Ciao Mr.Tambourine,
volevo segnalare alla Fattoria che ho 2 biglietti in più (ottimi posti)
per i concerti del nostro a Roma (martedì 3 aprile) e Mantova (domenica
8 aprile)
Roma, Auditorium S.Cecilia, Platea, fila 9, posto 46 (a destra
guardando dal palco)
Mantova, Palabam, posto 19 (è in 2a fila), settore A (il primo settore a
sinistra guardando il palco)
entrambi al costo sostenuto su Ticketone.
Per chi fosse interessato, puoi contattarmi su
uptome65@icloud.com
Nella speranza di far felice qualche appassionato, ti saluto e ti
ringrazio per quello che continui a fare con passione e dedizione.
Alla prossima. Louis R.
Ciao Giorgio, ho
postato anche in "Vetrina" il tuo appello, per il biglietto per Roma
prova a contattare
giorgiobellone1@virgilio.it
che è alla disperata ricerca di uno. Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Caro Mr.Tambourine,
innanzitutto un favore, potresti partecipare tu al 69 con Sir Eglamore?
Io ho un impegno. Molti si chiedono quale sia la sua vera identità, ma
non è di vero interesse, dietro ogni supereroe si cela sempre un Clark
Kent qualunque. Io, che mi onoro di servirlo con vile deferenza da umile
scudiero, come Sancho Panza, anzi, Miscio Panza, so che è molto
simpatico, specie da quando ha detto che sono colto e intelligente. Data
la frequentazione, però, qualche informazione posso darvela. Le sue
origini risalgono alla mitica strage del profeta Eliseo (1): insieme a
Dylan e Giovannoli, fu uno dei tre fanciulli sopravvissuti e condannati
da Dio a vivere in eterno per trolleggiare l'universo. Ma quello che qui
ci interessa, è spiegare il suo astio contro il modernismo. Per sua
ammissione si proclama zollastrico o zollastriano cioè seguace di
Elemire Zolla, una versione aggiornata di Ermete Trismegisto, oppure, ma
non vorrei farvi pesare troppo la mia cultura, del Mefisto di Tex
Willer. Non meraviglia che quindi sia interessato alle simbologie e al
misticismo antico. Infatti in base alle mie conoscenze al riguardo,
utilizzate anche dalla Treccani (2), posso affermare che per Zolla i
simboli costituiscono un linguaggio più potente di quello ordinario, ed
esprimono “forme ontologiche non sensibili”, e di conseguenza universali
e metastoriche. E' questo che Sir Eglamore trova nella tradizione: il
ricordo di un'antica sapienza dal valore universale. Proprio l'uso, più
o meno consapevole, di siffatte componenti a priori, farebbe grande
Dylan: “Hiram Hubbard”, per esempio, potrebbe pure far schifo,
musicalmente, al nostro Eglamore, che però sarebbe egualmente estasiato
dagli arcani dell'ingiusto soffrire. Anche il fastidio verso il 68'
deriva da questo: la ripulsa verso la furia iconoclasta che i giovani
riservavano alle sacre reliquie della sapienza secolare. Non è che lui
(Eglamore) sia affezionato al Mr.Jones, il borghese reazionario, anzi,
ma pensa che abbia funzionato come il coperchio della latrina, e che una
volta saltato, abbia inaugurato l'invasione del Bloom (3), il piccolo
borghese planetario.(Si, proprio Leopold, quello dell'Ulisse di Joyce,
che se fosse una femmina si chiamerebbe Leopolda.) Il Bloom è prodotto
in serie, ma secondo infiniti modelli personalizzati, è politically
correct, beve birra al posto del vino come i Vichinghi ma anche no, non
è viaggiatore ma turista, crede di capire i Sardi vestendosi da
Mamuthone, con tutta la famiglia che gli scatta le fotografie. E
soprattutto è contagioso, lo stiamo diventando tutti. Sir Eglamore ne
infilzerebbe uno al giorno, ma l'ho visto fissare con amore il suo
telefonino, presto sarà fra noi. Io credo invece che sia stata la
reazione al 68 a provocare tutto questo e non il 68. Ma poco importa,
dentro ci siamo e ci stiamo. Inoltre, da un vile scudiero materialista
quale sono, penso che questo misterioso potere dei simboli sia solo la
fantasia di un signore feudale: i simboli sono elaborazioni mentali di
“forme sociali concrete” e non sopravvivono alla cultura a cui fanno
riferimento. Dimenticavo: tra menestrello e jazzista preferisco il
primo, tra l'altro sono musicalmente troppo ignorante per il secondo.
Comunque, alla fine, i giudizi che diamo sugli artisti non possono che
dipendere dalla concezione che abbiamo dell'arte, e dai criteri con cui
la valutiamo, che siano gli invarianti ontologici di Sir Eglamore o i
tentativi materialisti e culturalisti di Miscio. Gebianchi sembra
proporre un criterio in base alla complessità dell'opera: complessità
musicale o linguistica. Tuttavia ci sono esempi in cui la semplicità ha
un grande valore artistico (il blues è l'esempio più immediato) e altri
in cui la complessità tecnica non ne ha alcuno. Ho volutamente
estremizzato la questione: Gebianchi non è così ingenuo da confondere
valore artistico e virtuosismo, credo che il suo fosse un termine di
confronto approssimato, che per complessità intendesse anche altro. Ma
allora come si può definire questo altro? E' così diverso da quello che
possiamo trovare nelle composizioni più semplici? Se prendiamo una
qualunque canzone e togliamo il cantato, sembra decisamente che abbia
ragione lui: effettivamente resta poco. Ma, appunto, è proprio questo
che non possiamo fare, separare la musica dal testo. Lo ha già osservato
giustamente Carla. E allora la complessità non sta semplicemente
nell'oggetto in sé ma nella relazione che ha con qualcosa di esterno,
tanto che la questione diventa più di verità che di complessità.
Comunque sia, una cosa è sbagliata sicuramente, è cioè il pensare che
basti tradurre De André in inglese per farlo diventare un Dylan. Qui si
prescinde completamente da un contesto culturale che non è traducibile,
per cui sono proprio gli stretti legami che Dylan ha con la musica
tradizionale americana che gli consentono di usarne gli elementi
simbolici in un ambiente sociale contemporaneo, elementi che sarebbero
inaccessibili a chiunque non avesse la sua storia personale. Tali
elementi, nati nel quadro storico irripetibile della musica e della
società americana, con la sua mancanza di aristocrazie e di una cultura
ufficiale strutturata, hanno consentito la formazione di schemi in cui
l'antico sapeva parlare al moderno ben prima della nascita di Dylan. Per
questo le sue canzoni non sono ciarpame pop o eclettiche ammucchiate di
sapori arcaici o pasticci postmoderni, ma un linguaggio universale che è
connesso alla sensibilità contemporanea, e la cui semplicità è un
fattore tutt'altro che disprezzabile. E adesso basta che mi fuma la
crapa. Vado a tracannare i bottiglioni di vinello della ditta Odore (4)
donatimi con tanta generosità da Sua Eccellenza il Magnifico Signore di
Eglamore, così buono e magnanimo coi servi, al cospetto della cui
Illustre Presenza mi prostro con servile sottomissione e cronica
pigrizia. Mmmm... che gusticino niente male.....
Caro Miscio Panza, pensavo che prima
di accettare l'investitura feudale di "vile Miscio" da parte di Sir
Eglamore sapessi che era abitudine degli inglesi dividere e considerare
la gente secondo il titolo nobiliare che in Inghilterra ha una sua
ferrea ed immutabile regola. La nobilità inglese si basa essenzialmente
sulla primogenitura, cioè il primo figlio maschio eredita tutto. A parte
i Reali (King, Queen, Prince, Princepss), il rango più alto della
nobiltà inglese è il titolo di DUCA (Duke). Dopo il duca, il secondo
titolo di maggior rango è quello di MARCHESE (Marquess/Marquis), sotto
al marchese c'è il CONTE ( Earl ). Segue il VISCONTE ( Viscount) e
l'ultimo in ordine d'importanza è il BARONE (Baron), poi segue, ma non
fa parte dell'alta nobiltà (Peers), il BARONETTO (Baronet). Un baronetto
è chiamato Sir più nome di battesimo e cognome. Ecco dunque dove
collocare il nostro Sir Eglamore, su uno dei gradini più bassi della
scala d'importanza perchè non è un "nobile" per primogenitura, Sir è un
appellativo onorifico utilizzato in molti paesi anglofoni per rivolgersi
a un uomo, solitamente di status sociale o grado militare superiore al
misero popolo dei villani. Quindi tu, non avendo nemmeno un titolo
onorifico da esibire, più di "vile" non puoi essere considerato, come
tutti coloro che erano asserviti ad un qualunque compito per conto di un
titolato anche se non proprio "nobile". Credo che ora ti sarai reso
conto che essere poco meno di niente non ti da nessun diritto, quindi
sei già uno dei fortunati a poter vivere nei luridi meandri del Castello
di un signorotto locale tipo Sir Eglamore. Questo non accadeva solo in
Inghilterra, ma in tutto il mondo conosciuto c'erano regole simili, e
probabilmente anche in quello sconosciuto. Però non mi permetterei di
paragonare Sir Eglamore ad un supereroe qualunque che si traveste da
Clark Kent. Eglamore ha il compito di cacciare ed uccidere i temibili
draghi alati che nell' Albione medioevale terrorizzavano il popolino con
il loro alito infuocato. E' naturale che un personaggio che dedica la
sua vita alla difesa dei deboli e all'uccisione di draghi abbia
determinate esigenze delle quali non può occuparsi. Non può strigliare e
bardare il cavallo, non può indossare l'armatura da cavaliere da solo e
tante altre cosette del vivere quotidiano che porterebbero via tempo
prezioso alla caccia ai draghi. Ecco l'esigenza di avere dei "vili" al
suo servizio. Concordo con te che i simboli sono l'espressione dell'
elaborazione mentale di una “forma sociale concreta”, ma erano cose
riservate alle caste sociali elevate, i vili non avevano diritto ad
avere un simbolo, una casta sociale, o una qualunque forma mentale che
non fosse quella di servire umilmente il padrone. Questi Nobili e
pseudonobili amavano circondarsi di "stupidotti ingenui" che li
sapessero far ridere in modo da stemperare la quotidiana tensione di cui
erano preda, per questo le corti abbondavano di persone infelici,
deformi, nani e giullari, ed è più che normale che Sir Eglamore ti
tratti con la necessaria superiorità. Eglamore non può avere nessun
affetto e nessuna stima per un qualunque Mr. Jones di dylaniana fattura,
mondo troppo distante dal suo, più che naturale la ripulsa verso la
furia iconoclasta che i giovani 68ttini riservarano alle sacre reliquie
della sapienza secolare, un vero insulto alla scala sociale dei valori
secolari. E' vero che i giudizi si danno in base ai gusti soggettivi, ma
un "vile" non può certo pretendere di avere i gusti di un Sir, ogni cosa
al suo giusto posto per favore.
Ecco allora che
Gebianchi, non essendo soggetto ad alcuno, ha la facoltà di esprimersi
come la sua mente gli consiglia senza doversi scusare con nessuno.
Libero e padrone di avere la sua opinione non può essere contestato, si
può soltanto dire di non essere d'accordo con lui ma non possiamo dire
che lui sia in errore. In ogni caso, l'amico Giuseppe Enrico Bianchi ha
saputo intavolare e sostenere un confronto interessantissimo che non è
stato per niente inutile. De Andrè non è stato un santo, e se per questo
nemmeno Dylan lo è mai stato. Al village, prima dello scoppio della
dylanmania non era considerato troppo bene, era chiamato il
"cacciapalle", "il puzzone di Duluth", "l'uomo dal braccio corto"
perchè difficilmente offriva qualcosa a qualcuno, senza parlare poi del
Dylan dopo "Blonde on Blonde" che in "Don't Look Back" sembra avere
perso l'appoggio terrestre camminando a mezzo metro da terra,
protagonista di sterili e noiosissime conversazioni che non finiscono
mai, colmo di ingratitudine verso Joan Baez che contibuì a renderlo
celebre portandolo con lei su diversi palchi importanti per farlo
conoscere alla gente, ma lui sembra essersi dimenticato di questo, non
la inviterà mai a cantare un pezzo con lui fino a quando lei, stufa di
essere presa per il culo da Newhirt per ordine di Bob non abbandonerà la
carovana per tornare negli States. Forse si potrebbe dire che uno come
Dylan non poteva essere legato a nessuna, ma certamente non si è
comportato politically correct con Suze, con Joan, con Sara e con una
sfilza di altre venute dopo. Ma da un genio non si può pretendere la
normalità, le cose di tutti i giorni, altrimenti Bob non sarebbe mai
esistito. Ancor oggi la sua fobia delle macchine fotografiche e dei
telefonini sembra non avere la minima giustificazione, ed anche il suo
mutismo nei confronti del pubblico che paga fior di quattrini per
vederlo sembra essere molto irriverente ed irriconoscente. Sarebbe
abbastanza un "Bounasera" e basta, nessuno pretende niente di più, ma
potrebbe dimostrare che il Nostro non ha perso l'educazione sulle
lunghe ed interminabili Highway americane.
Effettivamente Carla
aveva ragione quando ha detto che la canzone senza la musica è una cosa
senza senso, senza musica le parole di Dylan non avrebbero mai colpito
al cuore milioni di persone e non avrebbe mai vinto il Nobel. Credo che
non abbia nessun senso fare il paragone fra De Andrè e Dylan, troppo
diversi con valenze diverse, meglio lasciarli al loro posto e trattarli
con cura come tutte le cose di valore che abbiamo nella nostra casa.
Per ultimo lasciami
dire che non mi piace per niente un Dio che fa sbranare da due orse 42
fanciulli solo perchè avevano riso della pelata di Eliseo, senza parlare
dei luoghi come il campo di sterminio di Birkenau nei pressi di
Auschwitz, posti nei quali sembra che Dio non abbia mai avuto tempo di
dare uno sguardo, e questo si che mi mette tristezza e malumore, non
certamente i paragoni fra Dylan e De Andrè! Alla prossima caro Miscio,
live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Martedì 30
Gennaio 2018
Talkin'
10362 - calabriaminimum
Mi piacerebbe molto sapere chi si
nasconda dietro il nickname di Sir Eglamore, trovo le sue stoccate
veramente divertenti! Credo abbia centrato il punto sulla questione De
André, mentre trovo davvero insopportabili alcune prese di posizione del
signor Bianchi.
Che ne dici? :o) Dario.
Non credo che Sir
Eglamore ti sveli la sua vera identità magari anche con fotografia
allegata, goditelo così con quell'aurea misteriosa come faccio io.
Invece per il Signor Bianchi penso che abbia il diritto di difendere
strenuamente e con tutti i mezzi a sua disposizione il suo artista
preferito, Maggie's Farm l'ha ospitato sulle sue pagine con piacere
anche se naturalmente come te e tanti altri, non condivideva tutte le
sue prese di posizione. Io guardo la cosa da un'altro punto di vista,
questo scambio mi ha dato la possibilità e la spinta per andare a vedere
e sentire ed indagare su cose concernenti la carriera artistica di
Fabrizio De Andrè che altrimenti non avrei mai saputo, oggi posso
sostenere una discussione su Faber con basi più solide e di questo devo
dire grazie al Sig. Bianchi. Alla prossima dear friends, live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Ciao caro e paziente Mr Tamburino,
Ho letto con la mail di sir Eglamore a cui faccio i miei complimenti ,
scrive benissimo ed è molto divertente come espone
i suoi i punti di vista sui quali condivido tante cose mentre altri mi
lasciano alquanto perplesso.
Comincio con una difesa della Pivano: se Pavese, Hemingway, De Andrè e
compagnia hanno trovato qualcosa nella Pivano un motivo ci sarà: ho
avuto il piacere di conoscerla anni fa ad una cena di fans di Dylan,
(c'era anche il fondatore di questo sito), lei fu molto gentile e
disponibile, era curiosa di sapere come dei ragazzi (vabbé io non lo ero
), fossero interessati a Bob Dylan, eravamo credo una quindicina e parlò
con tutti, e fu così gentile che alla fine pagò lei la cena.
Il primo libro con le traduzioni di Bob (blues ,ballate e canzoni) che
ho letteralmente consumato, ha la sua introduzione, quindi concludo con
il massimo rispetto, mi alzo in piedi e mi levo il cappello per
Fernanda.
Sul fatto che De Andrè fosse pigro io dico :beh? Beato lui che se lo
poteva permettere! Andare in ufficio, o tirare la lima tutto il giorno è
una gran figata! Bruce Springsteen ha recentemente dichiarato di non
aver fatto un giorno di lavoro "normale", in tutta la sua vita, lo
stesso Bob se gli ricordi che spalava la neve nei primi anni sessanta
per racimolare qualche dollaro si incazza come un lupo, sono artisti e
vanno presi come tali.
Il fatto poi sia stato bravo a circondarsi di autori validi, tanto di
cappello, mi dispiace per Bubola e posso capire che
gli girino un pò: io possiedo molti sui album e l'ho visto parecchie
volte dal vivo, posso solo dire che mi sono divertito più ai sui
concerti che a quelli di De Andrè, d'alta parte se facciamo un indagine
su chi ha scritto Twist and Shout il 99% mi sa che risponderebbe
Beatles, per Jaihouse Rock , direbbe Elvis, caro Massimo sei in ottima
compagnia!
Il nostro Sir si è dimenticato di citare Tommy; Quadrophenia, Arthur dei
kinks, che forse sono tra i primi 100 dischi di sempre, ma chissà come
concept album funzionano . e poi scusate ma Pink Floyd e rondò veneziano
ma che paragone è?!
Cordialmente, Alessandro.
Ciao Alessandro, Sir
Eglamore è una specie di U.F.O., un qualcisa che esiste ma non è
riconoscibile, inquadrabile e di conseguenza classificabile, se fosse
possibile farlo non sarebbe più Sir Eglamore ma diventerebbe un Mario
Rossi qualsiasi. Non importa se rimani perplesso qualche volta, questo
è proprio il bello di Sir Eglamore, lui può dire tutto ed il contrario
di tutto con la stessa serietà, leggerezza, saggezza ed incoscienza. Il
vecchio detto calcistico: "Squadra che vince non si cambia" si adatta ad
Eglamore come il cacio sui maccheroni, cambiare Eglamore sarebbe un
peccato mortale, com prendere la Pietà di Michelangelo ancora a
martellate!
Sulla Pivano la penso
esattamente come te, una donna di grande intelligenza e di grande
spessore, giustamente amata da tutti, che ha avuto una frase infelice.
Anch'io ho studiato le prime traduzioni della canzoni di Bob su "Bob
Dylan, blues, ballate e canzoni" con l'introduzione della Nanda. A mio
avviso, e l'ho già scritto alcuni giorni fa, la frase che definiva Bob
Dylan il Fabrizio De Andrè americano è stato solo un passo falso di una
grande che forse per troppo amore verso Fabrizio ha allungato troppo la
gamba facendo un intervento da calcio di rigore. Credo che nessuno di
noi dylaniani possa accettare una frase del genere, ma penso anche che
si possa perdonare senza grandi difficoltà una grande donna come la
Pivano, son solo quelli che non fanno mai niente che non sbagliano mai.
Anche Dylan ha fatto diversi errori nella sua carriera ma non per questo
l'abbiamo crocefisso, l'abbiamo perdonato come era giusto, come mi
sembra giusto perdonare la Nanda.
La questione De Andrè
/ Bubola penso sia nata da una reciproca convenienza, dalla pigrizia di
Faber alla voglia di emergere di Bubola. Io ho visto De Andrè solo in
alcuni videoclip su Youtube, Massimo invece l'ho visto diverse volte e
mi è piaciuto. Probabilmente gli saranno girate un pò le palle ma i suoi
rapporti con De Andrè sono cose personali che nessuno è in grado di
giudicare perchè nessuno di noi sa la verità e le sue diverse sfumature
del loro rapporto artistico e personale, quindi ci vediamo costretti ad
astenerci dal dare giudizi, possiamo sempre liberamente dire "A me piace
De Andrè" o "Io preferisco Bubola" ma questi non sono giudizi, sono solo
gusti estremamente soggettivi.
Infine per quanto
concerne The Who, altre all'inarrivabile "Tommy" che straconosco a
memoria, ho amato molto Who's Next,
Album classificato al
28º posto della lista dei 500 migliori album di tutti i tempi. Viene
considerato un pilastro della musica rock del XX secolo, quello con
"Baba O'Riley" e "Behind Blue Eyes", inciso con l'aiuto dei seguenti
musicisti:
Roger Daltrey - voce
Pete Townshend - chitarra, pianoforte, sintetizzatore
John Entwistle - basso
Keith Moon - batteria Musicisti aggiuntivi
Nicky Hopkins – Per anni pianista dei Rolling Stones - pianoforte in
The Song Is Over e Getting in Tune
Dave Arbus – violino in Baba O'Riley
Al Kooper – (Bob Dylan, Blood Sweet and Tears, Rolling Stones - organo
nella versione alternativa di Behind Blue Eyes
Leslie West – Mountain con Felix Pappalardi al basso
(ex-produttore dei Cream) e Norman D. Smart alla batteria. Con questa
formazione i Mountain esordirono nel luglio del 1969 al Fillmore West, e
poi calcarono il palco del Festival di Woodstock. – chitarra nella
versione estesa di Baby Don't You Do It
Ingegnere del suono: Glyn Johns – uno dei migliori ingegneri del suono e
dei più grandi produttori che produsse i migliori dischi per i Led
Zeppelin, The Rolling Stones, The Who, Eagles, Bob Dylan, Linda
Ronstadt, Johnny Hallyday, the Band, Eric Clapton, the Clash, the
Beatles (Get Back Sessions), Ryan Adams, the Steve Miller Band, Small
Faces, Spooky Tooth, the Easybeats, the Ozark Mountain Daredevils, Blue
Öyster Cult, Emmylou Harris, Midnight Oil, New Model Army, Belly, Joe
Satriani, Ronnie Lane, Rod Stewart with Faces, John Hiatt, Joan
Armatrading, Buckacre, Gallagher and Lyle, Georgie Fame, Family, Helen
Watson, Fairport Convention, Humble Pie e molti altri.
Quadrophenia non mi ha
mai entusiasmto troppo, ma forse è solo un gusto personale.
Invece Arthur dei
Kings - titolo esatto - Arthur (Or the Decline and Fall of the British
Empire) - fu un lavoro che non ebbe molto successo.
Il frontman del
gruppo, Ray Davies, costruì il concept album come una sorta di "opera
rock" per la colonna sonora di uno sceneggiato televisivo della Granada
Television, e sviluppò la storia e i personaggi in collaborazione con lo
scrittore Julian Mitchell; tuttavia, il programma venne cancellato e non
andò mai in onda.
Sorprendentemente invece, in Gran Bretagna l'album non entrò nemmeno in
classifica.
Riapre il Chelsea Hotel, la «casa»
degli artisti di New York
clicca qui
Lunedì 29
Gennaio 2018
Talkin'
10360 - paulclayton
Oggetto: FABER, DORI E NANDA CI HANNO
VERAMENTE FRACASSATO LE BOCCE.
Caro e paziente Mister Tamburino,
da alcuni giorni ho un forte dolore al petto, probabilmente dipende dal
fatto di dover in parte convenire col figlio del padre della splendida
moglie di Bubola.
Premetto che sono cresciuto secondo i precetti musicali impartiti dalla
Santissima Trinità Baez - De André - Dylan, con leggera prevalenza del
LA minore rispetto al SOL maggiore. Come all’etnologo Bianchi, anche a
me succede di andare in visibilio per Hiram Hubbard e anch’io faccio di
Rambling Bob l’unica concessione al chitarroso mondo del rock. Ma, a
differenza sua, io esco dalla bruma delle antiche ballate, lui invece
dai bordelli di Storyville. Jazz e folk sono due universi paralleli e
sconfinati che comunicano fra loro molto sporadicamente, ma non mancano
comunque alcuni punti di contatto: entrambi innanzi tutto condividono
l’alto livello culturale dei pochi estimatori (Miscio, tu da che parte
stai?) e, per contro, l’acredine che questi due generi musicali sanno
infondere nell’animo elementare del Neanderthal Tecnologicus; esistono
poi parecchie contaminazioni vecchie e nuove (da Frances Faye a
Madeleine Peyroux); in condivisione alcune gloriose case discografiche
indipendenti e specializzate (Prestige, Riverside, Folkways…); in comune
anche una piccola parte del repertorio (Sister Kate, Down By The
Riverside…); e ancora il Festival di Newport, qualche locale del
Greenwich Village e poco altro. Insomma apparteniamo a due popoli
confinanti che parlano lingue diverse, ma che si stimano e si
rispettano, trovandosi spesso in sintonia, questo non toglie però che su
De André (oltre che sugli Indiani, quelli con le penne), io mi trovi in
disaccordo col Prof. Bianchi.
Non mi turbano i presunti plagi di De André, infatti concordo
sostanzialmente con il professore sul fatto che l’impronta deandreiana
rimane riconoscibile e preponderante. Trovo pertanto la polemica
abbastanza stucchevole e la ritengo in parte riconducibile alle gelosie
e alle inimicizie tipiche di questi bambinoni che sono poi gli artisti.
A proposito sapevate che la melodia del Blasfemo proviene da Rambleaway
(nella versione di Shirley Collins, anche se io preferisco quella della
grande Jean Redpath)?
Io nella critica a De André partirei invece da un altro presupposto e
vorrei argomentare secondo criteri di maggiore oggettività. Arrivo al
punto. Da innamorato, con infinito rammarico, devo dire che… Faber ci
sta veramente fracassando le bocce!
Sicuramente non aiuta il santino che ne stanno facendo media e società
civile: libri di testo, scuole dedicate, special commemorativi,
interviste alla Ghezzi e alla Pivano e adesso pure gli sceneggiati
(proprio come i Padri Pii). Ma come! Fabrizio de André non piaceva a
nessuno un tempo, era uno chansonnier di nicchia per carbonari da
salotto. Adesso invece tutti: “Ah… io adoro De André!”. Poi però in auto
ascoltano Zucchero.
E non parliamo di quanto col mito di Faber ci fracassa le bocce la
Nanda. Qui, per inciso, la potete sentir delirare su come durante il
primo (?) concerto di Bob Dylan al Berkeley Community Theatre siano
sbocciati i primi figli dei fiori (se il menestrello lo avesse saputo
per tempo, avrebbe portato il diserbante).
https://www.youtube.com/watch?v=chyd44JKoL0
Bisognerebbe che qualcuno si decidesse a raccontarle di quando Dylan,
campagnolo imberbe, chiese allo sceriffo di Woodstock se gli fosse
consentito sparare agli hippies che gli si arrampicavano sul tetto. Ma
cosa ci trovava Cesare Pavese in lei? Ho sempre sperato si trattasse di
omonimia. Vabbè…
Tornando al punto, se di questa beatificazione postuma non si può certo
incolpare De André, con il tempo e con la giusta lontananza mi pare
sempre più evidente che i suoi lavori risentano di alcune tare,
personali ed artistiche.
1 - Le debolezze personali.
Il signor De André, per carità, era sicuramente una brava persona, una
sensazione per altro confermata da un paio di fugaci incontri in
camerino, in occasione dei quali mi autografò, sorpreso di rivederli in
circolazione, i vecchi 45 della Karim, che io poi in seguito,
contravvenendo alle sue raccomandazioni, ho provveduto a rivendere
lucrandoci discretamente. Dev’essere poi stato un personaggio molto
piacevole e divertente nel convivio. Io mi immagino serate in Gallura
memorabili, con vino, risate e canzoni a volontà sotto la luna della
Sardegna. Peccato però che nelle sue notti convulse Prinçesa non potesse
respirare lo stesso profumo di cisto, dovendosi accontentare del fumo di
scarico delle auto che ripartivano dopo averla mollata sul marciapiede.
Una vita, quella di Faber, percorsa in direzione ostinata e contraria.
Ma vivere di rendita senza mai azzardare nuove direzioni è davvero un
merito? Le persone intelligenti sono generalmente dotate di ironia e non
di rado cambiano le proprie opinioni, perché il dubbio è la loro
bussola, consapevoli che il mondo si trasforma e la prospettiva cambia a
seconda di dove ti affacci. Qualche domanda sull’onestà intellettuale di
Faber (non sulla sua intelligenza) viene spontanea: era un borghese
radical chic, snob, colto, pigro, viziato, zuzzerellone e anche un po’
furbetto, o davvero quel rigoroso santo combattente che ci dicono? In
realtà le contraddizioni personali non mi spaventano di certo, sono
tipiche delle personalità ricche e complesse e conferiscono più umanità
all’individuo, ma mi pare che De André, seppur con i modi garbati di una
modestia che mi suona in parte falsa, si sia sempre proposto in modo
eccessivamente didascalico e moralistico. Io ravviso un codex
deandreiano cristallizzato e purtroppo non privo di retorica. Penso alle
interviste, agli scritti e alle introduzioni delle canzoni. Non credo si
tratti solo della sua proverbiale timidezza, che probabilmente lo
rendeva un po’ impacciato e impostato nel dialogo. Diciamo che un po’ di
ironia in più non avrebbe guastato. Schierarsi col perdente è moralmente
nobile e artisticamente efficace, ma non bisogna dimenticare che la
ruota gira, i perdenti non rimangono sempre gli stessi e le minoranze di
un tempo diventano talvolta maggioranze. Quando il contrario diventa
conforme, il rischio è quello di passar per tromboni. Insomma, a me
questa direzione ostinata e contraria m’ha veramente fracassato le
bocce.
E poi con ‘ste puttane… che mania! Pure la povera Nancy ha infilato
dentro un bordello, c’aveva proprio la fissa. Oltretutto questo appretto
libertario in cui il nobile chansonnier era solito immergere tutto ciò
che creava in alcuni casi ha prodotto risultati di una sgradevolezza
assoluta. Se penso alla provocatoria e compiaciuta volgarità della
strofa hard-core di Marinella, mi vien da rimpiangere la tanto
demonizzata censura democristiana. Complici anche i tempi, già allora
balordi. Proprio quest’anno si celebra il cinquantesimo del 68, ma io,
per questi motivi, riterrei più opportuno aspettare ancora un anno e
festeggiare invece il 69. In fondo credo che anche Faber sarebbe
d’accordo (Miscio, tu che ne pensi?).
2 – Le debolezze artistiche.
De André proviene da una famiglia dell’alta borghesia genovese, questo
traspare anche dalla sua educazione, ma a volte le sue scelte musicali
tradiscono sorprendentemente gusti di matrice piccolo borghese. A parte
la tournée teatrale del 1992, in cui De André ci regalò delle
meravigliose versioni di Miché/Passanti/Giovanna D’Arco/Nancy, i suoi
concerti per me sono sempre stati una grande delusione. Vogliamo parlare
del cattivo gusto degli arrangiamenti della PFM? Più barocchi e tamarri
è difficile immaginarseli, ma a lui però devono essere proprio piaciuti,
se per venti estenuanti anni ha continuato a profanare con gli stessi
identici arrangiamenti gemme come Bocca di Rosa, Guerra di Piero,
Marinella e Via del Campo. Ma, volendo ben vedere, anche la casa in
Sardegna non brillava per buon gusto.
C’è poi quella che in molti, con devota ammirazione, definiscono cura
maniacale del particolare e che a me pare invece un’assurda fisima
piccolo borghese. La replica integrale dei dischi eseguita in concerto,
seguendo lo stesso ordine delle tracce, con tanto di pescivendole
bercianti, io l’ho sempre trovata ridicola, oltre che terribilmente
noiosa (a questo punto me ne sto a casa mia e mi ascolto il mio disco in
santa pace, sul mio divano, al buio davanti al fuoco, con un bel
bicchiere di vino, senza i cafoni che mi cantano e ballano intorno).
Praticamente De André ha portato i pastorelli di Capodimonte in tournée.
Ha musicato le bomboniere della Thun. E questo, prof. Bianchi, è
l’esatto contrario dell’improvvisazione jazz che lei tanto apprezza.
La pretesa di proporre al pubblico uno spettacolo dal vivo con una
struttura che potesse trascendere la casuale successione di singole
canzoni ci riporta a quell’idea stessa di album concettuale (mi rifiuto
di usare “concept album”) tanto cara a De André. L’ingenua pretesa che
la canzone possa assurgere a qualcosa di più, mi fa sorridere. Il
“vorrei ma non posso” musicale ha sempre avuto effetti aberranti, penso
a The Wall e al Rondò Veneziano. Io trovo ripugnante la pretenziosità di
un album come Storia di un impiegato, in cui la mancanza di autonomia
dei singoli brani è tale da renderli infruibili e inutilizzabili (dal
vivo per esempio). Le canzoni sono una cosa, l’opera un’altra. Più le
canzoni sono slegate fra loro più sono aperte, evocative, fresche e
spontanee. Immaginiamo che latte alle ginocchia ci avrebbe fatto venire
il Vol. 1 se fosse stato intitolato “Storia di un perdente”, con una
Preghiera in gennaio dedicata al povero disgraziato che, presa in moglie
Barbara con un rito nuziale campestre, dopo essere stato per l’ennesima
volta da lei tradito e aver poi bussato invano alla bella di Via del
Campo, si fosse alla fine suicidato. Dylan, intelligentemente, non ha
mai ceduto a questa lusinga, non ha mai sentito il bisogno di superare i
limiti della canzone, non sentendo il peso di questa subalternità
culturale e i risultati in termini di schiettezza e freschezza sono
sotto gli occhi di tutti. Personalmente detesto a tal punto queste
pretenziose liasons, che, come un chirurgo, ho ripulito, nel limite del
possibile, le canzoni di De André da tutte le intro, gli intermezzi e i
finali, rimescolandole fra loro e riportandole alla loro essenza
originale di canzone. Sarebbe bello che, mettendo mano ai nastri
originali multitraccia, la Dori Ghezzi desse alle stampe le versioni
primitive, libere da tutti questi orpelli, ma non lo farà mai.
E a proposito di cattivo gusto, ho sentito qui citare più volte Sand
Creek. Io credo che non ci sia nel repertorio di Fabrizio De André
canzone più irritante di Sand Creek: melodia orrenda, arrangiamento
orrendo e testo orrendo. Ripeto: gli Indiani vanno lasciati in pace,
sono dei vecchi cani spelacchiati che stanno morendo nel cantuccio.
Lasciamoli morire in pace. Artisticamente poi non funzionano e, al
limite, sarebbe titolata a parlarne Buffy Sainte-Marie e non certo un
cantautore italiano. Ma non è orrenda solo Sand Creek, tutto l’Indiano è
un disco mostruoso, a partire dalla prima ridicola traccia per finire
con la copertina. Solo Supramonte forse si salva. E anche il disco
precedente, Rimini, è brutto, raffazzonato e incredibilmente povero:
nove brani di cui quattro puramente riempitivi. Ma quanto era pigro
quest’uomo? Cosa faceva tutto il giorno? Va bene svegliarsi sempre a
mezzogiorno, va bene bambanare per la casa tutto il pomeriggio col
libretto degli appunti in mano, va bene la pignoleria, ma per sfornare
un album ogni sei anni devi proprio essere irrimediabilmente pigro. Se
tra l’altro non devi nemmeno aspettare che ti appaia la Musa perché la
tua cultura e il tuo raffinato talento innato di adattatore ti
permettono di lavorare di cesello su materiali preesistenti, serve solo
un po’ di impegno e un album ogni due anni lo puoi tranquillamente fare.
Certo che se per fare un disco devi prendere la barca a vela e, come
Ulisse, girare in lungo e in largo per il Mediterraneo in cerca di
spunti, ci metti anche dieci anni a fare un disco. E il bello è che non
esistono nemmeno inediti! Dispiace sicuramente che sia morto senza poter
finire i Notturni, ma, diciamocelo: chissà se l’avrebbe mai terminato… a
questi ritmi, nel frattempo, sarebbe potuto morire altre tre o quattro
volte.
Quindi, per concludere questa invettiva, sicuramente De André era bravo,
ma quanto ci ha fracassato le bocce!
Bisognerebbe seppellire tutto in un baule, avendo l’accortezza di
distruggere Impiegato, Rimini e Indiano e poi fra cinquant’anni
riesumare le reliquie; solo allora, quando ce ne saremo dimenticati, De
André potrà tornare a piacerci.
Ossequi, Sir Eglamore.
Ciao Eglamore, premetto che per me il discorso Fabrizio De Andrè è un
capitolo chiuso come ho detto anche a Giuseppe Enrico Bianchi. E' stato
uno scambio interessantissimo e da parte mia devo confessare che ho
imparato tante cose che non sapevo sull'attività di De Andrè ed
inevitabilmente anche sulla sua natura artistica e personale. Certamente
possiamo tranquillamente dire che Fabrizio è stato un grosso personaggio
della nostra musica cantautorale, con tutti i pregi ed i difetti
annessi e connessi che ognuno di noi gli può trovare, di certo uno fra i
maggiori, in buona compagnia con Guccini, Bubola, De Gregori, Dalla e
Venditti. Io considero la totalità del lavoro di un artista e le
dietrologie non mi emozionano e nemmeno mi interessano. Personalmente
preferisco De Gregori (che considero totalmente Dylan-addicted) perchè è
il più vicino allo stile di Dylan, Guccini è stato un altro grandissimo,
compositore di pezzi indimenticabili ed indimenticati, a mio parere
l'unico che abbia saputo tradurre Dylan senza falsarne il significato
("Ti voglio" è come se fosse cantata in inglese), un artista con una
forza polemica, politica e sociale davvero notevole, una forza mai fine
a se stessa (protestiamo tanto per protestare) ma una protesta sentita
che veniva dal fondo del cuore e da una mente ricca di visioni
pertinenti con la realtà, uno che con le parole riusciva a dipingere un
quadro dei tempi nei quali stava vivendo. Massimo Bubola è un vero
poeta, se lo senti parlare sul palco mentre presenta il pezzo che deve
cantare o se parla di Bob Dylan ti affascina, ti colpisce per la sua
delicatezza nell'esprimere il suo pensiero e nel porgertelo, e non
pensare che per questo Massimo sia un bonaccione, è un peperino di
prima, con il dono di saper parlare alla gente e l'intelligenza per
farlo. Che dire del grandissimo Lucio Dalla che sapeva coniugare le
visioni di mondi esistenti e desiderati solo dalla sua fantasia con la
realtà dei ricordi di vita. Quando ho sentito 1983 per la prima volta
sono rimasto fulminato chiedendomi cosa avesse Dalla di così fuori
dall'ordinario, leggete queste strofe e capirete cosa voglio dire:
Le dieci del mattino e mi
scoppia la testa
Come se avessi bevuto una botte di vino
O fossi stato alla mia festa
Apro la finestra è ancora buio
Butto un urlo per strada ma non risponde nessuno
Il mio cuore si è rotto come uno specchio si è rotto
Si è rotto quel bellissimo orologio ti ricordi
Come lo chiamavi tu
Il silenzio continua sono almeno le sette
Apro la radio la tele le orecchie
Ma nessuno trasmette
La stanza è piena di animali sembrano zanzare
Grosse come cani ma almeno i cani non sanno volare
Forse qualcuno mi sente qualche vecchio amico mi sente
Provo ad urlare così forte
Così forte almeno mi sentissi tu
Che giorno è che anno è lunedì martedì ma che vita è
Da una foto mia madre comincia a parlare
Dice "Non ti ricordi tuo padre come ci sapeva fare?"
