PARTE TERZA
L'INTERVISTA DI LAURIE HENSHAW
12 MAGGIO 1965
Henshaw: Puoi dirmi quando e dove sei nato?
Dylan: No, puoi andare a trovartelo da te. Ci sono molte biografie e puoi
consultare quelle. Non mi chiedere dove sono nato nè dove ho vissuto. Non
pormi queste domande. Le puoi trovare in altri giornali.
Henshaw: Preferivo sentirle da te.
Dylan: Non te lo dirò.
Henshaw: Puoi dirmi esattamente quando hai intrapreso la tua professione?
Quando hai iniziato a scrivere canzoni?
Dylan: A 12 anni.
Henshaw: E scrivevi poesie a quell'epoca? Ed ora stai scrivendo un libro?
Dylan: Ho un libro già finito.
Henshaw: E' già stato pubblicato?
Dylan: Lo sarà in autunno.
Henshaw: Come si intitola?
Dylan: Non te lo dirò.
Henshaw: Puoi darmi un'idea di che cosa parla?
Dylan: No.
Henshaw: Puoi dirmi qual è la tua canzone preferita tra quelle che hai
scritto?
Dylan: Non ne ho. Non ho canzoni personali che considero differenti da
altre.
Henshaw: Ovviamente stai facendo un sacco di denaro attualmente...
Dylan: Lo spendo tutto. Ho sei Cadillac. Ho quattro case. Ho una piantagione
in Georgia. Oh, sto anche lavorando ad un razzo. Un razzo piccolo. Non uno
grosso. Non il tipo di razzo che hanno a Cape Canaveral. Non ne so niente di
quel tipo di razzi.
Henshaw: Possiedi cose personali - telecamere, orologi e cose del genere?
Dylan: No. Compro macchine. Ho un sacco di macchine, di Cadillac. Ho anche
un po' di Oldsmobiles, circa tre.
Henshaw: Hai paura per qualcosa di politico.
Dylan: No.
Henshaw: Naturalmente le tue canzoni hanno un forte contenuto...
Dylan: Hai sentito le mie canzoni?
Henshaw: Sì. 'Masters Of War'. 'Blowin' In The Wind'.
Dylan: E che mi dici di 'Spanish Lover'? [sic] L'hai mai sentita? Perchè non
ascolti quella? Ascolta, non me ne può importare di meno che il tuo giornale
scriva di me. Il tuo giornale può scrivere qualunque cosa, capisci? La gente
che ascolta me non legge il tuo giornale, sai, ascolta me. Non sarò
conosciuto perchè sono sul tuo giornale.
Henshaw: Tu sei già conosciuto. Perchè sei così ostile?
Dylan: Perchè tu sei ostile con me. Tu mi stai usando. Io per te sono un
oggetto. Mi è già successa questa cosa negli Stati Uniti, sai. Non c'è nulla
di personale. Non ho niente contro di te. Solo non voglio essere scocciato
dal tuo giornale, questo è tutto. Non voglio essere parte del tuo giornale.
Perchè dovrei essere d'accordo con qualcosa solo perchè qualcuno possa
mangiarci? Perchè non dici solo che il mio nome è Kissenovitch? Sai, e che
io, er, vengo da Acapulco, Messico. Che mio padre era un ladro scappato dal
Sud Africa. OK. Puoi dire tutto quello che vuoi.
Henshaw: Parliamo di te. I tuoi vestiti per esempio. Sono cambiati i tuoi
gusti in fatto di abiti?
Dylan: Amo i vestiti. Non ho alcun interesse in particolare. Mi piace
indossare drappi, ombrelli, cappelli.
Henshaw: Non mi dirai che porti un ombrello?
Dylan: Certo che porto un ombrello. Da dove vengo io tutti portano un
ombrello. Sei mai stata in Sud Dakota? Beh, io vengo dal Sud Dakota, ed in
Sud Dakota la gente porta ombrelli.
Henshaw: Quale pensi che sia stata la più grande influenza della tua vita?
Dylan: Tu! Il tuo giornale mi influenza un sacco. Scriverò una canzone dopo
che te ne sei andata - sai - per cosa sono stato usato. So quel che sto
facendo e so quel che fa il tuo giornale. E tu hai il coraggio e la faccia
tosta di chiedermi cosa mi influenza e perchè io penso di essere così
accettato? Io non voglio essere intervistato dal tuo giornale. Non ne ho
bisogno. Nemmeno tu ne hai bisogno. Puoi costruirti da sola la tua star.
Perchè semplicemente non prendi un sacco di denaro e porti un qualche
ragazzo dal nord dell'Inghilterra e gli dici: "Faremo di te una star! Devi
solo fare tutto quello che ti diciamo. Ogni volta che vuoi un'intervista
puoi semplicemente firmare un foglio che significa che noi possiamo avere
un'intervista e scrivere quel che vogliamo scrivere. E tu sarai una star e
farai un sacco di denaro!" Perchè non fai una cosa del genere? Io non lo
farò per te.
Henshaw: Perchè avremmo dovuto perdere tempo ad intervistarti se non
avessimo pensato che valeva la pena intervistarti?
Dylan: Perchè io faccio notizia. Ecco perchè non ti biasimo, tu hai un
lavoro da fare. Lo so. Non c'è nulla di personale qui. Ma non cercare di
raccogliere troppo, sai.
Henshaw: Quando hai iniziato a incidere dischi?
Dylan: Ho iniziato ad incidere dischi nel 1947, quella è stata la mia prima
registrazione. L'ho inciso nel sud. In realtà il primo disco che ho fatto è
stato nel 1935. John Hammond è venuto e mi ha registrato. Mi ha scoperto nel
1935, seduto in una fattoria. Lo stesso uomo che ha scoperto Benny Goodman
mi vide in strada. Mi ha fatto fare una seduta di registrazione. E' successo
tutto così. Altrimenti non sarei qui.
Henshaw: Hai una chitarra preferita?
Dylan: Una chitarra preferita? Posseggo 33 chitarre! Come posso averne una
preferita? Comunque smetterò di suonare la chitarra. Suonerò il banjo.
Henshaw: Hai sentito Manfred Mann cantare 'With God On Our Side'?
Dylan: No, non l'ho sentito. Ne ho solo sentito parlare.
Henshaw: L'ha cantata in "Ready Steady Goes Live" ed ha avuto un certo
successo.
Dylan: Mi piacerebbe averlo visto.
Henshaw: Come ti senti nel vedere altri gruppi che incidono le tue canzoni?
Dylan: Beh, tu come ti sentiresti se altri gruppi incidessero le tue
canzoni?
Henshaw: Sarei contenta.
Dylan: Ed io mi sentirei come ti senti tu.
Henshaw: Che tipo di persone ti piace? Quale tipo di persone frequenti?
Dylan: Vorrei frequentare il tipo di persone che perseverano nel proprio
lavoro. Perseverano nel proprio lavoro e lo portano a termine. E che non
siano troppo nervose. Ma abbastanza nervose da non ritornare!
Henshaw: Che tipo di persone ti comunicano un immediato senso di antipatia?
Dylan: Provo immediata antipatia per le persone che si agitano in
continuazione. Un'immediata antipatia - wham! Il più delle volte le
scaravento contro il muro. Ho una guardia del corpo, Toppo. (Dylan porta le
mani alla bocca e chiama in direzione dell'altra stanza) TOPPO! Toppo ci
sei? Ho una guardia del corpo per sbarazzarmi di questo tipo di persone. Lui
arriva e le fa a pezzi. Ha fatto a pezzi tre persone l'altra settimana.
Henshaw: Dipingi?
Dylan: Certo.
Henshaw: Cosa dipingi?
Dylan: Ho dipinto casa mia.
(a questo punto Dylan pone bruscamente fine all'intervista)
traduzione di Michele Murino
Stampata in Disc Weekly, il 22 Maggio 1965 con il titolo "Mr Send Up".
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Intervista a Bob Dylan
di Nora Ephron e Susan Edmiston
Agosto 1965, ufficio di Albert Grossman (New York)
Questa intervista ha luogo alla fine dell'estate del 1965 nell'ufficio del
manager di Dylan, Albert Grossman. Dylan è stato appena fischiato nel suo
storico concerto a Forest Hills nel quale ha abbandonato la purezza del folk
per passare ad un accompagnamento elettrico. Dylan indossava una camicia
rossa in stile marinaro, una giacca sportiva alla marinara e stivali a punta
con i tacchi alti. Il suo viso, così tagliente e ruvido quando viene
immortalato attraverso i media, era allora infinitamente morbido e delicato.
I suoi capelli non erano incolti o elettrici o Afro; erano morbidi come la
schiuma di un'onda. Sembrava un angelo denutrito con un naso della terra del
Popolo Eletto.
D: Alcuni cantanti folk Americani -- come ad esempio Carolyn Hester --
dicono che quello che tu stai facendo ora, questo nuovo sound, il "folk
rock," li sta liberando...
R: Carolyn ha detto così? Dille che può venire a vedermi ogni volta che
vuole, adesso che è liberata.
Bruce Langhorne, Carolyn Hester, Bob Dylan e Bill Lee, 1961.
D: Questa etichetta, "folk rock," tende ad oscurare quel che sta succedendo?
R: Sì.
D: E' un po' come "pop gospel"... Che significa il termine per te?
R: Già, "gospel classico" potrebbe essere la prossima moda. C'è il country
rock, il rockabilly... Cosa significa per me? Folk rock. Io non ho mai
nemmeno pronunciato questa parola. Ha un suono duro. Un'aria circense. Sa di
scherno. Sembra come se si guardasse dall'alto in basso, sminuendo quel che
realmente è... una fantastica, grande musica.
D: La definizione che viene spesso data al folk rock è quella secondo la
quale esso è la combinazione dei suoni elettronici del rock and roll con le
liriche dense di significato della musica folk... Questo sintetizza quel che
tu stai facendo ora?
R: Sì. E' molto complesso suonare con l'elettricità. Devi suonare con altre
persone. Devi avere a che fare con altre persone. Molta gente non ama
lavorare con altre persone, è più difficile. Ci vuole più lavoro. Molta
gente che non ama il rock and roll non riesce ad avere rapporti con altre
persone.
D: Tu menzioni l'Apollo Theatre ad Harlem sulla copertina di uno dei tuoi
album. Ci vai spesso?
R: Oh, non ci posso più andare lì. Ci andavo spesso circa quattro anni fa.
Volevo persino suonare lì in una di quelle serate per dilettanti, ma ero
terrorizzato. Possono succederti cose brutte. Ho visto quel che il pubblico
ha fatto ad un paio di tizi che non gli piacevano. E mi avrebbero tirato
contro un paio di cose se fossi salito sul palco.
D: Chi è il Mr. Jones di "Ballad of a Thin Man?"
R: E' una persona reale. Tu lo conosci, ma non con quel nome.
D: Come ad esempio Mr. Charlie?
R: No. Più di Mr. Charlie. Mr. Jones è davvero una persona. Così come l'ho
vista entrare in una stanza una sera, che sembrava un cammello. Si mise gli
occhi in tasca. Io chiesi ad un tizio chi fosse quel tipo e lui mi rispose,
"Quello è Mr. Jones." Allora io gli chiesi, "Non fa altro che mettersi gli
occhi in tasca?" E quello mi rispose, "Mette il naso sul pavimento." E' una
storia vera.
D: Dove hai preso quella camicia?
R: In California. Ti piace? Dovresti vedere le altre che ho. Non li trovi
qui, vestiti del genere. Lì hanno un sacco di cose che noi qui non abbiamo.
D: La California non è come qui?
R: Qui è tutto più stretto se paragonato a lì. Hollywood voglio dire. Qui
non si respira per davvero. E' come se lì ci fosse l'aria. Il Sunset Strip
non può essere paragonato a nessuna cosa che abbiamo qui, come ad esempio la
42ma Strada. La gente lì sembra diversa, sembrano più come... li vorresti
baciare...
D: Passi parecchio tempo lì?
R: Non ho molto tempo da passare da nessuna parte: lo stesso vale per
l'Inghilterra. In Inghilterra tutti sembrano molto hip nell'East Side.
Indossano cose... non indossano cose che ti danno fastidio.
D: Ti consideri principalmente un poeta?
R: No. Ognuno di noi ha la propria idea a proposito dei poeti. La parola non
significa niente di più che la parola "casa." Ci sono persone che scrivono
_po_esie e persone che scrivono po_esie_. Altre persone scrivono _poesie_.
Tutti quelli che scrivono poesie tu li chiameresti poeti? C'è un certo tipo
di ritmo che in un certo qual modo è visibile. Non devi necessariamente
scrivere per essere un poeta. Alcune persone che lavorano nelle stazioni di
carburante sono poeti. Non mi definisco un poeta perchè non mi piace il
termine. Sono un artista del trapezio.
D: Quello che intendevo dire era: pensi che le tue parole reggano senza la
musica?
R: Potrebbero reggere, ma io non le leggo. Preferisco cantarle. Scrivo cose
che non sono canzoni -- Ho scritto un libro che sta per uscire.
D: Di che si tratta?
R: E' un libro di parole.
D: Come il retrocopertina dei tuoi album? Mi sembra che siano un po' come
gli scritti di William Burroughs. Una sorta di frasi involontarie...
R: Cut-up. (nota del traduttore: si tratta di una tecnica di scrittura
inventata da William Burroughs che consiste nello scrivere le frasi più
disparate, anche non collegate tra loro, mischiarle e poi scrivere un testo
prendendo a caso le varie frasi)
D: Sì, linguaggio figurato ed aneddoti. Mi chiedevo se hai mai letto
qualcosa di suo.
R: Non ho letto "Il Pasto Nudo" ma ho letto alcune delle sue cose brevi
pubblicate sulle riviste, riviste straniere. Ne ho letta una a Roma. Lo
conosco. Non lo conosco veramente -- l'ho solo incontrato una volta. Penso
sia un grande uomo.
Allen Ginsberg, William Burroughs, e Phillip Whalen, Naropa 1975 - Foto di
Rachel Homer
D: Burroughs tiene un album, una collezione di fotografie che illustrano i
suoi scritti. Tu hai qualcosa di simile?
R: Sì. Ho fotografie di "Gates of Eden" e di "It's All Over Now, Baby
Blues." (sic) Le ho viste dopo aver scritto le canzoni. La gente mi manda un
sacco di cose, e molte di queste cose sono fotografie, perciò anche altre
persone devono avere avuto quell'idea.
D: Ho sentito che hai suonato il piano per Buddy Holly.
R: No. Ma ho suonato il piano rock and roll, ma non voglio dire per chi l'ho
suonato perchè quel tipo cercherebbe di rintracciarmi (nota: Bobby Vee?).
Non voglio vederlo quel tipo. Cercherebbe di rivendicare l'amicizia.
Comunque è stato un sacco di tempo fa, quando avevo diciassette anni.
Suonavo anche il piano country.
D: E' stato prima che ti interessassi alla musica folk?
R: Sì. Mi sono interessato alla musica folk perchè dovevo farlo in qualche
modo. Naturalmente io non sono un tipo molto diligente. Suonavo la chitarra,
tutto qui. Pensavo fosse grande musica. Certamente non ho voltato le spalle
ad essa o cose del genere. Io sono sicuro che nessuno riesce a capire
questo, tutte quelle personalità eminenti che scrivono a proposito di quel
che la musica folk è e a proposito di quel che dovrebbe essere... La musica
folk è il solo tipo di musica dove non c'è niente di semplice. Non è mai
stata semplice. E' strana, amico, piena di leggende, miti, Bibbia e
fantasmi. Io non ho mai scritto niente di difficile da capire, non nelle mie
intenzioni almeno, e niente di simile alle vecchie canzoni.
