me personalmente, gli articoli
scritti dai Maggiesfarmers valgono molto di più di quelli dei soliti
critici usi a dire di tutto e di più. Il pensiero dei lettori è più puro
e genuino, anche se a volte meno ricco di curiosità delle quali i soloni
si servono per impressionare. Resto in attesa (mandamelo scritto con
"Word" in formato .doc) delle cinque puntate rivedute e corrette. La
pagina dell'archivio dove inserirle è già pronta. A presto dunque,
grazie ancora, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
E' uscito "Gospel" il nuovo album di
Valerio Billeri fortemente ispirato dal cantautorato americano, qui
l'ascolto su spotify, inoltre su youtbe e' possibile ascoltare la cover
di "Boots of spanish leather" in italiano sempre legata al disco.
Grazie per la
segnalazione! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Lunedì 12
Marzo 2018
Talkin' 10403
-
dinve56
Salve Mister,
il giudizio dei critici musicali conta più di quello dei fans,è già
stato sottolineato più volte, ma non si rinuncia a dire la propria
opinione. Mi associo all'idea di chi ritiene che "Down in the groove"
sia godibile. Al mio orecchio il valore aggiunto di alcuni brani è
l'armonica e la voce splendida dei coristi : Bobby King, Willie Green,
Madelyn Quebec, Carolyn Dennis e molti altri. Il ritmo delle canzoni
scorre fluido e morbido, insomma piacevole. Dylan non annoia mai e, da
un album all'altro, è stupefacente questa straordinaria ricchezza
tematica e musicale. A presto e lunga vita! Carla.
Cara Cara, purtroppo a
sparare ad alzo zero su "Down in the groove" è stata la critica ed i
giornalisti musicali specializzati, (quelli che ti spiegano le tue idee
senza fartele capire - come diceva Jannacci), quindi noi, pur avendo
magari un'idea leggermente diversa sul disco siamo "corretti" e
rispettiamo anche l'opinione altrui. I più grandi esperti dylaniani
hanno detto che il miglior disco che Dylan abbia fatto è stato senza
dubbio "Blonde on Blonde", e su questo si può essere tranquillamente
d'accordo, poi ci sono Highway 61 Revited (l'album della svolta
elettrica), The Freewheelin' Bob Dylan, Blood on the tracks (anche se
"Ardez" ti dirà che a lui non piace e vale poco), Bringing it all back
home. Questo solo per dire che "Down in the groove" non fa parte dei Top
5 ma è un semplice album di 3° fascia pur avendo pezzi godibili. Certo
che chiunque vada a guardare l'elenco dei musicisti partecipanti
all'album rimane stupefatto e si dice "Mamma mia, tutti questi "pezzi da
90" per un dischettino come questo? Questo non vuol dire che l'abum sia
pessimo, però possiamo dire che da Dylan ci si può aspettare molto di
più. Era dai tempi di "Street Legal" che Dylan stava cercando di
catturare su disco il suono potente di una big band live, ma non era
così facile e negli anni a seguire, dopo la trilogia cristiana, uscirono
album diciamo sperimentali che non centrarono l'obbietivo come Down in
the groove. Ma niente di drammatico, è così per tutti gli artisti, ed i
più creativi come Dylan a volte devono pagare pegno alla
sperimentazione. Comunque Dylan è sempre Dylan e se sai ascoltare in
ogni disco un paio di gemme le puoi trovare. Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
I’m coming from NYC to the shows in Rome
the first week of April. I have a small favor to request. I collect Bob
postcards for many years from around the world and would like to obtain
some of the announcement cards for the Rome concerts. Would you be able
to help?
With appreciation,
Lee,
Brooklyn, NY.
(Vengo da New York per gli spettacoli a Roma la
prima settimana di aprile. Ho un piccolo favore da chiedere. Colleziono
le cartoline (volantini) di Bob per molti anni da tutto il mondo e
vorrei averne alcuni concernenti gli annunci per i concerti di Roma.
Sareste in grado di aiutarmi?
Con apprezzamento,
Lee,
Brooklyn, NY)
Hallo dear Lee, i have posted your request on
Maggie’s Farm and I hope that some roman fan may help you to have an
announcement or poster or other material, but I’am equally sure that in
Rome, the day of the concert, you will find around the venue a
merchandising area where you will buy what you are asking for. If
someone of the roman fans wants to help you can contact you at this
email address:
leekaufman18@verizon.net
See you next time. Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
(Ciao caro Lee, ho pubblicato la tua
richiesta su Maggie's Farm e spero che qualche fan romano possa aiutarti
ad avere un annuncio o un poster o altro materiale, ma sono altrettanto
sicuro che a Roma, il giorno del concerto, tu troverai nella zona del
merchandising un'area dove potrai comprare ciò che stai chiedendo. Se
qualcuno dei fans romani vuole aiutarti puoi contattarti a questo
indirizzo email:
leekaufman18@verizon.net
Arrivederci alla prossima. Lunga vita e prosperità, Mr.Tambourine,: o)
Sabato 10
Marzo 2018
Talkin' 10401
-
magicbus21
Ciao Mr. Tamburine,
sono in disaccordo sul giudizio di "Down in the groove", sicuramente un
disco "minore" ma non certo il più brutto;
Forse uscito per onorare il contratto con la casa discografica, presenta
alcuni pezzi buoni:
Le cover di "Let's stick together", "When did leave heaven?" , "Shenanoah",
"Nineety miles", sono assolutamente godibili, e
suonano come se fossero eseguite "live", un anticipo di evoluzione di
come Dylan avrebbe interpretato i brani in seguito, nel never ending
tour che sarebbe partito da lì a poco, di cui "Silvio" è stato per anni un
pezzo forte dello show.
"The death is not the end" è stata ripresa anche da NicK Cave nelle sue
Murder Ballads, e sarà anche uno scarto di Infidiels, ma un bello
scarto.
A mio avviso il disco precedente è più brutto, e successivamente ne ha
fatto due acustici, di cui uno era di troppo.
Poi sappiamo tutti che in seguito ha fatto di peggio: il terribile disco
di Natale, e Triplicate, tanto per non fare nomi.
Il retro di copertina mi sa che è un istantanea dal set di "Hearts of
fire", (a proposito di brutture dylaniane).
Saluti Alessandro.
Ciao Alessandro, nella mia risposta a
Stefano Catena (catestef), ho riportato esclusivamente giudizi di altri
critici che si possono trovare on line. Le cover fatte da Dylan qualche
volta sono bellissime (io trovo eccezionale la cover di Pancho and Lefty
https://www.youtube.com/watch?v=VmYOC3lUZyQ
eseguita in
compagnia di Willie Nelson), altre invece risultano orribili o
inascoltabili tipo Brown Sugar
https://www.youtube.com/watch?v=JAkbxQADRXc , ma per quanto possano
essere godibili rimangono sempre cover. In fondo le canzoni scritte da
Bob in questo disco sono solo Death Is Not The End, Had a Dream About
You, Baby, Ugliest Girl In The World e Silvio scritte in collaborazione
con Robert Hunter. Veramente poco per un album di Dylan,
indipendentemente dal valore delle canzoni. Qui sotto ti riporto, parola
per parola, la recensione del disco che si trova sul noto sito DeBaser:
Bob Dylan -
Down in the Groove
Recensione scritta da Hungry per DeBaser.
Recensire un disco come questo, nella sterminata produzione di Dylan,
può essere come camminare su un pavimento scivoloso, perchè è un dato di
fatto che il paragone con le opere precedenti (anni 60 e 70) è
improponibile, come lo è anche il paragone con quel capolavoro,
pubblicato un anno dopo questo lavoro, dal titolo Oh Mercy.
