PARTE OTTAVA
L'INTERVISTA DI DAVE HERMAN
Londra, 2 luglio 1981
Herman: Ieri sera ad Earl's Court, qui a Londra, credo ci fossero quasi
venti persone che, quando le guardavo, credo fosse durante 'It's Alright Ma
(I'm Only Bleeding)' , si alzavano sulla sedia ed era una sensazione molto
speciale. Mi è venuto in mente ancora una volta che tu hai una parte davvero
speciale nelle vite di un incredibile numero di persone in tutto il mondo ed
ho supposto che questa cosa ti ha sempre fatto sentire un po' a disagio...
il fatto che quella gente ti tenga in un posto molto speciale...
Dylan: Non è che io mi senta a disagio, almeno non con parte di questa
situazione, ma con l'altra parte sì, sai, quella parte per cui ci si aspetta
che tu vada a feste o che sia qualcuno tutto le volte, sai. E' questo che mi
mette a disagio.
Herman: Magari anche la parte per cui molta gente presume che tu possegga un
sacco di risposte che forse loro non hanno ad un sacco di domande?
Dylan: Beh, se tu... le risposte a quelle domande, devono essere trovate in
quelle canzoni, in quelle canzoni che ho scritto. E' tutto lì in quelle
canzoni. Spiegato molto meglio di quanto potrei spiegarlo io a parole.
Herman: Forse è questo il motivo per cui nel corso degli anni hai dato così
poche interviste, perchè probabilmente la gente arriva e spera che tu
spieghi le risposte che sono nelle canzoni. Nei testi o nella musica. Hai
concesso, credo, non più di una dozzina di interviste lunghe. Non hai mai
parlato molto alla stampa o alla radio.
Dylan: No.
Herman: I cantanti e gli artisti sentono come se i giornalisti fossero degli
avversari...
Dylan: Beh, non è che gli artisti credano che i giornalisti siano degli
avversari... sentono solo che molto di quello che dicono non viene riportato
nella maniera giusta oppure che gli si richiedono risposte a domande che non
hanno niente a che fare con il motivo per cui riempiono sale da concerto o
vendono dischi.
Herman: Ho qualche domanda per te che spero non sia del tipo che hai appena
detto e spero anche che siano domande le cui risposte non sono già nelle tue
canzoni. Per esempio mi sembra che... siamo seduti qui a Londra e la Signora
Thatcher è primo ministro e mi sembra che ci sia una specie di ondata di
conservatorismo in tutto il mondo e mi chiedevo se in qualche modo la cosa
ti interessa, se hai notato un cambiamento nei venti della politica...
Dylan: No. Non ne so molto di cambiamenti relativi al conservatorismo o al
liberalismo. Non vedo molte differenze tra le due cose.
Herman: Ma c'è libertà e repressione ed io credo che negli anni Sessanta,
quando molti di noi sono cresciuti, la gente era molto più libera di creare,
molto più libera di esprimere le proprie idee, almeno nel mondo occidentale.
Dylan: Lo pensi davvero?
Herman: Beh, non so, io vedo che... per esempio ci sono gruppi di persone
che boicottano gli sponsor degli spettacoli televisivi che non amano...
Dylan: Ma c'è una specifica ragione se non gli piacciono, però. Un sacco di
gente che sta boicottando quegli spettacoli ha dei bambini, e quegli
spettacoli mostrano delle cose che queste persone non vogliono che i loro
figli vedano. La televisione oggi entra in ogni casa, non c'è molto che si
possa fare per impedirlo. Pensa a quarant'anni fa, non c'erano apparecchi
televisivi, perciò non c'era niente da boicottare...
Herman: Un'altra cosa è che, ah, negli Stati Uniti il problema dell'aborto
sta diventando una delle controversie politiche più grandi.
Dylan: Beh quello è solo un diversivo. Sia che tu sia pro o contro l'aborto,
quello è un diversivo con cui ti tengono lontano da cose più grandi, alle
quali non si pensa. Così tutti pensano all'aborto e loro ti distolgono dal
pensare ad altre cose. Con questo non voglio dire che l'aborto non sia
importante!
Herman: Ma quello che dici mi sa tanto di cospirazione...
Dylan: Già, vero?
Herman: Io non credo che ci sia gente che si siede nelle stanze e dica 'beh
distogliamo la loro attenzione con l'argomento dell'aborto, così possiamo
nascondere quest'altra cosa nel frattempo...'
Dylan: Davvero non lo credi??
Herman: Pensi che sia una cosa studiata a tavolino?
Dylan: Non so... Ora l'aborto è importante, personalmente non credo
nell'aborto... a meno che qualcuno non vi debba ricorrere per salvare la
propria vita.
Herman: Beh, non è una questione se credere o meno nell'aborto...
Dylan: Mangia troppi dolci e ti ammali!
Herman: Ma io credo che la gente dovrebbe avere il diritto di fare le
proprie scelte da sola...
Dylan: (ride) Ma tutti HANNO la possibiiltà di fare le proprie scelte da
soli...
Herman: Mi spiegheresti che vuol dire quando la gente descrive se stessa
come "born again" (rinata), che è qualcosa di cui sento parlare un sacco, ci
sono milioni di persone che dicono di essere "born again"...
Dylan: Già. Quel che vogliono dire è che quando nasci la prima volta nasci
con lo spirito che viene dal basso. Quando rinasci lo spirito viene
dall'alto, il che è un po' differente.
Herman: Tu lo sai cosa succede a queste persone? E' una decisione che uno fa
o è un'esperienza che semplicemente accade. E' una cosa inconscia o conscia?
Dylan: Beh, avviene in un sacco di modi. Non c'è una sola maniera per cui
succede. Parli con uno che ti dice che è stata una cosa inconscia e poi
parli con un altro che ti dice che è stata una sua decsione consapevole.
Alcuni dicono di aver sentito una voce su una strada solitaria, altri dicono
che erano nel bel mezzo di una partita di football, altri ancora che erano
nel bagno degli uomini di una stazione degli autobus della Greyhound. Non è
che tu debba trovarti in una situazione particolare.
Herman: Parliamo di Shot Of Love. E' il tuo nuovo album.
Dylan: Non vorresti parlare invece di Saved (ride)? Nessuno vuole parlare di
Saved (altre risate)!
Herman: Mi sembra che qualcuno una volta abbia detto "Don't look back" ...
Dylan: Già... (risate) ... Beh, Shot Of Love è il nuovo disco che è appena
uscito...
Herman: Ed è anche una specie di ritorno, almeno così mi sembra, ad un album
che copra un sacco di argomenti differenti, ci sono canzoni d'amore, c'è una
canzone su Lenny Bruce. Al contrario di Saved che era davvero una raccolta
di canzoni religiose. C'era un solo tema in quell'album e Shot Of Love è un
ritorno ad un album più eclettico. Mi chiedo se questa cosa avviene
casualmente o se magari tu dici "Saved forse aveva troppe canzoni nella
stessa vena e forse dovrei tornare a fare un album più vario..." o se
semplicemente sono le canzoni che ti sono venute in mente...
Dylan: Esatto, sono semplicemente le canzoni che mi sono venute in mente.
Non so mai da un album a quello successivo che cosa farò. Mi stupisce
perfino che io continui a fare album.
Herman: Che vuoi dire?
Dylan: E' sempre un miracolo in qualche modo quando faccio un album, perchè
lavorare in studio è sempre stato molto difficile per me.
Herman: Tu hai un approccio alla registrazione in studio un po' diverso
rispetto a quello di un sacco di altri artisti. Alcuni passano un anno in
studio.
Dylan: Io faccio dischi nella stessa maniera che ho imparato quando ho
iniziato a registrare, quando ho registrato per John Hammond.
Herman: Cioè?
Dylan: Vado in studio e faccio un disco. Semplicemente. So qual è l'altro
modo e so che un sacco di gente registra in quell'altro modo e che per loro
è un successo ma io non sono interessato a quell'aspetto della
registrazione. Incidere una traccia poi ritornarci su, perfezionarla e poi
perfezionare il testo... Le canzoni sono create nello studio di
registrazione. Per quanto mi riguarda, vedi... io sono un artista che si
esibisce dal vivo, devo suonare canzoni che si relazionano alle persone per
le quali sto cantando. Non posso passare un anno in studio a lavorare su una
singola traccia. Non è così importante per me. Voglio dire... il mondo va
avanti... a chi servono questi dischi...? Capisci cosa intendo?
Herman: Un disco però resta per sempre.
Dylan: Per sempre, credo di sì... ma... certo è...
Herman: Mi vuoi dire che non ci avevi mai pensato prima?
Dylan: No, non ci ho mai pensato, ma vedi... nei miei dischi... voglio
dire... ascolto dischi che ho fatto venti anni fa e dico 'Oh Dio, ma li ho
fatti io questi dischi?'
Herman: Bob, dopo che tu sarai morto questi dischi saranno ancora qui e la
gente li ascolterà e penserà... beh penserà una cosa o un'altra a proposito
di questo tipo che ha fatto quei dischi, quattrocento anni prima...
Dylan: Ooh, povero me! (ride) Beh ma non sto dicendo che non siano
importanti. I dischi sono importanti ma fare dischi è una cosa nuova. Anche
il fatto di fare questa intervista ora, con questo registratore...
Herman: Non c'erano stazioni radio 75 anni fa... Il punto è che un artista
deve essere...
[Nel corso dell'intera intervista Dylan suona la sua chitarra acustica]
Spero che quella chitarra... Spero non sia troppo forte, perchè potrebbe
rendere difficile alla gente capire quello che diciamo, temo. Anche se mi
piace un sacco...
Dylan: Allora la suonerò più piano.
Herman: Già. E' una chitarra molto vecchia. Immagino che l'hai portata un
po' di volte intorno al mondo.
Dylan: Beh, l'ho portata in giro per il mondo un bel po' di volte e penso
che qualcun altro l'abbia portata in giro prima di me.
Herman: Dove eravamo? Aaah ... sì, quello che volevo dire a proposito del
fatto che un disco dura per sermpe. Dovrebbe interessarti come uomo e come
artista il fatto che la gente ascolterà questa cosa e giungerà a conclusioni
su Bob Dylan quando tu sarai morto. Deve esserci qualcosa che ti piacerebbe
lasciare nel mondo per quelle persone che ascoltano questi dischi, qualcosa
che dia significato alla tua vita dopo che la tua vita sarà finita.
Dylan: Beh, non l'ho ancora fatto. E lo sto ancora facendo e ancora non so
perchè lo sto facendo. Andiamo, voglio dire ci sono altre cose che mi
piacerebbe davvero fare, a parte suonare e...