D: Canzoni come ad esempio...?
R: "Little Brown Dog." "I bought a little brown dog, its face is all gray.
Now I'm going to Turkey flying
on my bottle." (Ho comprato un piccolo cane marrone, la sua faccia è tutta
grigia. Ora me ne vado in Turchia in volo sulla mia bottiglia). E "Nottamun
Town," è come un branco di fantasmi che passa sulla strada per Tangeri.
"Lord Edward," "Barbara Allen," sono piene di miti.
D: E contraddizioni?
R: Già, contraddizioni.
D: E caos?
R: Caos, angurie, orologi, di tutto.
D: Hai scritto sul retro di uno dei tuoi album, "Accetto il caos ma non sono
sicuro che il caos accetti me".
R: Il caos è un mio amico. E' come se io accetto lui, lui accetta me.
D: Vedi il mondo come caos?
R: La verità è caos. Forse la bellezza è caos.
D: Poeti come Eliot e Yeats...
R: Non ho mai letto Yeats...
D: ...vedono il mondo come caos, lo accettano come caos e tentano di portare
ordine. Stai tentando di fare una cosa del genere?
R: No. Il caos esiste e questo è tutto. Esiste da molto più tempo di me.
Cosa posso farci? Non so cosa siano le canzoni che scrivo. Tutto quel che
faccio è scrivere canzoni, giusto? Scrivo. E colleziono anche oggetti.
D: Chiavi inglesi?
R: Dove l'hai letto? E' stata pubblicata questa cosa delle chiavi inglesi?
Ho detto a questo tizio sulla costa che collezionavo chiavi inglesi, di
tutte le misure e di tutte le forme, e lui non mi ha creduto. Credo che
nemmeno tu mi creda. Colleziono anche fotografie. Ti è capitato di parlare
con Sonny e Cher?
D: No.
R: Sono una palla. Un tale l'hanno buttato fuori da un ristorante e lui
(presumibilmente Dylan si riferisce a Sonny Bono) è andato a casa e ci ha
scritto sopra una canzone.
D: Dicono che la tua cassetta postale riceve molte più lettere da quando hai
cambiato sound.
R: E' vero. Non ho il tempo per leggerle tutte, ma voglio che tu scriva che
rispondo alla metà di esse. In realtà non lo faccio. Lo fa una ragazza per
me.
D: Ne conserva qualcuna per te...? Qualche lettera particolarmente
interessante?
R: Lei mi conosce. Non mi dà quelle in cui mi chiedono semplicemente una
foto, c'è un archivio apposito per quelle. Nemmeno quelle che dicono: voglio
farlo con te... Quelle vanno in un altro archivio. Lei conserva quelle
violente...
D: Quelle che ti definiscono un venduto?
R: Già. Venduto, spione, Fascista, Rosso, di tutto. Mi piacciono davvero
quelle. E quelle dei vecchi amici.
D: Quelle tipo: "Tu non ti ricordi di me ma ero a scuola con te in quarta"?
R: No, non ho mai avuto amici allora. Parlo di lettere di persone che mi
hanno conosciuto a New York, cinque o sei anni fa. I miei primi fans. Non
quelli che si autodefiniscono i miei primi fans. Quelli sono venuti due o
tre anni dopo. Non sono veramente i miei primi fans, quelli.
D: Come ti sei sentito quando ti hanno fischiato al tuo concerto a Forest
Hills?
R: Ho pensato che fosse grande, davvero. Se dicessi qualcosa di diverso
sarei un bugiardo.
D: Ed al Folk Festival di Newport?
D: Quello è stato diverso. Hanno distorto il suono. Non gli piaceva quello
che avrei suonato ed hanno distorto il suono prima che io iniziassi.
D: Ho sentito che indossi una giacca da venduto.
R: Che tipo di giacca è una giacca da venduto?
D: Di pelle nera.
R: Ho posseduto giacche di pelle nera da quando avevo cinque anni. Ho
indossato giacche di pelle nera per tutta la mia vita.
D: Mi domandavo se potremmo parlare della musica elettronica e del perchè
hai deciso di utilizzarla.
R: Io mi sentivo bene, sai, a cantare e a suonare la mia chitarra. Si
trattava di qualcosa che dava sicurezza, capisci, era una cosa sicura. Ma
stavo annoiandomi con questa cosa. Non potevo più andare fuori sul palco e
suonare in quel modo. Sapevo quel che il pubblico avrebbe fatto, come
avrebbero reagito. Era tutto quanto troppo automatico. Stavo pensando di
mollare.
La tua mente comincia ad andare alla deriva se tu non trovi il modo di
entrare nella situazione e rimanerci completamente. E' come una lotta
rimanere totalmente lì tutto da solo. Ti costa troppo. Non puoi non avere
nessuno intorno. Non ti annoi con il mondo di qualcun altro. E a me piace la
gente. Quel che sto facendo ora... è tutta un'altra cosa.
Noi non suoniamo musica rock. Non è un suono duro. Quella gente lo chiama
folk rock, facciano pure se vogliono chiamarlo così, con qualcosa di
semplice... E' un termine buono per vendere dischi. Io non so cosa sia
esattamente. Non posso definirlo folk rock. E' un intero modo di fare le
cose. E' un certo modo di sentire, e c'è stato su ogni singolo disco che io
abbia mai registrato. Questo non è cambiato. So che non è cambiato. Lo so.
So molto bene come farlo. So cosa voglio dire e cosa voglio fare. La band
che lavora con me... Non suonerebbero con me se non suonassero come io
voglio che essi suonino. Ho questa canzone, "Queen Jane Approximately"...
D: Chi è Queen Jane?
R: Queen Jane è un uomo.
D: C'è stato qualcosa di particolare che ti ha fatto decidere di cambiare il
tuo sound? Magari il tuo viaggio in Inghilterra?
D: Mi piace questo sound. Mi piace quel che sto facendo adesso. Vorrei
averlo fatto prima. Ma non era pratico farlo prima. Passo molto del mio
tempo a scrivere. Non avrei avuto il tempo. Dovevo andare dove stavo andando
tutto da solo. Ora non so cosa farò da oggi in poi. Probabilmente registrerò
ancora con strumenti acustici ogni tanto, ma non significherà
necessariamente un cambiamento. E' solo un colore differente. Ed io so che è
reale. Non mi importa quello che dicono gli altri. Possono anche fischiarmi
fino alla fine del tempo. Io so che la musica è reale, più reale dei fischi.
D: Quando scrivi?
R: Il più delle volte lavoro di notte. Anche se non lo considero realmente
un lavoro. Non so quanto sia davvero importante. Non è davvero importante
per un tizio comune che lavora otto ore al giorno. Che cosa potrebbe
importargliene a lui? Il mondo potrebbe andare avanti tranquillamente senza.
D: Certo, ma il mondo potrebbe andare avanti senza un sacco di altre cose.
R: Ti farò un esempio. Rudy Vallee. Ora quella era una menzogna, quella era
una totale menzogna. Che genere di persone potevano amarlo? Lo sai, le nonne
e le mamme. Ma che genere di persone erano? Era così asessuale. Se vuoi
capire quei tempi ed ascolti la sua musica non scoprirai niente a proposito
di quei tempi. La sua musica era un'illusione, un sogno. Tutte evasioni. Ora
non ci sono più evasioni e fughe dalla realtà. Se vuoi capire qualcosa di
quello che sta succedendo ora, devi ascoltare la musica. Non parlo delle
parole, sebbene "Eve of Destruction" ti direbbe qualcosa. Le parole non ti
diranno davvero qualcosa di quello che sta succedendo. Devi ascoltare The
Staple Singers, Smokey and the Miracles, Martha and the Vandellas. Questo è
spaventoso per un sacco di persone. Ci sono implicazioni sessuali. E non
sono nascoste. Sono reali. Puoi esagerarle. Non è solo sesso, è tutto un
bellissimo modo di sentire.
D: Ma il rhythm and blues dei Negri è circolato in maniera sotterranea per
almeno dodici anni. Cosa l'ha portato allo scoperto ora?
R: Gli Inglesi. Loro lo hanno portato allo scoperto. Leggi un'intervista ai
Beatles in cui si chiede loro chi è il loro cantante favorito ed essi
rispondono Chuck Berry. Non sentivi di solito i dischi di Chuck Berry alla
radio, blues duro. Gli Inglesi l'hanno fatto. L'Inghilterra è grande e
bellissima, sebbene in un certo senso sia un po confusionaria.
D: In che senso?
R: C'è un certo snobbismo. Quel che vedi che la gente fa ad altra gente. Non
è solo una questione di classi sociali. Non è così semplice. In un certo
senso è una cosa legata alla Regina. Alcune persone hanno privilegi reali ed
altre no. Qui se qualcuno non ti ama te lo dice. Lì è tutto molto formale,
un tipo di espressioni formali, l'intero modo di parlare cambia. E' una cosa
da tutti i giorni. Ma i ragazzi sono tutta un'altra cosa. Grandi. Sono molto
più liberi. Spero che tu non pensi che prendo questa cosa troppo
seriamente... Mi sta venendo il mal di testa.
D: Credo che tu abbia iniziato a dire che la musica è in sintonia con quello
che accade intorno più di ogni altra forma di arte.
R: I grandi dipinti non dovrebbero stare nei musei. Sei mai stata in un
museo? I musei sono dei cimiteri. I quadri dovrebbero stare sui muri dei
ristoranti, dei negozi, delle stazioni di carburante. I grandi quadri
dovrebbero stare dove c'è la gente. Il solo posto dove succede qualcosa è
alla radio e nei dischi, è lì che c'è la gente. Tu non puoi vedere i grandi
quadri. Paghi mezzo milione di dollari e te ne appendi uno in casa sì che
gli ospiti lo vedano. Questa non è arte. E' una vergogna, un crimine. La
musica è la sola cosa che sia in sintonia con quello che accade. Non è in
forma di libro, non è su un palcoscenico. Tutta questa arte di cui vanno
parlando è qualcosa che non esiste. Rimane semplicemente sulla mensola. Non
rende nessuno più felice. Prova a pensare anche soltanto a quanta gente si
sentirebbe meglio se potesse vedere un Picasso nella loro cucina. Non è la
bomba che deve andarsene, sono i musei.
traduzione di Michele Murino
Pubblicata in "Retrospective", ed. Craig McGregor, ed anche in "Positively
Tie Dream" (Ashes and Sand 1979)
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
L'INTERVISTA DI PAUL J. ROBBINS
SANTA MONICA, CALIFORNIA, MARZO 1965
Robbins: Non so se fare un'intervista seria oppure continuare in quel modo
assurdo in cui abbiamo parlato la notte scorsa.
Dylan: Comunque fa lo stesso, amico.
Robbins: Già, okay... Se tu sei un poeta e scrivi parole arrangiate in una
sorta di ritmo, perchè ad un certo punto hai cambiato e scrivi liriche in
una canzone sì da cantare le parole come fossero parte di una Gestalt?
Dylan: Dunque, non sono in grado di definire la parola poesia, nemmeno ci
provo. Una volta pensavo che Robert Frost fosse poesia, altre volte ho
pensato che Allen Ginsberg fosse poesia, a volte ho pensato che Francois
Villon fosse poesia... Ma la poesia non è realmente confinata alla pagina
stampata. Ehi, ancora, io non credo in una frase come "Guarda quella ragazza
che passa! Non è poesia?" Non impazzirò per questo.
Le liriche delle mie canzoni... Semplicemente avviene che possano essere un
po' più strane che nella maggioranza delle altre canzoni. Per me è facile
scrivere canzoni. Ho scritto canzoni per un sacco di tempo e le parole delle
mie canzoni non sono state scritte soltanto per essere stampate; sono state
scritte per essere lette. Se tu togli qualsiasi cosa ci sia in una mia
canzone, il ritmo, la melodia e tutto il resto, io sono ancora comunque in
grado di recitarla. Ad ogni modo non vedo niente di sbagliato nemmeno nelle
canzoni per le quali non si è in grado di fare ciò, voglio dire, canzoni
che, se gli togli il ritmo e la melodia, non stanno in piedi. Perchè non è
quella la loro funzione. Le canzoni sono canzoni... Non credo che ci si
debba aspettare troppo.
Robbins: Cosa è successo a Blind Boy Grunt?
Dylan: E' una cosa che facevo anni fa. Ora c'è un sacco di gente che scrive
canzoni di protesta. Ehi, io preferisco ascoltare Jimmy Reed o Howlin' Wolf,
amico, oppure i Beatles, o Francoise Hardy, piuttosto che ascoltare i
cantanti di protesta, anche se in effetti non ho ascoltato tutti i cantanti
di protesta che ci sono in giro. Ma quelli che ho ascoltato, beh, c'è questa
vacuità che è come una canzone che dice "Teniamoci le mani ed ogni cosa sarà
splendida". Non ci vedo niente di più di questo. Solo perchè qualcuno
menziona la parola "bomba", io non grido "Aalee!" ed inizio ad applaudire.
Robbins: Non è che semplicemente non funzionano più?
Dylan: Non è che non funzionino più, è che c'è un sacco di persone che hanno
paura della bomba, giusto? Ma ci sono un sacco di altre persone che hanno
paura di esser viste portare una rivista MODERN SCREEN per la strada, sai.
Un sacco di gente che ha paura di ammettere che gli piacciono i film di
Marlon Brando... Ehi, non è che non funzionino più ma hai mai pensato ad un
posto dove FUNZIONANO? Cosa esattamente FUNZIONA?
Robbins: Danno un'aria "fica" alla gente che le canta, immagino che sia
questo. Ma quello che funziona è l'atteggiamento, non la canzone. E' ora va
di moda semplicemente un'altro atteggiamento.
Dylan: Già, ma tu devi essere molto alla moda a proposito
dell'atteggiamento, devi essere alla moda nel campo della comunicazione.
Certo, puoi scrivere ogni tipo di canzone di protesta e puoi metterle su un
disco della Folkways. Ma chi le ascolta? Le persone che le ascoltano in ogni
caso saranno d'accordo con te. Non riuscirai a farle ascoltare a qualcuno a
cui non piacciono. La gente non ascolta le cose che non gli piacciono. Prova
a trovarmi un tizio che realmente dica "Okay, sono un uomo cambiato perchè
ho ascoltato questa cosa, o perchè ho visto questa cosa...". Ehi non succede
necessariamente così tutte le volte. Succede con un insieme di esperienze
che ognuno può realmente conoscere per istinto sapendo quel che per lui è
giusto e quel che è sbagliato fare. Per cui non si deve realmente sentire
colpevole di qualcosa.
Robbins: E tu non vuoi sentirti in colpa?
Dylan: Non è che io non abbia colpa. Non sono più colpevole di quanto non lo
sia tu. Io non considero alcuna generazione più anziana di me colpevole.
Voglio dire, prendi il processo di Norimberga, giusto? Quei tipi dicono
"Dovevo uccidere tutta quella gente oppure mi avrebbero ucciso" Ora, chi
deve processarli per questo? Chi sono questi giudici che hanno il diritto di
processare una persona? Come fai a sapere che i giudici non avrebbero fatto
la stessa cosa?