Siamo nel1988, Dylan viene da due dischi, Empire Burlesque (1985) e
Knocked out loaded (1986), che non già per le canzoni (alcune molto
buone) peccavano per come i pezzi erano stati registrati, con un sound
molto poco rock che toglieva l'anima rock-blues ai brani che di quel
sound erano nutriti: come se l'autore avesse dato carta bianca ai suoi
tecnici nel rovinare quanto aveva prodotto (aspetto qualche Bootleg
series che magari recuperi versioni demo di quei pezzi).
Ecco, questa la prima bellezza di questo "dischetto": i pezzi, alcuni
(parecchi) non dell'autore, sono suonati con un piglio "grezzo" e questo
è un notevole passo avanti rispetto ai suoi predecessori e rispetto a
buona parte della produzione rock "plastica" degli anni 80 (non solo di
Dylan, inteso).
Let's Stick Together è una buona riproposizione di un pezzo del 1962 di
un autore rhythm n' blues minore, lo stanunitense Wilbert Harrison;
Dylan dà un tocco molto acido al pezzo, accompagnando le chitarre dal
piglio molto Stones, con la sua tipica armonica in chiave blues.
When did you leave haeven ? è un pezzo jazz del 1936 di Walter Bullock e
Richard Whiting; Dylan la reniventa, la veste con pochi strumenti,
tastiera, chitarra ritmica e batteria, dandole un valore "gospel".
Death is not the end, è un inedito di Dylan, e si sente; a parere mio
una delle sue più belle canzoni, una ninna-nanna, suonata, anche in
questo caso, con strumenti essenziali, compresi i cori fatti molto bene,
che donano a questo capolavoro un forte accento gospel. Ciliegina sulla
torta musicale, l'armonica suonata soavemente da Dylan. Il pezzo
contiene le "atmosfere" di Hallelujah del grande Cohen, anche se sono
due cose completamente diverse, ma ugualmente belle. Dylan non l'ha
praticamente mai suonata dal vivo, ma molti artisti si sono
"appropriati" di questo gioello (un pò come per l'Hallelujahdi Cohen):
tra questi ricordo la stupenda versione proposta nel 1996 da Nick Cave.
Altro pezzo forte del disco è Silvio, musica di Dylan e testo del suo
vecchio amico Robert Hunter dei Grateful Dead: la canzone è un gustoso
boogie-woogie, che non sembra inciso nel 1989, ma nel 1970 o giù di là.
Da segnalare nei cori, anche in questo caso, fatti come si devono fare,
l'altro Grateful Dead, Jerry Garcia.
Ninety miles an hour (down a dead end street) di Don Robertson, un
pioniere della musica rock n' roll , grandissimo pianista (ha suonato
con Elvis). Anche in questo caso Dylan reinventa il pezzo, che
dall'originale rock n' roll classico, diventa un brano gospel, scarno,
tutto voce, organo e cori (nei cori, il grande Bobby King che è sempre
un bel sentire).
Chiude Ranck strangers to me di Albert E. Brumley, un pioniere della
musica gospel cristiana, a ribadire, a parere mio, la forte ispirazione
rock-gospel di questo lavoro di Dylan.
Chi si avvicina per la prima volta a Dylan stia lontano da questo
lavoro, c'è ben altro da cui iniziare.
Chi invece lo conosce già, ma magari lo vuole approfondire, troverà nel
disco molti spunti per comprendere le ragioni musicali che spinsero
questo grande artista a saltare dopo la primissima fase folk, dal rock
di fine anni 60-primi anni 70, alla fase gospel di fine anni 70.
Questa DeRecensione di Down in the Groove è distribuita da DeBaser con
Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo
stesso modo 4.0 Internazionale.
Può essere parzialmente o totalmente riprodotta, ma solo aggiungendo in
modo ben visibile il link alla recensione stessa su DeBaser:
Come vedi le
recensioni e le critiche si rincorrono, sembrano scritte con la carta
carbone, comunque sono tutti concordi con il giudizio che il disco è
molto al di sotto delle aspettative per un artista come Dylan. Forse un
disco fatto "per contratto", un disco fatto per sperimentare alla
ricerca di qualcosa di diverso, forse un disco di cover in mancanza di
canzoni originali delle quali in quegli anni Dylan era in grande
astinenza. Certamente non è brutto come Christmas o Triplicate (a mio,
avviso Triplicate non è poi brutto brutto, non è un disco dylaniano, è
una cosa senza scopo e senza ragione, senza orario e senza bandiera come
avrebbero detto i New Trolls), ma è assolutamente da elencare tra i
figli di un "dio minore". In fondo in fondo, volendo proprio
sottilizzare, è un pò quanto si può leggere fra le tue righe, forse non
sarà il peggiore ma ci è molto vicino, anche se le cover, suonate con
fior di musicisti dai nomi più che rinomati, tipo Eric Clapton, Sly
Dunbar (batterista di Liverpool, giovane fenomeno British Blues, ha
suonato con John Mayall e i suoi Bluesbreakers, poi Frank Zappa lo ha
voluto a suonare nei suoi dischi e nelle date dal vivo con le Mothers of
Invention, ha sostenuto anche un provino per suonare con Jimi Hendrix,
assieme a Mitch Mitchell il quale poi è passato effettivamente al
gruppo; e secondo Chas Chandler (che portò Jimi in Inghilterra, fu la sorte, tramite il lancio di una
moneta, a fargli preferire Mitchell. Dunbar ha lavorato con i massimi artisti
rock, compresi Frank Zappa, Lou Reed, Jeff Beck, David Bowie,
Whitesnake, Sammy Hagar, UFO, Jefferson Starship), Nathan East, bassista
di Eric Clapton, Jerry Garcia, Mark Knopfler, Ronnie Wood, non fossero
godevoli. Difficile azzeccare la logica di dischi come questo, io, tu e
tanti altri ci tentiamo, tentiamo di trovare una ragione che possa
salvare un lavoro non all'altezza come Down in the groove, se poi
sbagliamo non importa, che conta è provarci! Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Carissimo Mr.
Tambourine,
la mia risposta è (ovviamente) sì! Sarà un onore per me poter avere uno
spazio su questa meravigliosa community, che frequento da oltre dieci
anni. È fantastico pensare che questo mio articolo finisca sulla Farm.
Se per te va bene dopo la quinta e ultima puntata ti invierò l’intero
file con i 30 concerti selezionati, per sistemare così ogni eventuale
refuso che in queste settimane mi è sfuggito. E, se per te non è un
problema, lascerei anche il riferimento a Music Map, il sito che me lo
sta pubblicando, così da “ringraziare” anche loro per lo spazio che mi è
stato concesso.
Nel frattempo ti mando il link della quarta e penultima puntata:
A prestissimo e un caro saluto a te e a tutta la Farm.
Samuele
D'accordissimo, resto
in attesa! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 9
Marzo 2018
Talkin' 10399
-
gianlucacarlini
Cara Fattoria,
rinnovo l’offerta di un biglietto per il concerto di Dylan a Mantova del
giorno 8/4.
Si tratta di un posto nel blocco B, quarta fila, posto n. 37. Ovviamente
lo vendo al prezzo d’acquisto.
Se qualcuno è interessato, chieda pure la mia mail a Mr. Tambourine e mi
scriva.
Fatevi avanti che aprile si avvicina e il Nostro è in arrivo!
Gianluca coocoo bird.