Herman: Tipo? Voglio dire, se c'è un uomo che può fare quel che vuole questo
sei tu!
Dylan: Tipo? Beh, diventare un dottore, sai, un chirurgo penso, uno che
possa salvare la vita di qualcuno sull'autostrada. Qualcuno con un talento.
Non che voglia dire che l'arte non ha valore. Penso che l'arte possa
condurre a Dio.
Herman: E' quello il suo fine?
Dylan: Penso di sì. Penso che sia in realtà il fine di ogni cosa. Voglio
dire, a meno che non si faccia qualcosa che ci conduce dalla parte opposta.
Herman: Beh, se una cosa esprime verità e bellezza allora ti conduce a Dio
Dylan: Davvero? (ride)
Herman: Non sei d'accordo?
Dylan: Se esprime verità anche io direi che ti conduce a Dio. E anche
bellezza.
Herman: Ho sempre pensato che quelle fossero le sole due cose assolute che
esistano.
Dylan: Beh, la bellezza può essere molto ingannevole. Non sempre appartiene
a Dio.
Herman: Vuoi precisare il tuo pensiero?
Dylan: Beh, la bellezza cattura i nostri occhi...
Herman: E i nostri cuori no?
Dylan: I nostri cuori non sono buoni. Se il tuo cuore non è buono a che
serve la bellezza che viene attraverso i tuoi occhi e va giù al tuo cuore se
comunque questa bellezza non è buona?
Herman: La bellezza di un tramonto?
Dylan: La bellezza della bestia. La bellezza di un tramonto? Quella è un
tipo di bellezza molto speciale.
Herman: E che ne dici della bellezza della natura?
Dylan: I fiori, ad esempio?
Herman: Sì, e gli animali... e la pioggia...
Dylan: Tutte queste cose sono belle. Sono un dono di Dio. Ho trascorso un
sacco di tempo con la bellezza fatta dall'uomo che a volte la bellezza del
mondo di Dio mi ha eluso.
Herman: Su Shot Of Love c'è una canzone chiamata Lenny Bruce, un brano che
tu esegui solo con il pianoforte ed io amo quella canzone. Ho amato Lenny
Bruce, ero un suo grande ammiratore, quando era vivo e lavorava, e
naturalmente anche dopo la sua morte. Credo che sia passato un sacco di
tempo dalla sua morte, era l'estate del 1967, mi sembra. Perchè dopo tutti
questi anni una canzone su Lenny Bruce?
Dylan: Lo sai, non ne ho idea!
Herman: Ti è venuta così...
Dylan: Ho scritto quella canzone in cinque minuti! Ho viaggiato in taxi con
lui una volta. Trovo che sia stato molto strano come dopo la sua morte la
gente ne ha fatto un eroe. Quando era vivo non era così.
Herman: Alcuni pensavano che fosse estremo e sporco e volgare...
Dylan: Ma faceva tanti anni fa le stesse cose che si fanno oggi che la
comicità è estrema, sporca e volgare ma non fa ridere ed è stupida.
Herman: Lenny spesso parlava male della Chiesa. Beh, dal punto di vista
della Chiesa organizzata. C'è una grande differenza tra la struttura
politica delle varie chiese, non importa quale denominazione si possa dare e
quale ne sia lo spirito. Pensi che la Chiesa Cattolica, l'Ebraismo
tradizionale, che sono organizzati con riti e rituali... pensi che questo
sia parte di quel che senti sia lo spirito di Dio?
Dylan: Beh, è una domanda complessa! Non sono un'autorità nel campo del
cattolicesimo. I rituali non hanno niente a che fare con le leggi
spirituali. Ad ogni modo se segui la legge, beh, allora sarai una persona
pura. Una persona che potrebbe senza dubbio muovere le montagne. Se però
segui la legge. E molte persone non seguono la legge perchè è difficile, ci
sono così tante leggi, che governano ogni area della nostra vita.
Herman: Tornando a Lenny Bruce, è un'altra canzone di Bob Dylan che parla,
come dici esplicitamente in un verso, di un fuorilegge. Hai scritto un sacco
di canzoni nel corso degli anni su questo tipo di personaggi... Lenny Bruce,
Outlaw Blues, Joey Gallo, Hurricane Carter, o Absolutely Sweet Marie, "to
live outside the law, you must live honest" (sic). Ci sono un sacco di
personaggi fuorilegge nelle tue canzoni. Cosa ti intriga tanto di questi
argomenti?
Dylan: Beh, non è una cosa che faccio consciamente. Credo che abbia a che
fare con il posto in cui sono nato, quando ammiravo quel tipo di eroi, Robin
Hood, Jesse James ... Sai quel tipo di personaggio che si batte contro gli
oppressori e che ha un alto grado morale. Non so se la gente di cui scrivo
abbia alti gradi morali, non so se Robin Hood l'avesse ma si è sempre
presunto di sì.
Herman: E lo presumi anche di Joey Gallo?
Dylan: In un certo senso devi presumere di sì, in un certo tipo di area. E'
come... io non ho mai scritto canzoni su stupratori, sai. Credo che quello
che intendo fare è semplicemente mostrare l'individualismo di un certo tipo
di persona. Comunque stupisce anche me che abbia scritto una canzone su Joey
Gallo.
Herman: Ma l'hai scritta!
Dylan: Già!
Herman: E pure lunga.
Dylan: Molto lunga. Quanto durava? Quasi mezz'ora?
Herman: Quasi undici minuti.
Dylan: Già, beh ho pensato che se non lo facevo io chi lo avrebbe fatto
(ride)? Ma è una vecchia tradizione, come quando cantavo le folksongs, non
ho fatto altro che cantare folksongs per anni. Ci sono molte canzoni, un
sacco di ballate irlandesi, Roddy McCorley, adesso non mi vengono i nomi...
Herman: Devono esserci centinaia di canzoni su Jesse James...
Dylan: ... Jesse James, Cole Younger, il bandito Americano, Billy The Kid,
... naturalmente ce ne sono nelle ballate Inglesi e nelle ballate Scozzesi
così come nelle ballate Irlandesi. Ero solito cantare un sacco di quelle
canzoni...
Herman: La gente che ti conosce, quelli che hanno lavorato con te, mi hanno
detto nei giorni scorsi, quando ero già pronto ad intervistarti, che non sei
mai stato così rilassato e felice e...
Dylan: (ride) La gente dice sempre così!
Herman: No, no. Anche io sento che tu lo sei. E' davvero un bel posto questo
in cui trovarsi durante questo tour europeo. Altrimenti non credo che
staremmo qui seduti a parlare. Sai, penso che se tu fossi preoccupato per
qualcosa o se ti sentissi fuori sincrono con te stesso, beh penso che
probabilmente (incomprensibile). Come dicono i tuoi amici.
Dylan: Beh, so quel che devo fare e cerco di farlo, sai.
Herman: Il proprio ego ha un grosso ruolo nel fatto di essere un artista. Tu
esci su un palco sera dopo sera, fai quel che devi fare, senti gli applausi
e... Tutto questo quanta parte gioca nella tua vita...? Voglio dire, ti
senti un po' legato al palco e alla celebrità?
Dylan: No. Non mi importa della celebrità.
Herman: Potresti essere una persona anonima?
Dylan: Io cerco di essere una persona anonima, appena l'applauso finisce...
a volte sono applausi altre volte sono fischi. Ti ci abitui dopo tutti
questi anni. Voglio dire, faccio questo mestiere da così tanto tempo,
qualsiasi sia l'applauso non mi sorprende più.
Herman: Ma non è più bello quando si tratta di un grosso applauso piuttosto
che un applauso fiacco?
Dylan: Certo, è molto più confortante.
Herman: Non è più bello quando il tuo album è nella top ten piuttosto che
quando si piazza al quarantacinquesimo posto e cose del genere?
Dylan: Beh, lo è e no lo è. Slow Train ad esempio è stato un grande album.
Saved non ha avuto lo stesso successo eppure per me era un album altrettanto
grande.
Herman: Allora ti interessa davvero poco il fatto che un tuo disco sia
accettato o rifiutato da parte di quelli che comprano dischi?
Dylan: Sono fortunato ad essere nella posizione di poter pubblicare un album
come Saved per una grande etichetta discografica così che chi vuole lo può
comprare.
Herman: Ma c'è stato un periodo nella tua vita in cui prendevi il telefono e
chiedevi "Ehi, come sta andando il disco? E' in classifica nei primi dieci?"
Dylan: Beh, è chiaro che uno vuole sempre sapere cosa succede al proprio
disco, così le prime settimane telefoni e chiedi se sta vendeno o se non sta
vendendo. Sicuro.
Herman: E' cambiato lo scenario del "music business" negli ultimi 15 o 20
anni rispetto a quando hai iniziato a fare dischi?
Dylan: Moltissimo. Quest'ultimo disco che ho registrato è stato molto bello
e piacevole da fare, perchè... conosci Chuck? Chuck Plotkin? Beh, abbiamo
lavorato insieme su questo disco... Lui ha realizzato il disco nella maniera
in cui io volevo farlo. Ha capito quel che volevo. Chuck voleva fare il
disco nella stessa maniera in cui volevo farlo io. Ma l'industria del disco
è cambiata perchè... vedi quando io ero... negli anni Sessanta tutti
facevano dischi nella stessa maniera in cui li facevo io. Non importa chi tu
fossi... Beatles, Rolling Stones, The Animals, The Byrds ...
Herman: Forse dovremmo spiegare alla gente che ci ascolta che questo
significa che tutte le persone erano nello studio di registrazione, nella
stessa stanza e nello stesso tempo, suonando tutti insieme...
Dylan: ... e facevamo un disco. Eravamo un gruppo, eravamo qualcuno... prima
che tu andassi a registrare un disco. Eri qualcuno.
Herman: Ti eri guadagnato il privilegio di poter registrare un album...
Dylan: Esatto. Avevi "pagato il dovuto" per poter fare un disco. Ora non è
più così. Tutti si aspettano di poter fare un disco senza che nemmeno
qualcuno li abbia mai sentiti, e allora ti trovi un produttore... ci sono un
sacco di produttori ora... non c'erano così tanti produttori ai nostri
tempi, il produttore era quello che chiamavamo "A&R man". Ora invece ci sono
tutti questi produttori che sono loro stessi delle star. Ed è il "loro"
album. Non credo di dover stare a sentire qualcuno che mi dica continuamente
quel che devo fare.
Herman: Da che parte stai per quanto riguarda il discorso del controllo
delle armi? Che ne pensi di questo problema di tutte queste armi che abbiamo
in America? ... Hai notato che qui a Londra i poliziotti nemmeno hanno la
pistola al fianco? Non portano armi.
