PARTE SESTA
NASHVILLE INTERVIEW 1978
Riportiamo di seguito una parziale traduzione di un'intervista a Bob Dylan
trovata sulla Rete e realizzata il 2 Dicembre del 1978 a Nashville.
Questa intervista è stata registrata presso il Municipal Auditorium di
Nashville da una giornalista non identificata. Il nastro con questa
intervista circola da molto tempo ma è un ascolto di 18 minuti molto
frustrante.
L'incessante pizzicare e strimpellare la chitarra di Dylan troppo vicino al
microfono copre
la debole voce dell'intervistatrice rendendo quasi impossibile la
comprensione delle sue domande.
Cindy Bentley ha passato ore ad ascoltare il nastro tentando di interpretare
le domande.
Domanda: Cosa pensa di questo tour?
Bob Dylan: Bè, è un tour che va bene. E' stato buono. Intende quello
americano giusto? Ah mi sembra che sia andato bene.
Domanda: A dispetto delle recensioni lo continuerà?
Bob Dylan: Bè, non abbiamo avuto cattive recensioni dappertutto. Lo sa,
scelgono sempre solo quelle cattive. Forse solo una su dieci recensioni è
realmente negativa. Questo è tutto. Non è stato estremamente... intendo
estremamente cattivo. Se fosse andata così male non venderei dischi. La
gente saprà bene quello che gli piace e quello che non gli piace.
Domanda: Cosa farà dopo il tour?
Bob Dylan: Probabilmente faremo un altro tour. Probabilmente lavorerò a
qualche disco e torneremo on the the road.
Domanda: Ho letto in un'intervista che lei ha dichiarato che il suono
ottenuto in Blonde on Blonde è stato il più vicino al suono che lei sente
dentro di lei...
Bob Dylan: Già.
Domanda: Mi chiedevo se lei sentiva lo stesso sound in qualche album o
canzone recente?
Bob Dylan: Ci ho provato in Street Legal ma ho ascoltato l'album alla radio
e non aveva lo stesso suono che io pensavo avesse.
Domanda: Esegue qualche canzone nuova in concerto attualmente?
Bob Dylan: Ogni tanto ne facciamo qualcuna, sì.
Domanda: Come sono accolte?
Bob Dylan: Ah, benissimo.
Domanda: Ne eseguirà qualcuna stasera?
Bob Dylan: Probabilmente ne faremo una o due, probabilmente una.
Domanda: Qual è la sua preferita?
Bob Dylan: Bè, non so se la registrerò ma ho una canzone chiamata "Baby, am
I your stepchild?" che mi piace molto.
Domanda: E' diversa da molte delle canzoni di Street Legal?
Bob Dylan: No. Uhmm, direi di no. E' una versione più semplificata di, ah,
solo un uomo che parla ad una donna, che non lo tratta per niente
correttamente.
Domanda: Un mucchio di recensioni hanno riportato che lei è più consapevole
del pubblico ora di quanto non lo fosse prima e forse ha un rapporto più
aperto con il pubblico. E' d'accordo con queste affermazioni?
Bob Dylan: Bè, lo sono sempre stato. Lo sono sempre stato perchè ho iniziato
nei clubs. Credo che il tour al quale lei potrebbe riferirsi, dove hanno
detto che è successo questo - si riferiscono all'ultima cosa che tu hai
fatto - non... Quello è il modo in cui loro pensano debba essere. (risate)
Ho fatto così tanti dischi finora, la gente dovrebbe capire che il contenuto
delle mie canzoni si colloca dentro una certa area, ma dovrebbero anche
sapere da adesso che io sto ancora cercando un certo sound e devo fare
qualcosa per far sì che quel sound venga ottenuto. Per quanto... (pausa
lunghissima) Non lo so... Qual era la sua domanda?
Domanda: Era relativa al pubblico...
Bob Dylan: Penso che lei si riferisca al tour Dylan/The Band dove non
c'erano parole pronunciate durante i concerti, tranne forse un paio di
"grazie" e cose simili.
Quello è stato un tour insolito. Non c'era molto che potessimo fare durante
quel tour tranne suonare. E' stato un tour molto acclamato; da un punto di
vista artistico, non sono sicuro su come sia stato. Credo che abbia avuto un
sacco di pubblicità a causa di quello che era successo prima del tour stesso
- in termini di me stesso e The Band. Abbiamo avuto un sacco di problemi con
il suono in quel tour. Il livello di energia era così alto che era difficile
parlare con la gente nella folla.
Io ho sempre un rapporto con la folla in un modo o in un altro, ma questo è
uno spettacolo di canzoni.
Domanda: Una cosa che io mi chiedevo è: quando lei ha creato qualcosa,
quando ha terminato qualcosa, non si ritrova mai in una sorta di ciclo in
cui c'è un vuoto dopo che lei ha finito di realizzare qualcosa?...
Bob Dylan: Si.
Domanda: Uno spazio vuoto...
Bob Dylan: Vede, parlo per me stesso, non posso parlare per tutti gli
artisti, ma sicuramente quello che dico è vero per molti di loro. Tu non sei
mai soddisfatto di quello che hai fatto.
C'è sempre qualcosa davanti a te che è, capisci, dove tu stai andando, non è
dove tu sei stato. E' dove stai andando che importa e resti sempre da solo
dopo che qualunque cosa che tu abbia creato è reso pubblico. Sai, è bello ma
non puoi vivere sulle tue credenziali passate.
Domanda: Quindi lei pensa che si tratti di un ciclo senza fine?
Bob Dylan: Sì. Bè, una volta che tu hai abituato la tua mente ad essere
creativa in quel modo...
Domanda: Lei ha dichiarato che Bob Dylan non era realmente in Renaldo and
Clara (film scritto diretto ed interpretato da Dylan nel 1978, ndt). Mi
chiedevo se questo significa che Bob Dylan non è nella poesia e nella musica
che lei scrive?
Bob Dylan: Io ci sono lì. Non sono coscientemente conscio che Bob Dylan sia
lì. Io sono lì. C'è una sottile linea tra dove io sono e dove sono
proiettato.
Domanda: L'immagine che le altre persone hanno di lei, è come se
interpretassero lei in base a ciò che vedono. Lei prova a controllare quello
che gli altri vedono?
Bob Dylan: Bè, quello che vedono di me è me stesso. Io sono un artista, così
l'immagine di me stesso, l'immagine di me che gli altri vedono, è quella che
ricevono. Quando camminiamo per le strade, vediamo molte persone che ci
mostrano un volto che potrebbe non esprimere necessariamente quello che
stanno pensando. Tutti imparano ad assumere un'espressione - se sono tristi
fanno una faccia felice. La gente è condizionata a farlo. A me non interessa
essere una leggenda o avere un'immagine. Tutte queste cose non ti danno
nulla, sa? Non puoi andare troppo lontano con quel tipo di cose. Se sono in
uno stato di leggenda significa solo che sono passato attraverso un mucchio
di fasi diverse... e sono sopravvissuto.
Domanda: Perchè tutte le volte che lei fa qualcosa viene stroncato? Sembra
che tutti desiderino stroncare Bob Dylan.
Bob Dylan: Bè, alla gente piace pensare che loro..., ah (lunga pausa) Non so
perchè succede. Sono sicuro però che è vero solo in un certo senso, e non lo
è in un altro senso. Un mucchio di gente ha suonato un mucchio di diversi
tipi di musica. (pausa). Hanno stroncato Ray Charles quando ha realizzato un
album country. La cosa non lo infastidì poi molto.
Domanda: La gente si chiede perchè lei sta facendo il tour? Cercano di
criticarla. Se lei fa soldi non va bene, e cose simili...
Bob Dylan: Non so
Domanda: Non so?
Bob Dylan: Non so. Dovrebbe chiedere a loro...
Domanda: Fa qualcosa d'altro oltre ad essere occupato dalla musica?
Bob Dylan: No, nient'altro. Bè, sì, ma non a lungo. (Lunga pausa). Mi piace
aggiustare le cose. Mi piace lavorare con gli utensili.
Domanda: Guida ancora motociclette?
(Dylan aveva avuto un serio incidente con la sua moto anni prima, ndt)
Bob Dylan: Ne posseggo una. Non la guido troppo spesso.
Domanda: E amici? Ha molti amici?
Bob Dylan: Macchè, ne ho pochi. Posso contarli sulle dita di una mano.
Domanda: Vive in California ora? E' la sua casa-base?
Bob Dylan: Una specie di casa-base.
Domanda: Dove sarà negli anni '80?
Bob Dylan: (senza esitazione) Negli anni '80 sarò on the road.
Domanda: Ancora? Cosa pensa che succederà quando nessuno vorrà più pagare
per vedere Bob Dylan?
Bob Dylan: Credo che suonerò in posti piccoli. Non so.
Domanda: Ho un amico a Jacksonville che dice che esiste una sua canzone per
ogni stato d'animo che lui prova. Credo sia una cosa unica che un artista
possa estendersi all'intero spettro di emozioni.
Bob Dylan: (annoiato) Già.
Domanda: Cosa prova appena prima di salire sul palco?
Bob Dylan: Oh, sono assuefatto ormai.
Domanda: (L'intervistatrice capisce che Dylan è sempre più distratto) E'
difficile parlare ora?
Bob Dylan: Bè, sto iniziando a pensare ad alcune canzoni... alcune cose che
devo fare, già.
Domanda: Quanto tempo abbiamo ancora prima che lei debba andare?
Bob Dylan: Circa cinque minuti, credo.
Domanda: Oh, okay. (Inizia a dirgli qualcosa su come avrebbe avuto molte
altre domande da fargli se ci fosse stato più tempo, poi spegne il
registratore)
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PANORAMA -18 LUGLIO 1978
Il ritorno del profeta
Ora viaggia più protetto di un presidente della Repubblica, circondato da
una tribù di musicisti, ragazze del coro, tecnici del suono, gorilla
amministratori. Ma i suoi fan lo ricordano ancora quando, chitarra in
spalla, partecipava alle marce dei pacifisti, alle manifestazioni per i
diritti civili.
Anche la sua musica è cambiata: tutti i grandi classici, da Blowin' in the
wind a Maggie's farm, da Like a Rolling Stone a The times they are
a-changin', sono stati investiti da una raffica di arrangiamenti
rivoluzionari, a colpi di blues, jazz, rock, salsa, folk, hill-billy.
Vecchi e nuovi fan rimangono sconcertati. Almeno inizialmente. Poi, sotto
quella valanga di suoni inattesi, ecco farsi strada la celebre voce riasale,
acuta, di Bob Dylan, e il suo particolarissimo fraseggiare. E tutti
capiscono che, per l'ennesima volta, il profeta si è trasformato per
rimanere sempre uguale a se stesso: « Dylan si è sempre reinventato,
continuamente », hanno scritto recentemente David Dalton e Lenny Kay nel
loro libro sulla musica giovane (Rock '86, Mondadori}. « E' l'uomo delle
mille metamorfosi ».
La prima metamorfosi risale a vent'anni fa, quando Robert Allen Zimmerman,
nato nel 1941 a Duluth, Minnesota, scelse come nome d'arte per le sue prime
esibizioni nello stile di Little Richard e Buddy Holly il nome di Bob Dylan.