Erano gli anni della guerra tutti col culo per terra
Si mangiava coi cani ti ricordi a Bologna che festa
Quando arrivarono gli americani
Ehi nel '43 la gente partiva, partiva e moriva e non sapeva il perché
Ma dopo due anni tutti quanti perfino i fascisti aspettavano
Gli americani come a Riccione aspettano i turisti.
e proprio te quella notte in piazza sulle spalle di tuo padre sembravi
un re
finiti i bombardamenti tutti a farsi i complimenti
erano tristi solo i morti e si mangiavano le mai
non perché erano morti ma perché non si svegliavano domani
ti ricordi quella bruna come era triste perché sapeva di non vedere
i razzi sulla luna
Chi se la vuole
riascltare tutta clicchi sul link sotto:
Credo che qui siamo più in alto delle solite
storie di puttannelle poverelle ammmazzate. Nancy è la traduzione
italiana della canzone di Leonard Cohen "Seems So Long Ago, Nancy"
incisa nel 1974 sul disco "Io come chiunque (sulla pista di Cohen)" col
titolo "Sembra così tanto tempo fa, Nina" nel 1974 da Claudio Daiano,
nome d'arte di Claudio Fontana, è un paroliere, compositore e cantautore
italiano che ha scritto i testi di molte canzoni entrate nella storia
della musica leggera italiana, da Sei bellissima per Loredana Bertè a
L'isola di Wight e Storia di periferia per i Dik Dik, da Un pugno di
sabbia a Un giorno insieme, entrambe per i Nomadi, da Il volto della
vita per Caterina Caselli a Un'ombra per Mina. La prima grande
affermazione risale al 1968 con Il volto della vita, firmata anche da
Mogol, cover di Days of Pearly Spencer di David McWilliams. Sempre nello
stesso anno ottiene un altro grande successo: Quelli erano giorni, cover
di Those Were the Days, singolo di debutto nonché hit di Mary Hopkin,
scritta da Gene Raskin per il testo inglese sulla musica di una canzone
russa, Дорогой длинною (Dorogoi dlinnoyu), scritta da Boris Fomin ed
incisa da Gigliola Cinquetti; il suo testo verrà inciso anche dalla
stessa Hopkin.
Nel 1969 scrive il testo per la versione italiana della celebre
canzone-scandalo Je t'aime... moi non plus di Serge Gainsbourg
Nel 1970 ottiene due successi con L'isola di Wight per i Dik Dik (cover
di Wight Is White di Michel Delpech) ed Un pugno di sabbia per i Nomadi,
che arriva al quarto posto ad Un disco per l'estate. Sempre nel 1974
pubblica il suo primo album da cantautore, Io come chiunque (sulla pista
di Cohen): un album tributo a Leonard Cohen. Il 1975 è l'anno di Sei
bellissima, che diventa una delle canzoni evergreen della musica leggera
italiana, anche grazie all'interpretazione di Loredana Bertè. Nel 1975
fu ritradotto da De Andrè con titolo "Nancy", una canzone triste e
malinconica che racchiudeva anche un piccolo mistero che negli anni lo
stesso Cohen ha dovuto fugare. In una intervista passata negli States,
Leonard in più di una occasione, ha commentato la canzone sia
presentandola durante i concerti, sia parlandone in alcune interviste,
dicendo che forse Nancy era uno dei suoi brani a cui era più vicino, in
quanto conosceva molto bene Nancy. Credevano in tanti che Nancy fosse in
realtà Marilyn Monroe, che in effetti come descrizione sarebbe calzata
perfettamente nella drammatica carriera da “ricca ma infelice”. Cohen
però giurò che quella Nancy in realtà era proprio reale: «Una ragazza di
21 anni, di Montreal, che si suicidò perché le tolsero il bambino senza
motivo.
Naturalmente ognuno ha i suoi artisti preferiti e fa bene a difernerne e
metterne in risalto l'opera, come dire, ognuno tira l'acqua al suo
mulino. Questo è un mulino dedicato a Bob Dylan quindi è logico trovare
persone che danno più importanza ed amano di più Dylan. Ma questo non fa
male a nessuno, anzi, è stato uno scambio piacevole anche se ormai
concluso. Alla prissima Eglamore, e spero che Miscio ti dirà la sua
visto che l'hai chiamato in causa un paio di volte. Live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Buongiorno Mister,
sto seguendo con attenzione il dibattito sulla grandezza di De Andrè e
di altri cantautori italiani. Molti autori e testi che sono stati citati
sono molto noti al pubblico, e quindi anche a me che non sono un'esperta
di musica, ma ho scoperto la sua bellezza e il suo grande dono di
arricchire ed allietare la vita quotidiana grazie all'assegnazione del
Nobel a Dylan ed alla frequentazione del sito. Concordo con
l'affermazione che i grandi cantautori si distinguono per il testo, cioè
per l'abilità linguistica di costruire testi non banali, accompagnati
dalla musica. La semplicità della musica è il grande elemento
innovativo, poichè rappresenta la linea di incontro tra l'artista ed il
pubblico.
A me sembra che Dylan abbia qualche freccia in più nel suo arco rispetto
ad altri, pur grandi, poeti-musicisti: la varietà di temi e motivi
davvero vasta, che non lo rende mai monotono, e la suggestione della
voce, capace di modulare le parole in modo sempre nuovo e toccante.
Seguendo le indicazioni di un Farmer, ho visto, qualche giorno fa sui
rai 5, "Don't look back". Mi hanno colpito la bellezza delle riprese in
bianco e nero e non a colori - non ero più abituata alla vecchia TV - e
la forza straordinaria di quel ragazzino mingherlino ed arruffato che
conquista il pubblico inglese e, soprattutto, tiene testa ai giornalisti
del "Time" che vogliono fargli dire cose che lui non vuole dire e che
difende con intelligenza e determinazione la libertà della sua arte.
Aveva solo 24 anni! Accanto a lui, solido e saggio, Albert Grossmann.
Una bella trasmissione, valeva la pena stare svegli fino a tardi! Come
sempre, grazie delle informazioni e del dibattito. Lunga vita! Carla.
Ciao CVarla, la musica
è proprio quello che distingue i poeti degli anni passati con quelli
odierni. La musica è un veicolo che fa in modo che una volta memorizzato
il testo non lo dimentichi più proprio grazie al supporto sonoro,
L'esempio più semplice è questo: quando senti due note di una canzone di
Battisti immediatamente ti torna alla mente tutto il testo. Le parole da
sole sono molto più difficili da mandare a memoria, e forse ci
colpiscono in modo più leggero perchè non hanno qualla musica a volte
davvero triste nel suo insieme che aiuta a creare l'emozione. Penso
anch'io che Dylan sia più totale dei pur grandi cantautori italiani per
la vastità degli argomenti trattati e per come sono stati trattati.
Naturalmente ognuno di noi può avere il suo cantante o autore preferito,
ma visto che questo è un sito dedicato a Bob Dylan, alla sua attività ed
al suo lavoro, viene spontaneo priviligiarlo e metterlo al primo posto
assoluto, il King of Kings di tutti i songwriters e storytellers.
"Don't Look
Back" è un documentario che ha i suoi lati positivi e quelli meno. Trovo
noiose quelle lunghe discussioni che sembrano tirate avanti solo perchè
c'è una telecamera a riprendere, non mi è piaciuto come la Baez viene
fatta scomparire dal filmato senza una parola di spiegazione. Invece
ritengo eccezionali le riprese di Bob sul palco da solo che si mette a
nudo di fronte a tutto il mondo! Si vede la differenza fra lui e gli
altri e si capisce che quel ragazzino farà grandi cose nel futuro.
Grossman, oltre che essere solido e saggio, si vide interrompere
bruscamente il contratto con Dylan quando Bob si rese conto che Albert
stava guadagnando più soldi di lui che era quello che faceva il lavoro
per cui tutti guadagnavano soldi, solo che le percentuali di Grossman
erano troppo esose e giustamente Bob gli diede il due di picche. Lo
disse chiaro in "All Along The Watchtower" - ("Businessmen, they drink
my wine, plowmen dig my earth" , Uomini d'affari bevono il mio vino,
contadini zappano la mia terra), frase evidentemente riferita a Grossman
ed ai suoi soci che si approfittavano del fatto che lui era stato
impegnato a scrivere le sue canzoni e non aveva avuto il tempo di
occuparsi seriamente dei suoi interessi. La stessa cosa che successe ai
Beatles col loro primo manager Brian Epstein che non seppe negoziare per
il merchandising beatlesiano negli Stati Uniti, col risultato che i
Beatles persero milioni di dollari di royalties ed invece produttori di
memorabilia americani incassassero milioni di dollari senza sborsare
niente. Per Epstein ci pensò il destino, per Grossman ci dovette pensare
Dylan. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Smartphone vietato ai concerti:
civiltà o prevaricazione?
clicca qui
Nota di Mr.Tambourine:
Questo è un argomento interessante da sviluppare, scrivete cosa ne
pensate di questa decisione.
Venerdì 26
Gennaio 2018
Talkin'
10358 - gebianchi
Dunque, caro Tambourine, vediamo se
riusciamo ad intenderci meglio. Io fin dall’inizio ho premesso che il
rispetto dei gusti altrui è la premessa per ogni civile e costruttivo
scambio di vedute e direi che questo vale per ogni argomento. Però
quando si fa cattiva, o errata, informazione, credo si debba correggere
e precisare, al fine di evirare di fornire a chi legge, degli strumenti
di giudizio sbagliato; questo sta accadendo con De Andrè e ciò mi
dispiace, visto che da parte del sottoscritto e credo anche da parte
tua, non vi sia alcuna preclusione a priori nei confronti dell’uno o
dell’altro artista di turno. Andiamo con ordine; intanto per quanto
concerne la musica, con la M maiuscola, direi che criticare De Andrè è
abbastanza scontato. Tutto il mondo della canzone, dal rock, al pop, al
cantautorato italiano e non, si muove su un terreno tecnicamente
banalissimo. Stessi ritmi (4/4, 3/4, 2/4), stessi giri armonici, stessi
intervalli. Non troverai mai un jazzista o un musicista classico
disposti a prendere sul serio la musica di De Andrè, ma nemmeno quella
di Bob Dylan o quella dei Led Zeppelin. A parte poche eccezioni (mi
vengono in mente in Italia gli Area, i cui componenti, non a caso, hanno
poi scelto carriere solistiche nel jazz, Fariselli, Tavolazzi e quel
genio di batterista che era Giulio Capiozzo capace di costruire ritmiche
dispari in 9/4 o 15/16), tutto il mondo della canzone gira intorno ad un
concetto di tonalità che Stravinskij o Alban Berg piuttosto che John
Coltrane o Miles Davis con le loro invenzioni sulle progressioni modali,
bollerebbero come musica infantile e di una semplicità imbarazzante. Del
resto ogni musicista di discreto livello è in grado di suonare assoli
elementari come quelli della gran parte dei musicisti rock (chiedi ad un
qualsiasi turnista italiano e ne avrai conferma). Metti un Pat Metheny
alla chitarra un John Patitucci al basso, un Dave Weckl alla batteria
e…..vedi cosa viene fuori come accompagnamento per il nostro Bob!!!. Ma
questo è un altro discorso; nel rock, nel pop, nei cantautori, c’è poco
da fare, quel che conta è il testo. Da De Gregori a De Andrè, da Guccini
a Capossela, da Dylan a Neil Young. Quello che però mi indispone un po’
è la vulgata, ormai vedo molto diffusa, che tenta di disconoscere a
Faber buona parte dei suoi meriti creativi. Allora, andiamo con ordine.
Intanto chiariamo che l’acredine di De Gregori deriva soprattutto da
motivi….molto personali (fonti dirette me lo hanno confermato), sta di
fatto che è stato lui stesso, tanti anni fa a rivelare come fu “il
testamento” di De Andrè ad illuminarlo circa la scelta di fare il
cantautore. Detto questo, Amico fragile (la canzone forse più
autobiografica di De Andrè e della cui paternità credo nessuno possa
dubitare visto come e quando fu scritta!!!!) vale da sola tutto Vol.8,
disco in cui l’ispirazione degregoriana, mi pare proprio poca cosa,
comprese canzoni come Le storie di ieri e altri pezzi in cui la poetica
spesso ambigua e astratta di De gregori (che già scriveva canzoni
che….dicevano poco!! vedi il sopravvalutatissimo LP Rimmel) mal si
combina con le tematiche stringenti e attuali care a De Andrè. Mi si
cita Mannerini; benissimo, ho conosciuto molto da vicino il figlio,
persona squisita, che da anni, assieme all’associazione De Andrè (senza
la quale nessuno se lo sarebbe filato), propone spettacoli teatrali in
cui vengono recitate le poesie del padre. Mi raccontò come Tutti morimmo
a stento fu un lavoro a 4 mani in cui però il padre, anarchico
scontroso, coi suoi cali di lucidità che lo avrebbero portato al
suicidio, non riusciva proprio a creare nei tempi e modi della canzone,
e di lì il ruolo certamente preponderante di Fabrizio (a detta di
Mannerini stesso), il quale in lunghe interviste, come quella del 1992
che trovi anche se vai su wikipedia e digiti Riccardo Mannerini, non ha
mai smesso di riconoscerne il ruolo e l’importanza nella sua formazione
politica e culturale. Reverberi, di cui si parla nel precedente talkin',
lo conosco bene, anche personalmente, essendo genovese; egli considera
De Andrè un genio assoluto e non ha mai scritto le musiche delle sue
canzoni, le ha bensì arrangiate, con quell’ampollosità strumentale
tipica del suo modo di arrangiare e suo marchio di fabbrica; da Bindi a
De Andrè a Lauzi e altri ancora. Per quanto riguarda Fossati (sempre
citato in concerto come co-autore da De De Andrè del quale io ho visto
una quarantina di concerti) sostenere che sembra un disco interamente
dello stesso Fossati è un falso clamoroso. Il tema degli zingari, della
solitudine ed emarginazione, dei transessuali, la smisurata preghiera
frutto dell’amicizia tra De Andrè e lo scrittore sudamericano Alvaro
Mutis, la Disamistade , ovvio riferimento ad una faida che si svolge in
Sardegna, isola tanto cara ed i comportamenti dei cui abitanti erano
tanto noti a De Andrè, il tema di Ho visto Nina volare, canzone che
narra dell’infanzia di Fabrizio in quel di Revignano d’Asti dove
spingeva sull’altalena la piccola Nina Manfieri (signora ormai
ottuagenaria e che realizza degli ottimi biscotti casalinghi che
consiglio di assaggiare) la cumba genovese, lingua in cui Fossati non
componeva mai…..sono lì a dimostrare la paternità di quel disco che non
sfociò in una vera e propria collaborazione perché De Andrè non amava le
sonorità rockeggianti ed elettroniche tanto amate da Fossati (il quale
peraltro ha sempre riconosciuto a Faber il merito di quel disco). Su
Pagani ho già detto in un talkin' precedente, anche se mi pare davvero
miope non riconoscere il valore dell’intuizione e dell’apporto
deandreiano. Da quel disco in poi tutti hanno cominciato a scrivere e
cantare in dialetto, anche se lo spessore poetico di pezzi come Capitan
Pascià, a Pittima A Dumenega…sono obiettivamente inarrivabili. Ma quando
mai Pagani conosceva come funzionasse il meccanismo dei bordelli
genovesi nel rinascimento i cui introiti servivano a pagare i lavori di
manutenzione del porto, o chi era andato a studiarsi la storia delle
conquiste della repubblica marinare ligure ai tempi delle crociate???
Oltretutto non è assolutamente vero che Faber abbia sminuito il ruolo di
Pagani, che come i vari Bubola, Mannerini stesso, persino Piovani,
citiamo anche il compianto Milesi, sarebbero oggi dei personaggi minori
(quando non dei perfetti sconosciuti), senza la collaborazione con De
Andrè. Per quanto concerne gli arrangiamenti PFM, è vero, sono
abbastanza invariati, ma per De Andrè che aveva una concezione classica
della canzone, se il pezzo era giusto in un modo, era un inutile
virtuosismo tentare di modificarlo. Tant’è che maniacalmente, dal vivo,
anche in dischi come Nuvole e Anime Salve dove la PFM non c’entra
niente, De Andrè ha sempre tentato di riprodurre maniacalmente dal vivo,
gli stessi suoni e arrangiamenti da studio, convinto che il pezzo, la
canzone, fosse “giusta” nel modo in cui era stata pensata in studio.
Potrei continuare a lungo, ma rischio di tediare troppo i lettori del
talkin’ e me ne scuso, però vorrei solo chiudere il mio intervento con
una ultima riflessione. De Andrè, (che ripeto non ha mai nascosto nulla,
anche se in concerto non si metteva certo a raccontare la rava e la
fava, come non lo fa giustamente nemmeno Dylan quando canta Sinatra….)
era prima di tutto un uomo molto curioso e aperto a tutte le influenze e
a tutti gli ascolti. Leggeva moltissimo e si documentava in maniera
maniacale. Dori Ghezzi mi raccontava di come girasse per casa con questa
agendina sui cui risvolti annotava di tutto; titoli di giornali,
riflessioni, aforismi, titoli di libri da acquistare, versi di altri
autori o poeti, ricette di cucina; poi iniziava un lungo, lento e
snervante lavoro di composizione, un connubio tra collage e creatività
(peraltro modus operandi tipico dell’artista moderno post-romantico e
post-avanguardista) che rappresentava una prima stesura della canzone.
Su di essa (ma qui potrebbero testimoniare tutti gli altri, da mark
Harris a Reverberi, da Marangolo a Ellade Bandini che mi raccontò di
come rimase incantato di fronte alle competenze musicali tecniche di un
De Andrè che passa sempre per un analfabeta del pentagramma, cosa non
vera) innestava una melodia spesso re-imbastita all’infinito, dopodichè
avvalendosi dei vari Piovani, Milesi o Reverberi, nasceva
l’arrangiamento. Peraltro, questo modus operandi è tipico di tutti i
cantautori. Guccini, altro monumento della canzone d’autore italiana, ha
sempre lavorato allo stesso modo, e direi che nella stessa maniera
lavorano i big della canzone d’autore americana. Quello che a me sembra
sfugga, è il ruolo dell’intellettuale nella nostra società. Lungi
dall’essere un personaggio isolato in una torre d’avorio (come tenta di
essere il pur anche da me amato Dylan che però col suo occultarsi non fa
altro che costruire il mito ed io non amo i miti, ma le persone normali,
ma questa è una mia valutazione personale) De Andrè ha sempre cercato di
integrarsi, di interagire, ha parlato di mafia, delle minoranze etniche,
della frustrazione del bombarolo che sfoga la sua rabbia impotente in
una società che tende a stritolarlo, rispondendo perfettamente alla
figura dell’artista contemporaneo. La creatività, non nasce dal nulla,
da una intuizione isolata, ce lo hanno insegnato Andy Warhol e tutta
l’arte contemporanea. In questo suo attingere, appoggiarsi, collaborare
con altri, De Andrè è di una modernità assoluta; ripeto i suoi dischi
non sono un collage bizzarro di canzoni, alcune buone altre no, sono un
corpus integrale da ascoltare e leggere in tutta la sua completezza e in
tutti i suoi, spesso voluti, riferimenti culturali. Avete presente i
cantos di Ezra Pound? Non sono un’assemblaggio di citazioni e
riferimenti alla poesia provenzale, a Confucio, ai codici del Monte dei
Paschi, a Cavalcanti, etc etc?? Peccato siano universalmente considerati
come il più grande poema del 900 di uno dei massimi poeti del 900!!!!
Resta il fatto che le tematiche affrontate da De Andrè in trentacinque
anni di carriera, sono tuttora delle pietre miliari illuminanti, e se la
santificazione del personaggio può pure apparire stucchevole, ci sarà
qualche motivo se tutti i maggiori esponenti della canzone d’autore
nostrana, da Vasco a Battiato, da Ligabue a Zucchero, hanno voluto, nel
corso di questi anni tributargli un doveroso omaggio. O sbaglio? Con
simpatia, Giuseppe Enrico Bianchi.
Caro Giuseppe, la tua
loquela ti fa manifesto di quelle nobil patria natio che diede i natali
anche a De Andrè. E chi meglio di te, che hai conosciuto molti dei
personaggi che hanno fatto parte della storia deandreiana può dare
un'opinione e delle osservazioni e puntualizzazioni così interessanti?
E' molto bello vedere e sentire l'amore, e soprattutto il rispetto, che
hai per il lavoro e la persona di Fabrizio. Validissime le tue
osservazioni che tutto il mondo della canzone, dal rock, al pop, al
cantautorato italiano e non, si muova su un terreno tecnicamente
banalissimo, anche se non bisogna dimenticare che ci sono stati artisti
che attraverso questo ramo banalissimo hanno saputo sfornare dei veri
capolavori come De Andrè e Dylan. Molti altri si sono mossi nel campo
del rock agendo però ad un livello superiore a quello del banale,
lasciami citare quel mostro di inventiva che fu Frank Zappa sempre
circondato da musicisti di calibro gigantesco rispetto alla media degli
artisti più popolari. Non tralascerei i King Crimson, i Nice, i
Colosseum, gli Yes, EL&P, Procol Harum, che pur agendo nell'ambito della
canzone hanno portato la musica a livelli al di sopra degli stereotipi
canzonettistici popolari, facendo diventare anche l'esecuzione un'arte
oltre che la composizione. D'altronde non possiamo dire che coloro che
suonano la cosidetta "musica classica" dei vari Verdi, Puccini
etc...etc....non siano dei veri artisti a tutti gli effetti. La musica è
una scienza basata sulla matematica e quindi la perfezione di
un'esecuzione migliora la qualità ed il "suono" della stessa. Toscanini,
che si era laureato alla Regia Scuola di Musica (il futuro conservatorio
di Parma) era uno studente diplomato in violoncello e composizione, a 19
anni era già considerato uno dei più grandi direttori d'orchestra per
l'omogeneità e la brillante intensità del suono, la fenomenale cura dei
dettagli, l'instancabile perfezionismo e il dirigere senza partitura
grazie a una memoria prodigiosa. Non dimentichiamo che fu una persona
capace di rispondere con un netto rifiuito ad un invito fatto nel 1933
da un certo Adolf Hitler! La leggenda narra anche che fu Toscanini a
rendere celebre e consegnare alla storia della musica il "Bolero" di
Ravel con la sua esecuzione col tempo accellerato. Toscanini aveva
capito nelle prove che con il tempo scritto da Ravel il Bolero diventava
noioso per la sua lentezza, così una volta, in un teatro parigino,
presente Ravel nel palco di proscenio, diresse la sua opera in maniera
Toscaniniana. Le ultime note del capolavoro furono salutate da
un’autentica ovazione. Il mitico maestro italiano si inchinava al
pubblico osannante, che richiedeva a gran voce che anche il compositore,
notato da tutti, venisse sul palco a condividere il trionfo. Ravel
ostentatamente non si mosse dal palco. Poi, ad alta voce, in maniera da
essere sentito non solo dal maestro, disse. “Trop vite, trop vite!”,
Troppo in fretta, troppo in fretta. Sembra che nella discussione che
seguì fra i due nei camerini del teatro, Ravel sosteneva che il tempo
usato da Toscanin non era quello scritto da lui, Toscanini avesse
recuperato i dischi registrati da Ravel e ... i tempi staccati fossero
identici, col risultato che Ravel se ne andò zitto, buono e sconcertato.
Si dice anche che da quella volta Toscanini, pur essendosi riconciliato
con Ravel, non diresse più pubblicamente il Bolero, ma esiste una
registrazione del 1939, anche se non registrata da vivo, del Bolero
fatta per la NBC e non approvata daToscanini per via di certe
imperfezioni di esecuzione. Quindi non è necessario essere dei grandi
strumentisti o dei grandi cantanti o dei grandi compositori per essere
dei grandi artisti. Tornando alla nostra simpatica discussione, io credo
che la collaborazione fra artisti porti vantaggio a tutti. Son convinto
che tutti coloro che collaborarono con De Andrè ne trassero dei vantaggi
e che lo stesso Fabrizio trasse dei vantaggi con la collaborazione con
gli altri. Potremmo definirla un sano "do ut des" senza nessun genere di
malizia, conviene a me e conviene a te, facciamolo e stiamo a vedere
cosa ne esce. Nessuno avrebbe potuto prevedere i risultati futuri mentre
collaborava con De Andrè (o mentre De Andrè collaborava con lui), quindi
ritengo che la dietrologia, come nel caso del nostro onestissimo
confronto, lasci un pò il tempo che trova. Tutti hanno avuto dei
vantaggi altrimenti sarebbe stato stupido ed inutile collaborare. Voglio
dire che un compositore può scrivere un coro bellissimo, esempio quello
del Nabucco, ma se poi non ci sono quelli che lo cantano (e parte del
merito deve per forza andare anche a loro) il coro non servirà a niente
se nessuno lo canterà. A questo punto, credo che quello che c'era da
dire sia stato detto e che potremmo considerare chiusa questo
bellissimo, interessantissimo e utilissimo scambio di vedute. Alla
prossima, Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Dylan, Genova 1992, giocando col pubblico
al brano “mascherato”
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Giovedì 25
Gennaio 2018
Talkin'
10357 - calabriaminimum
Caro Mr.T.,
visto il tuo "invito", colgo l'occasione e ti dico la mia su De André.
Stimo molto l'artista De André, pur riconoscendo che la sua attività
artistica è costellata da luci e ombre. Forse più ombre che luci.
Partiamo da una costatazione piuttosto semplice: Fabrizio De André era
un "artista collaborativo". In pratica, come avete già affermato tu e
Daniele, (e gli altri che sono fino a questo punto intervenuti sulla
questione) De André ha scritto più brani come co-autore, che non come
unico autore. Spesso si è ispirato a opere altrui, citando, come era uso
fare, brani della tradizione, sia classica che popolare. Ci sono diversi
esempi del genere, nella musica leggera, e questo "discorso"
include sia nomi importanti che artisti di nicchia. De Gregori,
Vecchioni, Guccini, Venditti, Daniele, per citare alcuni cantautori
celebri, spesso si sono appropriati di melodie già sentite per comporre
brani propri, senza mai citarne direttamente la fonte, cosa che in
alcuni casi è più che evidente. L'artista che ha fatto un marchio di
fabbrica di questo stile compositivo è probabilmente Zucchero
Fornaciari, il quale spesso prende 2-3 brani e li miscela fino a creare
qualcosa di altro, anche se quasi sempre riconoscibile a un orecchio
attento e allenato all'ascolto. De André però non si limitava a fare
questo: spesso (molto spesso) era solito avere uno o più collaboratori
per scrivere canzoni che sarebbero poi finite nei
suoi dischi. Questo metodo di lavoro diventa più evidente da "Non al
denaro non all'amore né al cielo" e da "Storia di un impiegato" in poi.
Purtroppo (o per fortuna) da quel momento in poi, De André diventerà un
autore (co-autore) assai mimetico (o camaleontico). Se nei lavori con De
Gregori, emerge ancora la sua voce e la sua "poetica", questo si perderà
quasi completamente nei due dischi in collaborazione con Massimo Bubola.
Il problema è che De André era già un grande della musica italiana,
mentre Bubola era poco noto.
Impossibile però non notare come il suono e la scrittura siano
influenzati da autori nord-americani, che De André non amava
particolarmente (a mio avviso, e per sua stessa ammissione). In questo
caso, Bubola prende il sopravvento nella fase di scrittura dei brani, e
intendo sia dei testi che delle musiche. Per me l'esempio più lampante
della loro collaborazione è rappresentato dal brano Se ti tagliassero a
pezzetti. Non solo musicalmente distante dal canone di De André, ma
concettualmente davvero lontano anche rispetto alla sua penna (testo).
In questo caso, come confermato da diverse fonti, De André adattò il
brano, e lo rese suo, è vero, ma ciò avvenne solo in un secondo momento.
Da questo punto in poi, il De André autore scompare quasi totalmente. Un
altro esempio paradossale è dato dall'album "Le nuvole", dove troviamo
addirittura tre co-autori, a cui bisogna aggiungere lo stesso De André.
Niente di sorprendente, siamo d'accordo. Però io ancora oggi non capisco
una cosa, e qui mi fermo per raccogliere meglio le mie idee: come mai il
disco Creuza de ma'
non è firmato da De André e Pagani? In genere un lavoro di questo tipo
reca una doppia firma, o no? La stessa cosa avverrà a distanza di anni
per Anime Salve con Ivano Fossati. La mia considerazione finale è
questa: De André aveva bisogno dei collaboratori per scrivere canzoni,
ma poi nel momento della pubblicazione figurava solo il suo nome.
Capisco per Bubola, che all'epoca di Rimini era giovane e poco
conosciuto. Ma nel caso di Pagani e Fossati, rispettivamente con 15 e 24
anni di attività musicale alle spalle, la cosa non dovrebbe destare
qualche perplessità. Che ne dite?
Dario twist of...
Ciao Dario, apprezzo
molto il fatto che anche tu abbia voluto esprimere un'opinione in quella
che potremmo chiamare scherzosamente "la guerra di gebianchi contro
tutti". Vorrei dire a tutti coloro che si sono sentiti di partecipare a
questa interessantissima ed istruttiva "lezione" che tutto sommato le
divergenze sono piccoli punti di vista soggettivi e che le piccole
divergenze non cambiano assolutamente il valore degli artisti
protagonisti di questo simpatico e sincero scambio di opinioni. Io sono
certo che le opinioni personali, per coloro che le esprimono (o per
coloro che le hanno ma preferiscono tenersele dentro senza manifestarle
o discuterle) siano delle certezze assolute, e in fondo in fondo mi pare
giusto che sia anche così, se uno si sente di parlarne ne parla
liberamente con chiunque, se invece non se la sente le tiene dentro di
se, ma questi due modi di agire non portano male e non vanno a discapito
di nessuno. Anche i grandi artisti citati in questo scambio di idee, e
mi riferisco a Massimo Bubola, Mauro Pagani, Ivano Fossati, Enzo
Jannacci, De Gregori e tutti coloro che hanno lavorato e collaborato con
De Andrè, in fondo sono persone come noi, con i loro pregi e le loro
debolezze, i loro esaltamenti e le loro delusioni, il tipico contrasto
"amore-odio" che è innato in tutti gli esseri umani. Gli artisti stessi
cambiano opinione sul loro lavoro, a volte sono contenti e ne parlano
bene, altre volte, in momenti meno felici dicono "Ahhh, non l'avessi mai
fatto!". Sembra assurdo ma questa è la natura umana, un concentrato di
bene e male, cose logiche e cose assurde, estasi e depressione, verità e
bugie, tutte raccolte dentro una persona sola. Forse noi, nei nostri
piccoli giudizi espressi con tutta la nostra buona volontà, a volte
commettiamo degli errori o ci mettiamo sulla sponda sbagliata solo
perchè non conosciamo tutti i reali particolari che compongono la
vicenda. Le nostre opinioni sono soltanto un modo intelligente e non
banale (tipo Facebook) di passare del tempo parlando di cose reali senza
la necessità di postare sul nostro profilo il solito "selfie" imbecille
con la bocca che sembra il culo di una gallina. Però a volte ci sono
momenti nei quali dobbiamo fermarci perchè la nostra competenza limitata
non ci permette più di continuare perchè per sviscerare le diverse
ragioni sarebbe necessario l'intervento di coloro che hanno vissuto in
prima persona quei periodi e che forse hanno deciso di scrivere la
parola stop su quelle vicende. Voglio dire che tutti i principali attori
della "piccola storia" della quale abbiamo amichevolmente parlato
probabilmente si sono buttati il passato dietro le spalle perchè la vita
impone a tutti di continuare a viverla, e se si ferma la vita di uno di
noi, coloro che rimangono devono invece, per forza di cose, andare
avanti e superare il passato per affrontare il futuro. Poi se De Andrè
sia stato migliore di Dylan o viceversa è soltanto una questione
personale, ognuno la vede a modo suo e, dopo aver espresso la propria
opinione, si rimane amici come prima e l'ideale sarebbe andare tutti in
compagnia in una buona trattoria per terminare la discussione fra
tarallucci e vino. Per chiudere vorrei dire che Dylan, De Andrè, Bubola,
De Gregori, Pagani, Fossati sono tutti grandissimi artisti che hanno
dato tanto a gente come noi che magari non siamo capaci di comporre
musica ma sappiamo apprezzare quello che sentiamo. Ognuno ha il suo
artista preferito ed è giusto che sia così. Io personalmete sono ormai
dieci anni che mi occupo di redigere giorno per giorno questo
"giornalino quotidiano" dedicato a Dylan, ma vi assicuro che spesso e
volentieri ascolto e mi sciolgo quando ascolto le canzoni degli altri
miei artisti preferiti, insomma voglio dire, Dylan è Dylan e su questo
non si discute, ma nella mia mente c'è stima ed ammirazione per
tantissimi altri artisti anche se non hanno vinto il premio Nobel per la
letteratura. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, o)
Ciao Tambourine, vedo che la figura
di Fabrizio De Andrè…ha stimolato la tua curiosità. Mi fa molto piacere,
quindi cerco di fornirti alcuni chiarimenti che penso siano necessari.
Intanto una premessa. Poiché….”nessuno nasce imparato”….ritengo sia
abbastanza normale nei grandi autori, il cercare fonti di ispirazione
che, soprattutto ad inizio carriera, oltre ad essere dei riferimenti
basilari rappresentano anche una sorta di modello a cui conformarsi,
imitando, traducendo, riadattando etc. etc. In tal senso Brassens sta al
giovane De Andrè come Woody Guthrie sta a Bob Dylan. Peraltro, Dylan,
non c’è bisogno che te lo rammenti, scrisse molte tra le sue prime e più
note canzoni, sull’aria di motivi della tradizione irlandese, vale per
la Hard rain con Lord Randall, ma vale anche per Masters of war, Times
changin’ etc. Non mi risulta che Mr. Zimmermann, si sia mai premurato di
ricordare sulle copertine dei suoi album questi….apparentamenti. In De
Andrè peraltro, la traduzione o l’ispirazione brassensiana è palese e
sempre riconosciuta in ogni intervista od ogni qualvolta se ne
presentasse l’occasione, al punto di dichiarare esplicitamente che il
cantautore francese era certamente stato per lui un vero e proprio
“maitre a panser”. Peraltro nelle ultime tournè, De Andrè presentava il
pezzo forse più noto, tra quelli tradotti, Il Gorilla, con una
inequivocabile premessa: ”ed ora un pezzo del mio grande maestro Georges
Brassens”. E’ vero che spesso i crediti non sono riportati sulle
copertine degli LP, ma come ben sai, questo valeva negli anni sessanta
per qualsiasi cover che i vari artisti reinterpretavano e la scelta
della casa discografica era indipendente dalle decisioni dei cantanti.
Da Pietre di Antoine a sognando California dei Dik Dik, da Datemi un
martello all’Immensità…..nessuno in realtà stampava sulle copertine il
nome ed il titolo originale dei pezzi, ed all’epoca i dischi di Fabrizio
(che sulle prime copertine appare solo col proprio nome per la netta
ostilità del padre, vice sindaco di Genova e notabile della città,
all’attività cantautorale del figlio) seguivano la stessa sorte. Per
quanto concerne Centenaro, il buon Vittorio in realtà non scrisse nulla,
solo da ottimo chitarrista classico qual era (ricordo un piacevolissimo
pomeriggio passato a casa sua ad ascoltarlo mentre suonava madrigali
rinascimentali e canzoni medievali) lo aiutò a musicare in forma più
accademica molti pezzi della prima produzione deandreiana, da Via del
Campo alla Guerra di Piero, suonando nelle varie registrazioni, la linea
melodica di chitarra a cui De Andrè faceva poi da contrappunto.