Ciao Mr. Tambourine,
sono Massimo (a.k.a. Barabba), quello di Barolo.
Anche questa volta ho un biglietto in più: per il concerto del 3 aprile
a Roma.
Platea A, fila 6, posto 39, a sinistra guardando il palco. Lo vendo al
costo di acquisto: 120 euro.
Grazie Mr.Tambourine per questa occasione che ci dai e, soprattutto
ancora una volta, per le inestimabili informazioni di cui il tuo sito
(perché ormai il sito è il tuo) è pieno.
A presto.
Caro Barabba,
permettimi di ringraziarti ancora per quella volta a Barolo che mi
offristi il biglietto per il concerto. Spero che tu riesca a vendere il
biglietto, Roma è grande! Ti ringrazio per le bellissime parole ma
vorrei sottolineare ancora una volta che il sito è di tutti noi malati
di dylanite, io sono solo il coordinatore per evitare offese negli
scambi di opinioni, ogni tanto scrivo del mio, i miei pareri, che non
finisco mai di sottolineare sono solo ed esclusivamente miei pareri
senza null'altro pretendere. Naturalmente l'avviso è postato in
"Vetrina". Ciao, alla prossima, live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 8 Marzo 2018
Talkin' 10397
- catestef
Nel retro copertina del disco c'e' una
bella foto di Dylan su un palco, all'apparenza sembra un palco
improvvisato con tanto di chitarre in attesa di essere suonate e con
Dylan che sembra lanciare qualche cosa (fiori) all'unica spettatrice che
sembra passare davanti al palco allestito nel retro di un camioncino.Una
sorta di palco volante.
La mia domanda e' la seguente che cosa e'
tutto questo? uno show improvvisato? avevo letto da qualche parte che
faceva parte del progetto del film Hearts of fire (la foto dovrebbe
essere del 1987) e potrebbe essere vero visto anche gli abiti che Dylan
indossa nella foto come Parker, ci sono altre foto? possibile solo una e
chi e' il fotografo? Dove e' stata scattata? Qualcuno sa di piu'?
Curiosità che possono interessare anche ad altri fan di Dylan.
Grazie e buona giornata Mr. Tamburino,
Stefano C.
Caro Stefano, la tua
domanda e da un milione di dollari. Si sa che la foto di copertina di
Down in the groove doveva essere un disegno realizzato da Rick Griffin,
il disegnatore di molte copertine dei Greatful Dead, ma alla CBS il
disegno non piacque e decise di usare due foto fornite da Dylan stesso,
ma l'autore degli scatti rimarrà sempre misterioso.
Down in the Groove,
nonostante la ricchezza di ottimi musicisti partecipanti alle incisioni,
fu un tentativo mal riuscito di Bob di realizzare un disco con la
ricchezza di suono come quelli che sentiva da giovane ad Hibbing. Forse
il fatto che in quel periodo Bob era in crisi compositiva abbastanza
profonda e che perciò incluse nel disco diverse cover cercando di
dylanizzarle alla sua maniera, ma tutto sommato, la critica mondiale ed
anche i fans considerano Down in the groove il peggior disco di Dylan,
inferiore anche a Self Portrait. La foto di retrocopertina credo, ma è
solamente una mia opinione personale, sia un frame estratto da qualche
scarto di ripresa del videoclip di Sweetheart Like You.
https://www.youtube.com/watch?v=PpRKstHl7Y0
pubbblicato su Infidels nel 1983.
Qui sotto ti riporto
alcune delle critiche fatte al disco ed a Bob all'epoca:
"Anche per gli
standard di Dylan, questo album ha avuto una nascita strana e
difficile", ha scritto il critico di Rolling Stone David Fricke. "La sua
uscita è stata posticipata di oltre mezzo anno, e la lista dei brani è
stata modificata almeno tre volte. Se i crediti dei musicisti sono solo
indicativi, le canzoni che son finite sul disco provengono da una mezza
dozzina di sessioni di registrazione distribuite su sei anni." Come il
suo predecessore Knocked Out Loaded, Dylan ha usato ancora una volta più
collaboratori del necessario. Dopo l’uscita dell’album Knocked Out
Loaded, Dylan ha colto l'occasione per lavorare ulteriormente sui suoi
tentativi di collaborazione. L'album presenta diversi artisti come
“ospiti” per la prima volta. La più importante è stata la partecipazione
dei Grateful Dead, che ha fornito all'album uno dei punti salienti più
importanti con il singolo "Silvio".
Nel libro”Bob Dylan: The Recording Sessions, 1960-1994”, l'autore
Clinton Heylin offre una spiegazione per lo stile dell'album. Dichiara:
"Così come è, l'intento di Dylan potrebbe essere sempre stato quello di
ripetere il suond della musica che ascoltava quando era giovane a
Hibbing”. L'autore continua a descrivere come l'album sia stato un passo
sensato per Dylan, suggerendo che i suoi problemi con la scrittura
creativa avevano ostacolato la sua capacità di produrre nuovo materiale.
Nella sua recensione per la rivista Rolling Stone, Fricke ha osservato
che "una tanto attesa - se alquanto improbabile - collaborazione con i
Full Force per "Death is not the end”, la migliore squadra hip-hop di
Brooklyn, si è rivelata essere una vecchia registrazione scartata da
Infidels con alcune gustose armonie vocali dei Full Force in evidenza.
Nel 2007, la rivista Rolling Stone etichettò Down in the Groove come il
peggior album di Bob Dylan. Nel 2017, la rivista ha aggiunto che "i fan
di Dylan discuteranno sempre sul momento esatto in cui la carriera di
Dylan abbia toccato il fondo, ma la maggior parte rimarrà convinta che
fu quando Down in the Groove fece un gran tonfo nei negozi di dischi nel
maggio 1988.
In una recensione pubblicata nella sua rubrica Consumer Guide, Robert
Christgau ha scritto: "Self Portrait era per lo meno strano,
bilanciandosi tra orribile e divertente. Dylan è ora sempre
professionale, ma non un singolo remake onora o dissacra l'originale.
Tutto quello che può fare con una canzone è Dylanizzarla, di conseguenza
rimangono indistinguibili, immerse in quel suono brevettato e ormai
privo di significato. " In seguito Christgau chiamerà Down in the Groove
"il prodotto orrendo".
Se clicchi sul link sotto troverai centinaia di informazioni sul disco:
Non ti elenco la track listi perchè so che già la conosci, ma a favore
di altri Maggiesfarmers elencherò i moltissimi musicisti accreditati:
Bob Dylan – guitar, harmonica, keyboards, vocals; production on "Death
Is Not the End"
Additional musicians
Michael Baird – drums
Peggie Blu – background vocals
Alexandra Brown – background vocals
Eric Clapton – guitar
Alan Clark – keyboards
Carolyn Dennis – background vocals
Sly Dunbar – drums
Nathan East – bass guitar
Mitchell Froom – keyboards
Full Force – background vocals
Jerry Garcia – vocals
Willie Green, Jr. – background vocals
Beau Hill – keyboards
Randy "The Emperor" Jackson – bass guitar
Steve Jones – guitar
Steve Jordan – drums
Danny Kortchmar – guitar
Bobby King – background vocals
Clydie King – background vocals
Pamela Quinlan - background vocals
Larry Klein – bass guitar
Mark Knopfler – guitar; production on "Death Is Not the End"
Brent Mydland – vocals
Madelyn Quebec – keyboards, background vocals
Robbie Shakespeare – bass guitar
Stephen Shelton – drums, keyboards, engineering, mixing
Paul Simonon – bass guitar
Henry Spinetti – drums
Bob Weir – vocals
Kip Winger – bass guitar
Ronnie Wood – bass guitar
Production
Coke Johnson – engineering
Mike Kloster – assistant engineering
Jeff Musel – assistant engineering
Jim Preziosi – assistant engineering
Brian Saucy – assistant engineering
Spero che qualche
altro Maggiesfarmers possa fornirci altre notizie. Per il momento ti
saluto, Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Salve,
ho comprato un biglietto per Dylan a Verona ma non ci potrò andare...lo
vendo al prezzo pagato ovviamente...sapete se a qualcuno interessa?
