In una stanza con Dylan
di Roberto Brunelli
Fate conto di essere in una stanza insieme a Bob Dylan. Immaginate che sia
il ‘63. Per un bizzarro cortocircuito siete sbalzati indietro nel tempo.
Siete a New York, a Central Park ci sono le studentesse con il pullover a
collo alto che tengono sottobraccio, indifferentemente, gli album di Glenn
Gould, di Coltrane o di qualche folksinger che bazzica il Greenwich Village.
Fuori si gonfia il movimento dei diritti civili, Kennedy stanno per
ammazzarlo e i Beatles sono ancora degli ignoti bimbetti inglesi. Anche Bob
è un ragazzetto. Si mette a sedere al pianoforte e canta The Times they are
a-Changin’ : la fa più lenta, solenne, come se già giocasse con l’idea di
cambiare il mondo, e tu sei lì – ma con la consapevolezza dell’oggi, passate
quasi cinque decadi – con questo flusso di storia a portata di mano. Ecco,
ascoltare il cofanetto numero nove delle Bootleg Series, ossia i cosiddetti
Witmark Demos, fa quell’effetto lì: quello di essere improvvisamente finito
in una stanza con il giovanissimo Dylan, il primo Dylan. Il fatto è che
stiamo parlando dei demo tape (ossia registrazioni di prova) realizzati dal
nostro tra il ‘62 e il ‘64 per conto degli editori musicali Witmark & Sons e
Leeds Music. In parte si tratta di registrazioni che sono poco più che
prove, in altri casi di registrazioni destinate ad altri artisti che
avrebbero poi a loro volto inciso i brani (vedi Peter, Paul & Mary, che di
lì a poco avrebbero fatto il botto con Blowin’ in The Wind). Ci sono più o
meno tutti i capolavori del profetico Dylan «chitarra, armonica & voce», da
Masters of War a Hard’s Rain a-Gonna Fall e When the Ships Comes In, più una
manciata di inediti e rarità. Può darsi che non aggiungano moltissimo a
quello che conosciamo del primo Dylan, forse non esistono più spazi
inesplorati all’interno della galassia Dylan. Eppure i Witmark Demos hanno
una specie di impatto magico: sia che si parli di pezzi proverbiali come
Don’t Think Twice, it’s All Right sia che si peschi nei bassifondi degli
archivi dylaniani, risulta impressionante scoprire come sin dal loro primo
incontro con un microfono ed un acetato da incidere fossero canzoni lucide
come pietra lavata dai secoli, perfettamente messe a fuoco e paurosamente
consapevoli di sé.
La voce del ragazzetto è quella di un maestro, uno che per qualche
inesprimibile motivo è riuscito a condensare in sé la storia e il futuro: la
tradizione folk compresa miracolosamente al completo e al tempo stesso
trascesa da una voce cubista che la proietta in un spazio inesplorato e
remoto. C’è Mr Tambourine Man, anch’essa più lenta e al pianoforte, ci sono
colpi di tosse, qualche fruscio e qualche errore, c’è Girl From The North
Country, ma soprattutto, tra gli inediti, c’è The Death of Emmett Till: una
oscura favola di insensate uccisioni con annesso un sistema giudiziario
folle che forse meritava sin da allora di stare tra i classici. La voce di
Dylan è alta. È forte. È piena di tenebre e di luce: il mondo sta per
cambiare, e voi siete lì.
(Fonte:
http://gianlucalambiase.wordpress.com/2010/10/26/in-una-stanza-con-dylan/)
Quando Bob non era diventato Dylan
di Nicola Mirenzi
La Columbia ha appena pubblicato un cofanetto (“The Witmark Demos,
1962-1964”) con registrazioni e prove di studio di quando il mitico
cantautore americano aveva poco più di vent’anni. Ne esce un ritratto grezzo
e appassionante di un musicista destinato a entrare nelle enciclopedie. Ne
parliamo con Alessandro Carrera, il più grande esperto dell’autore di
“Blowin’in the wind”.
Scarno, privato, scricchiolante. Il Bob Dylan che viene fuori dal bootleg
appena pubblicato dalla Columbia - The Witmark Demos, 1962-1964 - non ha
niente di solenne. È un Dylan spogliato, ritratto nell’intimità della sua
scrittura ancora ventenne, ma con all’attivo già pezzi come Blowin’in the
wind e Mr. Tambourine Man. Le tracce contenute nel disco doppio, 48, sono
dei provini realizzati per la casa discografica Witmark nel biennio indicato
nel titolo. Servivano a Dylan per avere su nastro i pezzi che aveva scritto
e reclamarne così i diritti d’autore. Ma erano anche demos che altri
musicisti potevano ascoltare e decidere di interpretare. Si sente Dylan
tossire, The times they are a-changin’ accompagnata solo col pianoforte,
note fuoriposto, porte che sbattono durante l’esecuzione, insomma la
sporcizia dell’arte in fattura.