Seconda trasformazione: all'inizio deglì anni Sessanta Dylan scoprì Woody
Guthrie, il cantore dell'America povera, e fuggì a New York per conoscere il
vecchio maestro che stava morendo. In pochi anni diventò l'idolo del
Greenwich Village e le sue
canzoni entrarono nel repertorio dei piu celebri cantanti e complessi folk.
A metà degli anni Sessanta, nuova metamorfosi: Dylan scoprì che ìl rock
poteva diventare la « musica sacra » del nostro tempo: ai primi tentativi i
suoi vecchi fan cacciarono a fischi lui e la sua chitarra elettrica dal
Newport Folk Festival (1965). Ma Dylan conquistò una popolarità immensa e
dìventò, in ritardo di alcuni anni, il vero profeta della sua generazione,
il Mito al quale si ispireranno i giovani di tutto il mondo.
Nel 1966 subì un grave incidente motociclìstico; per quasi un anno scomparve
letteralmente, e su di lui corsero le voci piu incontrollate: era
paralizzato, ormai incapace di comporre. In realtà si era ritirato nella sua
casa di Woodstock, con la moglie Sarah (dalla quale ha avuto cinque figli).
Cominciava così la « lunga assenza » di otto anni, quella che Dylan stesso
ha definito "la mia amnesia ", interrotta da rarissime apparizioni in
pubblìco e dalla registrazione di tutta una serie di dischi in cui si
compiva un progressivo ritorno alla musica country e a temi più intimi.
Ma già sotto questo Dylan « intimistico » si preparava una nuova
metamorfosi. Il cantante si trasformava nel manager di se stesso, e
organizzava nel 1974 e nel 1976 due trionfali tournee negli Stati Uniti.
E adesso la prima tournee mondiale. Durante la tappa di Londra, Dylan ha
rilasciato in esclusiva questa intervista.
L' intervista
Domanda. Al suo ingresso in scena, a Londra, Norimberga o Parigi, dovunque
ha tenuto concerti, lei ha ricevuto un'ovazione fantastica. E' una cosa
esaltante, non le pare?
Risposta. No, perche non penso che fosse per me. Era una ovazione per
qualcun altro, o per qualcos'altro.
D. In questi giorni sulla stampa internazionale, si parla di lei come di un
mito, di una leggenda vivente, di un « poeta elettrico ».
R. Me ne frego. E mi rompe pure un poco. Nel momento stesso in cui mi
rifilano un'etichetta, è come se alzassero una barriera tra il pubblico e
me.
D. Il fatto di aver deciso di tornare sulle scene significa che la sua «
traversata del deserto» è finita?
R. Si, credo proprio di si. Sono nuovamente in pista.
D. Lo fa per denaro?
R. No. Certo, ho anche bisogno di soldi, e so come spenderli, ma è molto più
semplicemente perchè ho voglia di fare l'unica cosa che ho sempre saputo
fare: cantare e suonare. Sono un musicista, nient'altro che un musicista.
D. Allora non dovremo aspettare altri 12 anni per rivederla in scena?
R. No, l'amnesia è finita (ride)...
Dylan, in autobus, durante la sua tournèe europea: 16 concerti, 5 miliardi
di guadagno
D. Perchè nella sua nuova orchestra ha dato moltissimo spazio alle
percussioni?
R. Perchè nella mia musica sono essenziali. Le mie canzoni hanno bisogno di
moltissimo ritmo. La prossima volta girerò addirittura con tre batteristi.
D. Qualcuno ha detto che, facendosi accompagnare da un coro di tre belle
ragazze, lei si prepara la strada per i grandi cabaret di Las Vegas...
R. Pfff!
D. La leggenda vuole che la sua prima canzone sia stata dedicata a Brigitte
Bardot. E' vero?
R. Sì, ma adesso non me la ricordo più.
D. A che età ha comprato la sua prima chitarra?
R. A dodici anni. Era una chitarra elettrica. Allora adoravo Elvis Presley,
Chuck Berry , Buddy Holly, e suonavo musica rock. E poi, un giorno, ho
sentito un disco di Odetta, e tutto è cambiato.
D. Ma in partenza non è stato influenzato da Woody Guthrie?
R. No. Prima ci sono stati i rock and rollers, e poi Odetta, il Kingston
Trio, Harry Belafonte e The Carter Family. Guthrie è venuto dopo... ma che
impressione mi ha fatto! Mi ha letteralmente sconvolto, ho imparato a
memoria più di duecento sue canzoni
D. Quando ha lasciato la chitarra folk per quella elettrica, i suoi primi
fan non l'hanno affatto apprezzato...
R. Proprio per niente. A Newport mi hanno persino cacciato di scena, a
fischi, nel 1965 (ride). Poi, mi ci sono abituato ai fischi. Ne ho ricevuti
anche a Parigi e a Londra, nel '66. In fondo, credo che alla gente piaccia
fischiare. Come a un incon-
tro di catch.
D. Perche ha cambiato il suo nome da Zimmerman in Dylan ?
R. Perchè la gente cambia città, nazionalità, vita? Mi è venuto così, un
giorno, diciamo che mi è caduto di bocca, che mi è piaciuto e me lo sono
tenuto.
D.Non c'è, quindi, alcun rapporto col poeta Dylan Thomas?
R. Assolutamente nessuno. Se fossi stato un fan di Dylan Thomas avrei
cantato le sue poesie, o avrei scelto come nome Bob Thomas...
D. Lei è sempre stato molto riservato sulla sua infanzia. In un certo
periodo, ha anche sostenuto di essere orfano... Alcuni biografi hanno
parlato di un padre farmacista, minatore o elettricista...
R. No, niente di tutto questo. Mio padre era un uomo molto attivo, che
purtroppo da giovane è stato colpito da un attacco di poliomielite. Credo
che la malattia abbia posto fine a tutti i suoi sogni: non poteva quasi
neanche più camminare. E quando ci siamo trasferiti a nord, due dei suoi
fratelli che lavoravano come elettricisti hanno aperto un negozio, e l'hanno
preso con loro, come magazziniere.
D. Che studi aveva fatto, prima?
R. Nessuno. Mio nonno era arrivato dalla Russia all'inizio degli anni Venti,
faceva il venditore ambulante e cuciva scarpe. Aveva sette maschi e una
femmina. Mio padre non ha quindi mai avuto il tempo di andare a scuola:
doveva sempre fare qualche lavoretto, per portare soldi a sua madre. Poi è
morto nel 1968.
D. Qualcuno ha detto che l'incidente in moto del 1966 è stato come un segno
del destino, quando lei stava « bruciando » la sua vita...
R. Certo, non avrei potuto resistere a lungo a quel ritmo.
D. E poi è venuto un lungo periodo di silenzio, in cui lei si è come
volatilizzato.
R. Sì, era la mia « amnesia » ( ride)...
D. Dopo i concerti di Parigi chiuderà la tournee europea e andrà a riposarsi
da qualche parte ?
R. No. Vado in Svezia, poi torno in Inghilterra per un gigantesco festival
all'aperto in un aeroporto abbandonato, dove arriveranno più di centomila
persone. Dopo, continuo il mio giro in America, sino alla fine dell'anno.
Poi registro un nuovo al-
bum...
D. Ma dove e come trova il tempo per scrivere?
R. Dovunque e comunque.
D. Le vengono spesso idee e motivi di canzoni?
R. Sì, continuamente. E annoto subito le mie idee.
D. Ha un quaderno di appunti?
R. No, l'annoto su fogli staccati, come voi giornalisti.
D. Pensa che le sue nuove canzoni siano aderenti all'attualità come quelle
dei suoi esordi ?
R. Sì, ne sono convinto. E questo sarà ancora più evidente nel mio prossimo
album. Credo che le mie nuove canzoni rispecchino veramente il modo di
pensare della gente di oggi. Almeno, di quella che frequento io.
D. Di che gente si tratta?
R. Musicisti, suonatori, pittori. E gente che lavora. Io vado dappertutto,
dove c'è gente, la ascolto parlare, confidarsi, raccolgo il loro feeling.
D. Una canzone come The times they are a-changin' ha ormai 15 anni, ma lei
la canta sempre, non è stufo?
R. Ogni volta che la canto, ho l'impressione di averla scritta il giorno
prima.
D. Cosa pensa dei punk?
R. Be', non me ne intendo molto di quel movimento: ho ascoltato alcuni
dischi, ho visto alcuni gruppi... Credo che scatenino molta energia, e
questo è molto importante. Ma per essere sincero, io ascolto quasi
esclusivamente della buona musica, rhythm and blues, hill-billy, blues...
D. Perchè va sempre in giro con quegli occhiali neri? Si tratta di una forma
di aggressività?
R. No, al massimo di insicurezza. Credo di portarli soprattutto perche mi
piace portarli.
D. Un giorno ha detto di essere uno molto al di sotto dei 30 anni », e che
contava di restarlo il più a lungo possibile. Cosa dice oggi che ne ha 37?
R. Be', adesso sono uno "decisamente al di sotto dei 15 anni» (ride)...
D. Durante la sua "amnesia", alcuni dei suoi fan hanno costituito un Fronte
per la liberazione di Bob Dylan, per costringerla a uscire dal suo ritiro, a
riprendere il suo impegno. A un certo punto, fecero persino circolare la
voce che lei avesse comprato azioni di una industria di armamenti che
fabbricava il napalm...
R. Mai fatta una cosa del genere! Ho la mia armeria personale, ho pistole,
fucili, come tutti gli americani...del resto... ma na-
palm no, proprio no, soltanto armi un po' più tradizionali...
D. Lei abita sempre in quella sua incredibile casa di Point Zuma, in
California?
R. Sì, ma non ci sto molto spesso. È giusto un buco per dormire. Ma perchè «
incredibile» ?
D. Perchè è sormontata da una misteriosa e strana cupola di rame. Hanno
detto che è un nido d'aquila, un osservatorio, una cipolla pelata... Che
cos'è in realtà?
R. Un segno distintivo, per consentirmi di riconoscerla...
D. Quando ha divorziato, sua moglie Sarah non ha voluto quella casa?
R. No, se ne è andata da un'altra parte. E poi, lei non ci ha mai abitato
molto.
D. Va spesso a trovare i suoi figli ?
R. Ogni volta che ho l'opportunità di farlo.
D. Cosa farebbe se scoprisse che uno di loro si droga?
R. Be' penso che... (fa la mossa di dare un paio di schiaffi, ma quasi
teneramente; poi scoppia a ridere ). Dipenderebbe dalla droga che prende. E
poi, cosa ci si può fare? Si può solo parlare, spiegare, la gente vuole fare
le sue esperienze da sola. Io personalmente ho sempre agito così... E poi,
certo, bisognerebbe che la gente avesse abbastanza esperienza, abbastanza
senso della propria identità, abbastanza fiducia in se stessa... Per noi era
diverso: prendevamo le droghe e dicevamo « facciamo un'esperienza ». Ma io
non sono mai stato schiavo di una droga, anche se ne ho presa di tutti i
tipi (fa una smorfia).
In tutti i modi, non potete far schioccare la frusta per far vivere la gente
secondo le regole che volete imporre voi... Be', tornando ai miei figli...
non so cosa farei. Magari l'hanno già presa e non lo so (ride). Anzi, la mia
figlia maggiore ne ha sicura-
mente presa, ma io non ero da quelle parti...
D. Sapendo l'influenza che lei esercita su milioni di giovani, non pensa che
sia pericoloso continuare a cantare Everbody must get stoned?
