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MAGGIE'S FARM

SITO ITALIANO DEDICATO A BOB DYLAN

2016 Nobel Prize in Literature

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Mercoledì 31 Gennaio 2018

Talkin' 10364 - uptome65

Ciao Mr.Tambourine,
volevo segnalare alla Fattoria che ho 2 biglietti in più (ottimi posti) per i concerti del nostro a Roma (martedì 3 aprile) e Mantova (domenica 8 aprile)

Roma, Auditorium S.Cecilia, Platea, fila 9, posto 46 (a destra guardando dal palco)
Mantova, Palabam, posto 19 (è in 2a fila), settore A (il primo settore a sinistra guardando il palco)


entrambi al costo sostenuto su Ticketone.
Per chi fosse interessato, puoi contattarmi su uptome65@icloud.com
Nella speranza di far felice qualche appassionato, ti saluto e ti ringrazio per quello che continui a fare con passione e dedizione.
Alla prossima. Louis R.

Ciao Giorgio, ho postato anche in "Vetrina" il tuo appello, per il biglietto per Roma prova a contattare giorgiobellone1@virgilio.it che è alla disperata ricerca di uno. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10363 - miscio.tux

Caro Mr.Tambourine,
innanzitutto un favore, potresti partecipare tu al 69 con Sir Eglamore? Io ho un impegno. Molti si chiedono quale sia la sua vera identità, ma non è di vero interesse, dietro ogni supereroe si cela sempre un Clark Kent qualunque. Io, che mi onoro di servirlo con vile deferenza da umile scudiero, come Sancho Panza, anzi, Miscio Panza, so che è molto simpatico, specie da quando ha detto che sono colto e intelligente. Data la frequentazione, però, qualche informazione posso darvela. Le sue origini risalgono alla mitica strage del profeta Eliseo (1): insieme a Dylan e Giovannoli, fu uno dei tre fanciulli sopravvissuti e condannati da Dio a vivere in eterno per trolleggiare l'universo. Ma quello che qui ci interessa, è spiegare il suo astio contro il modernismo. Per sua ammissione si proclama zollastrico o zollastriano cioè seguace di Elemire Zolla, una versione aggiornata di Ermete Trismegisto, oppure, ma non vorrei farvi pesare troppo la mia cultura, del Mefisto di Tex Willer. Non meraviglia che quindi sia interessato alle simbologie e al misticismo antico. Infatti in base alle mie conoscenze al riguardo, utilizzate anche dalla Treccani (2), posso affermare che per Zolla i simboli costituiscono un linguaggio più potente di quello ordinario, ed esprimono “forme ontologiche non sensibili”, e di conseguenza universali e metastoriche. E' questo che Sir Eglamore trova nella tradizione: il ricordo di un'antica sapienza dal valore universale. Proprio l'uso, più o meno consapevole, di siffatte componenti a priori, farebbe grande Dylan: “Hiram Hubbard”, per esempio, potrebbe pure far schifo, musicalmente, al nostro Eglamore, che però sarebbe egualmente estasiato dagli arcani dell'ingiusto soffrire. Anche il fastidio verso il 68' deriva da questo: la ripulsa verso la furia iconoclasta che i giovani riservavano alle sacre reliquie della sapienza secolare. Non è che lui (Eglamore) sia affezionato al Mr.Jones, il borghese reazionario, anzi, ma pensa che abbia funzionato come il coperchio della latrina, e che una volta saltato, abbia inaugurato l'invasione del Bloom (3), il piccolo borghese planetario.(Si, proprio Leopold, quello dell'Ulisse di Joyce, che se fosse una femmina si chiamerebbe Leopolda.) Il Bloom è prodotto in serie, ma secondo infiniti modelli personalizzati, è politically correct, beve birra al posto del vino come i Vichinghi ma anche no, non è viaggiatore ma turista, crede di capire i Sardi vestendosi da Mamuthone, con tutta la famiglia che gli scatta le fotografie. E soprattutto è contagioso, lo stiamo diventando tutti. Sir Eglamore ne infilzerebbe uno al giorno, ma l'ho visto fissare con amore il suo telefonino, presto sarà fra noi. Io credo invece che sia stata la reazione al 68 a provocare tutto questo e non il 68. Ma poco importa, dentro ci siamo e ci stiamo. Inoltre, da un vile scudiero materialista quale sono, penso che questo misterioso potere dei simboli sia solo la fantasia di un signore feudale: i simboli sono elaborazioni mentali di “forme sociali concrete” e non sopravvivono alla cultura a cui fanno riferimento. Dimenticavo: tra menestrello e jazzista preferisco il primo, tra l'altro sono musicalmente troppo ignorante per il secondo.
Comunque, alla fine, i giudizi che diamo sugli artisti non possono che dipendere dalla concezione che abbiamo dell'arte, e dai criteri con cui la valutiamo, che siano gli invarianti ontologici di Sir Eglamore o i tentativi materialisti e culturalisti di Miscio. Gebianchi sembra proporre un criterio in base alla complessità dell'opera: complessità musicale o linguistica. Tuttavia ci sono esempi in cui la semplicità ha un grande valore artistico (il blues è l'esempio più immediato) e altri in cui la complessità tecnica non ne ha alcuno. Ho volutamente estremizzato la questione: Gebianchi non è così ingenuo da confondere valore artistico e virtuosismo, credo che il suo fosse un termine di confronto approssimato, che per complessità intendesse anche altro. Ma allora come si può definire questo altro? E' così diverso da quello che possiamo trovare nelle composizioni più semplici? Se prendiamo una qualunque canzone e togliamo il cantato, sembra decisamente che abbia ragione lui: effettivamente resta poco. Ma, appunto, è proprio questo che non possiamo fare, separare la musica dal testo. Lo ha già osservato giustamente Carla. E allora la complessità non sta semplicemente nell'oggetto in sé ma nella relazione che ha con qualcosa di esterno, tanto che la questione diventa più di verità che di complessità. Comunque sia, una cosa è sbagliata sicuramente, è cioè il pensare che basti tradurre De André in inglese per farlo diventare un Dylan. Qui si prescinde completamente da un contesto culturale che non è traducibile, per cui sono proprio gli stretti legami che Dylan ha con la musica tradizionale americana che gli consentono di usarne gli elementi simbolici in un ambiente sociale contemporaneo, elementi che sarebbero inaccessibili a chiunque non avesse la sua storia personale. Tali elementi, nati nel quadro storico irripetibile della musica e della società americana, con la sua mancanza di aristocrazie e di una cultura ufficiale strutturata, hanno consentito la formazione di schemi in cui l'antico sapeva parlare al moderno ben prima della nascita di Dylan. Per questo le sue canzoni non sono ciarpame pop o eclettiche ammucchiate di sapori arcaici o pasticci postmoderni, ma un linguaggio universale che è connesso alla sensibilità contemporanea, e la cui semplicità è un fattore tutt'altro che disprezzabile. E adesso basta che mi fuma la crapa. Vado a tracannare i bottiglioni di vinello della ditta Odore (4) donatimi con tanta generosità da Sua Eccellenza il Magnifico Signore di Eglamore, così buono e magnanimo coi servi, al cospetto della cui Illustre Presenza mi prostro con servile sottomissione e cronica pigrizia. Mmmm... che gusticino niente male.....

Ciao, Miscio Panza.

(1) http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=2+RE+2%3A23-25&versioni[]=Nuova+Diodati
(2) http://www.treccani.it/enciclopedia/simbologia_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/
(3) https://www.nazioneindiana.com/2005/02/11/teoria-del-bloom/
(4) https://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_del_vino_al_metanolo_in_Italia

Caro Miscio Panza, pensavo che prima di accettare l'investitura feudale di "vile Miscio" da parte di Sir Eglamore sapessi che era abitudine degli inglesi dividere e considerare la gente secondo il titolo nobiliare che in Inghilterra ha una sua ferrea ed immutabile regola. La nobilità inglese si basa essenzialmente sulla primogenitura, cioè il primo figlio maschio eredita tutto. A parte i Reali (King, Queen, Prince, Princepss), il rango più alto della nobiltà inglese è il titolo di DUCA (Duke). Dopo il duca, il secondo titolo di maggior rango è quello di MARCHESE (Marquess/Marquis), sotto al marchese c'è il CONTE ( Earl ). Segue il VISCONTE ( Viscount) e l'ultimo in ordine d'importanza è il BARONE (Baron), poi segue, ma non fa parte dell'alta nobiltà (Peers), il BARONETTO (Baronet). Un baronetto è chiamato Sir più nome di battesimo e cognome. Ecco dunque dove collocare il nostro Sir Eglamore, su uno dei gradini più bassi della scala d'importanza perchè non è un "nobile" per primogenitura, Sir è un appellativo onorifico utilizzato in molti paesi anglofoni per rivolgersi a un uomo, solitamente di status sociale o grado militare superiore al misero popolo dei villani. Quindi tu, non avendo nemmeno un titolo onorifico da esibire, più di "vile" non puoi essere considerato, come tutti coloro che erano asserviti ad un qualunque compito per conto di un titolato anche se non proprio "nobile". Credo che ora ti sarai reso conto che essere poco meno di niente non ti da nessun diritto, quindi sei già uno dei fortunati a poter vivere nei luridi meandri del Castello di un signorotto locale tipo Sir Eglamore. Questo non accadeva solo in Inghilterra, ma in tutto il mondo conosciuto c'erano regole simili, e probabilmente anche in quello sconosciuto. Però non mi permetterei di paragonare Sir Eglamore ad un supereroe qualunque che si traveste da Clark Kent. Eglamore ha il compito di cacciare ed uccidere i temibili draghi alati che nell' Albione medioevale terrorizzavano il popolino con il loro alito infuocato. E' naturale che un personaggio che dedica la sua vita alla difesa dei deboli e all'uccisione di draghi abbia determinate esigenze delle quali non può occuparsi. Non può strigliare e bardare il cavallo, non può indossare l'armatura da cavaliere da solo e tante altre cosette del vivere quotidiano che porterebbero via tempo prezioso alla caccia ai draghi. Ecco l'esigenza di avere dei "vili" al suo servizio. Concordo con te che i simboli sono l'espressione dell' elaborazione mentale di una “forma sociale concreta”, ma erano cose riservate alle caste sociali elevate, i vili non avevano diritto ad avere un simbolo, una casta sociale, o una qualunque forma mentale che non fosse quella di servire umilmente il padrone. Questi Nobili e pseudonobili amavano circondarsi di "stupidotti ingenui" che li sapessero far ridere in modo da stemperare la quotidiana tensione di cui erano preda, per questo le corti abbondavano di persone infelici, deformi, nani e giullari, ed è più che normale che Sir Eglamore ti tratti con la necessaria superiorità. Eglamore non può avere nessun affetto e nessuna stima per un qualunque Mr. Jones di dylaniana fattura, mondo troppo distante dal suo, più che naturale la ripulsa verso la furia iconoclasta che i giovani 68ttini riservarano alle sacre reliquie della sapienza secolare, un vero insulto alla scala sociale dei valori secolari. E' vero che i giudizi si danno in base ai gusti soggettivi, ma un "vile" non può certo pretendere di avere i gusti di un Sir, ogni cosa al suo giusto posto per favore.

Ecco allora che Gebianchi, non essendo soggetto ad alcuno, ha la facoltà di esprimersi come la sua mente gli consiglia senza doversi scusare con nessuno. Libero e padrone di avere la sua opinione non può essere contestato, si può soltanto dire di non essere d'accordo con lui ma non possiamo dire che lui sia in errore. In ogni caso, l'amico Giuseppe Enrico Bianchi ha saputo intavolare e sostenere un confronto interessantissimo che non è stato per niente inutile. De Andrè non è stato un santo, e se per questo nemmeno Dylan lo è mai stato. Al village, prima dello scoppio della dylanmania non era considerato troppo bene, era chiamato il "cacciapalle",  "il puzzone di Duluth", "l'uomo dal braccio corto" perchè difficilmente offriva qualcosa a qualcuno, senza parlare poi del Dylan dopo "Blonde on Blonde" che in "Don't Look Back" sembra avere perso l'appoggio terrestre camminando a mezzo metro da terra, protagonista di sterili e noiosissime conversazioni che non finiscono mai, colmo di ingratitudine verso Joan Baez che contibuì a renderlo celebre portandolo con lei su diversi palchi importanti per farlo conoscere alla gente, ma lui sembra essersi dimenticato di questo, non la inviterà mai a cantare un pezzo con lui fino a quando lei, stufa di essere presa per il culo da Newhirt per ordine di Bob non abbandonerà la carovana per tornare negli States. Forse si potrebbe dire che uno come Dylan non poteva essere legato a nessuna, ma certamente non si è comportato politically correct con Suze, con Joan, con Sara e con una sfilza di altre venute dopo. Ma da un genio non si può pretendere la normalità, le cose di tutti i giorni, altrimenti Bob non sarebbe mai esistito. Ancor oggi la sua fobia delle macchine fotografiche e dei telefonini sembra non avere la minima giustificazione, ed anche il suo mutismo nei confronti del pubblico che paga fior di quattrini per vederlo sembra essere molto irriverente ed irriconoscente. Sarebbe abbastanza un "Bounasera" e basta, nessuno pretende niente di più, ma potrebbe dimostrare che il Nostro  non ha perso l'educazione sulle lunghe ed interminabili Highway americane.

Effettivamente Carla aveva ragione quando ha detto che la canzone senza la musica è una cosa senza senso, senza musica le parole di Dylan non avrebbero mai colpito al cuore milioni di persone e non avrebbe mai vinto il Nobel. Credo che non abbia nessun senso fare il paragone fra De Andrè e Dylan, troppo diversi con valenze diverse, meglio lasciarli al loro posto e trattarli con cura come tutte le cose di valore che abbiamo nella nostra casa.

Per ultimo lasciami dire che non mi piace per niente un Dio che fa sbranare da due orse 42 fanciulli solo perchè avevano riso della pelata di Eliseo, senza parlare dei luoghi come il campo di sterminio di Birkenau nei pressi di Auschwitz, posti nei quali sembra che Dio non abbia mai avuto tempo di dare uno sguardo, e questo si che mi mette tristezza e malumore, non certamente i paragoni fra Dylan e De Andrè! Alla prossima caro Miscio, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o) 

 

 
Martedì 30 Gennaio 2018

Talkin' 10362 - calabriaminimum

Mi piacerebbe molto sapere chi si nasconda dietro il nickname di Sir Eglamore, trovo le sue stoccate veramente divertenti! Credo abbia centrato il punto sulla questione De André, mentre trovo davvero insopportabili alcune prese di posizione del
signor Bianchi.
Che ne dici? :o) Dario.

Non credo che Sir Eglamore ti sveli la sua vera identità magari anche con fotografia allegata, goditelo così con quell'aurea misteriosa come faccio io. Invece per il Signor Bianchi penso che abbia il diritto di difendere strenuamente e con tutti i mezzi a sua disposizione il suo artista preferito, Maggie's Farm l'ha ospitato sulle sue pagine con piacere anche se naturalmente come te e tanti altri, non condivideva tutte le sue prese di posizione. Io guardo la cosa da un'altro punto di vista, questo scambio mi ha dato la possibilità e la spinta per andare a vedere e sentire ed indagare su cose concernenti la carriera artistica di Fabrizio De Andrè che altrimenti non avrei mai saputo, oggi posso sostenere una discussione su Faber con basi più solide e di questo devo dire grazie al Sig. Bianchi. Alla prossima dear friends, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10361 - magicbus91

Ciao caro e paziente Mr Tamburino,
Ho letto con la mail di sir Eglamore a cui faccio i miei complimenti , scrive benissimo ed è molto divertente come espone
i suoi i punti di vista sui quali condivido tante cose mentre altri mi lasciano alquanto perplesso.

Comincio con una difesa della Pivano: se Pavese, Hemingway, De Andrè e compagnia hanno trovato qualcosa nella Pivano un motivo ci sarà: ho avuto il piacere di conoscerla anni fa ad una cena di fans di Dylan, (c'era anche il fondatore di questo sito), lei fu molto gentile e disponibile, era curiosa di sapere come dei ragazzi (vabbé io non lo ero ), fossero interessati a Bob Dylan, eravamo credo una quindicina e parlò con tutti, e fu così gentile che alla fine pagò lei la cena.
Il primo libro con le traduzioni di Bob (blues ,ballate e canzoni) che ho letteralmente consumato, ha la sua introduzione, quindi concludo con il massimo rispetto, mi alzo in piedi e mi levo il cappello per Fernanda.

Sul fatto che De Andrè fosse pigro io dico :beh? Beato lui che se lo poteva permettere! Andare in ufficio, o tirare la lima tutto il giorno è una gran figata! Bruce Springsteen ha recentemente dichiarato di non aver fatto un giorno di lavoro "normale", in tutta la sua vita, lo stesso Bob se gli ricordi che spalava la neve nei primi anni sessanta per racimolare qualche dollaro si incazza come un lupo, sono artisti e vanno presi come tali.
Il fatto poi sia stato bravo a circondarsi di autori validi, tanto di cappello, mi dispiace per Bubola e posso capire che
gli girino un pò: io possiedo molti sui album e l'ho visto parecchie volte dal vivo, posso solo dire che mi sono divertito più ai sui concerti che a quelli di De Andrè, d'alta parte se facciamo un indagine su chi ha scritto Twist and Shout il 99% mi sa che risponderebbe Beatles, per Jaihouse Rock , direbbe Elvis, caro Massimo sei in ottima compagnia!

Il nostro Sir si è dimenticato di citare Tommy; Quadrophenia, Arthur dei kinks, che forse sono tra i primi 100 dischi di sempre, ma chissà come concept album funzionano . e poi scusate ma Pink Floyd e rondò veneziano ma che paragone è?!

Cordialmente, Alessandro.

Ciao Alessandro, Sir Eglamore è una specie di U.F.O., un qualcisa che esiste ma non è riconoscibile, inquadrabile e di conseguenza classificabile, se fosse possibile farlo non sarebbe più Sir Eglamore ma diventerebbe un Mario Rossi qualsiasi. Non importa se rimani perplesso qualche volta, questo è proprio il bello di Sir Eglamore, lui può dire tutto ed il contrario di tutto con la stessa serietà, leggerezza, saggezza ed incoscienza. Il vecchio detto calcistico: "Squadra che vince non si cambia" si adatta ad Eglamore come il cacio sui maccheroni, cambiare Eglamore sarebbe un peccato mortale, com prendere la Pietà di Michelangelo ancora a martellate!

Sulla Pivano la penso esattamente come te, una donna di grande intelligenza e di grande spessore, giustamente amata da tutti, che ha avuto una frase infelice. Anch'io ho studiato le prime traduzioni della canzoni di Bob su "Bob Dylan, blues, ballate e canzoni" con l'introduzione della Nanda. A mio avviso, e l'ho già scritto alcuni giorni fa, la frase che definiva Bob Dylan il Fabrizio De Andrè americano è stato solo un passo falso di una grande che forse per troppo amore verso Fabrizio ha allungato troppo la gamba facendo un intervento da calcio di rigore. Credo che nessuno di noi dylaniani possa accettare una frase del genere, ma penso anche che si possa perdonare senza grandi difficoltà una grande donna come la Pivano, son solo quelli che non fanno mai niente che non sbagliano mai. Anche Dylan ha fatto diversi errori nella sua carriera ma non per questo l'abbiamo crocefisso, l'abbiamo perdonato come era giusto, come mi sembra giusto perdonare la Nanda.

La questione De Andrè / Bubola penso sia nata da una reciproca convenienza, dalla pigrizia di Faber alla voglia di emergere di Bubola. Io ho visto De Andrè solo in alcuni videoclip su Youtube, Massimo invece l'ho visto diverse volte e mi è piaciuto. Probabilmente gli saranno girate un pò le palle ma i suoi rapporti con De Andrè sono cose personali che nessuno è in grado di giudicare perchè nessuno di noi sa la verità e le sue diverse sfumature del loro rapporto artistico e personale, quindi ci vediamo costretti ad astenerci dal dare giudizi, possiamo sempre liberamente dire "A me piace De Andrè" o "Io preferisco Bubola" ma questi non sono giudizi, sono solo gusti estremamente soggettivi.

Infine per quanto concerne The Who, altre all'inarrivabile "Tommy" che straconosco a memoria, ho amato molto Who's Next,

Album classificato al 28º posto della lista dei 500 migliori album di tutti i tempi. Viene considerato un pilastro della musica rock del XX secolo, quello con "Baba O'Riley" e "Behind Blue Eyes", inciso con l'aiuto dei seguenti musicisti:
Roger Daltrey - voce
Pete Townshend - chitarra, pianoforte, sintetizzatore
John Entwistle - basso
Keith Moon - batteria
Musicisti aggiuntivi
Nicky Hopkins – Per anni pianista dei Rolling Stones - pianoforte in The Song Is Over e Getting in Tune
Dave Arbus – violino in Baba O'Riley
Al Kooper – (Bob Dylan, Blood Sweet and Tears, Rolling Stones - organo nella versione alternativa di Behind Blue Eyes
Leslie West – Mountain con Felix Pappalardi al basso (ex-produttore dei Cream) e Norman D. Smart alla batteria. Con questa formazione i Mountain esordirono nel luglio del 1969 al Fillmore West, e poi calcarono il palco del Festival di Woodstock. – chitarra nella versione estesa di Baby Don't You Do It

Ingegnere del suono: Glyn Johns – uno dei migliori ingegneri del suono e dei più grandi produttori che produsse i migliori dischi per i Led Zeppelin, The Rolling Stones, The Who, Eagles, Bob Dylan, Linda Ronstadt, Johnny Hallyday, the Band, Eric Clapton, the Clash, the Beatles (Get Back Sessions), Ryan Adams, the Steve Miller Band, Small Faces, Spooky Tooth, the Easybeats, the Ozark Mountain Daredevils, Blue Öyster Cult, Emmylou Harris, Midnight Oil, New Model Army, Belly, Joe Satriani, Ronnie Lane, Rod Stewart with Faces, John Hiatt, Joan Armatrading, Buckacre, Gallagher and Lyle, Georgie Fame, Family, Helen Watson, Fairport Convention, Humble Pie e molti altri.

Quadrophenia non mi ha mai entusiasmto troppo, ma forse è solo un gusto personale.

Invece Arthur dei Kings - titolo esatto - Arthur (Or the Decline and Fall of the British Empire) - fu un lavoro che non ebbe molto successo.

Il frontman del gruppo, Ray Davies, costruì il concept album come una sorta di "opera rock" per la colonna sonora di uno sceneggiato televisivo della Granada Television, e sviluppò la storia e i personaggi in collaborazione con lo scrittore Julian Mitchell; tuttavia, il programma venne cancellato e non andò mai in onda.
Sorprendentemente invece, in Gran Bretagna l'album non entrò nemmeno in classifica.

Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Lunedì 29 Gennaio 2018

Talkin' 10360 - paulclayton

Oggetto: FABER, DORI E NANDA CI HANNO VERAMENTE FRACASSATO LE BOCCE.

Caro e paziente Mister Tamburino,
da alcuni giorni ho un forte dolore al petto, probabilmente dipende dal fatto di dover in parte convenire col figlio del padre della splendida moglie di Bubola.

Premetto che sono cresciuto secondo i precetti musicali impartiti dalla Santissima Trinità Baez - De André - Dylan, con leggera prevalenza del LA minore rispetto al SOL maggiore. Come all’etnologo Bianchi, anche a me succede di andare in visibilio per Hiram Hubbard e anch’io faccio di Rambling Bob l’unica concessione al chitarroso mondo del rock. Ma, a differenza sua, io esco dalla bruma delle antiche ballate, lui invece dai bordelli di Storyville. Jazz e folk sono due universi paralleli e sconfinati che comunicano fra loro molto sporadicamente, ma non mancano comunque alcuni punti di contatto: entrambi innanzi tutto condividono l’alto livello culturale dei pochi estimatori (Miscio, tu da che parte stai?) e, per contro, l’acredine che questi due generi musicali sanno infondere nell’animo elementare del Neanderthal Tecnologicus; esistono poi parecchie contaminazioni vecchie e nuove (da Frances Faye a Madeleine Peyroux); in condivisione alcune gloriose case discografiche indipendenti e specializzate (Prestige, Riverside, Folkways…); in comune anche una piccola parte del repertorio (Sister Kate, Down By The Riverside…); e ancora il Festival di Newport, qualche locale del Greenwich Village e poco altro. Insomma apparteniamo a due popoli confinanti che parlano lingue diverse, ma che si stimano e si rispettano, trovandosi spesso in sintonia, questo non toglie però che su De André (oltre che sugli Indiani, quelli con le penne), io mi trovi in disaccordo col Prof. Bianchi.
Non mi turbano i presunti plagi di De André, infatti concordo sostanzialmente con il professore sul fatto che l’impronta deandreiana rimane riconoscibile e preponderante. Trovo pertanto la polemica abbastanza stucchevole e la ritengo in parte riconducibile alle gelosie e alle inimicizie tipiche di questi bambinoni che sono poi gli artisti.
A proposito sapevate che la melodia del Blasfemo proviene da Rambleaway (nella versione di Shirley Collins, anche se io preferisco quella della grande Jean Redpath)?

https://www.youtube.com/watch?v=Xcq_k96BOR8 

Io nella critica a De André partirei invece da un altro presupposto e vorrei argomentare secondo criteri di maggiore oggettività. Arrivo al punto. Da innamorato, con infinito rammarico, devo dire che… Faber ci sta veramente fracassando le bocce!
Sicuramente non aiuta il santino che ne stanno facendo media e società civile: libri di testo, scuole dedicate, special commemorativi, interviste alla Ghezzi e alla Pivano e adesso pure gli sceneggiati (proprio come i Padri Pii). Ma come! Fabrizio de André non piaceva a nessuno un tempo, era uno chansonnier di nicchia per carbonari da salotto. Adesso invece tutti: “Ah… io adoro De André!”. Poi però in auto ascoltano Zucchero.
E non parliamo di quanto col mito di Faber ci fracassa le bocce la Nanda. Qui, per inciso, la potete sentir delirare su come durante il primo (?) concerto di Bob Dylan al Berkeley Community Theatre siano sbocciati i primi figli dei fiori (se il menestrello lo avesse saputo per tempo, avrebbe portato il diserbante). https://www.youtube.com/watch?v=chyd44JKoL0 

Bisognerebbe che qualcuno si decidesse a raccontarle di quando Dylan, campagnolo imberbe, chiese allo sceriffo di Woodstock se gli fosse consentito sparare agli hippies che gli si arrampicavano sul tetto. Ma cosa ci trovava Cesare Pavese in lei? Ho sempre sperato si trattasse di omonimia. Vabbè…
Tornando al punto, se di questa beatificazione postuma non si può certo incolpare De André, con il tempo e con la giusta lontananza mi pare sempre più evidente che i suoi lavori risentano di alcune tare, personali ed artistiche.

1 - Le debolezze personali.

Il signor De André, per carità, era sicuramente una brava persona, una sensazione per altro confermata da un paio di fugaci incontri in camerino, in occasione dei quali mi autografò, sorpreso di rivederli in circolazione, i vecchi 45 della Karim, che io poi in seguito, contravvenendo alle sue raccomandazioni, ho provveduto a rivendere lucrandoci discretamente. Dev’essere poi stato un personaggio molto piacevole e divertente nel convivio. Io mi immagino serate in Gallura memorabili, con vino, risate e canzoni a volontà sotto la luna della Sardegna. Peccato però che nelle sue notti convulse Prinçesa non potesse respirare lo stesso profumo di cisto, dovendosi accontentare del fumo di scarico delle auto che ripartivano dopo averla mollata sul marciapiede.

Una vita, quella di Faber, percorsa in direzione ostinata e contraria. Ma vivere di rendita senza mai azzardare nuove direzioni è davvero un merito? Le persone intelligenti sono generalmente dotate di ironia e non di rado cambiano le proprie opinioni, perché il dubbio è la loro bussola, consapevoli che il mondo si trasforma e la prospettiva cambia a seconda di dove ti affacci. Qualche domanda sull’onestà intellettuale di Faber (non sulla sua intelligenza) viene spontanea: era un borghese radical chic, snob, colto, pigro, viziato, zuzzerellone e anche un po’ furbetto, o davvero quel rigoroso santo combattente che ci dicono? In realtà le contraddizioni personali non mi spaventano di certo, sono tipiche delle personalità ricche e complesse e conferiscono più umanità all’individuo, ma mi pare che De André, seppur con i modi garbati di una modestia che mi suona in parte falsa, si sia sempre proposto in modo eccessivamente didascalico e moralistico. Io ravviso un codex deandreiano cristallizzato e purtroppo non privo di retorica. Penso alle interviste, agli scritti e alle introduzioni delle canzoni. Non credo si tratti solo della sua proverbiale timidezza, che probabilmente lo rendeva un po’ impacciato e impostato nel dialogo. Diciamo che un po’ di ironia in più non avrebbe guastato. Schierarsi col perdente è moralmente nobile e artisticamente efficace, ma non bisogna dimenticare che la ruota gira, i perdenti non rimangono sempre gli stessi e le minoranze di un tempo diventano talvolta maggioranze. Quando il contrario diventa conforme, il rischio è quello di passar per tromboni. Insomma, a me questa direzione ostinata e contraria m’ha veramente fracassato le bocce.

E poi con ‘ste puttane… che mania! Pure la povera Nancy ha infilato dentro un bordello, c’aveva proprio la fissa. Oltretutto questo appretto libertario in cui il nobile chansonnier era solito immergere tutto ciò che creava in alcuni casi ha prodotto risultati di una sgradevolezza assoluta. Se penso alla provocatoria e compiaciuta volgarità della strofa hard-core di Marinella, mi vien da rimpiangere la tanto demonizzata censura democristiana. Complici anche i tempi, già allora balordi. Proprio quest’anno si celebra il cinquantesimo del 68, ma io, per questi motivi, riterrei più opportuno aspettare ancora un anno e festeggiare invece il 69. In fondo credo che anche Faber sarebbe d’accordo (Miscio, tu che ne pensi?).

2 – Le debolezze artistiche.

De André proviene da una famiglia dell’alta borghesia genovese, questo traspare anche dalla sua educazione, ma a volte le sue scelte musicali tradiscono sorprendentemente gusti di matrice piccolo borghese. A parte la tournée teatrale del 1992, in cui De André ci regalò delle meravigliose versioni di Miché/Passanti/Giovanna D’Arco/Nancy, i suoi concerti per me sono sempre stati una grande delusione. Vogliamo parlare del cattivo gusto degli arrangiamenti della PFM? Più barocchi e tamarri è difficile immaginarseli, ma a lui però devono essere proprio piaciuti, se per venti estenuanti anni ha continuato a profanare con gli stessi identici arrangiamenti gemme come Bocca di Rosa, Guerra di Piero, Marinella e Via del Campo. Ma, volendo ben vedere, anche la casa in Sardegna non brillava per buon gusto.

C’è poi quella che in molti, con devota ammirazione, definiscono cura maniacale del particolare e che a me pare invece un’assurda fisima piccolo borghese. La replica integrale dei dischi eseguita in concerto, seguendo lo stesso ordine delle tracce, con tanto di pescivendole bercianti, io l’ho sempre trovata ridicola, oltre che terribilmente noiosa (a questo punto me ne sto a casa mia e mi ascolto il mio disco in santa pace, sul mio divano, al buio davanti al fuoco, con un bel bicchiere di vino, senza i cafoni che mi cantano e ballano intorno). Praticamente De André ha portato i pastorelli di Capodimonte in tournée. Ha musicato le bomboniere della Thun. E questo, prof. Bianchi, è l’esatto contrario dell’improvvisazione jazz che lei tanto apprezza.

La pretesa di proporre al pubblico uno spettacolo dal vivo con una struttura che potesse trascendere la casuale successione di singole canzoni ci riporta a quell’idea stessa di album concettuale (mi rifiuto di usare “concept album”) tanto cara a De André. L’ingenua pretesa che la canzone possa assurgere a qualcosa di più, mi fa sorridere. Il “vorrei ma non posso” musicale ha sempre avuto effetti aberranti, penso a The Wall e al Rondò Veneziano. Io trovo ripugnante la pretenziosità di un album come Storia di un impiegato, in cui la mancanza di autonomia dei singoli brani è tale da renderli infruibili e inutilizzabili (dal vivo per esempio). Le canzoni sono una cosa, l’opera un’altra. Più le canzoni sono slegate fra loro più sono aperte, evocative, fresche e spontanee. Immaginiamo che latte alle ginocchia ci avrebbe fatto venire il Vol. 1 se fosse stato intitolato “Storia di un perdente”, con una Preghiera in gennaio dedicata al povero disgraziato che, presa in moglie Barbara con un rito nuziale campestre, dopo essere stato per l’ennesima volta da lei tradito e aver poi bussato invano alla bella di Via del Campo, si fosse alla fine suicidato. Dylan, intelligentemente, non ha mai ceduto a questa lusinga, non ha mai sentito il bisogno di superare i limiti della canzone, non sentendo il peso di questa subalternità culturale e i risultati in termini di schiettezza e freschezza sono sotto gli occhi di tutti. Personalmente detesto a tal punto queste pretenziose liasons, che, come un chirurgo, ho ripulito, nel limite del possibile, le canzoni di De André da tutte le intro, gli intermezzi e i finali, rimescolandole fra loro e riportandole alla loro essenza originale di canzone. Sarebbe bello che, mettendo mano ai nastri originali multitraccia, la Dori Ghezzi desse alle stampe le versioni primitive, libere da tutti questi orpelli, ma non lo farà mai.

E a proposito di cattivo gusto, ho sentito qui citare più volte Sand Creek. Io credo che non ci sia nel repertorio di Fabrizio De André canzone più irritante di Sand Creek: melodia orrenda, arrangiamento orrendo e testo orrendo. Ripeto: gli Indiani vanno lasciati in pace, sono dei vecchi cani spelacchiati che stanno morendo nel cantuccio. Lasciamoli morire in pace. Artisticamente poi non funzionano e, al limite, sarebbe titolata a parlarne Buffy Sainte-Marie e non certo un cantautore italiano. Ma non è orrenda solo Sand Creek, tutto l’Indiano è un disco mostruoso, a partire dalla prima ridicola traccia per finire con la copertina. Solo Supramonte forse si salva. E anche il disco precedente, Rimini, è brutto, raffazzonato e incredibilmente povero: nove brani di cui quattro puramente riempitivi. Ma quanto era pigro quest’uomo? Cosa faceva tutto il giorno? Va bene svegliarsi sempre a mezzogiorno, va bene bambanare per la casa tutto il pomeriggio col libretto degli appunti in mano, va bene la pignoleria, ma per sfornare un album ogni sei anni devi proprio essere irrimediabilmente pigro. Se tra l’altro non devi nemmeno aspettare che ti appaia la Musa perché la tua cultura e il tuo raffinato talento innato di adattatore ti permettono di lavorare di cesello su materiali preesistenti, serve solo un po’ di impegno e un album ogni due anni lo puoi tranquillamente fare. Certo che se per fare un disco devi prendere la barca a vela e, come Ulisse, girare in lungo e in largo per il Mediterraneo in cerca di spunti, ci metti anche dieci anni a fare un disco. E il bello è che non esistono nemmeno inediti! Dispiace sicuramente che sia morto senza poter finire i Notturni, ma, diciamocelo: chissà se l’avrebbe mai terminato… a questi ritmi, nel frattempo, sarebbe potuto morire altre tre o quattro volte.

Quindi, per concludere questa invettiva, sicuramente De André era bravo, ma quanto ci ha fracassato le bocce!

Bisognerebbe seppellire tutto in un baule, avendo l’accortezza di distruggere Impiegato, Rimini e Indiano e poi fra cinquant’anni riesumare le reliquie; solo allora, quando ce ne saremo dimenticati, De André potrà tornare a piacerci.

Ossequi, Sir Eglamore.