Centenaro ebbe poi una discreta carriera assieme a Luciano Winderling,
altro chitarrista dell’area genovese col quale si divertì a mettere in
musica o a riscoprire antiche ballate medievali (su youtube trovi
qualcosa, pezzi tipo Viva la rosa). A proposito di Via del campo,
oltretutto, la questione è più complessa. A parte il fatto che il pezzo
di Jannacci non c’entra nulla con quello di De Andrè, visto che si
tratta di due testi assolutamente slegati tra loro, a parte questo
dicevo, la musica del brano è vero che ha una discreta assonanza con La
mia morosa…. ma in realtà si tratta di una canzone in minore abbastanza
classica e con una linea melodica convenzionale il cui motivo, a dire di
Centenaro che me lo rivelò direttamente, derivava da una ballata
medievale il cui titolo era “In morte di madonna Lucrezia” o qualcosa
del genere, (non ricordava esattamente), a cui Fabrizio sovrappose la
melodia di Jannacci senza neppure rendersene conto, ma avendone solo
vagamente in testa il motivetto. Dunque direi che la splendida Via del
campo di De Andrè ha ben poco a che spartire con un pezzo che anche il
grandissimo Enzo Jannacci non ha mai certamente annoverato tra le
proprie migliori composizioni. Reverberi è un grande arrangiatore: ha
lavorato con tutti i cantautori genovesi e non solo, collaborando con
Paoli, Lauzi, De Andrè, Tenco etc etc, ma senza mai un ruolo autoriale
vero e proprio. Potremmo paragonarlo al Daniel Lanois di Dylan, per
intenderci. Discorso a parte merita il disco Canzoni che è volutamente
un disco d’appoggio (scadenze contrattuali lo esigevano) nel quale De
Andrè riarrangia alcuni suoi pezzi e dichiaratamente rilegge alcuni
classici d’autore. Del resto anche Dylan come sappiamo non ha saputo
resistere alla tentazione della rielaborazione dei classici, come
dimostra la monumentale trilogia sinatriana. Peraltro la Desolation Row
di Dylan presente come Via della Povertà nel disco di De Andrè, nelle
esibizioni dal vivo veniva completamente stravolta e attualzizzata,
riadattandola alla situazione italiana dell’epoca. Alla fine del mio
intervento ti posto una delle molte versioni . Circa gli interventi di
Danè e Bentivoglio, in Buona novella e Storia di un impiegato, parliamo
di collaborazioni minori, Faber amava circondarsi di amici intellettuali
coi quali discutere e ragionare, ma il loro apporto autoriale è
realmente pari a zero; semmai più significativo fu l’apporto del poeta
cieco genovese Mannerini, suo grande amico di gioventù e collaboratore
in Tutti morimmo a stento, il primo album concept del 1969 o dell’amico
Paolo Villaggio coautore di Carlo Martello ritorna dalla battaglia di
Poitiers e de Il Fannullone. Discorso a parte vale per Bubola; De Andrè
avrà forse omesso di riconoscergli apertamente la paternità di alcune
sue canzoni, ma direi che è stato sufficientemente ricompensato da una
notorietà esclusivamente derivante dalla sua collaborazione con De
Andrè, peraltro mai negata da quest’ultimo e senza il cui apporto di
notorietà, non credo proprio avrebbe che il buon Bubola potuto emergere.
E’ un peccato, perché non posso non riconoscere il grande spessore
artistico e la cifra culturale di Massimo Bubola, ma il piatto mercato
della canzone italiana, regala molto più spazio a Fedez e Jovanotti che
non a degli autentici poeti della canzone. Ancora diverso è il discorso
relativo alla collaborazione con Mauro Pagani il quale pur avendo sempre
riconosciuto la statura artistica di Faber, ha insinuato spesso il suo
ruolo preponderante nella stesura di Creuza de ma, capolavoro nato
durante un viaggio comune nelle isole greche alla ricerca di fonti
ispirative. Ora, vista la esigua carriera solista di Pagani, le
evidentissime tematiche deandreiane, l’uso di una lingua, il genovese,
che per Pagani è incomprensibile, stanti le sue origini bresciane,
lascio a te valutare se e quanto questo disco che all’epoca della sua
pubblicazione, David Byrne definì uno dei migliori dischi degli ultimi
vent’anni a livello mondiale, avrebbe mai potuto vedere la luce se nella
sua stesura, Faber, avesse avuto un ruolo marginale!!! Anime Salve
infine, nacque da una collaborazione con Ivano Fossati, terminata prima
del tempo a causa di diversità di vedute soprattutto nel modo di
intendere la scrittura musicale e comunque oltre ai crediti di copertina
Fabrizio ha sempre presentato il disco, oggetto della sua ultima
tourneè, come un lavoro scritto assieme al suo “concittadino Ivano
Fossati” (citazione diretta). Credo fosse necessario sottoporti queste
riflessioni, in quanto De Andrè, in maniera molto onesta e genuina non
ha mai fatto mistero delle sue influenze, delle sue letture, dei suoi
riferimenti culturali, dichiarando in ogni occasione quanto importante
fosse stato l’apporto di quei collaboratori diretti o indiretti (mi
viene in mente l’omaggio ad Alvaro Mutis in Smisurata Preghiera) che per
tutta la vita hanno influenzato il suo modo di intendere e rileggere la
realtà. Contrariamente a Dylan a alle sue citazioni e i suoi riferimenti
spesso indecifrabili e avvolti nel mistero, De Andrè ha sempre preferito
la chiarezza e l’intellegibilità, conscio del ruolo spesso illuminante
che un intellettuale e perché no, un cantautore, può assumere nella
società moderna. Un caro saluto, Giuseppe Enrico Bianchi
Il salone di bellezza in fondo al vicolo è
affollatissimo di marinai prova a chiedere a uno che ore sono e ti
risponderà "non l'ho saputo mai". Le cartoline dell'impiccagione sono in
vendita a cento lire l'una il commissario cieco dietro la stazione per
un indizio ti legge la sfortuna e le forze dell'ordine irrequiete
cercano qualcosa che non va mentre io e la mia signora ci affacciamo
stasera su via della Povertà. Almirante sembra così facile ogni
volta che sorride ti cattura ricorda proprio Bette Davis con le mani
appoggiate alla cintura. Arriva Braggion trafelato e gli grida "il mio
amore sei tu" ma qualcuno gli dice di andar via e di non riprovarci più
e l'unico suono che rimane quando l'ambulanza se ne va e' Almirante che
spazza via il sangue in Via della Povertà. Mentre l'alba sta uccidendo
la luna e le stelle si son quasi nascoste la signora che legge la
fortuna se n'è andata in compagnia dell'oste. Ad eccezione di Abele e di
Caino tutti quanti sono andati a far l'amore aspettando che venga la
pioggia ad annacquare la gioia ed il dolore e il Buon Samaritano sta
affilando la sua pietà se ne andrà al Carnevale stasera in via della
Povertà. I tre Re Magi sono disperati Gesù Bambino è diventato vecchio e
Mister Hyde piange sconcertato vedendo Jeckyll che ride nello specchio.
Ofelia è dietro la finestra mai nessuno le ha detto che è bella a soli
ventidue anni è già una vecchia zitella la sua morte sarà molto
romantica trasformandosi in oro se ne andrà per adesso cammina avanti e
indietro in via della Povertà. Covelli travestito da ubriacone ha
nascosto i suoi appunti in un baule è passato di qui un'ora fa diretto
verso l'ultima Thule, sembrava così timido e impaurito quando ha chiesto
di fermarsi un po' qui ma poi ha cominciato a fumare e a recitare l'A B
C. Ed a vederlo tu non lo diresti mai ma era famoso qualche tempo fa per
suonare il violino elettronico alla corte di Sua Maestà. Ci si prepara
per il 15 di giugno, c'e' qualcuno che continua ad aver sete Paolo
VI ha gettato via la tiara si è camuffato in abiti da prete, sta
ingozzando a viva forza Berlinguer per punirlo della sua frugalità
lo ucciderà parlandogli d'amore dopo averlo avvelenato di pietà e mentre
Paolo grida quattro suore si son spogliate già Berlinguer sta per essere
violentato in Via della Povertà. E bravo Leone mattacchione, il
paese sta affondando nella merda nelle scialuppe i posti letto sono
tutti occupati e gli anarchici tutti annegati, e Agnelli e Indro
Montanelli fanno a pugni nella torre di comando i suonatori di
calipso ridono di loro mentre il cielo si sta allontanando e affacciati
alle loro finestre nel mare tutti han pescato voti qua e là e nessuno
deve più preoccuparsi di Via della Povertà. A mezzanotte in punto i
poliziotti fanno il loro solito lavoro metton le manette intorno ai
polsi a quelli che ne sanno più di loro, i prigionieri vengon trascinati
su un calvario improvvisato li vicino e il caporale Adolfo li ha
avvisati che passeranno dal solito camino e il vento da solo ride e
nessuno riuscirà a ingannare il suo fottuto destino in Via della
Poverta'. La tua lettera l'ho avuta proprio ieri mi racconti tutto quel
che fai ma non essere ridicola non chiedermi "come stai", questa gente
di cui mi vai parlando è gente come tutti noi non mi sembra che siano
mostri non mi sembra che siano eroi e non mandarmi ancora tue notizie
nessuno ti risponderà se insisti a spedirmi le tue lettere da via della
Povertà.
Certamente questa piccola discussione
basata principalmente sulla figura di De Andrè è stata moilto utile
perchè ha dato a me, e credo anche a tanti altri amici frequentatori del
sito, modo di sapere cose sul lavoro di De Andrè che prima non
conoscevo. Anche se probabilmente io continuerò a mantenere al primo
posto Dylan sulla mia scale dei valori e naturalmente tu continuerai a
tenerci De Andrè, questo non ci impedirà di stimarci ed essere
soddisfatti di questo positivo scambio di opinioni. Le traduzioni in
italiano delle canzoni di Dylan, a mio personale parere, perdono molto
del fascino originale, e la cosa vale per Desolation Row e Romance in
Durango. Anche le traduzioni della altre canzoni di Bob fatte da
Francesco De Gregori non mi hanno mai entusiasmato, non saprei spiegarti
esattamente il perchè, ma io, nelle canzoni originali di Bob respiro
un'altra aria. Anche De Gregori ha fatto le sue belle plagiate, ascolta
questi due pezzi e dimmi se Francesco non si è sovrapposto ad una
canzone di Van Morrison:
Comunque questo non
toglie e non aggiunge niente al valore di De Gregori anche se la
scopiazzatura in questo caso è più che evidente, d'altronde le note sono
sette e, girale e rigirale come vuoi, è più che naturale che alla fine
si trovino assonanze fra canzoni diverse. E' capitato a Michael Jackson
con Al Bano e mi riesce difficile pensare che Jackson abbia passato del
tempo per imparare e copiare una canzone di Carrisi. «Un buon
compositore non imita: ruba». Queste parole del grande Igor Stravinskij
devono essere state prese alla lettera da molti dei più celebri cantanti
e musicisti degli ultimi decenni. Con un attimo di pazienza, si riescono
a trovare in moltissime e note canzoni quelli che per i più buoni
possono sembrare incredibili somiglianze, per i più smaliziati invece
trattasi di veri e propri plagi. Qualche esempio? Presto fatto: Surfing
U.S.A. (Beach Boys) / Sweet little sixteen (Chuck Berry), Stairway to
heaven (Led Zeppelin) / Taurus (Spirit) - Celeberrimo, anzi molto di
più: è difficile dare una definizione appropriata all’arpeggio che apre
Stairway to heaven, canzone senza tempo dei Led Zeppelin. Sono note che
rimarranno per sempre con gran piacere nella testa di ognuno e di chissà
quante generazioni. Meno gradite furono forse alle orecchie dei
componenti del gruppo Spirit, che senz’altro non godettero della stessa
fama dei Led Zeppelin ma che possono fregiarsi, forse più con rancore
che con orgoglio, di essere stati i veri ideatori di quell’assolo così
leggendario, per tutti gli scettici, basta ascoltare alcuni secondi del
brano Taurus per convincersene-. Hotel California (Eagles) / We used to
know (Jethro Tull), Sweet home Alabama (Lynyrd Skynyrd) / Take the money
and run (Steve Miller Band), Hitchcock Railway (Joe Cocker) / Per colpa
di chi (Zucchero), I Feel Fine (Beatles) / Watch Your Step (Bobby
Parker), e potremmo continuare per un bel pezzo. A volte sono
coincidenze, a volte meno (qualche volta i plagiatori hanno confessato)
e ricamarci sopra interminabili storie non serve a tanto. Queste cose
succedono nel mondo della musica ed anche nei rami più disparati, casi
esempio, Bell / Meucci per il telefono, Nikola Tesla / Guglielmo Marconi
per la paternità di alcuno brevetti compresa la radio, Galileo Galilei /
Santa Inquisizione Vaticana per l'appoggio alla teoria eliocentrica di
Copernico in opposizione alla geocentrica sostenuta dalla Chiesa
cattolica. Scherzi a parte, c'è sempre qualcosa da imparare da tutti,
basta saperlo ammettere e tutto si appiana. Finora, come direbbero Vento
nei capelli e Balla coi lupi, "Buono scambio", che signififcava che la
cosa stava bene a tutti e due. Se hai altre puntualizzazioni da fare
falle pure senza problemi. in questi tempi di ferma dell'attività
dylaniana sono come il cacio sui maccheroni! Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Mercoledì
24
Gennaio 2018
Talkin'
10355 - danieleardemagni77
Caro Mr.Tambourine, fra una cosa e
l'altra ho ritardato a scriverti ma oggi mi sono deciso per diversi
motivi. Trouble No More. Insieme a Tell Tale Signs il mio Bootleg Series
preferito; di aver considerato quel periodo splendido e non aver
ascoltato all'inizio del mio percorso a ritroso certi dylaniani che mi
dicevano di lasciar stare quel periodo (mentre l'ho sempre considerato
uno dei miei preferiti) è stata davvero una bella sensazione. Era ora
che la Sony mettesse a disposizione gran parte di quel materiale e dei
live dove Bob era ispirato più che mai e la band suonava come un treno
in corsa. A volte valutare e pensare con la propria testa è meglio che
affidarsi a chi...pensa di saperne sempre una pagina in più del libro.
Altro argomento è il ritorno di Bob in Italia (io andrò a Mantova e se
riuscirò anche a Verona) il quale mancava da un pezzo. Sei concerti sold
out in poco tempo e l'aggiunta di altre tre date non è poco (ricordate
nel 2011? per fare sold out in una location come l'Alcatraz ci si
impiegò un po'); vuol dire che l'interesse nel nostro Paese del più
grande autore e poeta della musica e non, non si è spenta come sembrava
stesse succedendo anni fa. Naturalmente vedremo che novità porterà
questo tour; al di là di tutto sarà sempre una grande emozione.
Arriviamo ora ad un autore che ho messo
in cantina da tempo ma di cui, volente o no so parecchio avendo
ascoltato la sua tristezza cronica nella mia adolescenza (per fortuna
arrivò Bob in quel '97 con Time Out Of Mind). Tu sai di chi parlo, De
Andrè. Non ne parlo più da tempo ma visto che indirettamente sono stato
coinvolto in una mail di non so chi per via della mia stretta parentela
con Bubola faccio eccezione. Tengo a precisare che misi in cantina Faber
almeno 7/8 anni prima di conoscere Massimo di persona e presentarlo a
mia sorella. Va bé...parliamone. Non è mai successo in Italia che
un'artista sia stato beatificato, santificato e sopravvalutato come lui
dopo la sua dipartita. Partiamo dai primi lavori dove imitava Brassens,
dove il giro armonico era sempre quello (la-, re-. sol7, do. mi7) e dove
molti co-autori per una questione SIAE o per...furbizia per anni furono
omessi: G.P. Reverberi, Elvio Monti, Vittorio Centenaro. Poi arrivò La
Buona Novella dove ci pensarono Castellari e Reverberi a mettere a posto
diverse cose (Il testamento di Tito ad esempio fu scritta sulla musica
di Blowin' in the Wind...provate a cantarla con la musica della canzone
di Bob, calza perfettamente). Ma prima ancora Tutti Morimmo A Stento
dove furono prese le poesie di Mannerini e furono modificate leggermente
per renderle cantabili. Ma da "Non al Denaro, non all'amore né al cielo"
in poi De Andrè non ha più scritto una mazza da solo (e qui il paragone
con Dylan me le fa girare parecchio). Si è circondato di bravi e grandi
autori per sfornare dischi dopo di che prendeva solo lui i meriti. Poi
passiamo a De Gregori con Vol.8, i molto buboliani "Rimini", Fabrizio De
Andrè (Indiano), "Una storia sbagliata/Titti" e "Don Raffaé" anni dopo,
Pagani e Fossati. Noterete come in ogni disco De Andrè non canta più
come nei primi dischi ma come i co-autori (o autori..?) coi quali
collaborava. Come disse De Gregori "Fabrizio è molto bravo a lavorare
sulle idee altrui". Le traduzioni di Cohen e Desolation Row furono
curate da De Gregori e quella di Romance in Durango da Bubola. Le
musiche di Creuza e Nuvole sono interamente di Pagani eccezion fatta
forse per La domenica delle Salme. Quanto ad Anime Salve, come successe
per vol.8 con De Gregori e con Rimini e Indiano con Bubola, sembra un
disco quasi tutto di Fossati dove canta De Andrè. Insomma..la figura di
poeta e genio come l'hanno sempre definito sono un po' troppo esagerate,
e qualcuno poco a poco si sta accorgendo. Semmai era un buon interprete
di canzoni dove metteva mano anche lui. Oltre ai co-autori di cui ho
appena parlato, in ogni suo disco c'era sempre chi alla fine lo
arrangiava; dai fratelli Reverberi a Nicola Piovani, da Tony Mimms a
Mark Harris, da Pagani fino a Piero Milesi (che compose la parte finale
di Smisurata Preghiera. Naturalmente non citato). Ma lui aveva il vizio
di prendersi sempre i meriti come "mente" di tutto il lavoro come faceva
spesso nelle interviste o nei concerti (ne ho visti 5) dove non citava
mai con chi aveva scritto i brani e parlava sempre in prima persona. Gli
arrangiamenti live poi, dopo la PFM, se non in due o tre casi come
Marinella, Volta la Carta e Il Pescatore sono sempre stati invariati o
restavano uguali come nei dischi da studio. Ok, ora credo di aver dato
un mio punto di vista piuttosto completo da ex, fortunatamente,
deandreano, che da vent'anni mi porto appresso ma di cui parlo molto
raramente, anche perché l'integralismo dei deandreani è tanto e a volte
sembra ci sia quasi dell'odio e dell'invidia nei confronti di artisti
che ci sono ancora. Mi spiace avervi tediato un po' ma mi sembrava
giusto dire come la penso dopo aver ascoltato per anni i suoi e aver
conosciuto e parlato spesso con parte di persone che ci hanno lavorato
insieme. E conobbi anche lui. Quanto a ciò che disse la
Pivano..stendiamo un velo pietoso. Anzi, due. Nel frattempo, sperando di
non sollevare polveroni, saluto tutti e spero di conoscere qualcuno di
voi a Mantova.
Daniele Ardemagni "Ardez"
Ciao Ardez, per prima
cosa grazie per averci fatto sapere il tuo parere di uno che sicuramente
è meglio al corrente di molti altri su alcuni fatti riguardanti De
Andrè.
Ma andiamo per ordine. Trouble No More è senz’altro un capitolo
interessantissimo della storia dylaniana, così come lo è stato Tell Tale
Sign che contiene dei veri capolavori come Mississippi, Most of the
Time, Red River Shore, Born in Time e High Water (For Charley Patton)
che adoro anch’io. Trouble No More, essendo una valanga di canzoni,
oltre 100, va preso a piccole dosi e per gustarlo tutto ci vuole molto
più tempo che non quello necessario per ascoltare un semplice album.
Certamente il conferimento del Nobel per la letteratura ha riacceso
l’interesse del pubblico (ne hanno parlato a lungo ed in qualche
occasione anche a sproposito) verso il vecchio Bob anche da parte di
coloro che non lo conoscevano o lo conoscevano poco. Dobbiamo dire che
anche il Nostro ha messo un certo ordine nelle sue esibizioni live che
sono oggi regolate da regole quasi ferree, lo spettacolo è sempre
quello, ripetuto sera dopo sera, con un pubblico che al 99% è a
conoscenza della scaletta che Bob eseguirà. Questo ha spazzato via dal
palco il caos e l’improvvisazione, sul palco c’è più ordine e lo show
sembra molto più professionale e queste differenze pare abbiano dato
frutti positivi. Lo dimostrano anche queste nove date che per un paese
come il nostro sono veramente tante, segno che la richiesta ha
sorpassato l’offerta, e questo è solo un bene perchè sicuramente farà
sentire Bob meno vecchio perchè quando un artista vede entusiasmo nel
pubblico suona e canta meglio e si diverte di più che non con la solita
routine.
Passando all’altro argomento della tua mail non mi stupisce che anche tu
apprezzi e abbia apprezzato De Andrè, anche se con tutte le piccole
differenze nel giudizio artistico dovute ad una perfetta conoscenza
della materia in oggetto.
E’ vero che De Andrè, nella sua carriera, ha scritto da solo, intendo
musica e parole, otto canzoni, e qui riprendo ciò che è riportato da
wikipedia con tutte le giuste distanze perchè wikipedia non è certo la
bibbia, però bisogna riconoscere che a parte alcune diverse
interpretazioni, nella maggior parte dei casi è affidabile, quindi ecco
cosa scrive a proposito della paternità delle canzoni: Durante la
propria carriera De André ha collaborato, sia per la parte musicale, sia
per la parte testuale, con numerosi altri artisti. Prediligendo la
composizione dei testi a quello delle musiche, le canzoni di cui De
André è autore unico sia del testo sia della musica sono otto (più
precisamente La ballata dell'eroe, Il testamento, La città vecchia, La
canzone di Marinella, Amore che vieni, amore che vai, La ballata
dell'amore cieco, Giugno '73 e Amico fragile), i brani in cui è autore
(o co-autore) sia del testo sia della musica sono 87, mentre quelli in
assoluto in cui figura (come autore o co-autore della musica o del
testo) sono 216.
In casi come quello de La canzone dell'amore perduto, accreditata a De
André, la musica è quella di un brano nel pubblico dominio del XVIII
secolo di Georg Philipp Telemann. Per La guerra di Piero e Si chiamava
Gesù, accreditate a De André, secondo le affermazioni di Vittorio
Centanaro, collaboratore di De André non iscritto alla SIAE, avrebbe
egli stesso collaborato. In Il fannullone e Carlo Martello ritorna dalla
battaglia di Poitiers (1962) ha collaborato ai testi Paolo Villaggio,
affermando - per il secondo brano - d'essere unico autore del testo, ma
smentito da De André stesso. Geordie è un adattamento con traduzione di
un brano tradizionale inglese, reso popolare negli stessi anni anche
dall'interpretazione di Joan Baez. La canzone del maggio (la cui musica
ritorna parzialmente anche nel brano Nella mia ora di libertà dello
stesso album Storia di un impiegato), accreditata come "canto del maggio
francese", è una lontana rielaborazione di un pezzo della cantante
Dominique Grange (Chacun de vous est concerné) che la donò a De André
rinunciando ai diritti d'autore. Il re fa rullare i tamburi è
accreditata a De André ma indicata in nota come rielaborazione di una
canzone popolare francese del XIV secolo. Hotel Supramonte riprende per
la parte musicale Hotel Miramonti del collaboratore Massimo Bubola. Fila
la lana, indicata come «canzone popolare francese del quindicesimo
secolo» che De André aveva conosciuto tramite Vittorio Centanaro, fu
composta per la parte musicale da Robert Marcy nel 1948 e interpretata
da Jacques Douai nel 1955, e tradotta da De André. Via del Campo,
accreditata inizialmente anche per la parte musicale a De André, che la
riteneva una melodia anonima del XV secolo (da cui effettivamente
deriva), prende la musica dal brano di Enzo Jannacci La mia morosa la va
alla fonte (scritto con Dario Fo): Jannacci riconobbe la buona fede di
De André, raccontando d'avergli teso uno scherzo presentandogli una
musica medievale riarrangiata da lui, e nel 1990 concordò il doppio
accredito Jannacci-De André. Andrea, accreditata a De André e Bubola,
nel bridge fra una strofa e la successiva, cita col violino il refrain
del brano O' comme Histoire d'O composto da Pierre Bachelet, colonna
sonora del film Histoire d'O. Fiume Sand Creek, accreditata a De André e
Bubola, per metà della linea melodica della strofa è forse ispirata a
Summer '68 dei Pink Floyd.
Oltre agli adattamenti, ufficialmente riconosciuti, di noti brani di
cantautori stranieri (come Brassens, Dylan e Cohen) e alle riprese di
temi musicali e letterari esplicitamenti dichiarati (come il testo di
Smisurata preghiera, tratto da Imprese e tribolazioni di Maqroll il
Gabbiere di Álvaro Mutis o i brani ispirati all'Antologia di Spoon River
di Edgar Lee Masters), De André si ispirava anche alla tradizione della
canzone popolare anarchica, che spesso riprendeva melodie adattandole al
nuovo contesto (l'esempio più celebre sono i canti scritti da Pietro
Gori, su musiche tratte dalla tradizione popolare o scritte da Rossini e
Verdi).
Bisogna anche precisare che De André non ha mai ricevuto contenziosi per
questioni inerenti al diritto d'autore.
In ogni caso, De André è accreditato come autore o coautore di tutti i
brani originali da lui registrati nel corso della sua intera carriera,
con due sole eccezioni: Le storie di ieri, scritta da Francesco De
Gregori (che incise anche lui, quasi contemporaneamente a De André, con
piccole variazioni di testo); E fu la notte con testo di Franco Franchi
e musica di Carlo Cesare Stanisci e Arrigo Amadesi.
Qui, al di là di come la si pensi su De Andrè, il paragone con Bob Dylan
diventa improponibile perchè Bob ha anche lui alcune canzoni co-firmate
con altri
artisti (Richard Manuel, Rich Danko, Roger McGuinn, George Harrison,
Jacques Levy, Helena Springs, Ken Moore, Carolyn Dennis, Greg Lake, Sam
Shepard, Tom Petty, Kurtis Blow, Gene Simmons, Carole Bayer Sager,
Robert Hunter, Michael Bolton, Tim Drummond, Gerry Goffin, Barry
Goldberg, Danny O'Keefe, Carl Perkins, Bono Vox, Willie Nelson) ma ci
sono centinaia di altre canzoni scritte testo e musica dal solo Dylan.
Purtroppo De Andrè non ha mai scritto canzoni con una forza d’impatto
come Blowin’ in the wind, The times they are a-changin’, Like a rolling
Stone e Mr. Tambourine man. Per questo motivo, giusto o sbagliato che
possa essere, essendo “solamente” un mio personale giudizio, non mi
sento di condividere la frase della Pivano "Non voglio che De André
venga definito il Bob Dylan italiano. Preferirei dire piuttosto che Bob
Dylan è il De André americano", frase che trovo davvero infelice, ma a
volte, il troppo amore per un artista riesce anche a falsare il giudizio
di una grande come la Nanda.
E' morta la presunta "Girl From The
North Country" di Bob Dylan
Gli amici ed i dylanofili hanno
confermato che Echo Star Helstrom, la fidanzatina del liceo di Bob Dylan
e potenzialmente la musa ispiratrice di "Girl From the North Country" è
morta a Minneapolis in Minnesota dove era tornata dopo aver abitato in
Califirnia per moltissimi anni. La notizia è stata riportata anche sulla
sua pagina wikipedia:
https://en.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:WikiProject_Bob_Dylan/Echo_Helstrom
.
Echo Star Casey, nata Helstrom nel 1942, aveva 75 anni ed ha vissuto
California molti anni sebbene sia rimasta in contatto con le sue radici
a Hibbing. Era una adolescente nella città di Iron Range quando Echo
Casey - descritta come la Brigitte Bardot di Hibbing - frequentava
l'eccentrico cantante folk.
Linda Stroback Hocking, ex proprietaria del ristorante Zimmy di Hibbing,
ha detto di aver sentito della morte della sua amica Casey da un parente
stretto. Non aveva dettagli, ma ha detto che forse la musa non era stata
più in grado di recarsi in Minnesota negli ultimi anni. Anche John
Bushey, direttore locale da oltre 20 anni dello show radiofonico
"Highway 61 Revisited", ha confermato la morte. La sua pagina di
Wikipedia è stata aggiornata per indicare che è morta nel 2018.
Helstrom e Dylan erano più che fidanzati secondo la compagna di classe
Susan Beasy Latto. I due erano affini e diversi dagli altri della loro
classe nel 1959. Dylan aveva una moto; Helstrom era la bellezza,
drammatica con caratteristiche scandinave.
Echo Helstrom dichiarò in una intervista: "Lo conobbi allo L&B Cafè di
Hibbing. Fu nel 1957 quando eravamo ancora al liceo. Lui era sempre ben
vestito, molto tranquillo, così lo avevo valutato per un santarellino.
Invece quando gli menzionai la canzone Maybelline, urlò: "Maybelline!
Maybelline di Chuck Berry? Ma certo che l'ho sentita!". Così attaccammo
a parlare di Chuck Berry, Fats Domino, Little Richard, Jimmy Reed. Bob
pensava che Jimmy fosse favoloso, il migliore!"
Qualcuno suppone invece che la "Girl
From The North Country" fosse in realtà Bonnie Becher, diventata in
seguito una famosa attrice interpretando numerosi film e la fortunata
serie televisiva “Star Treck” nel ruolo di Sylvia, guardiamarina sulla
astronave Enterprise della quale era innamorato il navigatore Pavel
Chekov.
Bonnie aveva sposato Wavy Gravy (Huge
Romney) diventato celebre come sveglia e annunciatore sul palco del
festival di Woodstock e più tardi cambiò il suo nome in Jahanara Romney.
Bonnie Beecher, ai tempi una bellissima
brunetta conosciuta al college, è presumibilmente l'ispirazione per la
canzone "The Girl From The North Country", anche se Bob ha anche detto
che l’aveva scritta per Echo Helstromm. A favore dell’opzione Bonnie,
leggendo il testo della canzone, si nota questa strofa:
Please see for me if her hair hangs long,
If it rolls and flows all down her breast.
Please see for me if her hair hangs long,
That's the way I remember her best. Per favore, guarda per me se i suoi capelli sono ancora lunghi
se scendono e scorrono lungo il suo seno
Per favore, guarda per me se i suoi capelli sono ancora lunghi
perchè è così che io la ricordo al meglio
Guardando le foto di Echo
si vede chiaramente che portava i capelli biondi molto corti, quindi
logicamente non potevano scendere “lungo il suo seno”, anche se questa
frase potrebbe essere una “licenza poetica”, per questo motivo si
propende a pensare che l’ispiratrice fosse stata Bonnie.
Martedì 23
Gennaio 2018
Talkin'
10354 - calabriaminimum
Ciao Mr T,
in merito alla Talkin' 10352 -
gebianchi ho una rettifica da fare per quanto riguarda i crediti
dell'album: "Le nuvole"
Don Raffaè – (testo: Fabrizio De André/Massimo Bubola)
Mégu megùn – (testo: Fabrizio De André/Ivano Fossati)
La nova gelosia (Anonimo napoletano, XVIII secolo)
’Â çímma – (testo: Fabrizio De André/Ivano Fossati)
poi mancano anche questi riferimenti:
"Volume 8"
Lato A
La cattiva strada – (Fabrizio De André e Francesco De Gregori)
Oceano – (Fabrizio De André e Francesco De Gregori)
Nancy – (testo: Fabrizio De André – musica: Leonard Cohen)
Le storie di ieri – (Francesco De Gregori)
Lato B
Giugno '73 – (Fabrizio De André)
Dolce Luna – (Fabrizio De André e Francesco De Gregori)
Canzone per l'estate – (testo: Fabrizio De André e Francesco De Gregori
– musica: Francesco De Gregori)
un saluto! Dario twist of...
Ciao Dario, ti
ringrazio per le tue puntualizzazioni che dimostrano che la
chiacchierata fra me e Giuseppe Enrico Bianchi è seguita (perchè non è
ancora finita) con interesse. Credo che anche tu stimerai De Andrè come
autore ed artista, anche se credo, e sottolineo credo, che anche tu come
me sia più spostato verso la linea Dylan. Mi ricordo da giovane nelle
sere d'estate si andava in riva al lago con la chitarra ed "Il
Pescatore" era una di quelle canzoni che "era obbligatorio" suonare, era
la canzone che faceva cantare tutti in coro intorno al fuoco. L'ho
suonata anche negli anni a seguire centinaia di volte. Però io venivo da
un background diverso, amavo ed amo tuttore l'amonia corale, i gruppi
come i Byrds, i Poco, gli Eagles, CSN&Y, i Buffalo Springfield, Nitty
Gritty Dirt Band, Loggins & Messina, Mason Profitt, America,
Souther-Hillman-Furay Band, i Beach Boys, i Kentucky Colonels, i Mamas
and Papas e gente di questo calibro, che privilegiavano soprattutto le
armonie vocali più che la musica ed i testi, però erano meravigliosi da
ascoltare, mi rapivano per il loro insieme e mi sentivo umiliato perchè
sapevo che non sarei mai stato in grado di trovare persone che sapevano
cantare in gruppo, cioè con gli altri e cantare per gli altri. E' una
musica che non fa parte della nostra cultura ma quando ti prende non ti
molla più. Fu per quello che pian piano mollai gli artisti italiani, pur
stimandoli ed amirandoli, ma gli americani erano, per me, su un altro
pianeta. Ammirare un tipo di artista non vuol dire disprezzarne un
altro, vuol dire solo prestare più attenzione a quello che "senti di
più". Dylan lo scoprii con la versione di Mr. Tambourine Man dei Byrds,
ma dovettero passare molti anni prima che cominciassi ad apprezzarlo, a
prenderlo in considerazione, a studiarlo e cercare di capirlo. Non credo
di esserci riuscito ancora oggi, Dylan è impossibile da inquadrare
dentro uno stile musicale, mentre De Andrè mi sembra, e qui potrei anche
dire una stupidata involontaria per una non buona conoscenza profonda
dell'artista, più facilmente inquadrabile in uno stile riconoscibile. E'
pur vero che anche Dylan è uno che ha concesso poco agli altri artisti
che hanno collaborato con lui, ma forse questo è un pregio o un difetto,
non saprei dire quale dei due sostantivi sia il più adatto, tipico dei
grandi artisti come Dylan e De Andrè. Intorno a loro sono passati
artisti che forse al momento sono stati un pò snobbati, ma che
certamente in seguito hanno avuto la loro giusta parte di merito nel
fare grandi le canzoni di Bob e di Faber. Alla prossima, live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Buongiorno Mister,
sono d'accordissimo con te che "i cattivi" restano cattivi; intendevo
dire che, se l'arte li rappresenta efficacemente, può indurre simpatia
anche per i cattivi. Occorre sempre ricordare che l'arte è FINZIONE e,
se non ha scopi educativi dichiarati, non deve essere necessariamente
VERA. Se un poeta racconta eventi o personaggi fantasticando, per me,
non c'è niente di cui stupirsi; se uno storico o uno scienziato
raccontano fatti o enunciano teorie in modo consapevolmente menzognero,
per me, il fatto è grave e pericoloso. Dylan è coerente perchè non ha
mai detto che le canzoni possono o devono cambiare il mondo; ha sempre
parlato dei suoi spettacoli musicali come forma di intrattenimento.
Credo che tocchi ai politici, non agli artisti in senso lato, fare
proposte per cambiare la realtà. Gli artisti, con la loro opera, possono
celebrare la realtà così come è, oppure evidenziarne le criticità,
oppure raccontare la storia dei vinti e non quella dei vincitori. Forse
qualcuno di noi, senza sapere il motivo di ciò, ama i vincitori, qualcun
altro predilige gli sconfitti. Io prediligo gli sconfitti - forse è una
delle ragioni per cui amo Dylan - senza dimenticare che i vinti di oggi
sono stati i vincitori di ieri, e che i vincitori di oggi saranno gli
sconfitti di domani. Un esempio vale per tutti: i poveri nativi
d'America sono stati demograficamente annientati, nel corso di circa
duecento anni, da gente che fuggiva da persecuzioni e miserie generatesi
lontano dall'America, terribili e feroci. La storia umana ci rende tutti
simili e tutti discendenti, ahimè, da Caino e non da Abele. Alla
prossima e lunga vita! Carla.
Come diceva sempre
John, il barista del film "il Cacciatore", sono "D'ACCORDISSIMO"
con le tue parole. La Storia, letta oggi, ci insegna che siamo tutti
discendenti da Caino e che dai millenni passati non abbiamo saputo
imparare niente, ma io spero che un giorno il Padreterno ci rimandi giù
suo figlio che ci chiederà: "Ma perche mai non avete capito niente
quando son venuto l'altra volta?" A questo punto l'umanità dovrebbe
cominciare a farsi un grosso esame di coscienza ed allora la venuta del
figlio di Dio sulla terra comincerebbe ad avere un senso che fino ad
oggi sembra non avere avuto, perchè il paradiso è salito in cielo mentre
l'inferno è rimasto qui in terra. Live long and prosper, Mr:Tambourine,
:o)
Lunedì 22
Gennaio 2018
Tom Petty è morto per una accidentale
overdose di farmaci
Il musicista Tom Petty, deceduto lo scorso 2 ottobre, è morto per una
overdose accidentale. Lo ha riferito la famiglia di Petty, citando le
autorità sanitarie, dopo che queste avevano riferito il risultato
dell’autopsia fatta sul corpo di Tom.
Dana e Adria Petty, moglie e figlia di Tom Petty, attraverso un
comunicato ufficiale, hanno diffuso in questi giorni i risultati
dell’autopsia condotta dal coroner che ha confermato l’uso fin dosi
esagerate di oppiacei antidolorifici.
La moglie e la figlia precisano inoltre che il Tom soffriva di enfisema
polmonare, aveva una frattura all’anca e pesanti problemi alle
ginocchia, ma questo non lo aveva fermato dal concludere il suo ultimo
tour, pochi giorni prima del decesso.
La famiglia di Tom Petty ha comunicato le conclusioni dell’autopsia: Tom
è morto per «un’accidentale overdose di farmaci causata dall’aver preso
diversi medicinali contemporaneamente». Il comunicato, pubblicato anche
sul profilo ufficiale
Facebook di Tom
Petty and the Heartbreakers, dice che Petty aveva vari problemi di
salute, tra cui un’anca fratturata, e che il giorno della sua morte le
sue condizioni si erano particolarmente aggravate: la famiglia ritiene
che «il dolore era semplicemente insopportabile e che l’abbia spinto ad
abusare dei medicinali antidolorifici”. Tra questi farmaci c’era il
famigerato Fentanyl, il più forte farmaco oppioide in commercio,
considerato cento volte più potente della morfina; è lo stesso farmaco
per cui andò in overdose e morì il cantante Prince.