Grazie, Giorgio Bellone.
Ciao Giorgio, posto il tuo annuncio anche in
"Vetrina" così se qualcuno è interessato ti contatterà direttamente.
Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Mercoledì
7 Marzo 2018
Ira
Hayes, l’indiano di Iwo Jima
Ira Hayes fu uno dei soldati americani che innalzarono la bandiera
americana sulla cima del monte Suribachi di Iwo Jima, e la foto, da quel
momento, diventò certamente la più famosa foto di guerra di sempre. Alla
sua figura il cantautore folk Peter La Farge ha dedicato una canzone
intitolata The Ballad of Ira Hayes, resa famosa da Bob Dylan (che la
inserì nell'album discografico eponimo Dylan del 1973), Johnny Cash e
Kris Kristofferson.
Ira Hayes, Ira Hayes
Call him drunken Ira Hayes
He won't answer anymore
Not the whiskey drinking Indian
Or the marine that went to war
Ira Hayes, Ira Hayes
Chiamatelo l'ubriaco Ira Hayes
Non risponderà più
Non l'indiano che beve whisky
o il marine che è andato in guerra
Gather around me people, and a story I will tell
About a brave young indian -- you should remember well,
From the tribe of Pima Indians, a proud and peaceful band,
Who farmed the Phoenix valley in Arizona land --
Down their ditches for a thousand years the spakling water rushed,
Till the white man stole their water rights and the running water hushed
Now Ira's folks were hungry And their farms grew crops of weeds,
But when war came, he volunteered and forgot the white man's greed.
Radunatevi qui amici e vi racconterò una storia
che parla di un prode giovane indiano - dovreste ricordarlo bene
apparteneva alla tribù degli Indiani Pima, un gruppo fiero e pacifico
che in terra di Arizona viveva di agricoltura nella vallata di Phoenix
L'acqua zampillante per migliaia d'anni fluì dai loro fossi
fino a quando i bianchi rubarono il loro diritto all'acqua ed essa smise
di scorrere
Ora il popolo di Ira era affamato ed i loro campi pieni di erbacce
Ma allo scoppio della guerra egli partì volontario dimenticando la
cupidigia dei bianchi
Call him drunken Ira Hayes
He won't answer anymore
Not the whiskey drinking Indian
Or the marine that went to war
Ira Hayes, Ira Hayes
Chiamatelo l'ubriaco Ira Hayes
Non risponderà più
Non l'indiano che beve whisky
o il marine che è andato in guerra
They started up Iwo Jima hill, two hundred & fifty men,
But only twenty seven lived to walk back down again;
And when the fight was over and Old Glory raised,
Among the men who held it high was the Indian Ira Hayes.
Duecentocinquanta uomini salirono sulla collina di
Iwo Jima
Ma ne sopravvissero solo ventisette
e quando finì la battaglia e venne issata la Old Glory (1)
Ira Hayes era tra coloro i quali la tenevano in mano
Call him drunken Ira Hayes
He won't answer anymore
Not the whiskey drinking Indian
Or the marine that went to war
Ira Hayes, Ira Hayes
Chiamatelo l'ubriaco Ira Hayes
Non risponderà più
Non l'indiano che beve whisky
o il marine che è andato in guerra
Ira Hayes returned a hero, celebrated through the land,
He was wined and speeched and honored, eveybody shook his hand.
But he was just a Pima Indian -- no money, no crops, no chance;
At home nobody cared what Ira 'd done, and when do the Indian dance?
Ira Hayes tornò in patria come un eroe,
festeggiato in tutto il territorio
Gli offirono vino e gli si dedicarono discorsi ed onorificenze, tutti
gli strinsero la mano
Ma era soltanto un Indiano Pima, senza soldi o terreno o possibilità;
A casa a nessuno importava ciò che Ira aveva fatto, e quando l'Indiano
danza?
Call him drunken Ira Hayes
He won't answer anymore
Not the whiskey drinking Indian
Or the marine that went to war
Ira Hayes, Ira Hayes
Chiamatelo l'ubriaco Ira Hayes
Non risponderà più
Non l'indiano che beve whisky
o il marine che è andato in guerra
The Ira started drinking hard, jail often was his home,
They let him raise the flag there and lower it as you'd throw a dog a
bone
He died drunk early one morning
Alone in the land he'd fought to save,
Two inch of water in a lonely ditch was the grave for Ira Hayes.
Ira cominciò a bere pesante e spesso la cella era
la sua casa
gli lasciavano issare ed ammainare la bandiera come gettare un osso ad
un cane
Morì ubriaco una mattina presto
Solo nella terra per salvare la quale aveva combattuto
Cinque centimetri d'acqua in un fosso solitario furono la tomba di Ira
Hayes
Call him drunken Ira Hayes
He won't answer anymore
Not the whiskey drinking Indian
Or the marine that went to war
Ira Hayes, Ira Hayes
Chiamatelo l'ubriaco Ira Hayes
Non risponderà più
Non l'indiano che beve whisky
o il marine che è andato in guerra
Yes, call him drunken Ira Hayes,
But his land is still as dry
And his ghost is lying thirsty in the ditch were Ira died.
Sì, chiamatelo Ira Hayes l'ubriacone,
ma la sua terra è ancora asciutta
ed il suo spettro giace assetato nella fossa in cui Ira morì
Ira Hamilton Hayes (Scanton, 12
gennaio 1923 – Bapchule, 24 gennaio 1955) fu un militare di razza
indiana o nativo americano. Era un Akimel O'odham, (nativo americano
Pima) appartenente alla Comunità Indiana del fiume Gila. Fu un veterano
della seconda guerra mondiale nella battaglia di Iwo Jima e la sua
notorietà deriva dal fatto di essere stato immortalato, con altri fanti
di marina, nella fotografia iconografica che ritrae un gruppo di soldati
intenti a innalzare la bandiera statunitense.
Nel famoso film “Flags of Our
Fathers” del 2006 diretto da Clint Eastwood e scritto da William Broyles
Jr. e Paul Haggis, basato sull'omonimo libro scritto da James Bradley e
Ron Powers, viene narrata la storia della famosa immagine e gli eventi
di chi fu ritratto.
Promosso caporale prima del congedo, Hayes rifiutò sempre la condizione
di eroe, e anzi si attivò per correggere una imprecisione sulla
identificazione di uno degli altri raffigurati (Harlon Block, primo a
destra), che era caduto in battaglia ed era stato dimenticato. Per
questo fece 1300 miglia con l'autostop per raggiungere la famiglia di
Harlon in una fattoria del Texas chiedendo loro di far riaprire
l'inchiesta, accontentandosi della semplice gratitudine dei familiari.