R. Ma quella canzone ha tanti altri significati!
D. D'accordo, ma ne ha anche uno ben preciso.
R. La marijuana non è una droga come le altre... E oggi ci sono droghe molto
più pericolose dei miei tempi. Ce n'è una che chiamano « polvere d'angelo »,
è un tranquillante che danno agli elefanti. E la gente la prende per
planare. Credo che si possa fare tutto quello che si vuole fino al momento
in cui non si capisce che bisogna assumersi la propria responsabilità, sennò
tutto
è fottuto.
D. Come mai il suo film Renaldo e Clara è stato accolto piuttosto male negli
Usa?
R. Be', in un primo momento questo mi ha un poco scioccato, ma adesso me ne
frego. Non hanno voluto lasciarsi impressionare, ma io non avevo fatto quel
film per impressionare tutta la gente! E poi, l'hanno visto dal lato
sbagliato, hanno voluto soltanto vederci la storiella Bob - Sarah - Joan
Baez, mentre il film non ha niente a che vedere con quella storia. Io so che
è un bel film, e so anche che la gente deve abituarcisi, tutto lì.
D. In compenso, il film è stato favorevolmente accolto all'ultimo festival
di Cannes.
R. Eh già, che volete, nessuno è profeta in patria.
D. Pensa ora di girarne un altro ?
R. Sì. La pittura mi ha sempre appassionato. Per me un film è come un quadro
vivente che esce da un muro. Se Michelangelo e Cezanne tornassero in vita,
farebbero i registi.
D. Lei cita spesso Henry Miller tra le persone che l'hanno profondamente
influenzato. Perchè?
R. Penso che sia il più grande scrittore americano di tutti i tempi.
D. La prima volta che l'ha incontrato, di cosa avete parlato?
R. Abbiamo giocato a ping-pong (ride).
D. Fa sempre sua la definizione di Miller del ruolo dell'artista: «
inoculare al mondo la disillusione » ?
R. Sì.
D. Ha incontrato anche il presidente Carter?
R. Sì, è un amico. Una volta ho detto di lui che ha il cuore « al posto
giusto ». Ed è importante, questo!
D. L'ha rivisto recentemente?
R. No, non mi ha telefonato (ride).
D. Lei incontra molta gente quando è in tournee?
R. No. Lavoro, e non ne ho il tempo.
D. Lei preferisce mangiare in albergo o in ristorante ?
R. Non mi piacciono i ristoranti. E neppure gli alberghi. Mi piace mangiare
dove conosco la persona che ha preparato il pasto.
Dylan fa colazione nel suo albergo: "Sono solo un musicista"
D. Un giorno lei ha detto che l'insuccesso era preferibile al successo...
R. Sì, perche l'insuccesso genera il successo, mentre il successo è un punto
finale. Non ho mai avuto la sensazione di aver raggiunto il successo, e ne
sono felice. Se avessi quella convinzione, non sarei qui. E da un sacco di
tempo.
D. Lei crede in Dio?
R. Diciamo nella sua evidenza.
D. Pensa spesso alla morte?
R. Sì, spesso.
D. Si sente pronto ad affrontarla?
R. Io? Ah no, assolutamente no! Ho ancora tanto tempo per pensarci no?
(ride).
Philippe Adler
IN ITALIA NON CI VUOL VENIRE
Bob Dylan, grande artista ma soprattutto buon manager di se stesso, si è
messo in viaggio per tournee in Australia, Giappone, Nuova Zelanda, e alla
fine è ricomparso in queste ultime settimane davanti al pubblico europeo.
L'ultima volta nove anni fa i fan di mezza Europa lo avevano applaudito al
famoso festival pop dell'isola di Wight.
Aveva suonato per un'ora davanti a 200 mila persone e guadagnato 120
milioni. Questa volta dopo tutti e 16 gli spettacoli (l'ultimo lo terrà
nell'aeroporto di Blackbushe il 12 luglio: si calcola che complessivamente a
quel punto lo avranno visto almeno in 400 mila spettatori) potrà portare a
casa quasi cinque miliardi di lire.
L'accoglienza è stata dappertutto entusiasta. A Londra i biglietti per i
concerti allo stadio di Earls Court erano esauriti parecchi giorni prima del
debutto, il 16 giugno, e a mercato nero un posto che normalmente costava 35
mila lire poteva arrivare senza difficoltà anche alle centomila. E anche a
Rotterdam in Olanda il pubblico non lo ha lasciato fino alla fine dello
spettacolo, nonostante la pioggia cadesse a dirotto, mentre a Norimberga, in
uno stadio da centomila posti, si è scatenato un fanatismo ormai vecchia
maniera. Soltanto a Dortmund e a Berlino l'entusiasmo non ha raggiunto il
colmo.
Sotto la grande volta di ferro del Pavillon de Paris, nel vecchio mattatoio
alla periferia di Parigi trasformato in teatro, agli inizi di luglio, gli
applausi più calorosi sono venuti dai vecchi fan, sulla quarantina, che sono
andati a sentirlo in giacca e cravatta. Come uscirà Dylan dalla prova
europea (lo aspettano ancora due tappe, in Svezia e in Inghilterra) ?
Certamente in piedi, più famoso e più ricco che mai, come hanno scritto i
quotidiani parigini all'indomani del suo concerto. Nel bene e nel male Dylan
è un mito che resiste. Si prevede per esempio che venderà milioni di copie
anche del suo ultimo Lp con le nuove canzoni, ancora una volta di protesta e
di amore. Si intitola Street legal ed è uscito contemporaneamente in tutto
il mondo l'8 giugno. Solo in Italia ne saranno distribuite ai negozi 400
mila copie, e le prime 60 mila sono letteralmente andate a ruba. « Non c'è
da stupirsi. Quando si parla di Bob Dylan il successo è comunque sicuro »,
dice Goffredo Fofi, uno dei critici di spettacolo più brillanti della nuova
sinistra, grande ammiratore di Bob Dylan, che però non aveva mai visto in
concerto prima d'ora. È stato a Parigi con uno dei tanti gruppi di italiani
che hanno inseguito Dylan e la sua "band" all'estero. "Che tristezza però!
In fondo era quello che ci aspettavamo, si sa che non può più essere quello
di una volta. Ma per chi ha seguito fin dagli inizi e amato il più grande
poeta degli anni 60 fa male al cuore ritrovarselo così. E' un musicista
perfetto, ma il poeta non esiste più ».
« Nemmeno quando attacca con i vecchi successi è più convincente: con il
nuovo arrangiamento anche Blowin'in the wind non ha la forza e la sincerità
di una volta. E The times they are a-changin'? Si è vero: i tempi sono
cambiati, ma in che direzione! ».
E tuttavia il personaggio affascina ancora, anche i giovanissimi che ne
hanno sempre sentito parlare come del papà degli ultimi cantautori italiani.
C'erano soprattutto ragazzi dai 17 ai 20 tra i mille iscritti a un viaggio
in pullman per il concerto di Norimberga organizzato da una agenzia e
pubblicizzato dal settimanale di musica Ciao 2001: 110 mila lire per il
concerto e quattro giorni in albergo. Ma tantissimi altri, almeno un altro
migliaio, si sono arrangiati per proprio conto.
Se fosse venuto in Italia ci sarebbero state folle anche più entusiaste che
altrove, assicurano in molti.
Ma Dylan non vuol venire, per quante richieste gli siano state fatte. A un
giovane milanese che è riuscito a raggiungerlo e a chiedergli il perchè
della esclusione, ha risposto che ha paura delle contestazioni. Così chi non
può raggiungerlo all'estero non ha che due consolazioni: il film sulla sua
toumee americana di due anni fa, Rolling thunder revue, al Filmstudio di
Roma in questi giorni, e L 'ultimo valzer che si proietterà in settembre e
in cui fa una apparizibne. Renaldo e Clara, il film autobiografico che ha
prodotto, diretto e interpretato (e che è stato un tonfo in America) in
Italia non arriverà.
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L'INTERVISTA DI NILS CHIOLER
11 LUGLIO 1978
Aeroporto Landvetter, Goteborg, Svezia. Mandata in onda dalla televisione
svedese lo stesso giorno.
Nils: Bob Dylan, il simbolo degli anni sessanta...
Bob Dylan (seccato e di fretta): Per chi?
Nils. Per i giovani degli anni sessanta.
B.D. (sempre più scortese): Chi lo ha detto? Io non l'ho mai detto.
Nils: Non sei stato tu?
Credi che ci sia una differenza tra il te stesso degli anni sessanta ed il
Bob Dylan di oggi?
B.D.: Non sono in grado di dirtelo. C'è differenza tra il te stesso di oggi
e quello degli anni sessanta?
Nils: Oh, penso di sì, certo. Non credi che la tua musica si sia evoluta,
rispetto agli anni sessanta.
B.D.: Può essere.
Nils. Quando sei in giro in tour, credi che quelli che vengono a vederti
siano un pubblico diverso da quello che ti seguiva negli anni sessanta?
B.D.: No. E' lo stesso. Fondamentalmente lo stesso.
Nils: Credi di non essere capace di raggiungere la nuova generazione più
giovane...?
B.D.: Non saprei.
Nils: Pensi che ci sia una differenza tra te e le canzoni che scrivi?
B.D.: Non credo.
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L'INTERVISTA DI METTE FUGL - 11 LUGLIO 1978
Aeroporto Landvetter, Goteborg, Svezia. Mandata in onda parzialmente dalla
televisione danese il 12 luglio 1978
Domanda: Okay, una volta hai scritto canzoni che parlavano dei tuoi sogni.
Hai scritto "Bob Dylan's Dream," "Bob Dylan's 115th Dream"... Attualmente
cosa stai facendo?
Bob Dylan: La stessa cosa.
D: Quale sarebbe la tua versione del 1978 di una canzone visionaria?
B.D.: Tutte quelle che scrivo.
D: Okay. Quasi qualsiasi cosa che tu abbia mai fatto è stata bollata come
"puro genio". Nel tuo grande successo c'è posto per l'autocritica nei
confronti dello sviluppo artistico?
B.D.: Mmmm, sicuro.
D: Quando qualcuno dice che si tratta di puro genio si tratta di puro genio?
B.D.: Non credo che qualcuno lo dica.
D: Hai dichiarato in varie interviste che le tue canzoni non hanno contenuti
politici nè un valore sociale. Però ancora oggi tu attiri l'attenzione di
una delle più grandi folle nella storia della musica popolare. Non significa
forse che le tue canzoni hanno un'importanza sociale?
B.D.: In che senso?
D: Sono solo i tuoi ammiratori, il tuo pubblico, che trovano un interesse
nel contenuto delle tue canzoni o sei proprio tu che metti dei contenuti?
B.D.: Può essere.
D:. Ma non vuoi discutere di questa cosa?
B.D.: Beh, no. Non sai mai quello che succede nelle menti degli uomini.
D. No e tu non vuoi. Però hai scritto canzoni su Hurricane Carter e Joey
Gallo e hai dedicato il tuo ultimo album ad Emmett Grogan. Questi tre uomini
hanno una cosa in comune. Sono una sorta di fuorilegge. Hai la sindrome del
fuorilegge?
B.D.: No, per niente.
D: Per niente. Come mai hai dedicato le tue canzoni a sbandati dagli occhi
tristi ed a rudi cavalieri?