Negli ultimi anni negli Stati Uniti moltissime persone sono morte per
l’abuso dei farmaci oppioidi dopo esserne diventate dipendenti a causa
di prescrizioni sbagliate e insufficiente assistenza medica: è una delle
ragioni per cui l’aspettativa di vita degli americani si è accorciata. I
famigliari di Tom Petty ha detto che spera che le informazioni sulla
morte di Tom Petty hanno detto che sperano che le informazioni sulla
morte di Tom possano essere di aiuto nel dibattito sui farmaci oppioidi
per salvare in futuro altre vite.
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Talkin'
10352 - gebianchi
Ciao Tambourine, hai colto in pieno il
tono e il senso del mio intervento su De Andrè che, ben lungi dallo
scatenare una polemica sulla superiorità dell'uno o dell'altro artista,
voleva solo rappresentare un piccolo contributo alla conoscenza del
lavoro e dell'opera di quello che per me rimane una delle pietre miliari
nella mia formazione musicale (assieme ovviamente a Mr. Zimmermann, ma
anche assieme a John Coltrane, Miles Davis, Charlie Parker.....e tanti
altri..). Questo nel rispetto dei gusti e delle opinioni altrui, spesso
formate, come giustamente sottolineavi, su una sorta di imprinting
giovanile, legato a suoni, esperienze di vita, colori, accadimenti, che
hanno portato ognuno di noi a preferire chi l'uno e chi l'altro modello
di riferimento. Nel mio caso, io ho da poco superato i cinquanta, De
Andrè si identifica con i primi ascolti di qualcuno che finalmente non
rimasse cuore/amore, ma addirittura affrontasse temi impensabili per
l'epoca e per chiunque altro autore (con forse l'esclusione di Guccini);
la prostituzione, la morte, l'anarchia, il tutto accompagnato spesso da
quelle sonorità in minore di derivazione francese che mi hanno sempre
affascinato, forse più delle sonorità americane. Questo probabilmente
anche perché avendo una formazione musicale di carattere prettamente
jazzistico, ho sempre un po' snobbato (ma è un mio limite , me ne rendo
conto), il mondo del rock e delle sue contaminazioni, arrivando a
preferire, laddove non ascoltavo un assolo di Charlie Parker o una
composizione di Keith Jarrett, la scrittura cantautoriale alla De Andrè,
così colta e letteraria, spesso più immediata nella fruizione di quanto
non fosse l'approccio al testo dylaniano che mi obbligava, stante la mia
conoscenza dell'inglese abbastanza scolastico, a rifarmi a traduzioni
che in qualche modo impedivano una fruizione empatica del brano. Non a
caso, come accennavo la volta scorsa, al Dylan post-svolta elettrica,
sono imprescindibilmente legato al Dylan freewheelin', al Dylan di The
times they are a-changin',...insomma, arrivo a malapena al Dylan di
Blonde on blonde. (ahimè, che sciagurato che sono! lo dico senza
ironia). Non che non mi piacciano molte delle canzoni e dei dischi
successivi, sappiamo tutti il valore di Blood on tracks o di un Tempest,
tanto per citare a caso, ma non mi riesce proprio di provare i medesimi
brividi che mi arrivano quando sento la voce stentorea e con quei bassi
inarrivabili con cui De Andrè ci ha raccontato i nostri tempi aiutandoci
a ragionare e prendere coscienza di valori di libertà e attenzione agli
ultimi, ai diseredati e agli oppressi, che oggi...."mala tempora
currunt"...sembrano lontani anni luce dall'essere stati recepiti
universalmente. Un caro saluto, Giuseppe Enrico Bianchi
Caro Giuseppe, vedo che
ci siamo compresi benissimo a vicenda, giustamente, come hai detto tu ed
anch'io, nel rispetto delle idee e delle opiniomi degli altri. Però c'è
un piccolo però che non so se corrisponde a verità......in poche parole
De Andrè avrebbe commesso leggerezza di essersi attribuito meriti che
non erano proprio del tutto suoi, cioè non citando in modo doveroso
tutti coloro che avevano collaborato con lui nella realizzazione del suo
lavoro. E’ noto che diverse canzoni dei primi dischi erano
rielaborazioni di canzoni di altri autori, in "Volume 1" possiamo
trovare "Marcia Nuziale" che è la traduzione di un brano di Brassens,
“Si chiamava Gesù” vede invece come coautore della musica Vittorio
Centanaro, ma nel disco fu accreditata solo a De André in quanto
Centanaro non era iscritto alla Siae. “Via del campo” fece abbastanza
discutere perchè la musica è quella della canzone di Enzo Jannacci “La
mia morosa la va alla fonte”, che faceva parte di uno spettacolo
teatrale del 1965 e che lo stesso Jannacci incluse nel 1968 nell'album
Vengo anch'io. No, tu no, ma che De André riteneva essere una ballata
medievale riscoperta da Dario Fo. Per “Caro Amore” ha utilizzato per la
melodia parte del tema del movimento Adagio del Concierto de Aranjuez
del 1939 di Joaquín Rodrigo e per il testo trasse ispirazione dalla
canzone Aranjuez mon amour di Richard Anthony, a sua volta ispirata da
un poema di Guy Bontempelli, che tratta di una rivolta contro Napoleone.
La canzone, a causa di problemi di copyright, sarà sostituita nelle
successive edizioni da La stagione del tuo amore. "Bocca di Rosa” che è
senz'altro la più conosciuta canzone di De Andre è ispirata per quel che
riguarda il testo al brano "Brave Margot" dello stesso Brassens. Per il
brano “La Morte” la musica è di Georges Brassens dal brano Le verger de
Roi Louis, ma bisogna riconoscere che il testo scritto da De André per
il brano è completamente nuovo ed estraneo all'originale francese.
Per "Volume
1"
LATO A
1. Preghiera in gennaio (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
2. Marcia nuziale (Fabrizio De André/Georges Brassens)
3. Spiritual (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
4. Si chiamava Gesù (Fabrizio De André/Vittorio Centanaro(
5. La canzone di Barbara (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
LATO B
1. Via del Campo (Fabrizio De André/Enzo Jannacci)
2. Caro amore (Fabrizio De André/Joaquín Rodrigo)
3. Bocca di Rosa (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
4. La morte (Fabrizio De André/Georges Brassens)
5. Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (Fabrizio De
André/Paolo Villaggio)
Per "Canzoni"
Lato A
1. Via della Povertà (Testo italiano Fabrizio De André e Francesco De
Gregori - Testo e musica di Bob Dylan)
2. Le passanti (Testo italiano Fabrizio De André - Musica di Georges
Brassens, Testo originale tratto da una poesia di Antoine Pol)
3. Fila la lana
4. La ballata dell'amore cieco (o della vanità)
5. Suzanne (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e musica di Leonard
Cohen)
Lato B
1. Morire per delle idee (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e
musica di Georges Brassens)
2. La canzone dell'amore perduto (Testo italiano Fabrizio De André -
Musica di Georg Philipp Telemann)
3. La città vecchia - 3:23
4. Giovanna d'Arco (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e musica di
Leonard Cohen)
5. Delitto di paese (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e musica
di Georges Brassens)
6. Valzer per un amore (o campestre) (Testo italiano Fabrizio De André -
Musica di Gino Marinuzzi)
Per "La buona
novella"
Testi di Fabrizio De
André, a cura di Roberto Dané, musiche di Fabrizio De André e Gian Piero
Reverberi
Per "Storia di un
impiegato"
Testi di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (ad eccezione di Sogno
numero due), musiche di Fabrizio De André e Nicola Piovani.
Per "Rimini"
Testi e musiche di Fabrizio De André e Massimo Bubola
Per "Fabrizio De
Andre (L’Indiano)"
Testi e musiche di Fabrizio De André e Massimo Bubola
Per "Creuza de ma"
Testi di Fabrizio De André; musiche di Mauro Pagani
Per "Le Nuvole"
Testi di Fabrizio De Andrè, musiche di Mauro Pagani
Per "Anime Salve"
Testi e musiche di Fabrizio De André e Ivano Fossati
Scusami se ho voluto fare questa ricerca perchè avevo bisogno di capire
meglio quanto fosse merito esclusivo di Fabrizio e quanto invece dovesse
essere riconosciuto ai collaboratori. Ho fatto questa ricerca perchè non
conoscevo a fondo il lavoro di Fabrizio, adesso ne so qualcosa di più,
ma devo impegnarmi ad ascoltare tutte le canzoni perchè conosco poco
della sua produzione. Per il momento ti saluto, ma credo che questa
storia vedrà altri partecipanti. Live long and prosper, Mr.Tambourine,
:o)
Sabato 20
Gennaio 2018
Talkin'
10351 - gebianchi
Bene, caro Tamburino, noto con
piacere che possiamo concordare su quanto espresso a proposito della
figura di Papa Bergoglio; magari non sulla santificazione di Alce Nero,
ma comunque vedo che hai recepito il senso del mio intervento. Siamo
invece molto distanti sulla valutazione del giudizio che la Nanda Pivano
espresse consegnando la targa Tenco a De Andrè per quel capolavoro
assoluto che è Anime Salve (e che personalmente ritengo superiore a
molta della recente produzione dylaniana….de gustibus…). Premetto; qui
siamo nel campo della soggettività, delle personali inclinazioni e
preferenze quindi non pretendo di sciorinare verità oggettive, ne’
desidero imporre certezze. All’epoca di Napolepon in rags, il buon
Michele Murino mi aveva soprannominato il deandreiano, per distinguere
la mia voce un po’ fuori dal coro in un sito di dylaniani intransigenti
(o quasi). Sia ben chiaro, io amo Dylan, altrimenti non seguirei il tuo
eccellente lavoro, in particolar modo, e qui verrò tacciato di scarsa
competenza e scarso aggiornamento, amo il Dylan woodyguthriano, quello
dei Minnesota tapes, dei Finjan Club, dei Banjo tapes etc etc., anche se
ovviamente trovo eccellente anche gran parte della successiva produzione
del nostro hibbingiano. Però, io non riesco a trovare fuori luogo quel
giudizio della Nanda. Non voglio ora stare a fare tutto un lungo
pistolotto in cui enuncio perché e per come io preferisca ascoltare La
buona novella di De Andrè o Storia di un impiegato, però l’effetto
empatico, emozionale, nonché lo spessore culturale di quelle canzoni e
in ultimo quella voce dal doppio registro, ben raccontata in un saggio
di qualche anno fa a cura di Umberto Fiori (mi pare) apparso su una
raccolta di saggi eccellenti intitolato Accordi Eretici e con prefazione
di Mario Luzi che elogiava il lavoro di De Andrè, mi fanno pensare che
se Faber anziché in italiano avesse cantato in inglese, oggi sarebbe
considerato un monumento della canzone d’autore mondiale. Sia ben
chiaro, De Andrè, è noto, amava Dylan, lo tradusse anche (De Andrè
tradusse solo Dylan, Cohen e Brassens), e per contro l’aneddotica
racconta di un Dylan che nel backstage del suo celeberrimo primo
concerto di Verona avrebbe chiesto copia delle traduzioni della Buona
Novella, incuriosito e affascinato da quella voce tanto seducente
fattagli ascoltare nel soggiorno italiano da David Zard o da chi per
esso. Non so se questo sia vero o appartenga alla leggenda, vero per
certo è che contrariamente a quanto si scrisse in via ufficiale, ovvero
che De Andrè non aprì il concerto Dylan-Santana perché impaurito e in
soggezione di fronte a quei due mostri sacri di Dylan e Santana, in
realtà , da genovese scontroso rispose che Lui non avrebbe fatto da
apripista di nessuno, in perfetta coerenza col personaggio. Al di là di
questi dettagli di gossip-cronaca, e senza entrare in uno specifico
troppo complesso, io credo che la figura di De Andrè sia quella di un
intellettuale prestato alla musica (poeta o non poeta non saprei dire;
come lui diceva citando Benedetto Croce dopo i venticinque anni
rimangono poeti i pazzi e i cretini e quindi preferisco definirmi
cantautore). Faber è lontano anni luce dal mondo del rock, dello
starsystem, dell’immagine, della produzione un tanto al chilo. Scrive
dopo essersi documentato in maniera maniacale, si esibisce appollaiato
su una sedia con jeans e camicia blu, e pensa che ogni disco non sia una
semplice successione di canzoni accomunate dal titolo dell’LP, bensì un
lavoro organico (volgarmente album concept) col quale sviluppare una
serie di tematiche specifiche. Dalla traduzione di Spoon River a Rimini,
dall’Indiano a Nuvole, da Tutti morimmo a stento ad Anime Salve etc.
etc., questo è il modo per De Andrè di concepire la canzone, un modo
sideralmente distante da quello compulsivo ed iperattivo di Dylan,
spesso, in questa superattività, autore di canzoni non proprio
indimenticabili. Così come non proprio indimenticabile, lo sappiamo
tutti, è inutile girarci intorno, è la cifra stilistica della produzione
concertistica di Dylan negli ultimi vent’anni. Guarda che io amo
moltissimo questo vecchio rocker agghindato da gentiluomo del sud, amo i
suoi silenzi e la sua ruvida scontrosità, ma non riesco a provare lo
stesso trasporto che provo quando riascolto un disco di De Andrè, o lo
rivedo, sguardo in tralice, che fissa sornione il pubblico attento e
pronto a recepire ogni singola sillaba di una scansione del verso,
volutamente chiara e netta (contrariamente a quella dylaniana,
notoriamente biascicata e volutamente artefatta). E’ una questione
personale, privata direi, al rock martellante dei turnisti dylaniani
continuo a preferire le tonalità in minore delle ballate faberiane e la
sua coerenza politica anarcoide, mai venuta meno e sempre accompagnata
dalla sua attenzione per le cause degli ultimi, che fossero ladri
puttane o semplici poveracci. Un aspetto però vorrei sottolineare; a mio
modesto avviso (ripeto siamo ai giudizi personali, non ho verità da
imporre a nessuno), mentre Dylan col passare degli anni è andato
incontro ad una sorta di isterilimento creativo (forse complice anche
questa sua iper-attività), la qualità e la cifra artistica di De Andrè
sono andate costantemente crescendo, prova ne sia, oltra alla sostanza
tecnico-stilistica di Nuvole prima e Anime Salve poi, le testimonianze
di Oliviero Malaspina, cantautore pavese col quale De Andrè, prima di
andarsene si accingeva a realizzare un disco, titolo provvisorio,
Notturni, ispirato appunto alla notte; per chi fosse interessato,
riporto qui sotto il racconto che fa lo stesso Malaspina per spiegare
come sarebbe stato strutturato quel lavoro; come noterai,…..non si
sarebbe trattato semplicemente di ….un po’ di canzoni, ma di un opera
letteraria di ampio respiro, molto superiore a mio avviso rispetto a
gran parte della produzione musicale della canzone d’autore
contemporanea, persino, consentimi il giudizio assolutamente personale,
…superiore a quella dell’attuale Bob Dylan. Eccoti l’estratto: “ la
prima suite era incentrata sulla notte intesa come paura del giorno. Il
punto di partenza è stato la passione per la notte per ricordare un
amico di Fabrizio che aveva la fobia per il giorno. Il secondo notturno
era dedicato alla notte intesa come cecità del potere, vista come una
malattia contagiosa. La terza come momento per la morte e per l’uomo
votato alle estreme conseguenze del male. La più incredibile era
l’ultima, la notte vista come fenomeno fisico e atmosferico. Ci eravamo
ispirati al de rerum Natura di Lucrezio. De Andrè era affascinato dalla
simmetria che si creava con “Nuvole”, che era stata tratta dall’omonima
opera di Aristofane. Sul piano generale l’idea era quella di spaziare in
lungo e in largo sul concetto di notte intesa come momento di ritrovo di
se stessi, momento d’amore, di perdizione e riscatto. Per Fabrizio, la
prostituta che lavora di notte, ma si riscatta sempre, era uno dei
simboli possibili. Nella notte nasce il male che riesce anche a
trasformarsi in bene.”. Mi pare che ci sia sostanza per rimpiangere la
perdita di un genio assoluto della canzone d’autore e di accettare pure
il giudizio della Pivano; ma del resto, il sito si chiama Maggies’ Farm,
ognuno di noi ha le proprie passioni, gusti e sensibilità ed io non
intendo proporre altro se non quella che ritengo sia la mia e sottolineo
soltanto la mia, verità. Saluti Giuseppe Enrico Bianchi.
Caro Giuseppe Enrico,
non è difficile trovarsi d’accordo quando si è animati da buone
intenzioni. Bergoglio è un uomo forte, e nonostante la sua forza troverà
sempre grandi ostacoli davanti al suo avanzare perchè critica e smuove
le millenarie abitudini della chiesa. Se non ci fossero stati i già
citati la volta scorsa Leone IX, Gregorio VII ed Innocenzo III, papi
grandi riformatori, forse la chiesa sarebbe ancora impantanata nella
simonia, nella lussuria, nel concubinaggio (quello che tu hai chiamato
nicolaismo riferendoti a quello medioevale che diede poi origine allo
scontro tra Patarini e Nicolaiti nella chiesa Ambrosiana e non a quello
dell’età antica). La Chiesa Cattolica cristiana è passata attraverso
fasi terrificanti, inenarrabili, dispensatrice di violenze che con la
morale cristiana e cattolica avevano poco a vedere. Ma questa è storia,
purchè brutta, e noi non vogliamo fare la storia della chiesa e nemmeno
giudicarla, la chiesa, come tutte le altre cose gestite dagli umani è
passata attraverso diverse fasi con diversi adeguamenti. Oggi
l’atteggiamento di Bergoglio sembra quello di voler riportare vicino
alla religione cattolica ed alla Chiesa Romana quei milioni di persone
che per diversissimi motivi si sono allontanati. Io spero che la sua
opera dia dei risultati utili e positivi a tutta l’umanità, e con questo
chiudo l’argomento clericale.
Passabdo alla tua bellissima descrizione di Faber, sono andato a
rileggere tutta la storia di Fabrizio De Andrè perchè la conoscevo molto
superficialmente e così ora ho le idee un pò più chiare, anche se per
raggiungere la tua conoscenza faberiana (sono stato sorpreso che il
soprannome Faber sia stato dato a De Andrè da Paolo Villaggio per la
mania che aveva Fabrizio per le matire ed i pastelli della Faber-Castel)
devo ancora mangiare almeno una cinquantina di camion a rimorchio di
patate.
Detto questo ho rivalutato e modificato di molto l’impressione che avevo
di Fabrizio che musicalmente non mi ha mai entusiasmato per l’uso di
quelle tonalità minori di una musica che venira da molto lontano, forse
prima che molti di noi nascessimo. Io sono nato, musicalmente parlando,
con l’incontro con Elvis Presley, e precisamente con il film “Loving
You, rinominato in Italia “Amami teneramente”, il secondo film di
Presley ed il suo primo in Technicolor. Stavo studiando il pianoforte da
sette anni e quando vidi Elvis con la sua chitarra a tracolla fui
fulminato. Tornato a casa dissi a mia madre di vendere il piano (cosa
della quale non mi sono mai pentito abbastanza) e di comprermi una
chitarra. La seconda tappa della mia evoluzione musicale furono i
Beatles e tutto l’ambaradan che ne seguì, la terza potremmo dire che ho
scoperto Dylan grazie alla fantasctica Mr.Tambourine Man dei Byrds di
Roger (allora ancora Jim) McGuinn. Da noi cominciarono ad impazzare i
primi gruppi nostrani, Nomadi, Equipe 84, Corvi, Giganti, Camaleonti,
Pooh, poi ci ful’invasione dei gruppi inglesi, primi fra tutti i Rokes
che vennero in italia come gruppo d’accompagnamento di Rita Pavone col
nome di “Shell Carson Combo”, seguirono poi i Bad Boys con “Il mio amore
è un capellone”, vennero i Sorrow con “Mi si spezza il cuore”, I Motown
che vinsero il Cantagiro nel 1967 con “Prendi la chitarra e vai”, i
Renegades vestiti con le divise dei cavalleggeri nordisti con il pezzo
“Cadillac” , Mike Liddel un cantante inglese accompagnato dal gruppo
italiano degli Atomi con la versione italiana di "The Sound of silence”
rinominata “La tua immagine”, Rocky Roberts & The Airedales con
“T-Bird”, "Stasera mi butto" e "Sono tremendo".
Quindi la mia attenzione musicale fu rivolta più verso questi personaggi
stranieri che agli italiani.
Di De Andrè conoscevo ed apprezzavo "Il pescatore" una canzone scritta
da De André per il testo e da Gian Piero Reverberi e Franco Zauli per la
musica. "La Canzone di Marinella" invece, ispirata all'omicidio di Maria
Boccuzzi, nota anche come Mary Pirimpò, uccisa a colpi di pistola nel
gennaio 1953 e gettata nel fiume Olona, diventata celebre in seguito
alla versione di Mina nel 1967, mi senbrava musicalmente più scontata e
monotona (naturalmente era solo la mia impressione perchè amavo un altro
tipo di musica. Ora capisco che Fabrizio è stato veramente un grande, in
certe sfumature superiore a Dylan che nelle sua carriera si è lanciato
in una produzione smisurata di canzoni, molte delle quali con pochissima
valenza rispetto ad altre. Però, (anche questa è solo la mia idea,
abbastanza personale e soggettiva) continuo a ritenere Dylan al di sopra
di De Andrè, questo senza togliere od aggiungere niente a nessuno dei
due. Per questo motivo ho trovato il commento della Pivano un pò
frettoloso e forse sbagliato, ma tutto questo ha poca importanza, sono
soltanto impressioni personali che valgono quello che valgono.
Ti ringrazio davvero per avermi edotto, e forse con me molti altri amici
della Fattoria, sul grande valore di Fabrizio. Alla prossima, live long
and prosper, Mr.Tambourine, :o)
"Il menestrello del rock" sbarca a Jesolo
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Venerdì 19
Gennaio 2018
Talkin'
10350 - dinve56
Buongiorno Mister,
un grazie di vero cuore a te e a Dario twist of fate, ma anche agli
altri amici della Farm, per la pazienza e la grande competenza con cui
mi guidate nell'Universo Dylan. Ho preso buona nota di tutto e spero di
trovare facilmente i testi indicati. Leggerò, leggerò, e continuerò
l'ascolto che non mi stanca e non mi annoia. L'arte di Dylan, non
occorre certo che lo ricordi a chi lo ascolta da molto più tempo di me,
arriva al cuore ed alla mente attraverso la musica e la sua voce.
Grazie!! A presto e lunga vita. Carla.
Caro Mr. Tambourine,
due brevi pensieri sugli argomenti in discussione. Purtroppo temo che
Sir Eglamore abbia colto nel segno nel valutare la vicenda di Alce Nero.
Non metto in dubbio le buone intenzioni di Papa Francesco, ma di quelle,
come è noto, è lastricato l'inferno. La beatificazione è un
“dispositivo”(1) con modi di funzionamento che prescindono dai buoni
propositi e che non hanno nulla a che vedere con la tradizione e la
cultura indiana. Se ci pensi un po', anche Dylan è stato beatificato, ma
lui è ancora vivo e si è difeso bene. E poi Stoccolma non ha
l'esperienza del Vaticano.
Per quel che riguarda la fascinazione che Dylan prova per il lazzarone,
quella non è specifica, ma appartiene a tutta la cultura popolare. Il
prototipo è Stagger Lee. La cui storia è piuttosto fantasticata che
reale. Qualcuno ha detto, mi pare Marcus, ma posso sbagliarmi, che non è
la storia di un omicidio, ma quella di un uomo che infrange tutti i
cancelli che la vita ha creato davanti a lui. E' una specie di rivalsa
in cui l'immaginario degli oppressi ribalta ogni valore, una maschera
del Carnevale. Roba di antropologia. Per Billy Kid può funzionare lo
stesso ragionamento, per Joe Gallo meno. Nel caso di Wesley Hardin,
Carrera adombra un parallelo con Lee Oswald, e allora qui ci sarebbe un
discorso da fare sui moderni cascami del Mito della Frontiera. Mamma
mia, quanta roba, meglio ascoltare un po' di musica:
https://www.youtube.com/watch?v=cv_THWZ8-T8
Cazzzpita Miscio, cosa devono leggere i miei occhi, il
vile Miscio che da ragione a Sir Eglamore. Allarme rosso per terremoti,
inondazioni, eruzioni vulcaniche e incendi dolosi in quantità
industriale. Voglio correggerti (permettimi di togliermi le mie piccole
soddisfazioni), sono le strade per l'inferno che sono lastricate di
buone intenzioni, l' inferno è molto peggio!
La fascinazione per i
poco di buono è un'abitudine molto in voga nella società americana,
così, come molti criminali prima di Stagger Lee sono stati oggetto di
canzoni che ne hanno celebrato le gesta, gente come Jesse e Frank James,
Billy the Kid, Butch Cassidy, i fratelli Younger ex-guerriglieri
confederati, Billy Clanton ucciso nella famosa sparatoria all'OK Corral,
Wyatt Earp celebre sceriffo - cacciatore di bisonti - giocatore
d'azzardo - ladro di cavalli e gestore di saloon, Wild Bill Hickok
conclamato re dei pistoleri e noto gambler, John Wesley Hardin uccisore
di 40 persone, Belle Starr, al secolo Myra Maybelle Shirley Reed Starr,
famosissima criminale immortalata nel film "La regina dei desperados"
(Montana Belle) e citata in due canzoni da Bob Dylan. Tutti famosi
pistoleri, che, come asserisce lo scrittore Joseph G. Rosa, fanno parte
del folclore americano da sempre. Alcuni li identificano come novelli
Parsifal del santo Graal, eroi entrati nella leggenda americana, dediti
a combattere il crimine. Altri, invece, li vedono come la
personificazione del male, volgari assassini, degni rappresentanti di
una realtà senza leggi. Ma forse sarebbe meglio dire che una legge
sicuramente esisteva, quella della loro pistola, dura lex, sed lex come
disse Socrate, ma in una nazione dove l'unico mezzo per difendersi dai
pericoli era portare la 45 al fianco nella fondina del cinturone era una
cosa normale. Gli Stati Uniti non hanno un passato nel quale pescare per
le loro glorie nazionali, così la povera gente si identificava con quei
violenti che avevano la capacità di non dipenderre da nessuno. Per chi
non sapesse chi era Stagger Lee ho scritto una brevissima biografia:
Lee Shelton (16 marzo
1865 - 11 marzo 1912), popolarmente noto come "Stagolee", "Stagger Lee",
"Stack-O-Lee" e altre varianti, era un criminale americano che divenne
una figura folkloristica dopo aver ucciso Billy Lyons nel Natale del
1895. L'omicidio, a quanto pare motivato in parte dal furto del cappello
Stetson di Shelton, fece di Shelton un'icona di forza e stile nella
mente dei primi musicisti folk e blues e ispirò la popolare canzone
popolare "Stagger Lee". La trama sopravvive nelle molte versioni della
canzone che circolano dalla fine del XIX secolo.
Lee Shelton era un afroamericano nato nel 1865 in Texas che lavorava
come vetturino di carrozze a St. Louis, nel Missouri, dove si guadagnò
la reputazione di magnaccia e giocatore d'azzardo. Non era un comune
magnaccia - come lo ha descritto Cecil Brown, "Lee Shelton apparteneva a
un gruppo di magnaccia conosciuti a St. Louis come "The Macks". I Macks
non erano solo "vetturini urbani ma procuravano prostitute e portavano
la gente nei locali dove era possibile trovare donne e whiskey". Fu
soprannominato "Stag Lee","Stack Lee" o “Stagger Lee” probabilmente
perché era una persona senza amici, chi dice perchè barcollante
nell'incedere, altri ancora dicono che prese quel soprannome da un noto
capitano del battello fluviale a ruota chiamato "Stack Lee", battello
noto per ospitare a bordo prostitute di professione. Il soprannome di
Lee Shelton fu successivamente corrotto in varie altre forme nella
tradizione popolare.
La notte di Natale del 1895, Shelton sparò a William "Billy" Lyons in un
saloon di St. Louis a seguito di una disputa. Un articolo che apparve
sul “Globe-Democratic” di St. Louis nel 1895 diceva:
“William Lyons, 25 anni, un manovale che lavorava alla diga, è stato
colpito all'addome ieri sera alle 10 nel saloon di Bill Curtis, tra
Eleventh e Morgan Streets, da Lee Shelton, un autista di carrozze. Lyons
e Shelton erano amici e stavano parlando tra di loro. Sembra che
entrambi avessero bevuto molto e fossero troppo esuberanti. La
discussione si spostò sulla politica che si scaldò e portò Lyons a
strappare di testa il cappello a Shelton. Quest'ultimo, indignato chiese
di ridargli il cappello, Lyons rifiutò, allora Shelton estrasse il
revolver e sparò a Lyons nell'addome. Quando Lyons si accasciò sul
pavimento, Shelton prese il suo cappello dalla mano dell'uomo ferito e
si allontanò freddamente. Successivamente è stato arrestato e rinchiuso
nella stazione di Chestnut Street. Lyons è stato portato al Dispensario,
dove le sue ferite sono state giudicate gravi e alla fine è morto”.
Il certificato di morte di Bill Lyons con il nome di
Shelter Lee come suo uccisore
Shelton fu processato
e condannato per il crimine nel 1897 e condannato a 25 anni di carcere.
Fu rilasciato nel 1909, ma fu nuovamente imprigionato due anni dopo per
aggressione e rapina. Incapace di ottenere la condizionale, morì
nell'ospedale del penitenziario statale del Missouri a Jefferson City
l'11 marzo 1912 di tubercolosi.
Shelton è sepolto nello storico cimitero di Greenwood a
Hillsdale, nel Missouri. Il Project Headstone Killer Blues ha raccolto
fondi per mettere una pietra col suo nome sulla sua tomba anonima, e il
14 aprile 2013 è stata deposta la lapide con una cerimonia pubblica.
Come puoi vedere Stagger Lee è esistito veramente, forse la canzone con
le diverse incisioni e le diverse riscritture fatte da bluesmen hanno
reso la storia un pò romanzata.
D'accordo con te che
l'immaginario degli oppressi a volte ribalta i valori, nascondendo la
verità proprio come una maschera di carnevale cela la vera identità di
una persona. E' meglio ascoltare musica, bellissima la versione da te
segnalata, io conoscevo questa canzone nella versione di LLoyd Price
(detto Mr. Personality dopo che scrisse la canzone "Personality" -
https://www.youtube.com/watch?v=W2aD25M5Su8
) che ne fece un successo internazionale
nel 1959:
https://www.youtube.com/watch?v=dfG1lBS_1aw
. Ti suggerisco di ascoltare anche questa "Lawdy Miss Clawdy" scritta da
Looyd e portata al successo da Elvis.
Alla prossima, live
long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 18
Gennaio 2018
Tour 2018,
aggiunte tre nuove date italiane
Genova, Jesolo, Verona. Dylan ritorna in
Italia per altre tre date oltre alle 6 già programmate (3 a Roma,
Firenze, Mantova, Milano), perciò dopo Svizzera, Germania ed Austria
Dylan tornerà in Italia per altri tre spettacoli. Era dal 2015 che Dylan
non veniva in Italia e finalmente tra tre mesi sarà nel nostro bel paese
per ben nove concerti, più che in ogni altro paese europeo, che
Dylan abbia una predilezione per il cibo ed il vino italiano oltre che
per il pubblico?
25 aprile - Genova , Italy - RDS Stadium
(Palafiumara)
26 aprile - Jesolo, Italy - Pala Arrex
27 Aprile - Verona, Italy - Arena
L'elenco aggiornato del tratto europeo del Tour
2018:
22 Marzo 2018 - Lisbona,
Portugal - Altice Arena
24 Marzo 2018 - Salamanca, Spain - Pabellón Multiusos Sanchez Paraíso
26 Marzo 2018 - Madrid, Spain - Auditorio Nacional de Música - Sala
Sinfónica
27 Marzo 2018 - Madrid, Spain - Auditorio Nacional de Música - Sala
Sinfónica
28 Marzo 2018 - Madrid, Spain - Auditorio Nacional de Música - Sala
Sinfónica
30 Marzo 2018 - Barcelona, Spain - Liceu Opera
31 Marzo 2018 - Barcelona, Spain - Liceu Opera
03 aprile 2018 - Roma, Italy - Auditorium Parco della Musica
04 aprile 2018 - Roma, Italy - Auditorium Parco della Musica
05 aprile 2018 - Roma, Italy - Auditorium Parco della Musica
07 aprile 2018 - Firenze, Italy - Mandela Forum
08 aprile 2018 - Mantova, Italy - Palabam
09 aprile 2018 - Milano, Italy - Teatro degli Arcimboldi
11 Aprile 2018 - Zurich - Oerlikon, Switzerland - Hallenstadion
12 Aprile 2018 - Neu-Ulm, Germany - Ratiopharm Arena
13 Aprile 2018 - Salzburg, Austria - hrSalzburgarena
15 Aprile 2018 - Brno-Královo Pole, Czech Republic - Hala Vodova
16 Aprile 2018 - Vienna, Austria - Wiener Stadthalle
18 Aprile 2018 - Leipzig, Germany - Arena Leipzig
19 Aprile 2018 - Oberhausen, Germany - KönigPALAST Krefeld
21 Aprile 2018 - Bielefeld, Germany - Seidensticker Halle
22 Aprile 2018 - Nuremberg, Germany - Frankenhalle
23 Aprile 2018 - Baden-Baden, Germany - Festspielhaus Baden-Baden
25 aprile 2018 - Genova, Italy - RDS Stadium (Palafiumara)
26 aprile 2018 - Jesolo, Italy - Pala Arrex
27 Aprile 2018 - Verona, Italy - Arena
Caro Tambourine, ovviamente non mi riferivo ad Alce Nero
come grande capo in termini guerreschi….ci mancherebbe pure che
Bergoglio, oggi, vada a santificare un guerriero; credo che il “porgi
l’altra guancia” resti un comandamento fondamentale della dottrina
cattolica, anche se l’agiografia cristiana antica presenta una infinità
di santi con la spada pronti a combattere. Circa il tuo contributo sulle
motivazioni che spingono a questo processo di santificazione, le scuse
di cui parlavo non devono essere prese alla lettera, chiaramente, ma
intendevo dire che rientrano in un clima culturale che ha portato la
chiesa cattolica, unica nel suo genere, a confrontarsi dialetticamente
con culture altre e spesso lontane dalla propria. Premetto che non sono
ne’ un bigottone ne un bacchettone, direi che nutro nei confronti della
religione e della chiesa in particolare, un socratico distacco che vira
verso l’agnosticismo, però mi pare che la sola voce fuori dal coro che
in questo paese, e non solo, si erge, a difesa concreta delle minoranze,
sia quella di certa chiesa riformata, (non tutta, ovviamente, non quella
dei cardinal Bertone o Bagnasco per intenderci) che, a livello
teologico, ha persino recuperato il dialogo con figure scomode come
quella di Hans Kung. A livello concreto poi, con buona pace della
sinistra italiana persa dietro polemiche da bottega utili a raccattare
qualche voto qua e la’, la Chiesa di Bergoglio si è mostrata in prima
fila nel tentativo di ribadire l’importanza di politiche di accoglienza,
o nel cercare di fornire concreti segnali di censura verso lo sterminio
sistematico di popoli interi, (vedi il viaggio di Bergoglio a Myanmar).
Io parlo di scuse non nel senso più letterale del termine, ma nel senso
di un clima di apertura e volontà di dialogo, che, con buona pace per
tutti i sincretismi, trova chiusure radicali da parte di tutte le altre
religioni sempre più radicate in fanatici radicalismi e fondamentalismi.
Un pontificato, si contraddistingue sempre non tanto per scelte
politiche decisive,(il Papa conta, soprattutto oggi, come il due di
picche a briscola, non fraintendetemi non parlo degli organi di potere
ad esso affiliati, Opus Dei etc. qui il discorso si farebbe complicato),
ma per il clima culturale che instaura, per il modo in cui dirige le
masse dei fedeli che ai suoi insegnamenti si ispirano. Bene, io credo
che Bergogio, in tal senso, stia operando in netto contrasto con una
gerarchia ecclesiastica fascistoide e infastidita da queste sue
aperture, come dimostra il recente documento delle 7 eresie, firmato
dalla fronda anti-bergogliana di origine vaticana e non. Voler negare
questo sforzo da parte di un uomo che di mestiere non fa il blogger o il
filosofo, ma è il capo della cristianità, mi pare un errore di metodo.
Circa poi le influenze hegeliane o nietszchiane nell’origine di una
cultura antidemocratica, alla base della nascita dell’arditismo italiano
o dell’indottrinamento della Hitler-Jugend, il discorso è complesso; la
tendenza della moderna ricerca storica-filosofica non è esattamente
quella che illustri nella tua sia pur pregevole ricostruzione, ma (al di
là del fatto che il marxismo, più che all’hegelismo di cui è figlia
tutta la filosofia moderna, è semmai derivazione specifica dalle teorie
economiche di David Ricardo e Adam Smith) tende a responsabilizzare in
forma più radicale il ruolo di Nietszche nella genesi e sviluppo del
movimento nazionalsocialista, ridimensionando il concetto di
travisamento che nel dopoguerra si è utilizzato per separare nettamente
il pensiero del sommo Friedrich, alle derive distorte che nazi-fascismo
adottarono per giustificare politiche razziali e violente. Ma eviterei
di scivolare in una questione puramente accademica e direi nettamente
fuori tema. Sta di fatto comunque che la decisione di annessione
coloniale da parte del Duce, non è figlia della sudditanza ad Hitler, in
quegli anni ancora sufficientemente poco ingerente nelle scelte di
Mussolini, ma piuttosto dell’esigenza italica di uniformarsi ad un clima
politico-culturale nel quale francesi, belgi, inglesi,
tedeschi….praticavano politiche annessive, nella convinzione che un
regime in qualche misura autonomo se non autarchico, potesse giovarsi di
queste aperture su paesi esotici spesso ricchi di materie prime. Infine,
sulla polemica legata a Sand Creek, so bene a cosa ti riferisci, e so
che il sito è frequentato da lettori apparentati all’ottimo Bubola, ma
so bene anche quanto sciacallaggio si è fatto in questi anni
nell’attribuire meriti e demeriti compositivi a Fabrizio De Andrè.