Tornato in Patria a casa sua dopo la fine della Ira non
riuscì a tornare alla normalità: troppa celebrità, troppi film e troppi
inviti a convegni e cerimonie. Da parte sua considerò la sua notorietà
per il "finto" innalzamento della bandiera (come di fatto era,
trattandosi solo della ripetizione di un primo momento ben più
importante per chi stava combattendo) una pura sciocchezza. Dopo almeno
cinquanta arresti per ubriachezza, riferendosi al proprio alcolismo
affermò: Sono malato, lo so che sbaglio a ubriacarmi, offendo la memoria
dei miei amici morti che erano migliori di me, e che nessuno ricorda.
la foto del primo innalzamento della bandiera
il secondo innalzamento con una bandiera più
grande ed asta più corta
Il caso pose purtroppo ancora una
volta il triste destino della "Sindrome dei reduci" che rimase
sottovalutata come malattia fino al suo completo riconoscimento negli
anni sessanta, grazie anche alla pubblicità recata da Audie Murphy, il
soldato più decorato dalla seconda guerra mondiale.
Il 24 gennaio 1955 Hayes fu trovato morto con la faccia in giù nel suo
vomito e nel suo sangue presso una baracca abbandonata, nei pressi di
casa sua.
Le indagini chiarirono che aveva passato il tempo precedente, come
spesso accadeva, con amici bevendo e giocando a carte. In particolare
era rimasto con un amico, Henry Setoyant, Pima come lui; durante la
partita ebbe un alterco e si azzuffò con gli amici, così come spesso
accadeva quando beveva troppo. In seguito all'alterco gli altri si erano
allontanati, lasciandolo con Setoyant. In seguito si era avviato solo
verso casa. Il magistrato inquirente che indagò sulla sua morte
concluse, chiudendo l'indagine, che la causa di morte era da considersi
dovuta all'abuso di alcool, che ormai aveva minato gravemente il suo
fisico, associata alla esposizione da stress della zuffa. Setoyant negò
sempre che fossero intervenuti fatti di rilievo dopo che gli amici si
erano allontanati.
Per la sua notorietà, pur essendo deceduto nella riserva indiana del
fiume Gila, fu seppellito, nel cimitero nazionale degli ewroi ad
Arlington in Virginia.
Il suo compagno, nella foto della bandiera, René Gagnon, disse al suo
funerale: «Penso che lui avesse un piccolo sogno nel cuore, che gli
indiani potessero essere valutati come i bianchi; che il suo sogno possa
finalmente realizzarsi un giorno nel nostro paese».
Fu seppellito nel settore 34, tomba 479A
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
La foto di guerra più famosa di sempre fu scattata il 23
febbraio 1945 da Joe Rosenthal, un fotografo della Associated Press che
quel giorno si trovava sul monte Suribachi, sull’isola giapponese di Iwo
Jima. Rosenthal fotografò sei soldati dell’esercito americano mentre
issavano la bandiera degli Stati Uniti sulla cima della montagna, e la
foto diventò rapidamente il simbolo della Seconda guerra mondiale, e
successivamente una delle immagini più iconiche di tutto il Novecento.
Martedì 3 maggio James Bradley, l’autore di famoso libro sulla storia
della foto, "Flags of Our Father", nel quale aveva raccontato di come
suo padre fosse uno dei sei Marines che alzarono la bandiera, ha detto
in un’intervista al New York Times che ora non crede che suo padre fosse
veramente uno degli uomini ritratti nella foto. Pochi giorni prima il
Corpo dei Marines aveva annunciato di avere svolto un’indagine per
stabilire se l’identificazione dei sei soldati fosse stata accurata. La
fotografia è famosissima e diffusissima, il libro di Bradley ha ispirato
l’omonimo film di Clint Eastwood, ma fino dai primi giorni dopo la sua
pubblicazione ci sono stati moltissimi dubbi sulla sua autenticità e
sull’identità delle persone ritratte: qualcuno sostenne addirittura che
fosse stata inscenata.
Monte Suribachi, 23 febbraio 1945
La battaglia di Iwo Jima fu combattuta tra il 19 febbraio e il 26 marzo
del 1945, subito dopo la campagna americana nelle isole Marshall e prima
di quella di Okinawa. Gli Stati Uniti stavano combattendo contro il
Giappone la cosiddetta guerra del Pacifico, uno dei fronti della Seconda
guerra mondiale. Sull’isola di Iwo Jima c’era un’importante e strategica
base aerea e navale giapponese, presidiata da poco più di ventimila
soldati: gli americani sbarcarono sull’isola il 19 febbraio 1945,
sottovalutando le difficoltà dell’invasione. Fu necessario più di un
mese per conquistare l’isola, con un impegno complessivo di oltre 70mila
soldati statunitensi. La battaglia fu molto sanguinosa: morirono circa
6800 soldati americani e quasi 20mila militari giapponesi.
Il Marine Corp War Memorial (chiamato
anche Iwo Jima Memorial) ad Arlington in Virginia
La foto dei soldati americani fu scattata
il 23 febbraio in cima al monte più prominente dell’isola di Iwo Jima,
il Suribachi, alto 169 metri e luogo strategico per il controllo della
zona: la conquista era avvenuta quello stesso giorno e fu uno dei primi
eventi significativi della battaglia. Rosenthal quella mattina stava
raggiungendo l’isola a bordo di un mezzo da sbarco dei Marines (dormiva
su una nave dell’esercito), quando venne a sapere che forse era stato
preso il monte Suribachi, e che per segnare la vittoria i soldati si
stavano organizzando per issare una bandiera. Appena sbarcato
sull’isola, partì verso il monte, incontrando altri due fotografi che si
unirono a lui. A circa metà della salita, incontrarono quattro Marines
tra i quali un sergente che era anche fotografo della rivista
Leatherneck: gli disse che la bandiera era già stata issata, ma che
valeva la pena arrivare in cima al Suribachi anche solo per la vista; i
tre decisero di proseguire la salita.
Arrivato sulla cima, Rosenthal scoprì che in effetti una bandiera era
già stata issata poco dopo le dieci di mattina, ma che per ragioni
ancora oggi non chiarite si stava pensando di sostituirla con di
maggiori dimensioni. Rosenthal si mise senza successo alla ricerca dei
Marines che avevano issato la prima bandiera con l’idea di fotografarli
in posa: nessuno apparentemente sapeva chi fossero. Mentre li stava
cercando, si accorse che altri sei soldati stavano per issare la nuova
bandiera. Si posizionò e scelse l’obiettivo più adatto per scattare la
fotografia; nel frattempo uno degli altri due fotografi, che stava
riprendendo con una cinepresa, si piazzò vicino a lui e gli chiese se
fosse d’intralcio. Rosenthal si girò per rispondergli, ma con la coda
dell’occhio notò che i soldati stavano issando la bandiera proprio in
quel momento: scattò senza guardare nel mirino. Non potendo sapere di
avere scattato quella che sarebbe stata la foto più importante della sua
vita e una delle più famose della storia, mise insieme altro materiale:
radunò tutti i soldati intorno alla bandiera e scattò un’altra foto, che
prese poi il nome di “gung ho”, una locuzione di origine cinese popolare
nell’esercito americano per esprimere entusiasmo.
La foto chiamata “gung ho”
Il rullino con la foto fu mandato a sviluppare da Rosenthal nella
redazione militare sull’isola di Guam, dalla quale fu trasmessa via
radiofax alla redazione centrale a New York. Il 25 febbraio, meno di 48
ore dal momento in cui era stata scattata, finì sulle prime pagine di
moltissimi giornali, in un tempo incredibilmente breve per l’epoca.