Robbins: Ma questa cosa a proposito dello Statute of Limitations (per i
reati che cadono in prescrizione) che sta scadendo e tutti quanti vogliono
estenderlo? Ti ricordi, in AMIMAL FARM, quello che scrivevano sul muro?
"Tutti gli animali sono uguali". Ma poi avevano aggiunto "... ma alcuni sono
più uguali di altri." E' la stessa cosa al contrario. Che alcuni sono meno
uguali di altri. Siccome i nazisti sono *davvero* criminali, allora cambiamo
la legge solo per inchiodarli tutti.
Dylan: Già, tutta quella merda finisce nella stessa categoria. A nessuno
piace la vendetta, giusto? Però ci sono questi tizi di Israele che, dopo
VENTI anni, stanno ancora cercando di catturare quei tizi, che sono dei
vecchi, amico, e che sono scappati. Dio sa che non vanno da nessuna parte e
non fanno niente. E ci sono questi tizi di Israele che se ne vanno correndo
per il mondo per catturarli. Hanno speso venti anni della loro vita.
Se togli loro quel lavoro diventano nè più ne meno che come un panettiere.
Che ha la sua intera vita legata ad una sola cosa. E' una cosa da pensiero
fisso, senza niente altro in mezzo: "Questo è quel che è ed io devo
ottenerlo". Ogni altra cosa in mezzo viene cancellata. Io non potrei farlo
ma non posso realmente criticarli. Ehi: Io non posso criticare NIENTE. Non
devo criticare la gente che non mi piace, perchè non devo essere vicino a
nessuna di queste persone. Naturalmente c'è la grande gigantesca
contraddizione del Che Cosa Fare. Ehi, io non so quel che fai tu, ma tutto
quel che posso fare io è disfarmi di tutte le cose da NON fare. Io non so
com'è, tutto quel che so è come NON è. E finchè io so questo, non ho bisogno
davvero di sapere realmente com'è. Tutti sanno com'è una volta ogni tanto,
ma nessuno se ne può andare in giro per tutto il tempo in una completa
Utopia. Mi stavi chiedendo a proposito della poesia? Amico, la poesia è solo
una stronzata, sai? Non so quel che avviene negli altri paesi, ma in questo
è un totale massacro. Non è affatto poesia. La gente non legge poesia in
questo paese, se lo fanno essa li offende; non la amano. Vai a scuola,
amico, e che tipo di poesia leggi? Leggi Robert Frost, "The Two Roads",
leggi T.S. Eliot, leggi tutte quelle stronzate ed è proprio un peccato,
amico. Non c'è niente di hard, è solo una merda di uovo bollito. E poi, in
cima a tutto ciò, gettano Shakespeare a qualche ragazzo che non è in grado
di leggere Shakespeare al liceo, giusto? A chi piace leggere l'AMLETO,
amico? Tutto quel che ti danno è IVANHOE, SILAS MARINER, TALE OF TWO CITIES,
e ti tengono lontano dalle cose che tu dovresti fare. Non dovresti nemmeno
andarci a scuola. Dovresti imparare le cose dalla gente. E' da lì che inizia
tutto. Agli inizi, dai 13 ai 19 anni, è lì che c'è tutta la corruzione.
Queste persone trascurano tutto questo, giusto? C'è più sifilide tra la
gente dai 13 ai 19 di quanta ce ne sia in ogni altro gruppo, ma loro non lo
dicono mai. Loro non vanno mai nelle scuole a fare delle iniezioni. Ma ecco
com'è. E' tutta propaganda, amico.
Robbins: A proposito di tutto questo: se tu metti tutto ciò nelle liriche
invece della poesia, hai una maggiore possibilità di colpire le persone che
devono essere colpite?
Dylan: Sì, ma non mi aspetto alcunchè da questo, capisci? Tutto quello che
posso fare è essere me stesso, chiunque io sia, per le persone per le quali
suono, e non cercare di ingraziarmele dicendo loro che sono qualcosa che in
realtà non sono. Non dirò loro che sono il Grande Combattente per la Causa
oppure il Grande Innamorato o ancora il Grande Ragazzo Genio o qualsiasi
altra cosa. Perchè non lo sono, amico. Perchè ingannarli?
Robbins: Questo ci porta ad un altro argomento. Tutte le riviste folk e
molte persone dell'ambiente folk ce l'hanno con te. Questo avviene perchè tu
sei cambiato oppure...
Dylan: E' che io ho successo e loro vorrebbero aver successo, amico. E'
invidia. Ehi, chiunque con un minimo di cognizione saprebbe capire per
istinto quel che sta succedendo. Chi non lo sa, è ancora fissato con il
successo ed il fallimento ed il buono ed il cattivo... Forse non ha una
ragazza... Cose del genere. Ma io non posso tener conto dei commenti, amico.
Non prendo seriamente quel tipo di cose. Se qualcuno mi loda e mi dice
"Quanto sei fico!", non significa niente per me, perchè in genere sono in
grado di sentire com'è quella persona. E non è un complimento se qualcuno
che è un maniaco totale viene e mi dice "Quanto sei fico!" Ed è la stessa
cosa se io non piaccio loro. Altri tipi di persone non DEVONO dire niente
perchè, alla fine dei conti, è tutto quel che succede in quel momento che
conta. A chi *importa* del domani o dello ieri? La gente non vive ieri o
domani, vive ora.
Robbins: E' perchè abbiamo il nuovo cosiddetto suono rock & roll che sta
emergendo, è una sintesi di tutte le cose...
Dylan: E più che questo, amico. Oggi la gente ne sa più di prima. Hanno
visto così tanto e conoscono le stronzate di ogni cosa. La gente oggi non si
preoccupa nemmeno di andare in prigione. E allora? Ci sono ancora quelli cui
non importa niente di niente, ma penso che quelli che non fanno del male a
nessuno non li puoi biasimare, capisci, se quelle persone sono felici di
fare questo.
Robbins: Ma cosa succederebbe se queste persone congelassero se stessi
nell'apatia? Cosa succederebbe se non si preoccupassero più del tutto di
niente?
Dylan: Di chi è il problema? Il tuo o il loro? No, non è così, è che nessuno
può imparare da qualcun altro. Nessuno può avere qualcuno che gli mostri le
cose e gliele insegni. La gente deve imparare da sola, passare attraverso
qualcosa che vive in prima persona. Certo, tu dici come si fa in modo che
qualcuno sappia qualcosa...? La gente lo sa da sola; impara dall'esperienza
ed essa semplicemente viene fuori in qualche modo quando dovranno affrontare
la situazione successiva.
Robbins: Ma per la gente a cui non importa niente non viene fuori niente. E'
tutta una cosa fredda dove niente succede in nessun luogo; è come mantenere
lo status quo di circostanze già esistenti, qualsiasi esse siano...
Dylan: Gente a cui non importa niente? Stai parlando di quelli che lavorano
nelle stazioni di carburante oppure di un dottore Zen, amico? Ehi, c'è un
sacco di gente a cui non importa niente; ad un sacco di persone non importa
per varie ragioni. Ad un sacco di gente importano alcune cose e non gliene
importano altre, e per quanto riguarda quelli a cui non importa niente di
niente, beh, tocca a me non lasciare che mi distruggano e non devo essere io
a distruggere loro. Ci è stato insegnato che quando ti alzi al mattino, devi
uscire e distruggere qualcuno. Cammini per strada e, finchè non hai
distrutto qualcuno, non torni a casa, giusto? E un mondo che sembra un
circo.
Robbins: Allora per chi scrivi e canti?
Dylan: Non scrivo e non canto per nessuno, a dire la verità. Ehi, davvero,
non mi importa quel che dice la gente. Non mi importa quel che mi fanno
sembrare o quel che dicono ad altra gente che io sono. Se me ne fossi mai
preoccupato te lo direi; veramente non mi interessa nulla di tutto ciò.
Nemmeno vengo in contatto con queste persone. Ehi, però mi piace la gente.
Ma se qualcuno viene da me e mi domanda delle cose che ha avuto in mente per
un tempo così lungo, tutto quel che posso pensare io al riguardo è "Wow,
amico, cos'altro può esserci nella testa di quella persona all'infuori di
me? Sono così importante io, amico, da essere nella mente di una persona per
un tempo così lungo che questi deve avere questa risposta?" Voglio dire, può
davvero aiutarlo nella vita il fatto che io gli dica qualcosa? Ehi,
andiamo...
Robbins: Un disc jockey locale, Les Claypool, una sera ha parlato
ininterrottamente di te. Per circa 45 minuti, ha mandato in onda le tue
canzoni e poi delle canzoni etniche dimostrando che le melodie erano le
stesse. Dopo ogni coppia di canzoni diceva, "Beh, vedete...? Questo ragazzo
copia le melodie di altri artisti; non è originale. E non solo questo",
diceva, "le sue canzoni sono totalmente deprimenti e non hanno speranza".
Dylan: Chi è Les Claypool?
Robbins: Un disc jockey di musica folk di queste parti che ha un lungo talk
show ogni sabato sera ed una trasmissione di un'ora ogni notte durante la
quale suona musica etnica.
Dylan: Ha suonato QUELLE canzoni? Non ha suonato qualcosa che avesse qualche
speranza?
Robbins: No, ha messo su quelle canzoni per dimostrare le sue
argomentazioni. Ad ogni modo questo ci porta ad una domanda ovvia: perchè
utilizzi melodie che sono già state scritte da altri?
Dylan: In genere facevo così quando ero più o meno nel folk. Conoscevo
quelle melodie; erano già lì. Lo facevo perchè mi piacevano quelle melodie.
Lo facevo quando non ero davvero così famoso e le canzoni non raggiungevano
così tante persone, e tutti quelli che le ascoltavano le apprezzavano.
Amico, io non ho mai presentato una canzone dicendo, "Ecco la canzone alla
quale ho rubato la melodia". Per me non era così importante; e ancora adesso
non è così importante. Non mi importa delle melodie, amico, comunque le
melodie sono tutte tradizionali. E se qualcuno ne vuole accennare una e poi
dire "Questo è Bob Dylan", è un affare suo, non mio. Intendo dire, se ci
sono persone che vogliono pensarla così... Chiunque con un qualche minimo di
senso, amico, dice che io non ho alcuna speranza... Ehi, io ho la FEDE. So
che ci sono persone che sanno che questa cosa delle melodie copiate è una
totale stronzata. Credo che quel tizio fosse solo molto nervoso. Non aveva
davvero avuto una bella giornata e allora doveva prendersela con qualcosa.
Fico. Se l'è presa con me? Ehi, se non se la fosse presa con me, se la
sarebbe presa con qualcun altro, non ha importanza. Non mi crea problemi,
perchè a me non importa niente. Non è venuto verso di me in strada e mi ha
camminato sulla testa, amico. Ehi, e poi in ogni caso l'ho fatto solo con
poche delle mie canzoni. E poi quando non lo faccio, tutti dicono che sono
melodie rock & roll. Non puoi soddisfare la gente, proprio non puoi. Devi
saperlo, amico; a loro non gliene frega niente.
Robbins: Perchè il rock & roll sta emergendo e la musica folk sta
scomparendo?
Dylan: La musica folk si è autodistrutta. Nessuno l'ha distrutta. La musica
folk è ancora qui, se vuoi apprezzarla. Non è un fatto di emergere o
sparire. Sono soltanto tutte le dolci e melliflue stronzate, amico, che
semplicemente sono state rimpiazzate da qualcosa che la gente sa che c'è
adesso. Ehi, si ascoltava rock & roll molto prima dei Beatles, si è
abbandonato il rock & roll intorno al 1960. Io l'ho fatto nel 1957. Non
potevo farcela come cantante di rock & roll allora. C'erano troppi gruppi.
Ero solito suonare il piano. Ho registrato anche dei dischi.
Robbins: Okay, adesso tu hai un sacco di soldi. Ed il tuo stile di vita non
è più quello di quattro o cinque anni fa. Adesso è molto più lussuoso.
Questa cosa ti ha cambiato?
Dylan: Beh, io me ne sono andato dal luogo in cui ero nato perchè lì non
c'era niente. Vengo dal Minnesota, lì non c'era niente. Non proverò a
mentire dicendo che me ne sono andato perchè volevo vedere il mondo. Ehi,
quando me ne sono andato da quel posto, amico, io sapevo solo una cosa:
dovevo andarmene via da lì e non tornarci più. Anche solo con i miei sensi
sapevo che doveva esserci qualcosa di più dei film di Walt Disney. Non me ne
è mai importato molto del denaro. Non l'ho mai considerato come qualcosa di
veramente importante. Potevo sempre suonare la chitarra, capisci, e farmi
degli amici, o falsi amici. Un sacco di altra gente fa altre cose e ottiene
da dormire e da mangiare in quel modo. Puoi trovare un sacco di persone che
hanno paura, giusto? Che si sposano, mettono su famiglia e si sistemano. Ma,
dopo che hanno ottenuto tutto questo, l'unica differenza è che non devono
andare a dormire al freddo la notte, tutto qui. La sola cosa che cambia è
che non muoiono. Ma sono felici? Non c'è nessun posto dove andare.
Robbins: Riesci a trovare degli amici, amici veri... Riesci ancora a
riconoscerli?
Dylan: Oh, certo, amico, sono in grado di dire quando qualcuno mi piace. Non
ho bisogno di conoscere a fondo niente di nessuno.
Robbins: Tornando alle canzoni di protesta. Il lavoro dell' IWW (Industrial
Workers of the World, un sindacato americano, ndt) è finito ora ed i
sindacati sono abbastanza stabili. Che ne pensi del movimento per i diritti
civili?
Dylan: Beh, va bene. E' giusto. Non è più "Comunista". La rivista "Harper's
Bazaar" lo può presentare, e lo puoi trovare sulla copertina di Life. Ma
quando ci guardi sotto, come sotto ad ogni cosa, scopri che c'è della merda.
Il Movimento dei Diritti Civili dei Negri è giusto adesso, ma c'è di più di
quel che c'è in "Harper's Bazaar". C'è di più che il picchettaggio a Selma,
giusto? C'è gente che vive in totale povertà a New York. E ancora, hai
questo grande Diritto di Voto. Che è fico. Vuoi che tutti questi Negri
votino? Okay, io non posso gridare "Alleluia" solo perchè loro vogliono
votare. Per chi voteranno alla fine? Solo per dei politici; la stessa cosa
che fanno i bianchi. Ehi, andranno solo a votare per dei politici, questo è
tutto quel che faranno. Odio parlare così, mi fa sembrare duro, ma in fondo
si riduce tutto a questo.
Robbins: Ma che mi dici della campagna per l'educazione?
Dylan: Educazione? Andranno a scuola ed impareranno tutte le cose che
insegnano nelle scuole private dei bianchi. Il catechismo e tutto il resto.
Che cosa impareranno? Cos'è questa educazione? Ehi, sarebbe meglio che non
ci andassero affatto a scuola. L'unico svantaggio che avrebbero in questo
caso è quello di non poter diventare un dottore o un giudice. Oppure non
potranno ottenere un buon lavoro per una compagnia di commessi viaggiatori.