Ciao Eglamore, premetto che per me il discorso Fabrizio De Andrè è un capitolo chiuso come ho detto anche a Giuseppe Enrico Bianchi. E' stato uno scambio interessantissimo e da parte mia devo confessare che ho imparato tante cose che non sapevo sull'attività di De Andrè ed inevitabilmente anche sulla sua natura artistica e personale. Certamente possiamo tranquillamente dire che Fabrizio è stato un grosso personaggio della nostra musica cantautorale, con tutti i pregi ed i difetti annessi e connessi che ognuno di noi gli può trovare, di certo uno fra i maggiori, in buona compagnia con Guccini, Bubola, De Gregori, Dalla e Venditti. Io considero la totalità del lavoro di un artista e le dietrologie non mi emozionano e nemmeno mi interessano. Personalmente preferisco De Gregori (che considero totalmente Dylan-addicted) perchè è il più vicino allo stile di Dylan, Guccini è stato un altro grandissimo, compositore di pezzi indimenticabili ed indimenticati, a mio parere l'unico che abbia saputo tradurre Dylan senza falsarne il significato ("Ti voglio" è come se fosse cantata in inglese), un artista con una forza polemica, politica e sociale davvero notevole, una forza mai fine a se stessa (protestiamo tanto per protestare) ma una protesta sentita che veniva dal fondo del cuore e da una mente ricca di visioni pertinenti con la realtà, uno che con le parole riusciva a dipingere un quadro dei tempi nei quali stava vivendo. Massimo Bubola è un vero poeta, se lo senti parlare sul palco mentre presenta il pezzo che deve cantare o se parla di Bob Dylan ti affascina, ti colpisce per la sua delicatezza nell'esprimere il suo pensiero e nel porgertelo, e non pensare che per questo Massimo sia un bonaccione, è un peperino di prima, con il dono di saper parlare alla gente e l'intelligenza per farlo. Che dire del grandissimo Lucio Dalla che sapeva coniugare le visioni di mondi esistenti e desiderati solo dalla sua fantasia con la realtà dei ricordi di vita. Quando ho sentito 1983 per la prima volta sono rimasto fulminato chiedendomi cosa avesse Dalla di così fuori dall'ordinario, leggete queste strofe e capirete cosa voglio dire:

Le dieci del mattino e mi scoppia la testa
Come se avessi bevuto una botte di vino
O fossi stato alla mia festa
Apro la finestra è ancora buio
Butto un urlo per strada ma non risponde nessuno
Il mio cuore si è rotto come uno specchio si è rotto
Si è rotto quel bellissimo orologio ti ricordi
Come lo chiamavi tu
Il silenzio continua sono almeno le sette
Apro la radio la tele le orecchie
Ma nessuno trasmette
La stanza è piena di animali sembrano zanzare
Grosse come cani ma almeno i cani non sanno volare
Forse qualcuno mi sente qualche vecchio amico mi sente
Provo ad urlare così forte
Così forte almeno mi sentissi tu
Che giorno è che anno è lunedì martedì ma che vita è
Da una foto mia madre comincia a parlare
Dice "Non ti ricordi tuo padre come ci sapeva fare?"
Erano gli anni della guerra tutti col culo per terra
Si mangiava coi cani ti ricordi a Bologna che festa
Quando arrivarono gli americani
Ehi nel '43 la gente partiva, partiva e moriva e non sapeva il perché
Ma dopo due anni tutti quanti perfino i fascisti aspettavano
Gli americani come a Riccione aspettano i turisti.
e proprio te quella notte in piazza sulle spalle di tuo padre sembravi un re
finiti i bombardamenti tutti a farsi i complimenti
erano tristi solo i morti e si mangiavano le mai
non perché erano morti ma perché non si svegliavano domani
ti ricordi quella bruna come era triste perché sapeva di non vedere
i razzi sulla luna

Chi se la vuole riascltare tutta clicchi sul link sotto:

https://www.youtube.com/watch?v=cPuSM_CpGyM

Credo che qui siamo più in alto delle solite storie di puttannelle poverelle ammmazzate. Nancy è la traduzione italiana della canzone di Leonard Cohen "Seems So Long Ago, Nancy" incisa nel 1974 sul disco "Io come chiunque (sulla pista di Cohen)" col titolo "Sembra così tanto tempo fa, Nina" nel 1974 da Claudio Daiano, nome d'arte di Claudio Fontana, è un paroliere, compositore e cantautore italiano che ha scritto i testi di molte canzoni entrate nella storia della musica leggera italiana, da Sei bellissima per Loredana Bertè a L'isola di Wight e Storia di periferia per i Dik Dik, da Un pugno di sabbia a Un giorno insieme, entrambe per i Nomadi, da Il volto della vita per Caterina Caselli a Un'ombra per Mina. La prima grande affermazione risale al 1968 con Il volto della vita, firmata anche da Mogol, cover di Days of Pearly Spencer di David McWilliams. Sempre nello stesso anno ottiene un altro grande successo: Quelli erano giorni, cover di Those Were the Days, singolo di debutto nonché hit di Mary Hopkin, scritta da Gene Raskin per il testo inglese sulla musica di una canzone russa, Дорогой длинною (Dorogoi dlinnoyu), scritta da Boris Fomin ed incisa da Gigliola Cinquetti; il suo testo verrà inciso anche dalla stessa Hopkin.
Nel 1969 scrive il testo per la versione italiana della celebre canzone-scandalo Je t'aime... moi non plus di Serge Gainsbourg
Nel 1970 ottiene due successi con L'isola di Wight per i Dik Dik (cover di Wight Is White di Michel Delpech) ed Un pugno di sabbia per i Nomadi, che arriva al quarto posto ad Un disco per l'estate. Sempre nel 1974 pubblica il suo primo album da cantautore, Io come chiunque (sulla pista di Cohen): un album tributo a Leonard Cohen. Il 1975 è l'anno di Sei bellissima, che diventa una delle canzoni evergreen della musica leggera italiana, anche grazie all'interpretazione di Loredana Bertè. Nel 1975 fu ritradotto da De Andrè con titolo "Nancy", una canzone triste e malinconica che racchiudeva anche un piccolo mistero che negli anni lo stesso Cohen ha dovuto fugare. In una intervista passata negli States, Leonard in più di una occasione, ha commentato la canzone sia presentandola durante i concerti, sia parlandone in alcune interviste, dicendo che forse Nancy era uno dei suoi brani a cui era più vicino, in quanto conosceva molto bene Nancy. Credevano in tanti che Nancy fosse in realtà Marilyn Monroe, che in effetti come descrizione sarebbe calzata perfettamente nella drammatica carriera da “ricca ma infelice”. Cohen però giurò che quella Nancy in realtà era proprio reale: «Una ragazza di 21 anni, di Montreal, che si suicidò perché le tolsero il bambino senza motivo.

Naturalmente ognuno ha i suoi artisti preferiti e fa bene a difernerne e metterne in risalto l'opera, come dire, ognuno tira l'acqua al suo mulino. Questo è un mulino dedicato a Bob Dylan quindi è logico trovare persone che danno più importanza ed amano di più Dylan. Ma questo non fa male a nessuno, anzi, è stato uno scambio piacevole anche se ormai concluso. Alla prissima Eglamore, e spero che Miscio ti dirà la sua visto che l'hai chiamato in causa un paio di volte. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Morto David Zard, portò in Italia Bob Dylan                                                clicca qui

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Bob Dylan sulla via della conversione: quando incontrò Gesù in tour      clicca qui

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Woody Guthrie diventa un fumetto                                                              clicca qui

 

 
Sabato 27 Gennaio 2018

Talkin' 10359 - dinve56

Buongiorno Mister,
sto seguendo con attenzione il dibattito sulla grandezza di De Andrè e di altri cantautori italiani. Molti autori e testi che sono stati citati sono molto noti al pubblico, e quindi anche a me che non sono un'esperta di musica, ma ho scoperto la sua bellezza e il suo grande dono di arricchire ed allietare la vita quotidiana grazie all'assegnazione del Nobel a Dylan ed alla frequentazione del sito. Concordo con l'affermazione che i grandi cantautori si distinguono per il testo, cioè per l'abilità linguistica di costruire testi non banali, accompagnati dalla musica. La semplicità della musica è il grande elemento innovativo, poichè rappresenta la linea di incontro tra l'artista ed il pubblico.
A me sembra che Dylan abbia qualche freccia in più nel suo arco rispetto ad altri, pur grandi, poeti-musicisti: la varietà di temi e motivi davvero vasta, che non lo rende mai monotono, e la suggestione della voce, capace di modulare le parole in modo sempre nuovo e toccante. Seguendo le indicazioni di un Farmer, ho visto, qualche giorno fa sui rai 5, "Don't look back". Mi hanno colpito la bellezza delle riprese in bianco e nero e non a colori - non ero più abituata alla vecchia TV - e la forza straordinaria di quel ragazzino mingherlino ed arruffato che conquista il pubblico inglese e, soprattutto, tiene testa ai giornalisti del "Time" che vogliono fargli dire cose che lui non vuole dire e che difende con intelligenza e determinazione la libertà della sua arte. Aveva solo 24 anni! Accanto a lui, solido e saggio, Albert Grossmann. Una bella trasmissione, valeva la pena stare svegli fino a tardi! Come sempre, grazie delle informazioni e del dibattito. Lunga vita! Carla.

Ciao CVarla, la musica è proprio quello che distingue i poeti degli anni passati con quelli odierni. La musica è un veicolo che fa in modo che una volta memorizzato il testo non lo dimentichi più proprio grazie al supporto sonoro, L'esempio più semplice è questo: quando senti due note di una canzone di Battisti immediatamente ti torna alla mente tutto il testo. Le parole da sole sono molto più difficili da mandare a memoria, e forse ci colpiscono in modo più leggero perchè non hanno qualla musica a volte davvero triste nel suo insieme che aiuta a creare l'emozione. Penso anch'io che Dylan sia più totale dei pur grandi cantautori italiani per la vastità degli argomenti trattati e per come sono stati trattati. Naturalmente ognuno di noi può avere il suo cantante o autore preferito, ma visto che questo è un sito dedicato a Bob Dylan, alla sua attività ed al suo lavoro, viene spontaneo priviligiarlo e metterlo al primo posto assoluto, il King of Kings di tutti i songwriters e storytellers.

"Don't Look Back" è un documentario che ha i suoi lati positivi e quelli meno. Trovo noiose quelle lunghe discussioni che sembrano tirate avanti solo perchè c'è una telecamera a riprendere, non mi è piaciuto come la Baez viene fatta scomparire dal filmato senza una parola di spiegazione. Invece ritengo eccezionali le riprese di Bob sul palco da solo che si mette a nudo di fronte a tutto il mondo! Si vede la differenza fra lui e gli altri e si capisce che quel ragazzino farà grandi cose nel futuro. Grossman, oltre che essere solido e saggio, si vide interrompere bruscamente il contratto con Dylan quando Bob si rese conto che Albert stava guadagnando più soldi di lui che era quello che faceva il lavoro per cui tutti guadagnavano soldi, solo che le percentuali di Grossman erano troppo esose e giustamente Bob gli diede il due di picche. Lo disse chiaro in "All Along The Watchtower" - ("Businessmen, they drink my wine, plowmen dig my earth" , Uomini d'affari bevono il mio vino, contadini zappano la mia terra), frase evidentemente riferita a Grossman ed ai suoi soci che si approfittavano del fatto che lui era stato impegnato a scrivere le sue canzoni e non aveva avuto il tempo di occuparsi seriamente dei suoi interessi. La stessa cosa che successe ai Beatles col loro primo manager Brian Epstein che non seppe negoziare per il merchandising beatlesiano negli Stati Uniti, col risultato che i Beatles persero milioni di dollari di royalties ed invece produttori di memorabilia americani incassassero milioni di dollari senza sborsare niente. Per Epstein ci pensò il destino, per Grossman ci dovette pensare Dylan. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)  

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Smartphone vietato ai concerti: civiltà o prevaricazione?                         clicca qui

Nota di Mr.Tambourine: Questo è un argomento interessante da sviluppare, scrivete cosa ne pensate di questa decisione.

 

 
Venerdì 26 Gennaio 2018

Talkin' 10358 - gebianchi

Dunque, caro Tambourine, vediamo se riusciamo ad intenderci meglio. Io fin dall’inizio ho premesso che il rispetto dei gusti altrui è la premessa per ogni civile e costruttivo scambio di vedute e direi che questo vale per ogni argomento. Però quando si fa cattiva, o errata, informazione, credo si debba correggere e precisare, al fine di evirare di fornire a chi legge, degli strumenti di giudizio sbagliato; questo sta accadendo con De Andrè e ciò mi dispiace, visto che da parte del sottoscritto e credo anche da parte tua, non vi sia alcuna preclusione a priori nei confronti dell’uno o dell’altro artista di turno. Andiamo con ordine; intanto per quanto concerne la musica, con la M maiuscola, direi che criticare De Andrè è abbastanza scontato. Tutto il mondo della canzone, dal rock, al pop, al cantautorato italiano e non, si muove su un terreno tecnicamente banalissimo. Stessi ritmi (4/4, 3/4, 2/4), stessi giri armonici, stessi intervalli. Non troverai mai un jazzista o un musicista classico disposti a prendere sul serio la musica di De Andrè, ma nemmeno quella di Bob Dylan o quella dei Led Zeppelin. A parte poche eccezioni (mi vengono in mente in Italia gli Area, i cui componenti, non a caso, hanno poi scelto carriere solistiche nel jazz, Fariselli, Tavolazzi e quel genio di batterista che era Giulio Capiozzo capace di costruire ritmiche dispari in 9/4 o 15/16), tutto il mondo della canzone gira intorno ad un concetto di tonalità che Stravinskij o Alban Berg piuttosto che John Coltrane o Miles Davis con le loro invenzioni sulle progressioni modali, bollerebbero come musica infantile e di una semplicità imbarazzante. Del resto ogni musicista di discreto livello è in grado di suonare assoli elementari come quelli della gran parte dei musicisti rock (chiedi ad un qualsiasi turnista italiano e ne avrai conferma). Metti un Pat Metheny alla chitarra un John Patitucci al basso, un Dave Weckl alla batteria e…..vedi cosa viene fuori come accompagnamento per il nostro Bob!!!. Ma questo è un altro discorso; nel rock, nel pop, nei cantautori, c’è poco da fare, quel che conta è il testo. Da De Gregori a De Andrè, da Guccini a Capossela, da Dylan a Neil Young. Quello che però mi indispone un po’ è la vulgata, ormai vedo molto diffusa, che tenta di disconoscere a Faber buona parte dei suoi meriti creativi. Allora, andiamo con ordine. Intanto chiariamo che l’acredine di De Gregori deriva soprattutto da motivi….molto personali (fonti dirette me lo hanno confermato), sta di fatto che è stato lui stesso, tanti anni fa a rivelare come fu “il testamento” di De Andrè ad illuminarlo circa la scelta di fare il cantautore. Detto questo, Amico fragile (la canzone forse più autobiografica di De Andrè e della cui paternità credo nessuno possa dubitare visto come e quando fu scritta!!!!) vale da sola tutto Vol.8, disco in cui l’ispirazione degregoriana, mi pare proprio poca cosa, comprese canzoni come Le storie di ieri e altri pezzi in cui la poetica spesso ambigua e astratta di De gregori (che già scriveva canzoni che….dicevano poco!! vedi il sopravvalutatissimo LP Rimmel) mal si combina con le tematiche stringenti e attuali care a De Andrè. Mi si cita Mannerini; benissimo, ho conosciuto molto da vicino il figlio, persona squisita, che da anni, assieme all’associazione De Andrè (senza la quale nessuno se lo sarebbe filato), propone spettacoli teatrali in cui vengono recitate le poesie del padre. Mi raccontò come Tutti morimmo a stento fu un lavoro a 4 mani in cui però il padre, anarchico scontroso, coi suoi cali di lucidità che lo avrebbero portato al suicidio, non riusciva proprio a creare nei tempi e modi della canzone, e di lì il ruolo certamente preponderante di Fabrizio (a detta di Mannerini stesso), il quale in lunghe interviste, come quella del 1992 che trovi anche se vai su wikipedia e digiti Riccardo Mannerini, non ha mai smesso di riconoscerne il ruolo e l’importanza nella sua formazione politica e culturale. Reverberi, di cui si parla nel precedente talkin', lo conosco bene, anche personalmente, essendo genovese; egli considera De Andrè un genio assoluto e non ha mai scritto le musiche delle sue canzoni, le ha bensì arrangiate, con quell’ampollosità strumentale tipica del suo modo di arrangiare e suo marchio di fabbrica; da Bindi a De Andrè a Lauzi e altri ancora. Per quanto riguarda Fossati (sempre citato in concerto come co-autore da De De Andrè del quale io ho visto una quarantina di concerti) sostenere che sembra un disco interamente dello stesso Fossati è un falso clamoroso. Il tema degli zingari, della solitudine ed emarginazione, dei transessuali, la smisurata preghiera frutto dell’amicizia tra De Andrè e lo scrittore sudamericano Alvaro Mutis, la Disamistade , ovvio riferimento ad una faida che si svolge in Sardegna, isola tanto cara ed i comportamenti dei cui abitanti erano tanto noti a De Andrè, il tema di Ho visto Nina volare, canzone che narra dell’infanzia di Fabrizio in quel di Revignano d’Asti dove spingeva sull’altalena la piccola Nina Manfieri (signora ormai ottuagenaria e che realizza degli ottimi biscotti casalinghi che consiglio di assaggiare) la cumba genovese, lingua in cui Fossati non componeva mai…..sono lì a dimostrare la paternità di quel disco che non sfociò in una vera e propria collaborazione perché De Andrè non amava le sonorità rockeggianti ed elettroniche tanto amate da Fossati (il quale peraltro ha sempre riconosciuto a Faber il merito di quel disco). Su Pagani ho già detto in un talkin' precedente, anche se mi pare davvero miope non riconoscere il valore dell’intuizione e dell’apporto deandreiano. Da quel disco in poi tutti hanno cominciato a scrivere e cantare in dialetto, anche se lo spessore poetico di pezzi come Capitan Pascià, a Pittima A Dumenega…sono obiettivamente inarrivabili. Ma quando mai Pagani conosceva come funzionasse il meccanismo dei bordelli genovesi nel rinascimento i cui introiti servivano a pagare i lavori di manutenzione del porto, o chi era andato a studiarsi la storia delle conquiste della repubblica marinare ligure ai tempi delle crociate??? Oltretutto non è assolutamente vero che Faber abbia sminuito il ruolo di Pagani, che come i vari Bubola, Mannerini stesso, persino Piovani, citiamo anche il compianto Milesi, sarebbero oggi dei personaggi minori (quando non dei perfetti sconosciuti), senza la collaborazione con De Andrè. Per quanto concerne gli arrangiamenti PFM, è vero, sono abbastanza invariati, ma per De Andrè che aveva una concezione classica della canzone, se il pezzo era giusto in un modo, era un inutile virtuosismo tentare di modificarlo. Tant’è che maniacalmente, dal vivo, anche in dischi come Nuvole e Anime Salve dove la PFM non c’entra niente, De Andrè ha sempre tentato di riprodurre maniacalmente dal vivo, gli stessi suoni e arrangiamenti da studio, convinto che il pezzo, la canzone, fosse “giusta” nel modo in cui era stata pensata in studio. Potrei continuare a lungo, ma rischio di tediare troppo i lettori del talkin’ e me ne scuso, però vorrei solo chiudere il mio intervento con una ultima riflessione. De Andrè, (che ripeto non ha mai nascosto nulla, anche se in concerto non si metteva certo a raccontare la rava e la fava, come non lo fa giustamente nemmeno Dylan quando canta Sinatra….) era prima di tutto un uomo molto curioso e aperto a tutte le influenze e a tutti gli ascolti. Leggeva moltissimo e si documentava in maniera maniacale. Dori Ghezzi mi raccontava di come girasse per casa con questa agendina sui cui risvolti annotava di tutto; titoli di giornali, riflessioni, aforismi, titoli di libri da acquistare, versi di altri autori o poeti, ricette di cucina; poi iniziava un lungo, lento e snervante lavoro di composizione, un connubio tra collage e creatività (peraltro modus operandi tipico dell’artista moderno post-romantico e post-avanguardista) che rappresentava una prima stesura della canzone. Su di essa (ma qui potrebbero testimoniare tutti gli altri, da mark Harris a Reverberi, da Marangolo a Ellade Bandini che mi raccontò di come rimase incantato di fronte alle competenze musicali tecniche di un De Andrè che passa sempre per un analfabeta del pentagramma, cosa non vera) innestava una melodia spesso re-imbastita all’infinito, dopodichè avvalendosi dei vari Piovani, Milesi o Reverberi, nasceva l’arrangiamento. Peraltro, questo modus operandi è tipico di tutti i cantautori. Guccini, altro monumento della canzone d’autore italiana, ha sempre lavorato allo stesso modo, e direi che nella stessa maniera lavorano i big della canzone d’autore americana. Quello che a me sembra sfugga, è il ruolo dell’intellettuale nella nostra società. Lungi dall’essere un personaggio isolato in una torre d’avorio (come tenta di essere il pur anche da me amato Dylan che però col suo occultarsi non fa altro che costruire il mito ed io non amo i miti, ma le persone normali, ma questa è una mia valutazione personale) De Andrè ha sempre cercato di integrarsi, di interagire, ha parlato di mafia, delle minoranze etniche, della frustrazione del bombarolo che sfoga la sua rabbia impotente in una società che tende a stritolarlo, rispondendo perfettamente alla figura dell’artista contemporaneo. La creatività, non nasce dal nulla, da una intuizione isolata, ce lo hanno insegnato Andy Warhol e tutta l’arte contemporanea. In questo suo attingere, appoggiarsi, collaborare con altri, De Andrè è di una modernità assoluta; ripeto i suoi dischi non sono un collage bizzarro di canzoni, alcune buone altre no, sono un corpus integrale da ascoltare e leggere in tutta la sua completezza e in tutti i suoi, spesso voluti, riferimenti culturali. Avete presente i cantos di Ezra Pound? Non sono un’assemblaggio di citazioni e riferimenti alla poesia provenzale, a Confucio, ai codici del Monte dei Paschi, a Cavalcanti, etc etc?? Peccato siano universalmente considerati come il più grande poema del 900 di uno dei massimi poeti del 900!!!! Resta il fatto che le tematiche affrontate da De Andrè in trentacinque anni di carriera, sono tuttora delle pietre miliari illuminanti, e se la santificazione del personaggio può pure apparire stucchevole, ci sarà qualche motivo se tutti i maggiori esponenti della canzone d’autore nostrana, da Vasco a Battiato, da Ligabue a Zucchero, hanno voluto, nel corso di questi anni tributargli un doveroso omaggio. O sbaglio? Con simpatia, Giuseppe Enrico Bianchi.

Caro Giuseppe, la tua loquela ti fa manifesto di quelle nobil patria natio che diede i natali anche a De Andrè. E chi meglio di te, che hai conosciuto molti dei personaggi che hanno fatto parte della storia deandreiana può dare un'opinione e delle osservazioni e puntualizzazioni così interessanti? E' molto bello vedere e sentire l'amore, e soprattutto il rispetto, che hai per il lavoro e la persona di Fabrizio. Validissime le tue osservazioni che tutto il mondo della canzone, dal rock, al pop, al cantautorato italiano e non, si muova su un terreno tecnicamente banalissimo, anche se non bisogna dimenticare che ci sono stati artisti che attraverso questo ramo banalissimo hanno saputo sfornare dei veri capolavori come De Andrè e Dylan. Molti altri si sono mossi nel campo del rock agendo però ad un livello superiore a quello del banale, lasciami citare quel mostro di inventiva che fu Frank Zappa sempre circondato da musicisti di calibro gigantesco rispetto alla media degli artisti più popolari. Non tralascerei i King Crimson, i Nice, i Colosseum, gli Yes, EL&P, Procol Harum, che pur agendo nell'ambito della canzone hanno portato la musica a livelli al di sopra degli stereotipi canzonettistici popolari, facendo diventare anche l'esecuzione un'arte oltre che la composizione. D'altronde non possiamo dire che coloro che suonano la cosidetta "musica classica" dei vari Verdi, Puccini etc...etc....non siano dei veri artisti a tutti gli effetti. La musica è una scienza basata sulla matematica e quindi la perfezione di un'esecuzione migliora la qualità ed il "suono" della stessa. Toscanini, che si era laureato alla Regia Scuola di Musica (il futuro conservatorio di Parma) era uno studente diplomato in violoncello e composizione, a 19 anni era già considerato uno dei più grandi direttori d'orchestra per l'omogeneità e la brillante intensità del suono, la fenomenale cura dei dettagli, l'instancabile perfezionismo e il dirigere senza partitura grazie a una memoria prodigiosa. Non dimentichiamo che fu una persona capace di rispondere con un netto rifiuito ad un invito fatto nel 1933 da un certo Adolf Hitler! La leggenda narra anche che fu Toscanini a rendere celebre e consegnare alla storia della musica il "Bolero" di Ravel con la sua esecuzione col tempo accellerato. Toscanini aveva capito nelle prove che con il tempo scritto da Ravel il Bolero diventava noioso per la sua lentezza, così una volta, in un teatro parigino, presente Ravel nel palco di proscenio, diresse la sua opera in maniera Toscaniniana. Le ultime note del capolavoro furono salutate da un’autentica ovazione. Il mitico maestro italiano si inchinava al pubblico osannante, che richiedeva a gran voce che anche il compositore, notato da tutti, venisse sul palco a condividere il trionfo. Ravel ostentatamente non si mosse dal palco. Poi, ad alta voce, in maniera da essere sentito non solo dal maestro, disse. “Trop vite, trop vite!”, Troppo in fretta, troppo in fretta. Sembra che nella discussione che seguì fra i due nei camerini del teatro, Ravel sosteneva che il tempo usato da Toscanin non era quello scritto da lui, Toscanini avesse recuperato i dischi registrati da Ravel e ... i tempi staccati fossero identici, col risultato che Ravel se ne andò zitto, buono e sconcertato. Si dice anche che da quella volta Toscanini, pur essendosi riconciliato con Ravel, non diresse più pubblicamente il Bolero, ma  esiste una registrazione del 1939, anche se non registrata da vivo, del Bolero fatta per la NBC e non approvata daToscanini per via di certe imperfezioni di esecuzione. Quindi non è necessario essere dei grandi strumentisti o dei grandi cantanti o dei grandi compositori per essere dei grandi artisti. Tornando alla nostra simpatica discussione, io credo che la collaborazione fra artisti porti vantaggio a tutti. Son convinto che tutti coloro che collaborarono con De Andrè ne trassero dei vantaggi e che lo stesso Fabrizio trasse dei vantaggi con la collaborazione con gli altri. Potremmo definirla un sano "do ut des" senza nessun genere di malizia, conviene a me e conviene a te, facciamolo e stiamo a vedere cosa ne esce. Nessuno avrebbe potuto prevedere i risultati futuri mentre collaborava con De Andrè (o mentre De Andrè collaborava con lui), quindi ritengo che la dietrologia, come nel caso del nostro onestissimo confronto, lasci un pò il tempo che trova. Tutti hanno avuto dei vantaggi altrimenti sarebbe stato stupido ed inutile collaborare. Voglio dire che un compositore può scrivere un coro bellissimo, esempio quello del Nabucco, ma se poi non ci sono quelli che lo cantano (e parte del merito deve per forza andare anche a loro) il coro non servirà a niente se nessuno lo canterà. A questo punto, credo che quello che c'era da dire sia stato detto e che potremmo considerare chiusa questo bellissimo, interessantissimo e utilissimo scambio di vedute. Alla prossima, Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Dylan, Genova 1992, giocando col pubblico al brano “mascherato”       clicca qui

 

 
Giovedì 25 Gennaio 2018

Talkin' 10357 - calabriaminimum

Caro Mr.T.,
visto il tuo "invito", colgo l'occasione e ti dico la mia su De André.
Stimo molto l'artista De André, pur riconoscendo che la sua attività artistica è costellata da luci e ombre. Forse più ombre che luci.
Partiamo da una costatazione piuttosto semplice: Fabrizio De André era un "artista collaborativo". In pratica, come avete già affermato tu e Daniele, (e gli altri che sono fino a questo punto intervenuti sulla questione) De André ha scritto più brani come co-autore, che non come unico autore. Spesso si è ispirato a opere altrui, citando, come era uso fare, brani della tradizione, sia classica che popolare. Ci sono diversi esempi del genere, nella musica leggera, e questo "discorso"
include sia nomi importanti che artisti di nicchia. De Gregori, Vecchioni, Guccini, Venditti, Daniele, per citare alcuni cantautori celebri, spesso si sono appropriati di melodie già sentite per comporre brani propri, senza mai citarne direttamente la fonte, cosa che in alcuni casi è più che evidente. L'artista che ha fatto un marchio di fabbrica di questo stile compositivo è probabilmente Zucchero Fornaciari, il quale spesso prende 2-3 brani e li miscela fino a creare qualcosa di altro, anche se quasi sempre riconoscibile a un orecchio attento e allenato all'ascolto. De André però non si limitava a fare questo: spesso (molto spesso) era solito avere uno o più collaboratori per scrivere canzoni che sarebbero poi finite nei
suoi dischi. Questo metodo di lavoro diventa più evidente da "Non al denaro non all'amore né al cielo" e da "Storia di un impiegato" in poi. Purtroppo (o per fortuna) da quel momento in poi, De André diventerà un autore (co-autore) assai mimetico (o camaleontico). Se nei lavori con De Gregori, emerge ancora la sua voce e la sua "poetica", questo si perderà quasi completamente nei due dischi in collaborazione con Massimo Bubola. Il problema è che De André era già un grande della musica italiana, mentre Bubola era poco noto.
Impossibile però non notare come il suono e la scrittura siano influenzati da autori nord-americani, che De André non amava
particolarmente (a mio avviso, e per sua stessa ammissione). In questo caso, Bubola prende il sopravvento nella fase di scrittura dei brani, e intendo sia dei testi che delle musiche. Per me l'esempio più lampante della loro collaborazione è rappresentato dal brano Se ti tagliassero a pezzetti. Non solo musicalmente distante dal canone di De André, ma concettualmente davvero lontano anche rispetto alla sua penna (testo). In questo caso, come confermato da diverse fonti, De André adattò il brano, e lo rese suo, è vero, ma ciò avvenne solo in un secondo momento. Da questo punto in poi, il De André autore scompare quasi totalmente. Un altro esempio paradossale è dato dall'album "Le nuvole", dove troviamo addirittura tre co-autori, a cui bisogna aggiungere lo stesso De André. Niente di sorprendente, siamo d'accordo. Però io ancora oggi non capisco una cosa, e qui mi fermo per raccogliere meglio le mie idee: come mai il disco Creuza de ma'
non è firmato da De André e Pagani? In genere un lavoro di questo tipo reca una doppia firma, o no? La stessa cosa avverrà a distanza di anni per Anime Salve con Ivano Fossati. La mia considerazione finale è questa: De André aveva bisogno dei collaboratori per scrivere canzoni, ma poi nel momento della pubblicazione figurava solo il suo nome.
Capisco per Bubola, che all'epoca di Rimini era giovane e poco conosciuto. Ma nel caso di Pagani e Fossati, rispettivamente con 15 e 24 anni di attività musicale alle spalle, la cosa non dovrebbe destare qualche perplessità. Che ne dite?
Dario twist of...

Ciao Dario, apprezzo molto il fatto che anche tu abbia voluto esprimere un'opinione in quella che potremmo chiamare scherzosamente "la guerra di gebianchi contro tutti". Vorrei dire a tutti coloro che si sono sentiti di partecipare a questa interessantissima ed istruttiva "lezione" che tutto sommato le divergenze sono piccoli punti di vista soggettivi e che le piccole divergenze non cambiano assolutamente il valore degli artisti protagonisti di questo simpatico e sincero scambio di opinioni. Io sono certo che le opinioni personali, per coloro che le esprimono (o per coloro che le hanno ma preferiscono tenersele dentro senza manifestarle o discuterle) siano delle certezze assolute, e in fondo in fondo mi pare giusto che sia anche così, se uno si sente di parlarne ne parla liberamente con chiunque, se invece non se la sente le tiene dentro di se, ma questi due modi di agire non portano male e non vanno a discapito di nessuno. Anche i grandi artisti citati in questo scambio di idee, e mi riferisco a Massimo Bubola, Mauro Pagani, Ivano Fossati, Enzo Jannacci, De Gregori e tutti coloro che hanno lavorato e collaborato con De Andrè, in fondo sono persone come noi, con i loro pregi e le loro debolezze, i loro esaltamenti e le loro delusioni, il tipico contrasto "amore-odio" che è innato in tutti gli esseri umani. Gli artisti stessi cambiano opinione sul loro lavoro, a volte sono contenti e ne parlano bene, altre volte, in momenti meno felici dicono "Ahhh, non l'avessi mai fatto!". Sembra assurdo ma questa è la natura umana, un concentrato di bene e male, cose logiche e cose assurde, estasi e depressione, verità e bugie, tutte raccolte dentro una persona sola. Forse noi, nei nostri piccoli giudizi espressi con tutta la nostra buona volontà, a volte commettiamo degli errori o ci mettiamo sulla sponda sbagliata solo perchè non conosciamo tutti i reali particolari che compongono la vicenda. Le nostre opinioni sono soltanto un modo intelligente e non banale (tipo Facebook) di passare del tempo parlando di cose reali senza la necessità di postare sul nostro profilo il solito "selfie" imbecille con la bocca che sembra il culo di una gallina. Però a volte ci sono momenti nei quali dobbiamo fermarci perchè la nostra competenza limitata non ci permette più di continuare perchè per sviscerare le diverse ragioni sarebbe necessario l'intervento di coloro che hanno vissuto in prima persona quei periodi e che forse hanno deciso di scrivere la parola stop su quelle vicende. Voglio dire che tutti i principali attori della "piccola storia" della quale abbiamo amichevolmente parlato probabilmente si sono buttati il passato dietro le spalle perchè la vita impone a tutti di continuare a viverla, e se si ferma la vita di uno di noi, coloro che rimangono devono invece, per forza di cose, andare avanti e superare il passato per affrontare il futuro. Poi se De Andrè sia stato migliore di Dylan o viceversa è soltanto una questione personale, ognuno la vede a modo suo e, dopo aver espresso la propria opinione, si rimane amici come prima e l'ideale sarebbe andare tutti in compagnia in una buona trattoria per terminare la discussione fra tarallucci e vino. Per chiudere vorrei dire che Dylan, De Andrè, Bubola, De Gregori, Pagani, Fossati sono tutti grandissimi artisti che hanno dato tanto a gente come noi che magari non siamo capaci di comporre musica ma sappiamo apprezzare quello che sentiamo. Ognuno ha il suo artista preferito ed è giusto che sia così. Io personalmete sono ormai dieci anni che mi occupo di redigere giorno per giorno questo "giornalino quotidiano" dedicato a Dylan, ma vi assicuro che spesso e volentieri ascolto e mi sciolgo quando ascolto le canzoni degli altri miei artisti preferiti, insomma voglio dire, Dylan è Dylan e su questo non si discute, ma nella mia mente c'è stima ed ammirazione per tantissimi altri artisti anche se non hanno vinto il premio Nobel per la letteratura. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, o)