Rosenthal ricevette un messaggio di congratulazioni dalla redazione di
AP, ma subito non capì neanche a quale foto si stessero riferendo i suoi
colleghi. L’immagine divenne rapidamente un simbolo dello sforzo dei
soldati statunitensi nel Pacifico, e fu utilizzata dalla propaganda
dell’amministrazione del presidente Franklin D. Roosevelt (che morì un
mese e mezzo dopo) e da quella di Harry Truman. La foto vinse nel 1945
il premio Pulitzer, e fu riprodotta in vari formati: dai francobolli al
memoriale dei Marines ad Arlington, in Virginia.
l'inizio del secondo innalzamento
I primi dubbi sull’autenticità
dell’immagine iniziarono a circolare per un equivoco. Robert Sherrod, un
reporter di Time e Life, qualche giorno dopo intervistò Rosenthal
sull’isola di Guam: gli chiese se la foto fosse stata organizzata, e
Rosenthal gli disse «certo», pensando si riferisse alla foto di tutti i
soldati intorno alla bandiera, quella del “gung ho”. Sherrod lo scrisse
alla sua redazione, e la notizia fu data durante un programma
radiofonico di Time. Nel giro di qualche giorno la questione venne
chiarita e Time si scusò con Rosenthal, che da subito spiegò
dettagliatamente come aveva scattato la foto e la storia delle due
bandiere. Constatata l’autenticità, qualcuno sostenne comunque che
l’impatto storico ed emotivo della foto fosse sproporzionato,
considerando che la bandiera fu issata per ragioni tecniche quando il
monte era già stato preso da qualche ora. Altri misero in dubbio la
stessa importanza strategica della conquista del monte Suribachi: in
effetti la battaglia di Iwo Jima durò per altri venti giorni, e la
resistenza giapponese incontrata quel giorno fu molto meno tenace e
sanguinosa di quella che l’esercito americano avrebbe affrontato nelle
settimane seguenti. Sia i soldati che issarono la prima bandiera sia
quelli che issarono la seconda, comunque, combatterono nei giorni
successivi in quella che fu una delle battaglie più dure della Seconda
guerra mondiale. Di coloro che avevano partecipato ai due innalzamenti
sopravvissero solo in cinque su undici.
altra foto del secondo innalzamento
I nomi dei soldati della foto non furono
subito resi noti e Rosenthal non li incluse nella didascalia spedita a
Guam. Nel 1945, il presidente Roosevelt ordinò che i sei soldati fossero
identificati, e non era solo un’esigenza storica: Roosevelt voleva usare
i soldati della foto per pubblicizzare la raccolta fondi per il
finanziamento della guerra del Pacifico. Non era però una cosa facile:
perfino i soldati che quel giorno erano stati sul monte Suribachi non
erano sicuri dei nomi delle sei persone che avevano alzato la bandiera,
senza contare la confusione tra quelli che lo avevano fatto la prima
volta e quelli della seconda.
Rene Gagnon, che si sapeva con certezza fosse uno dei sei, diede i nomi
degli altri: John Bradley, rimasto ferito nei giorni seguenti, Franklin
Sousley, Michael Strank e Henry “Hank” Hansen, tutti morti a Iwo Jima.
Ira Hayes, il sesto uomo nella foto, aveva minacciato Gagnon perché non
facesse il suo nome: non voleva diventare famoso. Era anche la posizione
di Bradley, che però non arrivò a minacciare Gagnon, e si ritrovò
coinvolto nella foto e nelle sue conseguenze. Gagnon però aveva
sbagliato un nome, senza volerlo: l’uomo tutto a destra non era Hansen,
ma il Marine Harlon Block. La famiglia di Block, morto in battaglia,
rese nota la cosa nel 1946, e un’indagine del Corpo dei Marines
confermò. Gagnon, Hayes, e Bradley, gli unici sopravvissuti, dopo Iwo
Jima tornarono negli Stati Uniti, incontrarono il neopresidente Truman e
partirono per una tournée per il paese per raccogliere fondi, tra il
maggio e il giugno del 1945.
una delle prime versioni della foto, con i soldati identificati in
maniera sbagliata: il primo da destra è in realtà Block, e Hayes e
Sousley, a sinistra, sono invertiti
Oggi tutti gli uomini della foto di Rosenthal sono morti. Il padre di
James Bradley, che si chiamava John H. Bradely, morì nel 1994. Suo
figlio scrisse il libro "Flags of Our Fathers" nel 2000: diventò un best
seller e ispirò il film di Eastwood. Nel 2014 l’Omaha World-Herald
pubblicò un lungo articolo nel quale raccontò che due storici
amatoriali, Eric Krelle e Stephen Foley, avevano scoperto che per
settant’anni ci si era sbagliati sull’identità del soldato al centro
della foto: non era John Bradley, il padre di James, ma Harold H.
Schultz.
Nell’estate del 2013, Foley era a casa in convalescenza dopo
un’operazione per un’ernia. Fin da bambino si era appassionato di storia
della Seconda guerra mondiale e aveva letto un libro sulla bandiera di
Iwo Jima: in copertina c’era la famosa foto di Rosenthal, mentre
all’interno c’erano le altre immagini che il fotografo di AP e gli altri
che erano con lui sul monte Suribachi avevano scattato quel giorno. Tra
queste ce n’erano altre di Bradley. Nella foto in cui viene issata la
bandiera la faccia dell’uomo che si credeva essere Bradley è coperta, ma
in altre – in cui è ritratto sicuramente Bradley – si vede chiaramente:
Foley notò che i due non sembravano la stessa persona, e passò le
settimane seguenti a indagare la cosa.
Nella foto diventata famosa, il soldato identificato come Bradley non ha
i risvolti ai pantaloni. Foley notò che in tutte le altre foto, Bradley
invece li aveva. Un’altra differenza era che nella foto dei soldati che
alzano la bandiera, l’uomo in centro aveva un berretto sotto l’elmetto:
nella foto “gung ho” Bradley, il sesto da sinistra, ha l’elmetto alzato
in mano, ma dentro non si vede nessun berretto. Ma la differenza più
grossa è nella cintura: Bradley non era un Marine, ma un portaferiti
della Marina. L’uomo nella foto invece aveva una cintura con il posto
per le munizioni e delle cesoie per tagliare il filo spinato: quelle che
indossavano i Marines. I portaferiti non avevano il posto per le
munizioni perché non usavano un fucile, ma una pistola. Non erano
neanche equipaggiati con le cesoie, perché dovevano avere le mani libere
per soccorrere i feriti.
Tra le foto di quel giorno sul monte Suribachi, Foley trovò una persona
che corrispondeva all’uomo nella foto identificato come Bradley. Il
problema era che si trattava di Franklin Sousley, il Marine morto negli
ultimi giorni della battaglia a Iwo Jima, fino ad allora identificato
con il secondo uomo da sinistra nella foto. Foley era arrivato a un
punto morto della sua indagine, e non sapendo bene cosa fare contattò
Eric Krelle, un progettista di giocattoli statunitense che gestiva un
sito dedicato ai Marines. Krelle si rese subito conto di avere per le
mani qualcosa di grosso, e che bisognava scoprire chi fosse il soldato
misterioso. A differenza di Foley, Krelle aveva a disposizione
moltissimo materiale su Iwo Jima, raccolto in anni di ricerche.