Pagani, pregevole musicista e arrangiatore, si è più o meno attribuito
il merito di Creuza de ma….e non vado oltre. Fatto sta che, tutti i
collaboratori-autori legati a De Andrè, cito anche l’amico Max Manfredi,
non avrebbero avuto alcuna visibilità, se Faber non avesse proiettato su
di loro, i fari della ribalta. E’ un peccato che tutte queste
ri-attribuzioni siano avvenute post-mortem , ed è un peccato che a volte
sfugga la centralità di arrangiamenti, interpretazioni, limature dei
testi che spesso caratterizzano la nascita di una canzone e di cui De
Andrè fu certamente protagonista; De Andrè non ha mai fatto mistero
dell’importanza di Massimo Bubola nella realizzazione dei suoi testi,
però, il buon Bubola sarebbe un emerito sconosciuto se De Andrè non se
lo fosse portato a spasso per l’Italia esibendosi sullo stesso palco con
Una storia sbagliata e dandogli comunque lo spazio che sappiamo in fase
di stesura testi; però quelle canzoni, non avrebbero avuto la forza, la
potenza empatica ed emotiva che rivelano e conservano se la voce
cristallina di Faber non le avesse interpretate….alla sua maniera. Del
resto, la grandezza del massimo cantautore italiano, e non solo
italiano!!, è in una produzione discografica che da vol. 1 alla Buona
Novella, passando per Spoon River o alle sue Anime Salve, ne dimostra lo
spessore e la statura. Saluti.
Caro Giuseppe, non è
semplice "essere Papa", e, ancora di più "fare il Papa".
Pedofilia, finanza, dottrina, ecco gli argomenti che faranno grande Papa
Francesco o forse lo stritoleranno nelle morse millenarie vaticane.
Bergoglio sta rivoluzionando il pensiero ecclesiastico e le porte chiuse
da secoli cominciano ad aprirsi. “San Pietro non aveva una banca” ha
detto Bergoglio e lo Ior ha iniziato a sgretolarsi (Paolo Cipriani e il
suo vice hanno rassegnato le dimissioni. Sono indagati per violazione
delle norme anti-riciclaggio dal 2010. Massimo Tulli intercettato con il
monsignor Nunzio Scarano, arrestato per corruzione) come avviene quando
si abbatte un edificio abusivo. Bergoglio ha fatto tremare le fondamenta
della Città del Vaticano, con le sue regole immutabili ed i segreti
inconfessabili. Ma le mura vaticane esistono da millenni ed hanno
resistito a tutto, resisteranno anche contro i colpi di Papa Francesco?
Analizzare le parole e l'opera di un Papa è sempre un compito improbo ed
a volte impossibile! Non credo che sia stato Bergoglio a scoprire
l'acqua calda della pedofilia crericale, moltissimi altri papi prima di
lui sapevano di questa piaga ma hanno taciuto. mi chiedo perchè, ma a
volte si leggono cose incredibili anche da parte dei papi.
Papa Paolo VI è una
figura difficile da inquadrare, specialmente oggi, dopo tanti anni dalla
sua scomparsa. Si dice che nel tardo 1942, Montini, allora con la carica
di sostituto Segretario di Stato, faceva avere ad Earl Brennan, un
veterano della diplomazia clandestina, la mappa strategica del Giappone
con gli obiettivi per paralizzare l'industria bellica di quel paese.
Questo permise all'aviazione americana di assestare alla guerra
nipponica una serie di colpi decisivi. Grazie alla posizione di Stato
nello Stato e di apparente neutralità, il Vaticano era il tramite ideale
per questo genere di scambi riservati, tanto da essere definito dall'OSS
"il covo dello spionaggio anglo-americano". Si disse anche che stava
collaborando con la principessa Maria José di Savoia, nuora del re
Vittorio Emanuele III, per stringere contatti con gli Americani ai fini
di una pace separata, ma tali iniziative non ebbero esito positivo.
Sempre si dice che lo stesso Montini, nei primi anni del dopoguerra,
supervisionasse la gran parte delle operazioni grazie alle quali diverse
migliaia di criminali nazisti furono fatti fuggire in America del Sud,
grazie anche a padre Draganović che svolgeva il ruolo di tramite tra il
Vaticano e la CIA. Eppure Papa Benedetto XVI ne riconobbe le virtù
eroiche, è Montini è stato beatificato il 19 ottobre 2014 da Papa
Francesco. Anche in vaticano accadono cose che noi umani non potremo mai
capire!
Il pontificato di Pio
XII Pacelli coincise con alcuni degli eventi storici più gravi e
significativi del XX secolo. Salito al soglio pontificio nel 1939, alla
vigilia della seconda guerra mondiale, egli, in ragione della
peculiarità del suo ufficio, si trovò in una posizione particolare nel
quadro della grande tragedia costituita dall'Olocausto perpetrato dalla
Germania nazista. In particolare, Pacelli è oggetto di accuse circa la
sua presunta connivenza con i regimi nazi-fascisti, specialmente per
quanto riguarda la firma del concordato con la Germania nazista, quello
che i critici definiscono il suo «colpevole silenzio» di fronte
all'Olocausto e un suo possibile ruolo nella fuga di gerarchi al termine
della guerra. A partire dagli anni cinquanta iniziò a svilupparsi negli
ambienti politico-culturali una critica al pontefice in netta
controtendenza rispetto ai numerosi attestati di stima ricevuti
precedentemente dagli ambienti ebraici. Sulla scorta di tali critiche
anche alcuni esponenti autorevoli della comunità ebraica hanno
successivamente criticato Papa Pacelli per non aver denunciato
pubblicamente il nazismo e le persecuzioni anti-ebraiche di cui risulta
fosse a conoscenza. Quando si pose il problema della collocazione degli
ebrei sopravvissuti, la Santa Sede continuò a osteggiare la nascita
dello Stato d'Israele, con la motivazione, almeno per alcuni esponenti,
che toccava ai cristiani controllare i luoghi della cosiddetta Terra
Santa, e appoggiando, semmai, una loro sistemazione negli Stati Uniti.
Pio XII non mancò di esprimere la propria disapprovazione anche dopo la
nascita di Israele, in quanto diffidava della promessa fatta dagli ebrei
di rispettare i diritti religiosi delle altre religioni e soprattutto
delle confessioni cristiane, e la Santa Sede rifiutò il riconoscimento
diplomatico del nuovo Stato, riconoscimento che sarebbe giunto solo nel
1993, segno quindi di un problema ben più vasto della persona di Eugenio
Pacelli. Va anche detto che i rapporti diplomatici diretti, tra USA e
Vaticano, furono avviati non prima del 1984. E' chiaro che ci sono anche
voci favorevoli all'operato ed alla posizione politica di Pacelli, ma
queste cose danno da pensare profondamente, come se quella del vaticano
fosse stata una partita a scacchi, una partita con in gioco la vita di
milione di uomini, donne, bambini e vecchi. Solo Dio, il giorno del
giudizio universale potrà dire se queste persona sono state giuste o se
hanno fallito la loro missione, ma noi, piccoli umani, non siamo in
grado di farlo, quindi è corretto astenersi dal giudizio.
Benedetto XVI ebbe a
dire: "Morto un Papa se ne fa un altro, ma Cristo rimane!" Queste in
sostanza le parole di Ratzinger, la chiesa è la casa di Cristo e
non dai Papi.
Giovanni XXIII, nella sua semplice umiltà, disse che "la mia persona
conta niente", che contava era Dio, eppure diede un impulso grandissimo
a riportare la chiesa ai vertici che competevano ad essa. Roncalli seppe
riportare milioni di fedeli che si erano allontanati dalla chiesa e per
riportarli all'ovile la figura di semplice pastore di Roncalli sortì il
massimo effetto.
Giovanni Paolo II, altro grande riformista, intraprese sin dal principio
del suo pontificato una vigorosa azione politica e diplomatica contro il
comunismo e l'oppressione politica, ed è considerato uno degli artefici
del crollo dei sistemi del socialismo reale, ebbe il coraggio dopo 400
anni di riconoscere che la chiesa aveva torto riabilitando e cancellando
la condanna del tribunale della Santa Inquisizione a Galileo Galilei.
Meglio tardi che mai? Meglio tardi!!! A proposito, sapevi che durante il
ventennio Galileo Galilei doveva chiamarsi Galivoi di cognome perchè il
"lei" era stato abolito da una "velina" (non quelle di Striscia) ma
quelle del P.N.F., così erano chiamati i fogli con gli
ordini-suggerimenti del partito, dopo che agli inizi del 1938, dalle
pagine del Corriere della sera, il linguista fiorentino Bruno Cicognani
proponeva l'abolizione del «Lei» come formula di cortesia propria
dell'italiano corrente e apparentemente corretto. Secondo il parere
dello studioso, si trattava di una terminologia importata e servile,
modellata sullo spagnolo Usted, non appartenente alla tradizione
linguistica e latina. In luogo del «Lei», Cicognani suggeriva il «Tu» o
il «Voi», secondo le circostanze. Ed il servile popolino italiano si
adeguò alla velina subito emenato per il caso, saluto romano invece
della consueta stretta di mano, uso del voi al posto del lei, il
settimanale femminile «Lei» fu costretto a cambiare il nome in
«Annabella», i militari dovettero marciare con il passo romano di parata
che scimmiottava il passo dell'oca germanico, e trasformare le cantine
in rifugi antiaerei. L'uso delle "veline" restò in auge fino al 25
Luglio del '43, quando il Gran Consiglio del Fascismo votò la sfiducia
al governo Mussolini. Altri tempi, altre «veline», si cominciò con
l'abolizione del «Lei», si finì con la guerra.
Papa Paolo VI è una
figura difficile da inquadrare. Nel tardo 1942, Montini fa pervenire a
Earl Brennan, un veterano della diplomazia clandestina, la mappa
strategica del Giappone con gli obiettivi per paralizzare l'industria
bellica di quel paese. Questo permise all'aviazione americana di
assestare alla guerra nipponica una serie di colpi decisivi. Grazie alla
posizione di Stato nello Stato e di apparente neutralità, il Vaticano
era il tramite ideale per questo genere di scambi riservati, tanto da
essere definito dall'OSS "il covo dello spionaggio anglo-americano". Lo
stesso Montini, nei primi anni del dopoguerra, supervisionava la gran
parte delle operazioni grazie alle quali diverse migliaia di criminali
nazisti furono fatti fuggire in America del Sud. Questo grazie a padre
Draganović che svolgeva il ruolo di tramite tra il Vaticano e la CIA.
Eppure Papa Benedetto XVI ne riconobbe le virtù eroiche, Montini è stato
beatificato il 19 ottobre 2014 da Papa Francesco. Misteri vaticani!
Leone IX, Gregorio VII
ed Innocenzo III furono i papi riformatori per eccellenza. Papi di una
Chiesa che nel medioevo lottava per emanciparsi dalla tutela
dell'Impero, l'altro potere universale e poi per affermare la propria
superiorità spirituale e politica su di esso. L'esigenza di una riforma
veniva anche dal basso, dal popolo di Dio sempre più scandalizzato da un
clero simoniaco e nicolaita, molto spesso culturalmente non all'altezza
del proprio ministero. È da questa ansia, sentita sempre più impellente,
che si genereranno quei movimenti presto divenuti o dichiarati ereticali
che più tardi, con Lutero, porteranno alla spaccatura della cristianità
occidentale.
L'azione moralizzatrice e riformatrice iniziò nel 1049 da Papa Leone IX,
al secolo Brunone dei conti di Egisheim-Dagsburg, che godeva fra l'altro
oltre che dell'appoggio dell'Imperatore Enrico III di Sassonia, di
quello dell'Abate Ugo di Cluny, dell'arcivescovo Alinardo di Lione e di
Pier Damiani priore di Fonte Avellana.
L'opera iniziata da Leone IX fu proseguita in maniera estremamente
incisiva dal suo successore Papa Gregorio VII che porterà a termine
quella riforma, (riforma gregoriana), che prese il suo nome e che farà
esplodere il contrasto non sempre latente fra Chiesa ed Impero.
Papa Gregorio VII, al secolo Ildebrando di Soana, attuò una politica di
riforme particolarmente rigorosa sul piano politico e morale, tesa ad
eliminare ogni interferenza laica nell'organizzazione della Chiesa ed a
risanare quest'ultima dai peccati di simonia e concubinaggio elevandone
la moralità da lungo tempo calpestata. Con il Dictatus Papae del 1075
Gregorio VII stabilisce la superiorità del Papa su ogni altra autorità,
il primato assoluto di Roma sulla cristianità intera, oltre che nella
Chiesa stessa, nonché il potere del Papa di deporre l'Imperatore, di
nominare in esclusiva i vescovi e di sciogliere i fedeli dai doveri di
fedeltà nei confronti degli ingiusti. Soltanto il Papa ha il diritto di
conferire cariche ecclesiastiche, come pure di condannare i vescovi
indegni, e ciò in quanto rappresentante di Cristo in terra e successore
di S. Pietro nella illimitata potestà di sciogliere e legare concessagli
direttamente da Cristo. Fu l'inizio di una lotta tra i due poteri
universali, Chiesa ed Impero, che presto sfociò nella lotta per le
investiture e nelle guerre guelfo-ghibelline, dando luogo alla nascita
di due partiti che, per opposti interessi, si posero uno a favore del
Papa l'altro a favore dell'Imperatore.
Con papa Innocenzo III, al secolo Lotario dei conti di Segni, la Chiesa
raggiunse l'acme della potenza politica trasformandosi in una teocrazia
dotata di potere assoluto su tutti i governi. Papa Innocenzo III non si
limitò solo alle enunciazioni di principio ma intervenne pesantemente e
fattivamente nei problemi dell' Impero, particolarmente in quello della
successione alla corona imperiale.
Certamente oggi, Bergoglio ha per le mani una bella gatta da pelare,
staremo a vedere come riuscirà a dipanare il rotolo della matassa
vaticana!
Visto da questo punto
di vista il tuo giudizio è condivisibile senza difficoltà, ed a volte
servono più di un paio di mail per capirsi. Vedo che la pensiamo allo
stesso modo anche se magari ci esprimiamo in maniera diversa, ma
l'intento è quello.
Per quanto riguarda De
Andrè e Bubola non sono in grado di dire niente sulla faccenda della
collaborazione fra i due, chi ha dato di più o chi ha dato di meno,
Faber ha fatto la sua carriera e Bubola continua a fare concerti, quindi
perchè cercare il pelo nell'uovo? A me Fiume Sand Creek piace, quindi
perchè devo stare a chiedermi di chi è il maggior merito, la canzone è
attribuita a De Andrè / Bubola e per me va bene così. Per chiudere, sono
per niente d'accordo con la Pivano quando disse che non era De andrè ad
essere il Bob Dylan italiano, ma era Bob Dylan ad essere il De Andrè
americano". Forse quel giorno la Nanda nazionale aveva fumato qualcosa
che le aveva fatto male! Perdonata grande Nanda, R.I.P.! LIve long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Mercoledì
17
Gennaio 2018
Talkin'
10347 - gabrieledemarchi2
Ho visto su internet delle foto
fatte da Allen Ginsberg a Dylan, mi sembra tra il 1990 e il 1992.
Di certo si tratta di pose, non istantanee, ma in molti scatti Dylan non
sembra essere favorevole alla situazione. Ero curioso di sapere la
storia dietro questo servizio fotografico così bizzarro.
Grazie mille!
Le foto furono
scattate da Allen Ginsberg dalle parti di Tompkins Square Park, New
York, il giorno 11 Agosto 1990, una delle quali fu usata per il retro di
copertina dell'album "Under the red sky"
che fu registrato a
Los angeles nei mesi di Marzo ed Aprile 1990 e pubblicato nel settembre
1990. Altre foto scattate da Ginsberg in quell'incontro le puoi vedere
qui sotto:
Se qualcuno ha notizie
più aggiornate ben venga! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Non pubblichi questa mia noiosa richiesta,
ma saprebbe indicarmi nella risposta chi è la signora ritratta con Dylan
in questa foto che credo sia tratta dagli scatti fatti per la copertina
di Good as i been To You nel 1992?
Grazie, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Ciao Xxxxxxxxx
Xxxxxxxxxxx, come vedi ho secretato il tuo nome ma non potevo ignorare
la richiesta che è interessante anche per tutti gli altri
Maggiesfarmers. Si tratta di Debbie Gold che produsse l'album di
Bob “Good As I Been To You”. Debbie ci lasciò qualche anno fa perchè
affetta da una malattia incurabile. Ho trovato un'altra bella foto di
lei con Bob:
Qui sotto ti riporto
un articolo scritto dall'amica di Debbie Meg Hansen.
In ricordo di
Debbie Gold
"In ricordo della mia
fantastica amica, Debbie Gold, e del suo grande cuore e delle sue grandi
risate e di tutte le sue divertenti storie, questa è quella che riguarda
Bob Dylan, Lei lo adorava ed ha prodotto l’album di Dylan “Good As I
Been To You”.
Debbie ha avuto storie con , beh, tutti ... dal fare uno scherzo a Slash
e dirgli, "dai un'occhiata a quel costume - quel ragazzo è vestito da
Slash!" Sfortunatamente, ha solo annotato qualcuno di questi fatti.
Circa 15 anni fa, penso che fosse proprio quando Debbie fu diagnosticato
per la prima volta con il cancro, passammo un po' di tempo a Malibu nel
mio appartamento a mettere su carta alcune delle sue storie. Mi disse
che un giorno avrebbe voluto scrivere un libro, ma disse che, se non
scriveva il libro, voleva che mantenessi le storie per me e non dicessi
a nessuno che le avevo, e poi, poco prima di moriore, mi disse che
voleva che io li "pubblicassi" e li "condividessi" con i suoi amici".
Ironia della sorte, un paio di giorni dopo la morte di Debbie, ho visto
Bob in un ristorante di Malibu e mi ha ricordato le storie di Debbie. Ho
dovuto cercarle in cantina e ribatterle, quindi probabilmente uno alla
settimana per le prossime settimane, ma eccoci qui. Inoltre, dal momento
che vivo a Malibu e non desidero sconvolgere il bel ragazzo dietro
l'angolo, se Bob mi chiede di cancellarle, dovrò farlo (per pararmi le
terga gli ho lasciato le storie a casa sua in anticipo).
Nelle parole di Debbie ...
Allo zoo
Di Debbie Gold
Mi sono state fatte spesso domande così accattivanti come, "Ehi, ehm,
qual è la differenza tra essere in viaggio con Bruce Springsteen e Bob
Dylan?" C'è sicuramente più di una risposta a questa domanda, ma la
prima cosa che viene la mente è che quando si viaggia in giro per il
mondo con Bruce, quando lo presento a qualsiasi fan e / o persona del
settore, la risposta è di solito più o meno la stessa. Saltano quasi
sempre su e giù, scuotendo pazzamente la sua mano ed esclamando cose del
tipo: "Accidenti, amico, è incredibile, Bruce Springsteen !! Questo è
uno dei momenti più belli della mia vita! Non posso crederci! Bruce, sei
il mio eroe! Oh, è così bello ... "
Quando si presenta un fan a Dylan, la risposta è leggermente diversa.
Inevitabilmente, quello che presento a Bob comincia a stare lì, quasi
senza parole, gli occhi spalancati, e uno sguardo si posa sul loro viso
che dice "Sono in piedi faccia a faccia con Dio". Spesso desideravo
poter portare una videocamera quando viaggiavo per il mondo con Dylan e
posizionarla appena sopra la sua spalla sinistra, in modo da poter
catturare tutti i momenti del genere (completo di gente che rovesciava
le cose e inciampava nei lacci delle scarpe, ecc.).
Riesci a immaginare cosa vuol dire essere guardato in quel modo tutto il
tempo? Inoltre, Bob ha un aspetto molto particolare mentre una volta
ogni tanto, Bruce può confondersi tra la folla. Naturalmente, non appena
qualcuno si accorge che è Bruce, ho visto la stessa folla trasformarsi
in una scena da "Il pifferaio magico". In ogni caso, è necessaria una
ragionevole quantità di sicurezza per entrambi quando vanno in giro, il
che ci porta alla mia prossima storia.
Nel tour europeo di Dylan del 1981, di cui ho avuto la fortuna di far
parte, una manciata di "bodyguard" sono stati messi insieme per la sua
protezione. Sebbene fossero professionali e dediti al proprio lavoro,
una volta ogni tanto notavo che poteva esserci un po' di confusione su
chi avrebbe dovuto fare una cosa. In tali rare occasioni, potevo
immaginarli sbattere teste, alla "Three Stooges", per assicurarsi che
Bob fosse protetto (è difficile da credere, ma Dylan è sempre stato più
famoso in Europa, rendendo la sua sicurezza ancora più impegnativa).
Londra, dove questa storia ha luogo, non ha certo fatto eccezione. Dylan
doveva suonare 5 notti alla Earl's Court, la sala da 20.000 posti a
Londra, iniziando entro pochi giorni. Sarebbe un eufemismo dire che la
città era a conoscenza della presenza di Dylan.
L'intero tour era arrivato in città con alcuni giorni di anticipo,
dandoci la possibilità di iniziare a lavorare su quella che sarebbe
stata sicuramente una settimana intensa, ed i musicisti hanno avuto
l'opportunità di godersi alcuni giorni liberi. Il primo pomeriggio, il
telefono nella mia stanza d'albergo cominciò improvvisamente a suonare.
Bob sembrava rilassato e davvero felice mentre mi salutava alla porta.
"Ho avuto il miglior pomeriggio!" Quasi esplose, esuberante.
"Che hai fatto?" chiesi curiosa, "che cosa è successo?"
"Beh, mi sentivo un po' rinchiuso in questa stanza d'albergo," iniziò.
"Sembrava un buon pomeriggio, quindi ho deciso di fare una passeggiata.
Ho messo la mia felpa con il cappuccio tirato sulla testa"(eravamo a
metà luglio a Londra, ma questo era il miglior tentativo di Bob di
camuffarsi)"e sono uscito e ho iniziato a camminare".
"Da solo?" Chiesi, stupito.
"Sì" iniziò, con
entusiasmo, "e per prima cosa ho fatto un giro a Piccadilly Circus,
dove, naturalmente, c'erano migliaia di altre persone, e nessuno mi ha
detto una parola! E' stato così bello, così ho continuato ad andare
avanti. Poi, ho camminato su e giù per la King's Road e Trafalgar
Square, e ancora, non ho mai detto una parola a nessuno, e nessuno mi ha
parlato".
"Wow, Bob, è incredibile! Deve essere stato grandioso".
"Lo è stato, e così ho
continuato. Era una giornata davvero bella, così ho attraversato Hyde
Park camminando per ore, era tutto così tranquillo. Ho visto così tante
persone e nessuno mi ha mai detto una parola. Alla fine, stavo tornando
a Regent Park (dove si trovava il nostro hotel) e sono finito nel
Regent's Park Zoo, seduto tranquillamente su una collina. Era così bello,
non riuscivo a crederci, e non volevo che il giorno finisse. Alla fine,
dovevano essere le 17.00, perché lo zoo si stava
preparando a chiudere e il guardiano dello zoo stava educatamente
facendo uscire tutti. Alla fine, l'intero posto era vuoto, tranne me, e
io non me ne accorsi, dato che ero impegnato a meditare su quanto fosse
stato un giorno tranquillo, quando il guardiano mi raggiunse e mi disse: "È
l'ora di chiusura. Ho paura che debba uscire anche lei Mr. Dylan!"
Meg Hansen
Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Martedì 16
Gennaio 2018
Talkin'
10345 - dinve56
Buongiorno Mister,
grazie per i dettagli, davvero terribili, relativi alla storia vera di
"Joey", protagonista della lunga e triste ballata dylaniana che ha
suscitato severe critiche, soprattutto da parte di Bangs, critiche che,
così mi pare di capire, tu ritieni ampiamente giustificate. Ascoltando
la musica e la voce di Dylan, ho provato compassione autentica per i
protagonisti di tanta efferatezza. Credo che lo scopo dell'arte sia
anche quello di rendere umanamente comprensibile ciò che appare non
umano e di addolcire la violenza di certe vicende. L'arte attiene al
bello, mentre la storia e la scienza attengono alla verità,
rispettivamente del mondo umano e di quello naturale. Anche a me viene
un po' di orticaria quando si esagera con l'appiattimento di ogni
differenza religiosa e culturale. Tra Padre Pio e Alce Nero non saprei
davvero quale scegliere, ma so che, in alcuni momenti della vita,
rivolgersi con fiducia a qualcuno che crediamo possa aiutarci, fa un
gran bene allo spirito e alla mente... sempre che si sia disposti ad
ammetterlo, superando il giusto orgoglio intellettuale che appartiene
quasi sempre alle persone non particolarmente devote. Ho visto ed
apprezzato tutti i film sulla storia dei nativi d'America che avete
citato, tranne l'ultimo, che non conosco; non è mai facile raccontare la
storia dei vinti e, spesso, mi capita di apprezzare anche i personaggi
"cattivi", se sono raccontati bene, con spessore artistico e
culturale.Tornando a Bob, mi è piaciuto molto "Under the red sky",
perchè la musica e i testi sono allegri, non melanconici, ma non per
questo meno suggestivi dei testi di album più famosi. Alla prossima e
lunga vita! Carla.
Ciao Carla, fin da
giovane Robert Zimmerman aveva una spiccata simpatia per i belli,
maledetti e perdenti. Non è un mistero la sua ammirazione per James
Dean, per Marlon Brando, per i personaggi storici con l'aurea da Robin
Hood come Jesse James o Billy the Kid, John Wesley Hardin (nel suo
monimo album Bob aggiungerò la g facendo diventare il cognome
dell'efferato fuorilegge Harding), Joe Gallo ne è un altro esempio. John
Wesley Hardin (Bonham, 26 maggio 1853 – El Paso, 19 agosto 1895) fu uno
dei più efferati criminali statunitensie, si pensa che abbia ucciso
quarantaquattro persone. Il primo fi uno sachiavo di colore chiamato
Mage, dopo la lotta Hardin ebbe la meglio e lo uccise il giorno dopo con
tre colpi di pistola. John non si pentì mai dell'accaduto e, entro fine
anno, commise ben quattro omicidi. Aveva solo quindici anni. In totale
gli sono stati attribuiti oltre 40 omicidi. Ad Abilene commise uno dei
suoi omicidi più efferati: nell'hotel in cui alloggiava sparò,
attraverso la parete di legno, nella stanza accanto perché l'uomo che la
occupava russava; il primo colpo lo ferì, il secondo lo uccise.
Dopo essere stato diciassette anni in prigione fu rilasciato nel 1895 e
iniziò a lavorare come uomo dello sceriffo a El Paso. Nonostante tutto
era spesso ubriaco e violento. Il 19 agosto 1895 John Selman, ex
fuorilegge e agente di polizia, arrestò la prostituta che era assieme ad
Hardin. Questi lo provocò e i due ebbero un diverbio. Selman raggiunse
Hardin in un bar e gli sparò uccidendolo.
Ma nell'omonimo
album Dylan dice di lui:
"John Wesley Harding
era amico dei poveri,
andava in giro con una pistola in entrambe le mani,
dappertutto nel paese
aprì molte porte
ma non fece mai del male
ad un uomo onesto"
Billy the Kid fu
accreditato di 21 omicidi, ma la letteratura americana a volte l'ha
descritto come un povero disadattato ed incompreso, che uccise per
difendere i suoi amici. Npon sappiamoemmeno se Billy fu davvero ucciso
da Garrett o se, come dicono alcune storie, uccise un'altyra persona e
per coprire l'errore dichiarò di aver ucciso Billy. Alcuni anni fa il
corpo di Billy fu riesumato per prelevare il DNA da comparare col sangue
romasto sul tavolo dove si dice che il corpo di Billy venne sdraiato, ma
dei risultati non si è saputo più niente. Dylan, accettando di far parte
del cast dfel film e scrivendone la colonna sonora lascia intendere che
il povero Billy sia stato tradito da quello che era una volta un
fuorilegge come lui e compagno di scorrobande. Garrett venne ucciso
durante una imboscata dal pistolero Jesse Wayne Brazel a Las Cruces, nel
Nuovo Messico, il 28 febbraio 1908. Chi volesse sasperne di più sulla
sua morte può cliccare sul link:
http://www.farwest.it/?p=1638 "La misteriosa morte di Pat
Garrett"
Credo sia difficile
che l'arte possa addolcire la violenza, John Wesley Hardin puoi
addolcirlo fin che vuoi ma rimane il fatto che ha assassinato 40 uomini!
Concordo invece con te
che quando ci si trova in momenti difficili una parola buona, da
qualunque parte giunga, è sempre un conforto e una speranza. Faccio
fatica a capire perchè a volte apprezzi i personaggi cattivi. I cattivi
sono e rimangono cattivi, (anche se per assurdo ai tempi del Manzoni e
dei Promessi Sposi li chiamavano "bravi"), forse perchè colui che ne
interpreta il personaggio ha un charisma suo ed addolcisce la figura?
Hitler rimarrà sempre quel maledetto che è, idem Stalin, Pol Pot,
Ceaușescu, la Giunta militare argentina del cosiddetto Processo di
riorganizzazione nazionale, capeggiata dal generale Jorge Rafael Videla
e dai suoi successori, generali Roberto Eduardo Viola, Leopoldo Galtieri
e Reynaldo Bignone, le atrocità di Dragomir Milošević, comandante dei
Corpi Sarajevo-Romanija dell'Esercito Serbo-Bosniaco che assediarono
Sarajevo per tre anni (dal 1992 al 1995) durante la guerra in Bosnia,
nel complesso, l'assedio causò la morte di almeno diecimila civili,
millecinquecento dei quali bambini. Slobodan Praljak che si è suicidato
in diretta bevendo una boccetta di veleno che non si sa come facesse ad
averla in tasca. Gli Italiani fecero la loro parte contro l'impero Turco
nel 1911 nella battaglia di Sciara Sciatt per la conquista di Tripoli,
nella quale due compagnie di bersaglieri italiani, composte da circa 290
uomini, furono accerchiate e, dopo la resa, annientate nei pressi del
cimitero di Rebab dai militari ottomani e irregolari libici. Quando i
bersaglieri italiani riconquistarono l'area del cimitero scoprirono che
quasi tutti i prigionieri erano stati trucidati, secondo la relazione
ufficiale italiana "molti erano stati accecati, decapitati, crocifissi,
sviscerati, bruciati vivi o tagliati a pezzi". Analogo resoconto fu
fatto dal giornalista italo-argentino Enzo D'Armesano che era inviato
sul posto per il quotidiano argentino "La Prensa". Nella repressione che
seguì, furono uccisi almeno un migliaio di libici e si dispose la
deportazione in Italia dei “rivoltosi” arrestati. L'operazione riguardò
circa quattromila libici, che furono trasferiti nelle colonie
penitenziarie delle Isole Tremiti, di Ustica, Gaeta, Ponza, Caserta e
Favignana dove la maggior parete trovò la morte negli anni seguenti.
Alcuni anni dopo Mussolini, alla ricerca del suo posto al sole, mando in
Etiopia il maresciallo Badoglio e poi il generale Graziani
(soprannominato dagli arabi "Il macellaio di Fezzan", che venne
inserito dall'ONU, su richiesta dell'Etiopia, nella lista dei criminali
di guerra per l'uso di gas tossici e bombardamenti degli ospedali della
Croce Rossa, ma non venne mai processato, ma c'è anche da dire che gli
Abissini fecero la loro parte violando le convenzioni di guerra con
l'evirazione dei prigionieri, l'impiego delle pallottole esplosive e
l'abuso del simbolo della Croce Rossa. Credo inutile continuare
questo infinito elenco di pazzesca disumanità, la criminalità non ha mai
portato da nessuna parte. Tornando a cosa più leggere continua ad
ascoltare Bob, da lui c'è da imparare qualcosa, da Hitler niente! Live
long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Scrivere Hard Rain a vent'anni - di
Leonardo Tondelli
clicca qui
Lunedì 15
Gennaio 2018
"Don't look
back", questa sera su RAI 5 dalle 23 e 10
1965, il regista D.A. Pennbaker filma in
presa diretta, con una cinepresa portatile, tutta la tournèe inglese di
Bob Dylan. Altro primato da aggiungere ai tanti di Bob Dylan è che si
tratta del primo film interamente dedicato a un artista nella storia
della musica rock.
Il film-documentario racconta l’atmosfera caotica “on the road' che
accompagnava le chiassore e styrampalate tappe del tour tenuto da un
giovanissimo Bob Dylan in Inghilterra nel 1965".
Il film inoltre rappresenta un'occasione unica per vedere il
comportamente dei diversi personaggi dell'entourage di Dylan che
parteciparono a quella tournèe, Joan Baez, Donovan, Alan Price, l’allora
manager di Dylan Albert Grossman e il suo road manager nonché amico Bob
Neuwirth. Da non perdere assolutamente!!!
Allora, provo a meglio motivare le
ragioni che mi portano a non criminalizzare la santificazione del grande
capo. Premetto che, a mio avviso, le corrette osservazioni di Sir
Eglamore relative all'omogeneizzazione culturale, non sono tanto il
frutto del sia pur discutibile attivismo mediatico della chiesa, quanto
piuttosto della marmellata globalizzatrice figlia della modernità e del
web. Viviamo, per dirla con Bauman (
https://it.wikipedia.org/wiki/Zygmunt_Bauman ), in una società
liquida, in cui il pensiero....per dirla con Vattimo (
https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Vattimo ), è sempre più debole,
e questo genera giocoforza un sempre più indistinto melting pot
culturale, di cui, concordo perfettamente, siamo ormai vittime quasi
impotenti. Ciò detto, io credo che il tentativo di Bergoglio, vada anche
nella direzione di un risarcimento postumo e quindi di una richiesta di
scuse al popolo indiano, cosa di per sè apprezzabile nonché di una
motivazione teologica, comunque si voglia vedere la cosa, abbastanza
ardita, ossia l'idea che non sia necessario il credere nel Dio cristiano
per raggiungere la santità. E questo, per una chiesa figlia di Woytila e
Ratzinger e della loro impostazione teologica, mi pare di per se un buon
risultato. La matrice violenta dell'oppressione, mi occupo di
antropologia culturale e credo di avere un minimo di voce in capitolo
per ragionarne, non ha origini religiose (semmai le religioni ne sono
uno strumento), bensì nasce da comportamenti sopraffattivi di gruppo
che, sarebbe lungo e noioso trattare in questa sede, a meno che qualcuno
sia interessato all'argomento. Mi limito a citare la fondamentale
disputa circa la dialettica servo-padrone di origine hegeliana e al suo
sviluppo nel tema del risentimento nietszchiano, viatico necessario per
comprendere il motivo profondo che sta alla base di ogni pratica di
sterminio, sia degli ebrei, che dei neri, che dei poveri pellerossa.
Ricorderei piuttosto, storicamente come la becera italietta mussoliniana
cercasse e teorizzasse lo sterminio degli abissini, nella ossessiva
ricerca di un posto al sole col bravo generale Graziani impegnato a
pianificare la strage di migliaia di poveri monaci inermi in quel di
Debra Libanos. Ma questa è un'altra storia. Sul piano cinematografico
invece, vorrei... esprimere una voce fuori dal coro. Non giudicatemi un
reazionario filo americano, vi prego; concordo abbastanza apertamente
col giudizio espresso su un capolavoro assoluto della cinematografia
come Sentieri selvaggi, ma ascriverei alla categoria del "capolavoro"
anche moltissimo del cinema di genere a firma Raoul Walsh, John Ford,
Delmer Davis, Antony Mann etc etc. Mi spiego; quel cinema, pur con la
sua faziosità filo-pionieristica ricca di retorica, figlia spesso di un
epoca storica da guerra fredda, con cio' che ne comporta, oltre a
palesare una cifra stilistica in chiave cinematografica assoluta,
rappresenta per gli americani una sorta di racconto epico, per un popolo
che non ha storia e non ha passato, simile (mi si conceda il blasfemo
azzardo) all'epopea mitologica greca o Latina. Insomma, Ombre Rosse sta
agli Usa, come l'Odissea sta al vecchio mondo occidentale (non mi si
rinfacci l'ovvia disparità artistica delle due opere!). Chi se ne frega
se poi gli dei dell'Olimpo erano dei criminali, divoratori dei loro
figli o violenti e rancorosi fratelli in lotta fra loro? Il cinema
filo-pellerossa, di fatto demitizza il mito, racconta la verità, il che
è encomiabile, ma fa perdere spesso allo spettacolo, potenza narrativa e
vigore artistico. Non dimentichiamoci che anche il cinema di denuncia
più realistico e documentato è pur sempre finzione. Detto questo
ovviamente trovo apprezzabili anch'io i grandi film di denuncia, anche
se....come dire.....non mi serviva il cinema per capire quanto criminali
siano stati i progenitori di Donald Duck Trump. In fondo, anche la
retorica e la prosopopea nostrana celebra spesso gli Early Roman Kings
raccontandoci di quanto i nostri progenitori latini fossero un popolo
grandioso. Peccato che per conquistare mezzo mondo, anziché la parola
usassero il gladio. Inglesi, Francesi, Spagnoli, Belgi, Tedeschi,
Cambogiani, Cinesi, Olandesi, etc etc..non hanno certo perso occasione
ovunque siano andati a colonizzare...per seguirne le orme ai danni di
popolazioni impotenti (vogliamo parlare dei poveri tibetani o dei
palestinesi?). Infine ultima, ma forse più importante annotazione.