Di sicuro non si tratta di un’altra inutile pubblicazione confezionata per
lucrare sul mito. Anzi.
Secondo Alessandro Carrera - il più grande esperto italiano di Bob Dylan e
uno dei più autorevoli a livello internazionale - queste incisioni conducono
l’ascoltatore dentro il «laboratorio dylaniano». E una volta dentro, si
sente ciò che solitamente si vede negli abbozzi di pittori o scultori: ossia
gli schizzi preparatori di una composizione, l’anatomia di un’intenzione,
l’infanzia di un’opera. «Sono registrazioni che aggiungono molto al
materiale già esistente di Dylan» dice a Terra Carrera, da Houston. «Ci sono
canzoni che Dylan non ha mai inciso ufficialmente, oppure sono comparse
soltanto su pubblicazioni minori. Per esempio, The death of Emmett Till. Una
ballata certamente inferiore alle canzoni d’attualità che Dylan avrebbe
scritto da lì a un anno, ancora molto retorica. Che però parla di un evento
molto importante nella lotta per i diritti civili: l’assassinio di un
ragazzo nero di Chicago - Emmett Till, appunto - il quale si era permesso di
rivolgere un complimento a una donna bianca, e per questo venne rapito,
torturato e infine ucciso dai fratelli e cugini della donna che avevano
assistito alla scena.
Questo era un fatto che risaliva al 1955 ma di cui si continuava a parlare
quando Dylan scrisse la canzone nel 1962. Poiché gli assassini del ragazzo
avevano confessato il delitto, ma solo dopo essere stati assolti con formula
piena, quindi rimasero scandalosamente in libertà. Dylan scrive la canzone
per un gruppo di attivisti dei diritti civili su richiesta della sua
fidanzata di allora, Susy Rotolo, una italo-americana di New York molto
attiva nel movimento. Successivamente disse che di questa canzone non gli
piaceva niente, e in effetti non è perfettamente riuscita, ma in essa si
possono trovare cose che diventeranno evidenti nel Dylan maggiore».
I provini della Witmark sono asciutti, minimi, quasi disinteressati. Eppure
sono dotati di una grazia innocente e timida. L’esecuzione è molto «intensa
e coinvolgente», nonostante Dylan suoni come se non avesse niente da
aggiungere. Ma in realtà aggiungendo molto, «perché esegue i pezzi
esattamente come Woody Guthrie - uno dei suoi maestri - suona nelle
registrazioni che fece per la biblioteca del Congresso di Washington, la
Library of Congress, negli anni Cinquanta. Ascoltando quelle incisioni, si
sente che Guthrie non si preoccupava minimamente di cantare o suonare bene.
Ciò che voleva era semplicemente documentare una parte della musica popolare
americana, lasciare una testimonianza. E Dylan, anche se per altri motivi,
fa la stessa cosa qui. Lascia delle esecuzioni non perfette, eppure
affascinanti, proprio perché dotate di questa estetica dell’oralità, tipica
di una certa musica folk americana. Dove la perfezione tecnica non è quasi
mai importante, perché ciò che importa è la sincerità del gesto, quello che
deve arrivare. Sono canzoni molto semplici, in cui l’idea è: io te la canto
così tu l’impari e la canti pure tu».
Un grande dilettante
In Bob Dylan questo nocciolo popolare «non si è mai perso» spiega Carrera.
«Dylan è rimasto sempre una specie di grande dilettante. Che pur avendo
inventato molte cose - a livello di tecnica, di vocalità, di sound - ha
sempre avuto una ritrosia innata nei confronti di tutto ciò che è rifinito.
E invece che diradarsi nel tempo, questa caratteristica si è fatta ancora
più evidente nei concerti degli ultimi anni. Nei quali Dylan usa l’organo
pur non sapendolo suonare. E mentre i musicisti che suonano con lui
continuano a essere dei grandi musicisti, lui porta nel gruppo lo spirito
del dilettantismo, il gusto del non finito, del non pulito». Ed è difficile
dire se in questa rozzezza risieda esattamente la bellezza dei lavori
dylaniani, perché «in alcuni casi funziona, in altri lascia a desiderare»
dice Carrera.