Krelle si mise a spulciare tutte le foto e le riprese in suo possesso:
nel video girato nel momento dell’issata della bandiera,
notò che per un momento si vedeva una
specie di laccio pendere dall’elmetto dell’uomo misterioso, il secondo
da sinistra. Passando in rassegna tutte le altre foto di quel giorno,
trovò un’altra immagine di un soldato con lo stesso laccio sull’elmetto:
era Harold H. Schultz, sopravvissuto a Iwo Jima e fino ad allora mai
associato alla foto di Rosenthal. Nella foto “gung ho”, Schultz è il
quinto da sinistra. Krelle raccolse i risultati delle ricerche sue e di
Foley e scrisse un post sul suo blog, che però non ricevette nessuna
attenzione. Contattò allora Matthew Hansen, un giornalista dell’Omaha
World-Herald, che provò a verificare la scoperta contattando diversi
storici. La maggior parte negò categoricamente l’ipotesi, esprimendo
molti scetticismi sul fatto che la teoria arrivasse da due storici
amatoriali. Uno rispose a Hansen che i due erano «chiaramente pazzi».
Un’ora dopo però scrisse di nuovo a Hansen, per dirgli due cose: si era
convinto della scoperta, ma non voleva essere citato.
Hansen parlò con altri storici e indagò sulla vita di Schultz. Dopo Iwo
Jima, Schultz era stato congedato con onore dall’esercito e si era
trasferito a Los Angeles, dove aveva lavorato per il servizio postale
americano. Negli anni ebbe diversi figli, da due matrimoni diversi.
Hansen riuscì a contattare una delle figlie, Dezreen Schultz, che gli
spiegò che suo padre era morto nel 1995, aveva avuto una vita piuttosto
solitaria e aveva sempre parlato poco della guerra. A quanto ne sapeva,
non aveva mai parlato di Iwo Jima, tantomeno del monte Suribachi. Hansen
ricevette dalla figlia di Schultz una scatola con ricordi di guerra
conservati dal padre. Dentro c’era una copia della foto “gung ho”: sul
retro l’autografo di Rosenthal e i nomi di tutti i soldati annotati a
penna. Ma dentro la scatola c’era un’altra foto, quella dei sei soldati
che alzano la bandiera. A differenza dell’altra, però, sul retro non
erano segnati i nomi. Hansen quindi non riuscì a confermare
definitivamente la teoria che diceva che quello nella foto non fosse
Bradley.
La versione del figlio di Bradley
Prima di scrivere il suo articolo, Hansen
contattò James Bradley, che secondo Hansen reagì alle ipotesi di Krelle
e Foley con «mentalità aperta»: in quel periodo però aveva appena finito
di scrivere un libro e stava per partire per il Vietnam per scriverne un
altro, e disse che non aveva le energie per infilarsi in un dibattito
simile. Espresse comunque scetticismo, ipotizzando che le differenze
nell’abbigliamento potessero essere dovute al fatto che suo padre si era
tolto i risvolti tra una foto e l’altra. Disse anche che secondo lui se
suo padre non fosse stato davvero uno degli uomini della foto, lo
avrebbe detto prima di morire, perché non avrebbe voluto essere
coinvolto ingiustamente in tutto quel trambusto. Promise a Hansen che
avrebbe studiato tutto il materiale che il giornalista gli aveva
mandato, ma poi cambiò idea e gli disse che non l’avrebbe fatto:
«Ascolta, ho scritto un libro basato sui fatti che mi hanno raccontato
le persone che erano davvero lì. Sono le mie ricerche. Io ci credo».
Martedì 3 maggio, però, Bradley ha cambiato la sua versione. Ha
contattato il New York Times e ha detto di aver aspettato così tanto a
farsi avanti perché dopo il viaggio in Vietnam era andato in Nuova
Guinea si era gravemente ammalato, e perché fino a ora c’era stato poco
interesse sulla questione. Ha detto però che ora è convinto dall’ipotesi
che suo padre non sia in realtà nella fotografia di Rosenthal: secondo
lui faceva parte del gruppo di soldati che alzò la prima bandiera, e per
cinquant’anni ha creduto che fosse quella a essere ritratta nella foto.
Recentemente lo Smithsonian Channel, un canale americano che si occupa
di divulgazione scientifica, ha lavorato con il Corpo dei Marines per
chiarire una volta per tutte l’identità della foto. Quando Hansen li
aveva contattati, invece, il Corpo dei Marines aveva dimostrato poco
interesse nelle ricerche di Krelle e Foley.
Ciao, caro Mr. Tambourine,
sono contento che il mio articolo sia piaciuto a te e ai Farmers. Conto
di terminarlo a breve. Ringrazio anche la carissima Carla per i
complimenti: leggo i suoi post sulla Farm con enorme piacere, e credo
che le sue riflessioni su Bob siano sempre puntuali e profonde. Nel
frattempo, in attesa delle ultime due puntate del mio speciale, vi
allego la terza, che copre il periodo 2000-2005:
http://www.musicmap.it/news/new.asp?id=13798
A presto e nuovamente grazie!
Samuele
Caro Samuele, ho visto
e valutato il tuo bellissimo lavoro e vorrei chiederti, una volta
finito, di poter inglobare tutte e 5 le parti raccolte in una pagina
sola da inserire nell'archivio di Maggie's Farm in una pagina dedicata
al Never Ending Tour che sarà certamente utile ai Maggiesfarmers che
negli anni a venire vorranno una documentazione particolareggiata sul
NET, paghina che porterà naturalmente la tua firma. Fammi sapere, per il
momento grazie, un salutone, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Lunedì 5 Marzo 2018
Talkin' 10394
- dinve56
Ciao Mister,
grazie per aver postato la storia di "Rock me mama". Ho ascoltato la
versione in "Pat Garrett e Billy the kid" e le altre indicate
nell'articolo di Tony Attwood. La versione che mi è piaciuta di più è
quella degli "Old crow medicine show"; molto bella anche
l'interpretazione di Darius Rucker, mentre trovo troppo malinconica
quella di Arthur Crudup.Un grazie grande a Samuele per il prezioso
lavoro di selezionare un concerto per ogni anno del NET. Sto leggendo
con interesse le prime due puntate. Un saluto cordialissimo a te, a Samu
e a tutti i Farmers. Lunga vita! Carla.
Il Bob a ruota libera - di
Leonardo Tondelli
clicca qui
Sabato 3 Marzo 2018
Talkin' 10393
- samuconf93
Caro Mr. Tambourine,
un saluto a te e a tutta la Farm. Da fanatico e studioso di Bob quale
sono sto scrivendo, per il sito Music Map, una serie di articoli
riguardanti il Never Ending Tour del Nostro, per festeggiarne il
trentesimo anniversario. Si tratta di trenta concerti selezionati, uno
per ogni anno. Questi i link delle prime due puntate (in totale saranno
cinque):
Presto pubblicherò anche le prossime tre puntate e le invierò alla Farm.
Nel frattempo vi saluto, sperando sempre di incontrare te e qualcun
altro dei Farmer ai concerti di Bob in aprile.
Samuele
Grazie Sam, davvero un bel lavoro,
complimenti. Ai concerti di Bob ricordatevi di portare qualcosa di rosso
in modo da essere riconosciuti dagli altri Maggiesfarmers. LIve long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Chissà se il Padreterno quando ha creato
le leggi della fisica che governano il cosmo si è ricordato di avvisare
anche le capre.....
Venerdì 2 Marzo 2018
Talkin' 10392
- dinve56
Salve Mister,
rispondo a Dario e lo ringrazio del chiarimento; in effetti ho guardato
con calma "Planet waves" e mi sono accorta che tutti i titoli scartati
dalla colonna sonora del film "Patt Garrett e Billy the kid" sono
confluiti in questo bellissimo album, tranne "Nobody cept you". Sono
ancora lontana dal ricordare "a vista" la collocazione nei vari album
dei brani dylaniani e ci riesco solo per quelli che mi hanno più
colpita.
Attendiamo il post di Rock me Mama. Grazie, ciao. Carla.