Diciannove anni fa scompariva un signore a me molto vicino, anche per
motivi personali. Sulla tragedia dei nativi americani ci realizzo' un
disco, mettendo la loro vicenda in parallelo con quella del popolo sardo
e scrivendo una canzone che per forza e intensità non ha nulla da
invidiare ai film di cui abbiamo abbiamo parlato. Lo avete capito tutti,
quel signore era Fabrizio De Andrè e la canzone si chiamava Fiume Sand
Creek. In un sito....musicale, mi pareva corretto ricordarlo. Cordiali
saluti, Giuseppe Enrico
Caro Giuseppe,
precisiamo prima di tutto che Alce Nero non è stato un grande capo
indiano, era solo un uomo di medicina (wicʿaša wakan o pʿejúta wicʿaša),
quello che in tutti i film veniva chiamato “stregone”, che appariva di
solito con in testa la pelle con le corna del bisonte ed il bastone con
i sonagli del crotalo in cima per scacciare gli spiriti maligni, presso
gli Oglala, una tribù della famiglia Lakota-Sioux, convertito al
Cattolicesimo verso il 1905. Nel 1892 Alce Nero si sposò con Katie War
Bonnet. Successivamente la moglie si convertì al cattolicesimo, e i loro
tre figli furono tutti battezzati come cattolici. Uno o due anni dopo la
morte della moglie, avvenuta nel 1903, Alce Nero si fece battezzare nel
giorno di San Nicola, proprio con il nome di Nicholas. Iniziò a prestare
servizio come catechista. Continuò a svolgere la missione di sciamano
tra la sua gente, non ravvisando nessuna contraddizione fra le
tradizioni del Wakan Tanka e il cristianesimo.
Alce Nero dichiarò di conoscere il credo niceno e inoltre affermò: “Io
credo nei sette sacramenti della Chiesa cattolica. Io stesso ne ho
ricevuti sei: battesimo, comunione, confessione, cresima, matrimonio ed
estrema unzione”. Per diversi anni ho accompagnato i missionari
cattolici che percorrevano la riserva annunciando Cristo al mio popolo.
Tutti i miei familiari sono battezzati. Per quasi vent'anni ho aiutato i
sacerdoti servendo a Messa e sono stato diverse volte catechista. Posso
dire perciò di conoscere la mia religione meglio di molti bianchi. Posso
spiegare le ragioni per cui credo in Dio. Nel 1905 si risposò con Anna
Brings White, vedova con due figlie. Ebbero altri tre figli; Alce Nero
rimase con la seconda moglie fino alla morte di lei, nel 1941.
Concordo anch’io con
Sir Eglamore nel pensare che oggi ci troviamo al centro di un gran
pasticcio mediatico a scapito di verità e cultura. Non possiamo dare la
colpa a qualcuno della tecnologia che ci ha portato su questi lidi
insani, le guerre comportano notevoli sviluppi in ogni campo le cui
conseguenze influenzano tutti i dopoguerra. L'origine di Internet risale
agli anni sessanta, su iniziativa degli Stati Uniti, che misero a punto
durante la guerra fredda un nuovo sistema di difesa e di
controspionaggio. Licklider e Clark, due ricercatori del MIT,
Massachusetts Institute of Technology, dettero anche un nome alla rete
da loro teorizzata: "Intergalactic Computer Network". Il progenitore e
precursore della rete Internet è considerato il progetto ARPANET,
finanziato dalla Defence Advanced Research Projects Agency (inglese:
DARPA, Agenzia per i Progetti di ricerca avanzata per la Difesa),
un'agenzia dipendente dal Ministero della Difesa statunitense
(Department of Defense o DoD degli Stati Uniti d'America). In una nota
del 25 aprile 1963, Licklider aveva espresso l'intenzione di collegare
tutti i computer e i sistemi di time-sharing in una rete continentale.
Avendo lasciato l'ARPA per un posto all'IBM l'anno seguente, furono i
suoi successori che si dedicarono al progetto ARPANET. La rete venne
fisicamente costruita nel 1969 collegando quattro nodi: l'Università
della California di Los Angeles, l'SRI di Stanford, l'Università della
California di Santa Barbara, e l'Università dello Utah. Tutto era pronto
per il fondamentale e cruciale passaggio a Internet, compreso il primo
virus telematico: il 27 ottobre 1980, facendo esperimenti sulla velocità
di propagazione delle e-mail, Arpanet venne totalmente bloccata a causa
di un errore negli header del messaggio. Definendo il Transmission
Control Protocol (TCP) e l'Internet Protocol (IP), DCA e ARPA diedero il
via ufficialmente a Internet come l'insieme di reti interconnesse
tramite questi protocolli.
Nel 1991 presso il CERN di Ginevra il ricercatore Tim Berners-Lee definì
il protocollo HTTP (HyperText Transfer Protocol), un sistema che
permette una lettura ipertestuale, non-sequenziale dei documenti,
saltando da un punto all'altro mediante l'utilizzo di rimandi (link o,
più propriamente, hyperlink). Inoltre, il 6 agosto Berners-Lee pubblicò
il primo sito web della storia, presso il CERN, all'indirizzo
http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html. Nel World Wide Web
(WWW), le risorse disponibili sono organizzate secondo un sistema di
librerie, o pagine, a cui si può accedere utilizzando appositi programmi
detti web browser con cui è possibile navigare visualizzando file,
testi, ipertesti, suoni, immagini, animazioni e filmati. Il primo
browser con caratteristiche simili a quelle attuali, il Mosaic, venne
realizzato nel 1993.
Il 30 aprile 1993 il CERN decide di rendere pubblica la tecnologia alla
base del World Wide Web in modo che sia liberamente implementabile da
chiunque. A questa decisione fa seguito un immediato e ampio successo
del World Wide Web in ragione delle funzionalità offerte, della sua
efficienza e della sua facilità di utilizzo. Internet crebbe in modo
esponenziale, in pochi anni riuscì a cambiare la società, trasformando
il modo di lavorare e relazionarsi. Ecco come oggi noi ci troviamo
schiavi ed impantanati in questa super tecnologia!
La fede è un dono di
Dio a tutti gli uomini, come dimodstra questa foto.
Come ho già detto non
credo che l’intento della Chiesa e di Bergoglio che ne è a capo sia
quello di chiedere in qualche modo scusa ai nativi americani facendone
santo qualcuno. Credo piuttosto che Alce Nero abbia svolto un’opera
importantissima in terre selvagge ed ostili e che si sia meritato il
titolo di Santo.
L’oppressione, da che mondo è mondo, è sempre stata di matrice di
violenza, qualunque popolo che conquistava o si impossessava di un
territorio ha sempre cercato di fare piazza pulita di coloro che lo
occupavano prima. Hagel e Nietszche con la loro troppa lucidità hanno
contribuito a far ancora più confusione, loro capivano ciò che dicevano,
ma chi li ascoltava non si impossessva del loro pensiero ma solo di
alcune frasi messe in evidenza dalla propaganda politica. Hagel col suo
pensiero darà origine al Marxismo, la teoria del superuomo di Nietzsche
verrà usata per turlupinare le masse con l’esaltazione del
pangermanesimo. I primi movimenti paramilitari nazisti, infatti, si
ponevano come gruppi armati principalmente xenofobi e repressivi,
ambiziosi di sovvertire gli assetti di potere della Germania del tempo
(tragicamente annientata sul piano economico e sociale da una guerra
spietata e perduta), conservando l’ideale supremo di ricostruire una
“nuova Germania”, esclusivamente composta da ariani germanici ed
eliminando, fisicamente, ogni barriera esterna o ostacolo umano reputato
inferiore, come ebrei, zingari, disabili, omosessuali e comunisti.
Tuttavia, le squadre militari naziste ed il loro capo ispiratore Adolf
Hitler, facevano riferimento ad una cultura già radicata da tempo in
Germania e alla quale Nietzsche, invece, come palesemente appare in
alcuni suoi contributi, si oppose con decisione: l’antisemitismo ed il
modello socio-politico del cosiddetto “pangermanesimo”. Nietzsche,
infatti, era, in verità, profondamente anti-germanico, egli riteneva che
il popolo tedesco fosse dominato da un’ideologia borghese e perbenista
non in linea con il suo modello antropologico del superuomo, e,
sorprendentemente, per alcuni aspetti, filo-giudaico. Nietzsche non
contestava affatto il popolo ebraico che considerava laborioso è
moralmente forte, a differenza dei cristiani, figli di una cultura
debole e tendente al piagnisteo facile: la celebre “morale degli
schiavi”.
L’Italietta Mussoliniana, nella sua povertà, non per questo scusabile,
cercò di applicare la teoria del “massimo risultato col minimo sforzo”,
cioè allearsi ai Tedeschi e lasciar fare tutto a loro, eseguindo alla
lettera gli ordini che arrivavano d’oltralpe. Nessuno ebbe il coraggio
di criticare Graziani che massacrava gli Abissini con i gas, andare
contro il Duce voleva dire avere a che fare poi con il Fuhrer!
Sul piano dei film non dobbiamo mai dimenticare che un film non ha delle
vere esigenze storiche e documentaristiche, un film è una storia
raccontata di solito a lieto fine per il protagonista, e l’America di
Hollywood, povera di passato e futuro, voleva vedere la sua grandezza
rappresentata nei film dove gli americani vincevano sempre e gli altri
le prendevano di santa ragione. Lo stesso “Soldato Blu” è la
trasposizione cinematografica del romanzo storico di Theodore V. Olsen,
"Arrow in the Sun", “Little Big Man” è basato sull'omonimo romanzo di
Thomas Berger.
Balla coi lupi (Dances with Wolves) è tratto dall'omonimo romanzo di
Michael Blake.
Sentieri Selvaggi è basato sull'omonimo romanzo di Alan Le May, che
condusse personalmente ricerche su 64 casi di bambini rapiti dagli
indiani. Si ritiene che il personaggio di Debbie sia ispirato a quello
di Cynthia Ann Parker, una bambina di nove anni rapita dai Comanche che
assaltarono la sua casa a Fort Parker nel Texas. Visse 24 anni con i
Comanche, sposò un capo ed ebbe tre figli, uno dei quali fu il famoso
capo Quanah Parker. Suo zio James W. Parker spese gran parte della sua
vita e della sua fortuna per ritrovarla, come Ethan nel film. Venne
infine liberata, contro la sua volontà, in un attacco del tutto simile a
quello descritto nel film.
Ombre Rosse è tratto dal racconto "Stage to Lordsburg" di Ernest Haycox,
a sua volta ispirato a "Boule de Suif" di Guy de Maupassant. La
pellicola segna il ritorno del regista al genere western dopo 13 anni.
Ma come dici giustamente anche tu, non serviva il cinema per capire la
crudeltà degli americani versi i nativi. Gli Americani avevavo bisogno
di scrivere una storia fatta di vittorie, non importava come ottenute,
contava solo vincere. Questo il motivo della perdita di identità
americana quando si accorsero che in Viet Nam non avrebbero mai vinto, e
ancotra oggi l’America non ha più fiducia nel proprio esercito.
Infine “Fiume Sand Creek”, grandissima canzone da attribuire non solo a
Faber ma alla
coppia Fabrizio De Andrè / Massimo Bubola. Ci furono polemiche al tempo
dell’uscita di questa canzone perchè alcuni critici pur di scrivere male
di De Andrè e Bubola dissero che c’erano delle forti somiglianze o
influenze con la canzone “Summer '68” dei Pink Floyd presente sull’album
“Atomic Mother Eath”. Comunque furono chiacchere da bar e tali rimasero.
Lasciami dire che
l’interessante discussione nata su queste pagine attorno alla probabile
santificazione di Alce Nero ci fa capire che il problema
dell’ingiustizia, della sopraffazione, della violenza sui deboli sono
ancora valori che fan parte del nostro bagaglio culturale da combattere
con ogni mezzo possibile. Con queste basi, forse un giorno, riusciremo a
liberarci dal pantano mediatico nel quale siamo intrappolati al momento. La
speranza è sempre l’ultima a morire, ed alla fine i personaggi
disgustosi e malvagi
perdono sempre. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Fabrizio De André, fiori sulla tomba
19 anni dopo la morte
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Sabato 13
Gennaio 2018
Talkin'
10343 - calabriaminimum
Ciao Mr.T., volevo dedicare un po' di
tempo alla nostra amica Carla, che ci segue sempre ed è molto attiva
sulla Farm.
Per Carla:
volevo suggerirti un critico che a mio parere su Dylan ha scritto cose
davvero interessanti: Paul Williams. In particolare il suo Bob Dylan:
Performing Artist (in tre volumi) è un testo che ogni appassionato di
musica popolare dovrebbe leggere. Bangs se non sbaglio durante la sua
carriera non ha mai apprezzato molto Dylan, si ricorda oltre al pezzo su
Joey Gallo che puoi trovare nel volume "Deliri desideri e distorsioni"
una celebre stroncatura di Blood On The Tracks, apparsa su qualche
testata in cui all'epoca collaborava. Marcus ha scritto diversi volumi
su Dylan: a me di lui piace molto l'aspetto antropologico e la capacità
di passare dalla musica alla letteratura.
Come critico musicale non è certo impeccabile: sono famose le sue
stroncature a dischi anche abbastanza importanti nella storia del rock.
Un libro che posso consigliarti è "Dylan. Disco per disco" a cura di Jon
Bream, edito da "Il castello". E' del 2016, quindi abbastanza completo.
L'ho trovato interessante perché oltre ad analizzare ogni singolo lavoro
di Dylan dal 1962 fino al 2015, riesce a dare una lettura e una
dimensione "polifonica" alla produzione discografica di Dylan. Lo fa
attraverso un gruppo eterogeneo di scrittori, critici musicali e
musicisti stessi che per l'occasione sono stati chiamati a dire la
propria su uno specifico disco di Dylan. Il lavoro che ne viene fuori è
secondo me appassionato e stimolante.
Bello e ricco anche a livello grafico e visivo, con alcune delle foto
più celebri di Dylan: te lo consiglio caldamente.
Un saluto e a presto!
Dario Twist of fate
Ciao Dario, sono certo
che Carla sarà contenta e farà tesoro dei tuoi consigli. Alla prossima
amico, liver long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Caro Mr.Tambourine,
innanzitutto buon anno e come sempre grazie per il tempo che dedichi al
sito e per le interessanti informazioni che pubblichi, come quelle su
“License to kill”, che è una delle canzoni che preferisco di Dylan. Lo
so, è una scelta anomala: teoricamente il miglior Dylan sarebbe altrove,
ma se “License to kill” non smette mai di ammaliarmi, neanche dopo un
milione di ascolti, che ci posso fare?
Come ho già avuto modo di dirti in passato, non sono invece d’accordo
nel considerare mediocre l’album natalizio di Dylan: ascoltare
quell’album è come avere Dylan a casa per le feste, col suo strampalato
berretto in testa, e il suo - inconsueto - sorriso sornione. Non lo
ritengo un brutto album e anzi, mi pare ci sia la volontà di fare un
buon prodotto, aldilà del fatto che stiamo parlando di cover natalizie
trite e ritrite. Ogni canzone proposta da Dylan ha un incredibile,
imprevisto fascino, aldilà del fatto che da Dylan ci si aspetta sempre
qualcosa di unico e non banali canzoncine da recita di Natale. Non si
può accusare Dylan di essere troppo distaccato e freddo con fans e
ammiratori e contemporaneamente colpevolizzarlo per un album come
“Christmas in the Heart”… Con “Chrismas in the Heart” Dylan si propone a
noi in modo differente, come un vecchio amico che non vedi da tempo che
ritrovi sotto casa la vigilia di Natale, avvolto nel suo cappotto, e non
c’è bisogno di domandarsi cosa ci faccia lì proprio adesso: sei felice
di vederlo, lo abbracci e lo fai entrare. Tutto qui.
Togliendomi un sassolino dalla scarpa vorrei dire la mia anche sul tizio
(il nome lo ometto volutamente) che su “linkiesta” bistratta Dylan e il
suo discorso al Nobel. Dylan si può criticare per tante cose, ci
mancherebbe altro, ma per criticare occorre conoscere, e il tizio in
questione non conosce un bel niente, di Dylan e di tante altre cose.
Cita Dylan, cita altri autori, ma di suo cosa dice? Solo inutile
spazzatura. Critica Dylan esclusivamente perché così facendo sa che
riceverà una (effimera) visibilità. Non è quindi niente altro che un
parassita aggrappato disperatamente a Dylan, consapevole che solo
parlando (male) di Dylan può vivere una qualche sorta di visibilità a
lui (giustamente) negata. Non sono Dylaniano a prescindere, posso anche
trovare e ho trovato critiche a Dylan interessanti e intelligenti, ma di
certo non è il caso dell’articolo su “linkiesta”.
Infine una considerazione sui Nativi Americani e sulle interessanti
osservazioni lette sul sito di recente…
Non credo che Alce Nero apprezzerebbe l'eventuale santificazione. Posso
però (ingenuamente?) ritenere che l’eventuale santificazione possa
essere un modo tardivo di riconoscere il male fatto agli Indiani
d’America e scusarsi (auspico sinceramente) con loro. Dopotutto si fa
beato o santo anche chi è stato martirizzato, e direi che i Nativi
Americani sono stati decisamente martorizzati. Tale martirio non è certo
colpa esclusiva di missionari e/o cattolici dell’epoca coinvolti, ma di
certo anche loro ebbero un ruolo nello spietato sterminio sistematico di
un popolo. Chiaro che se non si crede nella buona fede di Papa
Bergoglio, si può anche storcere il naso e non apprezzare il gesto,
ritenendolo esclusivamente un modo come un altro per far sembrare che “i
tempi stanno cambiando” anche per la Chiesa cattolica.
Ricordo un viaggio che feci in America e che mi portò, tra gli altri
posti visitati, anche in una riserva indiana. Nelle informazioni che
avevo raccolto prima di partire, si parlava di un percorso intorno ad un
canyon che si poteva fare a piedi, previa autorizzazione sul posto.
Arrivati alla riserva chiedo alla Guida Indiana se si potesse fare quel
percorso, ricevendo per tutta risposta un secco “No.”Mi ritrovo così a
pensare: “Ok, sono un viso pallido, hai tutti i motivi del mondo per non
giudicarmi simpatico, però giuro che non ho mai fatto fuori nessun
Indiano e anzi, sono un sincero ammiratore di Cavallo Pazzo, di Alce
Nero e del Vostro Popolo, ed è per questo che sono qui adesso.” La Guida
Indiana mi legge direttamente nel pensiero e risponde: “Il sentiero è
chiuso. C’é stato un incendio e ha bruciato tutto. Mi dispiace.” E io
dico a me stesso: “Grande Capo, dispiace anche a me… Per tutto quello
che Vi è stato fatto, per tutto quello che Vi è stato tolto.” Lo penso
soltanto, tanto Lui mi legge nuovamente nel pensiero, e mi saluta
dicendo: “Se un giorno tornerete, e il sentiero sarà percorribile, sarò
lieto di accompagnarvi.” Nei suoi occhi, nel suo sguardo fiero e
malinconico, c’era dentro tutta la Storia degli Indiani d’America.
Per quanto riguarda i libri sugli indiani, mi permetto di suggerire:
Crazy Horse di M.Sandoz
Gli Spiriti non dimenticano, di V.Zucconi
Toro Seduto, di E.LaPointe
Geronimo, di R.M.Utley
Per quanto riguarda i film sugli Indiani d’America, “Piccolo Grande
Uomo” è sicuramente un ottimo film, ma sono d’accordo con chi in una
mail qui pubblicata (Giuseppe?) lo ritiene una ‘rappresentazione
bozzettistica e cabarattistica’ e, anche per questo, il messaggio del
film risulta meno forte di quel che dovrebbe essere.
Tutt’altra rappresentazione è quella proposta in “Soldato Blu”: un
tremendo, terrificante nella sua cruda realtà, pugno nello stomaco.
Ai film già citati, aggiungerei anche:
“Corvo Rosso non avrai il mio scalpo”
“Buffalo Bill e gli indiani”
“Un uomo chiamato cavallo”
E, aldilà delle interessanti e corrette osservazioni fatte da Giuseppe,
ci metterei anche “Sentieri Selvaggi”, perché voglio credere a John Ford
quando dichiarò che il film era un suo personale “risarcimento” verso
gli Indiani. Nei film di Ford, come in tutti i film western dell’epoca,
gli indiani erano poco più che selvaggi ululanti da abbattere come
birilli, mentre in “Sentieri Selvaggi” quantomeno si mette in
discussione il punto di vista del protagonista Wayne/Ethan che
inizialmente vorrebbe uccidere la nipote piuttosto che saperla Comanche.
In ogni caso, la scena finale di “Sentieri Selvaggi” rimane una delle
più intense dell’intera storia del cinema.
Volendo ci si potrebbe sbizzarrire e trovare altri riferimenti
cinematografici che in qualche modo ricordano/onorano gli Indiani
d’America, ad esempio:
“Il coraggioso - The Brave”, film di/con Johnny Depp. Il film ha
ricevuto recensioni non troppo benevole quando non del tutto negative.
In parte è vero che è un film che non si capisce dove voglia andare a
parare e la cui storia può risultare disturbante, ma ho trovato molto
realistica (purtroppo) la rappresentazione del modo in cui tanti Nativi
Americani sono costretti a vivere oggi: in arrugginite catapecchie in
mezzo al nulla, avvolti dalla polvere.
“Dead Man” di Jim Jarmusch, con Johnny Depp
“Verso il sole” di Michael Cimino
Chiuderei con un episodio accaduto nel lontano 1992 durante le
celebrazioni dell’anniversario della “Scoperta” dell’America: un Indiano
d’America, appena atterrato in Spagna (o forse era il Portogallo, non
ricordo) piantò un bastone per terra dichiarando: “Ho scoperto
l’Europa…”. Come dargli torto?
Marco_on_the_tracks
Caro Marco, ti
dirò che a me non dispiace affatto se a te "Christmas in the hearts"
piace e ti concilia pace e sentimenti d’amicizia e simpatia. Io la penso
in modo diverso su quell’album ma questro non significa niente, è solo
una questione soggettiva e di gusti diversi. Tutti, ma proprio tutti, i
nostri amici Maggiesfarmers hanno il loro album preferito e quello che a
loro non piace, è la normalità, niente per cui stupirsi, così come non
ci stupiamo più quando Dylan sale sul palco e sembra che canti facendo
un favore a dei poveri esseri normali che non meritano nemmeno di essere
salutati, guai se poi scappa loro di fargli una fotografia. A me
questo sembra un paradosso anche per la riservatezza dylaniana (che è
riservato quando fa comodo a lui, invece quando decide di appoggiare le
stronzate e le cattiverie di Bob Newhith per offendere qualcuno allora
va bene essere meno riservati. Ti dirò che è stgrano, perchè Io ho
conosciuto di persona Bob Newhirt ed ho cantato sul palco con lui e Ruth
Gerson Like e Rolling Stones e non ho assolutamente avuto l’impressione
che fosse quel maleducato irriverente perfido che tanti critici hanno
detto parlando di lui. Lo ricordo come un tipo abbastanza solitario, se
ne stava sempre per i fatti suoi con la sua 12 corde in spalla nella
custodia a zaino, parlava poco ma non perchè fosse timido, credo fosse
il suo carattere, se poi, sforzato da Dylan che aveva bisogno di
liberarsi della presenza di qualche persona nel suo entourage agiva in
modo diverso potrebbe essere anche possibile, ma ripeto, l’impressione
che ne ebbi io in quei pochi giorni che passammo insieme fu positiva,
quindi non riesco mai a capire quando leggo della sua capacità di essere
pungente nella satira, mi sembra che si stia parlando di due persone
diverse). Avrai capito che la faccenda delle foto e del silenzio sul
palco non la apprezzo e non la condivido, anzi, mi fa dispetto vedere
una persona come Dylan agire nell’indifferenza totale rispetto al suo
pubblico, al quale concede un minuto di applausi prima di lasciare il
palco. Forse Dylan sarà nel giusto agendo così, ma io non lo capisco,
non riesco a trovare ragioni logiche a questo comportamento. Ho appena
visto in TV il concerto di Vasco Rossi davanti ad oltre 200.000 persone
al Modena Park e quando le telecamere inquadravano il pubblico si
vedevano migliaia di flash provenienti da fotocamere o cellulari, ma
Vasco non è morto e non si è sentito minimamente disturbato da tutto
questo. Forse ha un metro diverso da quello di Dylan per misurare il
pubblico.
Christmas in the hearts non mi affascina particolarmente, a volte la
voce di Dylan è suggestiva e gli arrangiamenti festosi ed amichevoli,
può essere anche piacevole ascoltarlo qualche volta, ma con Bob Dylan
non c’entra proprio niente, probabilmente Dylan voleva divertirsi e
rilassarsi un pò ed ha avuto l’occasione di farlo mentre incideva questo
disco. Ma, come al solito, questa è soltanto la mia opinione, che per
alcuni può valere e per altri essere una scemenza.
Invece concordo con te, parola per parola, nel tuo giudizio su quel
tizio che scrive su “linkiesta”, omettiamo una volta in più il nome
perchè non ha la minima importanza, dico solo che mi spiace per lui
poverino, la compassione e la pietà umana è un sentimento che non si
nega a nessuno!
Invece non concordo con te quandi dici che Alce Nero non apprezzerebbe
la santificazione, e perchè non dovrebbe apprezzare? Perchè la sua
elevazione alla gloria degli altari dovrebbe essere una specie di
maniera per chiedere scusa del male fatto ai nativi americani? Non penso
sia così, Alce Nero è stato battezzato e si è dato da fare per portare a
tutti i suoi la parola di conforto di Dio. D’altro canto non sarebbe il
primo nativo americano ad essere proclamato santo, è stato preceduto (
se sarà fatto santo) da Kateri (Caterina) Takakwitha che è la prima
santa pellerossa d'America.
La sua breve vita (1656-1680) fu segnata
dalla diversità. Era, infatti, figlia di una coppia mista: padre
irochese pagano e madre algonchina cristiana. Poi venne sfigurata dal
vaiolo. Battezzata ad Albany da missionari francesi, scappò in Canada
per sfuggire alle ire dei parenti pagani. Qui visse nella preghiera e
nella castità e morì all'età di soli 24 anni. Beatificata da Giovanni
Paolo II il 22 giugno 1980 ed infine fu canonizzata da Benedetto XVI il
21 ottobre 2012. Se ti interessa la sua storia completa la puoi leggere
qui;
http://www.santiebeati.it/dettaglio/49325
Quindi la Chiesa Cattolica ha già una santa pellerossa fra lo stuolo dei
beati, a che gli servirebbe averne un altro? Nicholas Alce Nero ha
passato gli anni della sua vecchiaia a battezzare centinaia di Sioux, ad
insegnar loro il catechismo e l’umiltà, quindi perchè no?
Quell’indiano
che piantò in terra un bastone dicendo di aver scoperto l’Europa è stato
un vero Gallo!!!!!!!
Grazie per averci scritto i tuoi pensieri sugli argomenti trattati nella
tua mail, alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Venerdì 12
Gennaio 2018
Talkin'
10341 - paulclayton
Oggetto: Soldier Blue
Caro Tamburino,
la canonizzazione di Black Elk va sicuramente inquadrata secondo la
prospettiva efficacemente illustrata da Giuseppe, ma è proprio il fatto
che si tratti di una questione mediatica, come lui del resto ammette, a
lasciare perplessi. Per il massimo sacerdote di una tradizione liturgica
plurimillenaria credo sarebbe più consono esprimersi a livello
teologico, piuttosto che usare il linguaggio dei format televisivi.
Questo processo di omogeneizzazione, tanto caro ai politicamente
petalosi, per cui le differenze (fra razze, sessi, religioni, menu e
souvenir) vanno scomparendo mi fa venire l’orticaria. Bergoglio ne è il
tipico esempio. Io personalmente continuo a credere che fra uno sciamano
e Padre Pio non ci sia proprio nulla a che spartire. Ma questa è la mia
sensibilità, forse a qualcuno piace sentirsi cittadino del mondo e
girare per città fotocopiate, incontrando un’umanità fotocopiata.
Invece poi per fortuna esistono dati oggettivi, come per esempio la
cattiva qualità del film, ampiamente sopravvalutato, intitolato Soldato
Blu. Questo film ha il solo merito di avere invertito la tendenza.
Punto. Basterebbe la locandina per esprimere un giudizio.
Imbastito sulla trita e ritrita
storia d’amore fra due persone (bianche naturalmente) che si trovano sui
lati opposti della barricata, questo film vuole raccontare lo sterminio
degli Indiani (o forse dei Vietcong?), ma lo fa con una retorica e una
superficialità superiore a quella dei film di John Wayne, con cui per
altro condivide l’approssimativa iconografia del pellerossa, ovvero il
selvaggio pirla. In un tripudio di parrucconi neri, di muscolosi capi
indiani con il segno della barba e di violenze gratuite e mal girate,
l’Indiano in due ore di film non si vede proprio.
In un Uomo chiamato Cavallo che
risulta invece essere un film discreto, c’è una maggiore attenzione,
però anche qui: tantissime penne, ma l’Indiano in definitiva non c’è.
Indians, sulla triste fuga verso il Canada di Chief Joseph, pure non era
malaccio, ma molto povero.
In tempi più recenti Balla coi lupi ha avuto il merito di guardare ai
costumi con un approccio filologico, anche se con disponibilità
finanziarie limitate. La scena della caccia al bisonte è memorabile, ma
insufficiente a farne un bel film. E anche qui, malgrado gli sforzi, il
vero Indiano latita. Dato che in un film americano non può mancare la
figura del cattivo, Costner è riuscito a inventarsi una tribù perfida,
in contrapposizione alla bontà angelica dei Sioux. Le sfumature infatti
non sono previste dal cinema americano, possono solo fare confusione. Di
questo film è imperdibile la “recensione” fatta da Giorgio Gaber:
https://www.youtube.com/watch?v=uvEb9lSyiEs
Il Piccolo Grande Uomo invece, scegliendo di usare il salvagente
dell’ironia per non sprofondare nella melma della retorica, coglie nel
segno, toccando alcuni degli aspetti più importanti del misticismo
visionario e naturalistico dell’Indiano delle Pianure e di quella
percezione della realtà che noi positivisti giudichiamo alterata, ma che
i seguaci di Dioniso direbbero ispirata. Divertente e allo stesso tempo
illuminante è la scena del vecchio capo cieco che, memore di un sogno
premonitore, attraversa il campo di battaglia credendo di essere
invisibile e in effetti viene ignorato dai soldati; e ancor più quella
in cui il vecchio decide di morire e salire sulla collina, per poi
discenderne, fradicio per l’acquazzone e un po’ deluso, ammettendo che
non sempre la magia funziona.
La scena del massacro sul Washita, per altro fedelmente ricostruito, è
emotivamente coinvolgente senza mai scadere nel cattivo gusto, con il
tragico contrappunto della banda militare che, durante la mattanza, è
intenta a suonare l’allegra Garry Owen, la canzone scozzese preferita da
George Armstrong Custer, per altro nel repertorio di Oscar Brand, che
l’ha eseguita proprio nella puntata del suo The World of Folk Music
radio show in cui ospitò Bob Dylan (eseguì Only a Hobo e Girl from the
North Country). Anche i costumi sono più che dignitosi.
A dire il vero c’è un altro film bello sui nativi americani, anzi
bellissimo. Si tratta di un film anomalo e poco conosciuto, un film
canadese ambientato duecento anni prima dell’epopea del Far West, un
film crudo e realistico che si interroga sull’opportunità
dell’evangelizzazione delle popolazioni indigene da parte dei missionari
cattolici, il titolo è Manto Nero".
Sir Eglamore.
Caro Sir Eglamore, lasciami cominciare
a dire il mio POW. Io ritengo che ci possa essere santità, umiltà,
religiosità in ogni essere umano, a dispetto della religione, della
razza, dell'origine e del tempo. La storia ci narra di moltissimi
personaggi del passato che sono state persone probe pur non avendo
potuto conoscere Dio, Gesù, la Santissima Trinità, i Sacramenti e tutto
quello che era ed è il bagaglio di cose che sono le fondamenta sulle
quali poggia tutto l'edificio (scusa la brutta espressione) della
religione cattolica. Margherita Hack in un suo libro del quale non
ricordo il nome, diceva che il sacrificio di Gesù non sarebbe valido per
chi è vissuto prima della sua nascita. Milioni di persone non hanno
potuto conoscere Cristo ed il suo verbo, e questa, sempre secondo
Margherita Hack, sarebbe la profonda ingiustizia che prova l’assurdità
delle teorie cristiane. La Chiesa ribattè che la critica che la Signora
Margherita Hack rivolgeva al cristianesimo era in realtà molto ma molto
più antica, e non è certo una novità, anzi è una delle prime
critiche-domande rivolte al cristianesimo riassunte in un interrogativo
che attraversa i primi secoli cristiani era: cur tam sero? Perchè tanto
tardi? Ed è anche la conseguenza della realtà storica di Gesù e della
sua morte. Se è un fatto storico, e non una vaga leggenda (il classico
«c’era una volta...»), vi è necessariamente un prima e un poi. I primi
cristiani non hanno eluso questa domanda che non dimostra affatto
l’assurdità del cristianesimo, ma piuttosto la sua provvidenziale
complessità.
Fin dagli inizi l’evento Cristo è stato compreso con valenza universale,
prima di tutto proiettato verso il futuro: il cristianesimo non è un
fatto interno dell’Ebraismo, anche se storicamente ne costituisce la
culla, ma interessa tutti gli uomini. Non solo verso il futuro però, ma
anche con lo sguardo verso il passato. L’evento Cristo è cosmico e
riguarda l’umanità come tale. Secondo il Nuovo Testamento la redenzione
non è un mito gnostico, ma si concretizza in un evento storico, poichè
la storia è il terreno degli uomini («patì sotto Ponzio Pilato...»)
evento che rivela il progetto salvifico di Dio che inizia nella
creazione e tende alla «ricapitolazione di tutte le cose in Cristo»,
quando Egli «tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti».
Questo progetto divino si è rivelato solo ora, cioè con il Cristo
storico, o in qualche modo si è fatto conoscere anche prima, sia pure in
forma incompleta? E gli uomini vissuti prima di Cristo ne sono stati in
qualche modo partecipi?
Gli antichi padri ebrei ne erano senz’altro partecipi. L’Antico
testamento viene reinterpretato alla luce di questo piano divino. È
quanto leggiamo negli Atti degli Apostoli nel discorso di Pietro, di
Stefano, di Paolo ad Antiochia di Pisidia. Come Adamo è esemplare per
tutti gli uomini, così lo è Cristo risorto: «Poichè, se per un uomo
venne la morte, per un uomo c’è anche la resurrezione dei morti; e come
tutti muoiono in Adamo così tutti saranno vivificati in Cristo» . E
inizia anche una lettura positiva dell’atteggiamento religioso dei non
ebrei: Paolo all’areopago di Atene.
Questo cammino, pieno di se e di ma, continua nella letteratura
cristiana antica. È necessaria una precisazione: questi autori non
parlano di una positività delle religioni non cristiane, che anzi
vengono respinte, ma della presenza di elementi validi nella vita e
filosofia dei pagani come segno di una presenza già attiva di Cristo
nella storia: è la teoria dei «semina verbi» i semi, cioè di quel Verbo
che matureranno nella pienezza dei tempi. Uno dei primi padri apologisti
del cristianesimo, San Giustino, diceva: «Ci è stato insegnato che
Cristo è il primogenito di Dio, e abbiamo già dimostrato che egli è il
verbo di cui fu partecipe tutto il genere umano. E coloro che vissero
secondo il verbo sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come
tra i Greci, Socrate ed Eraclito e altri come loro ... cosicchè anche
coloro che erano nati prima ed erano vissuti non secondo il lverbo,
furono malvagi e nemici di Cristo e uccisori di quanti vivevano secondo
il verbo: quanti invece sono vissuti e vivono secondo la parola di
cristo sono cristiani impavidi e imperturbabili». (Prima Apologia,
n.46). Per San Giustino vivere secondo il verbo significa vivere secondo
ragionevolezza e coscienza poiche queste sono riflesso del Logos eterno,
che è Cristo, rivelazione del Padre.
La dottrina teologica dei «semina verbi», fondata nella Sacra Scrittura,
ha avuto una lunga storia, da Sant’Agostino al Vaticano II che insegna a
scoprire positivamente sia nella storia che nella natura i «segni» della
presenza di Cristo: Una lettura tutt’altro che semplice e facile, anzi
piena di difficoltà (pericolo di sottovalutare la novità di Cristo, del
relativismo religioso, della necessità delle evangelizzazione..), ma
affascinante e che rende i cristiani consapevoli che l’evento Cristo è
più grande di ogni sua concretizzazione storica. Egli è davvero l’Alfa e
l’Omega, il Principio e la Fine ...a Lui appartengono i secoli (Veglia
Pasquale).
La fede della Chiesa nella salvezza universale di Cristo è espressa
anche in un articolo del credo apostolico (quello usato dal Catechismo
della Chiesa Cattolica) quando professa «...discese agli inferi...» La
frase si riferisce prima di tutto alla morte «reale» di Gesù che come
ogni uomo mortale scende negli inferi secondo l’immagine usata dagli
antichi. Ma vi scese come vincitore della morte (liturgia del sabato
santo) per liberare tutti coloro che avevano sperato in lui, anche senza
conoscerlo, vivendo con bontà e onestà. L’espressione «scendere agli
inferi» che può evocare immagini legate a miti pagani (Enea che scende
nell’ade...) deve essere ben capita. La sacra Scrittura usa immagini
legare alla cultura del tempo che vanno, come si usa dire, decodificate,
per prenderne il vero messaggio: Cristo nella sua resurrezione supera le
categorie del tempo e dello spazio e consente a «tutti» i figli di Adamo
di diventare figli di Dio: «Cristo, dunque è disceso nella profondità
della morte affinchè i morti udissero la voce del Figlio di Dio» e
ascoltandola vivessero: Gesù, l’autore della vita ha ridotto
all’impotenza mediante la morte, colui che della morte ha il potere,
cioè il diavolo, liberando così tutti quelli che per timore della morte
erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Doverosamente precisato questo ecco che diventa "normale" che uno
stregone pagano, vissuto con bontà e principi umanitari possa essere
accostato non solo a Padre Pio ma anche a tutta quella schiera di
persone che hanno dedicato la loro vita al bene del loro prossimo.