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Talkin' 10356 - gebianchi

Ciao Tambourine, vedo che la figura di Fabrizio De Andrè…ha stimolato la tua curiosità. Mi fa molto piacere, quindi cerco di fornirti alcuni chiarimenti che penso siano necessari. Intanto una premessa. Poiché….”nessuno nasce imparato”….ritengo sia abbastanza normale nei grandi autori, il cercare fonti di ispirazione che, soprattutto ad inizio carriera, oltre ad essere dei riferimenti basilari rappresentano anche una sorta di modello a cui conformarsi, imitando, traducendo, riadattando etc. etc. In tal senso Brassens sta al giovane De Andrè come Woody Guthrie sta a Bob Dylan. Peraltro, Dylan, non c’è bisogno che te lo rammenti, scrisse molte tra le sue prime e più note canzoni, sull’aria di motivi della tradizione irlandese, vale per la Hard rain con Lord Randall, ma vale anche per Masters of war, Times changin’ etc. Non mi risulta che Mr. Zimmermann, si sia mai premurato di ricordare sulle copertine dei suoi album questi….apparentamenti. In De Andrè peraltro, la traduzione o l’ispirazione brassensiana è palese e sempre riconosciuta in ogni intervista od ogni qualvolta se ne presentasse l’occasione, al punto di dichiarare esplicitamente che il cantautore francese era certamente stato per lui un vero e proprio “maitre a panser”. Peraltro nelle ultime tournè, De Andrè presentava il pezzo forse più noto, tra quelli tradotti, Il Gorilla, con una inequivocabile premessa: ”ed ora un pezzo del mio grande maestro Georges Brassens”. E’ vero che spesso i crediti non sono riportati sulle copertine degli LP, ma come ben sai, questo valeva negli anni sessanta per qualsiasi cover che i vari artisti reinterpretavano e la scelta della casa discografica era indipendente dalle decisioni dei cantanti. Da Pietre di Antoine a sognando California dei Dik Dik, da Datemi un martello all’Immensità…..nessuno in realtà stampava sulle copertine il nome ed il titolo originale dei pezzi, ed all’epoca i dischi di Fabrizio (che sulle prime copertine appare solo col proprio nome per la netta ostilità del padre, vice sindaco di Genova e notabile della città, all’attività cantautorale del figlio) seguivano la stessa sorte. Per quanto concerne Centenaro, il buon Vittorio in realtà non scrisse nulla, solo da ottimo chitarrista classico qual era (ricordo un piacevolissimo pomeriggio passato a casa sua ad ascoltarlo mentre suonava madrigali rinascimentali e canzoni medievali) lo aiutò a musicare in forma più accademica molti pezzi della prima produzione deandreiana, da Via del Campo alla Guerra di Piero, suonando nelle varie registrazioni, la linea melodica di chitarra a cui De Andrè faceva poi da contrappunto. Centenaro ebbe poi una discreta carriera assieme a Luciano Winderling, altro chitarrista dell’area genovese col quale si divertì a mettere in musica o a riscoprire antiche ballate medievali (su youtube trovi qualcosa, pezzi tipo Viva la rosa). A proposito di Via del campo, oltretutto, la questione è più complessa. A parte il fatto che il pezzo di Jannacci non c’entra nulla con quello di De Andrè, visto che si tratta di due testi assolutamente slegati tra loro, a parte questo dicevo, la musica del brano è vero che ha una discreta assonanza con La mia morosa…. ma in realtà si tratta di una canzone in minore abbastanza classica e con una linea melodica convenzionale il cui motivo, a dire di Centenaro che me lo rivelò direttamente, derivava da una ballata medievale il cui titolo era “In morte di madonna Lucrezia” o qualcosa del genere, (non ricordava esattamente), a cui Fabrizio sovrappose la melodia di Jannacci senza neppure rendersene conto, ma avendone solo vagamente in testa il motivetto. Dunque direi che la splendida Via del campo di De Andrè ha ben poco a che spartire con un pezzo che anche il grandissimo Enzo Jannacci non ha mai certamente annoverato tra le proprie migliori composizioni. Reverberi è un grande arrangiatore: ha lavorato con tutti i cantautori genovesi e non solo, collaborando con Paoli, Lauzi, De Andrè, Tenco etc etc, ma senza mai un ruolo autoriale vero e proprio. Potremmo paragonarlo al Daniel Lanois di Dylan, per intenderci. Discorso a parte merita il disco Canzoni che è volutamente un disco d’appoggio (scadenze contrattuali lo esigevano) nel quale De Andrè riarrangia alcuni suoi pezzi e dichiaratamente rilegge alcuni classici d’autore. Del resto anche Dylan come sappiamo non ha saputo resistere alla tentazione della rielaborazione dei classici, come dimostra la monumentale trilogia sinatriana. Peraltro la Desolation Row di Dylan presente come Via della Povertà nel disco di De Andrè, nelle esibizioni dal vivo veniva completamente stravolta e attualzizzata, riadattandola alla situazione italiana dell’epoca. Alla fine del mio intervento ti posto una delle molte versioni . Circa gli interventi di Danè e Bentivoglio, in Buona novella e Storia di un impiegato, parliamo di collaborazioni minori, Faber amava circondarsi di amici intellettuali coi quali discutere e ragionare, ma il loro apporto autoriale è realmente pari a zero; semmai più significativo fu l’apporto del poeta cieco genovese Mannerini, suo grande amico di gioventù e collaboratore in Tutti morimmo a stento, il primo album concept del 1969 o dell’amico Paolo Villaggio coautore di Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers e de Il Fannullone. Discorso a parte vale per Bubola; De Andrè avrà forse omesso di riconoscergli apertamente la paternità di alcune sue canzoni, ma direi che è stato sufficientemente ricompensato da una notorietà esclusivamente derivante dalla sua collaborazione con De Andrè, peraltro mai negata da quest’ultimo e senza il cui apporto di notorietà, non credo proprio avrebbe che il buon Bubola potuto emergere. E’ un peccato, perché non posso non riconoscere il grande spessore artistico e la cifra culturale di Massimo Bubola, ma il piatto mercato della canzone italiana, regala molto più spazio a Fedez e Jovanotti che non a degli autentici poeti della canzone. Ancora diverso è il discorso relativo alla collaborazione con Mauro Pagani il quale pur avendo sempre riconosciuto la statura artistica di Faber, ha insinuato spesso il suo ruolo preponderante nella stesura di Creuza de ma, capolavoro nato durante un viaggio comune nelle isole greche alla ricerca di fonti ispirative. Ora, vista la esigua carriera solista di Pagani, le evidentissime tematiche deandreiane, l’uso di una lingua, il genovese, che per Pagani è incomprensibile, stanti le sue origini bresciane, lascio a te valutare se e quanto questo disco che all’epoca della sua pubblicazione, David Byrne definì uno dei migliori dischi degli ultimi vent’anni a livello mondiale, avrebbe mai potuto vedere la luce se nella sua stesura, Faber, avesse avuto un ruolo marginale!!! Anime Salve infine, nacque da una collaborazione con Ivano Fossati, terminata prima del tempo a causa di diversità di vedute soprattutto nel modo di intendere la scrittura musicale e comunque oltre ai crediti di copertina Fabrizio ha sempre presentato il disco, oggetto della sua ultima tourneè, come un lavoro scritto assieme al suo “concittadino Ivano Fossati” (citazione diretta). Credo fosse necessario sottoporti queste riflessioni, in quanto De Andrè, in maniera molto onesta e genuina non ha mai fatto mistero delle sue influenze, delle sue letture, dei suoi riferimenti culturali, dichiarando in ogni occasione quanto importante fosse stato l’apporto di quei collaboratori diretti o indiretti (mi viene in mente l’omaggio ad Alvaro Mutis in Smisurata Preghiera) che per tutta la vita hanno influenzato il suo modo di intendere e rileggere la realtà. Contrariamente a Dylan a alle sue citazioni e i suoi riferimenti spesso indecifrabili e avvolti nel mistero, De Andrè ha sempre preferito la chiarezza e l’intellegibilità, conscio del ruolo spesso illuminante che un intellettuale e perché no, un cantautore, può assumere nella società moderna. Un caro saluto, Giuseppe Enrico Bianchi

Il salone di bellezza in fondo al vicolo è affollatissimo di marinai prova a chiedere a uno che ore sono e ti risponderà "non l'ho saputo mai". Le cartoline dell'impiccagione sono in vendita a cento lire l'una il commissario cieco dietro la stazione per un indizio ti legge la sfortuna e le forze dell'ordine irrequiete cercano qualcosa che non va mentre io e la mia signora ci affacciamo stasera su via della Povertà. Almirante sembra così facile ogni volta che sorride ti cattura ricorda proprio Bette Davis con le mani appoggiate alla cintura. Arriva Braggion trafelato e gli grida "il mio amore sei tu" ma qualcuno gli dice di andar via e di non riprovarci più e l'unico suono che rimane quando l'ambulanza se ne va e' Almirante che spazza via il sangue in Via della Povertà. Mentre l'alba sta uccidendo la luna e le stelle si son quasi nascoste la signora che legge la fortuna se n'è andata in compagnia dell'oste. Ad eccezione di Abele e di Caino tutti quanti sono andati a far l'amore aspettando che venga la pioggia ad annacquare la gioia ed il dolore e il Buon Samaritano sta affilando la sua pietà se ne andrà al Carnevale stasera in via della Povertà. I tre Re Magi sono disperati Gesù Bambino è diventato vecchio e Mister Hyde piange sconcertato vedendo Jeckyll che ride nello specchio. Ofelia è dietro la finestra mai nessuno le ha detto che è bella a soli ventidue anni è già una vecchia zitella la sua morte sarà molto romantica trasformandosi in oro se ne andrà per adesso cammina avanti e indietro in via della Povertà. Covelli travestito da ubriacone ha nascosto i suoi appunti in un baule è passato di qui un'ora fa diretto verso l'ultima Thule, sembrava così timido e impaurito quando ha chiesto di fermarsi un po' qui ma poi ha cominciato a fumare e a recitare l'A B C. Ed a vederlo tu non lo diresti mai ma era famoso qualche tempo fa per suonare il violino elettronico alla corte di Sua Maestà. Ci si prepara per il 15 di giugno, c'e' qualcuno che continua ad aver sete Paolo VI ha gettato via la tiara si è camuffato in abiti da prete, sta ingozzando a viva forza Berlinguer per punirlo della sua frugalità lo ucciderà parlandogli d'amore dopo averlo avvelenato di pietà e mentre Paolo grida quattro suore si son spogliate già Berlinguer sta per essere violentato in Via della Povertà. E bravo Leone mattacchione, il paese sta affondando nella merda nelle scialuppe i posti letto sono tutti occupati e gli anarchici tutti annegati, e Agnelli e Indro Montanelli fanno a pugni nella torre di comando i suonatori di calipso ridono di loro mentre il cielo si sta allontanando e affacciati alle loro finestre nel mare tutti han pescato voti qua e là e nessuno deve più preoccuparsi di Via della Povertà. A mezzanotte in punto i poliziotti fanno il loro solito lavoro metton le manette intorno ai polsi a quelli che ne sanno più di loro, i prigionieri vengon trascinati su un calvario improvvisato li vicino e il caporale Adolfo li ha avvisati che passeranno dal solito camino e il vento da solo ride e nessuno riuscirà a ingannare il suo fottuto destino in Via della Poverta'. La tua lettera l'ho avuta proprio ieri mi racconti tutto quel che fai ma non essere ridicola non chiedermi "come stai", questa gente di cui mi vai parlando è gente come tutti noi non mi sembra che siano mostri non mi sembra che siano eroi e non mandarmi ancora tue notizie nessuno ti risponderà se insisti a spedirmi le tue lettere da via della Povertà.

Certamente questa piccola discussione basata principalmente sulla figura di De Andrè è stata moilto utile perchè ha dato a me, e credo anche a tanti altri amici frequentatori del sito, modo di sapere cose sul lavoro di De Andrè che prima non conoscevo. Anche se probabilmente io continuerò a mantenere al primo posto Dylan sulla mia scale dei valori e naturalmente tu continuerai a tenerci De Andrè, questo non ci impedirà di stimarci ed essere soddisfatti di questo positivo scambio di opinioni. Le traduzioni in italiano delle canzoni di Dylan, a mio personale parere, perdono molto del fascino originale, e la cosa vale per Desolation Row e Romance in Durango. Anche le traduzioni della altre canzoni di Bob fatte da Francesco De Gregori non mi hanno mai entusiasmato, non saprei spiegarti esattamente il perchè, ma io, nelle canzoni originali di Bob respiro un'altra aria. Anche De Gregori ha fatto le sue belle plagiate, ascolta questi due pezzi e dimmi se Francesco non si è sovrapposto ad una canzone di Van Morrison:

https://www.youtube.com/watch?v=i5sZJLo8jao                 https://www.youtube.com/watch?v=_lyve_egY8o                    

Comunque questo non toglie e non aggiunge niente al valore di De Gregori anche se la scopiazzatura in questo caso è più che evidente, d'altronde le note sono sette e, girale e rigirale come vuoi, è più che naturale che alla fine si trovino assonanze fra canzoni diverse. E' capitato a Michael Jackson con Al Bano e mi riesce difficile pensare che Jackson abbia passato del tempo per imparare e copiare una canzone di Carrisi. «Un buon compositore non imita: ruba». Queste parole del grande Igor Stravinskij devono essere state prese alla lettera da molti dei più celebri cantanti e musicisti degli ultimi decenni. Con un attimo di pazienza, si riescono a trovare in moltissime e note canzoni quelli che per i più buoni possono sembrare incredibili somiglianze, per i più smaliziati invece trattasi di veri e propri plagi. Qualche esempio? Presto fatto: Surfing U.S.A. (Beach Boys) / Sweet little sixteen (Chuck Berry), Stairway to heaven (Led Zeppelin) / Taurus (Spirit) - Celeberrimo, anzi molto di più: è difficile dare una definizione appropriata all’arpeggio che apre Stairway to heaven, canzone senza tempo dei Led Zeppelin. Sono note che rimarranno per sempre con gran piacere nella testa di ognuno e di chissà quante generazioni. Meno gradite furono forse alle orecchie dei componenti del gruppo Spirit, che senz’altro non godettero della stessa fama dei Led Zeppelin ma che possono fregiarsi, forse più con rancore che con orgoglio, di essere stati i veri ideatori di quell’assolo così leggendario, per tutti gli scettici, basta ascoltare alcuni secondi del brano Taurus per convincersene-. Hotel California (Eagles) / We used to know (Jethro Tull), Sweet home Alabama (Lynyrd Skynyrd) / Take the money and run (Steve Miller Band), Hitchcock Railway (Joe Cocker) / Per colpa di chi (Zucchero), I Feel Fine (Beatles) / Watch Your Step (Bobby Parker), e potremmo continuare per un bel pezzo. A volte sono coincidenze, a volte meno (qualche volta i plagiatori hanno confessato) e ricamarci sopra interminabili storie non serve a tanto. Queste cose succedono nel mondo della musica ed anche nei rami più disparati, casi esempio, Bell / Meucci per il telefono, Nikola Tesla / Guglielmo Marconi per la paternità di alcuno brevetti compresa la radio, Galileo Galilei / Santa Inquisizione Vaticana per l'appoggio alla teoria eliocentrica di Copernico in opposizione alla geocentrica sostenuta dalla Chiesa cattolica. Scherzi a parte, c'è sempre qualcosa da imparare da tutti, basta saperlo ammettere e tutto si appiana. Finora, come direbbero Vento nei capelli e Balla coi lupi, "Buono scambio", che signififcava che la cosa stava bene a tutti e due. Se hai altre puntualizzazioni da fare falle pure senza problemi. in questi tempi di ferma dell'attività dylaniana sono come il cacio sui maccheroni! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Mercoledì 24 Gennaio 2018

Talkin' 10355 - danieleardemagni77

Caro Mr.Tambourine, fra una cosa e l'altra ho ritardato a scriverti ma oggi mi sono deciso per diversi motivi. Trouble No More. Insieme a Tell Tale Signs il mio Bootleg Series preferito; di aver considerato quel periodo splendido e non aver ascoltato all'inizio del mio percorso a ritroso certi dylaniani che mi dicevano di lasciar stare quel periodo (mentre l'ho sempre considerato uno dei miei preferiti) è stata davvero una bella sensazione. Era ora che la Sony mettesse a disposizione gran parte di quel materiale e dei live dove Bob era ispirato più che mai e la band suonava come un treno in corsa. A volte valutare e pensare con la propria testa è meglio che affidarsi a chi...pensa di saperne sempre una pagina in più del libro. Altro argomento è il ritorno di Bob in Italia (io andrò a Mantova e se riuscirò anche a Verona) il quale mancava da un pezzo. Sei concerti sold out in poco tempo e l'aggiunta di altre tre date non è poco (ricordate nel 2011? per fare sold out in una location come l'Alcatraz ci si impiegò un po'); vuol dire che l'interesse nel nostro Paese del più grande autore e poeta della musica e non, non si è spenta come sembrava stesse succedendo anni fa. Naturalmente vedremo che novità porterà questo tour; al di là di tutto sarà sempre una grande emozione.

Arriviamo ora ad un autore che ho messo in cantina da tempo ma di cui, volente o no so parecchio avendo ascoltato la sua tristezza cronica nella mia adolescenza (per fortuna arrivò Bob in quel '97 con Time Out Of Mind). Tu sai di chi parlo, De Andrè. Non ne parlo più da tempo ma visto che indirettamente sono stato coinvolto in una mail di non so chi per via della mia stretta parentela con Bubola faccio eccezione. Tengo a precisare che misi in cantina Faber almeno 7/8 anni prima di conoscere Massimo di persona e presentarlo a mia sorella. Va bé...parliamone. Non è mai successo in Italia che un'artista sia stato beatificato, santificato e sopravvalutato come lui dopo la sua dipartita. Partiamo dai primi lavori dove imitava Brassens, dove il giro armonico era sempre quello (la-, re-. sol7, do. mi7) e dove molti co-autori per una questione SIAE o per...furbizia per anni furono omessi: G.P. Reverberi, Elvio Monti, Vittorio Centenaro. Poi arrivò La Buona Novella dove ci pensarono Castellari e Reverberi a mettere a posto diverse cose (Il testamento di Tito ad esempio fu scritta sulla musica di Blowin' in the Wind...provate a cantarla con la musica della canzone di Bob, calza perfettamente). Ma prima ancora Tutti Morimmo A Stento dove furono prese le poesie di Mannerini e furono modificate leggermente per renderle cantabili. Ma da "Non al Denaro, non all'amore né al cielo" in poi De Andrè non ha più scritto una mazza da solo (e qui il paragone con Dylan me le fa girare parecchio). Si è circondato di bravi e grandi autori per sfornare dischi dopo di che prendeva solo lui i meriti. Poi passiamo a De Gregori con Vol.8, i molto buboliani "Rimini", Fabrizio De Andrè (Indiano), "Una storia sbagliata/Titti" e "Don Raffaé" anni dopo, Pagani e Fossati. Noterete come in ogni disco De Andrè non canta più come nei primi dischi ma come i co-autori (o autori..?) coi quali collaborava. Come disse De Gregori "Fabrizio è molto bravo a lavorare sulle idee altrui". Le traduzioni di Cohen e Desolation Row furono curate da De Gregori e quella di Romance in Durango da Bubola. Le musiche di Creuza e Nuvole sono interamente di Pagani eccezion fatta forse per La domenica delle Salme. Quanto ad Anime Salve, come successe per vol.8 con De Gregori e con Rimini e Indiano con Bubola, sembra un disco quasi tutto di Fossati dove canta De Andrè. Insomma..la figura di poeta e genio come l'hanno sempre definito sono un po' troppo esagerate, e qualcuno poco a poco si sta accorgendo. Semmai era un buon interprete di canzoni dove metteva mano anche lui. Oltre ai co-autori di cui ho appena parlato, in ogni suo disco c'era sempre chi alla fine lo arrangiava; dai fratelli Reverberi a Nicola Piovani, da Tony Mimms a Mark Harris, da Pagani fino a Piero Milesi (che compose la parte finale di Smisurata Preghiera. Naturalmente non citato). Ma lui aveva il vizio di prendersi sempre i meriti come "mente" di tutto il lavoro come faceva spesso nelle interviste o nei concerti (ne ho visti 5) dove non citava mai con chi aveva scritto i brani e parlava sempre in prima persona. Gli arrangiamenti live poi, dopo la PFM, se non in due o tre casi come Marinella, Volta la Carta e Il Pescatore sono sempre stati invariati o restavano uguali come nei dischi da studio. Ok, ora credo di aver dato un mio punto di vista piuttosto completo da ex, fortunatamente, deandreano, che da vent'anni mi porto appresso ma di cui parlo molto raramente, anche perché l'integralismo dei deandreani è tanto e a volte sembra ci sia quasi dell'odio e dell'invidia nei confronti di artisti che ci sono ancora. Mi spiace avervi tediato un po' ma mi sembrava giusto dire come la penso dopo aver ascoltato per anni i suoi e aver conosciuto e parlato spesso con parte di persone che ci hanno lavorato insieme. E conobbi anche lui. Quanto a ciò che disse la Pivano..stendiamo un velo pietoso. Anzi, due. Nel frattempo, sperando di non sollevare polveroni, saluto tutti e spero di conoscere qualcuno di voi a Mantova.
Daniele Ardemagni "Ardez"

Ciao Ardez, per prima cosa grazie per averci fatto sapere il tuo parere di uno che sicuramente è meglio al corrente di molti altri su alcuni fatti riguardanti De Andrè.
Ma andiamo per ordine. Trouble No More è senz’altro un capitolo interessantissimo della storia dylaniana, così come lo è stato Tell Tale Sign che contiene dei veri capolavori come Mississippi, Most of the Time, Red River Shore, Born in Time e High Water (For Charley Patton) che adoro anch’io. Trouble No More, essendo una valanga di canzoni, oltre 100, va preso a piccole dosi e per gustarlo tutto ci vuole molto più tempo che non quello necessario per ascoltare un semplice album.
Certamente il conferimento del Nobel per la letteratura ha riacceso l’interesse del pubblico (ne hanno parlato a lungo ed in qualche occasione anche a sproposito) verso il vecchio Bob anche da parte di coloro che non lo conoscevano o lo conoscevano poco. Dobbiamo dire che anche il Nostro ha messo un certo ordine nelle sue esibizioni live che sono oggi regolate da regole quasi ferree, lo spettacolo è sempre quello, ripetuto sera dopo sera, con un pubblico che al 99% è a conoscenza della scaletta che Bob eseguirà. Questo ha spazzato via dal palco il caos e l’improvvisazione, sul palco c’è più ordine e lo show sembra molto più professionale e queste differenze pare abbiano dato frutti positivi. Lo dimostrano anche queste nove date che per un paese come il nostro sono veramente tante, segno che la richiesta ha sorpassato l’offerta, e questo è solo un bene perchè sicuramente farà sentire Bob meno vecchio perchè quando un artista vede entusiasmo nel pubblico suona e canta meglio e si diverte di più che non con la solita routine.

Passando all’altro argomento della tua mail non mi stupisce che anche tu apprezzi e abbia apprezzato De Andrè, anche se con tutte le piccole differenze nel giudizio artistico dovute ad una perfetta conoscenza della materia in oggetto.

E’ vero che De Andrè, nella sua carriera, ha scritto da solo, intendo musica e parole, otto canzoni, e qui riprendo ciò che è riportato da wikipedia con tutte le giuste distanze perchè wikipedia non è certo la bibbia, però bisogna riconoscere che a parte alcune diverse interpretazioni, nella maggior parte dei casi è affidabile, quindi ecco cosa scrive a proposito della paternità delle canzoni:
Durante la propria carriera De André ha collaborato, sia per la parte musicale, sia per la parte testuale, con numerosi altri artisti. Prediligendo la composizione dei testi a quello delle musiche, le canzoni di cui De André è autore unico sia del testo sia della musica sono otto (più precisamente La ballata dell'eroe, Il testamento, La città vecchia, La canzone di Marinella, Amore che vieni, amore che vai, La ballata dell'amore cieco, Giugno '73 e Amico fragile), i brani in cui è autore (o co-autore) sia del testo sia della musica sono 87, mentre quelli in assoluto in cui figura (come autore o co-autore della musica o del testo) sono 216.
In casi come quello de La canzone dell'amore perduto, accreditata a De André, la musica è quella di un brano nel pubblico dominio del XVIII secolo di Georg Philipp Telemann. Per La guerra di Piero e Si chiamava Gesù, accreditate a De André, secondo le affermazioni di Vittorio Centanaro, collaboratore di De André non iscritto alla SIAE, avrebbe egli stesso collaborato. In Il fannullone e Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (1962) ha collaborato ai testi Paolo Villaggio, affermando - per il secondo brano - d'essere unico autore del testo, ma smentito da De André stesso. Geordie è un adattamento con traduzione di un brano tradizionale inglese, reso popolare negli stessi anni anche dall'interpretazione di Joan Baez. La canzone del maggio (la cui musica ritorna parzialmente anche nel brano Nella mia ora di libertà dello stesso album Storia di un impiegato), accreditata come "canto del maggio francese", è una lontana rielaborazione di un pezzo della cantante Dominique Grange (Chacun de vous est concerné) che la donò a De André rinunciando ai diritti d'autore. Il re fa rullare i tamburi è accreditata a De André ma indicata in nota come rielaborazione di una canzone popolare francese del XIV secolo. Hotel Supramonte riprende per la parte musicale Hotel Miramonti del collaboratore Massimo Bubola. Fila la lana, indicata come «canzone popolare francese del quindicesimo secolo» che De André aveva conosciuto tramite Vittorio Centanaro, fu composta per la parte musicale da Robert Marcy nel 1948 e interpretata da Jacques Douai nel 1955, e tradotta da De André. Via del Campo, accreditata inizialmente anche per la parte musicale a De André, che la riteneva una melodia anonima del XV secolo (da cui effettivamente deriva), prende la musica dal brano di Enzo Jannacci La mia morosa la va alla fonte (scritto con Dario Fo): Jannacci riconobbe la buona fede di De André, raccontando d'avergli teso uno scherzo presentandogli una musica medievale riarrangiata da lui, e nel 1990 concordò il doppio accredito Jannacci-De André. Andrea, accreditata a De André e Bubola, nel bridge fra una strofa e la successiva, cita col violino il refrain del brano O' comme Histoire d'O composto da Pierre Bachelet, colonna sonora del film Histoire d'O. Fiume Sand Creek, accreditata a De André e Bubola, per metà della linea melodica della strofa è forse ispirata a Summer '68 dei Pink Floyd.

Oltre agli adattamenti, ufficialmente riconosciuti, di noti brani di cantautori stranieri (come Brassens, Dylan e Cohen) e alle riprese di temi musicali e letterari esplicitamenti dichiarati (come il testo di Smisurata preghiera, tratto da Imprese e tribolazioni di Maqroll il Gabbiere di Álvaro Mutis o i brani ispirati all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters), De André si ispirava anche alla tradizione della canzone popolare anarchica, che spesso riprendeva melodie adattandole al nuovo contesto (l'esempio più celebre sono i canti scritti da Pietro Gori, su musiche tratte dalla tradizione popolare o scritte da Rossini e Verdi).

Bisogna anche precisare che De André non ha mai ricevuto contenziosi per questioni inerenti al diritto d'autore.

In ogni caso, De André è accreditato come autore o coautore di tutti i brani originali da lui registrati nel corso della sua intera carriera, con due sole eccezioni: Le storie di ieri, scritta da Francesco De Gregori (che incise anche lui, quasi contemporaneamente a De André, con piccole variazioni di testo); E fu la notte con testo di Franco Franchi e musica di Carlo Cesare Stanisci e Arrigo Amadesi.


Inoltre sulla stessa pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Fabrizio_De_Andrè c’è l’elenco completo dei musicisti che hanno suonato nei dischi in studio e nei concerti dal vivo.

Qui, al di là di come la si pensi su De Andrè, il paragone con Bob Dylan diventa improponibile perchè Bob ha anche lui alcune canzoni co-firmate con altri artisti (Richard Manuel, Rich Danko, Roger McGuinn, George Harrison, Jacques Levy, Helena Springs, Ken Moore, Carolyn Dennis, Greg Lake, Sam Shepard, Tom Petty, Kurtis Blow, Gene Simmons, Carole Bayer Sager, Robert Hunter, Michael Bolton, Tim Drummond, Gerry Goffin, Barry Goldberg, Danny O'Keefe, Carl Perkins, Bono Vox, Willie Nelson) ma ci sono centinaia di altre canzoni scritte testo e musica dal solo Dylan. Purtroppo De Andrè non ha mai scritto canzoni con una forza d’impatto come Blowin’ in the wind, The times they are a-changin’, Like a rolling Stone e Mr. Tambourine man. Per questo motivo, giusto o sbagliato che possa essere, essendo “solamente” un mio personale giudizio, non mi sento di condividere la frase della Pivano "Non voglio che De André venga definito il Bob Dylan italiano. Preferirei dire piuttosto che Bob Dylan è il De André americano", frase che trovo davvero infelice, ma a volte, il troppo amore per un artista riesce anche a falsare il giudizio di una grande come la Nanda.

Alla prossima e grazie ancora. Mr.Tambourine, :o)

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E' morta la presunta "Girl From The North Country" di Bob Dylan

  

Gli amici ed i dylanofili hanno confermato che Echo Star Helstrom, la fidanzatina del liceo di Bob Dylan e potenzialmente la musa ispiratrice di "Girl From the North Country" è morta a Minneapolis in Minnesota dove era tornata dopo aver abitato in Califirnia per moltissimi anni. La notizia è stata riportata anche sulla sua pagina wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:WikiProject_Bob_Dylan/Echo_Helstrom .

Echo Star Casey, nata Helstrom nel 1942, aveva 75 anni ed ha vissuto California molti anni sebbene sia rimasta in contatto con le sue radici a Hibbing. Era una adolescente nella città di Iron Range quando Echo Casey - descritta come la Brigitte Bardot di Hibbing - frequentava l'eccentrico cantante folk.
Linda Stroback Hocking, ex proprietaria del ristorante Zimmy di Hibbing, ha detto di aver sentito della morte della sua amica Casey da un parente stretto. Non aveva dettagli, ma ha detto che forse la musa non era stata più in grado di recarsi in Minnesota negli ultimi anni. Anche John Bushey, direttore locale da oltre 20 anni dello show radiofonico "Highway 61 Revisited", ha confermato la morte. La sua pagina di Wikipedia è stata aggiornata per indicare che è morta nel 2018.
Helstrom e Dylan erano più che fidanzati secondo la compagna di classe Susan Beasy Latto. I due erano affini e diversi dagli altri della loro classe nel 1959. Dylan aveva una moto; Helstrom era la bellezza, drammatica con caratteristiche scandinave.

   Echo Helstrom dichiarò in una intervista: "Lo conobbi allo L&B Cafè di Hibbing. Fu nel 1957 quando eravamo ancora al liceo. Lui era sempre ben vestito, molto tranquillo, così lo avevo valutato per un santarellino. Invece quando gli menzionai la canzone Maybelline, urlò: "Maybelline! Maybelline di Chuck Berry? Ma certo che l'ho sentita!". Così attaccammo a parlare di Chuck Berry, Fats Domino, Little Richard, Jimmy Reed. Bob pensava che Jimmy fosse favoloso, il migliore!"

Qualcuno suppone invece che la "Girl From The North Country" fosse in realtà Bonnie Becher, diventata in seguito una famosa attrice interpretando numerosi film e la fortunata serie televisiva “Star Treck” nel ruolo di Sylvia, guardiamarina sulla astronave Enterprise della quale era innamorato il navigatore Pavel Chekov.

Bonnie aveva sposato Wavy Gravy (Huge Romney) diventato celebre come sveglia e annunciatore sul palco del festival di Woodstock e più tardi cambiò il suo nome in Jahanara Romney.

          

Bonnie Beecher, ai tempi una bellissima brunetta conosciuta al college, è presumibilmente l'ispirazione per la canzone "The Girl From The North Country", anche se Bob ha anche detto che l’aveva scritta per Echo Helstromm. A favore dell’opzione Bonnie, leggendo il testo della canzone, si nota questa strofa:

  

Please see for me if her hair hangs long,
If it rolls and flows all down her breast.
Please see for me if her hair hangs long,
That's the way I remember her best.
Per favore, guarda per me se i suoi capelli sono ancora lunghi
se scendono e scorrono lungo il suo seno
Per favore, guarda per me se i suoi capelli sono ancora lunghi
perchè è così che io la ricordo al meglio


Guardando le foto di Echo  si vede chiaramente che portava i capelli biondi molto corti, quindi logicamente non potevano scendere “lungo il suo seno”, anche se questa frase potrebbe essere una “licenza poetica”, per questo motivo si propende a pensare che l’ispiratrice fosse stata Bonnie.

 

 
Martedì 23 Gennaio 2018

Talkin' 10354 - calabriaminimum

Ciao Mr T,
in merito alla Talkin' 10352 - gebianchi ho una rettifica da fare per quanto riguarda i crediti dell'album:
"Le nuvole"
Don Raffaè – (testo: Fabrizio De André/Massimo Bubola)
Mégu megùn – (testo: Fabrizio De André/Ivano Fossati)
La nova gelosia (Anonimo napoletano, XVIII secolo)
’Â çímma – (testo: Fabrizio De André/Ivano Fossati)

poi mancano anche questi riferimenti:

"Volume 8"
Lato A
La cattiva strada – (Fabrizio De André e Francesco De Gregori)
Oceano – (Fabrizio De André e Francesco De Gregori)
Nancy – (testo: Fabrizio De André – musica: Leonard Cohen)
Le storie di ieri – (Francesco De Gregori)

Lato B
Giugno '73 – (Fabrizio De André)
Dolce Luna – (Fabrizio De André e Francesco De Gregori)
Canzone per l'estate – (testo: Fabrizio De André e Francesco De Gregori – musica: Francesco De Gregori)

un saluto! Dario twist of...

Ciao Dario, ti ringrazio per le tue puntualizzazioni che dimostrano che la chiacchierata fra me e Giuseppe Enrico Bianchi è seguita (perchè non è ancora finita) con interesse. Credo che anche tu stimerai De Andrè come autore ed artista, anche se credo, e sottolineo credo, che anche tu come me sia più spostato verso la linea Dylan. Mi ricordo da giovane nelle sere d'estate si andava in riva al lago con la chitarra ed "Il Pescatore" era una di quelle canzoni che "era obbligatorio" suonare, era la canzone che faceva cantare tutti in coro intorno al fuoco. L'ho suonata anche negli anni a seguire centinaia di volte. Però io venivo da un background diverso, amavo ed amo tuttore l'amonia corale, i gruppi come i Byrds, i Poco, gli Eagles, CSN&Y, i Buffalo Springfield, Nitty Gritty Dirt Band, Loggins & Messina, Mason Profitt, America, Souther-Hillman-Furay Band, i Beach Boys, i Kentucky Colonels, i Mamas and Papas e gente di questo calibro, che privilegiavano soprattutto le armonie vocali più che la musica ed i testi, però erano meravigliosi da ascoltare, mi rapivano per il loro insieme e mi sentivo umiliato perchè sapevo che non sarei mai stato in grado di trovare persone che sapevano cantare in gruppo, cioè con gli altri e cantare per gli altri. E' una musica che non fa parte della nostra cultura ma quando ti prende non ti molla più. Fu per quello che pian piano mollai gli artisti italiani, pur stimandoli ed amirandoli, ma gli americani erano, per me, su un altro pianeta. Ammirare un tipo di artista non vuol dire disprezzarne un altro, vuol dire solo prestare più attenzione a quello che "senti di più". Dylan lo scoprii con la versione di Mr. Tambourine Man dei Byrds, ma dovettero passare molti anni prima che cominciassi ad apprezzarlo, a prenderlo in considerazione, a studiarlo e cercare di capirlo. Non credo di esserci riuscito ancora oggi, Dylan è impossibile da inquadrare dentro uno stile musicale, mentre De Andrè mi sembra, e qui potrei anche dire una stupidata involontaria per una non buona conoscenza profonda dell'artista, più facilmente inquadrabile in uno stile riconoscibile. E' pur vero che anche Dylan è uno che ha concesso poco agli altri artisti che hanno collaborato con lui, ma forse questo è un pregio o un difetto, non saprei dire quale dei due sostantivi sia il più adatto, tipico dei grandi artisti come Dylan e De Andrè. Intorno a loro sono passati artisti  che forse al momento sono stati un pò snobbati, ma che certamente in seguito hanno avuto la loro giusta parte di merito nel fare grandi le canzoni di Bob e di Faber. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)   

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Talkin' 10353 - dinve56

Buongiorno Mister,
sono d'accordissimo con te che "i cattivi" restano cattivi; intendevo dire che, se l'arte li rappresenta efficacemente, può indurre simpatia anche per i cattivi. Occorre sempre ricordare che l'arte è FINZIONE e, se non ha scopi educativi dichiarati, non deve essere necessariamente VERA. Se un poeta racconta eventi o personaggi fantasticando, per me, non c'è niente di cui stupirsi; se uno storico o uno scienziato raccontano fatti o enunciano teorie in modo consapevolmente menzognero, per me, il fatto è grave e pericoloso. Dylan è coerente perchè non ha mai detto che le canzoni possono o devono cambiare il mondo; ha sempre parlato dei suoi spettacoli musicali come forma di intrattenimento. Credo che tocchi ai politici, non agli artisti in senso lato, fare proposte per cambiare la realtà. Gli artisti, con la loro opera, possono celebrare la realtà così come è, oppure evidenziarne le criticità, oppure raccontare la storia dei vinti e non quella dei vincitori. Forse qualcuno di noi, senza sapere il motivo di ciò, ama i vincitori, qualcun altro predilige gli sconfitti. Io prediligo gli sconfitti - forse è una delle ragioni per cui amo Dylan - senza dimenticare che i vinti di oggi sono stati i vincitori di ieri, e che i vincitori di oggi saranno gli sconfitti di domani. Un esempio vale per tutti: i poveri nativi d'America sono stati demograficamente annientati, nel corso di circa duecento anni, da gente che fuggiva da persecuzioni e miserie generatesi lontano dall'America, terribili e feroci. La storia umana ci rende tutti simili e tutti discendenti, ahimè, da Caino e non da Abele. Alla prossima e lunga vita! Carla.