Dylan: Ma qui hanno un tasso di criminalità molto più basso. Non puoi
cambiare gli Stati Uniti da quel punto di vista. Ci sono troppe persone ...
Sai, gli Stati Uniti... tutti sembrano pazzi per le armi... I bianchi una
volta uccidevano gli Indiani con le armi. Le armi sono state una grande
parte del passato dell'America. Perciò non c'è niente che tu possa farci. Le
armi sono qualcosa che l'America possiede e con cui vive. Non credo che il
controllo delle armi possa fare una qualche differenza. Rende solo più
difficile la vita per la gente che ha bisogno di essere protetta.
Herman: In una intervista che hai rilasciato a Playboy qualche anno fa...
hai citato Henry Miller che ha detto che il ruolo di un artista è quello di
inoculare disillusione nel mondo.
Dylan: Già.
Herman: E' quel che cerchi di fare tu con il tuo lavoro?
Dylan: No. Non cerco di inoculare niente a nessuno in maniera consapevole.
Soltanto spero che in qualche modo la musica che ho sempre suonato sia una
sorta di musica salutare, che possa curare, che possa guarire. Voglio
dire... se non lo è allora non voglio suonarla. Perchè c'è in giro
abbastanza cosiddetta musica che è musica malata. E' proprio malata. E'
fatta da gente malata ed è suonata per gente malata. E non è vero solo per
la musica, ma anche per l'industria cinematografica e per l'editoria. Sai,
procaccia divertimento per la gente malata. Ce n'è un sacco di questo tipo
in giro. E se io non sono in grado di fare qualcosa che parli alla gente
o... che sia di speranza in qualche modo e che possa essere di cura per
questa malattia, e tutti noi siamo malati, beh se non sono in grado di farlo
allora potrei andarmene su una barca, sai, potrei andarmene a vivere nei
boschi...
Herman: C'è una canzone nell'album Shot Of Love, Every Grain Of Sand, che è
una canzone che può curare. E' una bella, bellissima canzone.
Dylan: Oh, sì, l'ho scritta l'estate scorsa.
Herman: E' una di quelle canzoni di cui parlavi... una di quelle che può
curare?
Dylan: Spero di sì.
Herman: Bene, Bob, c'è qualcosa che vorresti dire al vasto pubblico
radiofonico che ci ascolta?
Dylan: Credo che sappiano già qualsiasi cosa io possa dirgli.
traduzione di Michele Murino
Intervista realizzata al White House Hotel di Londra, Inghilterra, il 2
Luglio 1981.
Trasmessa dalla WNEW-FM Radio di New York, il 27 Luglio 1981.
Pubblicata sull'album promozionale DYLAN LONDON INTERVIEW JULY 1981, su
etichetta Columbia AS 1259, nel Settembre del 1981.
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Intervista al Dylan "infedele"*
* Kurt Loder, The Rolling Stone lnterview - Bob Dylan su "Rolling Stone"
21 giugno 1984
In una tipica giornata di marzo, umida e caotica, a Manhattan,
Bob Dylan, vestito di jeans neri, scarpe da ciclista, e una giacca
sportiva bianca sopra una maglietta bianca, se ne stava seduto in
modo scomposto su uno sgabello in fondo a un piccolo studio del
centro.
La folla di cameramen, tecnici delle luci, truccatori e im-
presari si era ritirata per controllare le attrezzature, lasciando Dy-
lan a strimpellare e canticchiare da solo. Mentre le sue lunghe un-
ghie vagavano sulle corde della sua chitarra Martin, cominciò de-
bolmente a soffiare nell'armonica che gli pendeva dal collo, subito
una melodia familiare riempi l'aria. Poteva essere? Mi sono avvici-
nato per sentire meglio, mentre Dylan avviava il ritornello. Si,
non c'era dubbio, Bob Dylan stava eseguendo in anteprima l'ar-
rangiamento folk di Karma Chamaleon: il successo dei Culture
Club.
Ben presto, comunque, fu nuovamente circondato dai tecnici.
Gli operatori audio trasmettevano il nastro di Jokerman, una can-
zone tratta dall'ultimo album di Dylan, lnfidels, e mentre le video-
camere riprendevano, la star muoveva obbedientemente le labbra.
Dylan aveva realizzato il pezzo ripresa per ripresa, senza protestare,
durante tutta la mattina e buona parte del pomeriggio. Jokerman
sarebbe stato il secondo video realizzato per lnfidels e Bob sapeva
che tutto doveva andare bene. II primo video, per la dolce ballata
Sweetheart Like You, era riuscito piatto, confuso e senza vita. Cosi
erano stati chiamati come assistenti due tra i più fidati amici di
Dylan: Larry "Ratso" Sloman, autore di un libro sul tour del 1975
con la Rolling Thunder Revue, e George Lois, un brillante agente
pubblicitario di New York che Dylan aveva incontrato durante gli
sfortunati concerti organizzati per la difesa legale del pugile Rubin
"Hurricane" Carter, una decina di anni fa.
Lois era arrivato con una piacevole idea per il video di Dylan,
timido e rigido davanti alle telecamere. La faccia di Bob si sarebbe
vista solo durante i ritornelli, il testo della canzone sarebbe stato
illustrato da riproduzioni di arte classica recuperate in biblioteca
dallo stesso Lois: dipinti di Michelangelo, Durer, Munch, e,
colpo gobbo, un dipinto di Hieronymus Bosch intitolato L 'inferno
dei musicisti. L'idea più nuova di Lois, comunque, era quella di so-
vrapporre i versi apocalittici della canzone alle immagini lungo tut-
to il video, una tecnica che Lois definiva ridendo "poesia diret-
tamente sulla vostra fottuta faccia".
Il risultato, come si è visto
più tardi, fa sembrare la maggior parte dei comuni video rock: le
glorificate pubblicità di Coca che sono veramente.
Ma un solo video intelligente e provocatorio poteva rendere
ancora una volta Bob Dylan interessante per i giovani compratori
di dischi? Quest'uomo ha rappresentato molte cose durante gli an-
ni: la voce dei giovani negli anni Sessanta, la voce dei giovani che
invecchiavano negli anni Settanta, e negli anni Ottanta?
Certamente, il suo carattere resta imprevedibile, come ho sco-
perto poche ore dopo in un caffe greco sulla Third Avenue. Attin-
gendo continuamente sigarette da un pacchetto di Benson & Hed-
ges ("Niente può intaccare la mia voce, è cosl brutta") e ingurgi-
tando una tazza di caffe dopo l'altra, si rivelava al tempo stesso ri-
servato e gentile, dolce e talvolta aspro. Non è più la giovane arro-
gante superstar che demolì verbalmente un reporter del Time nel
documentario del 1966 Don't Look Back, ma neppure un fan-
toccio.
C'erano senz'altro molte cose di cui parlare. L'uomo che nel
1962 aveva trasformato il mondo folk con il suo album d'esordio,
con una acustica grezza ed emozionante, e che più tardi si sarebbe
completamente giocato numerosi seguaci del folk apparendo al
Folk Festival di Newport del 1965 accompagnato da un gruppo
rock, è ancora, ne1984, capace come sempre di polemica stimo-
lante.. Tredici anni fa, sorprendendo tutti, se n'era andato a Geru-
salemme davanti al Muro del Pianto, indossando uno scialle di
preghiera e cercando, a quanto pare, la sua "identità ebraica". In
seguito, ha studiato al Vineyard Christian Fellowship, una scuola
di Bibbia in California e, scioccando molti fans, ha pubblicato tre
album di rock strettamente osservante ed evangelico. (Il primo,
Slow Train Coming, de1979, ottenne il disco di platino, ma gli al-
tri due Saved e Shot of Love, non hanno ottenuto neppure quello
d'oro). Poi si è associato ad una setta ebraica ultra-ortodossa, che
si chiama Lubavitcher Hassidim e l'anno scorso è tornato a Geru-
salemme per celebrare il Bar Mitzvah (1) di suo figlio Jesse. Infine, è
arrivato lnfidels. Anche se questo album prosegue lungo l'inclina-
zione biblica dei tre precedenti album di Dylan (con una ulteriore
patina di quello che alcuni critici hanno definito: eccentrico con-
servatorismo politico), lnfidels è anche uno dei suoi dischi meglio
prodotti -grazie all'intervento alla consolle di registrazione del
chitarrista dei Dire Straits, Mark Knopfler.
Infatti, grazie anche a leggere ma preziose spinte promozionali dello stesso
Dylan, l'album ha già venduto quasi un milione di copie. Ora, non solo egli
aveva appena terminato un eccellente video, ma aveva anche fatto una
insolita comparsa in TV durante lo spettacolo Late Night With David
Letterman: un'apparizione sgangherata ma avvincente, durante la quale Dylan
-accompagnato da un trio di ragazzi con cui aveva provato molto poco -si era
avventurato in due pezzi tratti da lnfidels e nel vecchio motivo di Sonny
Boy Williamson Don't Start Me To Talking (l'apparizione avrebbe potuto
essere anche più strana: durante le prove aveva eseguito una sua versione
del famoso brano rock Treat Her Right, di Roy Head). Bob Dylan
era di nuovo sulla scena. Mentre l'organizzatore di concerti BilI Graham
stava già fissando le date, lui si preparava per imbarcarsi in un grande
tour europeo con Santana, il 28 maggio, quattro giorni dopo aver compiuto
quarantatrè anni.
Dunque, eccolo di nuovo; ma chi è Bob Dylan? Padre divorzia-
to di cinque ragazzi (tra cui la figlia della sua ex moglie Sara, da
lui adottata), Dylan trascorre il suo tempo tra la California (dove
ha una casa enorme ed eccentrica costruita in modo caotico) il
Minnesota (dove ha una fattoria) e i Caraibi (dove passa da un'iso-
la all'altra con una barca da 250.000 dollari). A New York, città
dove spesso sogna di ritornare a vivere, ha trovato una sistemazio-
ne rilevandola dal suo primo tastierista Al Kooper, che aveva visi-
tato durante una registrazione per l' ex cantante della J. Geils
Band, Peter Wolf, e che abitava con i vecchi amici Keith Richards
e Ronnie Wood dei Rolling Stones.
Nonostante le sue preoccupazioni spirituali, egli dichiara di non essere
eccessivamente moralista ("penso di aver bevuto una birra, recentemente") e
che la sua
odissea religiosa è stata deformata dalla stampa. Anche se sostiene
di non avere diritti d'autore sulla pubblicazione di canzoni ante-
riori a Blood On The Tracks ("che è l'album preferito da Keith"),
probabilmente è abbastanza agiàto. " Alcuni anni sono meglio di
altri", è tutto quel che dice in proposito. Ma è noto per la sua
straordinaria generosità nei confronti degli amici più cari, in caso
di bisogno. Apparentemente non prevede di ritirarsi dal mondo
della musica. Quando gli ho chiesto se avesse già realizzato il suo
capolavoro, mi ha risposto: "Spero di non farlo mai". La sua vita
amorosa (nel passato è stato legato, tra le altre, alla cantante Cly-
die King) resta un libro chiuso.