B.D.: Beh, semplicemente è successo che fossero in prima linea nella mia
immaginazione.
traduzione di Michele Murino
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L'INTERVISTA DI LYNNE ALLEN
12 Dicembre 1978
The Omni, Atlanta
INTERVISTA CON UN'ICONA
Bob Dylan esaudisce il pubblico
Se ci ripenso
non avrei mai dovuto farlo
Suppongo di averlo lasciato accadere
Se avessi vissuto la mia vita secondo quello che pensano gli altri
Questo cuore dentro di me sarebbe morto
Ero semplicemente troppo testardo per essere governato da una forzata follia
Qualcuno dovrebbe allungare la mano ed afferrare la stella nascente
Suppongo tocchi a me
(Up to me)
(c)1974 Ram's Horn Music
Bob Dylan è una leggenda del suo tempo. Non una superstar commerciale,
perchè Dylan non riceve dischi di platino e neanche fa il tutto esaurito ad
ogni sua esibizione dal vivo. Dylan è semplicemente un personaggio
leggendario, enigmatico e misterioso. Familiare, eppure strano.
E' stato detto che Dylan non è che la metà del mito che egli crede di essere
e che è Dylan stesso il costruttore del mito, che ci vende ogni nuova fase
della propria vita e della propria carriera, mentre - come il suo
discendente David Bowie - si libera con disinvoltura di ogni vecchia
maschera con la stessa facilità con cui un attore cambia il proprio ruolo di
film in film.
Dylan è stato anche accusato diverse volte di essersi venduto, o di essere
stato troppo distante, troppo in disparte, di non rivelare abbastanza, di
essere freddo e calcolatore, permettendoci di vedere soltanto quello che
egli vuole che si veda e niente di più. Ma non ha importanza, alla fine di
ogni analisi, egli è quel che ha creato.
Se gli anni '60 sono stati gli anni della sua formazione, gli anni '70 hanno
visto Dylan esser soggetto a molti cambiamenti nella propria vita. Dal padre
di famiglia ritirato dal mondo di 'Nashville Skyline' e di 'New Morning',
Dylan si è lentamente trasformato dirigendosi nei più complessi recessi
della sua mente, iniziando con l'album 'Planet Waves', che è stato una sorta
di segnale del suo ritorno, e proseguendo con 'Blood on the Tracks', che lo
ha condotto ancora più vicino alla propria anima, alla propria musa, che
alla fine gli è apparsa nelle vesti di Isis sull'album 'Desire'.
(In una fuga nel sogno non dissimile da quella della 'White Goddess' di
Robert Graves, che si è potuta trovare "tra i ghiacci o dove il sentiero
svaniva," Dylan si è unito alla sua dea dopo essere "arrivato alle piramidi
tutte incassate nel ghiaccio.")
Con 'Desire' nei negozi, Dylan ha ripreso la strada con il suo gruppo di
gitani.
La Rolling Thunder Revue richiama alla mente gli "Indiani Metropolitani,"
gruppo di giovani che fanno teatro in strada in Italia. Hanno girato gli
Stati Uniti suonando in posti relativamente grandi, accogliendo e perdendo
lungo la strada diversi artisti. 'Renaldo and Clara', il colossale e
controverso film di Dylan, è stato girato durante il viaggio con la Rolling
Thunder, durante un periodo tumultuoso nel quale il suo matrimonio ha
cominciato ad andare sempre peggio e la sua vita ha cominciato a scivolare.
Apparentemente incurante del logoramento, Dylan si è imbarcato nel tour più
imponente della sua intera carriera, nel 1978. Iniziato in Giappone, Nuova
Zelanda ed Australia, è finalmente giunto nel sud-est degli Stati Uniti nel
Dicembre dello scorso anno.
La prima volta che ho visto Dylan è stato a Binghamton, New York, nel
Settembre del 1978.
Ho sempre ammirato Dylan. Come sarebbe possibile non ammirarlo? Non ha
importanza in che modo uno consideri Dylan e/o la sua musica, è comunque
difficile negare il carisma mistico che gli ha fatto conquistare
riconoscimenti universali e gli elogi della critica.
Personalmente, ho sempre risposto in maniera favorevole a qualsiasi nuovo
corso Dylan avesse scelto di intraprendere, perciò nell'avvicinarmi a lui
dal punto di vista dei concerti dal vivo, ero già ben disposta nei suoi
confronti. Rimasi scioccata quando apparve sul palco. Sembrava stracciato e
sciupato (il che si è rivelato più tardi ingannevole. Trucco nero e pesante
intorno agli occhi che procurava strane ombre sul suo viso sotto le luci dei
riflettori). La musica, tuttavia, è stata persino più sorprendente. La mia
reazione iniziale fu completamente negativa, a voler essere buoni. A
paragone di quello che allora stava succedendo nel rock, la musica sembrava,
sinceramente, alquanto debole. I nuovi arrangiamenti dei brani sembravano
sgraziati e maldestri, calpestando la semplicità che ne aveva fatto
originariamente delle canzoni che funzionavano. Ma ascoltando più
attentamente scoprii che possedevano invece una limpida risonanza. Il suono
che si sentiva nella sala era eccezionale, ed i musicisti eccellenti. Di
certo non si trattava, come molte recensioni e molti recensori avevano fatto
intendere, "Las Vegas" nè tanto meno disco-music. Era solo Dylan, più
vecchio, ruvido e sciatto come sempre, persino nel suo nuovo vestito di
scena bianco e nero, con la sua band che suonava dietro di lui come una
piccola orchestra in perfetto sincronismo. Ho incontrato Dylan una settimana
dopo, ad una tipica festa tenuta dalla casa discografica per lui e per la
sua band, dopo uno degli spettacoli al Madison Square Garden.
Un amico mi ha presentato a Dylan, che sedeva ad un tavolo adiacente, ed ho
avuto la possibilità di osservarlo da molto vicino. Non ho avvertito
animosità da parte sua, nè aggressività o autodifesa; in effetti sembrava
piuttosto timido. La sua capacità di deviare la conversazione da se stesso,
di tenere il discorso sul vago e di parlare di cose insignificanti, era
ovvia. Fumava una sigaretta dietro l'altra ed ha bevuto vino rosso tutta la
sera. Sembrava ubriaco a volte, bofonchiando le parole e ridendo molto, ma
in realtà poteva anche trattarsi di una recita. Dylan, il cinico enigmatico,
l'infallibile artista rimaneva sempre molto controllato. Tre mesi dopo, mi
sono imbattuta nel tour di Bob Dylan un'altra volta, questa volta giù nel
sud, a Birmingham, Alabama.
Sembrava trasandato come sempre, il Fante di Cuori aveva ancora una volta
spiazzato coloro che tra i suoi spettatori erano stati portati dagli
articoli della stampa a credere alla sua nuova immagine.
Il tour aveva quasi raggiunto la sua fine e la band era molto più affiatata
di quanto lo fosse in precedenza. Le canzoni non sembravano più rigide, ora
erano fluenti, ed erano perfette nella loro nuova forma.
Dylan parlò alla folla un sacco di volte quella sera, presentando le canzoni
con brevi storie o parabole, infondendo nuova vita a canzoni vecchie di 10,
o anche 15 anni.
Concluse lo show di quella sera con 'Forever Young,' una canzone che ha
dedicato ad uno dei suoi bambini.
"Questo è il nostro ultimo concerto - disse - Arrivederci, potremmo tornare
presto!"
Mentre andavo via dalla città, lasciai un bigliettino per Dylan al suo
albergo, dicendogli che mi sarebbe piaciuto intervistarlo, che non avevo
altri motivi al di fuori del desiderio di parlare. Lasciai il mio numero di
telefono e ritornai a casa mia, ad Atlanta.
Una settimana più tardi, nel retropalco dell'Omni di Atlanta, un ora prima
di salire sul palco, Bob Dylan siede nel suo camerino, strimpellando una
vecchia chitarra Martin che è ingiallita con l'età, e con il legno intorno
alle corde che è ormai tutto screpolato da anni e anni di uso.
Vestito con una camicia di flanella verde, pantaloni di pelle nera e
stivali, con gli occhi nascosti dietro occhiali scuri da pilota di aereo, è
rilassato e cordiale, l'antitesi della creatura guardinga che spesso i media
dipingono. La sua vecchia giacca di pelle nera giace accartocciata su una
delle sedie, un piccolo taccuino spunta da una delle tasche. Quelle che
sembrano essere zampe di gallina fanno capolino nella pagina aperta. "Sto
sempre scrivendo qualcosa" spiega Dylan mentre continua una ossessionante
melodia blues sulla sua chitarra.
Gli dico che ho notato un tema ben definito che ha caratterizzato i suoi
album recenti e che è culminato con 'Desire'. Non mi sembra molto felice
all'idea, tuttavia, e sottolinea il suo disaccordo con una vigorosa
schitarrata.
"Quell'album non ha un tema unitario. Non ha quel tipo di tema unitario
proprio di un concept-album. Naturalmente ho scritto quel disco con qualcun
altro ma l'ho sempre tenuto su di un binario sul quale pensavo che dovesse
andare. Posso guardare indietro a quel disco come a qualsiasi altro... ma
quando quell'album in particolare era in fase di realizzazione non sapevo
esattamente quello che stava succedendo, allora. Abbiamo provato a
registrarlo con un sacco di persone differenti in studio, con un sacco di
differenti tipi di suono ed avevo persino delle cantanti che facevano la
seconda voce ed i cori in quel album, per due o tre giorni, un sacco di
percussionisti, e cose del genere. Ma mentre il tempo passava io ero sempre
più irritato ed insoddisfatto di tutto il suono che ne scaturiva e alla fine
ho deciso di tenere solo il basso, la batteria e il violino."
"Quello era qualcosa di nuovo" - dice convinto Dylan. "Ma non riuscii ad
andare avanti in questa direzione, non quanto io volessi. Non ebbi la
possibilità di farlo. Volevo più armonica e violino insieme ma non avemmo la
possibilità di farlo. Ma, sì, tutto quel periodo, tutte quelle canzoni come
'Isis' e tutte le altre - cavoli, non le ho fatte per un sacco di tempo. Una
volta le facevo in continuazione..."
'Desire', nato dalla collaborazione di Dylan con lo scrittore Jacques Levy,
fu una sorta di dichiarazione di intenti profondamente mistica; il violino
catturava lo spirito libero e gitano così in tema con le canzoni e più tardi
con l'intera idea di base della Rolling Thunder Revue.
"Oh sì, si trattava esattamente di quello. Era precisamente quello il
concetto. Oh, sai, abbiamo lavorato a quel disco tutta la notte, fino al
mattino. Non ho dormito affatto durante la registrazione di quel disco, non
riuscivo a dormire. Volevo ascoltarlo ancora per dare davvero una risposta a
quelle domande in una maniera coerente."
"In qualche modo ti sei lasciato quel disco alle spalle," gli dico.
"No, non mi sono lasciato le canzoni alle spalle. Non mi sono mai lasciato
le canzoni alle spalle. Posso essermi lasciato alle spalle gli arrangiamenti
e l'umore delle canzoni. Ma non mi sono mai lasciato le canzoni alle
spalle."