Ma è tutto qui. Se tu mi vuoi dire che è un bene che abbiano un'educazione e
che se ne vadano a trovare un lavoro del genere, okay. Io non lo dirò. A me
non frega niente della reale conoscenza, amico. A me non importa quello che
qualcuno sa, non me ne frega niente se qualcuno è un'enciclopedia ambulante.
Forse che questa cosa lo rende più simpatico nel corso di una conversazione?
A chi gliene frega se Washington è stato il primo presidente degli Stati
Uniti? Pensi davvero che qualcuno sia stato mai realmente aiutato da questo
tipo di conoscenza?
Robbins: Forse in un questionario. Beh, qual è la risposta?
Dylan: Non ci sono risposte, amico. Nè domande. Devi leggere il mio libro
... C'è una piccola parte a proposito di questo argomento. Si evolve in una
cosa dove vengono menzionate parole come "Risposta". Non potrei in poche
parole spiegarti questa cosa, perchè devi leggere tutto il libro per vedere
queste specifiche parole, "Domanda" e "Risposta". Possiamo darci
appuntamento per un'altra intervista dopo che hai letto il libro.
Robbins: Già, hai un libro in uscita. Di che si tratta? Qual è il titolo?
Dylan: Il titolo di prova è "Bob Dylan Off the Record". Ma mi hanno detto
che ci sono già libri con questa frase nel titolo. In realtà il libro non
può avere un titolo, per il tipo di libro che è. Ne scriverò anche le
recensioni.
Robbins: Perchè scrivere un libro invece di canzoni?
Dylan: Ho scritto alcune canzoni che in un certo modo sono una lunga
sequenza di versi, roba del genere... Ma in realtà non ho scritto una
canzone in forma completamente libera. Ehi, ti piacciono cose come i cut-up?
Voglio dire, come William Burroughs?
Robbins: Sì, c'è un tizio a Parigi che ha pubblicato un libro senza
impaginazione. Le pagine vengono vendute in una scatola e tu la lanci in
aria e come atterra così lo leggi.
Dylan: Già. Perchè è questo che significa. Okay, ho scritto il libro perchè
c'è dentro un sacco di roba che non potevo cantare... Tutti collages. Non
posso cantarli perchè o sono troppo lunghi o sono troppo strani. Qualcosa
che non ha rime, tutti cut-up.
Robbins: Hai scritto il libro per dire qualcosa?
Dylan: Sì, ma certamente nessun tipo di profonda dichiarazione o sentenza.
Il libro non inizia nè finisce.
Robbins: Ma avevi qualcosa da dire. E volevi dirlo a qualcuno.
Dylan: Già, l'ho detto a me stesso. Soltanto che io sono fortunato perchè
posso metterlo dentro un libro. Ora qualcun altro ha la possibilità di
vedere quello che ho detto a me stesso.
Robbins: Tu adesso hai quattro album usciti ed un quinto che sta per uscire.
Questi album sono sequenziali rispetto al modo in cui hai composto e cantato
le canzoni che contengono?
Dylan: Già, ho circa due o tre album che non ho mai registrato, sono canzoni
perdute. Sono vecchie canzoni. Non le ho mai registrate. Alcune canzoni
molto fiche. Alcune vecche canzoni che ho scritto e cantato forse una volta
sola in concerto e nessuno altro le ha mai sentite. Ci sono un sacco di
canzoni perdute tra i vari album.
Robbins: Perciò se io iniziassi con Album One, Side One, Band One, potrei
veramente vedere Bob Dylan crescere?
Dylan: No, potresti vedere Bob Dylan ridere di se stesso. Oppure potresti
vedere Bob Dylan cambiare. Questo soprattutto in realtà.
Robbins: Che ne pensi dei Byrds? Pensi che stiano facendo qualcosa di
diverso?
Dylan: Sì, potrebbero. Stanno facendo qualcosa di veramente nuovo adesso. E'
come il sound di Bach ballabile. Come "Bells of Rhymney". Stanno tagliando
tutti i tipi di barriere. Se non chiudono le loro menti verranno fuori con
qualcosa di veramente fantastico.
traduzione di Michele Murino
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Parla Bob Dylan
di Joseph Haas
Pubblicata sul Chicago Daily News del 27 Novembre 1965 - Ristampata in
"Retrospective", ed. Craig McGregor
Bob Dylan, una delle figure più talentuose e controverse dello spettacolo
Americano, si esibirà stasera nel secondo di due concerti all'Arie Crown
Theater di McCormick Place. Quando il ventiquattrenne artista canta le sue
composizioni originali, nella sua maniera estremamente personale, milioni di
giovani ascoltano, sia ai concerti che grazie alle registrazioni sui suoi
album e singoli che sono diventati dei
best-seller. I saggi genitori che vogliono capire quel che pensa la
generazione più giovane farebbero meglio ad ascoltarlo. Dylan è un artista
difficile da classificare - è forse un cantante di protesta, il leader del
culto del folk-rock, un rock'n'roller, o una naturale evoluzione della
musica folk Americana? E' stato definito in tutti questi modi e forse la
cosa migliore da fare è non tentare di classificarlo per niente, ma lasciare
che egli parli per se stesso, che parli di se stesso.
D: Canterai qualcuna delle cosiddette canzoni folk-rock nel concerto di
stasera?
R: No, non si tratta di folk-rock, sono solo strumenti... non è folk-rock.
Lo chiamerei un suono matematico, una specie di musica Indiana. Non sono
realmente in grado di descriverla.
D: Non ti piacciono i gruppi folk-rock?
R: No, no, mi piace qualsiasi cosa gli altri facciano, mi piace quel che un
sacco di gente fa. Anche se non apprezzo necessariamente il modo di scrivere
di molti cantautori, ma apprezzo l'idea di..., voglio dire come stanno
provando a farcela, sai. In realtà non conosco molti di loro. Ho 24 anni e
molti di questi che cantano ed ascoltano sono teenagers. Io suonavo
rock'n'roll quando avevo 13 anni, e poi a 14 e a 15, ma dovetti lasciare
quando compii 16 anni perchè non potevo farcela in quel modo, l'immagine di
quei tempi era Frankie Avalon oppure Fabian, sai, quell'immagine atletica
che, se non potevi averla, allora non potevi farti degli amici. Suonavo
rock'n'roll quando ero adolescente, già, suonavo in maniera
semi-professionale, suonavo il piano con gruppi di rock'n'roll. Poi, più o
meno nel 1958 o 1959, ho scoperto Odetta, Harry Belafonte, roba del genere,
e sono diventato un folk singer.
D: Hai fatto questo cambiamento in maniera tale che tu potessi "farcela"?
R: Non potevi sopravvivere con il rock'n'roll a quei tempi, non potevi
portarti dietro un amplificatore ed una chitarra elettrica e pensare di
sopravvivere. Ci voleva troppo denaro per comprarsi una chitarra elettrica,
e poi dovevi guadagnare molto denaro per poterti permettere abbastanza
persone che suonassero gli altri strumenti, avevi bisogno di almeno altre
due o tre persone per creare un certo sound. Dunque non era una cosa che
potevi permetterti di fare da solo.
D: Con l'espressione "farcela" intendi avere un successo commerciale?
R: No, no, non è quello, non si tratta di fare soldi. Quanto di essere in
grado di piacere e di non ferire nessuno.
D: Allora ti sei spostato nel campo della musica folk per avere una migliore
occasione per "farcela"?
R: No, quella fu una cosa casuale. Non sono entrato nella scena musicale
folk per fare soldi, ma solo perchè era facile entrarvi; potevi fare tutto
da solo, non avevi bisogno di nessuno. Tutto quello di cui avevi bisogno era
una chitarra, non avevi bisogno di altro. Non so cosa sia successo a tutto
questo ora. Non credo che sia più bello come era un tempo. Molti dei
cantanti folk se ne sono andati, fanno altre cose. Sebbene ce ne siano
ancora di eccellenti in giro.
D: Perchè hai abbandonato il sound folk?
R: Sono stato su troppe altre strade per fare solo quello. Non potrei
tornare indietro e fare solo quello. Il vero folk non ha mai visto la 42ma
strada, non ha mai preso l'aeroplano. I veri folkie hanno il loro piccolo
mondo, che è bello.
D: Perchè hai iniziato ad usare la chitarra elettrica?
R: Non la uso tanto, in realtà.
D: Alcune persone si sono risentite di questa cosa.
R: E' un loro errore, mi sentirei sciocco a dire che mi dispiace perchè in
realtà io non ho fatto niente. Non è per niente una cosa così seria. Ho il
sospetto che la gente che dice che io li ho traditi hanno cominciato a
seguirmi solo poco tempo fa e non sono con me fin dagli inizi. Perchè io
ancora vedo le persone con cui ero fin dagli inizi una volta ogni tanto e
loro sanno quel che sto facendo.
D: Puoi spiegarci perchè sei stato fischiato al Newport Folk Festival la
scorsa estate quando sei salito sul palco con un chitarra elettrica ed hai
cantato il tuo nuovo materiale?
R: Io nemmeno so chi fosse quella gente, ad ogni modo credo che ci siano
sempre un po' di fischi in tutti noi. Non è che la cosa mi abbia sconvolto.
Non mi sono messo a piangere per questo. Nemmeno l'ho capito. Voglio dire,
cosa volevano ferire, il mio ego? Ma quello nemmeno esiste, perciò non
possono ferirmi con dei fischi.
D: Cosa farai quando il successo del tipo di musica che fai ora comincerà a
scemare?
R: Potrò dirlo quando la smetterò, non è un problema per me. Non ho mai
seguito una moda, non ho proprio il tempo di seguire una moda. E' inutile
persino tentare di farlo.
D: In canzoni come "The Times They Are A-Changin'," tu hai fatto una
distinzione tra i giovani ed i vecchi, hai detto che la generazione più
vecchia non riesce a capire i giovani?
R: Non è questo quel che ho detto. E' successo che quelle fossero le sole
parole che io sia stato in grado di trovare per separare ciò che è vivo da
ciò che è morto. Non ha niente a che vedere con l'età.
D: Cosa puoi dirci del tuo libro? Quando verrà pubblicato?
R: Lo stamperà Macmillan ed il titolo adesso è "Tarantula," in questo
momento si chiama così ma potrei modificarlo. Sono solo un sacco di scritti,
non posso dire realmente di che si tratta o di cosa parli. Non è un tipo di
libro narrativo o cose del genere.
D: Si è letto da qualche parte che stai progettando di smetterla con la
musica, forse presto, e di dedicare il tuo tempo alla scrittura...
R: Quando tutto sarà finito dovrò fare qualcosa, sai. Potrei non scrivere
mai più, potrei cominciare a dipingere.
D: Hai guadagnato abbastanza denaro per avere la libertà di fare quel che
vuoi fare esattamente?
R: Non direi. Tu ti alzi la mattina e vai a dormire la sera, e nel tempo che
c'è in mezzo devi pur fare qualcosa. E' questo il problema ora. Io faccio un
sacco di cose strane. Davvero non ho idea, non posso permettermi di pensare
a stasera, a domani, a nessun tempo. Davvero non ha significato per me.
D: Vivi giorno per giorno?
R: Ci provo. Provo a non fare progetti, ogni volta che faccio progetti
niente sembra funzionare. Ho smesso di fare la maggior parte di quella roba.
Ho un programma di concerti da osservare, ma altre persone mi ci portano. Io
non devo fare niente.
D: Hai speranze di sistemarti e di fare una vita normale, sposarti, avere
dei bambini?
R: Non ho speranze di essere come chiunque altro. Sposarmi, avere un nugolo
di bambini, non ho speranze per questo. Se succede, succede. Qualsiasi cosa
io speri non si realizza. Credo che nessuno sia un profeta.
D: Sembri abbastanza pessimista su tutto.
R: No, non pessimista. Credo che le cose non accadano, ecco tutto, ed ho
accettato la cosa. Non ha importanza pe me. Non è pessimismo, solo una
specie di tristezza, una sorta di non aver speranze.
D: Che mi dici della religione e della filosofia?
R: Non ho religione nè filosofia, non potrei dire molto al riguardo. Un
sacco di gente lo fa ed è bello se possono realmente seguire un certo
codice. Io non me ne vado in giro a cambiare niente. Non mi piace qualcuno
che mi dica quel che devo fare o quello in cui devo credere, come devo
vivere. Non me ne frega niente, sai. La filosofia non può darmi niente che
io non abbia già. La cosa più grande di tutte, che include tutto il resto, è
nascosta in questo paese. E' una vecchia filosofia e religione Cinese. C'è
un libro chiamato "I-Ching", non sto cercando di promuoverlo, non voglio
parlarne, ma è la sola cosa che è fantasticamente reale, non solo per me.
Tutti dovrebbero conoscerlo. E' un intero sistema per capire le cose, basato
su ogni sorta di cose. Non devi credere in niente per leggerlo, perchè oltre
ad essere un grande libro in cui credere, è anche estremamente poetico.
D: Come passi il tuo tempo quando non sei in tour?
R: Passo ore normali. Faccio solo quel che devo fare, non faccio niente in
realtà. Posso sentirmi soddisfatto dovunque, non leggo mai troppo. Una volta
ogni tanto scrivo un po' di cose, e poi le registro. Faccio cose normali.
D: Che mi dici della tua relazione sentimentale con Joan Baez?
R: Oh, Dio, no, è stato tanto tempo fa.
D: Sull'ultimo album di Joan, circa la metà della canzoni sono di Dylan.
R: Il cielo la aiuti.
D: Che mi dici a proposito della storia secondo cui hai cambiato il tuo nome
da Bob Zimmerman a Bob Dylan perchè ammiravi la poesia di Dylan Thomas?
R: No, Dio no. Ho scelto Dylan perchè ho un zio che si chiama Dillon. Ho
cambiato l'ortografia perchè mi sembrava meglio. Ho letto qualcosa di Dylan
Thomas, e sono cose che non hanno niente a che vedere con le mie. Siamo
diversi.
D: Parlaci della tua famiglia...
R: Beh, non ho una famiglia, sono da solo.
D: E che mi dici di quella storia per cui avresti invitato i tuoi genitori
ad uno dei tuoi primi concerti, hai pagato loro il viaggio fin lì, e poi
dopo che loro si sono seduti tu hai detto sul palco che eri un "orfano" e
poi non sei andato a trovarli quando sono venuti a New York?
R: Non è vero. Sono venuti a vedere un concerto, sono venuti per conto loro,
e ho dato loro del denaro. Non è che non li ami o cose del genere,
semplicemente non ho alcun contatto con loro. Loro vivono in Minnesota, e
non c'è niente per me in Minnesota. Forse qualche volta tornerò lì per un
po', tutti ritornano da dove son venuti, immagino.
D: Parli come se tu fossi terribilmente alienato dalla gente.
R: Non sono alienato da niente per forza, solo per abitudine, è solo il modo
in cui sono. Non so, non ho un'idea, è che è più facile essere disconnesso
che essere connesso. Grido alleluia per tutti quelli che sono connessi, è
grande, ma io non ci riesco. Sono stato connesso tante volte. E le cose non
hanno funzionato, perciò piuttosto che farmi a pezzi preferisco non essere
connesso.
D: Stai solo cercando di non rimanere di nuovo ferito?
R: Non sono stato ferito all'epoca, lo capisci in seguito. A ripensarci
dopo, guardando indietro, è solo come un freddo inverno.
D: Eviti relazioni ravvicinate con la gente?