Inoltre se oggi Bergoglio usasse il linguaggio aulico di molti dei suoi
predecessori sarebbe criticato e giudicato personaggio del passato non
adatto al Pontificato attuale. Bergoglio avrà qualche sua convinzione
personale e non rispetterà il rigido (e anticamente assurdo) cerimoniale
vaticano, ma lui sta parlando alla gente comune, quelli come noi che
preferiscono le parole semplici ai discorsi farciti di paroloni che non
ti fanno capire il senso di quello che l'altro sta dicendo. Oggi il
mondo è globale non solo commercialmente, tutta una nuova messe di
regole e di abitudini stanno nascendo anche dal punto di vista culturale
e religioso, il mondo di oggi non è solo il mondo del commercio, sarebbe
veramente riduttivo avere un'idea simile, il mondo è in costante
cambiamento, proprio come dice Dylan, The Times They Are A-Changin' e
Things Have Changed. Anche Dylan ha attraversato diverse fasi cercando
di prevenire, o almeno stare alla pari con i tempi, per non venire
sorpassato e dimenticato, e questa non è preveggenza, è soltanto
intelligenza.
Passando a "Soldato Blu" credo non si possa stroncare un film solo
perchè Hollywood ha fatto una locandina imbecille. Per coloro che non
hanno visto il film o non si ricordano più la trama e gli intenti
riassumo brevemente di seguito:
Sand Creek, 1864. Un
convoglio americano, diretto a Fort Reunion, che trasporta una cassa di
denaro destinata alle paghe dell'esercito e una ragazza, Katy, catturata
due anni prima dai Cheyenne, viene attaccato dagli indiani e nello
scontro che ne segue 22 soldati perdono la vita e gli unici superstiti
sono Katy e un giovane soldato di nome Honus Gent, i quali trovano
rifugio su una collina. Dopo che gli indiani si sono allontanati i due
discendono, scoprendo che l'oro trasportato è stato rubato. Honus
vorrebbe pregare per i morti, alcuni dei quali mutilati e scotennati, ma
Katy lo schernisce, iniziando a chiamarlo "soldato blu", e difende i
Cheyenne, sostenendo che tali comportamenti sono stati insegnati loro
dai soldati americani, e informandolo di essere stata la moglie del loro
capo, Lupo Pezzato.
Mentre i due si dirigono verso il forte, dove il fidanzato di Katy la
sta aspettando, i due discutono circa la presenza dei soldati in quelle
terre. Honus afferma che gli indiani sono dei selvaggi, basti pensare a
ciò che hanno fatto ai suoi compagni, Katy invece controbatte affermando
che gli indiani presto verranno sterminati e raccontando al soldato le
atrocità che ha visto compiere dai bianchi, durante un attacco ad un
campo indiano. Honus non le crede, convinto che le sue siano solo
menzogne.
Durante il tragitto, Honus perde un calzino e, mentre lo cerca, viene
circondato da un gruppo di indiani Kiowa; la sorte dei due sembra
segnata, ma Katy insulta il loro capo, il quale, sentendosi oltraggiato,
sfida Honus in un duello con il coltello. Il soldato esce vincitore,
rifiutandosi però di finire l'indiano ferito; questo viene accoltellato
dai suoi compagni che immediatamente si allontanano. Dopo l'accaduto
Katy per la prima volta chiama Honus per nome, ma il ragazzo, ancora
scosso per gli ultimi eventi, getta i calzini che lo avevano tradito e
si incammina da solo, senza aspettare Katy che è costretta a correre per
raggiungerlo. L'amicizia tra i due cresce sempre più, in particolare
quando Honus caccia una lepre selvatica che permette loro di mangiare
carne dopo molto tempo. Un'alluvione fa perdere ai giovani il fucile e
alcune provviste.
Poco tempo dopo, trovano un fuoco acceso e un carro appartenente al
losco Isaac Cumber (Isacco Comer, un mercante ebreo come si evince dal
nome e cognome). L'uomo li accoglie spacciandosi per un normale
mercante, ma il soldato sospetta che egli venda nascostamente fucili
agli indiani. Katy cerca di dissuadere Honus dall'ispezionare il carro,
ma alla fine confessa al soldato di aver già visto il mercante due
volte, quando era al campo dei Cheyenne. Honus l'accusa di tradimento,
ma lei risponde che preferirebbe essere una Cheyenne piuttosto che un
soldato di un esercito assetato di sangue. Honus riprende a cercare e,
dopo una breve perquisizione, trova il doppiofondo con molti fucili
destinati agli indiani. Isaac lo sorprende e fa prigionieri i due.
Una volta che Isaac si è allontanato Honus riesce a rompere con i denti
la corda che lega Katy e, prima di allontanarsi, brucia il carro,
distruggendo i fucili; il mercante, vedendo il fumo e sentendo le
munizioni esplodere, torna indietro e ferisce Honus a una gamba con un
colpo di fucile. Comincia un palpitante inseguimento, Katy con un trucco
riesce a rallentare il mercante che però non smette di inseguirli,
aiutato dalle tracce di sangue che Honus lascia lungo il tragitto. Allo
stremo delle forze il soldato sviene e cade da cavallo, Katy smonta per
soccorrerlo e l'animale fugge. Rimasti a piedi, Katy è costretta a
portare Honus in una grotta e a cancellare le tracce con degli arbusti;
Cumber sopraggiunge nel luogo dove sono nascosti ma, non vedendo tracce,
si allontana. Una volta salvi Katy si prende cura di lui e medica la
brutta ferita di Honus. Al risveglio del soldato entrambi si scoprono
innamorati e Katy regala ad Honus il dono d'amore che le aveva dato Lupo
Pezzato; la mattina dopo, però, Katy se ne va da sola, per giungere
prima a Fort Reunion e mandare dei soldati a prendere Honus ancora
convalescente.
La ragazza viene trovata dall'esercito e condotta al cospetto del
comandante del presidio, il colonnello Iverson. Qui ritrova il
fidanzato, il tenente McNair; durante il loro breve incontro la donna
scopre che i soldati conoscono il luogo dove gli indiani sono accampati
e che il mattino dopo attaccheranno il villaggio. Prendendo un cavallo
con uno stratagemma, Katy si precipita ad avvisare Lupo Pezzato del
pericolo, pregandolo di allontanarsi. Egli crede al trattato di pace
stipulato con i bianchi e, contrariamente ai suoi compagni che
vorrebbero combattere, sceglie di rimanere sul luogo per parlamentare
con i soldati.
Honus nel frattempo ritrova il cavallo che era fuggito e raggiunge il
reparto, ormai giunto nei pressi del campo Cheyenne. Il giovane soldato
cerca in tutti i modi di persuadere il colonnello, chiedendo di non
attaccare l'accampamento, ma questi non intende modificare i suoi piani
e il mattino dopo, nonostante la bandiera bianca sventolata da Lupo
Pezzato, ordina l'attacco. Dopo un breve scontro, Iverson, ferito a un
braccio proprio da Lupo Pezzato, ordina di spianare il villaggio, dove
sono rimasti solo donne e bambini.
I soldati, sotto gli occhi sconvolti di Honus, disgustato dal massacro
in atto, devastano ciò che resta degli occupanti il villaggio,
violentando le donne, uccidendo i bambini e facendo scempio dei cadaveri
e, una volta che l'azione ha termine, Honus rivede Katy, la quale tiene
in braccio una bambina Cheyenne, ormai morta. La ragazza, ricordando il
loro primo incontro, gli chiede se ora non intenda pregare per questi
morti dicendo qualche bella frase. L'unica risposta è il vomito del
soldato alla vista dei tanti corpi martoriati.
Il reparto, dopo avere ricevuto le congratulazioni del colonnello, si
allontana e i due si rivedono un'ultima volta mentre Honus viene
trascinato in catene, insieme ad altri soldati che si sono rifiutati di
partecipare al massacro, e Katy viene avviata alle riserve insieme ad
alcuni bambini scampati. Prima dei titoli di coda, la voce fuori campo
descrive il vero avvenimento storico che ha ispirato il film.
"Il 29 novembre del 1864, un reparto di 700 cavalleggeri del Colorado
Cavalleria, attaccò un pacifico villaggio Cheyenne a Sand Creek, nel
Colorado. Gli indiani sventolarono la bandiera americana e la bandiera
bianca in segno di resa. Nonostante questo il reparto attaccò,
massacrando 500 indiani; più della metà erano donne e bambini. Oltre 100
furono scotennati, molti corpi furono squartati, molte donne vennero
violentate. Il generale Nelson Miles, capo di stato maggiore
dell'esercito, così definì questo tremendo episodio: “È forse l'atto più
vile ed ingiusto di tutta la storia americana”.
Quando il film venne girato, gli Stati Uniti erano impegnati nella
contestata Guerra del Vietnam, e molti critici ci videro un riferimento
al famoso massacro degli abitanti del villaggio vietnamita di My Lai ad
opera dei soldati statunitensi della Compagnia C, 1º Battaglione, 20º
Reggimento, 11a Brigata della 23ª Divisione di Fanteria dell'esercito
statunitense, agli ordini del tenente William Calley, che uccisero 347
civili inermi e disarmati, principalmente vecchi, donne, bambini e
neonati, abbandonandosi anche alla tortura e allo stupro degli abitanti.
Il massacro avvenne il 16 marzo 1968 . "Soldato Blu" alla sua uscita, e per molto tempo
ancora, creò parecchio scalpore, in quanto denunciava le ipocrisie e
le menzogne che avevano costituito la storia della fondazione degli Stati Uniti,
con particolare attenzione alla politica ed ai metodi adottati nei confronti dei Nativi americani, e
perché in maniera non del tutto velata, criticava la Guerra del Vietnam,
denunciando la falsità e l'ipocrisia della società statunitense degli
anni Sessanta e Settanta in merito a tale guerra, tanto da diventare un
manifesto di protesta della generazione che non si identificava con la
società e la cultura dominante in America, e contribuendo ad alimentare
un profondo dibattito storico-culturale e sociale, sia negli anni
Settanta, sia nei periodi successivi. " Soldato Blu" non era un
documentario. era solo un film di denuncia ispirato al romanzo storico
di Theodore V. Olsen, "Arrow in the Sun", a sua volta ispirato ai reali
eventi del massacro di Sand Creek. Hollywood ne fece un film, e come
tutti i film contiene lati di cruda verità e lati esclusivi dello stile
melenso hollywoodiano, ma questo non basta a stroncare il film.
Per quanto riguarda "Balla coi lupi" Kostner ha interpretato forse un
personaggio un pò fantasioso, ma quanti "visi pallidi" vissero e
passarono dalla parte degli indiani in quei terribili tempi?. La tribù
dei Sioux Lakota con la quale John Dunbar, alias Dances with wolves,
alias in lingua Lakota Šuŋgmánitu Tȟáŋka Ób Wačhí, è un gruppo di
indiani braccati dai soldati della cavalleria americana e quindi
costretta a scappare e nascondersi da questi nuovi predatori così
numerosi che non esiste possibilità di difesa o di arginarne l'avanzata
nelle terre indiane. Non dimentichiamo che le tribù indiane erano
storicamente nemiche, i guerrieri vivevano oltre che di caccia al
bisonte anche di scorrerie e ruberie nei riguardi delle altre etnie,
quindi non direi che i Lakota erano quelle mammolette dalla bontà
angelica come dici tu.
"Piccolo Grande Uomo"
è tipicamente un film hollywoodiano nel vero senso della parola, con
personaggi volutamente estremizzati, suprattutto Custer nella scena
quando, prima della battaglia, chiede consiglio sul da farsi al
"mulattiere" Dustin Hoffman, tra lo storico ed il ridicolo, in questo
devo darti ragione, anche se in complesso è un film che è possibile godersi
tranquillamente spaparazzati sul divano, non ha grosse pretese e grandi massaggi al suo interno,
è puro "entertainment" con un bravissimo Hoffman.
"MANTO NERO", tratto
dal romanzo "Black Robe" di Brian Moore, ambientato nel 1634 in Quèbec,
narra la storia del gesuita Padre Laforgue, che su disposizione dei
superiori, deve risalire un grande fiume per miglia e miglia e
raggiungere la Missione da tempo istituita presso gli Uroni. Lo
accompagnano sulle piroghe il capo indiano Chonina, vari uomini (alcuni
dei quali con la famiglia) e Daniel, un giovane francese che aspira al
sacerdozio, ma che già sorride ad Annuka, la figlia del capo.
Soprannominato "Manto Nero", Padre Laforgue non sempre riesce ad avere
rapporti facili con gli Irochesi che, quando il Gesuita promette il
Paradiso, gli pongono non poche domande, naturali per la loro cultura e
nella vita di tutti i giorni. Da questi contrasti nascono malumori e
scetticismo che danno a Laforgue la misura delle grandi difficoltà del
suo impegno che aveva scelto in Francia con grande gioia della madre,
che sperava di vederlo santo. Mentre Padre Laforgue rimane deluso e
colpito vedendo Daniel ed Annuka amoreggiare senza pudore, gli indigeni
gli rendono la vita piuttosto dura e qualcuno già pensa di ucciderlo.
Attaccati da altri selvaggi (la moglie di Chomina viene uccisa da una
freccia e Laforgue fa appena in tempo a battezzarla), poi torturati, il
gruppetto del superstiti riesce a fuggire durante una tormenta di neve,
grazie alla ragazza che una notte si concede ad un guardiano per
eliminarlo. Chonina, ossessionato da un brutto sogno (un corvo nero ed
un'isola, dove vede arrivare solo quel diabolico Manto Nero), rifiuta di
essere battezzato e, vaneggiando nella visione della dea della Morte, si
abbandona a questa. Anche la giovane coppia decide di tornare indietro e
il Gesuita arriva finalmente tutto solo al Villaggio degli Uroni, dove
infuria una febbre contagiosa. Seppellito il più giovane dei Padri
Gesuiti anche l'altro - un vegliardo - muore di freddo e di stenti.
Affranta, la tribù vuole il Battesimo, confidando che esso sia una
medicina risanatrice: Padre Laforgue lo dà a tutti, implorando Dio di
salvarli.
La critica: "I 'manti neri' vorrebbero che Algonchini amici, come gli
Irochesi nemici, come gli Uroni sull'orlo della conversione,
rinunciassero alla superstizione dei sogni, alla poligamia, al
cannibalismo; ma i nativi non afferrano il nuovo credo e si inseriranno
legittimamente nelle loro tradizioni. Sino a scuotere nel profondo (ed è
questo il senso del film) le convinzioni propagandistiche del
protagonista, che tuttavia non rinuncia alla sua missione. Peccato che
questi temi complessi non emergano con sufficiente chiarezza da un film
a tratti monotono. Ma non mancano squarci suggestivi e situazioni forti;
e almeno una sequenza d'antologia, quella della morte del capo Chomina
(l'attore autorevolissimo si chiama August Sehellenberg), sullo sfondo
di un'isola che aveva già visto nel suo sogno." (Tullio Kezich, 'Il
Corriere della Sera', 15 Marzo 1992) "Un contrasto dagli echi fondi e di
non facile rappresentazione su uno schermo specie quando, sulle tracce
del romanzo, vi si aggiungono anche i turbamenti di un sacerdote indotto
nel corso della storia, a porsi, sulla propria missione, interrogativi
ansiosi fino al dubbio. Beresford, nonostante la guida di Moore. era
troppo laico per interpretarlo in tutte le sue più giuste dimensioni.
cosi molti suoi risvolti, spesso, girano a vuoto, anche con il rischio
di essere fraintesi; qualcosa tuttavia resta e fa pensare nonostante,
alla lunga, ad imporsi siano soprattutto i panorami selvaggi del Québec
e le truci apparizioni di Irochesi dediti al taglio delle dita o degli
scuoiamenti, con la gioia di terrorizzare gli avversari. Attenti, però,
il film non e soltanto questo: sotto ci sono turbamenti e drammi dello
spirito cui prestare orecchi attenti.
Come avrai capito,
qualunque tipo di critica o di deduzione, o di conclusione, è sempre
condizionata dalle nostre simpatie e dalle nostre conoscenze. Ogni cosa
diventa soggettiva è l'oggettività è sempre un materiale fra i più rari
da trovare. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Giovedì 11
Gennaio 2018
Talkin'
10340 - dinve56
Buongiorno Mister,
prima di tutto un cordiale augurio di buon anno a te e a tutti gli amici
di Maggie's Farm. Provo a dire la mia sul rapporto tra i fans di Dylan e
la critica, ormai ricchissima di saggi e testi di varia importanza e
diversa levatura che sono stati prodotti in questi lunghi anni di
attività artistica del Nostro. Mi sembra di poter condividere l'opinione
che l'interpretazione di un'opera, letteraria o musicale che sia, abbia
sempre un che di soggettivo, ma c'è soggettività e soggettività. Intendo
dire che l'opinione di un critico letterario, musicale, cinematografico
americano (sembra di capire che oltre-oceano i critici siano meno
settorializzati che in Europa e che spesso si occupino di diverse forme
di espressione artistica) è, secondo me, sicuramente degna di
attenzione, essendo prodotta da persone che conoscono la società e la
cultura degli USA in modo approfondito e documentato. L'amico autore
della talkin' 10334 (Dario Twist of
fate) cita Lester
Bangs e Greil Marcus, importanti critici musicali, che hanno collaborato
con prestigiose riviste. Greil Marcus è l'autore di due opere su Bob
Dylan tradotte ed edite in Italia da "Odoya" e "Arcana"; lo stesso
Marcus ha dichiarato che Lester Bangs era, sul finire degli anni
settanta, il miglior scrittore d'America. Certo le loro opinioni "pesano"
molto più della mia o di quella di un altro fan di Bob Dylan che,
tuttavia, sono liberi di condividerle o meno. Prendo atto che Bangs ha
criticato Dylan perchè in "Desire" avrebbe mitizzato la vicenda umana di
Joey Gallo, ma ricordo che, nello stesso album, in "Hurricane", ha
parlato della vicenda di Rubin Carter. Sono le canzoni della redenzione
e, soggettivamente, mi sembra che Dylan non abbia mitizzato ma
interpretato Joey Gallo come una vittima: "Joey, Joey, re delle strade,
ragazzino di creta..." . Se invece vogliamo dire, con Lester Bangs, che
ha mitizzato, romanzato, reinventato la vicenda di un malavitoso,allora,
sempre soggettivamente, mi sembra di capire che Bob Dylan è il poeta
degli USA perchè, creando la mitologia del suo Paese, non ha dimenticato
nessuno, o quasi, dei rappresentanti delle varie etnie che hanno cercato
la redenzione ed il riscatto nel Paese "del latte e del miele" o, se si
vuole, con accenti meno biblici, nel Paese del denaro. Dico ancora che
"Desire" è un album che mi è piaciuto. Mentre il ritmo di "Hurricane"
sembra voler risvegliare le coscienze contro l'ingiustizia, la lentezza
grave di "Joey" mi comunica profonda tristezza, un senso dolente di
rassegnazione, ma anche di misericordia per "crazy Joey" che il padre
non aveva saputo proteggere. Solo i grandi poeti sanno scorgere
l'umanità e il dolore dei vinti anche nei contesti più violenti ed
ingiusti. Districarsi nell'Universo Dylan non è facile, ma, come ci
ricordi tu, Mister, c'è il nostro Carrera che ci dà una mano e che,
entro aprile, pubblicherà i migliori saggi su Bob Dylan, mentre
attendiamo, per giugno, l'uscita dell'ultima fatica di Murino; Carrera,
Murino ed il Mister sono i nostri preziosisssimi mediatori
linguistico-culturali con l'inafferrabile, imprevedibile, unico e grande
Bob! Alla prossima e lunga vita! Carla.
Ciao Carla,
naturalmente ogni giudizio su qualcuno o qualcosa è sempre ed
esclusivamente soggettivo, anche se a volte la soggettività può essere
più pesante o più leggera, dipende dal background culturale e
nozionistico di colui che esprime il giudizio, ma proprio per questi
motivi non possiamo ignorare che ogni opinione o critica è influenzata
dalle nozioni di base che unop possiede, quindi non è naturale e non è
spontanea, è sempre il frutto di un ragionamente che, anche se potrebbe
sembrare il massimo0 della coerenza logica, nasce da ragioni esterne che
condizionano il giudizio. Quando chiunque vuole esprimere un parere
dettagliato su un qualunque argomento deve per forza assumere una certa
quantità di informazioni (a meno che abbia il dono di nascere “imparato)
che spingeranno la sua mente in una direzione o nell’altra, quindi
frutto di molte esperienze ma sempre espresse da una sola persona,
quindi soggettiva.
Sappiamo che aver la sfrontatezza di dire qualcosa su Dylan è sempre
alquanto difficile, si rischia sempre di sbagliare o di prendere qualche
cantonata. L’unico che potrebbe dire qualcosa di veramente reale su
Dylan è proprio Dylan stesso, ma sapendo che fin dalla gioventù era un
cacciapalle professionesta diventa lui stesso inaffidabile quando parla
o racconta se stesso.
Il Dylan di “Desire” è un Dylan strano, euforico forse perchè dopo il
naufragio del suo matrimonio con Sara i due cercano un riavvicinamento
per fare un nuovo tentativo. Dylan partirà per una specie di nuova luna
di miele ma il tutto swervirà a poco. Al rientro forse Dylan si è già
stancato di essere solo il marito di Sara, cominciando quella Rolling
Thunder Revue che lo porterà col suo sgangherato carrozzone carico di
fenomeni, nani e ballerine, in giro per gli States apparentemente con
una Revue che sembra organizzata a casaccio. Dylan, nel suo delirio
artistico, produrrà il Film “Renaldo and Clara”, una delle sue opere
peggiori e confusionarie. Dylan si è di nuovo circondato da amici e
parassito, e soprattutto dalle donne, cosa che Sarà non digerisce
facilmente. Così sara si ritrova intorno la Baez, Ronee Blakley , Ruth
Tyrangiel, Joni Mitchell, Scarlet Rivera, Emmylou Harris, Joni Mitchell
più litigiosa che mai forse a causa dell’astinenza da certe sostanze,(è
noto che Joni e David Crosby, per molto tempo amanti ed addicted,
passava mesi in compagnia di Croz stando a letto iniettandosi di tutto),
e il tutto fece sancire a Sara la definitiva parola stop alla loro
storia. Dylan, dopo la RTR era in vena creativa e basterebbero le
immense Isis e Sara per fare di Desire uno dei migliori lavori di dylan,
ma Bob era trtoppo confuso per essere razionale, si alleerà a Jacques
Levy che gli scriverà i testi di Hurricane, Joey, Isis, Mozambique, Oh
Sister, Romance in Durango, Black diamond bay, come se Bob avesse avuto
un blocco mentale per i testi. Hurricane, uno dei testi più famosi del
disco, ebbe la necessità di reincidere alcune strofe con parole diverse
che la Columbia pensò di cambiatre per evitare rogne, così la vecchia
Hurricane fu mixata con la nuova, e nei cori del ritornello ci sono le
voci oin alcune di Emmylou Harrie ed in altre di Ronee Blakley ma è
impossibile distinguerle con sicurtezza. Dylan si lascerà convincere a
registrare una musica che aveva pronta alla quale Jacques Levi
appiopperà le parole di Joey, il temuto gangster mafioso di NYTche Levi
aveva avuto occasione di conoscere. Joey è la sesta traccia di Desire. È
canzone più lunga dell'album, nonché la più controversa perchè narra la
storia del gangster Joseph "Crazy Joe" Gallo (1929-1972) e fu
all'origine di molte critiche. Dylan descrive Gallo come un fuorilegge
con una morale, sulla falsariga di Pretty Boy Floyd di Woody Guthrie, ma
la storia non è così. Nella canzone Gallo si rifiuta di uccidere degli
innocenti, mette pace fra i neri e protegge la sua famiglia quando lo
uccidono in un ristorante, mentre nella biografia scritta da Goddard (da
cui Dylan e Levy prenderanno i dettagli sull'uccisione), Joe Gallo è un
killer di professione che picchiava la moglie e abusava dei figli e che
partecipò anche allo stupro di un ragazzo in prigione.
Nessuno di questi dettagli è citato nella canzone di Dylan/Levy. Molti
critici, tra cui Lester Bangs, hanno ricordato che Gallo era uno
spietato mafioso e che la canzone non racconta fedelmente la sua vita.
Dylan e Levy scrissero la canzone in una sola notte, dopo una serata
passata in casa dell'attore Jerry Orbach, che conosceva personalmente
Gallo. Inoltre la figura di Gallo aveva particolarmente colpito Levy,
che lo aveva conosciuto. Diversamente da altri fuorilegge la cui vita è
stata romantizzata, tipo Jesse James and Billy the Kid, la figura di
Gallo, morto appena quattro anni prima, era ancora viva nelle menti
delle persone, per questo fu molto criticata sia dal pubblico che dai
giornali.
Joseph Gallo, detto Joe (Brooklyn, 7 aprile 1929 – Little Italy, 7
aprile 1972), fu un soldato della mafia statunitense, noto killer di New
York, appartenente alla famiglia Profaci, conosciuta in seguito come
famiglia Colombo; iniziò come soldato, e poi come capo della fazione
ribelle della famiglia. Joe era conosciuto con il soprannome di “Crazy
Joe” ovvero Joe il pazzo.
Anche i suoi due fratelli, Albert Gallo detto “Kid blast” e Lawrence
Gallo detto “Larry”, citati nella canzone, erano mafiosi appartenenti
alla stessa cosca.
Gallo nacque a Red Hook, (Born in Red Hook, Brooklyn, in the year of who
knows when) un quartiere di Brooklyn abitato in prevalenza da
italoamericani, e si fece un nome negli ambienti mafiosi con la
reputazione di ottimo killer ed intimidatore; assieme ai suoi fratelli
Albert e Larry (Larry was the oldest, Joey was next to last. They called
Joe "Crazy," the baby they called "Kid Blast." ) è sospettato di essere
stato uno dei killer del potente boss Albert Anastasia.
Le sue attività più redditizie erano le estorsioni ai commercianti, le
scommesse clandestine e il gioco d'azzardo nel territorio di South
Brooklyn (Some say they lived off gambling and runnin' numbers too.
It always seemed they got caught between the mob and the men in blue).
Alla fine degli anni cinquanta Joe e i suoi uomini incominciano a
ribellarsi e a tramare di nascosto contro il loro boss Joe Profaci e gli
altri capi della famiglia, pretendendo maggiori introiti e più potere.
Tuttavia Gallo esitò ancora a dichiarare apertamente guerra a Profaci
essendo costui molto più potente della sua fazione.
Ma la guerra fredda fra i due gruppi sembra non avere via d'uscita ed il
rapporto tra i due peggiorò ulteriormente il 4 novembre 1959 quando
Profaci fa uccidere Frank Abbatemarco, soldato e braccio destro di
Gallo, responsabile di un lucroso giro di scommesse clandestine e
prestiti ad usura, ed ironia della sorte, ad eliminare il loro braccio
destro Abbaremarco sono proprio i fratelli Gallo, che, a malincuore,
dovettero eliminare la loro spalla per due motivi: perché non potevano
disubbidire ad un ordine dei loro capi e perché Don Peppino (Joe
Profaci) aveva loro promesso di ricompensarli con altri lavori lucrativi
a South Brooklyn.
Nel frattempo il gruppo dei Gallo era diventato sempre più autonomo
anche grazie al sostegno che segretamente gli davano Carlo Gambino e
Gaetano Lucchese.
La guerra vera e propria scoppia quando John Scimone scompare di lupara
bianca, e alcuni giorni dopo anche Joe Gioeli, uno dei migliori killer
di Joe Gallo, viene rapito e il suo corpo fatto a pezzi viene ritrovato
all'interno di un'automobile parcheggiata di fronte ad una
concessionaria di auto di proprietà di un affiliato dei fratelli Gallo a
Sheepshead Bay, un quartiere di Brooklyn.
Il 20 agosto 1961 Larry Gallo è invitato al Sahara lounge (un locale di
Brooklyn) dagli uomini di Joe Profaci per discutere di un eventuale
tregua, ma in realtà è un tranello: appena entrato nel locale Larry e un
suo guardaspalle vengono assaliti dai killer guidati da Carmine Persico
che cercano di strangolarli, quindi Larry e il suo guardaspalle si
salvano per miracolo, perché nello stesso istante entrano nel locale dei
poliziotti e così i killer riescono a scappare (There was talk they
killed their rivals, but the truth was far from that, No one ever knew
for sure where they were really at. When they tried to strangle Larry,
Joey almost hit the roof. He went out that night to seek revenge,
thinkin' he was bulletproof).
Verso la fine del 1961 Joe Gallo viene arrestato e condannato a dieci
anni di prigione dalla procura distrettuale di Brooklyn per estorsione
(He did ten years in Attica, reading Nietzsche and Wilhelm Reich. They
threw him in the hole one time for tryin' to stop a strike. His closest
friends were black men 'cause they seemed to understand. What it's like
to be in society with a shackle on your hand. When they let him out in
'71 he'd lost a little weight. But he dressed like Jimmy Cagney and I
swear he did look great. He tried to find the way back into the life he
left behind. To the boss he said, "I have returned and now I want what's
mine”). Joe Gallo era un uomo molto scaltro e furbo, durante la sua
detenzione avvelenò molti rivali con la stricnina, che metteva nel loro
cibo. Durante una violenta rivolta nel carcere di Auburn, salvò la vita
ad una guardia carceraria che era rimasta ferita durante gli scontri. In
carcere strinse alleanze con alcune bande afroamericane per accaparrarsi
lo spaccio di droga ad Harlem,
il 7 aprile 1972, mentre Crazy Joe sta festeggiando il suo 43º
compleanno assieme a parenti ed amici all' Umberto Clam House, un
ristorante in Mulberry Street nella Little Italy di Manhattan;
all'improvviso entrano nel locale alcuni killer che incominciano a
sparare, Gallo viene colpito da cinque pallottole, barcolla fino in
strada e muore (One day they blew him down in a clam bar in New York. He
could see it comin' through the door as he lifted up his fork. He pushed
the table over to protect his family. Then he staggered out into the
streets of Little Italy..).
Ai suoi funerali le sorelle di Gallo Jacqueline, Carmela e la madre Mary
dichiareranno: adesso le strade si riempiranno di sangue. Ed avevano
ragione, nelle settimane successive del 1972 saranno uccise 27 persone.
Ora siamo d’accordo che i critici americani sonno meno settoriali dei
nostri, che si interessano di cose diverse, ma vedere un “Number One”
come Dylan romanzare la storia di Crazy Joe come se facesse il lavoro
più naturale del mondo fu troppo anche per gli Americani. Ed anche se la
storia era raccontata romanzata nei particolari in modo da far apparire
Gallo un gangster con una morale buona, erano i principi insiratori che
non funzionavano. Joe Gallo era uno spietato killer senza onore e senza
bandiera che aveva eliminato decine e decine di persone, e questo in
America è sufficiente per condannare al pubblico lubidrio una persona di
simile fratta. Ma Dylan, come al solito, assorbì tutto e si voltò con
una scrollata di spalle, sapeva perfettamente che la prima canzone del
disco era “Hurricane”, e Rubin Carter era innocente, accusato
ingiustamente di triplice omicidio e condannato a tre ergastoli grazie
alla falsa testimonianza di due balordi bianchi rispondenti al nome di
Alfred Bello e Arthur Dexter Bradley e dalla testimonianza a spanne
della signorina Patty Valentine.
Il 17 giugno 1966, alle 2:30 del mattino circa, due uomini di colore
entrarono nel "Lafayette Bar and Grill" a Paterson, New Jersey, e
aprirono il fuoco. Due uomini, Fred "Cedar Grove Bob" Nauyoks e il
barista Jim Oliver, vennero uccisi sul colpo. Una donna, Hazel Tanis,
morì circa un mese dopo: aveva la gola, lo stomaco, l'intestino, la
milza, il polmone sinistro e un braccio perforati dai proiettili. Una
quarta persona, Willie Marins, sopravvisse all'attacco, ma perse la
vista a un occhio.
Un noto criminale, Alfred Bello, che si aggirava nei pressi del
Lafayette per commettere un crimine quella stessa notte, vide la scena.
Bello fu una delle prime persone presenti nella scena del crimine e
chiamò un operatore telefonico per avvertire la polizia. Una residente
al secondo piano del Lafayette, Patricia Graham, vide due uomini di
colore salire in una macchina bianca e partire verso ovest, lontano dal
bar. Un'altra persona, Ronald Ruggiero, sentì gli spari, e affacciatosi
dalla finestra vide Bello correre per Lafayette Street. Sentì anche lo
stridere degli pneumatici e vide una macchina bianca sfrecciare verso
ovest, con due uomini di colore sui sedili anteriori. La macchina di
Carter coincideva con quella vista dai testimoni; la polizia fermò
Carter e un altro uomo, John Artis, e li portò al Lafayette circa trenta
minuti dopo la sparatoria. Nessuno dei testimoni riconobbe in Carter o
Artis uno dei criminali, nemmeno Marins quando la polizia li portò
all'ospedale per farli identificare dall'uomo ferito.
Comunque, nella macchina di Carter la polizia trovò una pistola calibro
32 e dei proiettili per fucile calibro 12 - lo stesso calibro usato
dagli assassini. Carter e Artis furono interrogati in commissariato. Nel
pomeriggio, entrambi vennero sottoposti al test del poligrafo.
L'esaminatore John J. McGuire trasse le seguenti conclusioni: "Dopo
un'attenta analisi dei risultati dati dal poligrafo, è opinione
dell'esaminatore che i soggetti stavano mentendo alle domande. Ed erano
coinvolti nel crimine. I soggetti negano qualsiasi connessione col
crimine". Il poligrafo non era comunque giudicato attendibile, e quindi
era inammissibile come prova. Carter e Artis furono rilasciati il giorno
stesso.
Bello rivelò alla polizia che quella sera c'era un altro uomo con lui,
tale Arthur Dexter Bradley. Dopo un ulteriore interrogatorio, Bello e
Bradley identificarono Carter come uno dei due uomini di colore armati
che avevano visto fuori dal bar la notte degli omicidi; Bello identificò
anche Artis come l'altro uomo armato. Basandosi su questa ulteriore
prova, Carter e Artis vennero arrestati e incriminati. Questo, più la
prova dell'identificazione della macchina di Carter fornita da Patricia
Valentine e le munizioni trovate nella macchina di Carter convinsero la
giuria (composta da 12 persone bianche) che Carter e Artis erano gli
assassini. Entrambi gli uomini vennero incriminati e condannati alla
prigione a vita.
Cvi vollero due processi ed il ricorso alla Corte Federale. Nel 1985, il
giudice della Corte Federale Haddon Lee Sarokin sentenziò che Carter e
Artis non avevano avuto un processo equo, affermando che l'accusa era
"basata su motivazioni razziali", ordinando la scarcerazione immediata
di Carter ed Artis.
Dal 1988 Carter visse in una fattoria poco fuori Toronto in Ontario,
ricoprendo la carica di direttore esecutivo dell'Associazione per la
Difesa dei Condannati per Errore (ADWC) dal 1993 al 2005, lavorando
inoltre come motivatore.
Il 14 ottobre 2005 ricevette una laurea Honoris Causa in Legge
dall'Università di New York, da quella di Toronto e anche dalla Griffith
University di Brisbane, grazie al suo lavoro per l'ADWC.
Con Carter Dylan sapeva di avere in mano la carta vincente e quindi con
le parole di Levi scrisse una canzone che picchiava duro, diceva pane al
pane e vino al vino con tanto di nomi e cognomi. Furono fatti concerti a
favore di Carter, un film con Denzel Washington su quella ingiusta
storia, e Dylan, giustamente, ne trasse la sua meritata fetta di gloria
e di giustizia sociale. Alla prossima, Live long and prosper,
Mr.Tambourine, :o)
Volevo dirvi che mi farebbe un enorme
piacere , dopo aver ascoltato il dvd in oggetto se qualche anima buona,
facesse ascoltare e vedere la song ABRAHAM MARTIN AND JOHN , in duetto
con CLYDIE KING, per me e' una grande CHICCA. Un saluto a tutti gli
amici della fattoria ed in particolare a Mr.Tamburino, Grazie Marcello.
Eccoti accontentato!
Ho aggiunto qualche riga di informazione sulla canzone. Live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Dion DiMUcci, il
miracolato del “giorno in cui la musica morì”
La canzone Abraham, Martin And John fu portata al successo da Dion
DiMucci che fu uno dei più apprezzati cantanti rock and roll attivi in
America nel periodo precedente l'avvento della British invasion. I suoi
maggiori successi li ottenne nel 1961 con i due singoli Runaround Sue e
The Wanderer.
Dion DiMucci era accompagnato dal gruppo vocale dei Belmonts, amici di
lunga data. Il brano I Wonder Why uscito a nome Dion and the Belmonts
del 1958 ottenne un discreto successo nel Regno Unito (22º posto). La
fama del gruppo crebbe tanto da permettere loro di partire nel tour
invernale con Buddy Holly, Ritchie Valens e The Big Bopper. Il 2
febbraio 1959 avrebbero dovuto partire con un aereo per un concerto
nello Iowa, ma a causa delle ristrettezze economiche proseguirono in
autobus. In quel giorno l'aereo ebbe un incidente e gli tutti gli
artisti presenti perirono.