A Newport nel 1965, Dylan scatenò la sua appena trovata elettricità su un
pubblico ignaro. O, come ha detto ad Atlanta, presentando la canzone
'Maggie's Farm': "Ero stato invitato a Newport nel 1965. Ero già stato
invitato lì in precedenza e non avevo mai provocato tanto scompiglio, ma
sono stato invitato nel '65 e ci andai e suonai questa canzone in
particolare. Ad ogni modo la gente mi prese a calci e mi buttò fuori dalla
città, davvero, perchè avevo suonato quella particolare canzone ed io non
riuscivo a capire perchè quella canzone avesse creato una tale protesta, ma
così fu! Si chiamava "I Ain't Gonna Work
on Maggie's Farm No More.'"
Anni dopo, dopo un apparentemente incessante serie di cambiamenti di
direzione, Dylan si trova ancora una volta ad affrontare lo stesso tipo di
critiche.
Dylan entra ed esce dalle più disparate forme musicali in questi giorni con
una facilità inusuale, echi di musica dei carnival show mescolata in maniera
armoniosa con ritmi primitivi da giungla e blues in stile Chicago, mentre
Dylan il Folksinger e Dylan il Poeta Elettrico di Newport ancora esistono.
Come a Newport, Dylan non ha ricevuto un riscontro molto favorevole in
risposta al suo nuovo sound. La gente sembra disturbata da questi strani
cambiamenti di stile. Dalla scarsa familiarità con il nuovo Dylan. Ma Bob
rifiuta di ristagnare, di essere etichettato, di essere inserito in una
categoria: "L'Arte è il perpetuo movimento dell'illusione," ha osservato una
volta. E Dylan vive davvero quello in cui crede.
Gli menziono un verso tratto da 'Idiot Wind': "Visions of your chestnut mare
shoots through my head and are making me see stars!" (Visioni della tua
cavalla saura balenano nella mia testa e mi stanno facendo vedere le
stelle). Il Dylanologo A.J. Weberman sostiene che le allusioni equine nelle
canzoni di Dylan facciano riferimento all'eroina. E' interessante notare che
'Idiot Wind' è stata scritta prima che Dylan facesse coppia con Jacques
Levy, co-autore (insieme con Roger McGuinn) di 'Chestnut Mare' anni prima.
"E' giusto! Già!" Dylan ride divertito. "Sono sicuro che è tutto collegato,
sai."
"Ma sì, ho avuto un paio di anni quando ho sperimentato quello di cui parlo
in quel tipo di canzoni, quelle che sono sull'album 'Blood on the Tracks'...
Farei qualsiasi cosa per scrivere una canzone...", ride. "O almeno ero
solito farlo in passato".
'Street Legal' sembra ripercorrere il sentiero attraverso tutti gli album
prima menzionati. E' il risultato dei cambiamenti, sia interiori che
esteriori.
"Hai ragione. Prendiamo una canzone come 'True Love Tends to Forget'..."
Dylan si accende una sigaretta. "Lo stato d'animo in cui mi trovavo quando
ho scritto quella canzone è - voglio dire che è molto significativo, se ci
pensi, sai... Il vero amore tende a dimenticare... Penso che sia il mio
album migliore". Io condivido. "Lo ascolto a volte in radio o su uno stereo
e mi rendo conto che è stato missato male e non suona granchè bene, ma cosa
puoi farci? Ho pubblicato 21 o 22 album con la Columbia Records. Perciò ogni
volta che fai un album vuoi che sia una cosa nuova, bella e diversa, ma
personalmente, quando poi guardi all'indietro e li riascolti, almeno per me,
tutti i miei album sono solo delle pietre di paragone che testimoniano dove
mi trovavo in un certo periodo di tempo. Andavo in studio, registravo le
canzoni al meglio che potevo, e me ne andavo. Di base, parlando
realisticamente, io sono un artista che deve esibirsi dal vivo e voglio
suonare sul palco per la gente e non fare dei dischi che possano suonare in
maniera eccellente."
Gli dico come secondo me il tour attuale cambia ogni volta che vedo un nuovo
concerto e come il suo gruppo mi sembra più affiatato man mano che il tour
prosegue.
"Sì, beh non sarà mai la stessa cosa per due sere di fila."
Dylan ha fatto di recente molti commenti in vari articoli della stampa a
proposito di questi prossimi anni '80. Nella sua intervista pubblicata sulla
rivista 'Rolling Stone' con il giornalista Jonathan Cott, Dylan ha
dichiarato: "Chiunque stia per fare qualcosa avrà le sue carte scoperte. Non
sarà più possibile tornare indietro negli anni '80".
Cosa voleva dire con questa affermazione? "Non so cosa intendessi dire con
quella frase", dice Dylan ridacchiando. "Io e Jonathan, ogni volta che mi fa
un'intervista, siamo sempre ubriachi. Non credo che tu debba mostrare le tue
carte tutte le volte, non intendevo dire quello." Continua: "E' come...
quando ho iniziato a suonare... è dura a dirlo a parole... Non so come
saranno gli anni ottanta. Immagino che un sacco di colla terrà insieme un
sacco di cose che in qualche modo ora come ora sono sparpagliate.
L'abbigliamento delle persone, capisci, alcune che indossano uniformi blu
con distintivi, probabilmente staranno fianco a fianco con casalinghe con i
capelli pettinati a riccioli, desiderando le stesse cose. Tutti questi
differenti elementi saranno - io credo - modellati insieme. Credo che la
gente sarà più onesta negli anni '80".
"Come negli anni '60?" domando...
"No, mai più così. Non credo che avverrà così...", mi risponde con
decisione.
Dylan ricorda molto bene gli anni Sessanta. Sono stati gli anni della sua
formazione, quelli che gli hanno fornito l'ispirazione per creare alcuni tra
gli esempi più potenti dell'arte del decennio. Le sue strane canzoni-poesie
rispecchiavano gli sconvolgimenti ed il caos di quei tempi. Dylan parlò per
una intera generazione, o così sembrò, e poi all'improvviso non volle avere
più alcun coinvolgimento con il movimento al quale egli stesso aveva dato
voce. Qualcuno disse che fu a causa del suo incidente motociclistico. Un
incidente nel quale rimase quasi ucciso, e che lo mandò a schiantarsi a
testa bassa in un incubo di sua creazione. Altri sostengono semplicemente
che si era innamorato, ed era deciso a vivere un'altra vita nella quale la
politica e la protesta non avevano alcun ruolo. Critici radicali come
Weberman lo accusarono di "andare alla deriva nell'indifferenza durante un
periodo in cui si richiedeva invece un'opposizione allo stato di cose."
"Sono sempre stato più legato al Movimento Beat," ammette Dylan. "Non so che
roba fosse il movimento hippie, quella era una cosa dei media, credo,
"Affitta un Hippie"... non so di cosa si parlasse. C'era un sacco di gente,
persone che conoscevo, nei primi anni '60, fino al '65 o al '66 che avevano
un tipo differente di relazioni. C'erano delle droghe, ma le droghe erano
solo un qualcosa di giocoso o qualcosa che non era stato "romanticizzato".
Le droghe erano sempre presenti nei folk club e nei jazz club, ma al di
fuori di quei posti non ho mai visto molte droghe... Le droghe alla fine
degli anni Sessanta invece erano artificiali. Erano quelle... ah, come si
chiamano... L.S. ... acido, e tutta quella roba fatta in laboratorio... Beh
immagino che siano fatte tutte in laboratorio in un modo o in un altro...
Non so. Non sono mai stato coinvolto nella scena dell'acido..."
Nel 1968 i Beatles pubblicarono 'Sgt. Pepper'. Il rock and roll si spostò
soprattutto negli studi di registrazione e l'elettronica cominciò a
diventare sempre più parte della musica. Il rock acido fiorì sulla Costa
Ovest degli Stati Uniti ed una nuova forma di arte cominciò ad essere
auto-consapevole, conscia di se stessa "con un piccolo aiuto dei suoi
amici". Dylan scelse proprio questo periodo per far uscire l'album al quale
stava lavorando fin dai tempi del suo cataclismatico incidente. 'John Wesley
Harding' andò del tutto in controtendenza rispetto a tutto quello che stava
succedendo in campo musicale all'epoca. Le melodie folk ingannevolmente
semplici servirono esclusivamente ad attirare l'attenzione dell'ascoltatore
quanto più vicino possibile all'intensità del messaggio contenuto nelle
liriche. Alla fine, gli anni Sessanta erano giunti al termine, i Beatles si
divisero, la guerra ebbe fine in una situazione di stallo e tutti noi ci
imbattemmo negli anni Settanta in uno stato catatonico. La musica fu il
riflesso di quei tempi.
Il Rock ebbe poche perdite sul campo. Madison Avenue e Wall Street fecero la
loro comparsa mentre la voce della gente si trasformò in un'industria di
molti milioni di dollari. Alcuni artisti non ebbero la forza di sopportare
tutto questo e si autodistrussero diventando vittime dei loro stessi miti.
Altri, come Jagger e Dylan, sopravvissero.
"La gente parla sempre degli anni Sessanta ed ora siamo quasi negli anni
Ottanta, e tutti vogliono sapere cosa succedeva a quei tempi. Beh," è la
risposta di Dylan, "negli anni '60, tutto quello che accadeva tu lo facevi
perchè volevi farlo. Non lo facevi perchè pensavi che dovessi farlo o perchè
era la cosa da fare. Qualcosa dentro di te ti diceva che volevi farlo. C'era
una rete di comunicazione in tutto il Paese, davvero. Molto piccola ma molto
unita, ancora vedo quelle persone viaggiare in giro per il mondo, sai, sono
ancora lì in giro. Ma per quante cose siano successe, ci si sentirà sempre
come ai tempi della Guerra Civile nel 1870 e 1880. E' stato un qualcosa che
è stato avvertito da tutti sia che ne fossero consapevoli sia che non lo
fossero ed un sacco di persone negli anni Sessanta hanno dato inizio a tutto
quello che sta succedendo oggi. Semplicemente non se ne rendono conto, sai."
Posa la chitarra, accende un'altra sigaretta. "Ma anche gli anni '50 hanno
fatto nascere gli anni '60, non lo dimentichiamo, e negli anni '50 era
persino più raro... come negli anni '60 c'erano persone coinvolte con tutto
quel be-bop ed il movimento beat, o la cultura sotterranea che stava
nascendo, ma era come qualcosa che era di casa e ti dava una identità."
E' interessante notare come il materiale di Dylan ha sempre avuto a che fare
con le forze opposte del bianco e del nero, sia su un piano materiale - come
durante gli anni Sessanta quando canzoni quali 'The Lonesome Death of Hattie
Carroll' rendevano chiare le istanze del movimento per i diritti civili - o
su di un piano spirituale come nel caso delle sue opere più recenti.
Dylan ha preso ad indossare abiti bianchi e neri sul palco, facendo vestire
il suo intero gruppo alla stessa maniera. L'effetto finale è un
bilanciamento totale. Yin e yang, oscurità e luce.
"Beh, credo di essere più di un estremista. Ma no, io sono più attivo di
qualcuno che è equilibrato," mi dice. "Se giochi da solo e sei il solo a
giocare allora vuoi equilibrare il gioco, ma se giochi con qualcun altro,
allora devi salire quando è tempo per qualcun altro di scendere."
Come un'altalena?
"Esatto, e allora ottieni lo stesso tipo di equilibrio, ma se giochi da solo
allora devi muoverti nel mezzo." Cosa che tu non fai.
"No, non sono a mio agio nel mezzo, è troppo facile cadere al suolo."