R: Sono in contatto con la gente. Gente come me, anche cani sciolti, ci sono
molti cani sciolti in giro. Personalmente non mi sento alienato, o cane
sciolto, o spaventato. Non mi sembra che ci sia nessuna organizzazione di
cani sciolti in giro. E' solo che non riesco a andare d'accordo con nessun
tipo di organizzazione. Un giorno o l'altro magari mi ritrovero' tutto solo
in una carrozza della metropolitana, senza sapere dove sono finito quando le
luci si spengono, insieme a quaranta persone, e dovro' darmi da fare per
conoscerli. In quel caso faro' quello che si deve fare.
Nota: I termini "connected" e "disconnected", resi qui sopra con "connesso"
e "alienato", o "cane sciolto", si potrebbero anche tradurre rispettivamente
con "integrato" e con "non integrato" (il termine e' molto "anni sessanta"),
ma solo se Dylan sta ponendo una differenza tra chi fa parte
dell'establishment (i "connected" ones) e chi non ne fa parte (i
"disconnected" ones). Se Dylan non sta parlando di questa differenza si
potrebbe tradurre "connected" con "gente che fa parte di un giro" (che puo'
essere anche un giro "alternativo", tipo movimenti di militanza politica
ecc.) e "disconnected" con "gente che non fa parte di nessun giro". Dal
contesto dell'intervista io credo che entrambe le ipotesi vadano bene... Nel
senso che ho l'impressione che Dylan voglia rivendicare la sua non
appartenenza sia all'establishment sia a qualsivoglia giro, sia esso
politico o semplicemente una cerchia di persone legate da qualcosa.
traduzione e note di Michele Murino
grazie ad Alessandro Carrera per la collaborazione
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
L'INTERVISTA DI MAURA DAVIS
FEBBRAIO 1966
Davis: Mr. Dye-lan, io sono della New Buffalo Consolidated High School, e...
uh ... la domanda che ... tutti gli studenti vorrebbero farle è, beh, qual è
la cosa più importante al mondo per lei?
Dylan: Oh, mio Dio! Vogliono davvero sapere questo?
Davis: Sì! Vogliono davvero saperlo!
Dylan: Bene, io direi... Io direi la cravatta che sto indossando adesso.
Davis: La CHE?
Dylan: La cravatta che sto indossando adesso. E' molto importante.
Davis: Sììì-ìììì? Sì, sì!
Dylan: Per ovvi motivi.
Davis: Oh?
Dylan: Uh-huh. Cosa ne penserebbero i vostri studenti se io dicessi che
tutti gli studenti dovrebbero indossare una cravatta come questa?
Davis: Beh... Beh, penso che alcuni di loro uscirebbero subito a comprarne
una. Dove ha comprato quella cravatta, Mr. Dye-lan?
Dylan: L'ho presa a Buffalo.
Davis: A Buffalo?
Dylan: Sì, a Buffalo, proprio vicino alla scuola.
Davis: Oh, oh! Uh, beh... questa è NEW Buffalo.
Dylan: Oh, NEW Buffalo.
Davis: In Michigan.
Dylan: Oh, questo è il Michigan! Chiedo scusa!
Davis: Non è New York.
Dylan: Devo aver sbagliato città.
Fotografo: Mi scusi Mr Dylan, non voglio perdere questa cravatta.
Dylan: Oh, sta perdendo la sua cravatta?
Fotografo: Mr. Dylan, vorrei fotografare la *sua* cravatta.
Davis: (rivolta al fotografo) Dye-lan!
Dylan: (rivolto al fotografo) Dye-lan, la prego!
Fotografo: (rivolto a Dylan) Oh, chiedo scusa. Grazie molte signore.
Davis: E la prossima cosa che suppongo che i nostri studenti vogliano sapere
- voglio dire dopo che io dirò loro che... uh ... mi consenta di farle una
domanda. Probabilmente vorrebbero sapere, sebbene sia scortese per me
chiederlo, PERCHE' quella cravatta è per lei la cosa più importante del
mondo?
Dylan: Beh. Il Presidente Johnson indossava una cravatta come questa - prima
di diventare presidente.
Davis: Ooooh!
Dylan: E' il segno dell'uomo comune, ed io sono un uomo comune.
Davis: Capisco!
Dylan: Perciò indosso una cravatta come questa - solo per essere coinvolto.
Davis: Ummmmm. Indossa quella cravatta quando scrive - quando scrive le sue
canzoni?
Dylan: Quando scrivo? No, in genere la indosso dopo che ho finito - dopo che
ho completato qualcosa di eccellente. Per sentirmi davvero bene mi metto una
cravatta e dopo mi sento meglio - ed in genere ottengo un grande successo.
Davis: Davvero? Oh davvero? Oh, grande! Che canzoni ha scritto...
Dylan: Oh, ho scritto... uh... ho scritto... beh, vediamo. Beh, dopo aver
scritto "Hard Rain's Gonna Fall" non ero sicuro se era abbastanza buona.
Così ho messo la cravatta ed ho SENTITO che non avrei avuto problemi. Ed è
stato un successo!
Davis: Gosh!
Dylan: Già! Pete Seeger l'ha incisa, già, ed è stato un successo.
Davis: Sì? Beh, quali sono i suoi piani per il futuro, Mr. Dye-lan?
Dylan: Oh, io ...
Davis: Posso chiamarti Bob?
Dylan: Sarei grato se mi chiamasse Mr. Dye-lan.
Davis: Oh, va bene.
Dylan: Molti studenti fanno così.
Davis: Va bene.
Dylan: Qual era la domanda?
Davis: Uh .. uh ... oh sì, quali sono i suoi piani per il futuro?
Dylan: Beh, mi toglierò questa cravatta.
Davis: Sì.
Dylan: Questo per quanto riguarda l'immediato futuro, mi toglierò la
cravatta.
Davis: Oh, ha finito di scrivere qualcosa?
Dylan: Ho appena finito di scrivere qualcosa, proprio poco prima che venisse
lei.
Davis: Capisco.
Dylan: Ho appena finito di scrivere qualcosa, ed è per questo che ho la
cravatta.
Davis: Oh, sono così felice! Potevo non vederla mai in cravatta se non
avesse appena finito di scrivere qualcosa.
Dylan: Già, molte persone non mi vedranno MAI con questa cravatta.
Davis: Davvero?
Dylan: Certo, ed ho molte cravatte.
Davis: Diverse? Voglio dire, ne ha di diverse per diversi tipi di canzone?
Dylan: Oh, ho un intero guardaroba di cravatte nella mia camera da letto.
Davis: Sììììì?
Dylan: Vuole venire nella mia camera da letto per vedere di più?
Davis: Oh ... più di cosa?
Dylan: Più CRAVATTE!
Davis: Oh, oh! Sta per scrivere qualche canzone?
Dylan: Potrei scrivere una canzone - scrivere una canzone PROPRIO DI FRONTE
A LEI!
Davis: Vuol dire - uh, senza la cravatta?
Dylan: Senza la cravatta - e me la rimetterò quando ho finito. Non correrà
rischi.
Davis: Oh, beh, beh, va bene.
Pubblicata su Cavalier Magazine nel Febbraio 1966.
traduzione di Michele Murino
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
L'intervista di "Playboy"
Nat Hentoff, Bob Dylan: Interview, su "Playboy", Marzo 1966
Meno di cinque anni fa Bob Dylan vagolava per New York, dormiva a casa di
amici nel Lower East Side e viveva di occasionali lavori come cantante al
Gerde's Folk City, un bar non troppo attraente per gli hillibillies
cittadini del Village. Cappello di cuoio, blue jeans e scarponcini usurati
di camoscio (sua immancabile uniforme di quei giorni), Dylan pareva una
versione aggiornata quanto denutrita di Huck Finn. E come Huck era venuto
direttamente dal Midwest; lui avrebbe preferito dire d'essere "fuggito".
Figlio di Abraham Zimmerman, un venditore di elettrodomestici, crebbe a
Hibbing, Minnesota, una cupa città mineraria vicina al confine canadese.
Nonostante regolari fughe da casa dall'età di dieci anni fino a diciotto, il
giovane Zimmerman riuscì a finire il Liceo e passò a trascorrere circa sei
mesi all'Università del Minnesota nel 1960. Aveva già assunto il nome di Bob
Dylan; secondo la leggenda in omaggio a Dylan Thomas, in realtà per
assonanza con il cognome d'uno zio giocatore d'azzardo, che assomigliava a
Dylan. Nell'autunno di quell'anno, si trasferì sulla Costa Orientale a far
visita al suo vecchio idolo, Woody Guthrie, nell'ospedale del New Jersey in
cui il vecchio bardo folk dell'Oklahoma viveva gli ultimi giorni, afflitto
da una malattia progressiva del sistema nervoso. Dylan si fermò là e tentò
di mettere assieme una carriera di cantante. Secondo i conoscenti d'allora
era timido e ribelle ma fondamentalmente amichevole e, dietro la maschera
eccentrica, d'una gentilezza non comune. Ma la sua voce era discussa. Alcuni
trovavano le sue tonalità piatte da midwestern, spiacevolmente mesmeriche;
altri erano d'accordo con quel cantante folk del Missouri che aveva
paragonato la voce di Dylan a quella di "un cane con una zampa intrappolata
nel filo spinato" Nessuno negava, però, che le sue canzoni fossero
stranamente personali e spesso inquietanti, una pungente mistura di
solitudine e sfida guarnita con tracce di Guthrie, echi di blues nero e più
di una suggestione country and western; ma, essenzialmente, Dylan stava
sviluppando un proprio stile, penetrante quanto notevole. Eppure la voce era
così arrocchita e le canzoni così amaramente sprezzanti verso il
conformismo, il pregiudizio razziale e la mitologia della guerra fredda che
gran parte dei suoi amici neanche immaginava un Dylan veramente celebre,
nonostante la musica folk fosse già in piena espansione. Sbagliavano. Nel
settembre del 1961 un critico musicale del New York Times vide il suo
spettacolo al Gerde's e salutò nel lacero diciannovenne del Minnesota una
delle voci nuove più significative nell'orizzonte folk. Più o meno nello
stesso periodo, Dylan firmò un contratto con la Columbia Records e pubblicò
il suo primo album all'inizio dell'anno seguente. Nonostante risultasse
tutt'altro che un successo clamoroso, i concerti e le scritture si
moltiplicarono gradatamente; quindi Dylan ottenne il suo trionfo storico al
Newport Folk Festival del 1962. Il nuovo LP iniziò a funzionare e, nella
primavera del 1963, venne il primo singolo importante: Blowin' In The Wind.
Quella stessa primavera, Dylan rifiutò una redditizia apparizione come
ospite all'Ed Sullivan Show perché la CBS non voleva permettergli di cantare
una mordente parodia della John Birch Society. Per la gioventù nazionale
stava formandosi l'immagine di Dylan: una sorta di James Dean canoro con
ipertoni di Holden Caulfield. Stava sfondando, però senza vendersi. I suoi
concerti presero ad attrarre folle imponenti mentre le sue canzoni, eseguite
da lui stesso o da altri folksinger, scalavano le classifiche. Una di
quelle, The Times They Are A-Changin', diventò un inno per i giovani
ribelli, che assaporavano il suo messaggio: gli adulti non sanno che fare e
non possono dare direttive ai propri figli. Nel 1965 Dylan era diventato un
grande fenomeno della scena musicale. Un numero crescente di esecutori folk,
da Joan Baez ai Byrds, consideravano indispensabile disporre d'una vasta
scelta di canzoni dylaniane nel proprio repertorio; in un mese di frenetico
apprezzamento (l'agosto scorso) sono state pubblicate quarantotto incisioni
diverse di ballate dylaniane, cantate da altri personaggi. Sempre più
aspiranti esecutori, e autori, di folk songs cominciano a suonare come
Dylan. L'odierna ondata di canzoni di "protesta", a opera di rock'n roller
post-beat dai capelli lunghi quali Barry McGuire e Sonny and Cher, è
accreditabile a Dylan. E l'ultimissima esplosione commerciale, il
"folk-rock", fusione di testi a impronta folk con beat e strumentazione
R'n'R, è in buona parte una conseguenza della recente decisione dylaniana
(esecrata come "svendita" dai puristi del folk) di esibirsi con un gruppo di
rock and roll invece d'insistere ad accompagnarsi da solo alla chitarra.
Sostenuto dalla robusta pulsazione del nuovo gruppo, Dylan suona in
Inghilterra ottenendo lo stesso successo tumultuoso che riscuote in America
e lo spazio radiofonico concesso ai suoi singoli in entrambi i Paesi trova
rivali soltanto nei Beatles, Herm's Hermits e Rolling Stones, nelle
trasmissioni dei Top Forties. Nei prossimi diciotto mesi, le sue entrate
(apparizioni personali, dischi e diritti d'autore) supereranno con tutta
probabilità il milione di dollari. Con tutto ciò, Dylan sembra esteriormente
la stessa persona degli anni poveri del Greenwich Village. I suoi abiti sono
sempre estemporanei fino all'esotismo; i capelli sono ancora lunghi e
ribelli, e continua ad essere improbabile vederlo indossare una cravatta
quanto uno smoking. Ma ci sono stati dei mutamenti. Niente più proteste
polemiche contro la bomba, i pregiudizi razziali o il conformismo: le sue
canzoni sono diventate sempre più personali, un amalgama surrealistica di
minacce kafkiane, satira corrosiva e opaca sensualità. I testi sono più
affollati che mai di parole rotolanti e immagini irrequiete e appaiono più
simili a poesie in versi liberi che a strofe normali. Gli adulti incontrano
ancora difficoltà ad amare il suo linguaggio inconsueto e il suo messaggio
d'alienazione, ma i giovani continuano a sintonizzarsi e mettersi in
ascolto.
Ma ci sono altri cambiamenti. Dylan è diventato elusivo. Non lo si vede più
nei suoi vecchi ritrovi del Village e del Lower East Side. Con sporadiche
eccezioni, evita le interviste e in pubblico lo si vede di solito da
lontano, epicentro di una congrega protettiva di giovanotti dai capelli
arruffati vestiti come lui e di flessuose ragazze dai capelli lunghi che
sembrano a loro volta vestite come lui.
La sua casa-base, se così la si può definire, è un villa di proprietà del
suo manager, vicino a Woodstock, una colonia di artisti alla moda nello
Stato di New York; apprezza anche l'andazzo dell'appartamento del suo
manager, nel dignitoso Gramercy Park di New York. Ci sono racconti su Dylan
motociclista, romanziere, regista di interessantissimi film casalinghi; ma,
a parte il suo piccolo circolo di intimi, il ventiquattrenne eroe folk è
imperscrutabilmente in disparte.