Nel 1968, carico di un forte sentimento religioso e pulito dalla
tossicodipendenza, Dion firmò con la Laurie che lo aveva portato al successo
anni prima. Gli fu quasi imposto di cantare il brano Abraham, Martin and
John scritto da Dick Holler in ricordo di Lincoln, Martin Luther King e
John e Bob Kennedy. Il brano, ripreso in seguito da molti artisti tra cui
Marvin Gaye, fu un notevole successo raggiungendo il quarto posto in
classifica ed ottenendo il disco d'oro.
Dion divenne cristiano rinato (come Bob Dylan) e pubblicò molti album
ispirato dalla svolta religiosa, nel 1984 fu nominato al Grammy Award
per miglior performance Gospel per l'album I Put Away My Idols.
Nel 2002 fu indotto nella Rock and Roll Hall of Fame per il brano
Runaround Sue. Nel 1988 pubblicò la sua autobiografia The Wanderer:
Dion's Story scritta assieme a Davin Seay. Nel 2007 ottenne altre 2
nomination per il Grammy Award.
Il brano Abraham, Martin And John è dedicato ad Abramo Lincoln, Martin
Luther King e John e Bob Kennedy.
Abraham, Martin
And John
WRITTEN BY: DICK HOLLER
Performed by Bob Dylan during the 1980 and 1981 gospel tours, in duet
with Clydie King.
Anybody here seen my old friend Abraham?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone. (Qualcuno qui ha visto il mio
vecchio amico Abramo?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).
Anybody here seen my old friend John?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone. (Qualcuno qui ha visto il mio
vecchio amico John?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).
Anybody here seen my old friend Martin?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone. (Qualcuno qui ha visto il mio
vecchio amico Martin?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).
Didn't you love the things that they stood for?
Didn't they try to find some good for you and me?
we'll be free, someday
I know, be one day.
(Non
amavi le cose che rappresentavano?
Non hanno provato a trovare qualcosa di buono per te e me?
saremo liberi, un giorno o l'altro
Lo so, un giorno).
Anybody here seen my old friend Bobby?
Can you tell me where he's gone?
But I see ‘em walkin'
Up over the hill
Abraham and Martin and John (Qualcuno qui ha visto il mio
vecchio amico Bobby?
Puoi dirmi dove è andato?
Ma li vedo camminare
Su per la collina
Abraham e Martin e John)
Mercoledì
10
Gennaio 2018
Talkin'
10338 - gebianchi
Caro Tambourine,
mi permetto di dissentire totalmente sulla valutazione relativa alla
santificazione di Alce Nero. Credo che Bergoglio non sia così ingenuo
dal voler proporre un processo del genere col solo scopo di annoverare
il grande capo indiano tra i martiri della spiritualità cattolica, quasi
una captatio benevolentiae di dubbio gusto e teologicamente scorretta.
Credo invece che l'operazione, fortemente mediatica, si inserisca in
quel processo di avvicinamento da parte del pontificato di Bergoglio
alla comprensione dei meriti ascrivibili anche alla laicità e confermi
il rispetto che questo Papa dimostra voler ribadire anche per figure che
nulla hanno a che vedere con la cristianità, apertura impensabile solo
fino a pochi anni fa. Mi pare un errore non voler cogliere questi
segnali che, contrariamente a quanto sostenuto da Eglemore, non ritengo
preludano ad una canonizzazione di Alce Nero con abito da francescano e
aureola da mistico medievale. Del resto, lo sterminio pianificato degli
indiani d'America è un dato ormai acquisito anche da parte di tutta la
storiografia più becera e reazionaria. Hollywood se ne era accorta da
tempo; non ho memoria di film anti-pellerossa e
filo-nordamericani....negli ultimi quarant'anni. Peccato però che, anche
se ideologicamente vergognosi, i più bei film dell'epopea western,
risalgano tutti a un epoca in cui gli indiani erano considerati nemici
da abbattere. Da John Ford ad Antonhy Mann. Il Piccolo Grande Uomo
peraltro, lungi dall'essere il miglior film sull'argomento, pone in
scena una rappresentazione bozzettistica della realtà con lo scopo di
mettere in luce una tesi fin troppo ovvia ed esplicita, perdendosi in
una ricostruzione cinematografica piuttosto cabarettistica. Altra è la
forza di Soldato Blu, film certamente di notevole spessore drammatico e
di spietata denuncia. Ad ogni buon conto, lo dico da laico, nello
sterminio degli indiani, il cattolicesimo (semmai il protentastesimo),
non c'entra nulla. Quella di Pizarro e dei conquistadores peraltro...è
un'altra faccenda.
Caro Giuseppe, grazie
per aver espresso la tua opinione su questo interessante argomento anche
se sei, diciamo in contrasto, con quella espressa da Sir Eglamore. Il
tuo modo di affrontare la questione della beatificazione di Alce Nero
espressa attraverso una visione Bergogliana non fa una piega. Una cosa è
certa, questo Papa è una persona che, partita in sordina, ha cominciato
a mettere in discussione molti modi di agire del clero di Roma
suscitando un coro di consensi e di proteste. Io non voglio, e non sono
in grado, di entrare nel merito teologico della questione di come la
Chiesa dovrebbe oggi porsi nei rapporti con fedeli e non. Certamente è
un Papa che non suscita indifferenza, il suo modo quasi guascone, in
senso positivo, di lasciare da parte certe procedurea vaticane è balzato
subito agli occhi, il girare per Roma con una utilitaria anonima,
portare i suoi abituali scarponcelli ortopedici al posto delle
costosissime scarpette rosse di Prada, esporsi al pericolo di facili
contatti con malintenzionati, l’uso dei moderni media come Facebook, son
tutte cose che contrastano con quello che dovrebbe essere il modo di
agire classico del Papa, così come noi comuni fedeli siamo abituati a
vederlo da anni ed annorum, con l’eccezione del Papa buono Roncalli
nella sua immensa semplicità. Certo Ratzinger rappresenta un tipo di
Papa al passo con le regole millenarie della Chiesa Cattolica, ma
personalmente credo che la gente semplice e comune apprezzi di più i
Papi umili come Roncalli e Bergoglio. Ti dirò che sono rimasto stupito
qualche tempo fa quando il prete che venne a benedire casa mia si
dichiarò in contrasto con quanto stava facendo Bergoglio. Rimasi
sconcertato alla sua dischiarazione e gli dissi: “Mi scusi Reverendo, ma
lei come si permette di discutere le decisioni o l’agire del Papa,
persona della quale lei dovrebbe seguire senza discutere le direttive? A
meno che vogliamo fare una Chiesa Cattolica nella quale ogni prete
predichi quello che piace a lui la regola sarebbe di seguire la linea
del Papa”. Rimasi davvero incollerito e congedai il Reverendo senza
tanti salamelecchi.
Detto questo, credo che Eglamore, pur nella sua diversa interpretazione
dell’annuncio Vaticano della probabile beatificazione dello “stregone
pellerossa”, volesse dire che non trova giusto mescolare il sacro con il
profano, questa sincrasi fra religione pagana (pur con tutta la
spiritualità di Nicholas Black Elk) e religione cattolica, come dice
lui, sono sempre esistite, però sono esistiti anche millenari veti per
il riconoscimento di Israele da parte della Stato del Vaticano.
Pio X, disse nel 1904 a Theodor Herzl, "Dal momento che il popolo
ebraico non ha riconosciuto Nostro Signore, noi non possiamo riconoscere
il popolo ebraico". Pio XII Pacelli, pur sapendo delle deportazioni
degli ebrei nei lager nazisti non disse una parola sulla questione.
Finalmente, il 30 dicembre 1993, 45 anni dopo il 14 maggio 1948, anno in
cui Ben Gurion dichiarò l'indipendenza di Israele, il Vaticano si unì al
resto del mondo occidentale, riconoscendo formalmente l'esistenza dello
Stato ebraico.
Come possiamo constatare, ognuno ha le sue diverse ragioni per fare o
non fare, per dire o non dire, e la Chiesa Cattolica, in un mondo nel
quale l’ignoranza può essere considerata debellata, ha il dovere di
mettersi al pari con i tempi, l’oscurantismo medioevale e cosa finita da
centinaia d’anni, certi tipi di Papi non funzionano più così bene come
una volta, oggi ha successo e attira masse e fedeli un Papa “above the
lines” come Papa Francesco.
Certamente le cose fuori dalla norma suscitano sempre effetti
differenti, a volte mitigati ed a volte esasperati, e la notizia della
beatificazione di un pellerossa ha lasciato dubbiosa molta gente. Non
credo che sia una mossa tattica per avvantaggiarsi di qualcosa, di cosa
poi?....Non saprei dire qualche tornaconto potrebbe avere la Chiesa a
fare Santo uno “sciamano” pellerossa con in una mano il tomahawak e
nell’altra il calumet della pace sull’immaginetta. Scherzi a parte,
riconoscere i meriti di qualcuno è una virtù e non un difetto! Anch’io
come te, al contrario di Sir Eglamore, non credo che questa sintesi fra
sciamanesimo e cristianità sia stato da parte di Black Elk solo un
ultimo disperato tentativo di sopravvivenza, non credo che i missionari
cristiani fossero così stupidi da farsi prendere per il culo da uno
stregone pellerossa, credo invece che l’avvicinamento alla religione
cattolica di Black Elk fosse reale e sentito e quindi non mi darebbe
nessun fastidio vederlo canonizzato invece che steso fra i morti di
Wounded Knee.
Hollywood ha sempre
trattato la questione indiana come gli faceva comodo, l’indiano barbaro,
crudele, stupido e sanguinario che uccideva il bianco, frugava nella
sella, mangiava il sapone e si spaventava terrorizzato quando si vedeva
riflesso nello specchietto per fare la barba. D’altronde la questione
razziale negli Stati Uniti non è proprio come da noi, nativi e neri se
la passano veramente male ancora oggi. Gli indiani furono genocidizzati
scientificamente con spaventosa freddezza e con ogni mezzo, dai fucili,
ai cannoni, alle mitragliatrici e per ultimo l’orribile metodo delle
coperte infettate col virus del vaiolo.
Per genocidio dei nativi americani, detto anche genocidio indiano,
olocausto americano (in inglese Indian Holocaust, American Holocaust) o
catastrofe demografica dei nativi americani alcuni storici e divulgatori
intendono il calo demografico e lo sterminio dei nativi americani (detti
anche indiani d'America nel nord America). Si ritiene che tra i 50 e i
100 milioni di nativi morirono a causa dei colonizzatori, come
conseguenza di guerre di conquista, perdita del loro ambiente, sterminio
di 60.000.000 di bisonti, forzato cambio dello stile di vita e
soprattutto malattie contro cui i popoli nativi non avevano difese
immunitarie, mentre molti furono oggetto di deliberato sterminio poiché
considerati barbari. Secondo Thorton, solo nel nord America morirono 18
milioni di persone. Per altri autori la cifra supera i 100 milioni, fino
ad arrivare a 114 milioni di morti in 500 anni.
Il gruppetto di Geronimo, circa trenta persone tra guerrieri, donne e
bambini, divennero l'ultimo grande obbiettivo dell’esercito statunitense
per chiudere per sempre la questione indiana. Questa lotta giunse a
termine il 4 settembre 1886, quando Geronimo si arrese al generale
Nelson Miles che lo stava inseguendo per tutta l’Arizona con 5000
cavalleggeri dell'esercito statunitense, a Skeleton Canyon, Arizona.
La cinematografia americana ha trattato e ritrattato con centinaia di
films la questione indiana, sempre considerando gli indiani “quelli da
eliminare con qualunque metodo”. Certamente "Little Big Man” è una
rappresentazione cabarettistica della vita del Far West, ma non manca di
momenti di sincerità, anche se raccontati con esagerata enfasi. Almeno
ha il pregio di far fare la figura dell’idiota a Custer come si
meritava! Soldato blu non fu accolto a braccia aperte ad Hollywood, il
film ispirato al massacro di Wounded Knee, che avvenne dopo la notizia
dell’uccisione di Toro Seduto che era tornato riserva Indiana di
Standing Rock nel Dakota del Sud. Temendo che progettasse di fuggire
dalla Riserva assieme ai praticanti della Danza degli spiriti, le
autorità dell'Agenzia Indiana decisero di arrestarlo con alcuni suoi
uomini. Durante lo scontro tra i pellerossa e la Polizia locale,
generato dal tentativo di portare via il capo indiano all'alba del 15
dicembre 1890, Toro Seduto e suo figlio Piede di Corvo vennero
assassinati a colpi di pistola da alcuni componenti del comando
incaricato della cattura. La notizia si diffuse nelle grandi pianure con
la velocità del lampo ed arrivò anche, com’era logico, fino alla banda
dei Sioux Minneconjou di Piede Grosso (Si Tanka, 1825-1890), portata da
alcuni Hunkpapa della banda di Toro Seduto in fuga dai soldati.
Appena il capo apprese la notizia, Piede Grosso sentì l’mminenza del
pericolo e preferì decidere lo smantellamento del campo e la partenza
della sua gente verso Pine Ridge, nella speranza di potersi mettere
sotto la protezione di Nuvola Rossa.
Se qualcuno vuole approfondire la storia del massacro può cliccare sul
link sotto: http://www.farwest.it/?p=252 Live long and
prosper, Mr.Tambourine, :o)
Buongiorno e innanzitutto grazie dello
splendido lavoro che fate su Bob Dylan.
Sapete darmi informazioni riguardo alle releases non ufficiali? Ci sono
siti di riferimento, elenchi, valutazioni? Dove acquistare?
Grazie e saluti, Gabriele.
Qui sotto trovi un
elenco di link che soddisfano le tue richieste:
Salve,
vi faccio una richiesta...se per caso avete notizia di qualcuno che
debba vendere il proprio biglietto x il concerto di Bob a Roma, me lo
fareste sapere? Ne sto cercando disperatamente 1 per qualsiasi data e
qualsiasi posizione. Grazie.
Appello pubblicato,
spero tu riesca a risolvere!!! Ho postato l'annuncio anche in "vetrina",
Fammi sapere quando l'hai trovato. Live long and prosper, Mr.Tambourine,
:o)
Caro Tamburino,
è tristissimo apprendere che un gigante della spiritualità pagana come
Alce Nero possa venire imbustato e infiocchettato come Padre Pio. Anzi i
Padri Pii:
https://www.youtube.com/watch?v=s3bVJMQrGzI
Le sincresi religiose esistono da sempre, ma una pagliacciata come
questa solo un Papa-Facebook come Bergoglio può partorirla. Povero Alce
Nero, poveri pellerossa: massacrati, rinchiusi, deindianizzati e ora
pure presi per i fondelli. Io, se fossi Alce Nero, dal profondo della
tomba, libero dalla nebbia della vecchiaia, in un ultimo sovrumano
sforzo, risponderei con un grande roboante scoreggione.
E povera religione Cattolica: invece del rito latino avremo la statua
del santo pennuto, con i mocassini e una croce in mano. Il minestrone
globale è a un passo.
Detto questo vorrei precisare che l’immagine del guerriero col gilet
bianco di perline e il bracciale di ottone sopra la camicia non ritrae
lo sciamano Black Elk.
Incompatibile il tratto somatico e il fiero atteggiamento da capo
guerriero. Cercando sul web si trova quest’altra immagine:
Si tratta del capo Left Hand Bear, foto scattata nel 1899 (quando tutto
era ormai finito). Stessa sessione fotografica, abbigliamento pressoché
identico, ma soggetto diverso. Il nome del “guerriero” che tutti i
giornali spacciano per Black Elk è invece: Eddie Plenty Holes
( http://www.loc.gov/pictures/item/92509997/ ).
Una foto autentica di Alce Nero ancora giovane, scattata pochi anni
prima del massacro di Wounded Knee è questa:
“Non sapevo in quel momento che era la fine di tante cose. Quando guardo
indietro, adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo
le donne e i bambini massacrati, ammucchiati e sparsi lungo quel burrone
a zig-zag, chiaramente come li vidi coi miei occhi da giovane. E posso
vedere che con loro morì un'altra cosa, lassù, sulla neve insanguinata,
e rimase sepolta sotto la tormenta. Lassù morì il sogno di un popolo.
Era un bel sogno... il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti
sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l'albero sacro è morto.”
Questo è Alce Nero.
Gli Indiani hanno cessato di esistere nel 1890, quello che è successo
dopo è del tutto ininfluente. Ammesso e soprattutto non concesso che
Alce Nero si sia realmente convertito al Cattolicesimo (“In famiglia
girano storie che i missionari cercavano di battezzarlo e lui correva a
nascondersi sotto il letto”, ha raccontato la bisnipote Charlotte),
possiamo ben immaginare che quella ridicola sintesi fra sciamanesimo e
cristianità fosse solo un ultimo disperato tentativo di sopravvivenza.
Onoriamone perlomeno la memoria.
Con ossequio, Sir Eglamore
PS: Per chi volesse documentarsi: l’unico film bello sugli Indiani è
“Piccolo Grande Uomo”; la ricostruzione storica del genocidio narrata in
“Seppelite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown basta e avanza per
farsi un’idea di cosa è successo; e soprattutto, per capire chi fossero
realmente gli Indiani delle Pianure, la lettura più affascinante è
quella delle tre bellissime autobiografie (o meglio trascrizioni di
memorie) di: Alce Nero (Sioux), Molti Trofei (Crow) e Gambe di Legno
(Cheyenne).
Ciao Sir Eglamore, lieto di risentirti
come sempre preciso e dettagliato. Devo ammettere che le tue osservazioni
sono esatte, la seconda foto da me postata non è quella di Black Elk ma,
come hai detto tu, quella di Eddie Plenty Holes.
Invece la foto sotto è
quella di Left Hand Bear, e
come si può vedere dalle due foto il viso è identico, quindi dubbio
tolto ed errore corretto!
Nicholas Black Elk uses the Two Roads catechism to
teach
some children about the Catholic faith. Below, Black Elk, holding
the rosary, with his daughter Lucy Looks Twice.
(Courtesy St. Francis Mission and Marquette University)
Concordo anche che
"Piccolo Grande Uomo" sia forse un bellissimo film in difesa degli
indiani, ma non dimentichiamo altri capolavoro come Soldato Blu
(isperato al massacro del Fiume Sand Creek) e "Balla coi Lupi".
Seppellite il mio cuore a Wounded Knee è un libro cult che tutti
dovrebbero leggere, ma forse prima bisognerebbe documentarsi sulle
differenze razzioli in America, terribili persecuzioni che generarono un
vero olocausto di nativi. Sotto ho postato la scena madre tra Custer ed
il mulattiere Little Big Man con la traduzione:
Custer: Allora. Che mi rispondi mulattiere?
LBM: Generale.........andate laggiù!
Custer: Il tuo consiglio è che mi inoltri nella valle?
LBM: Sissignore.
Custer: Secondo te non ci sono indiani laggiù immagino.
LBM: Non ho detto questo...ci sono migliaia di indiani là in fondo....e
quando vi avranno liquidato non ci resterà che una macchia di grasso per
terra....questo non è il fiume Washita Generale,.....e ad aspettarvi non
ci sono donne e bambini indifesi, ma guerrieri Cheyenne e
Sioux......andate laggiù se avete coraggio!
Custer: Insisti a cercare di fare il furbo con me, vero mulattiere? Eh
Eh,Vorresti indurmi in errore facendomi pensare che non vuoi che vada
laggiù ma la verità inconfessata è che tu non vuoi davvero che io vada
laggiù, contro i tuoi amici, Hi hi hi hi hi hi hi! Ecco ora siete più
tranquillo maggiore?
Sono riuscito a vedere
nella mia vita cose che mai avrei creduto possibili, il campo di
Birkenau ad Auschwitz che ti fa accapponare la pelle, migliaia di
tedeschi dell'est uccisi dai VOPO russi perchè tentavano di saltare il
Muro di Berlino, La guerra nel Vietnam, la caduta del Muro, altre guerre
e porcherie allegate, un mulatto diventato presidente degli Stati Uniti,
ma son certo di non esserci più quando un nativo americano siederà nella
sala ovale della White House come Presidente USA! Pazienza, ci avrei
tenuto.......Alla prossima, Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)
Lunedì 8
Gennaio 2018
L'Angelo di
Malibù
Stavo scorrendo il
testo di “License to Kill” quando ho letto questa strofa:
Now, there's a woman
on my block,
She just sit there as the night grows still.
She say who gonna take away his license to kill? (Ora c'è una
donna nel mio isolato
Lei semplicemente siede lì mentre la notte passa
Chiedendosi chi gli porterà mai via la sua licenza di uccidere?)
Naturalmente la curiosità si è subito accesa, per due motivi, il primo
era chi poteva essere quella
donna, il secondo è che la parole di Dylan dicono "his licence to kill"
quindi la donna sta pensando chi potrà togliere la licenza di uccidere
all'uomo genericamente indicato nella canzone come quello che ha potere
di vita e di morte, ma, forse, Dylan stava
pensando ad un politico ben preciso di cui non dice il nome.
Il riferimento che ha
ispirato la canzone potrebbe essere:
21 settembre 1980: aerei iraniani bombardano Bagdad: ha inizio la guerra
tra Iran e Iraq che durerà fino al 1988 causando un milione e mezzo di
morti.
7 giugno1981: l'aviazione israeliana dà il via all'operazione Babilonia
in cui distrugge, in un raid aereo, il reattore nucleare iracheno di
Osirak.
Il massacro di Ḥamā, una feroce azione repressiva scatenata dal
Presidente siriano Hafiz al-Asad contro gli insorti della città di Ḥamā
nel febbraio 1982. Il numero dei caduti fu stato stimato tra i 35 000 e
i 45 000.
2 aprile 1982 – Falkland: l'esercito argentino occupa le isole.
6 giugno 1982 - Le forze armate israeliane invadono il Libano
meridionale. Beirut diventa teatro di regolamenti di conti casa per
casa.
23 marzo 1983 Ronald
Reagan annuncia la creazione dello "scudo spaziale".
1º settembre 1983 – L’
Unione Sovietica abbatte sull'isola di Sachalin un aereo sudcoreano che
sorvola per errore il territorio sovietico: muoiono 269 persone.
Il 26 settembre 1983 -
Stanislav Evgrafovič Petrov tenente colonnello dell'Armata Rossa durante
la guerra fredda rileva un allarme missilistico contro la Russia. I Lui
ritenne essere un falso segnale e prese la difficile decisione di non
rispondere secondo i regolamenti preposti, evitando così il più che
probabile scoppio di un conflitto nucleare mondiale.
"Infidels", l'album nel quale è presente License ti Kill esce il 27
Ottobre 1983, quindi alcuni dei motivi elencati sopra potrebbero aver
spinto Dylan a crivere qualcosa in quella direzione.
Ho cominciato subito le mie ricerche e mi sono imbattuto in questo articolo del
19 giugno 1990 che parlava e svelava chi era la donna menzionata nella
canzone di Dylan. Ecco l’articolo:
L'angelo di Malibu
Uno dei miei migliori amici è sempre stato in preda alla rabbia per 32
anni, compresi i fine settimana. Ha cominciato con quello che lui
riteneva essere il tono razzista di “Frito Bandito”, uno stereotipo
personaggio messicano dei cartoni animati che pubblicizzava le patatine
di mais. La sua rabbia non si è mai placata. Tutto lo faceva infuriare,
e lui a sua volta faceva infuriare me, a causa del suo vizio di
telefonarmi sempre dopo la mezzanotte prima che si svegliasse il gufo
maculato del nord della California. Quando gli ho detto che ero stanco
di sentire le sue lamentele alle 3 del mattino, ha preso a chiamarmi
solo per comunicarmi buone notizie per quanto riguarda le cause a cui è
legato. Ora sono stufo della sua gioia come ero stufo della sua rabbia.
"Cosa ha fatto ora?" chiede mia moglie assonnata quando il telefono
squilla, "Alleva un pulcino di condor in cattività?". Uno di questi
giorni lo troveranno inchiodato ad una croce sulla spiaggia di Venice o
imbrigliato sul dorso di un capodoglio nel tramonto nebbioso, ma io non
ne ho saputo più nulla. Ho parlato di lui oggi come via di introduzione
di una donna che, pur non così maniacale come il mio amico, anche lei è
nata per fomentare.
Il suo nome è Valerie Sklarevsky e vive in un vecchio caravan di zingari
a Malibu con un cane di nome Dancer. La polizia la conosce con il
nickname di “Angel”.
Valerie
Sklarevsky
Lei è diventata famosa quando Bobby Dylan l’ha suo inclusa in uno dei
suoi brani, "License to kill".
Dice la strofa: “There's a woman on my block, sitting in the chill,/
Saying, 'Who's gonna take away his license to kill?' "
"C'è una donna nel mio quartiere, seduta al gelo, / va dicendo: "Chi gli
porterà via la licenza di uccidere?".
Questa è Valerie.
Probabilmente l’avrete veduta al telegiornale mentre la portavano via in
manette o mentre veniva trascinata giù per le scale di un edificio
federale gridando: "Smettete di uccidere donne e bambini!"
Lei è stata arrestata 30 volte negli ultimi dieci anni, 10 volte solo
quest'anno, soprattutto per le proteste contro la politica degli Stati
Uniti in America Latina. Protestare è più o meno il suo lavoro a tempo
pieno.
Ho preso coscienza di Valerie il mese scorso, quando si è imbrattata di
una sostanza rossa e si è inginocchiata a pregare per i sei gesuiti e le
due donne assassinate lo scorso anno a El Salvador.
Ciò che mi colpì fu il fatto che la sostanza rossa con la quale si era
sporcata era il suo sangue.
Fino ad allora, avevo ipotizzato che i dimostranti usassero un qualcosa sostitutivo del sangue, composto forse da un'acqua minerale
colorata con tintura vegetale e leggermente ispessita con amido di mais
per dargli sostanza per impressiojnare la gente.
Ma con Valerie non è così, non solo usa il suo stesso sangue, ma a volte
ha un'infermiera chele preleva abbastanza sangue da donare ad altri.
Poi ho continuato nelle ricerche e mi sono imbattuto in questa
intervista di Valerie fatta dal Malibu Times:
The Locals: Valerie Sklarevsky, Ribelle con una causa
(Di Catalina Wrye / Special to The Malibu Times ,30 nov. 2011)
L'attivista politica e ambientalista Valerie Sklarevsky vive a Malibu da
oltre 40 anni. Originaria di Baltimora, nel Maryland, Valerie si è
dedicata a cause che vanno dalle preoccupazioni ambientali locali fino a
questioni internazionali che l'hanno portata in tutto il mondo. È stata
arrestata, incarcerata e trascinata per le strade, ma il suo impegno per
la giustizia sociale e politica non ha mai vacillato. Il Malibu Times ha
intervistato Valerie a casa sua.
Quando ti sei trasferita a Malibu?
Mi sono trasferita a Malibu nel 1980 per scappare dall'incidente della
cenmtrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania. Pensavo che
Malibu fosse il posto più bello che avessi mai visto. Ci credo ancora.
Sei sempre stata una attivista ambientale e politica?
Non fino all'incidente dell’isola di di Three Mile. Quello stesso giorno
sono stata picchiata violentemente dal mio capo al lavoro e sono tornata
a casa e ho digiunato per 34 giorni, bevendo solo in acqua. Ho avuto
un'illuminazione e ho pensato: perché c'è così tanta violenza contro le
donne? E perché c'è così tanta violenza contro l'ambiente? Queste
domande mi hanno fatto cambiare il modo di pensare.
Quale causa è più importante per te?
Penso l’ opposizione alla guerra perché non solo fa soffrire tante
persone, ma anche l'ambiente soffre, e soffre per molte generazioni.
Sei mai stato arrestata?
Sono stato arrestata 53 volte. Il mio primo arresto fu al Pentagono a
Washington. Il Pentagono è un’area di cinque acri piena di uomini che
pianificano la guerra in tutto il mondo. Un'altra volta ero nell'ufficio
di Frank Gehry. L'avevo incontrato molti anni fa e stava per mettere su
il suo nuovo ufficio in una zona umida sulla strada per l'aeroporto.
Sono andata nel suo ufficio e mi sono incatenata alla porta e, mentre la
gente andava al lavoro, ho detto loro di andare a casa e prendersi il
giorno libero. Han chiamato la polizia per tagliare le catene e mi hanno
portata in prigione. Frank Gehry ha cercato di salvarmi, ma io non ho
accettato, e quando sono arrivata in tribunale il giudice ha lasciato
cadere le accuse.
Qual è l'atto più oltraggioso della disobbedienza civile a cui hai mai
partecipato?
Il mio arresto più scandaloso è stato alla partita di football Army-Navy
che si è tenuta al Rose Bowl di Pasadena nel 1983 con 81.000 spettatori.
Mentre la palla era in movimento, attraversai i pali della porta, fuori
sul campo di gioco, raggiunsi la linea delle 22 yard, mi inginocchiai e
tenni il mio cartello: "No War-Tu non ucciderai." Tre uomini mi
portarono via e mi ha rinchiusero in prigione. Negli Stati Uniti
adoriamo il foor-ball, adoriamo la guerra, e tu devi essere in
opposizione a qualcosa, devi essere una voce. Ho sempre partecipato ad
azioni non violente e quindi sono sempre stata in grado di accettare i
colpi o accettare la responsabilità. Non ho mai fatto del male a nessun
altro. Sono stata trascinata per le orecchie dalla polizia per alcuni
metri! E per essere in grado di non reagire, quando pratichi la non
violenza, devi davvero concentrarti e pregare.
Hai senso dell'umorismo per le tue cause?
Qualunque cosa io faccia, specialmente quando è qualcosa di veramente
serio, mi diverto. Mentre stavo protestando contro l’esagerata
espansione, mi sono vestita di bianco e sono scesa sul luogo e sono
strisciata sotto la recinzione, sono andato a sedermi su un bulldozer
con un cartello che diceva “Morte ambientale”. La polizia era fuori
chiedendosi come ero entrata! Per me, mi sentivo come se fossi stata
fatta entrare dal Divino.
Come stai attiva nella comunità?
Parlo nella mia mente e ho un'opinione che ritengo sia diversa da
chiunque altro nella comunità e spero che ciò possa far pensare la
gente. Mi sento davvero benedetta. Uno dei miei motti è "Vivi
semplicemente così gli altri possono semplicemente vivere". Se viviamo
semplicemente, possiamo avere il tempo di fare cose significative.
Cosa ami di più di Malibu? Cosa ti turba di più di Malibu?
Quello che amo di più di Malibu è la sua bellezza naturale. Ciò che
disturba è l'uso dei pesticidi nei nostri parchi e l'inquinamento giù
alla Laguna di Malibu. Dal punto di vista politico, ero davvero
sconvolta dal fatto che l'edificio delle arti e dello spettacolo fosse
stato comprerato dalla città; avevamo un'opportunità meravigliosa per
avere spettacoli e concerti. Hanno speso un sacco di soldi per
ristrutturarlo e cambiargli destinazione d’uso, e questo per me è
riguarda esclusivamente l’ego di certi amministratori pubblici. Viviamo
in questo posto meraviglioso e siamo molto rispettosi l'uno dell'altro,
nutriamo ego e orgoglio l'uno per l'altro e non siamo realmente in
contatto con ciò che sta succedendo nel mondo.
Se potessi ricostruire Malibu, cosa faresti? Come organizzeresti una
nuova comunità di Malibu?
La cosa più importante per me sarebberto gli alloggio per i poveri e
quelli con il reddito medio. Una piazza cittadina dove le persone
possano incontrarsi. Mi piacerebbe vedere più diversità, che le persone
che lavorano qui possano vivere qui. Mi piacerebbe vedere Malibu
togliere il fluoruro dall'acqua. Odio quando il governo decide cosa fare
per noi. Malibu è una bolla e sento che dobbiamo davvero raggiungere e
cercare di includere i giovani, includere gli anziani e non essere così
separati.
Le tue opinioni radicali hanno influenzato le tue relazioni con amici e
familiari?
Sì. È stato molto difficile per la mia famiglia all'inizio perché erano
mortificati perchè andavo in prigione. Nel frattempo, mi sono sentita
davvero bene. Ma nel corso degli anni, dopo essere stata così coinvolta,
mia madre mi avrebbe supplicato di non fare così tanto.
Come ti guadagni da vivere?
Lavoro per Martin Sheen come assistente personale. Lui ha una coscienza.
È molto coinvolto con i diritti umani. È meraviglioso lavorare per
qualcuno come lui che non è solo gentile, ma anche molto consapevole di
ciò che sta succedendo nel mondo. Curo anche animali domestici.
Ho sentito che sei una grande cuoca, parlami un po' di quello.
Sono molto appassionata di cibo biologico e credo davvero che la nostra
salute sia tutta incentrata su ciò che mangiamo. Vivo molto
semplicemente e faccio molte insalate, cerco di mangiare molta frutta e
verdura e sono vegetariana.
C'è un posto perfetto sulla terra?
Si, Nel mio cuore
Bene, la mia curiosità
è stata soddisfatta, anche se era una cosa di poca importanza,
comunque, più cose si sanno su Dylan meglio è! Forse una curiosità che
pochi conoscevano, buona per cominciare l'anno nuovo, non trovate? Live
long and prosper, Mr.Tambourine
Alce Nero, il Lakota-Sioux che
potrebbe diventare santo
La conferenza episcopale americana (USCCB) ha dato il nulla-osta
all’avvio, della procedura di beatificazione.
Il vescovo Robert Dwayne Gruss, appartenente alla diocesi di Rapid City,
ha celebrato il 21 ottobre 2017, nella chiesa del Santo Rosario di Pine
Ridge, la messa solenne per aprire formalmente la causa di
canonizzazione di Alce Nero.
Alce Nero con la figlia Charlotte
Sant’Alce Nero il Sioux (definizione
erronea ma ormai attribuita) si chiamava Heȟáka Sápa in lingua Lakota,
Black Elk in inglese, nato dalle parti del Powder River il 1° dicembre
1863 – morto a Manderson-White Horse Creek, 19 agosto 1950, è
stato un "uomo della medicina", cioè quello che nella filmografia western
americana era chiamato “Stregone” o “Sciamano” ("wicʿaša wakan" o
"pʿejúta wicʿaša"), presso gli Oglala, una tribù della famiglia
Lakota-Sioux. In realtà Heȟáka Sápa significa "Cervo Nero" in lingua
Lakota Hehaka. Elk in americano indica il cervo e non l'alce, il cervo
gigante canadese e più precisamente lo Waapiti, nome derivato dalla
lingua shawnee, ossia "sedere bianco" che è una sottospecie di cervo
nobile diffusa in Nord America e in Asia nordorientale. Per dimensioni,
è il secondo della sua famiglia, superato solamente dall'alce.
I primi coloni inglesi, avendo familiarità col più piccolo cervo
nobile, trovandosi di fronte questo gigantesco animale pensarono ad una
parentela con l'alce; questo spiega il nome di elk (elk in inglese
significa alce) col quale l'animale è
conosciuto in Nord America.
Ancora giovanissimo, 12 anni, Alce Nero partecipò alla Battaglia del
Little Bighorn, avvenuta nella valle del torrente Little Big Horn nelle
Black Hills, nel territorio orientale del Montana, nella quale, una
forza combinata di Lakota (Sioux), Cheyenne e Arapaho guidati da Toro
Seduto, Cavallo Pazzo e Gall, inflissero la storica sconfitta al 7º
Cavalleria dell'esercito degli Stati Uniti d'America comandato dal
tenente colonnello George Armstrong Custer.
Black Elk
Nel 1887, a 24 anni, si recò in
Inghilterra al seguito del “Buffalo Bill Wild West Show”. Fu per lui
un'esperienza deludente, come scrisse successivamente nell'autobiografia
"Alce Nero parla", libro che ebbe un successo mondiale. Dopo la fine
della tournée Alce nero ritornò negli Stati Uniti e nel 1890 venne
ferito ad un occhio nel Massacro di Wounded Knee avvenuto il 29 dicembre
1890 nella valle del torrente Wounded Knee compiuto dall'esercito degli
Stati Uniti nel quale vennero barbaramente trucidati a colpi di
mitragliatrice quasi 300 indiani della tribù dei Miniconjou, donne
vecchi e bambini compresi. Nell’eccidio morirono anche venticinque
cavalleggeri americani, uccisi probabilmente accidentalmente dei loro
compagni nella confusione del momento.
Alce Nero venne batezzato nel 1904 nella fede cattolica dai missionari
gesuiti che dal 1887 si erano stabiliti nella sua riserva. Era il giorno
di San Nicola, e così Alce Nero venne batezzato col nome di Nicholas
Black Elk. Una volta battezzato non si limitò ad essere un devoto
fedele, ma si fece diacono, evangelizzando a sua volta moltissimi altri
della sua gente.
Nel 1993 l’antropologo e gesuita Michael F. Steltenkamp ha pubblicato un
libro che in italiano si intitola “Alce Nero, missionario dei Lakota” e
che ha appunto riproposto con forza la cattolicità del personaggio. Il
New Yorker è invece andato a scovare la bisnipote Charlotte, che si
proclama “pagana” e secondo cui Alce Nero avrebbe fatto concessioni solo
esteriori alla cultura dell’uomo bianco, senza in realtà cambiare mai.
Un punto di vista intermedio è quello di Ross Enochs, docente di Scienze
religiose al Marist College di New York, secondo cui Alce Nero aveva
fatto una sintesi tra la fede dei suoi padri e quella cattolica. È un
modello tipico dell’evangelizzazione gesuita, a partire da quei famosi
riti cinesi che avevano ammesso la venerazione per Confucio e le
preghiere in mandarino. I missionari avevano infatti accettato
tutta quella parte della tradizione sciamanica che non era in marcato
contrasto con il cattolicesimo, e perfino il rito di esporre le salme a
cielo aperto adagiate su impalcature. Insomma, i gesuiti avevano
permesso ad Alce Nero di diventare diacono rimanendo Uomo della
Medicina. Oggi un'altro gesuita, Papa Francesco, potrebbe farlo santo.