Quando gli chiedo a proposito del suo inconsueto rapporto con la sua
etichetta discografica - di essere capace di pubblicare qualsiasi prodotto
egli desideri - Dylan diventa nervoso, e la sua risposta è accompagnata
ancora una volta dalla chitarra. [Mentre sto scrivendo questo articolo, Bob
Dylan è impegnato a formare una sua casa discografica personale, la
Accomplice, che sarà distribuita dalla CBS.] "La CBS non mi paga, eccetto
che per una royalty. Non sovvenzionano i miei concerti e perciò non hanno
voce in capitolo al riguardo. Se li sovvenzionassero, probabilmente
vorrebbero dire la loro in merito."
Con il film 'Renaldo and Clara', Dylan ha utilizzato un nuovo approccio per
filmare i personaggi dei suoi sogni. Il film è un commento simbolico e non
costruito, un racconto epico coraggioso ed originale (la sua iniziale durata
di quattro ore è stata la maggiore critica mossa dalla maggioranza dei
recensori), e combina da un punto di vista visuale gli stessi elementi che
Dylan utilizza nelle sue canzoni e nelle sue poesie. Gli attori e le
attrici, persone reali della sua vita, recitano la parte di personaggi di
fantasia.
I critici cinematografici Americani non sono stati impressionati dall'opera
di Dylan. Lo hanno accusato di eccessiva auto-indulgenza e lo hanno
incolpato di "trattamento privo di attenzione" delle persone che sono vicine
a lui per la rottura del suo matrimonio, che ha fatto seguito di poco
all'uscita del film.
Il 'Village Voice' ha inviato un intero battaglione di recensori per vedere
il film e sono tutti ritornati con impressioni negative. Comunque, il film è
stato salutato al Festival Cineamtografico di Cannes dello scorso anno come
uno dei più innovativi presentati nel corso della rassegna, un onore dato a
Dylan dall'elite cinematografica più competente d'Europa, in contrasto con
le recensioni che il film ha ricevuto negli Stati Uniti.
Ripreso da Sam Shepard, Dylan afferma che 'Renaldo' e' stato in lavorazione
per 10 anni ma ora ha deciso che "Per me, fare film non è la cosa giusta da
fare, in questo momento. Non è una cosa abbastanza viva. Tu reciti per una
cinepresa, per un regista, non puoi renderti davvero conto dei risultati."
'Renaldo and Clara' è sembrato essere molto spontaneo.
"E' stato grande! Sì, ma non posso più farlo. Costa troppo denaro farsi il
proprio film. Se invece fai un film per qualcun altro che mette il denaro
nell'impresa, allora costui vorrà che si faccia quel che vuole lui."
Quando gli anni Cinquanta hanno lasciato il posto agli anni Sessanta, è
iniziata l'epoca delle superstar create dai media. James Dean ha lasciato il
posto ad Elvis Presley che ha lasciato il posto a Bob Dylan, ognuno di essi
uno mito gigantesco del proprio tempo. Mentre Elvis ha trovato il suo posto
nel cuore della 'Middle America', il vuoto che James Dean ha lasciato non è
stato riempito finchè Bob Dylan non ha formato un nuovo anello nella sempre
crescente catena di super-anti-eroi.
Quando viene paragonato alle persone alle quali una volta si è sforzato di
somigliare, Dylan dice: "Non è così dura come forse lo fu un tempo aver a
che fare con l'essere Elvis Presley. Elvis non ha scritto nessuna delle sue
canzoni, non dimenticarlo. Io scrivo tutte le mie canzoni perciò so quel che
sto dicendo. Ci sono io dietro le canzoni perciò non mi sento come se fossi
un mistero o cose del genere."
Si considera un artista, piuttosto che un musicista o un songwriter?
"Beh, sì, è la stessa cosa di tutti gli artisti che hanno avuto i loro
periodi buoni e che poi sono cambiati, perciò la cosa non mi secca. Non mi
importa quello che dice la gente. Sia che io sia un artista, o un musicista,
o un poeta, o un songwriter, o qualsiasi altra cosa..."
traduzione di Michele Murino
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"CONTINUERO' A SUONARE FINCHE' IL FUOCO NON SARA' SPENTO..."
L'intervista di Karen Hughes - Sidney, 1 Aprile 1978
Hughes: A volte, quando parli, è quasi come se le parole fossero energia e
troppe parole comportano uno spreco di tale energia... Energia che invece
potrebbe essere utilizzata meglio nelle tue canzoni. E' questa la tua
sensazione?
Dylan: Assolutamente sì. Io parlo raramente. Raramente amo parlare con
qualcuno anche perchè è una cosa falsa, perchè quando parli o conversi con
qualcuno è tutto quel che fai. E questa cosa deve essere diretta. Io non
riesco a farla in nessun altro modo se non essendo diretto. E molta gente
non vuole essere diretta... e allora ti ritrovi alla deriva.
Hughes: Nelle convenzioni sociali della comunicazione?
Dylan: Sì, nelle opinioni e nelle idee. A me non importa di queste cose...
(pausa)... sì e no...
Hughes: Oppure te ne importa se hanno alla base dei sentimenti?
Dylan: Beh, sentimenti, sì, e anche esperienza. Se hanno esperienza alla
base allora può andar bene. Però... sai... E' come quando qualcuno ti parla
dell'Australia... Questa è una cosa, ma quando poi ci vai di persona e la
guardi con i tuoi occhi... è un'altra cosa. A me non piace che le cose mi
vengano raccontate...
Hughes: Nel momento in cui cominci a scrivere, pensi che sia necessario che
tu debba restare da solo e mettere a tacere qualsiasi altra cosa che possa
disturbarti?
Dylan: Sì, la penso così. Tu no?
Hughes: Sì, però non trovi che questa cosa sia un po' paradossale?
Dylan: Per cosa?
Hughes: Per la comunicazione.
Dylan: Beh, hai bisogno di qualcosa da comunicare, perciò... (pausa) ...no
non penso affatto che sia paradossale.
Hughes: Che tipo di sfogo ti consente il fatto di andartene sempre in giro
quando sei in tour?
Dylan: E' difficile da spiegare a qualcuno che non lo fa. Fin da quando ero
solo un ragazzino, quando ero solo un bimbo, ero solito guardare i gruppi
musicali che venivano in tour nella mia città. Mi è sempre sembrato che
fosse quello che dovevo fare. L'unica fuga per me era scender giù dal bus...
Hughes: E oggi invece?
Dylan: E' lo stesso.
Hughes: Ray Davies una volta ha detto, a proposito del fatto di andare in
tour: "Quando sono in giro capisco che devo comunicare con l'esterno. Se non
ho un pubblico e mi limito a scrivere, la mia mente comincia a vagare e
vagare intorno al soggetto. Ma quando so che devo comunicarlo alla gente,
allora la mia mente va dritta al soggetto. Ecco perchè mi piace andare in
tour". Sei d'accordo?
Dylan: Sì, sono d'accordo. Mi piace cantare per la gente. Non mi piace
cantare ad un microfono in uno studio.
Hughes: Molte persone che vengono a vedere i tuoi concerti lo fanno come se
fosse una sorta di pellegrinaggio. A molti piacerebbe incontrarti. Cosa
senti di avere da offrire ai tuoi ammiratori su questo tipo di livello
individuale?
Dylan: In India ci sono degli uomini che vivono sull'Himalaya e la gente fa
lunghi viaggi per andare a sedersi ai loro piedi. E che cosa succede quando
si siedono ai loro piedi? Niente. Non succede niente, in genere ricevono una
grossa dose di silenzio.
Hughes: In un certo senso questa è una risposta... far tornare la domanda
all'interrogatore...
Dylan: Non so se questa sia una risposta. A volte è meglio restarsene zitti
che fare un sacco di rumore; perchè quando te ne stai zitto in genere sei
maggiormente in armonia con gli uccelli e con le api e i fantasmi della
vita...
Hughes: Mediti?
Dylan: Oh, ne so qualcosa di questo argomento ma non seguo alcun rituale
giornaliero.
Hughes: Non vedi alcun parallelismo tra il fatto che i tuoi fans cercano di
parlarti in privato ed il fatto che un sacco di tempo fa tu stesso sei
andato a far visita a Woody Guthrie in un ospedale del New Jersey?
Dylan: No, quando io andai a trovare Woody in quel posto, non c'era molta
gente che andava da lui. Era malato. Nessuno sentiva parlare di lui in quei
giorni, tranne un piccolo gruppo di persone che suonavano musica folk. Così
andai a fargli visita e, sai, non fu come andare a vedere il re.
Hughes: Che tipo di sensazione hai ricevuto dal pubblico Australiano?
Dylan: ....... (lunga pausa) ........ Il fatto che capiscono senza bisogno
che qualcuno gli spieghi di che si tratta, di cosa tratta la musica. Che
capiscono perchè io sono differente da tutto il resto dei gruppi o della
gente che viene a suonare qui. Voglio dire, è una cosa che faccio ormai da
moltissimo tempo. In genere accade che uno fa questa cosa finchè qualcun
altro arriva a prendere il suo posto. Io lo faccio ancora. E lo farò finchè
non arriverà qualcun altro.
Hughes: Ma di certo non arriverà mai nessun altro che sia uguale a te...
Dylan: Beh, è vero, ma in genere le cose vanno così... Arriva qualcun altro,
spunta dalla folla, qualcuno di considerevole abilità il quale riesce a fare
quel che fai tu e riesce a portarlo avanti facendogli fare un passo
ulteriore ..... (pausa) .... Quando il fuoco si è estinto... Io continuerò a
farlo finchè il fuoco non sarà spento. Muddy Waters ancora suona, e ha 65-66
anni.
Hughes: E pensi che tu ci riuscirai a resistere così a lungo, ad andare in
tour?
Dylan: Se altri ci sono riusciti non vedo perchè non debba riuscirci io.
Hughes: Sì, ma non è qualcosa che ti prende molto da un punto di vista
fisico?
Dylan: Beh, sì, ti prende molto quando sei giovane perchè non ti conosci
ancora bene. Se guardi alla totalità della cosa e non solo ai frammenti non
vedo perchè uno non possa resistere finchè lo desideri. Non è una cosa
inusuale anche a 65 o 70 anni. Muddy Waters, io continuo a tornare a Muddy
Waters perchè... (pausa) ...Lightning Hopkins era molto vecchio. Non so
quanto vecchio perchè non lo diceva ma credo che fosse ben al di là dei
cinquant'anni. Bill Munroe ancora dura ed è uno che va per i sessanta.
Hughes: Come si può paragonare la reazione del pubblico qui in Australia con
quello che hai visto in Giappone, in Nuova Zelanda o negli Stati Uniti?
Dylan: Per quanto riguarda gli Stati Uniti non posso dirlo, non siamo ancora
stati negli States con questo show. (Nota del traduttore: a questo punto
Dylan inizia un discorso in cui non è chiarissimo a cosa si riferisca.
L'unica ipotesi che mi viene in mente è che voglia alludere alle polemiche
che c'erano state quando aveva suonato al Budokan di Tokyo: un concerto rock
in un tempio dedicato allle arti marziali e alle cerimonie religiose) In
Giappone erano molto riservati, come se qualcosa fosse andato distrutto. Non
so cosa. Beh, lo sai cosa, io lo so cosa. Tutti lo sanno cos'era. Sì, erano
molto riservati, ma forse c'era una barriera linguistica. Probabilmente
c'era. Non vedo come non avrebbe potuto esserci. Ma sono stati grandi, le
cose sono andate sempre meglio ad ogni nuovo concerto.