Come diceva sempre John, il barista del film "il  Cacciatore", sono "D'ACCORDISSIMO" con le tue parole. La Storia, letta oggi, ci insegna che siamo tutti discendenti da Caino e che dai millenni passati non abbiamo saputo imparare niente, ma io spero che un giorno il Padreterno ci rimandi giù suo figlio che ci chiederà: "Ma perche mai non avete capito niente quando son venuto l'altra volta?" A questo punto l'umanità dovrebbe cominciare a farsi un grosso esame di coscienza ed allora la venuta del figlio di Dio sulla terra comincerebbe ad avere un senso che fino ad oggi sembra non avere avuto, perchè il paradiso è salito in cielo mentre l'inferno è rimasto qui in terra. Live long and prosper, Mr:Tambourine, :o)

 

 
Lunedì 22 Gennaio 2018

Tom Petty è morto per una accidentale overdose di farmaci

Il musicista Tom Petty, deceduto lo scorso 2 ottobre, è morto per una overdose accidentale. Lo ha riferito la famiglia di Petty, citando le autorità sanitarie, dopo che queste avevano riferito il risultato dell’autopsia fatta sul corpo di Tom.
Dana e Adria Petty, moglie e figlia di Tom Petty, attraverso un comunicato ufficiale, hanno diffuso in questi giorni i risultati dell’autopsia condotta dal coroner che ha confermato l’uso fin dosi esagerate di oppiacei antidolorifici.
La moglie e la figlia precisano inoltre che il Tom soffriva di enfisema polmonare, aveva una frattura all’anca e pesanti problemi alle ginocchia, ma questo non lo aveva fermato dal concludere il suo ultimo tour, pochi giorni prima del decesso.
La famiglia di Tom Petty ha comunicato le conclusioni dell’autopsia: Tom è morto per «un’accidentale overdose di farmaci causata dall’aver preso diversi medicinali contemporaneamente». Il comunicato, pubblicato anche sul profilo ufficiale

Facebook di Tom Petty and the Heartbreakers, dice che Petty aveva vari problemi di salute, tra cui un’anca fratturata, e che il giorno della sua morte le sue condizioni si erano particolarmente aggravate: la famiglia ritiene che «il dolore era semplicemente insopportabile e che l’abbia spinto ad abusare dei medicinali antidolorifici”. Tra questi farmaci c’era il famigerato Fentanyl, il più forte farmaco oppioide in commercio, considerato cento volte più potente della morfina; è lo stesso farmaco per cui andò in overdose e morì il cantante Prince.
Negli ultimi anni negli Stati Uniti moltissime persone sono morte per l’abuso dei farmaci oppioidi dopo esserne diventate dipendenti a causa di prescrizioni sbagliate e insufficiente assistenza medica: è una delle ragioni per cui l’aspettativa di vita degli americani si è accorciata. I famigliari di Tom Petty ha detto che spera che le informazioni sulla morte di Tom Petty hanno detto che sperano che le informazioni sulla morte di Tom possano essere di aiuto nel dibattito sui farmaci oppioidi per salvare in futuro altre vite.
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Talkin' 10352 - gebianchi

Ciao Tambourine, hai colto in pieno il tono e il senso del mio intervento su De Andrè che, ben lungi dallo scatenare una polemica sulla superiorità dell'uno o dell'altro artista, voleva solo rappresentare un piccolo contributo alla conoscenza del lavoro e dell'opera di quello che per me rimane una delle pietre miliari nella mia formazione musicale (assieme ovviamente a Mr. Zimmermann, ma anche assieme a John Coltrane, Miles Davis, Charlie Parker.....e tanti altri..). Questo nel rispetto dei gusti e delle opinioni altrui, spesso formate, come giustamente sottolineavi, su una sorta di imprinting giovanile, legato a suoni, esperienze di vita, colori, accadimenti, che hanno portato ognuno di noi a preferire chi l'uno e chi l'altro modello di riferimento. Nel mio caso, io ho da poco superato i cinquanta, De Andrè si identifica con i primi ascolti di qualcuno che finalmente non rimasse cuore/amore, ma addirittura affrontasse temi impensabili per l'epoca e per chiunque altro autore (con forse l'esclusione di Guccini); la prostituzione, la morte, l'anarchia, il tutto accompagnato spesso da quelle sonorità in minore di derivazione francese che mi hanno sempre affascinato, forse più delle sonorità americane. Questo probabilmente anche perché avendo una formazione musicale di carattere prettamente jazzistico, ho sempre un po' snobbato (ma è un mio limite , me ne rendo conto), il mondo del rock e delle sue contaminazioni, arrivando a preferire, laddove non ascoltavo un assolo di Charlie Parker o una composizione di Keith Jarrett, la scrittura cantautoriale alla De Andrè, così colta e letteraria, spesso più immediata nella fruizione di quanto non fosse l'approccio al testo dylaniano che mi obbligava, stante la mia conoscenza dell'inglese abbastanza scolastico, a rifarmi a traduzioni che in qualche modo impedivano una fruizione empatica del brano. Non a caso, come accennavo la volta scorsa, al Dylan post-svolta elettrica, sono imprescindibilmente legato al Dylan freewheelin', al Dylan di The times they are a-changin',...insomma, arrivo a malapena al Dylan di Blonde on blonde. (ahimè, che sciagurato che sono! lo dico senza ironia). Non che non mi piacciano molte delle canzoni e dei dischi successivi, sappiamo tutti il valore di Blood on tracks o di un Tempest, tanto per citare a caso, ma non mi riesce proprio di provare i medesimi brividi che mi arrivano quando sento la voce stentorea e con quei bassi inarrivabili con cui De Andrè ci ha raccontato i nostri tempi aiutandoci a ragionare e prendere coscienza di valori di libertà e attenzione agli ultimi, ai diseredati e agli oppressi, che oggi...."mala tempora currunt"...sembrano lontani anni luce dall'essere stati recepiti universalmente. Un caro saluto, Giuseppe Enrico Bianchi

Caro Giuseppe, vedo che ci siamo compresi benissimo a vicenda, giustamente, come hai detto tu ed anch'io, nel rispetto delle idee e delle opiniomi degli altri. Però c'è un piccolo però che non so se corrisponde a verità......in poche parole De Andrè avrebbe commesso leggerezza di essersi attribuito meriti che non erano proprio del tutto suoi, cioè non citando in modo doveroso tutti coloro che avevano collaborato con lui nella realizzazione del suo lavoro. E’ noto che diverse canzoni dei primi dischi erano rielaborazioni di canzoni di altri autori, in "Volume 1" possiamo trovare "Marcia Nuziale" che è la traduzione di un brano di Brassens, “Si chiamava Gesù” vede invece come coautore della musica Vittorio Centanaro, ma nel disco fu accreditata solo a De André in quanto Centanaro non era iscritto alla Siae. “Via del campo” fece abbastanza discutere perchè la musica è quella della canzone di Enzo Jannacci “La mia morosa la va alla fonte”, che faceva parte di uno spettacolo teatrale del 1965 e che lo stesso Jannacci incluse nel 1968 nell'album Vengo anch'io. No, tu no, ma che De André riteneva essere una ballata medievale riscoperta da Dario Fo. Per “Caro Amore” ha utilizzato per la melodia parte del tema del movimento Adagio del Concierto de Aranjuez del 1939 di Joaquín Rodrigo e per il testo trasse ispirazione dalla canzone Aranjuez mon amour di Richard Anthony, a sua volta ispirata da un poema di Guy Bontempelli, che tratta di una rivolta contro Napoleone. La canzone, a causa di problemi di copyright, sarà sostituita nelle successive edizioni da La stagione del tuo amore. "Bocca di Rosa” che è senz'altro la più conosciuta canzone di De Andre è ispirata per quel che riguarda il testo al brano "Brave Margot" dello stesso Brassens. Per il brano “La Morte” la musica è di Georges Brassens dal brano Le verger de Roi Louis, ma bisogna riconoscere che il testo scritto da De André per il brano è completamente nuovo ed estraneo all'originale francese.

Per "Volume 1"
LATO A
1. Preghiera in gennaio (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
2. Marcia nuziale (Fabrizio De André/Georges Brassens)
3. Spiritual (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
4. Si chiamava Gesù (Fabrizio De André/Vittorio Centanaro(
5. La canzone di Barbara (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)

LATO B
1. Via del Campo (Fabrizio De André/Enzo Jannacci)
2. Caro amore (Fabrizio De André/Joaquín Rodrigo)
3. Bocca di Rosa (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi)
4. La morte (Fabrizio De André/Georges Brassens)
5. Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (Fabrizio De André/Paolo Villaggio)

Per "Canzoni"
Lato A
1. Via della Povertà (Testo italiano Fabrizio De André e Francesco De Gregori - Testo e musica di Bob Dylan)
2. Le passanti (Testo italiano Fabrizio De André - Musica di Georges Brassens, Testo originale tratto da una poesia di Antoine Pol)
3. Fila la lana
4. La ballata dell'amore cieco (o della vanità)
5. Suzanne (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e musica di Leonard Cohen)
Lato B
1. Morire per delle idee (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e musica di Georges Brassens)
2. La canzone dell'amore perduto (Testo italiano Fabrizio De André - Musica di Georg Philipp Telemann)
3. La città vecchia - 3:23
4. Giovanna d'Arco (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e musica di Leonard Cohen)
5. Delitto di paese (Testo italiano Fabrizio De André - Testo e musica di Georges Brassens)
6. Valzer per un amore (o campestre) (Testo italiano Fabrizio De André - Musica di Gino Marinuzzi)

Per "La buona novella"

Testi di Fabrizio De André, a cura di Roberto Dané, musiche di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi

Per "Storia di un impiegato"

Testi di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (ad eccezione di Sogno numero due), musiche di Fabrizio De André e Nicola Piovani.

Per "Rimini"

Testi e musiche di Fabrizio De André e Massimo Bubola

Per "Fabrizio De Andre (L’Indiano)"

Testi e musiche di Fabrizio De André e Massimo Bubola

Per "Creuza de ma"

Testi di Fabrizio De André; musiche di Mauro Pagani

Per "Le Nuvole"

Testi di Fabrizio De Andrè, musiche di Mauro Pagani

Per "Anime Salve"

Testi e musiche di Fabrizio De André e Ivano Fossati

Scusami se ho voluto fare questa ricerca perchè avevo bisogno di capire meglio quanto fosse merito esclusivo di Fabrizio e quanto invece dovesse essere riconosciuto ai collaboratori. Ho fatto questa ricerca perchè non conoscevo a fondo il lavoro di Fabrizio, adesso ne so qualcosa di più, ma devo impegnarmi ad ascoltare tutte le canzoni perchè conosco poco della sua produzione. Per il momento ti saluto, ma credo che questa storia vedrà altri partecipanti. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Sabato 20 Gennaio 2018

Talkin' 10351 - gebianchi

Bene, caro Tamburino, noto con piacere che possiamo concordare su quanto espresso a proposito della figura di Papa Bergoglio; magari non sulla santificazione di Alce Nero, ma comunque vedo che hai recepito il senso del mio intervento. Siamo invece molto distanti sulla valutazione del giudizio che la Nanda Pivano espresse consegnando la targa Tenco a De Andrè per quel capolavoro assoluto che è Anime Salve (e che personalmente ritengo superiore a molta della recente produzione dylaniana….de gustibus…). Premetto; qui siamo nel campo della soggettività, delle personali inclinazioni e preferenze quindi non pretendo di sciorinare verità oggettive, ne’ desidero imporre certezze. All’epoca di Napolepon in rags, il buon Michele Murino mi aveva soprannominato il deandreiano, per distinguere la mia voce un po’ fuori dal coro in un sito di dylaniani intransigenti (o quasi). Sia ben chiaro, io amo Dylan, altrimenti non seguirei il tuo eccellente lavoro, in particolar modo, e qui verrò tacciato di scarsa competenza e scarso aggiornamento, amo il Dylan woodyguthriano, quello dei Minnesota tapes, dei Finjan Club, dei Banjo tapes etc etc., anche se ovviamente trovo eccellente anche gran parte della successiva produzione del nostro hibbingiano. Però, io non riesco a trovare fuori luogo quel giudizio della Nanda. Non voglio ora stare a fare tutto un lungo pistolotto in cui enuncio perché e per come io preferisca ascoltare La buona novella di De Andrè o Storia di un impiegato, però l’effetto empatico, emozionale, nonché lo spessore culturale di quelle canzoni e in ultimo quella voce dal doppio registro, ben raccontata in un saggio di qualche anno fa a cura di Umberto Fiori (mi pare) apparso su una raccolta di saggi eccellenti intitolato Accordi Eretici e con prefazione di Mario Luzi che elogiava il lavoro di De Andrè, mi fanno pensare che se Faber anziché in italiano avesse cantato in inglese, oggi sarebbe considerato un monumento della canzone d’autore mondiale. Sia ben chiaro, De Andrè, è noto, amava Dylan, lo tradusse anche (De Andrè tradusse solo Dylan, Cohen e Brassens), e per contro l’aneddotica racconta di un Dylan che nel backstage del suo celeberrimo primo concerto di Verona avrebbe chiesto copia delle traduzioni della Buona Novella, incuriosito e affascinato da quella voce tanto seducente fattagli ascoltare nel soggiorno italiano da David Zard o da chi per esso. Non so se questo sia vero o appartenga alla leggenda, vero per certo è che contrariamente a quanto si scrisse in via ufficiale, ovvero che De Andrè non aprì il concerto Dylan-Santana perché impaurito e in soggezione di fronte a quei due mostri sacri di Dylan e Santana, in realtà , da genovese scontroso rispose che Lui non avrebbe fatto da apripista di nessuno, in perfetta coerenza col personaggio. Al di là di questi dettagli di gossip-cronaca, e senza entrare in uno specifico troppo complesso, io credo che la figura di De Andrè sia quella di un intellettuale prestato alla musica (poeta o non poeta non saprei dire; come lui diceva citando Benedetto Croce dopo i venticinque anni rimangono poeti i pazzi e i cretini e quindi preferisco definirmi cantautore). Faber è lontano anni luce dal mondo del rock, dello starsystem, dell’immagine, della produzione un tanto al chilo. Scrive dopo essersi documentato in maniera maniacale, si esibisce appollaiato su una sedia con jeans e camicia blu, e pensa che ogni disco non sia una semplice successione di canzoni accomunate dal titolo dell’LP, bensì un lavoro organico (volgarmente album concept) col quale sviluppare una serie di tematiche specifiche. Dalla traduzione di Spoon River a Rimini, dall’Indiano a Nuvole, da Tutti morimmo a stento ad Anime Salve etc. etc., questo è il modo per De Andrè di concepire la canzone, un modo sideralmente distante da quello compulsivo ed iperattivo di Dylan, spesso, in questa superattività, autore di canzoni non proprio indimenticabili. Così come non proprio indimenticabile, lo sappiamo tutti, è inutile girarci intorno, è la cifra stilistica della produzione concertistica di Dylan negli ultimi vent’anni. Guarda che io amo moltissimo questo vecchio rocker agghindato da gentiluomo del sud, amo i suoi silenzi e la sua ruvida scontrosità, ma non riesco a provare lo stesso trasporto che provo quando riascolto un disco di De Andrè, o lo rivedo, sguardo in tralice, che fissa sornione il pubblico attento e pronto a recepire ogni singola sillaba di una scansione del verso, volutamente chiara e netta (contrariamente a quella dylaniana, notoriamente biascicata e volutamente artefatta). E’ una questione personale, privata direi, al rock martellante dei turnisti dylaniani continuo a preferire le tonalità in minore delle ballate faberiane e la sua coerenza politica anarcoide, mai venuta meno e sempre accompagnata dalla sua attenzione per le cause degli ultimi, che fossero ladri puttane o semplici poveracci. Un aspetto però vorrei sottolineare; a mio modesto avviso (ripeto siamo ai giudizi personali, non ho verità da imporre a nessuno), mentre Dylan col passare degli anni è andato incontro ad una sorta di isterilimento creativo (forse complice anche questa sua iper-attività), la qualità e la cifra artistica di De Andrè sono andate costantemente crescendo, prova ne sia, oltra alla sostanza tecnico-stilistica di Nuvole prima e Anime Salve poi, le testimonianze di Oliviero Malaspina, cantautore pavese col quale De Andrè, prima di andarsene si accingeva a realizzare un disco, titolo provvisorio, Notturni, ispirato appunto alla notte; per chi fosse interessato, riporto qui sotto il racconto che fa lo stesso Malaspina per spiegare come sarebbe stato strutturato quel lavoro; come noterai,…..non si sarebbe trattato semplicemente di ….un po’ di canzoni, ma di un opera letteraria di ampio respiro, molto superiore a mio avviso rispetto a gran parte della produzione musicale della canzone d’autore contemporanea, persino, consentimi il giudizio assolutamente personale, …superiore a quella dell’attuale Bob Dylan. Eccoti l’estratto: “ la prima suite era incentrata sulla notte intesa come paura del giorno. Il punto di partenza è stato la passione per la notte per ricordare un amico di Fabrizio che aveva la fobia per il giorno. Il secondo notturno era dedicato alla notte intesa come cecità del potere, vista come una malattia contagiosa. La terza come momento per la morte e per l’uomo votato alle estreme conseguenze del male. La più incredibile era l’ultima, la notte vista come fenomeno fisico e atmosferico. Ci eravamo ispirati al de rerum Natura di Lucrezio. De Andrè era affascinato dalla simmetria che si creava con “Nuvole”, che era stata tratta dall’omonima opera di Aristofane. Sul piano generale l’idea era quella di spaziare in lungo e in largo sul concetto di notte intesa come momento di ritrovo di se stessi, momento d’amore, di perdizione e riscatto. Per Fabrizio, la prostituta che lavora di notte, ma si riscatta sempre, era uno dei simboli possibili. Nella notte nasce il male che riesce anche a trasformarsi in bene.”. Mi pare che ci sia sostanza per rimpiangere la perdita di un genio assoluto della canzone d’autore e di accettare pure il giudizio della Pivano; ma del resto, il sito si chiama Maggies’ Farm, ognuno di noi ha le proprie passioni, gusti e sensibilità ed io non intendo proporre altro se non quella che ritengo sia la mia e sottolineo soltanto la mia, verità. Saluti Giuseppe Enrico Bianchi.

Caro Giuseppe Enrico, non è difficile trovarsi d’accordo quando si è animati da buone intenzioni. Bergoglio è un uomo forte, e nonostante la sua forza troverà sempre grandi ostacoli davanti al suo avanzare perchè critica e smuove le millenarie abitudini della chiesa. Se non ci fossero stati i già citati la volta scorsa Leone IX, Gregorio VII ed Innocenzo III, papi grandi riformatori, forse la chiesa sarebbe ancora impantanata nella simonia, nella lussuria, nel concubinaggio (quello che tu hai chiamato nicolaismo riferendoti a quello medioevale che diede poi origine allo scontro tra Patarini e Nicolaiti nella chiesa Ambrosiana e non a quello dell’età antica). La Chiesa Cattolica cristiana è passata attraverso fasi terrificanti, inenarrabili, dispensatrice di violenze che con la morale cristiana e cattolica avevano poco a vedere. Ma questa è storia, purchè brutta, e noi non vogliamo fare la storia della chiesa e nemmeno giudicarla, la chiesa, come tutte le altre cose gestite dagli umani è passata attraverso diverse fasi con diversi adeguamenti. Oggi l’atteggiamento di Bergoglio sembra quello di voler riportare vicino alla religione cattolica ed alla Chiesa Romana quei milioni di persone che per diversissimi motivi si sono allontanati. Io spero che la sua opera dia dei risultati utili e positivi a tutta l’umanità, e con questo chiudo l’argomento clericale.

Passabdo alla tua bellissima descrizione di Faber, sono andato a rileggere tutta la storia di Fabrizio De Andrè perchè la conoscevo molto superficialmente e così ora ho le idee un pò più chiare, anche se per raggiungere la tua conoscenza faberiana (sono stato sorpreso che il soprannome Faber sia stato dato a De Andrè da Paolo Villaggio per la mania che aveva Fabrizio per le matire ed i pastelli della Faber-Castel) devo ancora mangiare almeno una cinquantina di camion a rimorchio di patate.
Detto questo ho rivalutato e modificato di molto l’impressione che avevo di Fabrizio che musicalmente non mi ha mai entusiasmato per l’uso di quelle tonalità minori di una musica che venira da molto lontano, forse prima che molti di noi nascessimo. Io sono nato, musicalmente parlando, con l’incontro con Elvis Presley, e precisamente con il film “Loving You, rinominato in Italia “Amami teneramente”, il secondo film di Presley ed il suo primo in Technicolor. Stavo studiando il pianoforte da sette anni e quando vidi Elvis con la sua chitarra a tracolla fui fulminato. Tornato a casa dissi a mia madre di vendere il piano (cosa della quale non mi sono mai pentito abbastanza) e di comprermi una chitarra. La seconda tappa della mia evoluzione musicale furono i Beatles e tutto l’ambaradan che ne seguì, la terza potremmo dire che ho scoperto Dylan grazie alla fantasctica Mr.Tambourine Man dei Byrds di Roger (allora ancora Jim) McGuinn. Da noi cominciarono ad impazzare i primi gruppi nostrani, Nomadi, Equipe 84, Corvi, Giganti, Camaleonti, Pooh, poi ci ful’invasione dei gruppi inglesi, primi fra tutti i Rokes che vennero in italia come gruppo d’accompagnamento di Rita Pavone col nome di “Shell Carson Combo”, seguirono poi i Bad Boys con “Il mio amore è un capellone”, vennero i Sorrow con “Mi si spezza il cuore”, I Motown che vinsero il Cantagiro nel 1967 con “Prendi la chitarra e vai”, i Renegades vestiti con le divise dei cavalleggeri nordisti con il pezzo “Cadillac” , Mike Liddel un cantante inglese accompagnato dal gruppo italiano degli Atomi con la versione italiana di "The Sound of silence” rinominata “La tua immagine”, Rocky Roberts & The Airedales con “T-Bird”, "Stasera mi butto" e "Sono tremendo".
Quindi la mia attenzione musicale fu rivolta più verso questi personaggi stranieri che agli italiani.
Di De Andrè conoscevo ed apprezzavo "Il pescatore" una canzone scritta da De André per il testo e da Gian Piero Reverberi e Franco Zauli per la musica. "La Canzone di Marinella" invece, ispirata all'omicidio di Maria Boccuzzi, nota anche come Mary Pirimpò, uccisa a colpi di pistola nel gennaio 1953 e gettata nel fiume Olona, diventata celebre in seguito alla versione di Mina nel 1967, mi senbrava musicalmente più scontata e monotona (naturalmente era solo la mia impressione perchè amavo un altro tipo di musica. Ora capisco che Fabrizio è stato veramente un grande, in certe sfumature superiore a Dylan che nelle sua carriera si è lanciato in una produzione smisurata di canzoni, molte delle quali con pochissima valenza rispetto ad altre. Però, (anche questa è solo la mia idea, abbastanza personale e soggettiva) continuo a ritenere Dylan al di sopra di De Andrè, questo senza togliere od aggiungere niente a nessuno dei due. Per questo motivo ho trovato il commento della Pivano un pò frettoloso e forse sbagliato, ma tutto questo ha poca importanza, sono soltanto impressioni personali che valgono quello che valgono.
Ti ringrazio davvero per avermi edotto, e forse con me molti altri amici della Fattoria, sul grande valore di Fabrizio. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Dylan: dopo Verona, anche Genova e Jesolo tra le nuove date del tour    clicca qui

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Bob Dylan annuncia tre nuovi concerti italiani                                           clicca qui

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Genova è con Bob Dylan: il 25 aprile concerto alla Fiumara                      clicca qui

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"Il menestrello del rock" sbarca a Jesolo                                                    clicca qui

 

 
Venerdì 19 Gennaio 2018

Talkin' 10350 - dinve56

Buongiorno Mister,
un grazie di vero cuore a te e a Dario twist of fate, ma anche agli altri amici della Farm, per la pazienza e la grande competenza con cui mi guidate nell'Universo Dylan. Ho preso buona nota di tutto e spero di trovare facilmente i testi indicati. Leggerò, leggerò, e continuerò l'ascolto che non mi stanca e non mi annoia. L'arte di Dylan, non occorre certo che lo ricordi a chi lo ascolta da molto più tempo di me, arriva al cuore ed alla mente attraverso la musica e la sua voce. Grazie!! A presto e lunga vita. Carla.

:o)))))))))))))))))))))))))))))))))

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Talkin' 10349 - miscio.tux

Caro Mr. Tambourine,
due brevi pensieri sugli argomenti in discussione. Purtroppo temo che Sir Eglamore abbia colto nel segno nel valutare la vicenda di Alce Nero. Non metto in dubbio le buone intenzioni di Papa Francesco, ma di quelle, come è noto, è lastricato l'inferno. La beatificazione è un “dispositivo”(1) con modi di funzionamento che prescindono dai buoni propositi e che non hanno nulla a che vedere con la tradizione e la cultura indiana. Se ci pensi un po', anche Dylan è stato beatificato, ma lui è ancora vivo e si è difeso bene. E poi Stoccolma non ha l'esperienza del Vaticano.
Per quel che riguarda la fascinazione che Dylan prova per il lazzarone, quella non è specifica, ma appartiene a tutta la cultura popolare. Il prototipo è Stagger Lee. La cui storia è piuttosto fantasticata che reale. Qualcuno ha detto, mi pare Marcus, ma posso sbagliarmi, che non è la storia di un omicidio, ma quella di un uomo che infrange tutti i cancelli che la vita ha creato davanti a lui. E' una specie di rivalsa in cui l'immaginario degli oppressi ribalta ogni valore, una maschera del Carnevale. Roba di antropologia. Per Billy Kid può funzionare lo stesso ragionamento, per Joe Gallo meno. Nel caso di Wesley Hardin, Carrera adombra un parallelo con Lee Oswald, e allora qui ci sarebbe un discorso da fare sui moderni cascami del Mito della Frontiera. Mamma mia, quanta roba, meglio ascoltare un po' di musica:
https://www.youtube.com/watch?v=cv_THWZ8-T8

ciao, Miscio.

(1) Per un approfondimento https://www.carmillaonline.com/2008/03/04/agamben-che-cose-un-dispositivo/

 

Cazzzpita Miscio, cosa devono leggere i miei occhi, il vile Miscio che da ragione a Sir Eglamore. Allarme rosso per terremoti, inondazioni, eruzioni vulcaniche e incendi dolosi in quantità industriale. Voglio correggerti (permettimi di togliermi le mie piccole soddisfazioni), sono le strade per l'inferno che sono lastricate di buone intenzioni, l' inferno è molto peggio!

La fascinazione per i poco di buono è un'abitudine molto in voga nella società americana, così, come molti criminali prima di Stagger Lee sono stati oggetto di canzoni che ne hanno celebrato le gesta, gente come Jesse e Frank James, Billy the Kid, Butch Cassidy, i fratelli Younger ex-guerriglieri confederati, Billy Clanton ucciso nella famosa sparatoria all'OK Corral, Wyatt Earp celebre sceriffo - cacciatore di bisonti - giocatore d'azzardo - ladro di cavalli e gestore di saloon, Wild Bill Hickok conclamato re dei pistoleri e noto gambler, John Wesley Hardin uccisore di 40 persone, Belle Starr, al secolo Myra Maybelle Shirley Reed Starr, famosissima criminale immortalata nel film "La regina dei desperados" (Montana Belle) e citata in due canzoni da Bob Dylan. Tutti famosi pistoleri, che, come asserisce lo scrittore Joseph G. Rosa, fanno parte del folclore americano da sempre. Alcuni li identificano come novelli Parsifal del santo Graal, eroi entrati nella leggenda americana, dediti a combattere il crimine. Altri, invece, li vedono come la personificazione del male, volgari assassini, degni rappresentanti di una realtà senza leggi. Ma forse sarebbe meglio dire che una legge sicuramente esisteva, quella della loro pistola, dura lex, sed lex come disse Socrate, ma in una nazione dove l'unico mezzo per difendersi dai pericoli era portare la 45 al fianco nella fondina del cinturone era una cosa normale. Gli Stati Uniti non hanno un passato nel quale pescare per le loro glorie nazionali, così la povera gente si identificava con quei violenti che avevano la capacità di non dipenderre da nessuno. Per chi non sapesse chi era Stagger Lee ho scritto una brevissima biografia:

Lee Shelton (16 marzo 1865 - 11 marzo 1912), popolarmente noto come "Stagolee", "Stagger Lee", "Stack-O-Lee" e altre varianti, era un criminale americano che divenne una figura folkloristica dopo aver ucciso Billy Lyons nel Natale del 1895. L'omicidio, a quanto pare motivato in parte dal furto del cappello Stetson di Shelton, fece di Shelton un'icona di forza e stile nella mente dei primi musicisti folk e blues e ispirò la popolare canzone popolare "Stagger Lee". La trama sopravvive nelle molte versioni della canzone che circolano dalla fine del XIX secolo.
Lee Shelton era un afroamericano nato nel 1865 in Texas che lavorava come vetturino di carrozze a St. Louis, nel Missouri, dove si guadagnò la reputazione di magnaccia e giocatore d'azzardo. Non era un comune magnaccia - come lo ha descritto Cecil Brown, "Lee Shelton apparteneva a un gruppo di magnaccia conosciuti a St. Louis come "The Macks". I Macks non erano solo "vetturini urbani ma procuravano prostitute e portavano la gente nei locali dove era possibile trovare donne e whiskey". Fu soprannominato "Stag Lee","Stack Lee" o “Stagger Lee” probabilmente perché era una persona senza amici, chi dice perchè barcollante nell'incedere, altri ancora dicono che prese quel soprannome da un noto capitano del battello fluviale a ruota chiamato "Stack Lee", battello noto per ospitare a bordo prostitute di professione. Il soprannome di Lee Shelton fu successivamente corrotto in varie altre forme nella tradizione popolare.

La notte di Natale del 1895, Shelton sparò a William "Billy" Lyons in un saloon di St. Louis a seguito di una disputa. Un articolo che apparve sul “Globe-Democratic” di St. Louis nel 1895 diceva:
“William Lyons, 25 anni, un manovale che lavorava alla diga, è stato colpito all'addome ieri sera alle 10 nel saloon di Bill Curtis, tra Eleventh e Morgan Streets, da Lee Shelton, un autista di carrozze. Lyons e Shelton erano amici e stavano parlando tra di loro. Sembra che entrambi avessero bevuto molto e fossero troppo esuberanti. La discussione si spostò sulla politica che si scaldò e portò Lyons a strappare di testa il cappello a Shelton. Quest'ultimo, indignato chiese di ridargli il cappello, Lyons rifiutò, allora Shelton estrasse il revolver e sparò a Lyons nell'addome. Quando Lyons si accasciò sul pavimento, Shelton prese il suo cappello dalla mano dell'uomo ferito e si allontanò freddamente. Successivamente è stato arrestato e rinchiuso nella stazione di Chestnut Street. Lyons è stato portato al Dispensario, dove le sue ferite sono state giudicate gravi e alla fine è morto”.

  Il certificato di morte di Bill Lyons con il nome di Shelter Lee come suo uccisore

Shelton fu processato e condannato per il crimine nel 1897 e condannato a 25 anni di carcere. Fu rilasciato nel 1909, ma fu nuovamente imprigionato due anni dopo per aggressione e rapina. Incapace di ottenere la condizionale, morì nell'ospedale del penitenziario statale del Missouri a Jefferson City l'11 marzo 1912 di tubercolosi.

Shelton è sepolto nello storico cimitero di Greenwood a Hillsdale, nel Missouri. Il Project Headstone Killer Blues ha raccolto fondi per mettere una pietra col suo nome sulla sua tomba anonima, e il 14 aprile 2013 è stata deposta la lapide con una cerimonia pubblica. Come puoi vedere Stagger Lee è esistito veramente, forse la canzone con le diverse incisioni e le diverse riscritture fatte da bluesmen hanno reso la storia un pò romanzata.
 
D'accordo con te che l'immaginario degli oppressi a volte ribalta i valori, nascondendo la verità proprio come una maschera di carnevale cela la vera identità di una persona. E' meglio ascoltare musica, bellissima la versione da te segnalata, io conoscevo questa canzone nella versione di LLoyd Price (detto Mr. Personality dopo che scrisse la canzone "Personality" - https://www.youtube.com/watch?v=W2aD25M5Su8 ) che ne fece un successo internazionale nel 1959:  https://www.youtube.com/watch?v=dfG1lBS_1aw . Ti suggerisco di ascoltare anche questa "Lawdy Miss Clawdy" scritta da Looyd e portata al successo da Elvis.

Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Giovedì 18 Gennaio 2018

Tour 2018, aggiunte tre nuove date italiane

Genova, Jesolo, Verona. Dylan ritorna in Italia per altre tre date oltre alle 6 già programmate (3 a Roma, Firenze, Mantova, Milano), perciò dopo Svizzera, Germania ed Austria Dylan tornerà in Italia per altri tre spettacoli. Era dal 2015 che Dylan non veniva in Italia e finalmente tra tre mesi sarà nel nostro bel paese per ben nove concerti, più che in ogni altro paese europeo, che Dylan abbia una predilezione per il cibo ed il vino italiano oltre che per il pubblico?

25 aprile - Genova , Italy - RDS Stadium (Palafiumara)
26 aprile - Jesolo, Italy - Pala Arrex
27 Aprile - Verona, Italy - Arena
 

L'elenco aggiornato del tratto europeo del Tour 2018:

22 Marzo 2018 - Lisbona, Portugal - Altice Arena
24 Marzo 2018 - Salamanca, Spain - Pabellón Multiusos Sanchez Paraíso
26 Marzo 2018 - Madrid, Spain - Auditorio Nacional de Música - Sala Sinfónica
27 Marzo 2018 - Madrid, Spain - Auditorio Nacional de Música - Sala Sinfónica
28 Marzo 2018 - Madrid, Spain - Auditorio Nacional de Música - Sala Sinfónica
30 Marzo 2018 - Barcelona, Spain - Liceu Opera
31 Marzo 2018 - Barcelona, Spain - Liceu Opera

03 aprile 2018 - Roma, Italy - Auditorium Parco della Musica
04 aprile 2018 - Roma, Italy - Auditorium Parco della Musica
05 aprile 2018 - Roma, Italy - Auditorium Parco della Musica
07 aprile 2018 - Firenze, Italy - Mandela Forum
08 aprile 2018 - Mantova, Italy - Palabam
09 aprile 2018 - Milano, Italy - Teatro degli Arcimboldi
11 Aprile 2018 - Zurich - Oerlikon, Switzerland - Hallenstadion
12 Aprile 2018 - Neu-Ulm, Germany - Ratiopharm Arena
13 Aprile 2018 - Salzburg, Austria - hrSalzburgarena
15 Aprile 2018 - Brno-Královo Pole, Czech Republic - Hala Vodova
16 Aprile 2018 - Vienna, Austria - Wiener Stadthalle
18 Aprile 2018 - Leipzig, Germany - Arena Leipzig
19 Aprile 2018 - Oberhausen, Germany - KönigPALAST Krefeld
21 Aprile 2018 - Bielefeld, Germany - Seidensticker Halle
22 Aprile 2018 - Nuremberg, Germany - Frankenhalle
23 Aprile 2018 - Baden-Baden, Germany - Festspielhaus Baden-Baden
25 aprile 2018 - Genova, Italy - RDS Stadium (Palafiumara)
26 aprile 2018 - Jesolo, Italy - Pala Arrex
27 Aprile 2018 - Verona, Italy - Arena

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Talkin' 10348 - gebianchi

Caro Tambourine, ovviamente non mi riferivo ad Alce Nero come grande capo in termini guerreschi….ci mancherebbe pure che Bergoglio, oggi, vada a santificare un guerriero; credo che il “porgi l’altra guancia” resti un comandamento fondamentale della dottrina cattolica, anche se l’agiografia cristiana antica presenta una infinità di santi con la spada pronti a combattere. Circa il tuo contributo sulle motivazioni che spingono a questo processo di santificazione, le scuse di cui parlavo non devono essere prese alla lettera, chiaramente, ma intendevo dire che rientrano in un clima culturale che ha portato la chiesa cattolica, unica nel suo genere, a confrontarsi dialetticamente con culture altre e spesso lontane dalla propria. Premetto che non sono ne’ un bigottone ne un bacchettone, direi che nutro nei confronti della religione e della chiesa in particolare, un socratico distacco che vira verso l’agnosticismo, però mi pare che la sola voce fuori dal coro che in questo paese, e non solo, si erge, a difesa concreta delle minoranze, sia quella di certa chiesa riformata, (non tutta, ovviamente, non quella dei cardinal Bertone o Bagnasco per intenderci) che, a livello teologico, ha persino recuperato il dialogo con figure scomode come quella di Hans Kung. A livello concreto poi, con buona pace della sinistra italiana persa dietro polemiche da bottega utili a raccattare qualche voto qua e la’, la Chiesa di Bergoglio si è mostrata in prima fila nel tentativo di ribadire l’importanza di politiche di accoglienza, o nel cercare di fornire concreti segnali di censura verso lo sterminio sistematico di popoli interi, (vedi il viaggio di Bergoglio a Myanmar). Io parlo di scuse non nel senso più letterale del termine, ma nel senso di un clima di apertura e volontà di dialogo, che, con buona pace per tutti i sincretismi, trova chiusure radicali da parte di tutte le altre religioni sempre più radicate in fanatici radicalismi e fondamentalismi. Un pontificato, si contraddistingue sempre non tanto per scelte politiche decisive,(il Papa conta, soprattutto oggi, come il due di picche a briscola, non fraintendetemi non parlo degli organi di potere ad esso affiliati, Opus Dei etc. qui il discorso si farebbe complicato), ma per il clima culturale che instaura, per il modo in cui dirige le masse dei fedeli che ai suoi insegnamenti si ispirano. Bene, io credo che Bergogio, in tal senso, stia operando in netto contrasto con una gerarchia ecclesiastica fascistoide e infastidita da queste sue aperture, come dimostra il recente documento delle 7 eresie, firmato dalla fronda anti-bergogliana di origine vaticana e non. Voler negare questo sforzo da parte di un uomo che di mestiere non fa il blogger o il filosofo, ma è il capo della cristianità, mi pare un errore di metodo. Circa poi le influenze hegeliane o nietszchiane nell’origine di una cultura antidemocratica, alla base della nascita dell’arditismo italiano o dell’indottrinamento della Hitler-Jugend, il discorso è complesso; la tendenza della moderna ricerca storica-filosofica non è esattamente quella che illustri nella tua sia pur pregevole ricostruzione, ma (al di là del fatto che il marxismo, più che all’hegelismo di cui è figlia tutta la filosofia moderna, è semmai derivazione specifica dalle teorie economiche di David Ricardo e Adam Smith) tende a responsabilizzare in forma più radicale il ruolo di Nietszche nella genesi e sviluppo del movimento nazionalsocialista, ridimensionando il concetto di travisamento che nel dopoguerra si è utilizzato per separare nettamente il pensiero del sommo Friedrich, alle derive distorte che nazi-fascismo adottarono per giustificare politiche razziali e violente. Ma eviterei di scivolare in una questione puramente accademica e direi nettamente fuori tema. Sta di fatto comunque che la decisione di annessione coloniale da parte del Duce, non è figlia della sudditanza ad Hitler, in quegli anni ancora sufficientemente poco ingerente nelle scelte di Mussolini, ma piuttosto dell’esigenza italica di uniformarsi ad un clima politico-culturale nel quale francesi, belgi, inglesi, tedeschi….praticavano politiche annessive, nella convinzione che un regime in qualche misura autonomo se non autarchico, potesse giovarsi di queste aperture su paesi esotici spesso ricchi di materie prime. Infine, sulla polemica legata a Sand Creek, so bene a cosa ti riferisci, e so che il sito è frequentato da lettori apparentati all’ottimo Bubola, ma so bene anche quanto sciacallaggio si è fatto in questi anni nell’attribuire meriti e demeriti compositivi a Fabrizio De Andrè. Pagani, pregevole musicista e arrangiatore, si è più o meno attribuito il merito di Creuza de ma….e non vado oltre. Fatto sta che, tutti i collaboratori-autori legati a De Andrè, cito anche l’amico Max Manfredi, non avrebbero avuto alcuna visibilità, se Faber non avesse proiettato su di loro, i fari della ribalta. E’ un peccato che tutte queste ri-attribuzioni siano avvenute post-mortem , ed è un peccato che a volte sfugga la centralità di arrangiamenti, interpretazioni, limature dei testi che spesso caratterizzano la nascita di una canzone e di cui De Andrè fu certamente protagonista; De Andrè non ha mai fatto mistero dell’importanza di Massimo Bubola nella realizzazione dei suoi testi, però, il buon Bubola sarebbe un emerito sconosciuto se De Andrè non se lo fosse portato a spasso per l’Italia esibendosi sullo stesso palco con Una storia sbagliata e dandogli comunque lo spazio che sappiamo in fase di stesura testi; però quelle canzoni, non avrebbero avuto la forza, la potenza empatica ed emotiva che rivelano e conservano se la voce cristallina di Faber non le avesse interpretate….alla sua maniera. Del resto, la grandezza del massimo cantautore italiano, e non solo italiano!!, è in una produzione discografica che da vol. 1 alla Buona Novella, passando per Spoon River o alle sue Anime Salve, ne dimostra lo spessore e la statura. Saluti.