Mentre parlavamo, un giovane ubriaco si è avvicinato al nostro
tavolo per avere un autografo, che Dylan ha concesso. Pochi minu-
to dopo una vecchia sdentata, in pantaloncini, si è avvicinata ac-
compagnata da una bottiglia di vino nero. "Sei Bob Dylan!", ha
gracchiato. "E tu sei Barbra Streisand, vero?", ha detto Dylan,
non senza gentilezza. "Mi sono solo meravigliata", ha continuato
la vecchia befana, "perche c'è un tipo qua fuori che vende il tuo
autografo". "Sì?", gli ha risposto Dylan, "be', e quanto chiede?".
Una buona domanda, ho pensato. Quanto può valere un ricor-
do del genere in questi tempi di crisi?
ROLLING STONE: Negli anni passati sei stato definito in molti modi:
"cristiano riconvertito", "ebreo ortodosso". C'è una definizione
appropriata?
DYLAN: Veramente no. C'è chi ti definisce in un modo e chi in un
altro. Ma io non posso prendere una posizione, sembrerebbe
una difesa e, in fin dei conti, cosa importa?
ROLLING STONE: Eppure tre tuoi album -Slow Train Coming, Sa-
ved, e Shot of Love -non sono ispirati a una rinnovata espe-
rienza religiosa?
DYLAN: Non direi così. Non ho mai detto di essere rinato. È solo un
modo di dire dei mass-media. Non penso di essere mai stato agno-
stico. Ho sempre creduto che ci fosse un potere superiore, che
questo non è il mondo reale e che ci sarà un mondo futuro. Che
nessuna anima è morta, che ogni anima è viva, nella santità come
tra le fiamme. E probabilmente ci sono molti livelli intermedi.
ROLLING STONE: Allora qual è la tua posizione religiosa?
DYLAN: Be', non penso sia una posizione definita, non ho mai det-
to le cose sono così, eppure questa vita è niente. Non c'è alcu-
na possibilità di convincermi che questo è tutto quello che c'è.
lo credo nel libro della Rivelazione. I potenti di questo mondo
finiranno per recitare la parte di Dio, ammesso che non lo
stiano già facendo, e infine arriverà un uomo e tutti penseran-
no sia Dio. Farà alcune cose e tutti diranno: "Solo Dio può fa-
re questo tipo di cose. Quindi lui deve essere Dio".
ROLLING STONE: Credi nel senso letterale delta Bibbia?
DYLAN: Certo. Sì.
ROLLING STONE: L 'Antico e il Nuovo Testamento hanno per te lo stes-
so valore?
DYLAN: Per me si.
ROLLING STONE: Credi in qualche chiesa o sinagoga?
DYLAN: Non esattamente. Mmm, la Chiesa della Mente Velenosa.
(Risate).
ROLLING STONE: Credi che la fine sia vicina?
DYLAN: Non credo sia vicina. Penso che avremo almeno altri 200
anni. La gente non può nemmeno immaginare a cosa assomi-
glierà il nuovo regno. Molta gente pensa che il nuovo regno ar-
riverà l'anno prossimo e che loro saranno proprio lì, tra i primi
eletti. Si sbagliano. Quando il nuovo regno arriverà ci saranno
persone pronte ma se succedesse domani, mentre tu sei seduto
lì e io qui, non ti ricorderesti neppure di me.
ROLLING STONE: Puoi discutere e trovarti d'accordo con un ebreo or-
todosso?
DYLAN: Si, si.
ROLLING STONE: E con un cristiano?
DYLAN: Oh, sì. Sì, con chiunque.
ROLLING STONE: La tua religione ha l'aspetto di una nuova sintesi.
DYLAN: Be', non mi pare. Se pensassi che il mondo ha bisogno di
una nuova religione ne fonderei una. Ma ci sono anche molte
altre religioni: le religioni indiane, l'ortodossa, il buddismo.
Esistono anche loro.
ROLLING STONE: Quando incontri degli ebrei ortodossi, puoi stare con
loro e dire: "Be', non potreste venire a patti con la cristianità"?
DYLAN: Sì, se qualcuno me lo chiede potrei dirlo. Ma sai, io non
vado in giro per dire la mia opinione, la musica mi riguarda
molto di più.
ROLLING STONE: Eppure il tuo punto di vista è sembrato chiaro a mol-
ti compratori di dischi. Sei rimasto frustrato dalla resistenza com-
merciale -sia per quanto riguarda i dischi che durante il tour -
verso la tua nuova musica influenzata dall'esperienza religiosa?
DYLAN: Be', dopo il mio tour evangelico del '78 ho voluto conti-
nuare a fare concerti anche nel '79. Nel '78 eravamo già stati
dappertutto, come potevamo ritornare nel '79! A quel punto
ho pensato: "Non importa se non trascino più le folle". In
molti posti dove eravamo già stati abbiamo riempito solo metà
sala.
ROLLING STONE: Pensi che sia a causa del tuo nuovo genere di mu-
sica?
DYLAN: Non credo. Non credo c'entri affatto. Penso che il tuo mo-
mento sia il tuo momento, non importa cosa stai facendo. È il
tuo momento oppure non lo è. Questi ultimi anni non sono
stati proprio il mio momento. Ma non ho ragione di fare alcu-
na riflessione su cosa sto dicendo. La gente che ha reagito alla
mia musica ispirata non lo avrebbe fatto se io non avessi com-
posto Song To Woody, non avrebbe reagito in quel modo.
ROLLING STONE: La pensi veramente così?
DYLAN: Sì, lo so. Di solito riesco ad anticipare ciò che andrà di
moda, quale sarà l'umore. Ci sono molti giovani musicisti in
giro, hanno un bell'aspetto e si muovono bene, e dicono cose
eccitanti. Ma se li osservi bene ti accorgi che le loro cose sono
costruite per ragazzini di dodici anni, come cibo per bambini.
ROLLING STONE: Il tuo ultimo album, Infidels, non è proprio cibo per
bambini. Alcuni critici hanno persino rilevato un certo conserva-
torismo in alcune canzoni e addirittura un deciso sciovinismo in
Neighborhood Bully, dove il soggetto metaforico è "solo un uo-
mo" i cui "nemici dicono che lui occupa la loro terra". Non ti
pare una evidente dichiarazione di sionismo?
DYLAN: La posizione di questa canzone dovresti considerarla al di
là di me. Non sono uno scrittore di canzoni politiche. Joe Will
lo era, Merle Travis ha scritto alcune canzoni politiche. Which
Side Are You On? è una canzone politica. Neighborhood Bully
non è una canzone politica, perchè se lo fosse finirebbe per ap-
poggiare un determinato gruppo politico. Se ne parli come di
una canzone politica su Israele -anche se è una canzone poli-
tica su Israele -devi considerare che in Israele ci sono alme-
no venti partiti politici. Non so come potrebbe schierarsi, con
quale partito.
ROLLING STONE: Sarebbe giusto definire quella canzone come una profonda
dichiarazione di fede?
DYLAN: Forse è cosl, sì. Solo perche qualcuno sente le cose in un
certo modo, non puoi incollarci sopra qualche slogan di parti-
to. Se ascolti attentamente, potrebbe parlarti di altre cose. De-
finirla è semplice e facile, cosl puoi fissarla e sistemarla in
qualche modo. Ma io non farei così. Non so quale sia la politi-
ca di Israele. Proprio non lo so.
ROLLING STONE: Così non ti è chiara, ad esempio, la questione palestinese?
DYLAN: Proprio no, perchè io vivo qui.
ROLLING STONE: Andresti a vivere in Israele?
DYLAN: Non so. È difficile speculare su ciò che può riservare il fu-
turo. Mi sembra naturale vivere dove mi trovo.
ROLLING STONE: In un altro punto della canzone, dici: "Non ha allea-
ti con cui parlare" e mentre "compra armi obsolete e non vuole
essere respinto. ..non c' è carne nè sangue a lottare al suo fianco ".
Pensi che l'America dovrebbe inviare truppe in Israele?
DYLAN: No. La canzone non dice questo. Chi potrebbe, chi potreb-
be... chi sono io per dirlo?
ROLLING STONE: Allora pensi che Israele dovrebbe ricevere maggiori
aiuti dalla comunità ebraica americana? Non vorrei insistere trop-
po ma sembrerebbe proprio così...
DYLAN: Non stai insistendo troppo, stai solo specificando la que-
stione in relazione a ciò che accade oggi. Ma ciò che accade
oggi non durerà per sempre. La battaglia di Armageddon lo ha
fatto capire chiaramente: dove si combatterà, o se vogliamo es-
sere più tecnici, quando si combatterà. La battaglia di Arma-
geddon sarà combattuta definitivamente proprio in Medio
Oriente.
ROLLING STONE: Segui la situazione politica o hai una qualche posi-
zione sulle dichiarazioni degli uomini politici in questo anno di
elezioni?
DYLAN: Penso che la politica sia uno strumento del Diavolo. Sia
chiaro, penso che la politica uccida e non porti niente di vivo.
La politica è corrotta, lo sanno tutti.
ROLLING STONE: Così non ti interessa chi sarà Presidente? Non fa nes-
suna differenza?
DYLAN: Non credo faccia molta differenza. Voglio dire, per quanto
tempo Reagan sarà presidente? Sai, solo io ne ho visti quattro
o cinque diversi. E ne ho visti morire due in carica. Come pos-
so preoccuparmi di Reagan e prendere la questione sul serio,
quando alla fine non c' entra niente con la mia vita?
ROLLING STONE: Così' non credi esista alcuna differenza, ad esempio,
tra Kennedy e Nixon? Non ha alcuna importanza?
DYLAN: Non so. Al giorno d'oggi è molto di moda definirsi "umanisti
liberali". È una tale stronzata. Vuoi dire meno che niente. Chi
sarebbe il presidente migliore? Be', hai me. Non saprei dire quali
sono gli errori della gente, nessuno è perfetto, certo. I Kennedy
mi piacevano, tutti e due. E mi piaceva Martin Luther King.
Quelle erano persone giuste e benedette. Il fatto che siano stati
uccisi da una pallottola non cambia niente. Il bene che hanno
fatto ha messo radici, continuerà a vivere più a lungo di loro.
ROLLING STONE: Speri ancora nella pace?