Eccolo sotto, live
long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Wagon Wheel (Rock me mama): un
abbozzo di Dylan trasformato in una canzone magnifica. di Tony Attwood
Wagon Wheel (Rock me mama): una canzone che per me riassume Dylan nel
corso degli anni. Tira fuori alcune frasi e ne compone qualcuna più, più
l'accompagnamento e la melodia fatta al momento, una registrazione molto
difficile da capire, e poi Dylan non usa la canzone per il film.
L'abbozzo di DFylan viene terminata e incisa da altri anni dopo e
diventa un successo strepitoso.
Sì, lo so che Dylan è “It’s alright ma”, “Desolation Row”, “It’s not
dark yet” e “Tell Ol Bill” e così via - ma nei termini della sua spesso
usata metodologia sconclusionata di questo cantautore straordinariamente
brillante, questo è l'esempio perfetto ed è il motivo per cui amo le sue
canzoni.
In questa recensione ho aggiunto dei link all'abbozzo improvvisato
originale di Dylan della canzone fatta durante le sessions di prova per
"Pat Garrett e Billy the Kid, perciò voglio iniziare con questa
versione, non ultimo perché amo gli Old Crow Medicine Show.
È stato scritto che l'originale di Dylan è "non tanto una canzone quanto
un abbozzo, registrata alla svelta con qualche svarione in evidenza, un
coro caramelloso e e alcuni versi borbottati e biascicati difficili da
capire". E’ senz’altro un abbozzo incompleto, eppure questo è ciò che ha
preso Ketch Secor degli Old Crow Medicine Show e vi ha aggiunto nuovi
versi.
Secor stesso era un fan di Dylan come dichiarò in un'intervista: "Ho
ascoltato Bob Dylan e nient'altro. Nient’altro che Bob per quattro anni.
Era come andare a scuola. Ogni album e ogni disco dal vivo su cui potevo
mettere le mani e ogni spettacolo che potevo andare a vedere dal vivo.
Ero un adolescente che era stato davvero fulminato da Bob".
L’ originale dell’abbozzo di Bob Dylan fu siglato come "Rock Me Mama"
nel 1973, una frase che Dylan aveva apparentemente tratto da Arthur
Crudup.
https://www.youtube.com/watch?v=p6SE5120UmE
Così Secor ha completato la riscrittura e ha avuto il permesso da Dylan
di fare un contratto di copyright per la co-scrittura a 50/50.
E così abbiamo una canzone che parla dei viaggi in autostop in Nord
America. La struttura degli accordi è un classico (la, mi, fa#minore,
re) ed eccola: semplice. È una popolarità costruita, a quanto pare, con
il passaparola invece che con l'hype o con una grande radio, e non
perché sia stata pubblicata come un originale di Bob Dylan o qualcosa
del genere.
E dopo 16 anni è diventata un disco d'oro.
Ma non si è fermata qui perché ora si dice spesso che la canzone non è
più solo la canzone degli Old Crow Medicine Show, ma in realtà è
diventata più grande in qualche modo del gruppo stesso ".
Un reportage su Wiki dice che "Il gruppo avrebbe eseguito la canzone a
Nashville nel 2001, come parte di una serie di canzoni che commemoravano
il sessantesimo compleanno di Bob Dylan molto prima che avessero un
contratto discografico con una Major. La canzone è diventata disco di
platino nell'aprile del 2013 e, naturalmente, la band continua a
suonarla - anche se hanno avuto il tempo di fare la reinterpretazione
completa di Blonde on Blonde – che comprende la loro bellissima versione
di Vision of Johanna.
Negli Stati Uniti, è diventata un "bar room", quelle canzoni che i
clienti un pò alticci amano chiedere a gran voce, indipendentemente da
chi sia la band che sta suonando.
La canzone è stata premiata molte volte ed è stata infine certificata
come triplo disco di Platino nel 2014.
Ecco come è iniziato tutto. Mi dispiace per la pessima registrazione e
la mancanza di tutto il resto, ma è, penso, l'unica versione di Dylan
che abbiamo.
Ed ecco come è diventata, con il set completo di testi.
Headed down south to the land of the pines
And I’m thumbin’ my way into North Caroline
Starin’ up the road
And pray to God I see headlights Ero diretto a sud verso la terra dei pini
E mi sto dirigendo verso il North Carolina
Fissando la strada
E prego Dio, io vedo i fari
I made it down the coast in
seventeen hours
Pickin’ me a bouquet of dogwood flowers
And I’m a hopin’ for Raleigh
I can see my baby tonight L'ho fatto lungo la costa in diciassette ore
Raccogliendomi un mazzo di fiori di corniolo
E sperando che a Raleigh (1)
Posso vedere la mia piccola stasera
So rock me mama like a wagon wheel
Rock me (2) mama anyway you feel
Hey mama rock me
Rock me mama like the wind and the rain
Rock me mama like a south-bound train
Hey mama rock me Dunque, scuotimi piccola, come la ruota di un vagone
scuotimi piccola nel modo che preferisci
Ehi, piccola, scuotimi
Scuotimi piccola come il vento e la pioggia
Scuotimi piccola come un treno diretto a sud
Ehi, scuotimi piccola
Runnin’ from the cold up in New
England
I was born to be a fiddler in an old-time stringband
My baby plays the guitar
I pick a banjo now Sto scappando dal freddo nel New England
Sono nato per essere un violinista in un vecchio gruppo di archi
La mia piccola suona la chitarra
sto imparando il banjo adesso
Oh, the North country winters keep a gettin’ me now
Lost my money playin’ poker so I had to up and leave
But I ain’t a turnin’ back
To livin’ that old life no more Oh, gli inverni del nord del paese mi tengono
d'occhio adesso
Ho perso i miei soldi giocando a poker così ho dovuto alzarmi e
andarmene
Ma io non mi giro al passato
Per vivere mai più quella vecchia vita
So rock me mama like a wagon wheel
Rock me mama anyway you feel
Hey mama rock me
Rock me mama like the wind and the rain
Rock me mama like a south-bound train
Hey mama rock me Dunque, scuotimi piccola, come la ruota di
un vagone
scuotimi piccola nel modo che preferisci
Ehi, piccola, scuotimi
Scuotimi piccola come il vento e la pioggia
Scuotimi piccola come un treno diretto a sud
Ehi, scuotimi piccola
Walkin’ to the south out of Roanoke
I caught a trucker out of Philly
Had a nice long toke
But he’s a headed west from the Cumberland Gap
To Johnson City, Tennessee Camminando verso il sud, fuori da Roanoke
Un camionista mi ha dato un passaggio, veniva da Philly (3)
Ho avuto una bello strappo lungo
Ma lui è diretto a ovest dal Cumberland Gap
A Johnson City, Tennessee
And I gotta get a move on fit for the sun
I hear my baby callin’ my name
And I know that she’s the only one
And if I die in Raleigh
At least I will die free
E sto andando a mettermi in forma al sole
Sento la mia piccola che sta chiamando il mio nome
E so che lei è l'unica
E se morissi a Raleigh
Almeno morirò libero
So rock me mama like a wagon wheel
Rock me mama anyway you feel
Hey mama rock me
Rock me mama like the wind and the rain
Rock me mama like a south-bound train
Hey mama rock me Dunque, scuotimi piccola, come la ruota di
un vagone
scuotimi piccola nel modo che preferisci
Ehi, piccola, scuotimi
Scuotimi piccola come il vento e la pioggia
Scuotimi piccola come un treno diretto a sud
Ehi, scuotimi piccola