Caro Giuseppe, non è semplice "essere Papa", e, ancora di più "fare il Papa".
Pedofilia, finanza, dottrina, ecco gli argomenti che faranno grande Papa Francesco o forse lo stritoleranno nelle morse millenarie vaticane. Bergoglio sta rivoluzionando il pensiero ecclesiastico e le porte chiuse da secoli cominciano ad aprirsi. “San Pietro non aveva una banca” ha detto Bergoglio e lo Ior ha iniziato a sgretolarsi (Paolo Cipriani e il suo vice hanno rassegnato le dimissioni. Sono indagati per violazione delle norme anti-riciclaggio dal 2010. Massimo Tulli intercettato con il monsignor Nunzio Scarano, arrestato per corruzione) come avviene quando si abbatte un edificio abusivo. Bergoglio ha fatto tremare le fondamenta della Città del Vaticano, con le sue regole immutabili ed i segreti inconfessabili. Ma le mura vaticane esistono da millenni ed hanno resistito a tutto, resisteranno anche contro i colpi di Papa Francesco? Analizzare le parole e l'opera di un Papa è sempre un compito improbo ed a volte impossibile! Non credo che sia stato Bergoglio a scoprire l'acqua calda della pedofilia crericale, moltissimi altri papi prima di lui sapevano di questa piaga ma hanno taciuto. mi chiedo perchè, ma a volte si leggono cose incredibili anche da parte dei papi.

Papa Paolo VI è una figura difficile da inquadrare, specialmente oggi, dopo tanti anni dalla sua scomparsa. Si dice che nel tardo 1942, Montini, allora con la carica di sostituto Segretario di Stato, faceva avere ad Earl Brennan, un veterano della diplomazia clandestina, la mappa strategica del Giappone con gli obiettivi per paralizzare l'industria bellica di quel paese. Questo permise all'aviazione americana di assestare alla guerra nipponica una serie di colpi decisivi. Grazie alla posizione di Stato nello Stato e di apparente neutralità, il Vaticano era il tramite ideale per questo genere di scambi riservati, tanto da essere definito dall'OSS "il covo dello spionaggio anglo-americano". Si disse anche che stava collaborando con la principessa Maria José di Savoia, nuora del re Vittorio Emanuele III, per stringere contatti con gli Americani ai fini di una pace separata, ma tali iniziative non ebbero esito positivo. Sempre si dice che lo stesso Montini, nei primi anni del dopoguerra, supervisionasse la gran parte delle operazioni grazie alle quali diverse migliaia di criminali nazisti furono fatti fuggire in America del Sud, grazie anche a padre Draganović che svolgeva il ruolo di tramite tra il Vaticano e la CIA. Eppure Papa Benedetto XVI ne riconobbe le virtù eroiche, è Montini è stato beatificato il 19 ottobre 2014 da Papa Francesco. Anche in vaticano accadono cose che noi umani non potremo mai capire!

Il pontificato di Pio XII Pacelli coincise con alcuni degli eventi storici più gravi e significativi del XX secolo. Salito al soglio pontificio nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, egli, in ragione della peculiarità del suo ufficio, si trovò in una posizione particolare nel quadro della grande tragedia costituita dall'Olocausto perpetrato dalla Germania nazista. In particolare, Pacelli è oggetto di accuse circa la sua presunta connivenza con i regimi nazi-fascisti, specialmente per quanto riguarda la firma del concordato con la Germania nazista, quello che i critici definiscono il suo «colpevole silenzio» di fronte all'Olocausto e un suo possibile ruolo nella fuga di gerarchi al termine della guerra. A partire dagli anni cinquanta iniziò a svilupparsi negli ambienti politico-culturali una critica al pontefice in netta controtendenza rispetto ai numerosi attestati di stima ricevuti precedentemente dagli ambienti ebraici. Sulla scorta di tali critiche anche alcuni esponenti autorevoli della comunità ebraica hanno successivamente criticato Papa Pacelli per non aver denunciato pubblicamente il nazismo e le persecuzioni anti-ebraiche di cui risulta fosse a conoscenza. Quando si pose il problema della collocazione degli ebrei sopravvissuti, la Santa Sede continuò a osteggiare la nascita dello Stato d'Israele, con la motivazione, almeno per alcuni esponenti, che toccava ai cristiani controllare i luoghi della cosiddetta Terra Santa, e appoggiando, semmai, una loro sistemazione negli Stati Uniti. Pio XII non mancò di esprimere la propria disapprovazione anche dopo la nascita di Israele, in quanto diffidava della promessa fatta dagli ebrei di rispettare i diritti religiosi delle altre religioni e soprattutto delle confessioni cristiane, e la Santa Sede rifiutò il riconoscimento diplomatico del nuovo Stato, riconoscimento che sarebbe giunto solo nel 1993, segno quindi di un problema ben più vasto della persona di Eugenio Pacelli. Va anche detto che i rapporti diplomatici diretti, tra USA e Vaticano, furono avviati non prima del 1984. E' chiaro che ci sono anche voci favorevoli all'operato ed alla posizione politica di Pacelli, ma queste cose danno da pensare profondamente, come se quella del vaticano fosse stata una partita a scacchi, una partita con in gioco la vita di milione di uomini, donne, bambini e vecchi. Solo Dio, il giorno del giudizio universale potrà dire se queste persona sono state giuste o se hanno fallito la loro missione, ma noi, piccoli umani, non siamo in grado di farlo, quindi è corretto astenersi dal giudizio.

Benedetto XVI ebbe a dire: "Morto un Papa se ne fa un altro, ma Cristo rimane!" Queste in sostanza le parole di Ratzinger,  la chiesa è la casa di Cristo e non dai Papi.
Giovanni XXIII, nella sua semplice umiltà, disse che "la mia persona conta niente", che contava era Dio, eppure diede un impulso grandissimo a riportare la chiesa ai vertici che competevano ad essa. Roncalli seppe riportare milioni di fedeli che si erano allontanati dalla chiesa e per riportarli all'ovile la figura di semplice pastore di Roncalli sortì il massimo effetto.

Giovanni Paolo II, altro grande riformista, intraprese sin dal principio del suo pontificato una vigorosa azione politica e diplomatica contro il comunismo e l'oppressione politica, ed è considerato uno degli artefici del crollo dei sistemi del socialismo reale, ebbe il coraggio dopo 400 anni di riconoscere che la chiesa aveva torto riabilitando e cancellando la condanna del tribunale della Santa Inquisizione a Galileo Galilei. Meglio tardi che mai? Meglio tardi!!! A proposito, sapevi che durante il ventennio Galileo Galilei doveva chiamarsi Galivoi di cognome perchè il "lei" era stato abolito da una "velina" (non quelle di Striscia) ma quelle del P.N.F., così erano chiamati i fogli con gli ordini-suggerimenti del partito, dopo che agli inizi del 1938, dalle pagine del Corriere della sera, il linguista fiorentino Bruno Cicognani proponeva l'abolizione del «Lei» come formula di cortesia propria dell'italiano corrente e apparentemente corretto. Secondo il parere dello studioso, si trattava di una terminologia importata e servile, modellata sullo spagnolo Usted, non appartenente alla tradizione linguistica e latina. In luogo del «Lei», Cicognani suggeriva il «Tu» o il «Voi», secondo le circostanze. Ed il servile popolino italiano si adeguò alla velina subito emenato per il caso, saluto romano invece della consueta stretta di mano, uso del voi al posto del lei, il settimanale femminile «Lei» fu costretto a cambiare il nome in «Annabella», i militari dovettero marciare con il passo romano di parata che scimmiottava il passo dell'oca germanico, e trasformare le cantine in rifugi antiaerei. L'uso delle "veline" restò in auge fino al 25 Luglio del '43, quando il Gran Consiglio del Fascismo votò la sfiducia al governo Mussolini. Altri tempi, altre «veline», si cominciò con l'abolizione del «Lei», si finì con la guerra.

Papa Paolo VI è una figura difficile da inquadrare. Nel tardo 1942, Montini fa pervenire a Earl Brennan, un veterano della diplomazia clandestina, la mappa strategica del Giappone con gli obiettivi per paralizzare l'industria bellica di quel paese. Questo permise all'aviazione americana di assestare alla guerra nipponica una serie di colpi decisivi. Grazie alla posizione di Stato nello Stato e di apparente neutralità, il Vaticano era il tramite ideale per questo genere di scambi riservati, tanto da essere definito dall'OSS "il covo dello spionaggio anglo-americano". Lo stesso Montini, nei primi anni del dopoguerra, supervisionava la gran parte delle operazioni grazie alle quali diverse migliaia di criminali nazisti furono fatti fuggire in America del Sud. Questo grazie a padre Draganović che svolgeva il ruolo di tramite tra il Vaticano e la CIA. Eppure Papa Benedetto XVI ne riconobbe le virtù eroiche, Montini è stato beatificato il 19 ottobre 2014 da Papa Francesco. Misteri vaticani!

Leone IX, Gregorio VII ed Innocenzo III furono i papi riformatori per eccellenza. Papi di una Chiesa che nel medioevo lottava  per emanciparsi dalla tutela dell'Impero, l'altro potere universale e poi per affermare la propria superiorità spirituale e politica su di esso. L'esigenza di una riforma veniva anche dal basso, dal popolo di Dio sempre più scandalizzato da un clero simoniaco e nicolaita, molto spesso culturalmente non all'altezza del proprio ministero. È da questa ansia, sentita sempre più impellente, che si genereranno quei movimenti presto divenuti o dichiarati ereticali che più tardi, con Lutero, porteranno alla spaccatura della cristianità occidentale.
L'azione moralizzatrice e riformatrice iniziò nel 1049 da Papa Leone IX, al secolo Brunone dei conti di Egisheim-Dagsburg, che godeva fra l'altro oltre che dell'appoggio dell'Imperatore Enrico III di Sassonia, di quello dell'Abate Ugo di Cluny, dell'arcivescovo Alinardo di Lione e di Pier Damiani priore di Fonte Avellana.
L'opera iniziata da Leone IX fu proseguita in maniera estremamente incisiva dal suo successore Papa Gregorio VII che porterà a termine quella riforma, (riforma gregoriana), che prese il suo nome e che farà esplodere il contrasto non sempre latente fra Chiesa ed Impero.
Papa Gregorio VII, al secolo Ildebrando di Soana, attuò una politica di riforme particolarmente rigorosa sul piano politico e morale, tesa ad eliminare ogni interferenza laica nell'organizzazione della Chiesa ed a risanare quest'ultima dai peccati di simonia e concubinaggio elevandone la moralità da lungo tempo calpestata. Con il Dictatus Papae del 1075 Gregorio VII stabilisce la superiorità del Papa su ogni altra autorità, il primato assoluto di Roma sulla cristianità intera, oltre che nella Chiesa stessa, nonché il potere del Papa di deporre l'Imperatore, di nominare in esclusiva i vescovi e di sciogliere i fedeli dai doveri di fedeltà nei confronti degli ingiusti. Soltanto il Papa ha il diritto di conferire cariche ecclesiastiche, come pure di condannare i vescovi indegni, e ciò in quanto rappresentante di Cristo in terra e successore di S. Pietro nella illimitata potestà di sciogliere e legare concessagli direttamente da Cristo. Fu l'inizio di una lotta tra i due poteri universali, Chiesa ed Impero, che presto sfociò nella lotta per le investiture e nelle guerre guelfo-ghibelline, dando luogo alla nascita di due partiti che, per opposti interessi, si posero uno a favore del Papa l'altro a favore dell'Imperatore.
Con papa Innocenzo III, al secolo Lotario dei conti di Segni, la Chiesa raggiunse l'acme della potenza politica trasformandosi in una teocrazia dotata di potere assoluto su tutti i governi. Papa Innocenzo III non si limitò solo alle enunciazioni di principio ma intervenne pesantemente e fattivamente nei problemi dell' Impero, particolarmente in quello della successione alla corona imperiale.
Certamente oggi, Bergoglio ha per le mani una bella gatta da pelare, staremo a vedere come riuscirà a dipanare il rotolo della matassa vaticana!

Visto da questo punto di vista il tuo giudizio è condivisibile senza difficoltà, ed a volte servono più di un paio di mail per capirsi. Vedo che la pensiamo allo stesso modo anche se magari ci esprimiamo in maniera diversa, ma l'intento è quello.

Per quanto riguarda De Andrè e Bubola non sono in grado di dire niente sulla faccenda della collaborazione fra i due, chi ha dato di più o chi ha dato di meno, Faber ha fatto la sua carriera e Bubola continua a fare concerti, quindi perchè cercare il pelo nell'uovo? A me Fiume Sand Creek piace, quindi perchè devo stare a chiedermi di chi è il maggior merito, la canzone è attribuita a De Andrè / Bubola e per me va bene così. Per chiudere, sono per niente d'accordo con la Pivano quando disse che non era De andrè ad essere il Bob Dylan italiano, ma era Bob Dylan ad essere il De Andrè americano". Forse quel giorno la Nanda nazionale aveva fumato qualcosa che le aveva fatto male! Perdonata grande Nanda, R.I.P.! LIve long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Mercoledì 17 Gennaio 2018

Talkin' 10347 - gabrieledemarchi2

Ho visto su internet delle foto fatte da Allen Ginsberg a Dylan, mi sembra tra il 1990 e il 1992.
Di certo si tratta di pose, non istantanee, ma in molti scatti Dylan non sembra essere favorevole alla situazione. Ero curioso di sapere la storia dietro questo servizio fotografico così bizzarro.

Grazie mille!

Le foto furono scattate da Allen Ginsberg dalle parti di Tompkins Square Park, New York, il giorno 11 Agosto 1990, una delle quali fu usata per il retro di copertina dell'album "Under the red sky"

che fu registrato a Los angeles nei mesi di Marzo ed Aprile 1990 e pubblicato nel settembre 1990. Altre foto scattate da Ginsberg in quell'incontro le puoi vedere qui sotto:

         

    

   

           

Se qualcuno ha notizie più aggiornate ben venga! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10346 - xxxxxxxx

Non pubblichi questa mia noiosa richiesta, ma saprebbe indicarmi nella risposta chi è la signora ritratta con Dylan in questa foto che credo sia tratta dagli scatti fatti per la copertina di Good as i been To You nel 1992?

Grazie, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx

Ciao Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, come vedi ho secretato il tuo nome ma non potevo ignorare la richiesta che è interessante anche per tutti gli altri Maggiesfarmers. Si tratta di Debbie Gold che produsse l'album di Bob “Good As I Been To You”. Debbie ci lasciò qualche anno fa perchè affetta da una malattia incurabile. Ho trovato un'altra bella foto di lei con Bob:

Qui sotto ti riporto un articolo scritto dall'amica di Debbie Meg Hansen. 

In ricordo di Debbie Gold

"In ricordo della mia fantastica amica, Debbie Gold, e del suo grande cuore e delle sue grandi risate e di tutte le sue divertenti storie, questa è quella che riguarda Bob Dylan, Lei lo adorava ed ha prodotto l’album di Dylan “Good As I Been To You”.

Debbie ha avuto storie con , beh, tutti ... dal fare uno scherzo a Slash e dirgli, "dai un'occhiata a quel costume - quel ragazzo è vestito da Slash!" Sfortunatamente, ha solo annotato qualcuno di questi fatti.

Circa 15 anni fa, penso che fosse proprio quando Debbie fu diagnosticato per la prima volta con il cancro, passammo un po' di tempo a Malibu nel mio appartamento a mettere su carta alcune delle sue storie. Mi disse che un giorno avrebbe voluto scrivere un libro, ma disse che, se non scriveva il libro, voleva che mantenessi le storie per me e non dicessi a nessuno che le avevo, e poi, poco prima di moriore, mi disse che voleva che io li "pubblicassi" e li "condividessi" con i suoi amici".
Ironia della sorte, un paio di giorni dopo la morte di Debbie, ho visto Bob in un ristorante di Malibu e mi ha ricordato le storie di Debbie. Ho dovuto cercarle in cantina e ribatterle, quindi probabilmente uno alla settimana per le prossime settimane, ma eccoci qui. Inoltre, dal momento che vivo a Malibu e non desidero sconvolgere il bel ragazzo dietro l'angolo, se Bob mi chiede di cancellarle, dovrò farlo (per pararmi le terga gli ho lasciato le storie a casa sua in anticipo).

Nelle parole di Debbie ...

Allo zoo
Di Debbie Gold

Mi sono state fatte spesso domande così accattivanti come, "Ehi, ehm, qual è la differenza tra essere in viaggio con Bruce Springsteen e Bob Dylan?" C'è sicuramente più di una risposta a questa domanda, ma la prima cosa che viene la mente è che quando si viaggia in giro per il mondo con Bruce, quando lo presento a qualsiasi fan e / o persona del settore, la risposta è di solito più o meno la stessa. Saltano quasi sempre su e giù, scuotendo pazzamente la sua mano ed esclamando cose del tipo: "Accidenti, amico, è incredibile, Bruce Springsteen !! Questo è uno dei momenti più belli della mia vita! Non posso crederci! Bruce, sei il mio eroe! Oh, è così bello ... "

Quando si presenta un fan a Dylan, la risposta è leggermente diversa. Inevitabilmente, quello che presento a Bob comincia a stare lì, quasi senza parole, gli occhi spalancati, e uno sguardo si posa sul loro viso che dice "Sono in piedi faccia a faccia con Dio". Spesso desideravo poter portare una videocamera quando viaggiavo per il mondo con Dylan e posizionarla appena sopra la sua spalla sinistra, in modo da poter catturare tutti i momenti del genere (completo di gente che rovesciava le cose e inciampava nei lacci delle scarpe, ecc.).
Riesci a immaginare cosa vuol dire essere guardato in quel modo tutto il tempo? Inoltre, Bob ha un aspetto molto particolare mentre una volta ogni tanto, Bruce può confondersi tra la folla. Naturalmente, non appena qualcuno si accorge che è Bruce, ho visto la stessa folla trasformarsi in una scena da "Il pifferaio magico". In ogni caso, è necessaria una ragionevole quantità di sicurezza per entrambi quando vanno in giro, il che ci porta alla mia prossima storia.

Nel tour europeo di Dylan del 1981, di cui ho avuto la fortuna di far parte, una manciata di "bodyguard" sono stati messi insieme per la sua protezione. Sebbene fossero professionali e dediti al proprio lavoro, una volta ogni tanto notavo che poteva esserci un po' di confusione su chi avrebbe dovuto fare una cosa. In tali rare occasioni, potevo immaginarli sbattere teste, alla "Three Stooges", per assicurarsi che Bob fosse protetto (è difficile da credere, ma Dylan è sempre stato più famoso in Europa, rendendo la sua sicurezza ancora più impegnativa). Londra, dove questa storia ha luogo, non ha certo fatto eccezione. Dylan doveva suonare 5 notti alla Earl's Court, la sala da 20.000 posti a Londra, iniziando entro pochi giorni. Sarebbe un eufemismo dire che la città era a conoscenza della presenza di Dylan.
L'intero tour era arrivato in città con alcuni giorni di anticipo, dandoci la possibilità di iniziare a lavorare su quella che sarebbe stata sicuramente una settimana intensa, ed i musicisti hanno avuto l'opportunità di godersi alcuni giorni liberi. Il primo pomeriggio, il telefono nella mia stanza d'albergo cominciò improvvisamente a suonare.
Bob sembrava rilassato e davvero felice mentre mi salutava alla porta. "Ho avuto il miglior pomeriggio!" Quasi esplose, esuberante.
"Che hai fatto?" chiesi curiosa, "che cosa è successo?"

"Beh, mi sentivo un po' rinchiuso in questa stanza d'albergo," iniziò. "Sembrava un buon pomeriggio, quindi ho deciso di fare una passeggiata. Ho messo la mia felpa con il cappuccio tirato sulla testa"(eravamo a metà luglio a Londra, ma questo era il miglior tentativo di Bob di camuffarsi)"e sono uscito e ho iniziato a camminare".

"Da solo?" Chiesi, stupito.

"Sì" iniziò, con entusiasmo, "e per prima cosa ho fatto un giro a Piccadilly Circus, dove, naturalmente, c'erano migliaia di altre persone, e nessuno mi ha detto una parola! E' stato così bello, così ho continuato ad andare avanti. Poi, ho camminato su e giù per la King's Road e Trafalgar Square, e ancora, non ho mai detto una parola a nessuno, e nessuno mi ha parlato".

"Wow, Bob, è incredibile! Deve essere stato grandioso".

"Lo è stato, e così ho continuato. Era una giornata davvero bella, così ho attraversato Hyde Park camminando per ore, era tutto così tranquillo. Ho visto così tante persone e nessuno mi ha mai detto una parola. Alla fine, stavo tornando a Regent Park (dove si trovava il nostro hotel) e sono finito nel Regent's Park Zoo, seduto tranquillamente su una collina. Era così bello, non riuscivo a crederci, e non volevo che il giorno finisse. Alla fine, dovevano essere le 17.00, perché lo zoo si stava preparando a chiudere e il guardiano dello zoo stava educatamente facendo uscire tutti. Alla fine, l'intero posto era vuoto, tranne me, e io non me ne accorsi, dato che ero impegnato a meditare su quanto fosse stato un giorno tranquillo, quando il guardiano mi raggiunse e mi disse: "È l'ora di chiusura. Ho paura che debba uscire anche lei Mr. Dylan!"

Meg Hansen

Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Martedì 16 Gennaio 2018

Talkin' 10345 - dinve56

Buongiorno Mister,
grazie per i dettagli, davvero terribili, relativi alla storia vera di "Joey", protagonista della lunga e triste ballata dylaniana che ha suscitato severe critiche, soprattutto da parte di Bangs, critiche che, così mi pare di capire, tu ritieni ampiamente giustificate. Ascoltando la musica e la voce di Dylan, ho provato compassione autentica per i protagonisti di tanta efferatezza. Credo che lo scopo dell'arte sia anche quello di rendere umanamente comprensibile ciò che appare non umano e di addolcire la violenza di certe vicende. L'arte attiene al bello, mentre la storia e la scienza attengono alla verità, rispettivamente del mondo umano e di quello naturale. Anche a me viene un po' di orticaria quando si esagera con l'appiattimento di ogni differenza religiosa e culturale. Tra Padre Pio e Alce Nero non saprei davvero quale scegliere, ma so che, in alcuni momenti della vita, rivolgersi con fiducia a qualcuno che crediamo possa aiutarci, fa un gran bene allo spirito e alla mente... sempre che si sia disposti ad ammetterlo, superando il giusto orgoglio intellettuale che appartiene quasi sempre alle persone non particolarmente devote. Ho visto ed apprezzato tutti i film sulla storia dei nativi d'America che avete citato, tranne l'ultimo, che non conosco; non è mai facile raccontare la storia dei vinti e, spesso, mi capita di apprezzare anche i personaggi "cattivi", se sono raccontati bene, con spessore artistico e culturale.Tornando a Bob, mi è piaciuto molto "Under the red sky", perchè la musica e i testi sono allegri, non melanconici, ma non per questo meno suggestivi dei testi di album più famosi. Alla prossima e lunga vita! Carla.

Ciao Carla, fin da giovane Robert Zimmerman aveva una spiccata simpatia per i belli, maledetti e perdenti. Non è un mistero la sua ammirazione per James Dean, per Marlon Brando, per i personaggi storici con l'aurea da Robin Hood come Jesse James o Billy the Kid, John Wesley Hardin (nel suo monimo album Bob aggiungerò la g facendo diventare il cognome dell'efferato fuorilegge Harding), Joe Gallo ne è un altro esempio. John Wesley Hardin (Bonham, 26 maggio 1853 – El Paso, 19 agosto 1895) fu uno dei più efferati criminali statunitensie, si pensa che abbia ucciso quarantaquattro persone. Il primo fi uno sachiavo di colore chiamato Mage, dopo la lotta Hardin ebbe la meglio e lo uccise il giorno dopo con tre colpi di pistola. John non si pentì mai dell'accaduto e, entro fine anno, commise ben quattro omicidi. Aveva solo quindici anni. In totale gli sono stati attribuiti oltre 40 omicidi. Ad Abilene commise uno dei suoi omicidi più efferati: nell'hotel in cui alloggiava sparò, attraverso la parete di legno, nella stanza accanto perché l'uomo che la occupava russava; il primo colpo lo ferì, il secondo lo uccise.
Dopo essere stato diciassette anni in prigione fu rilasciato nel 1895 e iniziò a lavorare come uomo dello sceriffo a El Paso. Nonostante tutto era spesso ubriaco e violento. Il 19 agosto 1895 John Selman, ex fuorilegge e agente di polizia, arrestò la prostituta che era assieme ad Hardin. Questi lo provocò e i due ebbero un diverbio. Selman raggiunse Hardin in un bar e gli sparò uccidendolo.

Ma nell'omonimo album Dylan dice di lui:

"John Wesley Harding
era amico dei poveri,
andava in giro con una pistola in entrambe le mani,
dappertutto nel paese
aprì molte porte
ma non fece mai del male
ad un uomo onesto"

Billy the Kid fu accreditato di 21 omicidi, ma la letteratura americana a volte l'ha descritto come un povero disadattato ed incompreso, che uccise per difendere i suoi amici. Npon sappiamoemmeno se Billy fu davvero ucciso da Garrett o se, come dicono alcune storie, uccise un'altyra persona e per coprire l'errore dichiarò di aver ucciso Billy. Alcuni anni fa il corpo di Billy fu riesumato per prelevare il DNA da comparare col sangue romasto sul tavolo dove si dice che il corpo di Billy venne sdraiato, ma dei risultati non si è saputo più niente. Dylan, accettando di far parte del cast dfel film e scrivendone la colonna sonora lascia intendere che il povero Billy sia stato tradito da quello che era una volta un fuorilegge come lui e compagno di scorrobande. Garrett venne ucciso durante una imboscata dal pistolero Jesse Wayne Brazel a Las Cruces, nel Nuovo Messico, il 28 febbraio 1908. Chi volesse sasperne di più sulla sua morte può cliccare sul link: http://www.farwest.it/?p=1638  "La misteriosa morte di Pat Garrett"

Credo sia difficile che l'arte possa addolcire la violenza, John Wesley Hardin puoi addolcirlo fin che vuoi ma rimane il fatto che ha assassinato 40 uomini!

Concordo invece con te che quando ci si trova in momenti difficili una parola buona, da qualunque parte giunga, è sempre un conforto e una speranza. Faccio fatica a capire perchè a volte apprezzi i personaggi cattivi. I cattivi sono e rimangono cattivi, (anche se per assurdo ai tempi del Manzoni e dei Promessi Sposi li chiamavano "bravi"), forse perchè colui che ne interpreta il personaggio ha un charisma suo ed addolcisce la figura? Hitler rimarrà sempre quel maledetto che è, idem Stalin, Pol Pot, Ceaușescu, la Giunta militare argentina del cosiddetto Processo di riorganizzazione nazionale, capeggiata dal generale Jorge Rafael Videla e dai suoi successori, generali Roberto Eduardo Viola, Leopoldo Galtieri e Reynaldo Bignone, le atrocità di Dragomir Milošević, comandante dei Corpi Sarajevo-Romanija dell'Esercito Serbo-Bosniaco che assediarono Sarajevo per tre anni (dal 1992 al 1995) durante la guerra in Bosnia, nel complesso, l'assedio causò la morte di almeno diecimila civili, millecinquecento dei quali bambini. Slobodan Praljak che si è suicidato in diretta bevendo una boccetta di veleno che non si sa come facesse ad averla in tasca. Gli Italiani fecero la loro parte contro l'impero Turco nel 1911 nella battaglia di Sciara Sciatt per la conquista di Tripoli, nella quale due compagnie di bersaglieri italiani, composte da circa 290 uomini, furono accerchiate e, dopo la resa, annientate nei pressi del cimitero di Rebab dai militari ottomani e irregolari libici. Quando i bersaglieri italiani riconquistarono l'area del cimitero scoprirono che quasi tutti i prigionieri erano stati trucidati, secondo la relazione ufficiale italiana "molti erano stati accecati, decapitati, crocifissi, sviscerati, bruciati vivi o tagliati a pezzi". Analogo resoconto fu fatto dal giornalista italo-argentino Enzo D'Armesano che era inviato sul posto per il quotidiano argentino "La Prensa". Nella repressione che seguì, furono uccisi almeno un migliaio di libici e si dispose la deportazione in Italia dei “rivoltosi” arrestati. L'operazione riguardò circa quattromila libici, che furono trasferiti nelle colonie penitenziarie delle Isole Tremiti, di Ustica, Gaeta, Ponza, Caserta e Favignana dove la maggior parete trovò la morte negli anni seguenti. Alcuni anni dopo Mussolini, alla ricerca del suo posto al sole, mando in Etiopia il maresciallo Badoglio e poi il generale Graziani (soprannominato dagli arabi "Il macellaio di Fezzan", che  venne inserito dall'ONU, su richiesta dell'Etiopia, nella lista dei criminali di guerra per l'uso di gas tossici e bombardamenti degli ospedali della Croce Rossa, ma non venne mai processato, ma c'è anche da dire che gli Abissini fecero la loro parte violando le convenzioni di guerra con l'evirazione dei prigionieri, l'impiego delle pallottole esplosive e l'abuso del simbolo della Croce Rossa.  Credo inutile continuare questo infinito elenco di pazzesca disumanità, la criminalità non ha mai portato da nessuna parte. Tornando a cosa più leggere continua ad ascoltare Bob, da lui c'è da imparare qualcosa, da Hitler niente! Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Scrivere Hard Rain a vent'anni - di Leonardo Tondelli                                clicca qui

 

 
Lunedì 15 Gennaio 2018

"Don't look back", questa sera su RAI 5 dalle 23 e 10  

1965, il regista D.A. Pennbaker filma in presa diretta, con una cinepresa portatile, tutta la tournèe inglese di Bob Dylan. Altro primato da aggiungere ai tanti di Bob Dylan è che si tratta del primo film interamente dedicato a un artista nella storia della musica rock.
Il film-documentario racconta l’atmosfera caotica “on the road' che accompagnava le chiassore e styrampalate tappe del tour tenuto da un giovanissimo Bob Dylan in Inghilterra nel 1965".
Il film inoltre rappresenta un'occasione unica per vedere il comportamente dei diversi personaggi dell'entourage di Dylan che parteciparono a quella tournèe, Joan Baez, Donovan, Alan Price, l’allora manager di Dylan Albert Grossman e il suo road manager nonché amico Bob Neuwirth. Da non perdere assolutamente!!!

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Talkin' 10344 - gebianchi

Allora, provo a meglio motivare le ragioni che mi portano a non criminalizzare la santificazione del grande capo. Premetto che, a mio avviso, le corrette osservazioni di Sir Eglamore relative all'omogeneizzazione culturale, non sono tanto il frutto del sia pur discutibile attivismo mediatico della chiesa, quanto piuttosto della marmellata globalizzatrice figlia della modernità e del web. Viviamo, per dirla con Bauman ( https://it.wikipedia.org/wiki/Zygmunt_Bauman ), in una società liquida, in cui il pensiero....per dirla con Vattimo ( https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Vattimo ), è sempre più debole, e questo genera giocoforza un sempre più indistinto melting pot culturale, di cui, concordo perfettamente, siamo ormai vittime quasi impotenti. Ciò detto, io credo che il tentativo di Bergoglio, vada anche nella direzione di un risarcimento postumo e quindi di una richiesta di scuse al popolo indiano, cosa di per sè apprezzabile nonché di una motivazione teologica, comunque si voglia vedere la cosa, abbastanza ardita, ossia l'idea che non sia necessario il credere nel Dio cristiano per raggiungere la santità. E questo, per una chiesa figlia di Woytila e Ratzinger e della loro impostazione teologica, mi pare di per se un buon risultato. La matrice violenta dell'oppressione, mi occupo di antropologia culturale e credo di avere un minimo di voce in capitolo per ragionarne, non ha origini religiose (semmai le religioni ne sono uno strumento), bensì nasce da comportamenti sopraffattivi di gruppo che, sarebbe lungo e noioso trattare in questa sede, a meno che qualcuno sia interessato all'argomento. Mi limito a citare la fondamentale disputa circa la dialettica servo-padrone di origine hegeliana e al suo sviluppo nel tema del risentimento nietszchiano, viatico necessario per comprendere il motivo profondo che sta alla base di ogni pratica di sterminio, sia degli ebrei, che dei neri, che dei poveri pellerossa. Ricorderei piuttosto, storicamente come la becera italietta mussoliniana cercasse e teorizzasse lo sterminio degli abissini, nella ossessiva ricerca di un posto al sole col bravo generale Graziani impegnato a pianificare la strage di migliaia di poveri monaci inermi in quel di Debra Libanos. Ma questa è un'altra storia. Sul piano cinematografico invece, vorrei... esprimere una voce fuori dal coro. Non giudicatemi un reazionario filo americano, vi prego; concordo abbastanza apertamente col giudizio espresso su un capolavoro assoluto della cinematografia come Sentieri selvaggi, ma ascriverei alla categoria del "capolavoro" anche moltissimo del cinema di genere a firma Raoul Walsh, John Ford, Delmer Davis, Antony Mann etc etc. Mi spiego; quel cinema, pur con la sua faziosità filo-pionieristica ricca di retorica, figlia spesso di un epoca storica da guerra fredda, con cio' che ne comporta, oltre a palesare una cifra stilistica in chiave cinematografica assoluta, rappresenta per gli americani una sorta di racconto epico, per un popolo che non ha storia e non ha passato, simile (mi si conceda il blasfemo azzardo) all'epopea mitologica greca o Latina. Insomma, Ombre Rosse sta agli Usa, come l'Odissea sta al vecchio mondo occidentale (non mi si rinfacci l'ovvia disparità artistica delle due opere!). Chi se ne frega se poi gli dei dell'Olimpo erano dei criminali, divoratori dei loro figli o violenti e rancorosi fratelli in lotta fra loro? Il cinema filo-pellerossa, di fatto demitizza il mito, racconta la verità, il che è encomiabile, ma fa perdere spesso allo spettacolo, potenza narrativa e vigore artistico. Non dimentichiamoci che anche il cinema di denuncia più realistico e documentato è pur sempre finzione. Detto questo ovviamente trovo apprezzabili anch'io i grandi film di denuncia, anche se....come dire.....non mi serviva il cinema per capire quanto criminali siano stati i progenitori di Donald Duck Trump. In fondo, anche la retorica e la prosopopea nostrana celebra spesso gli Early Roman Kings raccontandoci di quanto i nostri progenitori latini fossero un popolo grandioso. Peccato che per conquistare mezzo mondo, anziché la parola usassero il gladio. Inglesi, Francesi, Spagnoli, Belgi, Tedeschi, Cambogiani, Cinesi, Olandesi, etc etc..non hanno certo perso occasione ovunque siano andati a colonizzare...per seguirne le orme ai danni di popolazioni impotenti (vogliamo parlare dei poveri tibetani o dei palestinesi?). Infine ultima, ma forse più importante annotazione. Diciannove anni fa scompariva un signore a me molto vicino, anche per motivi personali. Sulla tragedia dei nativi americani ci realizzo' un disco, mettendo la loro vicenda in parallelo con quella del popolo sardo e scrivendo una canzone che per forza e intensità non ha nulla da invidiare ai film di cui abbiamo abbiamo parlato. Lo avete capito tutti, quel signore era Fabrizio De Andrè e la canzone si chiamava Fiume Sand Creek. In un sito....musicale, mi pareva corretto ricordarlo.                                    Cordiali saluti, Giuseppe Enrico

Caro Giuseppe, precisiamo prima di tutto che Alce Nero non è stato un grande capo indiano, era solo un uomo di medicina (wicʿaša wakan o pʿejúta wicʿaša), quello che in tutti i film veniva chiamato “stregone”, che appariva di solito con in testa la pelle con le corna del bisonte ed il bastone con i sonagli del crotalo in cima per scacciare gli spiriti maligni, presso gli Oglala, una tribù della famiglia Lakota-Sioux, convertito al Cattolicesimo verso il 1905. Nel 1892 Alce Nero si sposò con Katie War Bonnet. Successivamente la moglie si convertì al cattolicesimo, e i loro tre figli furono tutti battezzati come cattolici. Uno o due anni dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1903, Alce Nero si fece battezzare nel giorno di San Nicola, proprio con il nome di Nicholas. Iniziò a prestare servizio come catechista. Continuò a svolgere la missione di sciamano tra la sua gente, non ravvisando nessuna contraddizione fra le tradizioni del Wakan Tanka e il cristianesimo.
Alce Nero dichiarò di conoscere il credo niceno e inoltre affermò: “Io credo nei sette sacramenti della Chiesa cattolica. Io stesso ne ho ricevuti sei: battesimo, comunione, confessione, cresima, matrimonio ed estrema unzione”. Per diversi anni ho accompagnato i missionari cattolici che percorrevano la riserva annunciando Cristo al mio popolo. Tutti i miei familiari sono battezzati. Per quasi vent'anni ho aiutato i sacerdoti servendo a Messa e sono stato diverse volte catechista. Posso dire perciò di conoscere la mia religione meglio di molti bianchi. Posso spiegare le ragioni per cui credo in Dio. Nel 1905 si risposò con Anna Brings White, vedova con due figlie. Ebbero altri tre figli; Alce Nero rimase con la seconda moglie fino alla morte di lei, nel 1941.