Hughes: E che mi dici della Nuova Zelanda?
Dylan: Quello in Nuova Zelanda è stato un concerto all'aperto. Abbiamo
suonato all'aperto in Nuova Zelanda ed il pubblico è stato davvero di gran
sostegno.
Hughes: Ti piace la Nuova Zelanda?
Dylan: Beh, sono stato solo ad Auckland, ma il cielo era immenso e...
Hughes: Hanno montagne e mare insieme lì.
Dylan: Sì, i fiori sono strani e gli uccelli sono davvero interessanti. Ne
ho visti alcuni che non avevo mai visto prima.
Hughes: Pensi che il fatto di andare in tour ti dia una comunicazione più
diretta e quindi il processo creativo sia più rapido?
Dylan: Una cosa alimenta l'altra.
Hughes: Hai detto che andare in tour era un modo di fuggire dal posto in cui
vivevi in Minnesota.
Dylan: Beh, era una fuga... Sai era come quando te ne stai seduto tutto il
giorno... come quando il treno arriva in città e tu vedi tutte quelle facce
che ti osservano dai finestrini.
Hughes: Già, come quando sei seduto in aeroporto e vedi tutta quella gente
che viene e che va.
Dylan: Esatto, era così, era proprio così.
Hughes: Che sentimenti hai nei confronti del Minnesota oggi? Senti una
qualche attrazione?
Dylan: Sì, ogni tanto ancora ci torno.
Hughes: Perchè possiedi del terreno lì, non è vero?
Dylan: Sì. Conosco ancora delle persone lì, e ogni tanto ci ritorno.
Hughes: Vai ancora alle riunioni scolastiche?
Dylan: No.
Hughes: Lo hai fatto?
Dylan: Ci sono andato una volta in... ehm... Ci sono andato una volta, sono
andato alla decima.
Hughes: Quando è stato, nel '63?
Dylan: Nel 1969, ho solo fatto una capatina veloce
Hughes: Disegni molto in questi giorni?
Dylan: No.
Hughes: Come mai?
Dylan: Tempo.
Hughes: Ma ti piacerebbe?
Dylan: Certo.
Hughes: Che genere di soddisfazione ne trai?
Dylan: Una volta dipingevo tutto il giorno. L'ho fatto per un paio di mesi a
New York. E' stato due o tre anni fa, era il 74/75. Lo facevo tutti i giorni
dalle otto di mattina fino alle quattro di pomeriggio con una pausa. Era una
cosa che mi teneva legato al tempo presente più di ogni altra cosa che mai
avessi fatto in passato. Più di qualsiasi delle esperienze che avessi fatto,
più di ogni altra illuminazione che mai avessi avuto. Perchè ero
costantemente mescolato a me stesso (nota del traduttore: Dylan utilizza
proprio il termine "intermingled", mischiato, mescolato) e a tutti i
differenti me stesso che c'erano dentro di me, finchè ne andava via uno, poi
ne andava via un altro, finchè arrivavo a quello con cui avevo familiarità.
Hughes: Chi sono i tuoi amici in questi giorni?
Dylan: Ho gli stessi vecchi amici che ho sempre avuto. Persone che sono
simili a me (nota del traduttore: Dylan utilizza il termine "akin" che in
realtà è anche "consanguineo"). Nessuno dei miei amici mi guarda con timore
reverenziale, non c'è nessuno intorno a me che pensa che io sia un leader.
E' difficile spiegare chi sono; sono solo persone; persone come te e me.
Hughes: So che stai lavorando molto duramente al momento. Su che cosa stai
lavorando in particolare?
Dylan: Sto cercando di preparare un nuovo album.
Hughes: Potresti dirmi qualcosa a proposito delle canzoni e delle idee che
sono coinvolte in questo nuovo progetto?
Dylan: Sono canzoni difficili da definire. Alcune sono ballate, alcune sono
ballate di taglio narrativo, ed altre non lo sono. In realtà io non scrivo a
proposito di niente. Non so da dove mi arrivino queste canzoni. Forse si
tratta di qualcosa che io pensavo in qualche epoca in cui ho visstuto in
precedenza. Penso che in passato io debba aver avuto una qualche esperienza
delle cose di cui parlo in queste canzoni perchè ci sono delle volte che non
so davvero che cosa sto scrivendo, non fino a molti anni dopo quando le
canzoni mi diventano chiare.
Hughes: Allora pensi che in quanto compositore tu sia più una specie di
medium, che si sintonizza su qualcosa di più grande di sè?
Dylan: Penso che ogni compositore lo faccia. Nessuno che sia sano di mente
potrebbe mai pensare che quelle cose vengono da lui, che sia lui che le ha
inventate. Semplicemente arrivano attraverso lui.
Hughes: Che tipo di forza ti spinge a scrivere?
Dylan: Beh, qualsiasi allontanamento, come quello dal mio tradizionale io.
Hughes: Come stai componendo queste canzoni? Come fai a scriverle?
Dylan: Beh, in genere tutto parte da una melodia. Una melodia che
semplicemente comincia a delinearsi mentre suono e poi cominciano a venire
le parole qua e là. A volte però le parole mi vengono in mente prima.
Hughes: E' una cosa che ti succede velocemente o devi lavorarci su?
Dylan: Beh, a volte non mi vengono subito in mente mentre altre volte mi
arrivano davvero velocemente. Ho scritto alcune canzoni complete in soli
cinque minuti, e altre canzoni che invece ho tenuto in sospeso per mesi e
mesi.
Hughes: E' una cosa che ha a che fare con qualcosa che succede intorno a te?
Dylan: No, semplicemente quando ho il tempo di portarle a termine o mi viene
l'ispirazione... o di qualsiasi altra cosa ci sia bisogno per completarle.
Hughes: In passato quando registravi un disco eri solito entrare in studio e
fare tutto in una sola volta e poi incidere ogni traccia senza
sovraincisioni.
Dylan: E' quello che ancora faccio oggi.
A questo punto Dylan nota la mia copia del libro di Brian Vesey-Fitzgerald
"Gypsys of Britain" che ho lasciato sul tavolino del caffè. Lo prende e
subito viene assorbito dalla lettura, saltando di pagina in pagina e
impossessandosi dei contenuti con una velocità sbalorditiva. Ogni tanto si
ferma in corrispondenza di qualche pagina particolarmente significativa per
lui, mentre continuiamo l'intervista, per leggere più attentamente e fare
qualche commento.
Sì, nel modo di vivere degli zingari la morte è una cosa molto felice.
Hughes: E' bello. Molte culture nomadi sono così.
Dylan: Già, capisco questo punto di vista.
Hughes: Una volta non avevi fatto visita ad un re degli zingari nel sud
della Francia?
Dylan: Sì, era un vecchio e la persona con la quale ero andato a fargli
visita lo conosceva quando era giovane... non giovane ma dieci anni prima,
quando era ancora vitale ed attivo. E all'epoca aveva forse da 16 a 20 mogli
e oltre 100 figli. Quando andai da lui aveva avuto un attacco di cuore così
l'odore della morte era tutto intorno e molti dei suoi familiari lo avevano
abbandonato. 15 o 16 delle sue mogli lo avevano lasciato e aveva solo 2 o 3
figli lì con lui, perciò era molto solo. Ma faceva ancora la sua scena. Si
occupava di antichità e oggetti da rigattiere.
Hughes: Per tornare al tuo nuovo album, c'è qualcos'altro che puoi dirmi al
riguardo?
Dylan: E' tuo questo libro? Non è che lo hai portato per me?
Hughes: No, ma se vuoi te lo regalo, se ti fa piacere...
Dylan: Certo, grazie.
Hughes: Che tipo di arrangiamenti stai usando?
Dylan: Beh, sono tutte canzoni nuove, con arrangiamenti molto semplici.
Hughes: Simili a qualcosa che hai fatto in passato?
Dylan: Sì, gli arrangiamenti sono...
Hughes: Non è che stai cambiando drasticamente il tuo stile come ha fatto
Joan Baez con il suo ultimo album che è molto più orientato verso il funky?
Dylan: Non credevo che fosse poi così funky. Oh, forse lo è per Joan...
(pausa) ... Funky non è qualcosa che tu puoi catturare su disco, è un modo
di vivere. Un modo di sentire, non puoi far sì che un disco suoni funky. Ma
credo di capire cosa intendi. E' qualcosa che ha a che fare con il gettare
monete nella bara, quel genere di cose.
Hughes: Gettare monete nella bara?
Dylan: Già, è una cosa che ha a che fare con credi differenti.
Hughes: Pensi che ci sia ancora molto da dire sulla gente, qualcosa che non
sia stato ancora detto?
Dylan: Sui singoli individui sì, ma non sulla gente in generale. Certo puoi
parlare e parlare su singoli individui per tutte le caratteristiche davvero
differenti e le differenti abitudini che molta gente ha. E poi certamente
una volta che tu hai due persone che si mettono insieme ci sono molti
differenti tipi di relazioni interpersonali, possono svilupparsi differenti
rapporti tra differenti tipi di persone. Esistono molti e differenti livelli
su cui la gente può relazionarsi con altra gente. Alcuni sono casuali, altri
sono legati agli affari, alcuni sono avventurosi, altri sono romantici...
Hughes: E tu a cosa sai interessato?
Dylan: Beh, sono semplicemente consapevole delle differenti aree di
rapporti.
Hughes: E pensi che i film siano un mezzo adeguato per esplorare queste
aree?
Dylan: Certo, penso di sì.
Hughes: Qual è il significato del titolo Renaldo & Clara?
Dylan: Beh, la gente continua a chiedermelo. Non c'è più significato di
quanto ce ne sia in Queen Jane, perchè aveva quel nome? Tolstoj ha scritto
un libro intitolato "Anna Karenina" e allora qual era il significato di quel
nome? Renaldo è una volpe e Clara è per supposizione la chiara comprensione
di un futuro che non esiste.
Hughes: Che tipo di rapporti hai con le donne?
Dylan: Che tipo di rapporti?
Hughes: In che modo vedi le donne, cosa trai dai tuoi rapporti con le donne,
pensi che siano uguali o...?
Dylan: Beh, penso che tutti gli esseri viventi siano uguali, ma io vado al
di là del discorso della seduzione molto velocemente. Non ho più tempo per
quel genere di cose.
Hughes: E quindi?
Dylan: Quante relazioni puoi davvero avere nella tua vita e di che tipo?
Hughes: Il motivo per cui ti ho fatto questa domanda è perchè l'altra notte
tu parlavi di come è difficile per te trovare delle ragazze perchè devono
sempre adattarsi alla TUA vita. E mi chiedevo se, dato che credi
nell'eguaglianza, ti apsetteresti questo?
Dylan: No, ma chiunque entri nella mia vita lo rispetta. Il fatto che non
torno a casa ogni sera.
Hughes: Dalle tue canzoni sembra che tu abbia la capacità di amare molte
donne. Ti piacerebbe avere molte mogli, come il re degli zingari?
Dylan: Beh, certo, mi piacerebbe avere una moglie per ogni grado.
Hughes: Hai una casa?