DYLAN: Non ci sarà nessuna pace.
ROLLING STONE: Non credi che sia valido impegnarsi per la pace?
DYLAN: No. Sarebbe solo una falsa pace. Mentre stai ricaricando il
fucile, proprio nel momento in cui lo stai ricaricando, quella è
la pace. Può durare molti anni.
ROLLNG STONE: Non è giusto lottare per la pace?
DYLAN: Niente di tutto questo. Ho sentito qualcuno che racconta-
va alla radio quel che sta succedendo ad Haiti: "Dobbiamo es-
sere coinvolti in quello che sta succedendo ad Haiti. Ora sia-
mo persone globali". Stanno spingendo tutti verso questo stato
d'animo, come se noi non fossimo più solo gli Stati Uniti, co-
me se fossimo globali. Pensiamo in termini di mondo intero
perchè le comunicazioni arrivano dritto fino a casa. Bene, que-
sto è l'argomento del Libro della Rivelazione. Puoi essere cer-
to che chi protesta per la pace non è per la pace.
ROLLING STONE: E se qualcuno fosse sinceramente per la pace?
DYLAN: Allora non potrebbe essere per la pace ed essere anche glo-
bale. Proprio come nella canzone Man of Peace. Ma non esiste
nessuno di questi problemi se credi in un altro mondo. Se in-
vece credi in questo mondo, sei bloccato. Non hai davvero
scelta. Diventerai matto perche non puoi tollerarne la fine.
Può anche darsi che tu voglia allontanarti, ma non ne sarai ca-
pace. Ti guarderai indietro e dirai: " Ah, era tutto qui. Perche
non me ne sono reso conto"? Questo accadrà solo quanto sarai
veramente capace di guardare questo mondo.
ROLLING STONE: È un punto di vista molto fatalista, non ti pare?
DYLAN: Penso sia realistico. Se, è fatalista, lo è solo in questa situa-
zione, e questa situazione finirà comunque. Allora quale sarà la
differenza? In questo senso sei tu fatalista, e allora?
ROLLING STONE: In License to Kill ci sono questi versi: "L 'uomo ha
inventato la sua rovina, il primo passo è stato toccare fa luna ".
Credi proprio che sia così?
DYLAN: Sì, lo credo. Non so perche ho scritto quei versi, in certe
situazioni si apre proprio una porta sull'ignoto.
ROLLING STONE: Non pensi che l'uomo debba avanzare, progredire?
DYLAN: Sì... ma non qui. Voglio dire, che senso ha andare sulla lu-
na. Per me, non ha alcun senso. Adesso piazzeranno lassù una
stazione spaziale, che costerà, quanto... 600 miliardi di dollari,
700? Chi ne trarrà beneficio? Le compagnie della droga che
riusciranno a fare droghe migliori. Ha un senso? Credi che
qualcuno dovrebbe esserne esaltato? E questo il progresso?
Non credo che otterranno droghe migliori. Sicuramente più co-
stose.
Oggi tutto è computerizzato, è tutto un computer. Mi sem-
bra l'inizio della fine. Ti devi rendere conto che ogni cosa di-
venta globale. Non c'è più nazionalità, non c'è più differenza:
"Siamo tutti uguali, tutti uniti per un mondo di pace, bla, bla,
bla".
Qualcuno dovrebbe cercare di capire cosa sta succedendo
agli Stati Uniti. Sono solo un'isola che sta per essere spazzata
via dall'oceano, o hanno un vero posto tra le cose? Proprio
non lo so. Adesso sembra che abbiano un loro posto, ma più
avanti dovrà diventare un paese autosufficiente, che potrà fare
da solo senza troppe importazioni.
Proprio ora sembra che negli Stati Uniti, come in molti al-
tri paesi, ci sia una grande spinta verso la costruzione di un
unico grande paese globale -un solo grande paese -dove si
potranno produrre le cose in un posto, riunirle da qualche altra parte e
venderle altrove. Il mondo intero diventerà tutt'uno, sarà controllato dalla
stessa gente. Se non siamo già a questo punto, è comunque questa la
direzione in cui ci si muove.
ROLLING STONE: In Union Sundown la Chevrolet che guidi è "monta-
ta in Argentina da uno che guadagna trenta cents al giorno ".
Vuoi dire che starebbe meglio senza quei trenta cents al giorno?
DYLAN: Cosa sono trenta cents al giorno? Non puoi aver bisogno di
trenta cents al giorno. Voglio dire che la gente è sopravvissuta
per 6000 anni senza bisogno di lavorare in cambio di salari da
schiavi per qualcuno che arriva e... be', effettivamente, è solo
colonizzazione. Ma vedi, conosco questa storia di prima mano,
perchè da dove vengo io la gente ricevette proprio quel tratta-
mento, con i giacimenti minerari.
ROLLING STONE: Il Minnesota, nell'Iron Range dove sei cresciuto?
DYLAN: Sì. Tutti lavoravano nelle miniere in quel periodo. In effet-
ti il novanta per cento del ferro usato durante la seconda guer-
ra mondiale proveniva da lì, da quelle miniere. Alla fine hanno
detto: "Estrarre il ferro da qui costa troppo, dobbiamo riuscire
a trovare qualche altro posto". La stessa cosa accade ora con
altri prodotti.
ROLLING STONE: Cosa significava crescere ad Hibbing, nel Minnesota,durante
gli anni Cinquanta?
DYLAN: Laggiù sei molto influenzato dalla natura. In un certo sen-
so devi adattarti, senza badare a come ti senti, a cosa potresti
voler fare con tua moglie o a quello che pensi. Dev'essere an-
cora così, credo.
ROLLING STONE: Quando eri piccolo hai avvertito qualche forma di
antisemitismo?
DYLAN: No. Niente mi importava davvero se non imparare una
nuova canzone o un altro accordo, o magari trovare un nuovo
posto per suonare. Anni dopo, quando avevo già registrato
qualche album, allora ho incominciato a vedere scritto "Bob
Dylan è un ebreo", e cose del genere. Ho pensato "Cristo, non
è mai stato importante". Ma hanno continuato a battere quel
tasto, sembrava fosse molto importante dirlo: "il cantante di
strada ha una gamba sola", qualcosa del genere. Così, dopo un
po', ho pensato "bisognerà che ci rifletta".
Non so. Non mi sembra che questo accada ad altri artisti,
voglio dire, non succede a Barbra Streisand o a Neil Diamond.
Ma è successo a me. Anche se da bambino non avevo mai sen-
tito cose del genere, non ho mai dovuto farmi avanti lottando
tra la ressa nel cortile della scuola. Per essere felice mi bastava
avere una chitarra.
ROLLING STONE: Hibbing era un luogo opprimente? Ti ha spinto a
fuggire?
DYLAN: Non proprio. Non conoscevo nient'altro se non Hank Wil-
liams. Ricordo di aver ascoltato Hank Williams due o tre anni
prima che morisse. In un certo senso quella è stata la mia in-
troduzione alla chitarra. Quando ho avuto la chitarra... non
c'erano più problemi. Niente era più un problema.
ROLLING STONE: Sei riuscito a vedere qualcuno dei primi cantanti rockand
roll, come Little Richard o Buddy Holly?
DYLAN: Sì, certo. Ho visto Buddy Holly due o tre notti prima che
morisse. L'ho visto a Duluth, all'arsenale. Suonava con Link
Wray. Non ricordo The Big Bopper. Può darsi fosse già anda-
to via quando sono arrivato. Ma ho visto Ritchie Valens. E
naturalmente Buddy Holly. Era grande, era incredibile. Non
dimenticherò mai l'immagine di Buddy Holly sul palco. E
morto una settimana dopo. Era incredibile.
Di solito ascoltavo musica fino a notte fonda: ascoltavo
Muddy Waters, John Lee Hooker, Jimmy Reed e Howlin'
Wolf che da Sheeveport facevano un radio show veramente
esplosivo, che durava tutta la notte. Rimanevo sempre sveglio
fino alle due, le tre del mattino. Ascoltavo tutte quelle canzoni
e cercavo di capire come erano fatte. Ho iniziato a suonare da
solo.
ROLLING STONE: Come hai avuto la tua prima chitarra?
DYLAN: Anzitutto ho comprato il primo volume del manuale di
Nick Manoloff; ma non credo avrei potuto arrivare oltre il pri-
mo volume... Poi, ho comprato una chitarra Silverstone da
Sears. In quel periodo costava trenta o quaranta dollari, basta-
va lasciare un acconto di soli cinque dollari per averne una.
Così ho avuto la prima chitarra elettrica.
Mentre frequentavo la scuola superiore ho formato un paio
di gruppi, forse tre o quattro. I cantanti migliori si portavano
sempre via i miei gruppi, magari perchè avevano buoni contat-
ti, o i loro genitori conoscevano qualcuno, e così potevano tro-
vare lavoro nella città vicina durante i picnic domenicali o in
situazioni del genere. Cosl io perdevo il mio gruppo. Mi è
sempre successo così.
ROLLING STONE: Ti avrà amareggiato.
DYLAN: A dir la verità, sl. Certo. Poi ho formato un nuovo gruppo con
un mio cugino di Duluth. Suonavamo rock and roll, e rhythm and
blues ma il gruppo è svanito l'ultimo anno di scuola superiore.
Ricordo di aver ascoltato un disco -penso fosse del Kingston Trio o di
Odetta o di qualcuno del genere -e di essermi
avvicinato alla musica folk. Il rock and roll sembrava finito.
Ho scambiato la mia chitarra con una Martin che ora non ven-
dono più, forse era una 0018, comunque era marrone. La mia
prima chitarra acustica. Una grande chitarra. Poi, a Minneapo-
lis o a St. Paul, ho ascoltato Woody Guthrie. E quando ho
sentito Woody Guthrie, be'... era... tutto.
ROLLING STONE: Cosa ti ha colpito in lui?
DYLAN: Ho sentito i suoi vecchi dischi, dove canta con Cisco Hou-
ston e Sonny (Terry) e Brownie (McGhee), e poi le sue canzo-
ni. Mi ha colpito il suo carattere indipendente. Infatti nessuno
ne parlava mai. Così ho raccolto tutti i suoi dischi che riuscivo
a trovare e li ho imparati tutti, con ogni mezzo. Quando sono
arrivato a New York, cantavo più che altro le sue canzoni e le
canzoni folk. In quel periodo incontravo altre persone che suo-
navano lo stesso genere di musica, mi veniva naturale combi-
nare tra loro elementi di musica delle montagne del sud con
pezzi di bluegrass, o ballate inglesi. Potevo ascoltare una can-
zone una sola volta e impararla immediatamente. Così, quando
sono arrivato a New York, potevo fare molte cose diverse. Ma
non avrei mai pensato di ritrovare il rock and roll.