È stato solo dopo un lungo periodo di evasività ed esitazione che Dylan ha
infine acconsentito di rilasciare questa intervista, la più lunga che abbia
mai concesso. L'abbiamo incontrato al decimo piano della nuova sede di
Manhattan della CBS - Columbia Records. La stanza era asettica: muri bianchi
con finiture nere, mobilio contemporaneo di linea severa, arte d'avanguardia
scelta con competenza, tutto in ordine, scrivanie pulite e personale
impeccabile. In quest'ambiente sterile, sprofondato in un sedia di fronte a
noi, Dylan portava una fresca nota discordante; con la criniera spettinata
biondo-brunastra che scendeva a carezzare il colletto aperto della sua
canadese blu, la giacca nera, pantaloni grigi striati, da vaudeville, e
impeccabili scarpe blu scamosciate. Seduto al suo fianco, a sua volta con
capelli lunghi, camicia aperta e giacca nera, ma anche con jeans sbiaditi,
stava un giovanotto sottile che il cantante ha identificato semplicemente
come Taco Pronto. Mentre Dylan parlava, strascicando mollemente le parole,
sorridendo solo di rado e fugacemente, sorseggiando tè e fumando sigarette a
catena, il suo silenzioso amico ridacchiava e approvava con cenni del capo
dalla sua postazione laterale. Dapprima teso e sulla difensiva, Dylan ha
iniziato gradualmente a lasciarsi andare, poi ad aprirsi, mentre tentava di
spiegarci (per quanto in maniera un poco surrealista) dov'è stato e dove sta
andando. Date le circostanze, abbiamo scelto d'essere onesti e candidi nel
porre le domande, convinti che comportandoci altrimenti avremmo rischiato di
troncare il libero fluire delle risposte di Dylan.
PLAYBOY: Le canzoni pop, hai dichiarato l'anno scorso a un giornalista, sono
l'unica forma d'arte che descrive l'umore dei tempi. L'unico luogo dove
succede qualcosa è alla radio e nei dischi. È là che la gente viene allo
scoperto. Non nei libri, non sui palcoscenici, non nelle gallerie. Tutta
quest'arte di cui parlano resta sullo scaffale, non fa felice nessuno. Visto
il fatto che più gente che mai legge libri e va a teatro e nelle gallerie
d'arte, non pensi che questa presa di posizione sia cancellata dai fatti?
DYLAN: Le statistiche misurano la quantità, non la qualità. La gente delle
statistiche è gente molto annoiata. L'arte, se una talcosa esiste, sta nelle
stanze da bagno; lo sanno tutti. Andare a una di quelle cose delle gallerie
d'arte, dove ti danno latte e krapfen gratis e c'è un gruppo di rock'n'roll
che suona: è tutta una questione di status. Non che sia contrario,
attenzione: ma passo molto tempo in bagno. Trovo volgari i musei. Sono tutti
antierotici. Comunque, non ho detto che la gente "se ne viene fuori" alla
radio, ho detto che “sta attaccata alla radio”. *
* Rispettivamente: hang out e hang up (N.d.T.)
PLAYBOY: Perché pensi che il rock'n'roll sia diventato un simile fenomeno
internazionale?
DYLAN: Non riesco davvero a pensare che esista un rock'n'roll. In effetti,
se ci pensi bene, qualunque cosa non abbia una vera esistenza è pronta a
diventare un fenomeno internazionale. Comunque, cosa vuol dire rock'n'roll?
Vuol dire Beatles, vuol dire John Lee Hooker, Bobby Vinton, il figlio di
Jerry Lewis! Che dici di Lawrence Welk? Deve suonare qualche canzone rock.
Queste persone sono tutte uguali? Ricky Nelson è come Otis Redding ? Mick
Jagger è davvero Ma Rainey? Dal modo in cui una persona tiene le sigarette
riesco a capire se gli piace Ricky Nelson. Penso sia bello amare Ricky
Nelson. Ma mi sembra che stiamo uscendo dal seminato. Non esiste nessun
Ricky Nelson. Non esistono i Beatles; oh, questo non è vero; ci sono
tantissimi scarafaggi! (In inglese beetles, N.d.T.). Ma non esiste nessun
Bobby Vinton. Comunque, la parola giusta non è "fenomeno internazionale" ma
"incubo genitoriale"
PLAYBOY: Negli ultimi anni, secondo certi critici, il jazz ha perso molta
della sua attrattiva per la giovane generazione. Sei d'accordo?
DYLAN: Non credo che il jazz abbia mai attratto la giovane generazione.
Comunque, non so proprio chi sia questa giovane generazione. In ogni caso,
non credo che riuscirebbero mai a entrare in un jazz club. Ma è difficile
seguire il jazz; voglio dire, ti deve piacere sul serio il jazz per
seguirlo. E il mio motto è: non seguire mai nulla. Non so quale sia il motto
della giovane generazione ma penso che dovrebbero seguire i loro genitori.
Voglio dire, che cosa potrebbe dire un genitore a suo figlio se il ragazzo
arrivasse a casa con un occhio di vetro, un disco di Charles Mingus e le
tasche piene di piume? Direbbe: "Chi stai seguendo?" E il povero ragazzo
dovrebbe starsene là fermo con l'accusa nelle scarpe, una cravatta a
farfalla all'orecchio e fuliggine che esce dall'ombelico e dire: "Il jazz,
Padre, sto seguendo il jazz". E suo padre probabilmente gli direbbe: "Oh sì,
il nostro piccolo Donald, sapete, fa parte della giovane generazione"
PLAYBOY: Eri solito dire che volevi esibirti in pubblico il meno possibile,
che volevi tenere per te la maggior parte del tuo tempo. Eppure ogni anno
che passa fai sempre più concenti e incidi sempre più dischi. Perchè ? Per i
soldi?
DYLAN: Ora tutto è diverso da prima. La scorsa primavera temo d'essere stato
lì lì per smettere di cantare. Mi sentivo del tutto prosciugato, e il modo
in cui andavano le cose creava una situazione stagnante. Voglio dire, come
quando canti “Everybody Loves You For Your Black Eye” e intanto la parte
posteriore della tua testa inizia a cedere. Comunque, suonavo tante canzoni
che non avevo voglia di suonare. Cantavo parole che in realtà non volevo
cantare. E non intendo parole come "Dio" e "madre" e "presidente" e
"suicidio" e "mannaia da macellaio". Intendo parolette semplici come “se” e
“speranza” e "tu". Ma Like A Rolling Stone cambiò tutto; da allora non me ne
importa più di scrivere libri o poesie o altre cose. Voglio dire, era
qualcosa che riusciva a piacere a me. È molto stancante sentire altri che ti
dicono quanto gli piaci, se poi tu non ti piaci affatto. E’ anche mortale,
da un punto di vista spettacolare. Contrariamente a quanto pensano certi
personaggi paurosi, non suono con un gruppo, oggi, per motivi d'ordine
propagandistico o commerciale. E’ soltanto che le mie canzoni sono immagini
e il gruppo crea la colonna sonora delle immagini.
PLAYBOY: Ti pare che usare un gruppo e passare dal folk al folk-rock ti
abbia migliorato come interprete?
DYLAN: Non m'interessa essere un interprete. Gli interpreti sono gente che
si esibisce per altra gente. Diversi dagli autori, so quel che dico. Per me
è semplicissimo. Non importa quali reazioni ottenga tutto questo dal
pubblico. Quel che accade sul palco obbedisce a leggi proprie. Non s'attende
ricompense o multe da nessun agitatore esterno. È ultra-semplice ed
esisterebbe comunque, ci fosse o meno qualcuno che sta a guardare. Per
quanto riguarda il folk e il folk-rock, non hanno importanza i nomi odiosi
che la gente inventa per la musica. La si potrebbe chiamare musica arsenica
o forse musica di Fedra; non credo che una parola come folk-rock ci abbia
niente a che fare. E musica folk è una parola che non riesco a usare. La
musica folk è un mucchio di persone grasse. Io devo pensare a tutto ciò come
alla musica tradizionale. La musica tradizionale è basata sugli esagrammi.
Viene da leggende, Bibbie, pestilenze e tratta di verdure e morte. Nessuno
riuscirà a uccidere la musica tradizionale. Tutte queste canzoni che parlano
di rose che crescono dal cervello della gente o di amanti che in realtà sono
oche e cigni che si trasformano in angeli, non moriranno. Sono tutti questi
personaggi paranoici, che pensano che stia per arrivare qualcuno a rubargli
la carta igienica, sono loro che moriranno. Canzoni come “Which Side Are You
On?” e “I Love You, Porgy” non sono canzoni folk, sono canzoni politiche.
Sono già morte. Ovviamente, la morte non è accettata molto universalmente.
Voglio dire, viene da pensare che gli autori di musica tradizionale siano
riusciti ad estrapolare dalle loro canzoni che il mistero è un fatto, un
fatto tradizionale. Io ascolto le vecchie ballate, ma non andrei a una festa
ad ascoltarle. Potrei darti descrizioni dettagliate dell'effetto che hanno
su di me, ma probabilmente qualcuno penserebbe che la mia immaginazione sia
impazzita. Mi diverte da morire il fatto che la gente abbia la costanza di
pensare che io godo di una qual immaginazione fantastica. Fa sentire molto
soli. Comunque, la musica tradizionale è troppo irreale per morire. Non ha
bisogno di protezione. Nessuno la può colpire. Quella musica contiene
l'unica morte vera, valida, che oggi si possa tirar fuori da un giradischi.
Ma come tutto ciò che è molto richiesto, la gente la vuole possedere. Ha
qualcosa a che fare con la purezza. Penso che la sua mancanza di significato
sia sacra. Tutti sanno che io non sono un cantante folk.
PLAYBOY: Qualcuno dei tuoi vecchi fans sarebbe d'accordo e non per farti un
complimento, dal giorno del tuo debutto con un gruppo rock al Newport Folk
Festival dell'anno scorso, quando molti di loro ti hanno sonoramente
fischiato per esserti "venduto" al gusto del pop commerciale. Il primo Bob
Dylan, pensavano, era il Bob Dylan "puro". Come ti senti al proposito?
DYLAN: Ero come sbalordito. Ma non posso prendermela con nessuno per essere
venuto a fischiarmi. In fin dei conti avevano pagato il biglietto. Forse
avrebbero potuto starsene un po' più tranquilli e non insistere tanto.
Laggiù c'erano anche molte persone anziane; intere famiglie erano venute là
fin dal Vermont, un sacco d'infermiere con i genitori, e dopo tutto erano
venuti soltanto a sentire qualche vecchia canzone, sai come, magari una
polka indiana o due. E proprio mentre tutto va bene, ecco che arrivo io e il
posto si trasforma in una fabbrica di birra. Diverse persone, là, erano
molto soddisfatte di quei fischi. Le ho viste dopo. In qualche modo mi
offende, comunque, che tutti quelli che mi hanno fischiato dicono d'averlo
fatto perché erano vecchi fans.
PLAYBOY: Che dici della loro accusa, che hai volgarizzato le tue doti
naturali?
DYLAN: Che posso dire! Vorrei vedere uno di questi cosiddetti fans. Vorrei
che gli bendassero gli occhi e lo portassero da me. È come andare nel
deserto e gridare, e scoprire che ci sono dei bambini che ti tirano addosso
i loro secchielli. Ho solo ventiquattro anni. Le persone che hanno detto
questo... erano americani?
PLAYBOY: Americani o no, molta gente non ha apprezzato il tuo nuovo sound.
Vista questa ampia reazione negativa, non pensi che modificare il tuo stile
possa essere stato un errore?
DYLAN: Un errore è commettere un'incomprensione. Ma non ci può essere nulla
di simile in questa mia azione. O la gente capisce (o fa finta di capire)
oppure proprio non capisce. Quello di cui stai parlando è far cose sbagliate
per motivi egoisti. Non conosco la parola giusta per esprimere questo, a
meno che non sia suicidio. In ogni caso, non ha nulla che fare con la mia
musica.
PLAYBOY: Errore o no, che cosa ti ha fatto decidere di scegliere la strada
del rock'n'roll?
DYLAN: Negligenza. Ho perso il mio vero amore. Ho incominciato a bere. La
prima cosa che so, è che sto giocando a carte. Poi mi ritrovo in una sala da
gioco. Poi una grossa signora messicana mi trascina via dal tavolo e mi
porta a Filadelfia. Mi lascia solo nella mia casa e la casa va a fuoco.
Finisco a Phoenix. Trovo lavoro come cinese. Inizio a lavorare in un
negozietto e vado a vivere con una tredicenne. Poi arriva la grossa signora
messicana e mi brucia la casa. Me ne vado a Dallas. Trovo lavoro come
"prima" in un avviso pubblicitario del genere "prima e dopo". Vado a vivere
con un fattorino che sa cucinare chili e hot dog favolosi. Poi arriva la
tredicenne di Phoenix e mi brucia la casa. Il fattorino che sa cucinare
chili e hot dog non è un tipo tenero: le fa assaggiare il coltello e poi
tutto quel che so è che sono a Omaha. Laggiù è tanto freddo, e a questo
punto rubo da me le mie biciclette e cucino da me il pesce. M'imbatto in un
po' di fortuna e trovo lavoro come carburatore alle corse automobilistiche
del giovedì sera. Vado a vivere con un'insegnante di liceo che fa anche
l'idraulica a tempo perso, che non è granché a guardarla ma ha costruito un
tipo speciale di frigorifero che trasforma i giornali in lattuga. Tutto
procede bene, finché non si fa vivo quel fattorino e non tenta di
accoltellarmi. Inutile dire che mi brucia la casa e sono di nuovo in strada.
Il primo tizio che ho incontrato mi ha chiesto se volevo diventare una star.
Che potevo dirgli?
PLAYBOY: Ed è così che sei diventato un cantante rock?
DYLAN: No, così mi sono preso la tubercolosi.
PLAYBOY: Riformuliamo la domanda: perché hai smesso di comporre e cantare
canzoni di protesta?
DYLAN: Ho smesso di comporre e cantare qualunque cosa che avesse una ragione
per essere scritta o un motivo per essere cantata. Ora, non prendetemi dalla
parte sbagliata: "Protesta" non è una parola mia. Non ho mai pensato a me in
questi termini. La parola "protesta", credo, è stata coniata per la gente
sottoposta a intervento chirurgico. E’ una parola da parco dei divertimenti.
Una persona normale, sana di mente, dovrebbe farsi venire il singhiozzo a
pronunciarla seriamente. La parola "messaggio", secondo me, ha un suono
decisamente erniario, che quasi m'impressiona. Proprio come la parola
"delizioso". E anche la parola "meraviglioso". Sai, gli inglesi pronunciano
benissimo la parola "meraviglioso". Però non riescono a pronunciare bene
"rauco". Be', tutti noi abbiamo le nostre difficoltà. Comunque, le canzoni
con un messaggio, come tutti sanno, sono un bidone. Soltanto i redattori dei
giornalini scolastici e le ragazzine sotto i quattordici possono sprecarci
il loro tempo.
PLAYBOY: Hai detto di ritenere volgari le canzoni con un messaggio. Perché?
DYLAN: Be', prima di tutto chiunque abbia un messaggio imparerà
dall'esperienza che non può metterlo dentro una canzone. Voglio dire, non ne
uscirà mai fuori lo stesso messaggio. Dopo un paio di tentativi falliti, ti
accorgi di essere ormai incollato a quel messaggio risultante, che non è
nemmeno il messaggio che avevi pensato all'inizio. Perché, dopo tutto, una
canzone lascia la tua bocca appena ha lasciato le tue mani. Mi segui?
PLAYBOY: Oh, perfettamente.
DYLAN: Be', comunque, in secondo luogo, devi anche rispettare il diritto
degli altri ad avere i loro messaggi. Io, da parte mia, vorrei affittare il
municipio e mettere in cartellone tanti fattorini della Western Union
(Compagnia telegrafica statunitense (N.d.T.). Voglio dire, in questo modo ci
sarebbero davvero dei messaggi. La gente potrebbe venire e ascoltarsi più
messaggi di quanti ne abbia sentiti in tutta la sua vita.