Dylan: Una casa? Non ho tutti i miei averi in un solo posto. I miei vestiti
sono dappertutto, vivo in molti posti diversi. Idealmente mi piacerebbe
avere una casa da qualche parte.
Hughes: Può essere una persona o un sentimento o un...
Dylan: Conosci quel vecchio e trito proverbio "Una casa è dov'è il tuo
cuore"?
Hughes: E' vero.
Dylan: (assentisce).
Hughes: Una volta hai fatto visita a Rubin Carter in prigione e quando sei
andato via hai detto che lo hai lasciato sapendo che "...la filosofia di
quest'uomo e la mia filosofia corrono sulla stessa strada...", e che non
incontri molta gente come Rubin. Beh, cosa mi dici dei tuoi fans, quelli che
comprano i tuoi dischi? Certamente c'è anche in quel caso una sorta di
empatia, no?
Dylan: Non sono certo se i miei fans pensino come me. Forse provano le
stesse sensazioni che provo io, ma pensare come me? Non credo che si possa
usare il termine "pensare", credo che dobbiamo parlare più che altro di
sentimenti. Io sono interessato solo all'aspetto che riguarda i sentimenti.
Sono interessato solo ai sentimenti che sembrano indistruttibili e la gente
che mi segue e prova quegli stessi sentimenti lo sa. Ed è questo che unisce
il tutto, penso.
Hughes: Credi che in qualche modo la stampa ti abbia fatto diventare
qualcosa che non sei?
Dylan: Uh, no, non credo che il pubblico sia così ingenuo. Se io non stessi
facendo quel che essi pensano che io stia facendo, sono sicuro che non
basterebbe una grande quantità di articoli di giornale per quanto abilmente
scritti a convincere il pubblico del contrario. Che ne pensi di questa
maglietta?
Hughes: Mi piacciono i pinguini, l'hai comprata qui?
Dylan: Sì.
Hughes: La indosserai stasera sul palco?
Dylan: Questa maglietta con i pinguini? No, non indosso più i miei vestiti
di tutti i giorni quando vado sul palco.
Hughes: Hai uno stilista?
Dylan: Ho qualcuno che realizza tutti questi vestiti. Divento troppo
depresso se devo salire sul palco con i vestiti che indosso tutti i giorni.
Hughes: Qual è il nome del tuo stilista?
Dylan: Un tizio che vive a Los Angeles... si chiama Billy... è lui che ha
disegnato questi vestiti...
Hughes: Mi chiedo se fai esercizi fisici... Il tuo fisico è in buona forma?
Dylan: Lo spero... Corro così tanto, sai, che immagino che... Non saprei
(...) Non ricordo...
Hughes: Nelle canzoni che stai scrivendo per il nuovo album, hai scritto
qualcosa che riguarda le tue esperienze qui in Australia?
Dylan: No, non dal punto di vista del turista. Non ho avuto molto tempo per
quel tipo di esperienze.
Hughes: Sei riuscito ad ascoltare qualche gruppo musicale dal vivo mentre
eri qui?
Dylan: No, ho visto qualcosa solo in televisione. Ma un paio di persone sono
andate a vedere questo tipo, Dave Warner, e qualcuno è riuscito a registrare
una musicassetta e mi è sembrato davvero bravo.
Hughes: Hai mai sentito Richard Clapton?
Dylan: Sì ho sentito Richard Clapton ad Auckland. Mi è piaciuto molto. Tanto
è vero che ho provato a metterlo in cartellone per il tour Australiano,
perchè sai che la legge australiana impone che ci sia un concerto di un
artista australiano per ogni concerto di uno straniero...
Hughes: Richard ti cita sempre tra le sue influenze.
Dylan: Penso che sia davvero bravo, sinceramente.
Hughes: Lo hai anche incontrato?
Dylan: No, non l'ho incontrato. Ho solo sentito i suoi dischi. Mi piace
l'armonica...
Hughes: Cosa pensi che caratterizzi gli Australiani?
Dylan: Beh, a Brisbane ho notato che tutti hanno una grande capacità di
ridere.
Hughes: E cosa mi dici del resto del paese?
Dylan: Lo trovo molto... (pausa) ...Non credo che sia un territorio per
esploratori.
Hughes: Vuoi dire che non lo consideri un territorio per esploratori perchè
non c'è molto da scoprire?
Dylan: No, trovo che devi chiedere il permesso per qualsiasi cosa.
Hughes: Da un punto di vista della creatività?
Dylan: No, è solo una sensazione generale che sento nell'aria, non riesco a
spiegarlo. E' come la sensazione che provi quando tutte le finestre sono
chiuse e tu non puoi aprirle. Non riesco a spiegarlo ma sembra che sia una
cosa molto diffusa. E' una cosa che ho constatato molto di più questa volta
rispetto all'ultima volta in cui ero venuto qui e probabilmente tornerò di
nuovo.
Hughes: Quando pensi di ritornare?
Dylan: Beh, la prossima volta che vengo a suonare.
Hughes: Hai idea di quando sarà?
Dylan: No, quando sarà il momento giusto. Mi piace l'Australia, mi piacciono
tutte le città in cui abbiamo suonato e mi è piaciuta tutta la gente che è
venuta a vederci.
Hughes: Credi che la sensazione di dover chiedere il permesso per ogni cosa
sia collegata al complesso di inferiorità degli Australiani? Come "No, non
puoi far questo, perchè questa è l'Australia" - tornando ai tempi delle
colonie penali?
Dylan: Sì, perchè... abbiamo alcuni amici... ho un buon amico che voleva
venire a vedere un concerto e non è riuscito ad ottenere il visto... veniva
da Singapore. Non è riuscito ad ottenere il visto ed è stata una cosa
oltraggiosa da parte loro...
Hughes: Se tu potessi pensare ad una sola immagine che riassuma come vedi te
stesso, quale sarebbe?
Dylan: Negli ultimi 100 anni o nei prossimi 100?
Hughes: Entrambe le cose.
Dylan: Non saprei. Fondamentalmente io posseggo qualità comuni. Mi sento
primitivo in molti modi e moderno in altri e nessuna di queste due
sensazioni mi importa realmente. Posso immaginare ogni situazione della vita
come se già l'avessi vissuta, non importa quale possa essere: sia che si
tratti di auto-punizione o di sposare mia cugina, voglio dire, posso
immaginarla, posso sentire tutte queste cose per qualche motivo. Non so
perchè.
Hughes: Una volta hai scritto in Idiot Wind "What's good is bad, what's bad
is good, you'll find out when
you've reached the top, you're on the bottom" (Quello che è buono è cattivo,
quello che è cattivo è buono
lo scoprirai quando raggiungerai la cima. Ora sei sul fondo). Questa frase
riassume quel che senti a proposito del modo ciclico in cui avvengono le
cose?
Dylan: Sì, ogni cosa che va poi ritorna. La penso così, tu no? Voglio dire,
non penso di dover essere messo in quarantena per pensare questa cosa, è un
modo molto comune di pensare. E non è nemmeno così strano, succede che sia
vero. Le cose semplici ma che sono vere in genere stupiscono la gente.
"What's good is bad, what's bad is good". Suona davvero molto semplice in
realtà.
Hughes: Già, mi ha colpito perchè è molto vero, ecco perchè l'ho notata.
Dylan: Già, è un pezzo di carne cruda.
Hughes: Frank Zappa una volta ha detto che pensa che l'universo sia basato
su un anello di Mobius.
Dylan: Sì? Non capisco...
Hughes: [cerca di spiegare cos'è un anello di Mobius...]
Dylan: Oh, sì. Beh, capisco. Anche io lo trovo molto mutevole. Ebbi un
grande flash di cosa era in realtà l'universo quando vidi un uomo che
bruciava un violino su un tetto, ma non riesco a spiegarti quello che
provai.
Hughes: Quali altri artisti al momento trovi eccitanti da un punto di vista
musicale?
Dylan: Intendi contemporanei?
Hughes: Sì, che sono sulla scena al momento, che stanno facendo qualcosa
ora.
Dylan: Beh, tutti possono essere eccitanti in una particolare serata.
Hughes: Ma per te?
Dylan: Per me? In genere i vecchi sono quelli eccitanti musicalmente. Di
quelli della mia epoca Eric Clapton mi sembra sempre molto eccitante da un
punto di vista musicale, ma in genere io ascolto solo dischi vecchi.
Hughes: Una volta hai detto che ti piaceva Joan Armatrading...
Dylan: Sì, lei mi piace, certo. Ma ho solo sentito i suoi dischi. Non l'ho
mai vista di persona. Mi piaceva.
Hughes: Che mi dici di Roy Harper? L'hai mai ascoltato?
Dylan: Non è quello inglese?... ehm... Sì, anni fa. Ho sentito alcuni suoi
dischi e mi sono piaciuti.
Hughes: Ray Davies?
Dylan: Penso che sia un genio. Nessuno mi chiede mai di lui. Sono sempre
stato un fan di Ray Davies. Mi è sempre piaciuto. E così suo fratello e quel
gruppo.
Hughes: Cosa ammiri dei Kinks?
Dylan: Beh, ogni qual volta qualcuno viene fuori con qualcosa è come essere
un chimico. Ogni qual volta qualcuno viene fuori con qualcosa di nuovo è da
ammirare. E quella canzone - non so cosa stia facendo oggi ma ha fatto
quelle canzoni - 'You Really Got Me' e poi quell'altra che è venuta dopo,
quella era nuova, era qualcosa di diverso, era nuova e non era mai stato
fatto prima qualcosa di simile. Perciò io lo ammiro... (pausa)... Sì devo
provare a contattarlo la prossima volta per vedere che sta facendo.
Hughes: Trovi interessante la gente che lavora in altri campi, gli
scienziati ad esempio?
Dylan: Beh, non ne conosco molti... sì la gente che lavora nella ricerca sul
cancro...
Hughes: Quanto sei autosufficiente?
Dylan: In che senso?
Hughes: Mentalmente suppongo.
Dylan: Beh, non sono sotto l'effetto di droghe.
Hughes: Non intendevo quello.
Dylan: E allora che intendevi?
Hughes: Quanto puoi vivere in isolamento senza aver bisogno degli altri?
Dylan: Senza bere la cicuta?
Hughes: Già.
Dylan: Non saprei. Davvero non saprei. Voglio dire che devo andare fuori e
vedere gente, ma ho anche bisogno di far scendere le ombre della notte.
Hughes: Ad ogni nuovo passo senti di avvicinarti alla realizzazione del tuo
destino?
Dylan: Sì, il 99% delle volte sì.
Hughes: Credi nella reincarnazione?
Dylan: In maniera occasionale e non straordinaria.
Hughes: Riesci a ricordarti di tue vite precedenti?
Dylan: No, personalmente non ci riesco.
Hughes: Nemmeno dei flash?
Dylan: Uhm... una volta ogni tanto.... no, non posso dirlo... non posso far
finta di ricordarmi di una mia vita vissuta in altre epoche per quanto
ammetta che sia possibile.
Hughes: Trovi che la maggior parte delle cose venga dal di dentro?
Dylan: La maggior parte delle cose viene dal correre dei rischi.
Hughes: E tu lo fai spesso?
Dylan: Sì.
traduzione di Michele Murino
Intervista condotta al Boulevard Hotel prima dell'ultimo concerto del "leg"
in Estremo Oriente del tour mondiale del 1978.
parte settima
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