ROLLING STONE: Lo rimpiangevi?
DYLAN: Non proprio, la situazione folk mi piaceva. Era una comu-
nità intera, una rete di contatti che si estendeva in diverse cit-
tà degli Stati Uniti. Potevi partire da qui per andare in Cali-
fornia e avere sempre un posto dove stare, suonare sempre da
qualche parte, e incontrare persone. Oggi, cosa fa un folksin-
ger? Canta le sue canzoni. Ma quello non è un folksinger. I
folksinger cantano le vecchie canzoni folk, le ballate.
Ho incontrato molti folksingers a New York, e ce n'erano
molti anche nelle Città Gemelle. Ma anche in Inghilterra ho
incontrato alcune persone che conoscono davvero quel tipo di
canzoni. Martin Carthy, e anche un altro che si chiama Nigel
Davenport. Martin Carthy è incredibile. Ho imparato moltissi-
mo da Martin. Giri From The North Country è ispirata a una
canzone che ho sentito cantare da lui, la stessa Scarborough
Fair da cui Paul Simon ha tratto la sua canzone.
ROLLING STONE: Credi che il folk possa tornare di moda?
DYLAN: Be', sì, potrebbe accadere. Ma la gente dovrebbe tornare
indietro e cercare le canzoni. Non lo fa più nessuno. Stavo di-
cendo a qualcuno che quando vai a vedere un folksinger, ormai
vai ad ascoltare qualcuno che canta le sue canzoni, e questa
persona mi dice: 'Be', sì, ma tu sei quello che ha iniziato a
farlo!" E in un certo senso è vero. Ma io non avrei mai scritto
una canzone se prima non avessi suonato tutte le vecchie can-
zoni folk. Non avrei mai pensato di scrivere una canzone. Oggi
non c'è alcuna dedizione verso la musica folk, nessun riconosci-
mento di quella forma espressiva.
ROLLING STONE: Ti sei reso conto di aver influenzato molti cantanti,
nel corso di questi anni?
DYLAN: È la forma espressiva. Penso di aver usato una formula che
non era mai stata usata prima. Non voglio vantarmi, o magari
sì. (Risate). Quando ascolto la radio, non importa che tipo di
musica trasmetta, so che se torni indietro abbastanza troverai
qualcuno che ascoltava Bob Dylan, da qualche parte, qualcuno
che usa lo stesso tipo di fraseggio, talvolta persino lo stesso
tipo di melodia. Quando ho cominciato a fare quel tipo di
musica, nessuno ne parlava. Per la musica avere successo, a
tutti i livelli... Be', ci sarà sempre un tipo di musica pop adat-
to alla radio, ma le sole persone che avranno successo saranno
quelle che dicono qualcosa che è loro compito dire. Intendo
dire che solo pezzi come Tutti Frutti possono arrivare così lon-
tano.
ROLLING STONE: Come il recente revival rockabilly?
DYLAN: Il revival del rockabilly riguarda sia lo spirito che l'atteg-
giamento.
ROLLING STONE: Ti sei reso conto dell'importanza del punk rock men-
tre stava nascendo? Ascoltavi i Sex Pistols e i Clash?
DYLAN: Sì. Non ascoltavo sempre quel tipo di musica ma mi sem-
brava un passaggio logico, e lo sembra ancora. Penso sia stata
danneggiata in molti modi dall'industria della moda.
ROLLING STONE: È vero che hai visto i Clash?
DYLAN: Sì. Li ho incontrati in Inghilterra nel 1977 o nel 1978.
Penso che siano grandi. In effetti, penso che siano migliorati.
ROLLING STONE: Vuoi dire da quando Mick Jones se n'è andato?
DYLAN: Sì. È interessante. Ci sono voluti due chitarristi per rim-
piazzarlo.
ROLLING STONE: Che ne dici di Prince? Lo hai mai incontrato a Min-
neapolis?
DYLAN: No, mai.
ROLLING STONE: E Michael Jackson, l'hai mai incontrato?
DYLAN: No, non credo. Ho incontrato Martha and the Vandellas.
ROLLING STONE: I tuoi figli ti dicono, a proposito dei nuovi gruppi,
cose del tipo "Dovresti tener d'occhio Boy George"?
DYLAN: Qualche anno fa, lo facevano. Mi piace quasi tutto.
ROLLING STONE: I tuoi ragazzi suonano?
DYLAN: Sì, tutti.
ROLLING STONE: Li incoraggeresti ad entrare nel business musicale?
DYLAN: Non li spingerei, nè l'incoraggerei mai. Voglio dire, io non
ci sono mai entrato come si entra in un business. Ci sono en-
trato per sopravvivere. Non direi mai a qualcuno di entrarci co-
me in un business. Per quel che ho visto io è un business abba-
stanza spietato.
ROLLING STONE: Cosa dici ai tuoi figli a proposito di argomenti come
il sesso e le droghe?
DYLAN: Non mi fanno molte domande su questi argomenti. Credo
che imparino abbastanza anche solo standomi intorno.
ROLLING STONE: Ad un certo punto delta tua vita hai avuto un perio-
do di droga, non è così?
DYLAN: Non sono mai stato dipendente da nessuna droga, non co-
me si direbbe "Eric Clapton: il suo periodo di droga".
ROLLING STONE: Hai mai preso LSD?
DYLAN: Non voglio dire niente che incoraggi qualcuno, ma, chi lo
sa? Chissà cosa ci mettono nelle tue bibite, o che tipo di siga-
retta stai fumando?
ROLLING STONE: Quando persone come Jimi Hendrix e lanis loplin sono
scomparse, hai pensato fosse una perdita?
DYLAN: Jimi, pensavo, è stata una grande perdita. Ho visto Jimi...
Oh, come è stato triste vederlo. Era sul sedile posteriore di
una limousine in Bleecker Street, proprio... Non potevo nem-
meno dire se era vivo o morto.
ROLLING STONE: Le tue vecchie canzoni mantengono per te lo stesso
significato che avevalto quando le hai scritte?
DYLAN: Sì. Standocene qui è difficile immaginarlo, eppure sì.
Quando consideri certe cose è come se fossero state scritte ie-
ri. Quando le canto, delle volte mi dico: "Wow! Da dove ven-
gono questi versi? È stupefacente" .
ROLLING STONE: Le consideri ancora canzoni di protesta? O non le
hai mai considerate tali?
DYLAN: Penso che, in un certo senso, tutte le mie canzoni siano di
protesta. Mi sembra sempre che la mia posizione o il mio po-
sto siano venuti dopo quella prima ondata, o forse la seconda,
di rock and roll. Credo anche che non avrei mai fatto quelle
canzoni se avessi solo ascoltato la radio.
ROLLING STONE: A un certo punto non ti sei dissociato dalla protesta?
DYLAN: Be', vedi, io non l'ho mai chiamata protesta. La protesta è
qualcosa che va contro la normalità stabilita. E chi è stato il
promotore della Protesta? Martin Lutero.
ROLLING STONE: È vero che Like A Rolling Stone è stata fatta in una
sola volta?
DYLAN: Sì, una sola registrazione. È incredibile. Dà una sensazione
di tale unità. È successo in quel periodo, sai, quando faceva-
mo, oh... sei, otto, dieci pezzi ogni volta. Entravamo in sala e
ne uscivamo il giorno dopo.
ROLLING STONE: Anche Another Side Of Bob Dylan è il risultato di
una session durata tutta una notte?
DYLAN: Be', anche quel disco è stato fatto abbastanza in fretta.
Ma era più facile, ero solo io. Eppure facevamo la stessa cosa
anche quando c'era il gruppo. Non credo sarebbe stato possibi-
le fare Like A Rolling Stone in un altro modo. In che altro mo-
do avresti potuto farla?
ROLLING STONE: Che equilibrio riesci a mantenere tra le esigenze di
un moderno studio di registrazione e il fatto che molte tra le cose
migliori che hai fatto sono state realizzate così rapidamente?
DYLAN: Proprio in questo periodo sto mutando il mio punto di vi-
sta. Progetto di fare più cose acustiche in futuro. Credo che
nel mio prossimo album ci saremo solo io, la mia chitarra e
l'armonica. Non voglio dire che sarà tutto così ma alcune can-
zoni senz'altro. Lo so.
ROLLING STONE: A cosa somiglia la tua musica più recente?
DYLAN: Scrivo come viene. Non è diverso da prima ma probabil-
mente molte canzoni sono costruite in modo diverso. Cosl po-
trebbero sembrare qualcosa di nuovo. Non credo di aver tro-
vato qualche nuovo accordo o qualche nuovo giro armonico, o
magari qualche nuova parola che non sia mai stata detta pri-
ma. Credo che assomiglino abbastanza alle solite vecchie cose,
rimaneggiate.
ROLLING STONE: Ho sentito un pezzo escluso da Infidels intitolato
Blind Willie McTell. È una bella canzone. Uscirà mai?
DYLAN: Non penso di averlo registrato nel modo giusto. Non so
come sia venuta fuori quella roba. Voglio dire, non viene mai
fuori da altra gente.
ROLLING STONE: Ci sono molti interessi in gioco. Potresti raccogliere
tutti i tuoi pezzi non usciti in un volume di venti album o qual-
cosa del genere.
DYLAN: Sì, come i Basament Tapes. Ma non ho intenzione di farlo.
Se ho scritto una canzone tre anni prima, raramente torno in-
dietro a recuperarla. La lascio sola. Non mi sono mai veramen-
te piaciuti i Basament Tapes. Voglio dire, erano solo canzoni
fatte per la mia casa editrice di musica, per quel che ricordo.
Venivano usate solo come base perche altri artisti registrasse-
ro. Non le avrei mai fatte uscire. Ma, sai, la Columbia ha vo-
luto farle uscire, cosa ci potevo fare?
ROLLING STONE: Non pensi che quel materiale abbia un'atmosfera particolare
proprio per questo?
DYLAN: Non ricordo. Qualcuno mi ha detto che è musica molto
americana, qualcosa del genere. Non capisco cosa significhi.
ROLLING STONE: Allora non ti verrebbe mai in mente di far uscire le
registrazioni del 1966 al concerto alla Royal Albert Hall di Lon-
dra, un altro grande bootleg?
DYLAN: No. Non le farei uscire perchè non penso che siano buone.
ROLLING STONE: Quel bootleg è grande! Mi stupisce che tu non voglia
vederlo prodotto in modo legale e registrato bene.
DYLAN: Be', vedi, la Columbia non si è mai offerta di farlo. Lo
hanno fatto con i Basament Tapes e con l'album al Budokan.