PLAYBOY: Ma le tue prime ballate sono state definite "canzoni di
appassionata protesta". Questo non le rende musiche "con un messaggio"?
DYLAN: Questo non è importante. Non capisci ? Io scrivo da quando avevo otto
anni. Suono la chitarra da quando ne avevo dieci. Sono cresciuto suonando e
scrivendo qualunque cosa avessi da suonare e scrivere.
PLAYBOY: Allora sarebbe poco gentile dire, come è stato detto, che sono
stati motivi commerciali più che creativi a farti scrivere le canzoni che ti
hanno reso popolare?
DYLAN: Molto bene, ora, guarda. Non è una questione così profonda. Non è
complicato. I miei motivi, o quello che sono, non sono mai stati commerciali
nel senso monetario della parola. Si trattava piuttosto del senso
non-morire-con-la-sega-in-mano della parola. Non l'ho mai fatto per denaro.
È successo, e io ho lasciato che mi succedesse. Non c'era motivo per non
lasciare che succedesse. Comunque, prima d'ora non sarei riuscito a scrivere
quel che scrivo oggi. Le canzoni parlavano di quanto vedevo e provavo. Non
c'è mai entrato nulla del mio personale vomito ritmico. Il vomito non è
romantico. Allora pensavo che le canzoni avrebbero dovuto essere romantiche.
E non volevo cantare nulla che non fosse determinato. Le cose indeterminate
sono prive di senso del tempo. Nessuno di noi ha senso del tempo, è un
grosso problema dimensionale. Chiunque può essere determinato e ovvio. È
stato sempre quello il modo facile. I leader del mondo scelgono il modo
facile. Non che sia difficile essere indeterminati e meno ovvi; è solo che
non c'è nulla, assolutamente nulla, su cui essere determinati e ovvi. Le mie
vecchie canzoni, a dir poco, non parlavano di niente. Le nuove parlano dello
stesso niente; solo, come fosse visto dall'interno di qualcosa di più
grande, forse chiamato il nulla assoluto [In inglese: nowhere, cioè "nessun
luogo" (N.d.T.)]. Ma tutto ciò è assai costipato. Io so quanto valgono le
mie canzoni.
PLAYBOY: E sarebbe?
DYLAN: Oh, qualcuna vale per quattro minuti, qualcuna per cinque, e qualcuna
che tu ci creda o no, vale per circa undici o dodici.
PLAYBOY: Non potresti essere un po' più informativo?
DYLAN: No.
PLAYBOY: Va bene. Cambiamo argomento. Come sai, i tuoi ascoltatori hanno
un'età che va circa da sedici a ventitré anni. Perchè secondo te?
DYLAN: Non vedo che cosa ci sia di strano nel fatto che i miei ascoltatori
abbiano quell'età. Sono abbastanza intelligente da capire che non saranno le
persone tra gli ottantacinque e i novanta. Se le persone tra gli
ottantacinque e i novanta ascoltassero le mie canzoni, saprebbero che io non
ho niente da dire loro. Le persone tra i sedici e i ventitrè anni
probabilmente sanno che non ho niente da dire neanche a loro; e sanno che io
lo so. È una faccenda divertente. Naturalmente non sono un computer IBM, non
più di quanto sia un portacenere. Voglio dire, è evidente a chiunque abbia
mai dormito sul sedile posteriore d'un'auto che io non sono assolutamente un
maestro di scuola.
PLAYBOY: Anche se non sei un maestro di scuola, non ti piacerebbe aiutare i
giovani che ti amano, a diventare qualcosa di diverso da quello che sono
diventati alcuni dei loro genitori?
DYLAN: Bene, devo dire che io non li conosco proprio, i loro genitori. Per
la verità, non so se esistano genitori così pessimi. Ora, odio l'idea di
sembrare un debole o un codardo e capisco che
può sembrare in qualche modo irreligioso, ma non sono proprio la persona
giusta per andare in giro per tutta la nazione a salvare anime. Non passerei
mai sopra a un uomo disteso attraverso la strada e certo non sceglierei il
mestiere del boia. Non esiterei a dare una sigaretta a un affamato. Ma non
sono un pastore. E non ho intenzione di salvare nessuno dal suo fato, di cui
oltretutto non so nulla. «Genitori», in questo caso, non è la parola chiave.
La parola chiave è «destino». Da quello non posso salvarli.
PLAYBOY: Eppure, migliaia di giovani ti vedono come un eroe folk. Non senti
un qualche senso di responsabilità verso di loro?
DYLAN: Non sento responsabilità, no. Chiunque sia ad ascoltare le mie
canzoni, non deve niente a me. Come potrei avere delle responsabilità verso
tutte quelle migliaia di persone? Cosa potrebbe farmi pensare che io devo
qualcosa a qualcuno che semplicemente è qui? Non ho mai scritto una canzone
che incomincia con le parole: "Vi ho riunito qui stasera...". Non ho
intenzione di dire a nessuno di essere un bravo ragazzo o una brava ragazza
e così andranno in paradiso. Proprio non so che cosa pensa di me la gente
che sta dalla parte di chi ascolta le mie canzoni, comunque è orribile.
Scommetto che Tony Bennet non deve passare attraverso queste cose. Mi chiedo
che cosa avrebbe risposto Billy The Kid a una domanda simile.
PLAYBOY: Nella loro ammirazione per te, molti giovani hanno iniziato ad
imitare il tuo modo di vestire, che un commentatore adulto ha definito
"coscientemente eccentrico e tremendamente trasandato". Qual è la tua
reazione a questo genere di critica?
DYLAN: Cazzate. Oh, che cazzate. Conosco quello che le ha dette. Una volta
veniva da queste parti e prendeva sempre botte. Farebbe bene a starci
attento. C'è gente che ce l'ha con lui. Lo voglio denunciare e mettere alla
gogna in Times Square. Lo legheranno e gli metteranno anche un termometro in
bocca. Queste idee, questi commenti morbosi, sono così stupidi; voglio dire,
è in corso una "guerra". La gente è rachitica, tutti vogliono fare una
rivolta, donne quarantenni mangiano spinaci vicino al bagagliaio della
macchina, i medici non hanno una cura per il cancro ed ecco qui
quest'imbecille che dice che non gli piace il modo di vestire altrui. Peggio
ancora, lo stampano sui giornali, e persone innocenti sono obbligate a
leggerlo. E’ una cosa terribile. E lui è un uomo tremendo. Naturalmente il
grasso gli scoppia fuori da tutti i pori e lui si aspetta che i figli si
prendano cura di lui. Probabilmente i suoi figli ascoltano i miei dischi. Il
fatto che i miei vestiti sono troppo lunghi implica per forza che non sono
qualificato a fare quello che faccio?
PLAYBOY: No, ma c'è chi la pensa cosi, e molti di costoro sembrano pensarla
allo stesso modo riguardo i tuoi capelli lunghi. Ma al confronto dei tagli
con capelli lunghi fino alle spalle oggi in voga tra i cantanti rock, i tuoi
gusti tonsori sembrano conservatori. Cosa provi verso queste acconciature
estremistiche?
DYLAN: Quello che la maggior parte della gente non capisce è che i capelli
lunghi tengono più caldo. Tutti vogliono stare caldi. Le persone con i
capelli corti hanno facilmente freddo. Allora cercano di nascondere il loro
freddo e diventano gelosi di chiunque si senta caldo. Alla fine diventano o
barbieri o deputati. Tanti secondini hanno i capelli corti. Hai mai notato
che Abramo Lincoln aveva i capelli molti più lunghi di John Wilkes Booth?
PLAYBOY: Credi che Lincoln portasse i capelli lunghi per tenerci la testa al
caldo?
DYLAN: In realtà, penso che lo facesse per motivi medici, che non sono
affari miei. Ma se cerchi d'immaginartelo, capisci che i capelli di ciascuno
di noi circondano e ricoprono il cervello dentro la testa. In termini
matematici, più capelli riesci a tirarti fuori dalla testa meglio è. Chi
vuol pensare liberamente a volte sorvola sul fatto che bisogna avere il
cervello sgombro. Naturalmente, se porti i capelli sull'esterno della testa,
il tuo cervello sarà un po' più libero. Ma tutto questo parlare di capelli
lunghi è un trucco. È stato ideato da uomini e donne che sembrano sigari; il
comitato anti-felicità. Sono tutti scaricatori e poliziotti. Si vede
benissimo chi sono: hanno sempre in mano calendari, pistole o forbici.
Cercano tutti di entrare nelle tue sabbie mobili. Pensano che tu abbia in
mano qualcosa. Non so perché Abe Lincoln portava i capelli lunghi.
PLAYBOY: Fino al tuo abbandono delle canzoni "con messaggio", tu eri
considerato non solo una delle voci più importanti del movimento di protesta
degli studenti, ma anche un campione militante della lotta per i diritti
civili. Secondo amici, pareva che tu avessi un particolare legame di
fratellanza con lo Student Nonviolent Coordinating Committee, cui fornivi
supporto attivo sia come attivista sia come volontario. Perché hai smesso di
partecipare a tutte queste attività? Hai perso interesse anche verso la
protesta, oltre che verso le canzoni di protesta?
DYLAN: Per quanto riguarda lo SNCC, io conoscevo qualcuno dei suoi vecchi
membri ma soltanto come persone; non come parte di qualcosa che era più
grande o più bello di loro. Non sapevo neanche che cosa fossero i diritti
civili prima di incontrarli. Voglio dire, sapevo che esistevano i negri e
sapevo che c'erano tantissime persone che non amavano i negri. Ma devo
ammettere che se non avessi conosciuto qualcuno degli attivisti del SNCC
avrei continuato ad essere convinto che Martin Luther King non fosse altro
che un eroe di guerra poco privilegiato. Non ho mai avuto interesse nella
protesta, fin dall'inizio, non più di quanto ne avessi negli eroi di guerra.
Non si può perdere ciò che non si è mai avuto. Comunque, quando non ti piace
la tua situazione, o la lasci perdere o la superi. Non puoi startene lì e
limitarti a piagnucolare. Gli altri si accorgono soltanto del rumore che
fai, non si accorgono davvero di te. Anche se ti danno quello che vuoi, è
solo perché tu fai troppo rumore. Allora, dapprima desideri qualcos'altro,
poi desideri qualcos'altro, poi desideri qualcos'altro, e alla fine non è
più uno scherzo, e quelli contro cui protesti, chiunque siano, finiscono per
stufarsi e saltano in testa tutti. Certo, puoi andare in giro a educare
quelli che sanno meno di te ma allora non dimenticare che stai scherzando
con la legge di gravità. Io non combatto la gravità. Credo nell'uguaglianza
ma credo anche nella distanza.
PLAYBOY: Vuoi dire che la gente dovrebbe tenere le distanze razziali?
DYLAN: Credo nella gente che si tiene tutto quello che ha.
PLAYBOY: Qualcuno potrebbe pensare che cerchi di evitare di combattere per
le cose in cui credi.
DYLAN: Costoro sarebbero persone che pensano che io abbia qualche sorta di
responsabilità verso di loro. Probabilmente vogliono che li aiuti a farsi
degli amici. Non so. Probabilmente vogliono o mettermi in casa loro e farmi
venir fuori ogni ora a dir loro che ora è oppure vogliono soltanto stiparmi
tra i materassi. Come potrebbero mai capire in che cosa credo?
PLAYBOY: Bene, ma in che cosa credi?
DYLAN: Te l'ho già detto.
PLAYBOY: D'accordo. Molti dei tuoi colleghi folksingers sono tuttora attivi
nella lotta per i diritti civili, per la libertà di parola e il ritiro dal
Vietnam. Pensi che abbiano torto?
DYLAN: Non credo che abbiano torto, se è davvero quello che vogliono fare.
Ma non credere di avere a che fare con un drappello di piccoli Budda che
marciano in parata. Quelli che usano Dio come arma dovrebbero essere
mutilati. Lo vedi sempre scritto dappertutto: "Sii buono o non piacerai a
Dio e andrai all'inferno". Roba del genere. Quelli che marciano con slogan e
simili, tendono a perdersi un po' troppo sul sacro. Sarebbero un vero schifo
se anche loro si mettessero a usare Dio come arma.
PLAYBOY: Trovi inutile dedicarti alla causa della pace e dell'uguaglianza
razziale?
DYLAN: Non è inutile dedicarsi alla pace e all'uguaglianza razziale,
piuttosto è inutile dedicarsi alla "causa". È molto da ignorante. Dire
"causa della pace" è come dire "pezzo di burro". Voglio dire, come puoi
stare ad ascoltare qualcuno che ti vuole far credere che si dedica al pezzo
e non al burro! Quelli che non riescono a concepire come gli altri stanno
male, sono loro che cercano di cambiare il mondo. Hanno tutti paura di
ammettere che non si comprendono l'un l'altro. È probabile che saranno
ancora qui molto tempo dopo che noi ce ne saremo andati e noi metteremo alla
luce i nostri discendenti. Ma, quanto a loro, non credo che riusciranno a
mettere alla luce alcunché.
PLAYBOY: Sembri un po' fatalista.
DYLAN: Non sono fatalista. I cassieri di banca sono fatalisti. Gli impiegati
sono fatalisti. Io sono un agricoltore. Chi ha mai sentito parlare di un
agricoltore fatalista! Non sono fatalista. Fumo un sacco di sigarette ma
questo non mi rende fatalista.
PLAYBOY: Di recente, risulta che tu abbia affermato che "le canzoni non
possono salvare il mondo. Io ho superato tutto ciò". Ne deduciamo che non
condividi la convinzione di Pete Seeger, che le canzoni possono cambiare la
gente, che possono aiutare a costruire la comprensione internazionale.
DYLAN: A proposito della comprensione internazionale, O.K. Ma lì sorge un
problema di traduzione. Chiunque arrivi a questo genere di livello
intellettuale deve anche tener conto di questa faccenda della traduzione. Ma
non credo, comunque, che le canzoni possano cambiare le persone. Non sono
Pinocchio. Lo considero un insulto. Non sono parte di quella storia. Non
biasimo nessuno perché la pensa così. Ma non dono neanche a loro i miei
soldi. Non che li consideri fuori moda; sono piuttosto nella categoria degli
elastici di gomma.
PLAYBOY: Come ti senti di fronte a chi ha rischiato la galera bruciando la
cartolina precetto, per significare la propria opposizione alla politica USA
in Vietnam o rifiutando, come ha fatto la tua amica Joan Baez, di pagare la
tassa sul reddito per protestare contro le spese governative per armi e
guerra? Pensi che perdano il loro tempo?
DYLAN: Bruciare le cartoline precetto non porrà termine a nessuna guerra. Né
salverà delle vite. Se qualcuno si sente più onesto di fronte a sé stesso
bruciando la sua cartolina precetto, benissimo. Ma se si sente soltanto più
importante perché lo ha fatto, allora è una schifezza. Quanto a Joan Baez,
non è che sappia granché di lei e dei suoi problemi fiscali. L'unica cosa
che posso dirti a proposito di Joan Baez è che non è Belle Starr.
PLAYBOY: Scrivendo di "barbuti incendiari di cartoline precetto ed evasori
fiscali pacifisti" un commentatore ha definito questo genere di contestatori
"non meno estranei alla società che il junkie,
l'omosessuale o l'assassino di massa". Qual è la tua reazione?