Concordo anch’io con Sir Eglamore nel pensare che oggi ci troviamo al centro di un gran pasticcio mediatico a scapito di verità e cultura. Non possiamo dare la colpa a qualcuno della tecnologia che ci ha portato su questi lidi insani, le guerre comportano notevoli sviluppi in ogni campo le cui conseguenze influenzano tutti i dopoguerra. L'origine di Internet risale agli anni sessanta, su iniziativa degli Stati Uniti, che misero a punto durante la guerra fredda un nuovo sistema di difesa e di controspionaggio. Licklider e Clark, due ricercatori del MIT, Massachusetts Institute of Technology, dettero anche un nome alla rete da loro teorizzata: "Intergalactic Computer Network". Il progenitore e precursore della rete Internet è considerato il progetto ARPANET, finanziato dalla Defence Advanced Research Projects Agency (inglese: DARPA, Agenzia per i Progetti di ricerca avanzata per la Difesa), un'agenzia dipendente dal Ministero della Difesa statunitense (Department of Defense o DoD degli Stati Uniti d'America). In una nota del 25 aprile 1963, Licklider aveva espresso l'intenzione di collegare tutti i computer e i sistemi di time-sharing in una rete continentale. Avendo lasciato l'ARPA per un posto all'IBM l'anno seguente, furono i suoi successori che si dedicarono al progetto ARPANET. La rete venne fisicamente costruita nel 1969 collegando quattro nodi: l'Università della California di Los Angeles, l'SRI di Stanford, l'Università della California di Santa Barbara, e l'Università dello Utah. Tutto era pronto per il fondamentale e cruciale passaggio a Internet, compreso il primo virus telematico: il 27 ottobre 1980, facendo esperimenti sulla velocità di propagazione delle e-mail, Arpanet venne totalmente bloccata a causa di un errore negli header del messaggio. Definendo il Transmission Control Protocol (TCP) e l'Internet Protocol (IP), DCA e ARPA diedero il via ufficialmente a Internet come l'insieme di reti interconnesse tramite questi protocolli.
Nel 1991 presso il CERN di Ginevra il ricercatore Tim Berners-Lee definì il protocollo HTTP (HyperText Transfer Protocol), un sistema che permette una lettura ipertestuale, non-sequenziale dei documenti, saltando da un punto all'altro mediante l'utilizzo di rimandi (link o, più propriamente, hyperlink). Inoltre, il 6 agosto Berners-Lee pubblicò il primo sito web della storia, presso il CERN, all'indirizzo http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html. Nel World Wide Web (WWW), le risorse disponibili sono organizzate secondo un sistema di librerie, o pagine, a cui si può accedere utilizzando appositi programmi detti web browser con cui è possibile navigare visualizzando file, testi, ipertesti, suoni, immagini, animazioni e filmati. Il primo browser con caratteristiche simili a quelle attuali, il Mosaic, venne realizzato nel 1993.
Il 30 aprile 1993 il CERN decide di rendere pubblica la tecnologia alla base del World Wide Web in modo che sia liberamente implementabile da chiunque. A questa decisione fa seguito un immediato e ampio successo del World Wide Web in ragione delle funzionalità offerte, della sua efficienza e della sua facilità di utilizzo. Internet crebbe in modo esponenziale, in pochi anni riuscì a cambiare la società, trasformando il modo di lavorare e relazionarsi. Ecco come oggi noi ci troviamo schiavi ed impantanati in questa super tecnologia!

La fede è un dono di Dio a tutti gli uomini, come dimodstra questa foto.

Come ho già detto non credo che l’intento della Chiesa e di Bergoglio che ne è a capo sia quello di chiedere in qualche modo scusa ai nativi americani facendone santo qualcuno. Credo piuttosto che Alce Nero abbia svolto un’opera importantissima in terre selvagge ed ostili e che si sia meritato il titolo di Santo.
L’oppressione, da che mondo è mondo, è sempre stata di matrice di violenza, qualunque popolo che conquistava o si impossessava di un territorio ha sempre cercato di fare piazza pulita di coloro che lo occupavano prima. Hagel e Nietszche con la loro troppa lucidità hanno contribuito a far ancora più confusione, loro capivano ciò che dicevano, ma chi li ascoltava non si impossessva del loro pensiero ma solo di alcune frasi messe in evidenza dalla propaganda politica. Hagel col suo pensiero darà origine al Marxismo, la teoria del superuomo di Nietzsche verrà usata per turlupinare le masse con l’esaltazione del pangermanesimo. I primi movimenti paramilitari nazisti, infatti, si ponevano come gruppi armati principalmente xenofobi e repressivi, ambiziosi di sovvertire gli assetti di potere della Germania del tempo (tragicamente annientata sul piano economico e sociale da una guerra spietata e perduta), conservando l’ideale supremo di ricostruire una “nuova Germania”, esclusivamente composta da ariani germanici ed eliminando, fisicamente, ogni barriera esterna o ostacolo umano reputato inferiore, come ebrei, zingari, disabili, omosessuali e comunisti. Tuttavia, le squadre militari naziste ed il loro capo ispiratore Adolf Hitler, facevano riferimento ad una cultura già radicata da tempo in Germania e alla quale Nietzsche, invece, come palesemente appare in alcuni suoi contributi, si oppose con decisione: l’antisemitismo ed il modello socio-politico del cosiddetto “pangermanesimo”. Nietzsche, infatti, era, in verità, profondamente anti-germanico, egli riteneva che il popolo tedesco fosse dominato da un’ideologia borghese e perbenista non in linea con il suo modello antropologico del superuomo, e, sorprendentemente, per alcuni aspetti, filo-giudaico. Nietzsche non contestava affatto il popolo ebraico che considerava laborioso è moralmente forte, a differenza dei cristiani, figli di una cultura debole e tendente al piagnisteo facile: la celebre “morale degli schiavi”.

L’Italietta Mussoliniana, nella sua povertà, non per questo scusabile, cercò di applicare la teoria del “massimo risultato col minimo sforzo”, cioè allearsi ai Tedeschi e lasciar fare tutto a loro, eseguindo alla lettera gli ordini che arrivavano d’oltralpe. Nessuno ebbe il coraggio di criticare Graziani che massacrava gli Abissini con i gas, andare contro il Duce voleva dire avere a che fare poi con il Fuhrer!

Sul piano dei film non dobbiamo mai dimenticare che un film non ha delle vere esigenze storiche e documentaristiche, un film è una storia raccontata di solito a lieto fine per il protagonista, e l’America di Hollywood, povera di passato e futuro, voleva vedere la sua grandezza rappresentata nei film dove gli americani vincevano sempre e gli altri le prendevano di santa ragione. Lo stesso “Soldato Blu” è la trasposizione cinematografica del romanzo storico di Theodore V. Olsen, "Arrow in the Sun", “Little Big Man” è basato sull'omonimo romanzo di Thomas Berger.
Balla coi lupi (Dances with Wolves) è tratto dall'omonimo romanzo di Michael Blake.
Sentieri Selvaggi è basato sull'omonimo romanzo di Alan Le May, che condusse personalmente ricerche su 64 casi di bambini rapiti dagli indiani. Si ritiene che il personaggio di Debbie sia ispirato a quello di Cynthia Ann Parker, una bambina di nove anni rapita dai Comanche che assaltarono la sua casa a Fort Parker nel Texas. Visse 24 anni con i Comanche, sposò un capo ed ebbe tre figli, uno dei quali fu il famoso capo Quanah Parker. Suo zio James W. Parker spese gran parte della sua vita e della sua fortuna per ritrovarla, come Ethan nel film. Venne infine liberata, contro la sua volontà, in un attacco del tutto simile a quello descritto nel film.
Ombre Rosse è tratto dal racconto "Stage to Lordsburg" di Ernest Haycox, a sua volta ispirato a "Boule de Suif" di Guy de Maupassant. La pellicola segna il ritorno del regista al genere western dopo 13 anni.

Ma come dici giustamente anche tu, non serviva il cinema per capire la crudeltà degli americani versi i nativi. Gli Americani avevavo bisogno di scrivere una storia fatta di vittorie, non importava come ottenute, contava solo vincere. Questo il motivo della perdita di identità americana quando si accorsero che in Viet Nam non avrebbero mai vinto, e ancotra oggi l’America non ha più fiducia nel proprio esercito.

Infine “Fiume Sand Creek”, grandissima canzone da attribuire non solo a Faber ma alla coppia Fabrizio De Andrè / Massimo Bubola. Ci furono polemiche al tempo dell’uscita di questa canzone perchè alcuni critici pur di scrivere male di De Andrè e Bubola dissero che c’erano delle forti somiglianze o influenze con la canzone “Summer '68” dei Pink Floyd presente sull’album “Atomic Mother Eath”. Comunque furono chiacchere da bar e tali rimasero.

Lasciami dire che l’interessante discussione nata su queste pagine attorno alla probabile santificazione di Alce Nero ci fa capire che il problema dell’ingiustizia, della sopraffazione, della violenza sui deboli sono ancora valori che fan parte del nostro bagaglio culturale da combattere con ogni mezzo possibile. Con queste basi, forse un giorno, riusciremo a liberarci dal pantano mediatico nel quale siamo intrappolati al momento. La speranza è sempre l’ultima a morire, ed alla fine i personaggi disgustosi e malvagi perdono sempre. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Fabrizio De André, fiori sulla tomba 19 anni dopo la morte                      clicca qui

 

 
Sabato 13 Gennaio 2018

Talkin' 10343 - calabriaminimum

Ciao Mr.T., volevo dedicare un po' di tempo alla nostra amica Carla, che ci segue sempre ed è molto attiva sulla Farm.

Per Carla:
volevo suggerirti un critico che a mio parere su Dylan ha scritto cose davvero interessanti: Paul Williams. In particolare il suo Bob Dylan: Performing Artist (in tre volumi) è un testo che ogni appassionato di musica popolare dovrebbe leggere. Bangs se non sbaglio durante la sua carriera non ha mai apprezzato molto Dylan, si ricorda oltre al pezzo su Joey Gallo che puoi trovare nel volume "Deliri desideri e distorsioni" una celebre stroncatura di Blood On The Tracks, apparsa su qualche testata in cui all'epoca collaborava. Marcus ha scritto diversi volumi su Dylan: a me di lui piace molto l'aspetto antropologico e la capacità di passare dalla musica alla letteratura.
Come critico musicale non è certo impeccabile: sono famose le sue stroncature a dischi anche abbastanza importanti nella storia del rock. Un libro che posso consigliarti è "Dylan. Disco per disco" a cura di Jon Bream, edito da "Il castello". E' del 2016, quindi abbastanza completo. L'ho trovato interessante perché oltre ad analizzare ogni singolo lavoro di Dylan dal 1962 fino al 2015, riesce a dare una lettura e una dimensione "polifonica" alla produzione discografica di Dylan. Lo fa attraverso un gruppo eterogeneo di scrittori, critici musicali e musicisti stessi che per l'occasione sono stati chiamati a dire la propria su uno specifico disco di Dylan. Il lavoro che ne viene fuori è secondo me appassionato e stimolante.
Bello e ricco anche a livello grafico e visivo, con alcune delle foto più celebri di Dylan: te lo consiglio caldamente.
Un saluto e a presto!
Dario Twist of fate

Ciao Dario, sono certo che Carla sarà contenta e farà tesoro dei tuoi consigli. Alla prossima amico, liver long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10342 - streetoffire

Oggetto: Tizi, indiani e tutto il resto

Caro Mr.Tambourine,
innanzitutto buon anno e come sempre grazie per il tempo che dedichi al sito e per le interessanti informazioni che pubblichi, come quelle su “License to kill”, che è una delle canzoni che preferisco di Dylan. Lo so, è una scelta anomala: teoricamente il miglior Dylan sarebbe altrove, ma se “License to kill” non smette mai di ammaliarmi, neanche dopo un milione di ascolti, che ci posso fare?
Come ho già avuto modo di dirti in passato, non sono invece d’accordo nel considerare mediocre l’album natalizio di Dylan: ascoltare quell’album è come avere Dylan a casa per le feste, col suo strampalato berretto in testa, e il suo - inconsueto - sorriso sornione. Non lo ritengo un brutto album e anzi, mi pare ci sia la volontà di fare un buon prodotto, aldilà del fatto che stiamo parlando di cover natalizie trite e ritrite. Ogni canzone proposta da Dylan ha un incredibile, imprevisto fascino, aldilà del fatto che da Dylan ci si aspetta sempre qualcosa di unico e non banali canzoncine da recita di Natale. Non si può accusare Dylan di essere troppo distaccato e freddo con fans e ammiratori e contemporaneamente colpevolizzarlo per un album come “Christmas in the Heart”… Con “Chrismas in the Heart” Dylan si propone a noi in modo differente, come un vecchio amico che non vedi da tempo che ritrovi sotto casa la vigilia di Natale, avvolto nel suo cappotto, e non c’è bisogno di domandarsi cosa ci faccia lì proprio adesso: sei felice di vederlo, lo abbracci e lo fai entrare. Tutto qui.

Togliendomi un sassolino dalla scarpa vorrei dire la mia anche sul tizio (il nome lo ometto volutamente) che su “linkiesta” bistratta Dylan e il suo discorso al Nobel. Dylan si può criticare per tante cose, ci mancherebbe altro, ma per criticare occorre conoscere, e il tizio in questione non conosce un bel niente, di Dylan e di tante altre cose. Cita Dylan, cita altri autori, ma di suo cosa dice? Solo inutile spazzatura. Critica Dylan esclusivamente perché così facendo sa che riceverà una (effimera) visibilità. Non è quindi niente altro che un parassita aggrappato disperatamente a Dylan, consapevole che solo parlando (male) di Dylan può vivere una qualche sorta di visibilità a lui (giustamente) negata. Non sono Dylaniano a prescindere, posso anche trovare e ho trovato critiche a Dylan interessanti e intelligenti, ma di certo non è il caso dell’articolo su “linkiesta”.

Infine una considerazione sui Nativi Americani e sulle interessanti osservazioni lette sul sito di recente…

Non credo che Alce Nero apprezzerebbe l'eventuale santificazione. Posso però (ingenuamente?) ritenere che l’eventuale santificazione possa essere un modo tardivo di riconoscere il male fatto agli Indiani d’America e scusarsi (auspico sinceramente) con loro. Dopotutto si fa beato o santo anche chi è stato martirizzato, e direi che i Nativi Americani sono stati decisamente martorizzati. Tale martirio non è certo colpa esclusiva di missionari e/o cattolici dell’epoca coinvolti, ma di certo anche loro ebbero un ruolo nello spietato sterminio sistematico di un popolo. Chiaro che se non si crede nella buona fede di Papa Bergoglio, si può anche storcere il naso e non apprezzare il gesto, ritenendolo esclusivamente un modo come un altro per far sembrare che “i tempi stanno cambiando” anche per la Chiesa cattolica.

Ricordo un viaggio che feci in America e che mi portò, tra gli altri posti visitati, anche in una riserva indiana. Nelle informazioni che avevo raccolto prima di partire, si parlava di un percorso intorno ad un canyon che si poteva fare a piedi, previa autorizzazione sul posto. Arrivati alla riserva chiedo alla Guida Indiana se si potesse fare quel percorso, ricevendo per tutta risposta un secco “No.”Mi ritrovo così a pensare: “Ok, sono un viso pallido, hai tutti i motivi del mondo per non giudicarmi simpatico, però giuro che non ho mai fatto fuori nessun Indiano e anzi, sono un sincero ammiratore di Cavallo Pazzo, di Alce Nero e del Vostro Popolo, ed è per questo che sono qui adesso.” La Guida Indiana mi legge direttamente nel pensiero e risponde: “Il sentiero è chiuso. C’é stato un incendio e ha bruciato tutto. Mi dispiace.” E io dico a me stesso: “Grande Capo, dispiace anche a me… Per tutto quello che Vi è stato fatto, per tutto quello che Vi è stato tolto.” Lo penso soltanto, tanto Lui mi legge nuovamente nel pensiero, e mi saluta dicendo: “Se un giorno tornerete, e il sentiero sarà percorribile, sarò lieto di accompagnarvi.” Nei suoi occhi, nel suo sguardo fiero e malinconico, c’era dentro tutta la Storia degli Indiani d’America.

Per quanto riguarda i libri sugli indiani, mi permetto di suggerire:

Crazy Horse di M.Sandoz
Gli Spiriti non dimenticano, di V.Zucconi
Toro Seduto, di E.LaPointe
Geronimo, di R.M.Utley
Per quanto riguarda i film sugli Indiani d’America, “Piccolo Grande Uomo” è sicuramente un ottimo film, ma sono d’accordo con chi in una mail qui pubblicata (Giuseppe?) lo ritiene una ‘rappresentazione bozzettistica e cabarattistica’ e, anche per questo, il messaggio del film risulta meno forte di quel che dovrebbe essere.

Tutt’altra rappresentazione è quella proposta in “Soldato Blu”: un tremendo, terrificante nella sua cruda realtà, pugno nello stomaco.

Ai film già citati, aggiungerei anche:

“Corvo Rosso non avrai il mio scalpo”
“Buffalo Bill e gli indiani”
“Un uomo chiamato cavallo”
E, aldilà delle interessanti e corrette osservazioni fatte da Giuseppe, ci metterei anche “Sentieri Selvaggi”, perché voglio credere a John Ford quando dichiarò che il film era un suo personale “risarcimento” verso gli Indiani. Nei film di Ford, come in tutti i film western dell’epoca, gli indiani erano poco più che selvaggi ululanti da abbattere come birilli, mentre in “Sentieri Selvaggi” quantomeno si mette in discussione il punto di vista del protagonista Wayne/Ethan che inizialmente vorrebbe uccidere la nipote piuttosto che saperla Comanche. In ogni caso, la scena finale di “Sentieri Selvaggi” rimane una delle più intense dell’intera storia del cinema.

Volendo ci si potrebbe sbizzarrire e trovare altri riferimenti cinematografici che in qualche modo ricordano/onorano gli Indiani d’America, ad esempio:
“Il coraggioso - The Brave”, film di/con Johnny Depp. Il film ha ricevuto recensioni non troppo benevole quando non del tutto negative. In parte è vero che è un film che non si capisce dove voglia andare a parare e la cui storia può risultare disturbante, ma ho trovato molto realistica (purtroppo) la rappresentazione del modo in cui tanti Nativi Americani sono costretti a vivere oggi: in arrugginite catapecchie in mezzo al nulla, avvolti dalla polvere.
“Dead Man” di Jim Jarmusch, con Johnny Depp
“Verso il sole” di Michael Cimino
Chiuderei con un episodio accaduto nel lontano 1992 durante le celebrazioni dell’anniversario della “Scoperta” dell’America: un Indiano d’America, appena atterrato in Spagna (o forse era il Portogallo, non ricordo) piantò un bastone per terra dichiarando: “Ho scoperto l’Europa…”. Come dargli torto?

Marco_on_the_tracks

Caro Marco, ti dirò che a me non dispiace affatto se a te "Christmas in the hearts" piace e ti concilia pace e sentimenti d’amicizia e simpatia. Io la penso in modo diverso su quell’album ma questro non significa niente, è solo una questione soggettiva e di gusti diversi. Tutti, ma proprio tutti, i nostri amici Maggiesfarmers hanno il loro album preferito e quello che a loro non piace, è la normalità, niente per cui stupirsi, così come non ci stupiamo più quando Dylan sale sul palco e sembra che canti facendo un favore a dei poveri esseri normali che non meritano nemmeno di essere salutati, guai se poi  scappa loro di fargli una fotografia. A me questo sembra un paradosso anche per la riservatezza dylaniana (che è riservato quando fa comodo a lui, invece quando decide di appoggiare le stronzate e le cattiverie di Bob Newhith per offendere qualcuno allora va bene essere meno riservati. Ti dirò che è stgrano, perchè Io ho conosciuto di persona Bob Newhirt ed ho cantato sul palco con lui e Ruth Gerson Like e Rolling Stones e non ho assolutamente avuto l’impressione che fosse quel maleducato irriverente perfido che tanti critici hanno detto parlando di lui. Lo ricordo come un tipo abbastanza solitario, se ne stava sempre per i fatti suoi con la sua 12 corde in spalla nella custodia a zaino, parlava poco ma non perchè fosse timido, credo fosse il suo carattere, se poi, sforzato da Dylan che aveva bisogno di liberarsi della presenza di qualche persona nel suo entourage agiva in modo diverso potrebbe essere anche possibile, ma ripeto, l’impressione che ne ebbi io in quei pochi giorni che passammo insieme fu positiva, quindi non riesco mai a capire quando leggo della sua capacità di essere pungente nella satira, mi sembra che si stia parlando di due persone diverse). Avrai capito che la faccenda delle foto e del silenzio sul palco non la apprezzo e non la condivido, anzi, mi fa dispetto vedere una persona come Dylan agire nell’indifferenza totale rispetto al suo pubblico, al quale concede un minuto di applausi prima di lasciare il palco. Forse Dylan sarà nel giusto agendo così, ma io non lo capisco, non riesco a trovare ragioni logiche a questo comportamento. Ho appena visto in TV il concerto di Vasco Rossi davanti ad oltre 200.000 persone al Modena Park e quando le telecamere inquadravano il pubblico si vedevano migliaia di flash provenienti da fotocamere o cellulari, ma Vasco non è morto e non si è sentito minimamente disturbato da tutto questo. Forse ha un metro diverso da quello di Dylan per misurare il pubblico.
Christmas in the hearts non mi affascina particolarmente, a volte la voce di Dylan è suggestiva e gli arrangiamenti festosi ed amichevoli, può essere anche piacevole ascoltarlo qualche volta, ma con Bob Dylan non c’entra proprio niente, probabilmente Dylan voleva divertirsi e rilassarsi un pò ed ha avuto l’occasione di farlo mentre incideva questo disco. Ma, come al solito, questa è soltanto la mia opinione, che per alcuni può valere e per altri essere una scemenza.

Invece concordo con te, parola per parola, nel tuo giudizio su quel tizio che scrive su “linkiesta”, omettiamo una volta in più il nome perchè non ha la minima importanza, dico solo che mi spiace per lui poverino, la compassione e la pietà umana è un sentimento che non si nega a nessuno!

Invece non concordo con te quandi dici che Alce Nero non apprezzerebbe la santificazione, e perchè non dovrebbe apprezzare? Perchè la sua elevazione alla gloria degli altari dovrebbe essere una specie di maniera per chiedere scusa del male fatto ai nativi americani? Non penso sia così, Alce Nero è stato battezzato e si è dato da fare per portare a tutti i suoi la parola di conforto di Dio. D’altro canto non sarebbe il primo nativo americano ad essere proclamato santo, è stato preceduto ( se sarà fatto santo) da Kateri (Caterina) Takakwitha che è la prima santa pellerossa d'America.

La sua breve vita (1656-1680) fu segnata dalla diversità. Era, infatti, figlia di una coppia mista: padre irochese pagano e madre algonchina cristiana. Poi venne sfigurata dal vaiolo. Battezzata ad Albany da missionari francesi, scappò in Canada per sfuggire alle ire dei parenti pagani. Qui visse nella preghiera e nella castità e morì all'età di soli 24 anni. Beatificata da Giovanni Paolo II il 22 giugno 1980 ed infine fu canonizzata da Benedetto XVI il 21 ottobre 2012. Se ti interessa la sua storia completa la puoi leggere qui;
http://www.santiebeati.it/dettaglio/49325
Quindi la Chiesa Cattolica ha già una santa pellerossa fra lo stuolo dei beati, a che gli servirebbe averne un altro? Nicholas Alce Nero ha passato gli anni della sua vecchiaia a battezzare centinaia di Sioux, ad insegnar loro il catechismo e l’umiltà, quindi perchè no?

Quell’indiano che piantò in terra un bastone dicendo di aver scoperto l’Europa è stato un vero Gallo!!!!!!!
Grazie per averci scritto i tuoi pensieri sugli argomenti trattati nella tua mail, alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)


 

 
Venerdì 12 Gennaio 2018

Talkin' 10341 - paulclayton

Oggetto: Soldier Blue

Caro Tamburino,
la canonizzazione di Black Elk va sicuramente inquadrata secondo la prospettiva efficacemente illustrata da Giuseppe, ma è proprio il fatto che si tratti di una questione mediatica, come lui del resto ammette, a lasciare perplessi. Per il massimo sacerdote di una tradizione liturgica plurimillenaria credo sarebbe più consono esprimersi a livello teologico, piuttosto che usare il linguaggio dei format televisivi. Questo processo di omogeneizzazione, tanto caro ai politicamente petalosi, per cui le differenze (fra razze, sessi, religioni, menu e souvenir) vanno scomparendo mi fa venire l’orticaria. Bergoglio ne è il tipico esempio. Io personalmente continuo a credere che fra uno sciamano e Padre Pio non ci sia proprio nulla a che spartire. Ma questa è la mia sensibilità, forse a qualcuno piace sentirsi cittadino del mondo e girare per città fotocopiate, incontrando un’umanità fotocopiata.
Invece poi per fortuna esistono dati oggettivi, come per esempio la cattiva qualità del film, ampiamente sopravvalutato, intitolato Soldato Blu. Questo film ha il solo merito di avere invertito la tendenza. Punto. Basterebbe la locandina per esprimere un giudizio.

Imbastito sulla trita e ritrita storia d’amore fra due persone (bianche naturalmente) che si trovano sui lati opposti della barricata, questo film vuole raccontare lo sterminio degli Indiani (o forse dei Vietcong?), ma lo fa con una retorica e una superficialità superiore a quella dei film di John Wayne, con cui per altro condivide l’approssimativa iconografia del pellerossa, ovvero il selvaggio pirla. In un tripudio di parrucconi neri, di muscolosi capi indiani con il segno della barba e di violenze gratuite e mal girate, l’Indiano in due ore di film non si vede proprio.

   

In un Uomo chiamato Cavallo che risulta invece essere un film discreto, c’è una maggiore attenzione, però anche qui: tantissime penne, ma l’Indiano in definitiva non c’è.

Indians, sulla triste fuga verso il Canada di Chief Joseph, pure non era malaccio, ma molto povero.

In tempi più recenti Balla coi lupi ha avuto il merito di guardare ai costumi con un approccio filologico, anche se con disponibilità finanziarie limitate. La scena della caccia al bisonte è memorabile, ma insufficiente a farne un bel film. E anche qui, malgrado gli sforzi, il vero Indiano latita. Dato che in un film americano non può mancare la figura del cattivo, Costner è riuscito a inventarsi una tribù perfida, in contrapposizione alla bontà angelica dei Sioux. Le sfumature infatti non sono previste dal cinema americano, possono solo fare confusione. Di questo film è imperdibile la “recensione” fatta da Giorgio Gaber: https://www.youtube.com/watch?v=uvEb9lSyiEs 

Il Piccolo Grande Uomo invece, scegliendo di usare il salvagente dell’ironia per non sprofondare nella melma della retorica, coglie nel segno, toccando alcuni degli aspetti più importanti del misticismo visionario e naturalistico dell’Indiano delle Pianure e di quella percezione della realtà che noi positivisti giudichiamo alterata, ma che i seguaci di Dioniso direbbero ispirata. Divertente e allo stesso tempo illuminante è la scena del vecchio capo cieco che, memore di un sogno premonitore, attraversa il campo di battaglia credendo di essere invisibile e in effetti viene ignorato dai soldati; e ancor più quella in cui il vecchio decide di morire e salire sulla collina, per poi discenderne, fradicio per l’acquazzone e un po’ deluso, ammettendo che non sempre la magia funziona.



La scena del massacro sul Washita, per altro fedelmente ricostruito, è emotivamente coinvolgente senza mai scadere nel cattivo gusto, con il tragico contrappunto della banda militare che, durante la mattanza, è intenta a suonare l’allegra Garry Owen, la canzone scozzese preferita da George Armstrong Custer, per altro nel repertorio di Oscar Brand, che l’ha eseguita proprio nella puntata del suo The World of Folk Music radio show in cui ospitò Bob Dylan (eseguì Only a Hobo e Girl from the North Country). Anche i costumi sono più che dignitosi.

A dire il vero c’è un altro film bello sui nativi americani, anzi bellissimo. Si tratta di un film anomalo e poco conosciuto, un film canadese ambientato duecento anni prima dell’epopea del Far West, un film crudo e realistico che si interroga sull’opportunità dell’evangelizzazione delle popolazioni indigene da parte dei missionari cattolici, il titolo è Manto Nero".
Sir Eglamore.

Caro Sir Eglamore, lasciami cominciare a dire il mio POW. Io ritengo che ci possa essere santità, umiltà, religiosità in ogni essere umano, a dispetto della religione, della razza, dell'origine e del tempo. La storia ci narra di moltissimi personaggi del passato che sono state persone probe pur non avendo potuto conoscere Dio, Gesù, la Santissima Trinità, i Sacramenti e tutto quello che era ed è il bagaglio di cose che sono le fondamenta sulle quali poggia tutto l'edificio (scusa la brutta espressione) della religione cattolica. Margherita Hack in un suo libro del quale non ricordo il nome, diceva che il sacrificio di Gesù non sarebbe valido per chi è vissuto prima della sua nascita. Milioni di persone non hanno potuto conoscere Cristo ed il suo verbo, e questa, sempre secondo Margherita Hack, sarebbe la profonda ingiustizia che prova l’assurdità delle teorie cristiane. La Chiesa ribattè che la critica che la Signora Margherita Hack rivolgeva al cristianesimo era in realtà molto ma molto  più antica, e non è certo una novità, anzi è una delle prime critiche-domande rivolte al cristianesimo riassunte in un interrogativo che attraversa i primi secoli cristiani era: cur tam sero? Perchè tanto tardi? Ed è anche la conseguenza della realtà storica di Gesù e della sua morte. Se è un fatto storico, e non una vaga leggenda (il classico «c’era una volta...»), vi è necessariamente un prima e un poi. I primi cristiani non hanno eluso questa domanda che non dimostra affatto l’assurdità del cristianesimo, ma piuttosto la sua provvidenziale complessità.
Fin dagli inizi l’evento Cristo è stato compreso con valenza universale, prima di tutto proiettato verso il futuro: il cristianesimo non è un fatto interno dell’Ebraismo, anche se storicamente ne costituisce la culla, ma interessa tutti gli uomini. Non solo verso il futuro però, ma anche con lo sguardo verso il passato. L’evento Cristo è cosmico e riguarda l’umanità come tale. Secondo il Nuovo Testamento la redenzione non è un mito gnostico, ma si concretizza in un evento storico, poichè la storia è il terreno degli uomini («patì sotto Ponzio Pilato...») evento che rivela il progetto salvifico di Dio che inizia nella creazione e tende alla «ricapitolazione di tutte le cose in Cristo», quando Egli «tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti».
Questo progetto divino si è rivelato solo ora, cioè con il Cristo storico, o in qualche modo si è fatto conoscere anche prima, sia pure in forma incompleta? E gli uomini vissuti prima di Cristo ne sono stati in qualche modo partecipi?
Gli antichi padri ebrei ne erano senz’altro partecipi. L’Antico testamento viene reinterpretato alla luce di questo piano divino. È quanto leggiamo negli Atti degli Apostoli nel discorso di Pietro, di Stefano, di Paolo ad Antiochia di Pisidia. Come Adamo è esemplare per tutti gli uomini, così lo è Cristo risorto: «Poichè, se per un uomo venne la morte, per un uomo c’è anche la resurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo così tutti saranno vivificati in Cristo» . E inizia anche una lettura positiva dell’atteggiamento religioso dei non ebrei: Paolo all’areopago di Atene.
Questo cammino, pieno di se e di ma, continua nella letteratura cristiana antica. È necessaria una precisazione: questi autori non parlano di una positività delle religioni non cristiane, che anzi vengono respinte, ma della presenza di elementi validi nella vita e filosofia dei pagani come segno di una presenza già attiva di Cristo nella storia: è la teoria dei «semina verbi» i semi, cioè di quel Verbo che matureranno nella pienezza dei tempi. Uno dei primi padri apologisti del cristianesimo, San Giustino, diceva: «Ci è stato insegnato che Cristo è il primogenito di Dio, e abbiamo già dimostrato che egli è il verbo di cui fu partecipe tutto il genere umano. E coloro che vissero secondo il verbo sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come tra i Greci, Socrate ed Eraclito e altri come loro ... cosicchè anche coloro che erano nati prima ed erano vissuti non secondo il lverbo, furono malvagi e nemici di Cristo e uccisori di quanti vivevano secondo il verbo: quanti invece sono vissuti e vivono secondo la parola di cristo sono cristiani impavidi e imperturbabili». (Prima Apologia, n.46). Per San Giustino vivere secondo il verbo significa vivere secondo ragionevolezza e coscienza poiche queste sono riflesso del Logos eterno, che è Cristo, rivelazione del Padre.
La dottrina teologica dei «semina verbi», fondata nella Sacra Scrittura, ha avuto una lunga storia, da Sant’Agostino al Vaticano II che insegna a scoprire positivamente sia nella storia che nella natura i «segni» della presenza di Cristo: Una lettura tutt’altro che semplice e facile, anzi piena di difficoltà (pericolo di sottovalutare la novità di Cristo, del relativismo religioso, della necessità delle evangelizzazione..), ma affascinante e che rende i cristiani consapevoli che l’evento Cristo è più grande di ogni sua concretizzazione storica. Egli è davvero l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine ...a Lui appartengono i secoli (Veglia Pasquale).
La fede della Chiesa nella salvezza universale di Cristo è espressa anche in un articolo del credo apostolico (quello usato dal Catechismo della Chiesa Cattolica) quando professa «...discese agli inferi...» La frase si riferisce prima di tutto alla morte «reale» di Gesù che come ogni uomo mortale scende negli inferi secondo l’immagine usata dagli antichi. Ma vi scese come vincitore della morte (liturgia del sabato santo) per liberare tutti coloro che avevano sperato in lui, anche senza conoscerlo, vivendo con bontà e onestà. L’espressione «scendere agli inferi» che può evocare immagini legate a miti pagani (Enea che scende nell’ade...) deve essere ben capita. La sacra Scrittura usa immagini legare alla cultura del tempo che vanno, come si usa dire, decodificate, per prenderne il vero messaggio: Cristo nella sua resurrezione supera le categorie del tempo e dello spazio e consente a «tutti» i figli di Adamo di diventare figli di Dio: «Cristo, dunque è disceso nella profondità della morte affinchè i morti udissero la voce del Figlio di Dio»  e ascoltandola vivessero: Gesù, l’autore della vita ha ridotto all’impotenza mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, liberando così tutti quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.