Ma non si sono mai offerti di pubblicare un album storico o
qualcosa del genere. E credimi, se avessero voluto farlo, l'a-
vrebbero potuto fare.
ROLLING STONE: A proposito del Budokan...
DYLAN: L' album al Budokan era stato pensato solo per il Giappo-
ne. Mi hanno costretto a fare un album dal vivo per il Giap-
pone. Suonavo con lo stesso gruppo che avevo usato per Street
Legai ed eravamo appena entrati in sintonia quando loro hanno
registrato l'album. Non l'ho mai considerato in nessun modo
rappresentativo, nè del mio genere o del mio gruppo nè del
mio spettacolo dal vivo.
ROLLING STONE: È successo nel periodo in cui i critici dicevano che
frequentavi Las Vegas, vero?
DYLAN: Be', credo che solo le persone che non sono mai state a Las
Vegas avrebbero potuto dire qualcosa del genere.
ROLLING STONE: Penso che si riferissero agli abiti che indossavi in quel
periodo. Dicevano che sembravi Neil Diamond.
DYLAN: Be', questo ti mostra quanto siano cambiati i tempi dal
1978; allora potevi essere criticato per quello che indossavi.
Voglio dire, adesso puoi vestirti come ti pare. Vedi uno che
porta un abito da scena e funziona, va bene cosl. Te lo aspetti.
Hai visto che mucchio di roba è stata scritta su di me? La
gente deve essere matta. Voglio dire: la gente competente. So-
prattutto durante il tour di Street Legal. Penso che non si riu-
scirà più a riunire un gruppo come quello. Era una grande riu-
nione. E cosa ha detto la gente? Voglio dire: la gente compe-
tente, che conosce meglio le cose. Tutto quello che ha visto è
stato "Bruce Springsteen", solo perche c'era un sassofonista.
Ed era disco... be', non c'era niente di disco.
ROLLING STONE: Mi è sembrato che durante la tua carriera tu sia sta-
to, in un certo senso, infallibile, fino a Self Portrait del 1970.
Che storia c'è dietro quell'album?
DYLAN: In quel periodo vivevo a Woodstock e avevo un alto grado
di notorietà senza fare niente; poi ho avuto quell'incidente in
motocicletta che mi ha messo fuori gioco. Quando mi sono sve-
gliato e ho ripreso i sensi mi sono reso conto che stavo lavoran-
do per tutte quelle sanguisughe. E non volevo farlo. In più avevo
una famiglia e volevo proprio vedere i miei figli. Mi ero anche
reso conto che stavo rappresentando moltissime cose di cui non
sapevo niente. Per esempio si pensava che io fossi in acido. Era
una situazione tipo "assalto all'ambasciata" -Abbie Hoffman
nelle strade -e ci si immaginava che io fossi il fulcro di tutto
questo. Ho detto "Un attimo, sono solo un musicista e le mie
canzoni parlano di questo e di quello. E allora?" Ma la gente ha
bisogno di un leader. Molto più di quanto un leader ha bisogno
della gente, davvero. Voglio dire, chiunque può venir fuori e di-
ventare un leader, se la gente ne vuole uno. Ma io non volevo.
Ma poi giunsero le grandi novità su Woodstock, su come
vivevano i musicisti ed era come un'ondata di follia che vagava
libera intorno alla casa giorno e notte. Potevi entrare in casa e
trovarci delle persone, la gente arrivava attraverso i boschi, a
tutte le ore del giorno e della notte, a bussare alla porta. Era
tetro e deprimente. E non c'era modo di rispondere a tutto
questo. Era come se ti stessero succhiando via tutto il tuo san-
gue. Ho detto: ora, aspetta un pò questi non possono es-
sere i miei fans. Non possono proprio esserlo". Ma continuava-
no a venire. Fummo costretti ad andarcene.
È stato all'incirca nel periodo di quel festival a Wood-
stock, che era la sintesi definitiva di questa massa di stronzate.
E sembrava che avesse qualcosa a che fare con me, questa Na-
zione di Woodstock e tutto ciò che rappresentava. Non riusci-
vamo a respirare. Non avevo nessuno spazio per me e per la
mia famiglia e non c' era alcun sostegno, da nessuna parte. Ho
accumulato molto risentimento su tutta la storia e ce ne siamo
dovuti andare.
Siamo andati a New York. Ripensandoci, è stata proprio
una stupidaggine. Ma c'era una casa libera in McDougal Street
e me lo ricordavo come un bel posto. Così, per passare inosser-
vato, ho comprato quella casa ma non era più la stessa cosa
quando ci siamo tornati. La Nazione di Woodstock aveva con-
quistato anche McDougal Street. C'era la folla, fuori dalla mia
casa. E allora ho detto: "Bene, andate a farvi fottere. Vorrei
che questa gente si dimenticasse completamente di me. Voglio
fare qualcosa che a loro non possa piacere, a cui non possano
riferirsi. Vedranno, ascolteranno e diranno: 'Be', passiamo al
prossimo. Lui non dice più niente. Non ci dà quello che noi
vogliamo'. Passeranno a qualcun altro". Ma tutta la storia non
ha funzionato. Perche l'album uscì e la gente disse: "Questo
non è quello che vogliamo", e diventò più risentita. E poi, io
avevo fatto quel ritratto per la copertina. Voglio dire, non c'e-
ra titolo per quell'album. Conoscevo qualcuno che aveva un
po' di colori e una tela quadrata e io l'ho riempita in cinque
minuti. E ho detto: "Bene, chiamerò quest' album Self Por-
trait" .
ROLLING STONE: Che fu deliberatamente interpretato dalla stampa come: ecco
chi è lui...
DYLAN: Sì, esattamente. Mentre per me era uno scherzo.
ROLLING STONE: Perchè hai fatto per scherzo un album doppio?
DYLAN: Be', non sarebbe stato un vero ostacolo come singolo; allo-
ra non sarebbe stato veramente brutto. Voglio dire, se ci metti
un mucchio di merda, puoi almeno farne un bel carico!
ROLLING STONE: Durante gli anni Sessanta c'era la sensazione che la
società stesse davvero cambiando. Guardando indietro, ti sembra
che sia molto cambiata?
DYLAN: Penso di sì. Molte volte la gente dimentica. Oggi puoi
prendere un aeroplano e volare dove vuoi, senza fermarti, di-
rettamente, ed essere Iì. Questo è recente. Puoi farlo dal
1940? Forse no, da dopo la guerra. E i telefoni? Scordali! Vo-
glio dire, mentre crescevo mi ricordo che c'era un telefono in
casa ma dovevi chiamare il centralino, e c'era il duplex con al-
tre sei persone. E quando riuscivi ad avere la linea, be', pote-
va esserci qualcun altro che parlava. lo non sono cresciuto con
la televisione. Quando la televisione è arrivata, le trasmissioni
iniziavano alle quattro del pomeriggio e finivano alle sette. Co-
sl avevi più tempo per... immagino per pensare. Non riesco a
ricordarmi esattamente come andavano le cose in quel periodo
ma certo negli anni Cinquanta e Sessanta è cambiato tutto.
I miei figli conoscono la televisione, usano i telefoni. Non
ci pensano neanche. Perfino gli aeroplani: io non sono mai sa-
lito su un aeroplano più o meno fino al 1964. Fino a quel mo-
mento, se volevi girare per il Paese, prendevi un treno o un
bus Greyhound, o facevi l'autostop. Non so. Non penso di es-
sere così vecchio o di aver visto tanto ma...
ROLLING STONE: Ricevi l'MTV (2) a casa?
DYLAN: No, non ce l'ho. Devo andare in città per vederla. E poi,
una volta trovato il posto che ce l'ha, posso restare Iì fino a
quando i miei occhi riescono a restare aperti. Fino a quando li
tengo sgranati, resto a guardare.
ROLLING STONE: Cosa pensi dei video? Pensi abbiano molta importanza?
DYLAN: Oh, per vendere dischi sì. Ma i video ci sono sempre stati.
David Bowie li ha fatti fin da quando ha incominciato. Una
volta ho visto un video e ho pensato fosse grande. Poi ho
ascoltato il disco alla radio ed era un niente. Eppure il video ti
fornisce un appiglio. Ne stavo giusto parlando l'altra sera con
Ronnie Wood. Era andato al concerto dei Duran Duran al
Garden e mi ha detto che era stato proprio buffo, perche die-
tro il palcoscenico c'era uno schermo gigante: che mostrava
enormi primi piani dei membri del gruppo. Ogni volta che mo-
stravano il primo piano di qualcuno il pubblico sembrava im-
pazzito: diventavano matti, capisci? Così, mentre mostravano il
primo piano di qualcuno del gruppo, il chitarrista stava facen-
do un assolo. Naturalmente ha pensato che stessero urlando
per lui. Allora ha ripetuto lo stesso assolo per scatenare la stes-
sa reazione ma non ha ottenuto nulla.
ROLLING STONE: Ricordo che l'altra sera volevi incontrarti con Ronnie
e Keith (Richards), per suonare con loro. Come è andata?
DYLAN: In effetti non è andata molto bene. Ma mi piace sempre
incontrare Keith o Woody o Eric o... Ci sono alcune persone
che mi piace vedere ogni volta che posso. Persone che suonano
in un certo modo. Si tratta proprio di uno stile musicale, capisci?
ROLLING STONE: Collaborate sempre?
DYLAN: Sì ma finisce per non succedere mai. Va così "Okay, è
grande, lo riprendiamo più tardi e lo finiamo". Ma non si fini-
sce mai niente davvero.
ROLLING STONE: I tuoi migliori amici sono quasi tutti musicisti?
DYLAN: I miei migliori amici? Cristo, fammi tentare di trovarne
uno. (Risate).
ROLLING STONE: Ce ne sarà qualcuno!
DYLAN: Migliori amici? Gesù, voglio dire, è...
ROLLING STONE: Devi pur avere un amico più caro?
DYLAN: Wow! Ecco una domanda che fa veramente pensare. Mi-
giori amici? Cristo, se devo pensare a chi è il mio migliore
amico penso che cadrò in una profonda e cupa depressione.
ROLLING STONE: Ce ne devono essere almeno uno o due, non ti pare?
DYLAN: Be', devono esserci... è necessario che ci siano... bisogna che
ci siano. Ma, sai, il tuo migliore amico è qualcuno che può mo-
rire per te. Voglio dire, è quello il tuo migliore amico, davve-
ro. Sì, è deprimente pensare chi potrebbe essere il mio miglio-
re amico.
ROLLING STONE: Che cosa farai quest'anno, oltre a un album e forse
un tour?
DYLAN: Be', sono felice di non fare niente. (Risate).