DYLAN: Non credo a termini come quelli. Sono troppo isterici. Non descrivono
nulla. La maggior parte delle persone crede che omosessuale, gay, pederasta,
checca, finocchio siano tutte la stessa parola. Chiunque pensa che un junkie
sia un freak è drogato. Per quanto mi riguarda, non mi considero estraneo a
nulla. Semplicemente, mi considero fuori dalla circolazione.
PLAYBOY: Joan Baez ha recentemente aperto una scuola nella California del
Nord per insegnare ai lavoratori la filosofia e le tecniche della
non-violenza. Condividi quel concetto?
DYLAN: Se intendi chiedermi se sono d'accordo o meno, non vedo proprio che
cosa ci sia con cui essere d'accordo. Se chiedi se l'approvo temo di sì ma
la mia approvazione non sarà della minima utilità. Non conosco le simpatie
degli altri ma la mia va agli zoppi, agli storpi e alle cose belle. Mi danno
sensazione di perdita d'energia, qualcosa come un senso di reincarnazione.
Non lo provo verso gli oggetti meccanici, come automobili o scuole. Sono
certo che è una bella scuola ma se mi chiedessi se ci vorrei andare, dovrei
risponderti di no.
PLAYBOY: Da escluso dell'università in età giovanile, sembra che tu abbia
una visione sgradevole della scuola in generale, qualunque sia l'argomento.
DYLAN: a questo proprio non ci penso.
PLAYBOY: Be', non hai mai avuto il rimpianto di non aver terminato
l'università? .
DYLAN: Sarebbe ridicolo. Le università sono come le vecchie case; a parte il
fatto che muore più gente all'università che nelle vecchie case, non c'e la
minima differenza. Le persone hanno un gran dono, l'oscurità, e quasi
nessuno è grato per questo. A tutti è sempre stato insegnato a essere
riconoscente per il cibo, i vestiti e simili ma non a essere riconoscente
per la propria oscurità. Quello le scuole non l'insegnano. Insegnano a
diventare ribelli o avvocati. Non che io voglia svalutare il sistema
scolastico; sarebbe troppo stupido. E’ solo che non ha granché da insegnare.
Le università sono parte dell'Istituzione Americana. Tutti le rispettano.
Sono molto ricche e influenti ma non hanno nulla a che vedere con la
sopravvivenza. Tutti lo sanno.
PLAYBOY: Allora consiglieresti ai giovani di evitare l'università?
DYLAN: Non consiglierei nulla a nessuno. Certo non consiglierei a nessuno di
evitare l'università. Soltanto non pagherei la sua permanenza
all'università.
PLAYBOY: Non credi che le cose che s'imparano all'università possano aiutare
ad arricchire la vita?
DYLAN: Non credo che nulla di quel genere possa arricchire la mia vita, no;
non la mia vita, comunque. Le cose accadono, che io ne sappia il motivo o
meno. Diventa soltanto più complicato quando tu ti ci metti in mezzo. Non
scopri perché le cose si muovono. Le lasci muovere; le guardi muoversi; le
fermi mentre si muovono. Le lasci muovere. Ma non ti siedi lì a cercare di
capire perché c'è movimento; a meno che, naturalmente, tu non sia un
innocente idiota o un qualche vecchio saggio giapponese. Di tutti quelli che
se ne stanno lì a chiedersi "perché", quanti pensi che lo vogliano davvero
sapere?
PLAYBOY: Sai suggerire un uso migliore per i quattro anni che altrimenti si
passerebbero all'università?
DYLAN: Allora: potresti fare un salto in Italia. Potresti andare in Messico.
Potresti fare lo sguattero. Potresti persino andare nell'Arkansas. Non so,
ci sono migliaia di cose da fare e di posti dove andare. Tutti pensano che
tu debba battere la testa contro il muro ma è stupido, se appena ci pensi.
Voglio dire, ci sono questi fantastici scienziati che lavorano a metodi per
prolungare la vita umana e poi ci sono altri che danno per scontato che tu
debba battere la testa contro il muro per essere felice. Non puoi prendere
tutto ciò che non ti piace come un insulto personale. Temo che dovresti
andare dove i tuoi desideri sono nudi, dove sei invisibile e non necessario
PLAYBOY: Classificheresti il sesso fra i tuoi desideri, ovunque tu vada?
DYLAN: II sesso è qualcosa di temporaneo. Il sesso non è l'amore. Puoi
trovare del sesso dappertutto; ma se cerchi qualcuno che ti ama, allora è
diverso. Temo che si debba andare all'università, per questo.
PLAYBOY: Dal momento che non sei rimasto all'università, vuoi dire che non
hai trovato nessuno che ti ama?
DYLAN: Passiamo alla prossima domanda.
PLAYBOY: Hai difficoltà ad entrare in relazione con le persone o viceversa?
DYLAN: A volte ho la sensazione che gli altri vogliano la mia anima. Se gli
dico: "Io non ho un'anima", mi rispondono "Lo so, non devi dirmelo, non a
me. Mi prendi per stupido? Io sono
tuo amico". Che posso dire, tranne forse pensare che lo star male e la
paranoia sono la stessa cosa?
PLAYBOY: Si dice che la paranoia sia uno degli stati mentali a volte indotti
dagli allucinogeni come peyote e LSD. Considerati i fattori di rischio,
pensi che la sperimentazione di simili droghe dovrebbe essere parte delle
esperienze di maturazione di un giovane?
DYLAN: Non consiglierei a nessuno l'uso di droghe, certo non di droghe
pesanti. Le droghe sono medicine. Ma oppio e hashish e erba... ora, queste
non sono droghe. Si limitano a curvarti la mente un pochino. Direi che tutti
dovrebbero lasciarsi curvare la mente, una volta ogni tanto. Ma non con
l'LSD. L'LSD è una medicina, un altro tipo di medicina. Ti rende conscio
dell'universo, per così dire. Capisci quanto sono stupidi gli oggetti. Ma
l'LSD non è per gente giusta. È per i matti, per chi odia e vuole vendetta.
È per quelli che di solito hanno attacchi di cuore. Dovrebbero usarlo alla
Convenzione di Ginevra.
PLAYBOY: Ora che ti avvicini ai trenta, sei preoccupato di poter diventare
uno "square", perdere parte della tua apertura all'esperienza, disprezzare
il mutamento e la novità?
DYLAN: No. Ma se succede, succede. Che cosa dire? Sembra che non esista un
domani. Ogni volta che mi sveglio, non importa in quale posizione, è sempre
un oggi. Guardare avanti e preoccuparsi di piccole cose banali, non direi
abbia più importanza che guardarsi indietro e ricordare piccole cose banali.
Non diventerò mai un istruttore di poesia in una scuola femminile; questo lo
so per certo. Ma è più o meno tutto quel che so per certo. Semplicemente, mi
metterò a fare queste cose diverse, temo.
PLAYBOY: Del tipo ?
DYLAN: Svegliarmi in diverse posizioni.
PLAYBOY: E che altro?
DYLAN: Sono fatto come chiunque altro. Proverò di tutto almeno una volta.
PLAYBOY: Compresi furto e omicidio ?
DYLAN: Non posso dire che non commetterei mai furto o omicidio e attendermi
che qualcuno mi creda. Io non crederei mai a nessuno che mi dicesse una cosa
simile.
PLAYBOY: Verso i venticinque anni, la maggior parte delle persone hanno
incominciato ad adagiarsi nella loro nicchia, a trovarsi un posto nella
società. Ma tu sei riuscito a mantenere la tua direzione interiore e a non
comprometterti. Che cosa ti ha spronato a scappare di casa sei volte tra i
dieci e i diciott'anni e infine ad andartene definitivamente?
DYLAN: Niente. È stato soltanto un incidente geografico. Per dire, se fossi
nato e cresciuto a New York o a Kansas City, sono sicuro che tutto sarebbe
andato diversamente. Ma Hibbing, Minnesota, non era il posto giusto per me,
non per restarci a Vivere. Non c'era proprio niente, laggiù. L'unica cosa
che si poteva fare, là, era il minatore, e anche di quei posti di lavoro ce
n'erano sempre meno. Quelli che vivono là... sono brava gente. Sono stato in
tutto il mondo da quando me ne sono andato di là e ancora loro restano di
tutti i meno indisponenti. Le miniere stavano morendo, ecco tutto; ma non
era colpa loro. Tutti quelli che avevano la mia età se ne sono andati. Non è
stata una gran cosa romantica. Non ci voleva un gran pensare o genio
individuale, e certo non c'era il minimo orgoglio a farlo. Non sono scappato
da Hibbing; le ho solo girato le spalle. Non avrebbe potuto darmi nulla. Era
estremamente vuota. Per cui lasciarla non è stato difficile. Sarebbe stato
molto più difficile rimanere. Non volevo morire laggiù. Anche se,
ripensandoci ora, non sarebbe un brutto posto per tornarci a morire. Non c'è
un posto cui oggi mi senta più vicino o di cui abbia la sensazione di far
parte, a parte New York. Ma non sono un newyorkese. Sono un Nord
Dakota-Minnesota midwestern. Vengo da un posto che si chiama Iron Range. Ho
quel colore; parlo a quel modo. Il mio cervello e il mio modo di sentire
vengono di là. Non farei mai un'amputazione a uno che sta annegando. Nessuno
che venga di là lo farebbe.
PLAYBOY: Oggi sei sulla buona strada per diventare milionario. Non ti senti
in pericolo d'essere intrappolato da tutto quest'afflusso di denaro, e dalle
cose che puoi comprare?
DYLAN: No, il mio mondo è molto piccolo. Il denaro non può assolutamente
migliorarlo. Il denaro può solo preservarlo dall'essere soffocato.
PLAYBOY: Quasi tutte le grandi stars trovano difficile evitare d'essere
coinvolte dalla cura manageriale della loro carriera. Come uomo di successo
in ben tre carriere (performer, cantante, discografico e autore) ti senti
mai inscatolato da queste responsabilità non creative?
DYLAN: No. Ci sono altri che lo fanno per me. Tengono d'occhio il mio
denaro. Gli fanno guardia. Ci tengono sopra costantemente gli occhi. Si
presume che siano estremamente acuti nelle questioni di soldi. Sanno che
cosa fare del mio denaro. Ne uso molto per pagarli. Non è che parli molto
con loro e loro non parlano con me del tutto, quindi immagino che sia tutto
a posto.
PLAYBOY: Se la fortuna non ti ha intrappolato, che mi dici della fama? Trovi
che la tua celebrità ti renda difficile mantenere intatta la tua vita
privata?
DYLAN: La mia vita privata è stata pericolosa fin dal principio. Tutto
questo non fa che aggiungere un poco d'atmosfera.
PLAYBOY: Un tempo ti piaceva andare in giro per il paese, partire per viaggi
liberi, vagabondare da città a città senza particolari destinazioni in
mente. Ma sembri farlo molto meno di frequente in
questo periodo. Perchè? È perché sei troppo ben conosciuto?
DYLAN: È soprattutto perché il venerdì sera devo essere a Cincinnati e la
sera dopo ad Atlanta e poi, la sera successiva a quella, devo trovarmi a
Buffalo. Poi devo scrivere qualche canzone per il prossimo album.
PLAYBOY: Riesci ancora a trovare il tempo per salire sulla motocicletta ?
DYLAN: Mantengo ancora il mio patriottismo autostradale ma non guido più
molto la moto, no.
PLAYBOY: Allora come fai, oggi, a prenderti i tuoi calci?
DYLAN: Affitto delle persone che mi guardino negli occhi e poi mi faccio
prendere a calci.
PLAYBOY: Ed è così che ottieni i tuoi calci?
DYLAN: No. Dopo li perdono. Ed è a quel punto che arriva il calcio.
PLAYBOY: L'anno scorso hai detto ad un intervistatore: "Ho fatto tutto quel
che ho mai voluto fare". Se è vero, che cosa ti è rimasto da cercare?
DYLAN: La salvezza. Soltanto la semplice salvezza.
PLAYBOY: Niente altro ?
DYLAN: Pregare. Mi piacerebbe anche fondare una rivista di cucina. E ho
sempre voluto essere arbitro di boxe. Vorrei arbitrare un combattimento del
campionato pesi massimi. Te l'immagini? Te l'immagini un pugile sano di
mente che riconosce me?
PLAYBOY: Se la tua felicità svanisse, come accoglieresti l'idea di tornare
anonimo?
DYLAN: Intendi accoglierla come accoglierei un povero pellegrino venuto
dalla pioggia? No, non sarei felice di accoglierla. Ma potrei accettarla. Un
giorno, ovviamente, sarò obbligato ad accettarla.
PLAYBOY: Pensi mai a sposarti, metterti a posto, avere una casa, magari
vivere all'estero? Ti piacerebbe godere di qualche lusso, per dire uno yacht
o una Rolls-Royce?
DYLAN: No, non penso a queste cose. Se avessi voglia di comprarmi qualcosa,
la comprerei. Tu mi stai chiedendo del futuro, del mio futuro. Io sono
l'ultima persona al mondo cui chiedere qualcosa del mio futuro.
PLAYBOY: Stai dicendo che ti limiterai ad essere passivo e lasciare che le
cose ti accadano?
DYLAN: Be', questo significa essere molto filosofici al proposito ma temo
che sia vero.
PLAYBOY: Un tempo progettavi di scrivere un romanzo. Ci pensi ancora?
DYLAN: Non credo. Tutto quello che scrivo va a finire in canzoni ora. Le
altre forme d'espressione non m'interessano più.
PLAYBOY: Hai qualche ambizione insoddisfatta?
DYLAN: Ho sempre desiderato, temo, di essere Anthony Quinn in “La strada”.
Non sempre; solo per sei anni, a tutt'oggi. Non è uno di quei sogni
infantili. Oh, ora che ci penso ho anche sempre desiderato di essere
Brigitte Bardot. Ma non voglio pensarci troppo, a questo.
PLAYBOY: Non hai mai coltivato il sogno dell'adolescente medio, di diventare
il Presidente?
DYLAN: No. Quando ero ragazzo, il presidente era Harry Truman. Chi potrebbe
desiderare di essere Harry Truman!
PLAYBOY: Bene, supponiamo che tu fossi il presidente. Che cosa vorresti
realizzare durante i tuoi primi mille giorni?
DYLAN: Giusto per ridere, visto che insisti, la prima cosa che farei sarebbe
spostare la Casa Bianca. Invece di lasciarla in Texas la metterei nell'East
Side di New York. Mc George Bundy sarebbe assolutamente obbligato a cambiare
nome e il Generale McNamara sarebbe costretto a portare un berretto di tasso
con tendine. Riscriverei immediatamente The Star-Spangled Banner e i bambini
a scuola, invece di imparare a memoria America The Beautiful, dovrebbero
imparare Desolation Row. E telefonerei immediatamente a Mao Tse-Tung per un
incontro di lotta. Lo combatterei personalmente; e troverei qualcuno per
farci un film.
PLAYBOY: Un’ultima domanda. Anche se ti sei più o meno ritirato dalla
protesta politica e sociale, riesci a immaginare delle circostanze che
potrebbero persuaderti a ritornarci?
DYLAN: No, a meno che tutti gli abitanti del mondo sparissero.
parte quarta
|