Doverosamente precisato questo ecco che diventa "normale" che uno stregone pagano, vissuto con bontà e principi umanitari possa essere accostato non solo a Padre Pio ma anche a tutta quella schiera di persone che hanno dedicato la loro vita al bene del loro prossimo. Inoltre se oggi Bergoglio usasse il linguaggio aulico di molti dei suoi predecessori sarebbe criticato e giudicato personaggio del passato non adatto al Pontificato attuale. Bergoglio avrà qualche sua convinzione personale e non rispetterà il rigido (e anticamente assurdo) cerimoniale vaticano, ma lui sta parlando alla gente comune, quelli come noi che preferiscono le parole semplici ai discorsi farciti di paroloni che non ti fanno capire il senso di quello che l'altro sta dicendo. Oggi il mondo è globale non solo commercialmente, tutta una nuova messe di regole e di abitudini stanno nascendo anche dal punto di vista culturale e religioso, il mondo di oggi non è solo il mondo del commercio, sarebbe veramente riduttivo avere un'idea simile, il mondo è in costante cambiamento, proprio come dice Dylan, The Times They Are A-Changin' e Things Have Changed. Anche Dylan ha attraversato diverse fasi cercando di prevenire, o almeno stare alla pari con i tempi, per non venire sorpassato e dimenticato, e questa non è preveggenza, è soltanto intelligenza.

Passando a "Soldato Blu" credo non si possa stroncare un film solo perchè Hollywood ha fatto una locandina imbecille. Per coloro che non hanno visto il film o non si ricordano più la trama e gli intenti riassumo brevemente di seguito:

Sand Creek, 1864. Un convoglio americano, diretto a Fort Reunion, che trasporta una cassa di denaro destinata alle paghe dell'esercito e una ragazza, Katy, catturata due anni prima dai Cheyenne, viene attaccato dagli indiani e nello scontro che ne segue 22 soldati perdono la vita e gli unici superstiti sono Katy e un giovane soldato di nome Honus Gent, i quali trovano rifugio su una collina. Dopo che gli indiani si sono allontanati i due discendono, scoprendo che l'oro trasportato è stato rubato. Honus vorrebbe pregare per i morti, alcuni dei quali mutilati e scotennati, ma Katy lo schernisce, iniziando a chiamarlo "soldato blu", e difende i Cheyenne, sostenendo che tali comportamenti sono stati insegnati loro dai soldati americani, e informandolo di essere stata la moglie del loro capo, Lupo Pezzato.
Mentre i due si dirigono verso il forte, dove il fidanzato di Katy la sta aspettando, i due discutono circa la presenza dei soldati in quelle terre. Honus afferma che gli indiani sono dei selvaggi, basti pensare a ciò che hanno fatto ai suoi compagni, Katy invece controbatte affermando che gli indiani presto verranno sterminati e raccontando al soldato le atrocità che ha visto compiere dai bianchi, durante un attacco ad un campo indiano. Honus non le crede, convinto che le sue siano solo menzogne.
Durante il tragitto, Honus perde un calzino e, mentre lo cerca, viene circondato da un gruppo di indiani Kiowa; la sorte dei due sembra segnata, ma Katy insulta il loro capo, il quale, sentendosi oltraggiato, sfida Honus in un duello con il coltello. Il soldato esce vincitore, rifiutandosi però di finire l'indiano ferito; questo viene accoltellato dai suoi compagni che immediatamente si allontanano. Dopo l'accaduto Katy per la prima volta chiama Honus per nome, ma il ragazzo, ancora scosso per gli ultimi eventi, getta i calzini che lo avevano tradito e si incammina da solo, senza aspettare Katy che è costretta a correre per raggiungerlo. L'amicizia tra i due cresce sempre più, in particolare quando Honus caccia una lepre selvatica che permette loro di mangiare carne dopo molto tempo. Un'alluvione fa perdere ai giovani il fucile e alcune provviste. Poco tempo dopo, trovano un fuoco acceso e un carro appartenente al losco Isaac Cumber (Isacco Comer, un mercante ebreo come si evince dal nome e cognome). L'uomo li accoglie spacciandosi per un normale mercante, ma il soldato sospetta che egli venda nascostamente fucili agli indiani. Katy cerca di dissuadere Honus dall'ispezionare il carro, ma alla fine confessa al soldato di aver già visto il mercante due volte, quando era al campo dei Cheyenne. Honus l'accusa di tradimento, ma lei risponde che preferirebbe essere una Cheyenne piuttosto che un soldato di un esercito assetato di sangue. Honus riprende a cercare e, dopo una breve perquisizione, trova il doppiofondo con molti fucili destinati agli indiani. Isaac lo sorprende e fa prigionieri i due.
Una volta che Isaac si è allontanato Honus riesce a rompere con i denti la corda che lega Katy e, prima di allontanarsi, brucia il carro, distruggendo i fucili; il mercante, vedendo il fumo e sentendo le munizioni esplodere, torna indietro e ferisce Honus a una gamba con un colpo di fucile. Comincia un palpitante inseguimento, Katy con un trucco riesce a rallentare il mercante che però non smette di inseguirli, aiutato dalle tracce di sangue che Honus lascia lungo il tragitto. Allo stremo delle forze il soldato sviene e cade da cavallo, Katy smonta per soccorrerlo e l'animale fugge. Rimasti a piedi, Katy è costretta a portare Honus in una grotta e a cancellare le tracce con degli arbusti; Cumber sopraggiunge nel luogo dove sono nascosti ma, non vedendo tracce, si allontana. Una volta salvi Katy si prende cura di lui e medica la brutta ferita di Honus. Al risveglio del soldato entrambi si scoprono innamorati e Katy regala ad Honus il dono d'amore che le aveva dato Lupo Pezzato; la mattina dopo, però, Katy se ne va da sola, per giungere prima a Fort Reunion e mandare dei soldati a prendere Honus ancora convalescente.
La ragazza viene trovata dall'esercito e condotta al cospetto del comandante del presidio, il colonnello Iverson. Qui ritrova il fidanzato, il tenente McNair; durante il loro breve incontro la donna scopre che i soldati conoscono il luogo dove gli indiani sono accampati e che il mattino dopo attaccheranno il villaggio. Prendendo un cavallo con uno stratagemma, Katy si precipita ad avvisare Lupo Pezzato del pericolo, pregandolo di allontanarsi. Egli crede al trattato di pace stipulato con i bianchi e, contrariamente ai suoi compagni che vorrebbero combattere, sceglie di rimanere sul luogo per parlamentare con i soldati.
Honus nel frattempo ritrova il cavallo che era fuggito e raggiunge il reparto, ormai giunto nei pressi del campo Cheyenne. Il giovane soldato cerca in tutti i modi di persuadere il colonnello, chiedendo di non attaccare l'accampamento, ma questi non intende modificare i suoi piani e il mattino dopo, nonostante la bandiera bianca sventolata da Lupo Pezzato, ordina l'attacco. Dopo un breve scontro, Iverson, ferito a un braccio proprio da Lupo Pezzato, ordina di spianare il villaggio, dove sono rimasti solo donne e bambini.
I soldati, sotto gli occhi sconvolti di Honus, disgustato dal massacro in atto, devastano ciò che resta degli occupanti il villaggio, violentando le donne, uccidendo i bambini e facendo scempio dei cadaveri e, una volta che l'azione ha termine, Honus rivede Katy, la quale tiene in braccio una bambina Cheyenne, ormai morta. La ragazza, ricordando il loro primo incontro, gli chiede se ora non intenda pregare per questi morti dicendo qualche bella frase. L'unica risposta è il vomito del soldato alla vista dei tanti corpi martoriati.
Il reparto, dopo avere ricevuto le congratulazioni del colonnello, si allontana e i due si rivedono un'ultima volta mentre Honus viene trascinato in catene, insieme ad altri soldati che si sono rifiutati di partecipare al massacro, e Katy viene avviata alle riserve insieme ad alcuni bambini scampati. Prima dei titoli di coda, la voce fuori campo descrive il vero avvenimento storico che ha ispirato il film.
"Il 29 novembre del 1864, un reparto di 700 cavalleggeri del Colorado Cavalleria, attaccò un pacifico villaggio Cheyenne a Sand Creek, nel Colorado. Gli indiani sventolarono la bandiera americana e la bandiera bianca in segno di resa. Nonostante questo il reparto attaccò, massacrando 500 indiani; più della metà erano donne e bambini. Oltre 100 furono scotennati, molti corpi furono squartati, molte donne vennero violentate. Il generale Nelson Miles, capo di stato maggiore dell'esercito, così definì questo tremendo episodio: “È forse l'atto più vile ed ingiusto di tutta la storia americana”.

Quando il film venne girato, gli Stati Uniti erano impegnati nella contestata Guerra del Vietnam, e molti critici ci videro un riferimento al famoso massacro degli abitanti del villaggio vietnamita di My Lai ad opera dei soldati statunitensi della Compagnia C, 1º Battaglione, 20º Reggimento, 11a Brigata della 23ª Divisione di Fanteria dell'esercito statunitense, agli ordini del tenente William Calley, che uccisero 347 civili inermi e disarmati, principalmente vecchi, donne, bambini e neonati, abbandonandosi anche alla tortura e allo stupro degli abitanti. Il massacro avvenne il 16 marzo 1968 . "Soldato Blu" alla sua uscita, e per molto tempo ancora, creò parecchio scalpore, in quanto denunciava le ipocrisie e le menzogne che avevano costituito la storia della fondazione degli Stati Uniti, con particolare attenzione alla politica ed ai metodi adottati nei confronti dei Nativi americani, e perché in maniera non del tutto velata, criticava la Guerra del Vietnam, denunciando la falsità e l'ipocrisia della società statunitense degli anni Sessanta e Settanta in merito a tale guerra, tanto da diventare un manifesto di protesta della generazione che non si identificava con la società e la cultura dominante in America, e contribuendo ad alimentare un profondo dibattito storico-culturale e sociale, sia negli anni Settanta, sia nei periodi successivi. " Soldato Blu" non era un documentario. era solo un film di denuncia ispirato al romanzo storico di Theodore V. Olsen, "Arrow in the Sun", a sua volta ispirato ai reali eventi del massacro di Sand Creek. Hollywood ne fece un film, e come tutti i film contiene lati di cruda verità e lati esclusivi dello stile melenso hollywoodiano, ma questo non basta a stroncare il film. 

Per quanto riguarda "Balla coi lupi" Kostner ha interpretato forse un personaggio un pò fantasioso, ma quanti "visi pallidi" vissero e passarono dalla parte degli indiani in quei terribili tempi?. La tribù dei Sioux Lakota con la quale John Dunbar, alias Dances with wolves, alias in lingua Lakota Šuŋgmánitu Tȟáŋka Ób Wačhí, è un gruppo di indiani braccati dai soldati della cavalleria americana e quindi costretta a scappare e nascondersi da questi nuovi predatori così numerosi che non esiste possibilità di difesa o di arginarne l'avanzata nelle terre indiane. Non dimentichiamo che le tribù indiane erano storicamente nemiche, i guerrieri vivevano oltre che di caccia al bisonte anche di scorrerie e ruberie nei riguardi delle altre etnie, quindi non direi che i Lakota erano quelle mammolette dalla bontà angelica come dici tu.

"Piccolo Grande Uomo" è tipicamente un film hollywoodiano nel vero senso della parola, con personaggi volutamente estremizzati, suprattutto Custer nella scena quando, prima della battaglia, chiede consiglio sul da farsi al "mulattiere" Dustin Hoffman, tra lo storico ed il ridicolo, in questo devo darti ragione, anche se in complesso è un film che è possibile godersi tranquillamente spaparazzati sul divano, non ha grosse pretese e grandi massaggi al suo interno, è puro "entertainment" con un bravissimo Hoffman.

"MANTO NERO", tratto dal romanzo "Black Robe" di Brian Moore, ambientato nel 1634 in Quèbec, narra la storia del gesuita Padre Laforgue, che su disposizione dei superiori, deve risalire un grande fiume per miglia e miglia e raggiungere la Missione da tempo istituita presso gli Uroni. Lo accompagnano sulle piroghe il capo indiano Chonina, vari uomini (alcuni dei quali con la famiglia) e Daniel, un giovane francese che aspira al sacerdozio, ma che già sorride ad Annuka, la figlia del capo. Soprannominato "Manto Nero", Padre Laforgue non sempre riesce ad avere rapporti facili con gli Irochesi che, quando il Gesuita promette il Paradiso, gli pongono non poche domande, naturali per la loro cultura e nella vita di tutti i giorni. Da questi contrasti nascono malumori e scetticismo che danno a Laforgue la misura delle grandi difficoltà del suo impegno che aveva scelto in Francia con grande gioia della madre, che sperava di vederlo santo. Mentre Padre Laforgue rimane deluso e colpito vedendo Daniel ed Annuka amoreggiare senza pudore, gli indigeni gli rendono la vita piuttosto dura e qualcuno già pensa di ucciderlo. Attaccati da altri selvaggi (la moglie di Chomina viene uccisa da una freccia e Laforgue fa appena in tempo a battezzarla), poi torturati, il gruppetto del superstiti riesce a fuggire durante una tormenta di neve, grazie alla ragazza che una notte si concede ad un guardiano per eliminarlo. Chonina, ossessionato da un brutto sogno (un corvo nero ed un'isola, dove vede arrivare solo quel diabolico Manto Nero), rifiuta di essere battezzato e, vaneggiando nella visione della dea della Morte, si abbandona a questa. Anche la giovane coppia decide di tornare indietro e il Gesuita arriva finalmente tutto solo al Villaggio degli Uroni, dove infuria una febbre contagiosa. Seppellito il più giovane dei Padri Gesuiti anche l'altro - un vegliardo - muore di freddo e di stenti. Affranta, la tribù vuole il Battesimo, confidando che esso sia una medicina risanatrice: Padre Laforgue lo dà a tutti, implorando Dio di salvarli.

La critica: "I 'manti neri' vorrebbero che Algonchini amici, come gli Irochesi nemici, come gli Uroni sull'orlo della conversione, rinunciassero alla superstizione dei sogni, alla poligamia, al cannibalismo; ma i nativi non afferrano il nuovo credo e si inseriranno legittimamente nelle loro tradizioni. Sino a scuotere nel profondo (ed è questo il senso del film) le convinzioni propagandistiche del protagonista, che tuttavia non rinuncia alla sua missione. Peccato che questi temi complessi non emergano con sufficiente chiarezza da un film a tratti monotono. Ma non mancano squarci suggestivi e situazioni forti; e almeno una sequenza d'antologia, quella della morte del capo Chomina (l'attore autorevolissimo si chiama August Sehellenberg), sullo sfondo di un'isola che aveva già visto nel suo sogno." (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 15 Marzo 1992) "Un contrasto dagli echi fondi e di non facile rappresentazione su uno schermo specie quando, sulle tracce del romanzo, vi si aggiungono anche i turbamenti di un sacerdote indotto nel corso della storia, a porsi, sulla propria missione, interrogativi ansiosi fino al dubbio. Beresford, nonostante la guida di Moore. era troppo laico per interpretarlo in tutte le sue più giuste dimensioni. cosi molti suoi risvolti, spesso, girano a vuoto, anche con il rischio di essere fraintesi; qualcosa tuttavia resta e fa pensare nonostante, alla lunga, ad imporsi siano soprattutto i panorami selvaggi del Québec e le truci apparizioni di Irochesi dediti al taglio delle dita o degli scuoiamenti, con la gioia di terrorizzare gli avversari. Attenti, però, il film non e soltanto questo: sotto ci sono turbamenti e drammi dello spirito cui prestare orecchi attenti.

Come avrai capito, qualunque tipo di critica o di deduzione, o di conclusione, è sempre condizionata dalle nostre simpatie e dalle nostre conoscenze. Ogni cosa diventa soggettiva è l'oggettività è sempre un materiale fra i più rari da trovare. Alla prossima, live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Giovedì 11 Gennaio 2018

Talkin' 10340 - dinve56

Buongiorno Mister,
prima di tutto un cordiale augurio di buon anno a te e a tutti gli amici di Maggie's Farm. Provo a dire la mia sul rapporto tra i fans di Dylan e la critica, ormai ricchissima di saggi e testi di varia importanza e diversa levatura che sono stati prodotti in questi lunghi anni di attività artistica del Nostro. Mi sembra di poter condividere l'opinione che l'interpretazione di un'opera, letteraria o musicale che sia, abbia sempre un che di soggettivo, ma c'è soggettività e soggettività. Intendo dire che l'opinione di un critico letterario, musicale, cinematografico americano (sembra di capire che oltre-oceano i critici siano meno settorializzati che in Europa e che spesso si occupino di diverse forme di espressione artistica) è, secondo me, sicuramente degna di attenzione, essendo prodotta da persone che conoscono la società e la cultura degli USA in modo approfondito e documentato. L'amico autore della talkin' 10334 (Dario Twist of fate) cita Lester Bangs e Greil Marcus, importanti critici musicali, che hanno collaborato con prestigiose riviste. Greil Marcus è l'autore di due opere su Bob Dylan tradotte ed edite in Italia da "Odoya" e "Arcana"; lo stesso Marcus ha dichiarato che Lester Bangs era, sul finire degli anni settanta, il miglior scrittore d'America. Certo le loro opinioni "pesano" molto più della mia o di quella di un altro fan di Bob Dylan che, tuttavia, sono liberi di condividerle o meno. Prendo atto che Bangs ha criticato Dylan perchè in "Desire" avrebbe mitizzato la vicenda umana di Joey Gallo, ma ricordo che, nello stesso album, in "Hurricane", ha parlato della vicenda di Rubin Carter. Sono le canzoni della redenzione e, soggettivamente, mi sembra che Dylan non abbia mitizzato ma interpretato Joey Gallo come una vittima: "Joey, Joey, re delle strade, ragazzino di creta..." . Se invece vogliamo dire, con Lester Bangs, che ha mitizzato, romanzato, reinventato la vicenda di un malavitoso,allora, sempre soggettivamente, mi sembra di capire che Bob Dylan è il poeta degli USA perchè, creando la mitologia del suo Paese, non ha dimenticato nessuno, o quasi, dei rappresentanti delle varie etnie che hanno cercato la redenzione ed il riscatto nel Paese "del latte e del miele" o, se si vuole, con accenti meno biblici, nel Paese del denaro. Dico ancora che "Desire" è un album che mi è piaciuto. Mentre il ritmo di "Hurricane" sembra voler risvegliare le coscienze contro l'ingiustizia, la lentezza grave di "Joey" mi comunica profonda tristezza, un senso dolente di rassegnazione, ma anche di misericordia per "crazy Joey" che il padre non aveva saputo proteggere. Solo i grandi poeti sanno scorgere l'umanità e il dolore dei vinti anche nei contesti più violenti ed ingiusti. Districarsi nell'Universo Dylan non è facile, ma, come ci ricordi tu, Mister, c'è il nostro Carrera che ci dà una mano e che, entro aprile, pubblicherà i migliori saggi su Bob Dylan, mentre attendiamo, per giugno, l'uscita dell'ultima fatica di Murino; Carrera, Murino ed il Mister sono i nostri preziosisssimi mediatori linguistico-culturali con l'inafferrabile, imprevedibile, unico e grande Bob! Alla prossima e lunga vita! Carla.

Ciao Carla,
naturalmente ogni giudizio su qualcuno o qualcosa è sempre ed esclusivamente soggettivo, anche se a volte la soggettività può essere più pesante o più leggera, dipende dal background culturale e nozionistico di colui che esprime il giudizio, ma proprio per questi motivi non possiamo ignorare che ogni opinione o critica è influenzata dalle nozioni di base che unop possiede, quindi non è naturale e non è spontanea, è sempre il frutto di un ragionamente che, anche se potrebbe sembrare il massimo0 della coerenza logica, nasce da ragioni esterne che condizionano il giudizio. Quando chiunque vuole esprimere un parere dettagliato su un qualunque argomento deve per forza assumere una certa quantità di informazioni (a meno che abbia il dono di nascere “imparato) che spingeranno la sua mente in una direzione o nell’altra, quindi frutto di molte esperienze ma sempre espresse da una sola persona, quindi soggettiva.
Sappiamo che aver la sfrontatezza di dire qualcosa su Dylan è sempre alquanto difficile, si rischia sempre di sbagliare o di prendere qualche cantonata. L’unico che potrebbe dire qualcosa di veramente reale su Dylan è proprio Dylan stesso, ma sapendo che fin dalla gioventù era un cacciapalle professionesta diventa lui stesso inaffidabile quando parla o racconta se stesso.
Il Dylan di “Desire” è un Dylan strano, euforico forse perchè dopo il naufragio del suo matrimonio con Sara i due cercano un riavvicinamento per fare un nuovo tentativo. Dylan partirà per una specie di nuova luna di miele ma il tutto swervirà a poco. Al rientro forse Dylan si è già stancato di essere solo il marito di Sara, cominciando quella Rolling Thunder Revue che lo porterà col suo sgangherato carrozzone carico di fenomeni, nani e ballerine, in giro per gli States apparentemente con una Revue che sembra organizzata a casaccio. Dylan, nel suo delirio artistico, produrrà il Film “Renaldo and Clara”, una delle sue opere peggiori e confusionarie. Dylan si è di nuovo circondato da amici e parassito, e soprattutto dalle donne, cosa che Sarà non digerisce facilmente. Così sara si ritrova intorno la Baez, Ronee Blakley , Ruth Tyrangiel, Joni Mitchell, Scarlet Rivera, Emmylou Harris, Joni Mitchell più litigiosa che mai forse a causa dell’astinenza da certe sostanze,(è noto che Joni e David Crosby, per molto tempo amanti ed addicted, passava mesi in compagnia di Croz stando a letto iniettandosi di tutto), e il tutto fece sancire a Sara la definitiva parola stop alla loro storia. Dylan, dopo la RTR era in vena creativa e basterebbero le immense Isis e Sara per fare di Desire uno dei migliori lavori di dylan, ma Bob era trtoppo confuso per essere razionale, si alleerà a Jacques Levy che gli scriverà i testi di Hurricane, Joey, Isis, Mozambique, Oh Sister, Romance in Durango, Black diamond bay, come se Bob avesse avuto un blocco mentale per i testi. Hurricane, uno dei testi più famosi del disco, ebbe la necessità di reincidere alcune strofe con parole diverse che la Columbia pensò di cambiatre per evitare rogne, così la vecchia Hurricane fu mixata con la nuova, e nei cori del ritornello ci sono le voci oin alcune di Emmylou Harrie ed in altre di Ronee Blakley ma è impossibile distinguerle con sicurtezza. Dylan si lascerà convincere a registrare una musica che aveva pronta alla quale Jacques Levi appiopperà le parole di Joey, il temuto gangster mafioso di NYTche Levi aveva avuto occasione di conoscere. Joey è la sesta traccia di Desire. È canzone più lunga dell'album, nonché la più controversa perchè narra la storia del gangster Joseph "Crazy Joe" Gallo (1929-1972) e fu all'origine di molte critiche. Dylan descrive Gallo come un fuorilegge con una morale, sulla falsariga di Pretty Boy Floyd di Woody Guthrie, ma la storia non è così. Nella canzone Gallo si rifiuta di uccidere degli innocenti, mette pace fra i neri e protegge la sua famiglia quando lo uccidono in un ristorante, mentre nella biografia scritta da Goddard (da cui Dylan e Levy prenderanno i dettagli sull'uccisione), Joe Gallo è un killer di professione che picchiava la moglie e abusava dei figli e che partecipò anche allo stupro di un ragazzo in prigione.
Nessuno di questi dettagli è citato nella canzone di Dylan/Levy. Molti critici, tra cui Lester Bangs, hanno ricordato che Gallo era uno spietato mafioso e che la canzone non racconta fedelmente la sua vita. Dylan e Levy scrissero la canzone in una sola notte, dopo una serata passata in casa dell'attore Jerry Orbach, che conosceva personalmente Gallo. Inoltre la figura di Gallo aveva particolarmente colpito Levy, che lo aveva conosciuto. Diversamente da altri fuorilegge la cui vita è stata romantizzata, tipo Jesse James and Billy the Kid, la figura di Gallo, morto appena quattro anni prima, era ancora viva nelle menti delle persone, per questo fu molto criticata sia dal pubblico che dai giornali.
Joseph Gallo, detto Joe (Brooklyn, 7 aprile 1929 – Little Italy, 7 aprile 1972), fu un soldato della mafia statunitense, noto killer di New York, appartenente alla famiglia Profaci, conosciuta in seguito come famiglia Colombo; iniziò come soldato, e poi come capo della fazione ribelle della famiglia. Joe era conosciuto con il soprannome di “Crazy Joe” ovvero Joe il pazzo.
Anche i suoi due fratelli, Albert Gallo detto “Kid blast” e Lawrence Gallo detto “Larry”, citati nella canzone, erano mafiosi appartenenti alla stessa cosca.
Gallo nacque a Red Hook, (Born in Red Hook, Brooklyn, in the year of who knows when) un quartiere di Brooklyn abitato in prevalenza da italoamericani, e si fece un nome negli ambienti mafiosi con la reputazione di ottimo killer ed intimidatore; assieme ai suoi fratelli Albert e Larry (Larry was the oldest, Joey was next to last. They called Joe "Crazy," the baby they called "Kid Blast." ) è sospettato di essere stato uno dei killer del potente boss Albert Anastasia.
Le sue attività più redditizie erano le estorsioni ai commercianti, le scommesse clandestine e il gioco d'azzardo nel territorio di South Brooklyn (Some say they lived off gambling and runnin' numbers too.
It always seemed they got caught between the mob and the men in blue).
Alla fine degli anni cinquanta Joe e i suoi uomini incominciano a ribellarsi e a tramare di nascosto contro il loro boss Joe Profaci e gli altri capi della famiglia, pretendendo maggiori introiti e più potere. Tuttavia Gallo esitò ancora a dichiarare apertamente guerra a Profaci essendo costui molto più potente della sua fazione.
Ma la guerra fredda fra i due gruppi sembra non avere via d'uscita ed il rapporto tra i due peggiorò ulteriormente il 4 novembre 1959 quando Profaci fa uccidere Frank Abbatemarco, soldato e braccio destro di Gallo, responsabile di un lucroso giro di scommesse clandestine e prestiti ad usura, ed ironia della sorte, ad eliminare il loro braccio destro Abbaremarco sono proprio i fratelli Gallo, che, a malincuore, dovettero eliminare la loro spalla per due motivi: perché non potevano disubbidire ad un ordine dei loro capi e perché Don Peppino (Joe Profaci) aveva loro promesso di ricompensarli con altri lavori lucrativi a South Brooklyn.
Nel frattempo il gruppo dei Gallo era diventato sempre più autonomo anche grazie al sostegno che segretamente gli davano Carlo Gambino e Gaetano Lucchese.
La guerra vera e propria scoppia quando John Scimone scompare di lupara bianca, e alcuni giorni dopo anche Joe Gioeli, uno dei migliori killer di Joe Gallo, viene rapito e il suo corpo fatto a pezzi viene ritrovato all'interno di un'automobile parcheggiata di fronte ad una concessionaria di auto di proprietà di un affiliato dei fratelli Gallo a Sheepshead Bay, un quartiere di Brooklyn.
Il 20 agosto 1961 Larry Gallo è invitato al Sahara lounge (un locale di Brooklyn) dagli uomini di Joe Profaci per discutere di un eventuale tregua, ma in realtà è un tranello: appena entrato nel locale Larry e un suo guardaspalle vengono assaliti dai killer guidati da Carmine Persico che cercano di strangolarli, quindi Larry e il suo guardaspalle si salvano per miracolo, perché nello stesso istante entrano nel locale dei poliziotti e così i killer riescono a scappare (There was talk they killed their rivals, but the truth was far from that, No one ever knew for sure where they were really at. When they tried to strangle Larry, Joey almost hit the roof. He went out that night to seek revenge, thinkin' he was bulletproof).
Verso la fine del 1961 Joe Gallo viene arrestato e condannato a dieci anni di prigione dalla procura distrettuale di Brooklyn per estorsione (He did ten years in Attica, reading Nietzsche and Wilhelm Reich. They threw him in the hole one time for tryin' to stop a strike. His closest friends were black men 'cause they seemed to understand. What it's like to be in society with a shackle on your hand. When they let him out in '71 he'd lost a little weight. But he dressed like Jimmy Cagney and I swear he did look great. He tried to find the way back into the life he left behind. To the boss he said, "I have returned and now I want what's mine”). Joe Gallo era un uomo molto scaltro e furbo, durante la sua detenzione avvelenò molti rivali con la stricnina, che metteva nel loro cibo. Durante una violenta rivolta nel carcere di Auburn, salvò la vita ad una guardia carceraria che era rimasta ferita durante gli scontri. In carcere strinse alleanze con alcune bande afroamericane per accaparrarsi lo spaccio di droga ad Harlem,
il 7 aprile 1972, mentre Crazy Joe sta festeggiando il suo 43º compleanno assieme a parenti ed amici all' Umberto Clam House, un ristorante in Mulberry Street nella Little Italy di Manhattan; all'improvviso entrano nel locale alcuni killer che incominciano a sparare, Gallo viene colpito da cinque pallottole, barcolla fino in strada e muore (One day they blew him down in a clam bar in New York. He could see it comin' through the door as he lifted up his fork. He pushed the table over to protect his family. Then he staggered out into the streets of Little Italy..).
Ai suoi funerali le sorelle di Gallo Jacqueline, Carmela e la madre Mary dichiareranno: adesso le strade si riempiranno di sangue. Ed avevano ragione, nelle settimane successive del 1972 saranno uccise 27 persone.

Ora siamo d’accordo che i critici americani sonno meno settoriali dei nostri, che si interessano di cose diverse, ma vedere un “Number One” come Dylan romanzare la storia di Crazy Joe come se facesse il lavoro più naturale del mondo fu troppo anche per gli Americani. Ed anche se la storia era raccontata romanzata nei particolari in modo da far apparire Gallo un gangster con una morale buona, erano i principi insiratori che non funzionavano. Joe Gallo era uno spietato killer senza onore e senza bandiera che aveva eliminato decine e decine di persone, e questo in America è sufficiente per condannare al pubblico lubidrio una persona di simile fratta. Ma Dylan, come al solito, assorbì tutto e si voltò con una scrollata di spalle, sapeva perfettamente che la prima canzone del disco era “Hurricane”, e Rubin Carter era innocente, accusato ingiustamente di triplice omicidio e condannato a tre ergastoli grazie alla falsa testimonianza di due balordi bianchi rispondenti al nome di Alfred Bello e Arthur Dexter Bradley e dalla testimonianza a spanne della signorina Patty Valentine.
Il 17 giugno 1966, alle 2:30 del mattino circa, due uomini di colore entrarono nel "Lafayette Bar and Grill" a Paterson, New Jersey, e aprirono il fuoco. Due uomini, Fred "Cedar Grove Bob" Nauyoks e il barista Jim Oliver, vennero uccisi sul colpo. Una donna, Hazel Tanis, morì circa un mese dopo: aveva la gola, lo stomaco, l'intestino, la milza, il polmone sinistro e un braccio perforati dai proiettili. Una quarta persona, Willie Marins, sopravvisse all'attacco, ma perse la vista a un occhio.
Un noto criminale, Alfred Bello, che si aggirava nei pressi del Lafayette per commettere un crimine quella stessa notte, vide la scena. Bello fu una delle prime persone presenti nella scena del crimine e chiamò un operatore telefonico per avvertire la polizia. Una residente al secondo piano del Lafayette, Patricia Graham, vide due uomini di colore salire in una macchina bianca e partire verso ovest, lontano dal bar. Un'altra persona, Ronald Ruggiero, sentì gli spari, e affacciatosi dalla finestra vide Bello correre per Lafayette Street. Sentì anche lo stridere degli pneumatici e vide una macchina bianca sfrecciare verso ovest, con due uomini di colore sui sedili anteriori. La macchina di Carter coincideva con quella vista dai testimoni; la polizia fermò Carter e un altro uomo, John Artis, e li portò al Lafayette circa trenta minuti dopo la sparatoria. Nessuno dei testimoni riconobbe in Carter o Artis uno dei criminali, nemmeno Marins quando la polizia li portò all'ospedale per farli identificare dall'uomo ferito.
Comunque, nella macchina di Carter la polizia trovò una pistola calibro 32 e dei proiettili per fucile calibro 12 - lo stesso calibro usato dagli assassini. Carter e Artis furono interrogati in commissariato. Nel pomeriggio, entrambi vennero sottoposti al test del poligrafo. L'esaminatore John J. McGuire trasse le seguenti conclusioni: "Dopo un'attenta analisi dei risultati dati dal poligrafo, è opinione dell'esaminatore che i soggetti stavano mentendo alle domande. Ed erano coinvolti nel crimine. I soggetti negano qualsiasi connessione col crimine". Il poligrafo non era comunque giudicato attendibile, e quindi era inammissibile come prova. Carter e Artis furono rilasciati il giorno stesso.
Bello rivelò alla polizia che quella sera c'era un altro uomo con lui, tale Arthur Dexter Bradley. Dopo un ulteriore interrogatorio, Bello e Bradley identificarono Carter come uno dei due uomini di colore armati che avevano visto fuori dal bar la notte degli omicidi; Bello identificò anche Artis come l'altro uomo armato. Basandosi su questa ulteriore prova, Carter e Artis vennero arrestati e incriminati. Questo, più la prova dell'identificazione della macchina di Carter fornita da Patricia Valentine e le munizioni trovate nella macchina di Carter convinsero la giuria (composta da 12 persone bianche) che Carter e Artis erano gli assassini. Entrambi gli uomini vennero incriminati e condannati alla prigione a vita.
Cvi vollero due processi ed il ricorso alla Corte Federale. Nel 1985, il giudice della Corte Federale Haddon Lee Sarokin sentenziò che Carter e Artis non avevano avuto un processo equo, affermando che l'accusa era "basata su motivazioni razziali", ordinando la scarcerazione immediata di Carter ed Artis.
Dal 1988 Carter visse in una fattoria poco fuori Toronto in Ontario, ricoprendo la carica di direttore esecutivo dell'Associazione per la Difesa dei Condannati per Errore (ADWC) dal 1993 al 2005, lavorando inoltre come motivatore.
Il 14 ottobre 2005 ricevette una laurea Honoris Causa in Legge dall'Università di New York, da quella di Toronto e anche dalla Griffith University di Brisbane, grazie al suo lavoro per l'ADWC.

Con Carter Dylan sapeva di avere in mano la carta vincente e quindi con le parole di Levi scrisse una canzone che picchiava duro, diceva pane al pane e vino al vino con tanto di nomi e cognomi. Furono fatti concerti a favore di Carter, un film con Denzel Washington su quella ingiusta storia, e Dylan, giustamente, ne trasse la sua meritata fetta di gloria e di giustizia sociale. Alla prossima, Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10339 - duluth49

Volevo dirvi che mi farebbe un enorme piacere , dopo aver ascoltato il dvd in oggetto se qualche anima buona, facesse ascoltare e vedere la song ABRAHAM MARTIN AND JOHN , in duetto con CLYDIE KING, per me e' una grande CHICCA. Un saluto a tutti gli amici della fattoria ed in particolare a Mr.Tamburino, Grazie Marcello.

Eccoti accontentato! Ho aggiunto qualche riga di informazione sulla canzone. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

Dion DiMUcci, il miracolato del “giorno in cui la musica morì”

La canzone Abraham, Martin And John fu portata al successo da Dion DiMucci che fu uno dei più apprezzati cantanti rock and roll attivi in America nel periodo precedente l'avvento della British invasion. I suoi maggiori successi li ottenne nel 1961 con i due singoli Runaround Sue e The Wanderer.
Dion DiMucci era accompagnato dal gruppo vocale dei Belmonts, amici di lunga data. Il brano I Wonder Why uscito a nome Dion and the Belmonts del 1958 ottenne un discreto successo nel Regno Unito (22º posto). La fama del gruppo crebbe tanto da permettere loro di partire nel tour invernale con Buddy Holly, Ritchie Valens e The Big Bopper. Il 2 febbraio 1959 avrebbero dovuto partire con un aereo per un concerto nello Iowa, ma a causa delle ristrettezze economiche proseguirono in autobus. In quel giorno l'aereo ebbe un incidente e gli tutti gli artisti presenti perirono.
Nel 1968, carico di un forte sentimento religioso e pulito dalla tossicodipendenza, Dion firmò con la Laurie che lo aveva portato al successo anni prima. Gli fu quasi imposto di cantare il brano Abraham, Martin and John scritto da Dick Holler in ricordo di Lincoln, Martin Luther King e John e Bob Kennedy. Il brano, ripreso in seguito da molti artisti tra cui Marvin Gaye, fu un notevole successo raggiungendo il quarto posto in classifica ed ottenendo il disco d'oro.
Dion divenne cristiano rinato (come Bob Dylan) e pubblicò molti album ispirato dalla svolta religiosa, nel 1984 fu nominato al Grammy Award per miglior performance Gospel per l'album I Put Away My Idols.
Nel 2002 fu indotto nella Rock and Roll Hall of Fame per il brano Runaround Sue. Nel 1988 pubblicò la sua autobiografia The Wanderer: Dion's Story scritta assieme a Davin Seay. Nel 2007 ottenne altre 2 nomination per il Grammy Award.

Il brano Abraham, Martin And John è dedicato ad Abramo Lincoln, Martin Luther King e John e Bob Kennedy.

  

Abraham, Martin And John
WRITTEN BY: DICK HOLLER

Performed by Bob Dylan during the 1980 and 1981 gospel tours, in duet with Clydie King.

Anybody here seen my old friend Abraham?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Abramo?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).