ROLLING STONE: Passi molto tempo in Minnesota?
DYLAN: Sì, ritorno Iì quando posso. Ho alcune proprietà fuori St.
Paul, una specie di fattoria che ho comprato nel 1974.
ROLLING STONE: Ma tu veramenti coltivi, in questa fattoria?
DYLAN: Be', crescono patate e grano turco ma non mi siedo sul trat-
tore, se è questo che intendi. Di solito sono qui o sulla West
Coast o nei Caraibi. Ho una barca laggiù, assieme a un altro.
Jokerman è venuta fuori navigando tra quelle isole. E molto
mistica. Le forme, laggiù, le ombre sembrano cosl antiche. In
un certo senso la canzone è ispirata dagli spiriti che loro chia-
mano jumbis.
ROLLING STONE: Hai ancora quella casa in California, quella grande
costruzione dall'aspetto strano?
DYLAN: È una storia... Se ne potrebbe ricavare un romanzo baroc-
co. lo ho cinque figli, e non riuscivo mai a trovare una casa
che fosse adatta. Mi piaceva quella zona perchè nelle vicinanze
c'era anche una scuola pubblica e i ragazzi potevano arrivarci
in bicicletta. Così ho comprato quella casa su circa un acro di
terra, dopo Malibu. Mia moglie l'ha vista e ha detto: "Va be-
ne, ma c'è bisogno di un'altra camera da letto". Allora ho tro-
vato qualcuno che disegnasse un'altra camera da letto. Bisogna
registrare i progetti e poi devono essere approvati -e per
questo che c'è la burocrazia. Cosl sono arrivati gli architetti e
subito hanno detto: "Bob Dylan! Bene! Qui faremo qualcosa
di spettacolare" .Comunque ci son voluti sei mesi perche pas-
sassero i progetti, solo per fare un'altra stanza. Voglio dire,
una stanza. Cristo! E così sono andato un giorno a vedere co-
me stava procedendo la stanza e loro avevano abbattuto la ca-
sa. Avevano abbattuto la casa! Ho chiesto ai tipi che stavano la-
vorando: "Dov'è la casa?" E mi hanno risposto che avevano
dovuto abbattere la casa per ristrutturarla, per quella stanza di
sopra.
ROLLING STONE: Sembrerebbe che qualcuno abbia voluto sfruttarti.
DYLAN: E non ti sembra vero? Voglio dire, è mai stato altrimenti?
Così, da cosa nasce cosa e io ho detto che, visto che avevano
abbattuto la casa, avremmo aggiunto più di una stanza. Ogni
volta che qualche artigiano passava di Iì, viaggiando in auto-
stop verso l'Oregon o tornando verso Baia, gli dicevamo:
"Senti, vuoi lavorare un po' qui?" E così facevamo i lavori di
falegnameria e di muratura. E finalmente è stata costruita. Poi
hanno chiuso la scuola vicina, i ragazzi se ne sono andati, Sara
se n'è andata e... io non sono riuscito a liberarmi di quel po-
sto. Per essere sincero non ho mai fatto fare nemmeno il pavi-
mento del soggiorno. E solo cemento.
ROLLING STONE: Vista la tua presenza nei Caraibi, avrai contatti con
il Rastafarianesimo.
DYLAN: Non proprio ma conosco molti Rasta. So che è gente che
crede nella Bibbia e per me è molto facile entrare in contatto
con chi crede nella Bibbia.
ROLLING STONE: Bene, e cosa succede se qualcuno è nato in un posto dove non
ci sono bibbie, sulle montagne tibetane, per esempio.
Potrebbe ancora essere salvato?
DYLAN: Non lo so. Proprio non lo so. Allen Ginsberg è un tibeta-
no, un buddista, qualcosa del genere. Non sono abbastanza in
contatto con questo tipo di situazione per dire qualcosa.
ROLLING STONE: A proposito di Allen Ginsberg, la Bibbia non dice
forse che l'omosessualità è un abominio?
DYLAN: Sì, certo. Lo dice.
ROLLING STONE: E però Allen Ginsberg è una brava persona, no?
DYLAN: Sì, be', non ho motivi per condannare qualcuno, perchè
beve o perchè è corrotto in senso ortodosso o perchè porta la
maglia al rovescio. Certamente tutto questo non interessa me.
Ma non tiro acqua al mio mulino, per ciò che riguarda questo
tipo di cose.
ROLLING STONE: Eri nel Minnesota quando a Minneapolis tentarono di
far passare quella legge contro la pornografia? La tesi era che la
pornografia è una violazione dei diritti civili delle donne. Che ne pensi?
DYLAN: Be', la pornografia è impressa abbastanza profondamente
nella società. Voglio dire, è in ogni cosa, non ti pare? Quando
vedo gli inserti pubblicitari alla TV, per realizzare i quali sono
stati investiti milioni di dollari, a me sembrano abbastanza se-
xy. Mi sembra, che, in qualche modo, stiano spacciando sesso.
ROLLING STONE: In un certo senso è quella la vera pornografia, perchè il
vero problema non è togliere di mezzo il sesso ma venderti
qualcosa.
DYLAN: Sì, voglio dire cacciarti quell'idea nel cervello. Ma si fini-
rebbe troppo lontano, in questo modo. Voglio dire, se cominci
col fare leggi contro le riviste pornografiche e quel genere di
cose, be', allora dove andrai a finire, qual è il limite? Dovrai
bloccare anche il più banale spettacolo televisivo.
ROLLING STONE: Le tue opinioni sull'aborto?
DYLAN: Aborto? Personalmente non credo che l'aborto sia cosl im-
portante. Penso che l'aborto sia esattamente l'argomento che
rende possibile evitare di pensare a tutto quello che è legato
all'aborto.
ROLLING STONE: Voglio dire, quando l'aborto è usato come metodo
anticoncezionale. ..
DYLAN: Be', penso che il controllo delle nascite sia un altro tranel-
lo in cui le donne non sarebbero dovute cadere ma ci sono ca-
dute. Voglio dire, se un uomo non vuole mettere incinta una
donna è un problema suo, capisci cosa intendo dire? È interes-
sante: arrestano le prostitute ma non arrestano mai quelli che
vanno con le prostitute. E tutto molto unilaterale. La stessa
cosa accade per il controllo delle nascite. Perchè fanno prende-
re alle donne tutte le loro pillole e se ne fottono in quel modo?
La gente ha usato contraccettivi per anni e anni e anni. Poi,
tutto d'un colpo, qualche scienziato inventa una pillola, è
un'industria da miliardi di dollari. E si finisce per parlare di
soldi. Come fare soldi da un'idea sul sesso. "Sì, ora puoi uscire
e fare l'amore con chi vuoi". Sai? Così hanno messo in testa a.
una persona: "Sì, se prendo una pillola...". Ma chi sa cosa fan-
no a una persona queste pillole? Penso che saranno superate.
Ma hanno già procurato un sacco di guai, proprio un sacco di
guai.
ROLLING STONE: Così la responsabilità è dell'uomo? La vasectomia è
la strada migliore?
DYLAN: lo la penso così. Se un uomo non vuole che la donna resti
incinta, allora è lui che deve preoccuparsene. Altrimenti, que-
sto è proprio l'abuso definitivo. Ma il problema non è l'aborto.
Il problema è l'intero concetto che accompagna l'aborto. L'a-
borto è il risultato finale dell'uscirsene e scopare con qualcuno,
tanto per cominciare. Il sesso casuale.
ROLLING STONE: Ma la questione dell'aborto è: si uccide una vita? È
una decisione della donna?
DYLAN: Be', se una donna vuole farsene carico immagino sia affar
suo. Voglio dire, chi si prenderà cura del bambino che arriva?
La gente che protesta contro l'aborto?
ROLLING STONE: A proposito di queste simpatie femministe...
DYLAN: Credo che le donne reggano il mondo e non credo ci sia un
uomo che ha mai fatto qualcosa senza che una donna glielo ab-
bia concesso o lo abbia incoraggiato a farlo.
ROLLING STONE: A questo proposito, c'è una canzone in Infidels, inti-
tolata Sweetheart Like You, in cui dici: "Una donna come te
dovrebbe stare a casa... a prendersi cura di una persona buona".
DYLAN: Effettivamente quel verso non è venuto esattamente come
volevo. Ma, oh... avrei potuto cambiarlo facilmente in qualco-
sa di meno tenero. Ma penso che il concetto sarebbe stato lo
stesso. Vedi una bella donna che cammina per strada, le dici:
"Che cosa fai per strada? Se sei cosl bella, perche hai bisogno
di questo?"
ROLLING STONE: Molte donne potrebbero rispondere che sono in strada perche
stanno andando a lavorare.
DYLAN: Non stavo parlando con quel tipo di donna. Non parlavo
con Margaret Thatcher o qualcuna di simile.
ROLLING STONE: Sei innamorato in questo momento?
DYLAN: Sono sempre innamorato.
ROLLING STONE: Ti sposeresti di nuovo? Credi nelle istituzioni?
DYLAN: Sì, certo. Non credo nel divorzio. Ma sono un grande so-
stenitore del matrimonio.
ROLLING STONE: Un'ultima domanda. Penso che molta gente ti consi-
deri un tipo abbastanza malinconico in questo periodo, anche solo
a giudicare dalle tue foto. Perchè rinforzare questa immagine chia-
mando il tuo ultimo album Infidels?
DYLAN: Be', c'erano anche altri titoli. Lo volevo chiamare Surviving
In A Ruthless World ma qualcuno mi ha fatto notare che i tito-
li dei miei ultimi albums iniziavano tutti con la lettera s... Cosl
mi sono detto: "Non voglio impantanarmi nella lettera s". E
poi, un giorno, mi è venuto in mente Infidels. Non so cosa si-
gnifichi.
ROLLING STONE: Non credi che quando la gente vede quel titolo, con
quella foto severa in copertina, si domandi: "Intende dire noi"?
DYLAN: Non so. Avrei potuto intitolare l'album Animals e la gente
avrebbe pensato la stessa cosa. Voglio dire, quale sarebbe una
parola che alla gente piacerebbe sentirsi dire?
ROLLING STONE: Che ne dici di Sweethearts?
DYLAN: Sweethearts. Si potrebbe intitolare cosl un album.
Sweethearts.
ROLLING STONE: Con una grande foto sorridente?
DYLAN: Sì.
1) Termine ebraico con il quale si designa il fanciullo che, compiendo il
tredicesimo anno, raggiunge in ambito religioso la maggiore età ed è quindi
tenuto all'osservanza dei precetti.
(N.d. T.).
2) Rete televisiva che trasmette, via cavo e per abbonamento, videoclips 24
ore su 24.
parte nona
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