Anybody here seen my old friend John?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico John?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).

Anybody here seen my old friend Martin?
Can you tell me where he's gone?
He freed a lot of people,
But the good die young,
Know I just turned around and he's gone.
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Martin?
Puoi dirmi dove è andato?
Ha liberato un sacco di gente,
Ma il buono muore giovane,
So che mi sono appena voltato e se n'è andato).

Didn't you love the things that they stood for?
Didn't they try to find some good for you and me?
we'll be free, someday
I know, be one day.
(
Non amavi le cose che rappresentavano?
Non hanno provato a trovare qualcosa di buono per te e me?
saremo liberi, un giorno o l'altro
Lo so, un giorno).

Anybody here seen my old friend Bobby?
Can you tell me where he's gone?
But I see ‘em walkin'
Up over the hill
Abraham and Martin and John
(Qualcuno qui ha visto il mio vecchio amico Bobby?
Puoi dirmi dove è andato?
Ma li vedo camminare
Su per la collina
Abraham e Martin e John)

 

 
Mercoledì 10 Gennaio 2018

Talkin' 10338 - gebianchi

Caro Tambourine,
mi permetto di dissentire totalmente sulla valutazione relativa alla santificazione di Alce Nero. Credo che Bergoglio non sia così ingenuo dal voler proporre un processo del genere col solo scopo di annoverare il grande capo indiano tra i martiri della spiritualità cattolica, quasi una captatio benevolentiae di dubbio gusto e teologicamente scorretta. Credo invece che l'operazione, fortemente mediatica, si inserisca in quel processo di avvicinamento da parte del pontificato di Bergoglio alla comprensione dei meriti ascrivibili anche alla laicità e confermi il rispetto che questo Papa dimostra voler ribadire anche per figure che nulla hanno a che vedere con la cristianità, apertura impensabile solo fino a pochi anni fa. Mi pare un errore non voler cogliere questi segnali che, contrariamente a quanto sostenuto da Eglemore, non ritengo preludano ad una canonizzazione di Alce Nero con abito da francescano e aureola da mistico medievale. Del resto, lo sterminio pianificato degli indiani d'America è un dato ormai acquisito anche da parte di tutta la storiografia più becera e reazionaria. Hollywood se ne era accorta da tempo; non ho memoria di film anti-pellerossa e filo-nordamericani....negli ultimi quarant'anni. Peccato però che, anche se ideologicamente vergognosi, i più bei film dell'epopea western, risalgano tutti a un epoca in cui gli indiani erano considerati nemici da abbattere. Da John Ford ad Antonhy Mann. Il Piccolo Grande Uomo peraltro, lungi dall'essere il miglior film sull'argomento, pone in scena una rappresentazione bozzettistica della realtà con lo scopo di mettere in luce una tesi fin troppo ovvia ed esplicita, perdendosi in una ricostruzione cinematografica piuttosto cabarettistica. Altra è la forza di Soldato Blu, film certamente di notevole spessore drammatico e di spietata denuncia. Ad ogni buon conto, lo dico da laico, nello sterminio degli indiani, il cattolicesimo (semmai il protentastesimo), non c'entra nulla. Quella di Pizarro e dei conquistadores peraltro...è un'altra faccenda.

Caro Giuseppe, grazie per aver espresso la tua opinione su questo interessante argomento anche se sei, diciamo in contrasto, con quella espressa da Sir Eglamore. Il tuo modo di affrontare la questione della beatificazione di Alce Nero espressa attraverso una visione Bergogliana non fa una piega. Una cosa è certa, questo Papa è una persona che, partita in sordina, ha cominciato a mettere in discussione molti modi di agire del clero di Roma suscitando un coro di consensi e di proteste. Io non voglio, e non sono in grado, di entrare nel merito teologico della questione di come la Chiesa dovrebbe oggi porsi nei rapporti con fedeli e non. Certamente è un Papa che non suscita indifferenza, il suo modo quasi guascone, in senso positivo, di lasciare da parte certe procedurea vaticane è balzato subito agli occhi, il girare per Roma con una utilitaria anonima, portare i suoi abituali scarponcelli ortopedici al posto delle costosissime scarpette rosse di Prada, esporsi al pericolo di facili contatti con malintenzionati, l’uso dei moderni media come Facebook, son tutte cose che contrastano con quello che dovrebbe essere il modo di agire classico del Papa, così come noi comuni fedeli siamo abituati a vederlo da anni ed annorum, con l’eccezione del Papa buono Roncalli nella sua immensa semplicità. Certo Ratzinger rappresenta un tipo di Papa al passo con le regole millenarie della Chiesa Cattolica, ma personalmente credo che la gente semplice e comune apprezzi di più i Papi umili come Roncalli e Bergoglio. Ti dirò che sono rimasto stupito qualche tempo fa quando il prete che venne a benedire casa mia si dichiarò in contrasto con quanto stava facendo Bergoglio. Rimasi sconcertato alla sua dischiarazione e gli dissi: “Mi scusi Reverendo, ma lei come si permette di discutere le decisioni o l’agire del Papa, persona della quale lei dovrebbe seguire senza discutere le direttive? A meno che vogliamo fare una Chiesa Cattolica nella quale ogni prete predichi quello che piace a lui la regola sarebbe di seguire la linea del Papa”. Rimasi davvero incollerito e congedai il Reverendo senza tanti salamelecchi.
Detto questo, credo che Eglamore, pur nella sua diversa interpretazione dell’annuncio Vaticano della probabile beatificazione dello “stregone pellerossa”, volesse dire che non trova giusto mescolare il sacro con il profano, questa sincrasi fra religione pagana (pur con tutta la spiritualità di Nicholas Black Elk) e religione cattolica, come dice lui, sono sempre esistite, però sono esistiti anche millenari veti per il riconoscimento di Israele da parte della Stato del Vaticano.
Pio X, disse nel 1904 a Theodor Herzl, "Dal momento che il popolo ebraico non ha riconosciuto Nostro Signore, noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico". Pio XII Pacelli, pur sapendo delle deportazioni degli ebrei nei lager nazisti non disse una parola sulla questione. Finalmente, il 30 dicembre 1993, 45 anni dopo il 14 maggio 1948, anno in cui Ben Gurion dichiarò l'indipendenza di Israele, il Vaticano si unì al resto del mondo occidentale, riconoscendo formalmente l'esistenza dello Stato ebraico.
Come possiamo constatare, ognuno ha le sue diverse ragioni per fare o non fare, per dire o non dire, e la Chiesa Cattolica, in un mondo nel quale l’ignoranza può essere considerata debellata, ha il dovere di mettersi al pari con i tempi, l’oscurantismo medioevale e cosa finita da centinaia d’anni, certi tipi di Papi non funzionano più così bene come una volta, oggi ha successo e attira masse e fedeli un Papa “above the lines” come Papa Francesco.
Certamente le cose fuori dalla norma suscitano sempre effetti differenti, a volte mitigati ed a volte esasperati, e la notizia della beatificazione di un pellerossa ha lasciato dubbiosa molta gente. Non credo che sia una mossa tattica per avvantaggiarsi di qualcosa, di cosa poi?....Non saprei dire qualche tornaconto potrebbe avere la Chiesa a fare Santo uno “sciamano” pellerossa con in una mano il tomahawak e nell’altra il calumet della pace sull’immaginetta. Scherzi a parte, riconoscere i meriti di qualcuno è una virtù e non un difetto! Anch’io come te, al contrario di Sir Eglamore, non credo che questa sintesi fra sciamanesimo e cristianità sia stato da parte di Black Elk solo un ultimo disperato tentativo di sopravvivenza, non credo che i missionari cristiani fossero così stupidi da farsi prendere per il culo da uno stregone pellerossa, credo invece che l’avvicinamento alla religione cattolica di Black Elk fosse reale e sentito e quindi non mi darebbe nessun fastidio vederlo canonizzato invece che steso fra i morti di Wounded Knee.

Hollywood ha sempre trattato la questione indiana come gli faceva comodo, l’indiano barbaro, crudele, stupido e sanguinario che uccideva il bianco, frugava nella sella, mangiava il sapone e si spaventava terrorizzato quando si vedeva riflesso nello specchietto per fare la barba. D’altronde la questione razziale negli Stati Uniti non è proprio come da noi, nativi e neri se la passano veramente male ancora oggi. Gli indiani furono genocidizzati scientificamente con spaventosa freddezza e con ogni mezzo, dai fucili, ai cannoni, alle mitragliatrici e per ultimo l’orribile metodo delle coperte infettate col virus del vaiolo.
Per genocidio dei nativi americani, detto anche genocidio indiano, olocausto americano (in inglese Indian Holocaust, American Holocaust) o catastrofe demografica dei nativi americani alcuni storici e divulgatori intendono il calo demografico e lo sterminio dei nativi americani (detti anche indiani d'America nel nord America). Si ritiene che tra i 50 e i 100 milioni di nativi morirono a causa dei colonizzatori, come conseguenza di guerre di conquista, perdita del loro ambiente, sterminio di 60.000.000 di bisonti, forzato cambio dello stile di vita e soprattutto malattie contro cui i popoli nativi non avevano difese immunitarie, mentre molti furono oggetto di deliberato sterminio poiché considerati barbari. Secondo Thorton, solo nel nord America morirono 18 milioni di persone. Per altri autori la cifra supera i 100 milioni, fino ad arrivare a 114 milioni di morti in 500 anni.
Il gruppetto di Geronimo, circa trenta persone tra guerrieri, donne e bambini, divennero l'ultimo grande obbiettivo dell’esercito statunitense per chiudere per sempre la questione indiana. Questa lotta giunse a termine il 4 settembre 1886, quando Geronimo si arrese al generale Nelson Miles che lo stava inseguendo per tutta l’Arizona con 5000 cavalleggeri dell'esercito statunitense, a Skeleton Canyon, Arizona.
La cinematografia americana ha trattato e ritrattato con centinaia di films la questione indiana, sempre considerando gli indiani “quelli da eliminare con qualunque metodo”. Certamente "Little Big Man” è una rappresentazione cabarettistica della vita del Far West, ma non manca di momenti di sincerità, anche se raccontati con esagerata enfasi. Almeno ha il pregio di far fare la figura dell’idiota a Custer come si meritava! Soldato blu non fu accolto a braccia aperte ad Hollywood, il film ispirato al massacro di Wounded Knee, che avvenne dopo la notizia dell’uccisione di Toro Seduto che era tornato riserva Indiana di Standing Rock nel Dakota del Sud. Temendo che progettasse di fuggire dalla Riserva assieme ai praticanti della Danza degli spiriti, le autorità dell'Agenzia Indiana decisero di arrestarlo con alcuni suoi uomini. Durante lo scontro tra i pellerossa e la Polizia locale, generato dal tentativo di portare via il capo indiano all'alba del 15 dicembre 1890, Toro Seduto e suo figlio Piede di Corvo vennero assassinati a colpi di pistola da alcuni componenti del comando incaricato della cattura. La notizia si diffuse nelle grandi pianure con la velocità del lampo ed arrivò anche, com’era logico, fino alla banda dei Sioux Minneconjou di Piede Grosso (Si Tanka, 1825-1890), portata da alcuni Hunkpapa della banda di Toro Seduto in fuga dai soldati.
Appena il capo apprese la notizia, Piede Grosso sentì l’mminenza del pericolo e preferì decidere lo smantellamento del campo e la partenza della sua gente verso Pine Ridge, nella speranza di potersi mettere sotto la protezione di Nuvola Rossa.
Se qualcuno vuole approfondire la storia del massacro può cliccare sul link sotto:
http://www.farwest.it/?p=252

Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10337 - gabriele.bassi

Buongiorno e innanzitutto grazie dello splendido lavoro che fate su Bob Dylan.
Sapete darmi informazioni riguardo alle releases non ufficiali? Ci sono siti di riferimento, elenchi, valutazioni? Dove acquistare?
Grazie e saluti, Gabriele.

Qui sotto trovi un elenco di link che soddisfano le tue richieste:

https://www.discogs.com/it/label/151583-Not-On-Label-Bob-Dylan?page=1

http://www.searchingforagem.com/Misc/Questionable2.htm

http://freelib.org/dylan/freelib.html

http://bootlegpedia.com/en/artist/Bob-Dylan

Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Martedì 9 Gennaio 2018

Talkin' 10336 - giorgiobellone1

CERCO BIGLIETTO X CONCERTO DI ROMA

Salve,
vi faccio una richiesta...se per caso avete notizia di qualcuno che debba vendere il proprio biglietto x il concerto di Bob a Roma, me lo fareste sapere? Ne sto cercando disperatamente 1 per qualsiasi data e qualsiasi posizione. Grazie.

Appello pubblicato, spero tu riesca a risolvere!!! Ho postato l'annuncio anche in "vetrina", Fammi sapere quando l'hai trovato. Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

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Talkin' 10335 - paulclayton

Caro Tamburino,
è tristissimo apprendere che un gigante della spiritualità pagana come Alce Nero possa venire imbustato e infiocchettato come Padre Pio. Anzi i Padri Pii: https://www.youtube.com/watch?v=s3bVJMQrGzI
Le sincresi religiose esistono da sempre, ma una pagliacciata come questa solo un Papa-Facebook come Bergoglio può partorirla. Povero Alce Nero, poveri pellerossa: massacrati, rinchiusi, deindianizzati e ora pure presi per i fondelli. Io, se fossi Alce Nero, dal profondo della tomba, libero dalla nebbia della vecchiaia, in un ultimo sovrumano sforzo, risponderei con un grande roboante scoreggione.
E povera religione Cattolica: invece del rito latino avremo la statua del santo pennuto, con i mocassini e una croce in mano. Il minestrone globale è a un passo.
Detto questo vorrei precisare che l’immagine del guerriero col gilet bianco di perline e il bracciale di ottone sopra la camicia non ritrae lo sciamano Black Elk.

  

Incompatibile il tratto somatico e il fiero atteggiamento da capo guerriero. Cercando sul web si trova quest’altra immagine:

   Si tratta del capo Left Hand Bear, foto scattata nel 1899 (quando tutto era ormai finito). Stessa sessione fotografica, abbigliamento pressoché identico, ma soggetto diverso. Il nome del “guerriero” che tutti i giornali spacciano per Black Elk è invece: Eddie Plenty Holes ( http://www.loc.gov/pictures/item/92509997/ ).

Una foto autentica di Alce Nero ancora giovane, scattata pochi anni prima del massacro di Wounded Knee è questa:

“Non sapevo in quel momento che era la fine di tante cose. Quando guardo indietro, adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo le donne e i bambini massacrati, ammucchiati e sparsi lungo quel burrone a zig-zag, chiaramente come li vidi coi miei occhi da giovane. E posso vedere che con loro morì un'altra cosa, lassù, sulla neve insanguinata, e rimase sepolta sotto la tormenta. Lassù morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno... il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l'albero sacro è morto.” Questo è Alce Nero.

     

Gli Indiani hanno cessato di esistere nel 1890, quello che è successo dopo è del tutto ininfluente. Ammesso e soprattutto non concesso che Alce Nero si sia realmente convertito al Cattolicesimo (“In famiglia girano storie che i missionari cercavano di battezzarlo e lui correva a nascondersi sotto il letto”, ha raccontato la bisnipote Charlotte), possiamo ben immaginare che quella ridicola sintesi fra sciamanesimo e cristianità fosse solo un ultimo disperato tentativo di sopravvivenza. Onoriamone perlomeno la memoria.

Con ossequio, Sir Eglamore

PS: Per chi volesse documentarsi: l’unico film bello sugli Indiani è “Piccolo Grande Uomo”; la ricostruzione storica del genocidio narrata in “Seppelite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown basta e avanza per farsi un’idea di cosa è successo; e soprattutto, per capire chi fossero realmente gli Indiani delle Pianure, la lettura più affascinante è quella delle tre bellissime autobiografie (o meglio trascrizioni di memorie) di: Alce Nero (Sioux), Molti Trofei (Crow) e Gambe di Legno (Cheyenne).


Ciao Sir Eglamore, lieto di risentirti come sempre preciso e dettagliato. Devo ammettere che le tue osserv
azioni sono esatte, la seconda foto da me postata non è quella di Black Elk ma, come hai detto tu, quella di Eddie Plenty Holes.

Invece la foto sotto è quella di Left Hand Bear, e come si può vedere dalle due foto il viso è identico, quindi dubbio tolto ed errore corretto!

        Left Hand Bear

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Left_Hand_Bear,_Oglala_Sioux_chief,_by_Heyn_Photo,_1899.jpg

Ecco la reale foto di Alce Nero che si trova nel sito U.S. History  http://www.u-s-history.com/pages/h3734.html

   

Il sito Indian Country Today riporta la storia di  Alce Nero:    https://indiancountrymedianetwork.com/history/events/black-elk-wiha-wak-of-the-oglala-lakota-a-life-in-photos/

Nicholas Black Elk - National Chatolich Register http://www.ncregister.com/daily-news/cause-opens-for-nicholas-black-elk-holy-man-of-the-lakota 

 

 

 

 

Nicholas Black Elk uses the Two Roads catechism to teach
some children about the Catholic faith. Below, Black Elk, holding
the rosary, with his daughter Lucy Looks Twice.
(Courtesy St. Francis Mission and Marquette University)

 

 

 

 

Questo sito spiega la profezia di Black Elk:   http://spiritdaily.org/blog/commentary/11489

 la misera tomba di Nicholas Black Elk

Concordo anche che "Piccolo Grande Uomo" sia forse un bellissimo film in difesa degli indiani, ma non dimentichiamo altri capolavoro come Soldato Blu (isperato al massacro del Fiume Sand Creek) e "Balla coi Lupi". Seppellite il mio cuore a Wounded Knee è un libro cult che tutti dovrebbero leggere, ma forse prima bisognerebbe documentarsi sulle differenze razzioli in America, terribili persecuzioni che generarono un vero olocausto di nativi. Sotto ho postato la scena madre tra Custer ed il mulattiere Little Big Man con la traduzione:

   

Custer: Allora. Che mi rispondi mulattiere?
LBM: Generale.........andate laggiù!
Custer: Il tuo consiglio è che mi inoltri nella valle?
LBM: Sissignore.
Custer: Secondo te non ci sono indiani laggiù immagino.
LBM: Non ho detto questo...ci sono migliaia di indiani là in fondo....e quando vi avranno liquidato non ci resterà che una macchia di grasso per terra....questo non è il fiume Washita Generale,.....e ad aspettarvi non ci sono donne e bambini indifesi, ma guerrieri Cheyenne e Sioux......andate laggiù se avete coraggio!
Custer: Insisti a cercare di fare il furbo con me, vero mulattiere? Eh Eh,Vorresti indurmi in errore facendomi pensare che non vuoi che vada laggiù ma la verità inconfessata è che tu non vuoi davvero che io vada laggiù, contro i tuoi amici, Hi hi hi hi hi hi hi! Ecco ora siete più tranquillo maggiore?

Sono riuscito a vedere nella mia vita cose che mai avrei creduto possibili, il campo di Birkenau ad Auschwitz che ti fa accapponare la pelle, migliaia di tedeschi dell'est uccisi dai VOPO russi perchè tentavano di saltare il Muro di Berlino, La guerra nel Vietnam, la caduta del Muro, altre guerre e porcherie allegate, un mulatto diventato presidente degli Stati Uniti, ma son certo di non esserci più quando un nativo americano siederà nella sala ovale della White House come Presidente USA! Pazienza, ci avrei tenuto.......Alla prossima, Live long and prosper, Mr.Tambourine, :o)

 

 
Lunedì 8 Gennaio 2018

L'Angelo di Malibù

Stavo scorrendo il testo di “License to Kill” quando ho letto questa strofa:
Now, there's a woman on my block,
She just sit there as the night grows still.
She say who gonna take away his license to kill?
(Ora c'è una donna nel mio isolato
Lei semplicemente siede lì mentre la notte passa
Chiedendosi chi gli porterà mai via la sua licenza di uccidere?)


Naturalmente la curiosità si è subito accesa, per due motivi, il primo era chi poteva essere quella donna, il secondo è che la parole di Dylan dicono "his licence to kill" quindi la donna sta pensando chi potrà togliere la licenza di uccidere all'uomo genericamente indicato nella canzone come quello che ha potere di vita e di morte, ma, forse, Dylan stava pensando ad un politico ben preciso di cui non dice il nome.

Il riferimento che ha ispirato la canzone potrebbe essere:
21 settembre 1980: aerei iraniani bombardano Bagdad: ha inizio la guerra tra Iran e Iraq che durerà fino al 1988 causando un milione e mezzo di morti.

7 giugno1981: l'aviazione israeliana dà il via all'operazione Babilonia in cui distrugge, in un raid aereo, il reattore nucleare iracheno di Osirak.

Il massacro di Ḥamā, una feroce azione repressiva scatenata dal Presidente siriano Hafiz al-Asad contro gli insorti della città di Ḥamā nel febbraio 1982. Il numero dei caduti fu stato stimato tra i 35 000 e i 45 000.

2 aprile 1982 – Falkland: l'esercito argentino occupa le isole.

6 giugno 1982 - Le forze armate israeliane invadono il Libano meridionale. Beirut diventa teatro di regolamenti di conti casa per casa.

23 marzo 1983 Ronald Reagan annuncia la creazione dello "scudo spaziale".

1º settembre 1983 – L’ Unione Sovietica abbatte sull'isola di Sachalin un aereo sudcoreano che sorvola per errore il territorio sovietico: muoiono 269 persone.

Il 26 settembre 1983 - Stanislav Evgrafovič Petrov tenente colonnello dell'Armata Rossa durante la guerra fredda rileva un allarme missilistico contro la Russia. I Lui ritenne essere un falso segnale e prese la difficile decisione di non rispondere secondo i regolamenti preposti, evitando così il più che probabile scoppio di un conflitto nucleare mondiale.

"Infidels", l'album nel quale è presente License ti Kill esce il 27 Ottobre 1983, quindi alcuni dei motivi elencati sopra potrebbero aver spinto Dylan a crivere qualcosa in quella direzione.

Ho cominciato subito le mie ricerche e mi sono imbattuto in questo articolo del 19 giugno 1990 che parlava e svelava chi era la donna menzionata nella canzone di Dylan. Ecco l’articolo:

L'angelo di Malibu
Uno dei miei migliori amici è sempre stato in preda alla rabbia per 32 anni, compresi i fine settimana. Ha cominciato con quello che lui riteneva essere il tono razzista di “Frito Bandito”, uno stereotipo personaggio messicano dei cartoni animati che pubblicizzava le patatine di mais. La sua rabbia non si è mai placata. Tutto lo faceva infuriare, e lui a sua volta faceva infuriare me, a causa del suo vizio di telefonarmi sempre dopo la mezzanotte prima che si svegliasse il gufo maculato del nord della California. Quando gli ho detto che ero stanco di sentire le sue lamentele alle 3 del mattino, ha preso a chiamarmi solo per comunicarmi buone notizie per quanto riguarda le cause a cui è legato. Ora sono stufo della sua gioia come ero stufo della sua rabbia. "Cosa ha fatto ora?" chiede mia moglie assonnata quando il telefono squilla, "Alleva un pulcino di condor in cattività?". Uno di questi giorni lo troveranno inchiodato ad una croce sulla spiaggia di Venice o imbrigliato sul dorso di un capodoglio nel tramonto nebbioso, ma io non ne ho saputo più nulla. Ho parlato di lui oggi come via di introduzione di una donna che, pur non così maniacale come il mio amico, anche lei è nata per fomentare.

Il suo nome è Valerie Sklarevsky e vive in un vecchio caravan di zingari a Malibu con un cane di nome Dancer. La polizia la conosce con il nickname di “Angel”.

  Valerie Sklarevsky

Lei è diventata famosa quando Bobby Dylan l’ha suo inclusa in uno dei suoi brani, "License to kill".
Dice la strofa: “There's a woman on my block, sitting in the chill,/ Saying, 'Who's gonna take away his license to kill?' "
"C'è una donna nel mio quartiere, seduta al gelo, / va dicendo: "Chi gli porterà via la licenza di uccidere?".
Questa è Valerie.
Probabilmente l’avrete veduta al telegiornale mentre la portavano via in manette o mentre veniva trascinata giù per le scale di un edificio federale gridando: "Smettete di uccidere donne e bambini!"
Lei è stata arrestata 30 volte negli ultimi dieci anni, 10 volte solo quest'anno, soprattutto per le proteste contro la politica degli Stati Uniti in America Latina. Protestare è più o meno il suo lavoro a tempo pieno.
Ho preso coscienza di Valerie il mese scorso, quando si è imbrattata di una sostanza rossa e si è inginocchiata a pregare per i sei gesuiti e le due donne assassinate lo scorso anno a El Salvador.
Ciò che mi colpì fu il fatto che la sostanza rossa con la quale si era sporcata era il suo sangue.
Fino ad allora, avevo ipotizzato che i dimostranti usassero un qualcosa sostitutivo del sangue, composto forse da un'acqua minerale colorata con tintura vegetale e leggermente ispessita con amido di mais per dargli sostanza per impressiojnare la gente.
Ma con Valerie non è così, non solo usa il suo stesso sangue, ma a volte ha un'infermiera chele preleva abbastanza sangue da donare ad altri.

(Fonte: http://articles.latimes.com/1990-06-19/local/me-5_1_angel-of-malibu)


Poi ho continuato nelle ricerche e mi sono imbattuto in questa intervista di Valerie fatta dal Malibu Times:

The Locals: Valerie Sklarevsky, Ribelle con una causa
(Di Catalina Wrye / Special to The Malibu Times ,30 nov. 2011)

L'attivista politica e ambientalista Valerie Sklarevsky vive a Malibu da oltre 40 anni. Originaria di Baltimora, nel Maryland, Valerie si è dedicata a cause che vanno dalle preoccupazioni ambientali locali fino a questioni internazionali che l'hanno portata in tutto il mondo. È stata arrestata, incarcerata e trascinata per le strade, ma il suo impegno per la giustizia sociale e politica non ha mai vacillato. Il Malibu Times ha intervistato Valerie a casa sua.

Quando ti sei trasferita a Malibu?
Mi sono trasferita a Malibu nel 1980 per scappare dall'incidente della cenmtrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania. Pensavo che Malibu fosse il posto più bello che avessi mai visto. Ci credo ancora.

Sei sempre stata una attivista ambientale e politica?
Non fino all'incidente dell’isola di di Three Mile. Quello stesso giorno sono stata picchiata violentemente dal mio capo al lavoro e sono tornata a casa e ho digiunato per 34 giorni, bevendo solo in acqua. Ho avuto un'illuminazione e ho pensato: perché c'è così tanta violenza contro le donne? E perché c'è così tanta violenza contro l'ambiente? Queste domande mi hanno fatto cambiare il modo di pensare.

Quale causa è più importante per te?
Penso l’ opposizione alla guerra perché non solo fa soffrire tante persone, ma anche l'ambiente soffre, e soffre per molte generazioni.

Sei mai stato arrestata?
Sono stato arrestata 53 volte. Il mio primo arresto fu al Pentagono a Washington. Il Pentagono è un’area di cinque acri piena di uomini che pianificano la guerra in tutto il mondo. Un'altra volta ero nell'ufficio di Frank Gehry. L'avevo incontrato molti anni fa e stava per mettere su il suo nuovo ufficio in una zona umida sulla strada per l'aeroporto. Sono andata nel suo ufficio e mi sono incatenata alla porta e, mentre la gente andava al lavoro, ho detto loro di andare a casa e prendersi il giorno libero. Han chiamato la polizia per tagliare le catene e mi hanno portata in prigione. Frank Gehry ha cercato di salvarmi, ma io non ho accettato, e quando sono arrivata in tribunale il giudice ha lasciato cadere le accuse.

Qual è l'atto più oltraggioso della disobbedienza civile a cui hai mai partecipato?
Il mio arresto più scandaloso è stato alla partita di football Army-Navy che si è tenuta al Rose Bowl di Pasadena nel 1983 con 81.000 spettatori. Mentre la palla era in movimento, attraversai i pali della porta, fuori sul campo di gioco, raggiunsi la linea delle 22 yard, mi inginocchiai e tenni il mio cartello: "No War-Tu non ucciderai." Tre uomini mi portarono via e mi ha rinchiusero in prigione. Negli Stati Uniti adoriamo il foor-ball, adoriamo la guerra, e tu devi essere in opposizione a qualcosa, devi essere una voce. Ho sempre partecipato ad azioni non violente e quindi sono sempre stata in grado di accettare i colpi o accettare la responsabilità. Non ho mai fatto del male a nessun altro. Sono stata trascinata per le orecchie dalla polizia per alcuni metri! E per essere in grado di non reagire, quando pratichi la non violenza, devi davvero concentrarti e pregare.

Hai senso dell'umorismo per le tue cause?
Qualunque cosa io faccia, specialmente quando è qualcosa di veramente serio, mi diverto. Mentre stavo protestando contro l’esagerata espansione, mi sono vestita di bianco e sono scesa sul luogo e sono strisciata sotto la recinzione, sono andato a sedermi su un bulldozer con un cartello che diceva “Morte ambientale”. La polizia era fuori chiedendosi come ero entrata! Per me, mi sentivo come se fossi stata fatta entrare dal Divino.

Come stai attiva nella comunità?
Parlo nella mia mente e ho un'opinione che ritengo sia diversa da chiunque altro nella comunità e spero che ciò possa far pensare la gente. Mi sento davvero benedetta. Uno dei miei motti è "Vivi semplicemente così gli altri possono semplicemente vivere". Se viviamo semplicemente, possiamo avere il tempo di fare cose significative.

Cosa ami di più di Malibu? Cosa ti turba di più di Malibu?
Quello che amo di più di Malibu è la sua bellezza naturale. Ciò che disturba è l'uso dei pesticidi nei nostri parchi e l'inquinamento giù alla Laguna di Malibu. Dal punto di vista politico, ero davvero sconvolta dal fatto che l'edificio delle arti e dello spettacolo fosse stato comprerato dalla città; avevamo un'opportunità meravigliosa per avere spettacoli e concerti. Hanno speso un sacco di soldi per ristrutturarlo e cambiargli destinazione d’uso, e questo per me è riguarda esclusivamente l’ego di certi amministratori pubblici. Viviamo in questo posto meraviglioso e siamo molto rispettosi l'uno dell'altro, nutriamo ego e orgoglio l'uno per l'altro e non siamo realmente in contatto con ciò che sta succedendo nel mondo.

Se potessi ricostruire Malibu, cosa faresti? Come organizzeresti una nuova comunità di Malibu?
La cosa più importante per me sarebberto gli alloggio per i poveri e quelli con il reddito medio. Una piazza cittadina dove le persone possano incontrarsi. Mi piacerebbe vedere più diversità, che le persone che lavorano qui possano vivere qui. Mi piacerebbe vedere Malibu togliere il fluoruro dall'acqua. Odio quando il governo decide cosa fare per noi. Malibu è una bolla e sento che dobbiamo davvero raggiungere e cercare di includere i giovani, includere gli anziani e non essere così separati.

Le tue opinioni radicali hanno influenzato le tue relazioni con amici e familiari?
Sì. È stato molto difficile per la mia famiglia all'inizio perché erano mortificati perchè andavo in prigione. Nel frattempo, mi sono sentita davvero bene. Ma nel corso degli anni, dopo essere stata così coinvolta, mia madre mi avrebbe supplicato di non fare così tanto.

Come ti guadagni da vivere?
Lavoro per Martin Sheen come assistente personale. Lui ha una coscienza. È molto coinvolto con i diritti umani. È meraviglioso lavorare per qualcuno come lui che non è solo gentile, ma anche molto consapevole di ciò che sta succedendo nel mondo. Curo anche animali domestici.

Ho sentito che sei una grande cuoca, parlami un po' di quello.
Sono molto appassionata di cibo biologico e credo davvero che la nostra salute sia tutta incentrata su ciò che mangiamo. Vivo molto semplicemente e faccio molte insalate, cerco di mangiare molta frutta e verdura e sono vegetariana.

C'è un posto perfetto sulla terra?
Si, Nel mio cuore

(Fonte: http://www.malibutimes.com/malibu_life/article_22dc8cfb-83a2-5bd1-af46-9b40f91fa3a8.html)

Bene, la mia curiosità è stata soddisfatta, anche se era una cosa di poca importanza, comunque, più cose si sanno su Dylan meglio è! Forse una curiosità che pochi conoscevano, buona per cominciare l'anno nuovo, non trovate? Live long and prosper, Mr.Tambourine

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Dylan sarà a casa per Natale - di Leonardo Tondelli                                     clicca qui

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Alce Nero, il Lakota-Sioux che potrebbe diventare santo

La conferenza episcopale americana (USCCB) ha dato il nulla-osta all’avvio, della procedura di beatificazione.
Il vescovo Robert Dwayne Gruss, appartenente alla diocesi di Rapid City, ha celebrato il 21 ottobre 2017, nella chiesa del Santo Rosario di Pine Ridge, la messa solenne per aprire formalmente la causa di canonizzazione di Alce Nero.

Alce Nero con la figlia Charlotte

Sant’Alce Nero il Sioux (definizione erronea ma ormai attribuita) si chiamava Heȟáka Sápa in lingua Lakota, Black Elk in inglese, nato dalle parti del Powder River il 1° dicembre 1863 –  morto a Manderson-White Horse Creek, 19 agosto 1950, è stato un "uomo della medicina", cioè quello che nella filmografia western americana era chiamato “Stregone” o “Sciamano” ("wicʿaša wakan" o "pʿejúta wicʿaša"), presso gli Oglala, una tribù della famiglia Lakota-Sioux. In realtà Heȟáka Sápa significa "Cervo Nero" in lingua Lakota Hehaka. Elk in americano indica il cervo e non l'alce, il cervo gigante canadese e più precisamente lo Waapiti, nome derivato dalla lingua shawnee, ossia "sedere bianco" che è una sottospecie di cervo nobile diffusa in Nord America e in Asia nordorientale. Per dimensioni, è il secondo della sua famiglia, superato solamente dall'alce. I primi coloni inglesi, avendo familiarità col più piccolo cervo nobile, trovandosi di fronte questo gigantesco animale pensarono ad una parentela con l'alce; questo spiega il nome di elk (elk in inglese significa alce) col quale l'animale è conosciuto in Nord America.
Ancora giovanissimo, 12 anni, Alce Nero partecipò alla Battaglia del Little Bighorn, avvenuta nella valle del torrente Little Big Horn nelle Black Hills, nel territorio orientale del Montana, nella quale, una forza combinata di Lakota (Sioux), Cheyenne e Arapaho guidati da Toro Seduto, Cavallo Pazzo e Gall, inflissero la storica sconfitta al 7º Cavalleria dell'esercito degli Stati Uniti d'America comandato dal tenente colonnello George Armstrong Custer.

Black Elk

Nel 1887, a 24 anni, si recò in Inghilterra al seguito del “Buffalo Bill Wild West Show”. Fu per lui un'esperienza deludente, come scrisse successivamente nell'autobiografia "Alce Nero parla", libro che ebbe un successo mondiale. Dopo la fine della tournée Alce nero ritornò negli Stati Uniti e nel 1890 venne ferito ad un occhio nel Massacro di Wounded Knee avvenuto il 29 dicembre 1890 nella valle del torrente Wounded Knee compiuto dall'esercito degli Stati Uniti nel quale vennero barbaramente trucidati a colpi di mitragliatrice quasi 300 indiani della tribù dei Miniconjou, donne vecchi e bambini compresi. Nell’eccidio morirono anche venticinque cavalleggeri americani, uccisi probabilmente accidentalmente dei loro compagni nella confusione del momento.
Alce Nero venne batezzato nel 1904 nella fede cattolica dai missionari gesuiti che dal 1887 si erano stabiliti nella sua riserva. Era il giorno di San Nicola, e così Alce Nero venne batezzato col nome di Nicholas Black Elk. Una volta battezzato non si limitò ad essere un devoto fedele, ma si fece diacono, evangelizzando a sua volta moltissimi altri della sua gente.

Nel 1993 l’antropologo e gesuita Michael F. Steltenkamp ha pubblicato un libro che in italiano si intitola “Alce Nero, missionario dei Lakota” e che ha appunto riproposto con forza la cattolicità del personaggio. Il New Yorker è invece andato a scovare la bisnipote Charlotte, che si proclama “pagana” e secondo cui Alce Nero avrebbe fatto concessioni solo esteriori alla cultura dell’uomo bianco, senza in realtà cambiare mai.
Un punto di vista intermedio è quello di Ross Enochs, docente di Scienze religiose al Marist College di New York, secondo cui Alce Nero aveva fatto una sintesi tra la fede dei suoi padri e quella cattolica. È un modello tipico dell’evangelizzazione gesuita, a partire da quei famosi riti cinesi che avevano ammesso la venerazione per Confucio e le preghiere in mandarino.  I missionari avevano infatti accettato tutta quella parte della tradizione sciamanica che non era in marcato contrasto con il cattolicesimo, e perfino il rito di esporre le salme a cielo aperto adagiate su impalcature. Insomma, i gesuiti avevano permesso ad Alce Nero di diventare diacono rimanendo Uomo della Medicina. Oggi un'altro gesuita, Papa Francesco, potrebbe farlo santo.

 

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