«Certo è che Dylan senza questa sporcizia non sarebbe lo stesso. Del resto è
l’unico rimasto a testimoniare questa estetica rozza, che viene dalla musica
popolare e si trasferisce prima nel rock ‘n roll e poi nel rock degli anni
Settanta. Tutti capiscono che nelle canzoni molte cose scricchiolano, ma è
evidente che lui pensa che ci sia una verità in questo scricchiolare, una
verità che non bisogna perdere, e che anzi va difesa. Per questo, certe
volte si permette anche di suonare male, in modo incomprensibile. Mi ricordo
- racconta Carrera - di aver parlato una volta con un musicista che ha
lavorato molti anni con lui. Mi diceva che era strano suonare con Dylan
perché, quando erano arrivati a suonare una canzone bene, quello era il
momento di smettere di cantarla e ricominciare daccapo con un’altra canzone
che non avevano mai provato. Proprio per lasciare questo margine di
pericolo, d’incertezza, di non detto, non fatto, non finito, che a volte è
geniale e a volte da sui nervi».
Gli anni compresi in quest’ultimo bootleg - ‘62-‘64 - sono per Dylan gli
anni delle topical songs, delle canzoni d’attualità, quelle che noi
erroneamente chiamiamo della canzone politica, oppure della canzone di
protesta - un termine che a lui non è mai piaciuto. Non è un caso, infatti,
che in questa raccolta si trovino proprio alcune delle canzoni che hanno
prima marcato fortemente l’identità dylaniana e poi l’hanno inchiodata al
mito del cantante politico che lotta contro il potere. Che è, appunto, un
mito: «Perché Dylan non è mai stato un cantante politico» spiega Carrera.
«Questa è un’idea che ci siamo messi intesta noi. Per lui, lottare per i
diritti civili era una lotta per la dignità umana non per una parte
politica. Il punto vero è che in America il termine politica ha un
significato più ristretto di quello che gli diamo noi europei. Significa
gioco politico vero e proprio, repubblicani contro democratici.
Mentre noi lo consideriamo in un’accezione più ampia e omnicomprensiva. Ecco
l’equivoco. In America, Dylan non è affatto percepito come un cantante
politico e lui è sempre stato molto deciso nel negare di esserlo. Negli
Stati Uniti è visto come il cantante dei diritti civili, anche se poi è
passato per molte altre fasi. E quella legata alla politica è solo la prima
delle tante tappe della sua carriera. Però è bene ancora ricordare che
politica, nel suo caso, significa confronto con i grandi temi del bene e del
male, della libertà, della schiavitù. Non c’è da parte di Dylan una presa di
posizione, come invece accade in Bruce Springsteen, che partecipa alla
campagna elettorale di John Kerry e di Barack Obama. Il fatto è che noi
continuiamo a pensare Dylan come un cantante impegnato perché le sue canzoni
d’attualità sono delle canzoni molto potenti, che ancora oggi conservano la
loro forza. E sono canzoni che lui ha sempre eseguito, anche quando ha preso
a interessarsi ad altre cose. Sono questi pezzi che in fondo gli hanno
conferito l’identità dell’eroe con la chitarra in mano che cambia il mondo.
Anche se lui a un certo punto si è sentito stretto in questi panni e ha
voluto cambiare».
Un libro esaurito
In occasione del settantesimo compleanno di Dylan, a maggio, Feltrinelli
ripubblicherà un libro scritto da Carrera nel 2001 e oggi esaurito, La voce
di Bob Dylan: una spiegazione dell’America. Che sarà arricchito di una nuova
introduzione e di un capitolo sulla concezione del tempo in Dylan. Il titolo
riprende un poema di Robert Pinsky, An explanation of America, «e l’idea non
è tanto che Dylan dia una spiegazione dell’America, piuttosto che è la sua
voce che è una spiegazione dell’America. Perché Dylan ha una voce unica, che
non è né bianca né nera, ma porta degli elementi di entrambe; ha poi degli
elementi di cantillazione ebraica e di canto nativo americano. C’è insomma
una complessità della sua performance vocale che è assolutamente unica e che
in un certo senso specchia la complessità culturale, geografica, etnica
dell’America».
Sempre per Feltrinelli, Alessandro Carrera ha tradotto tutte le canzoni e le
prose di Dylan. E oltre alla voce, quindi, conosce benissimo anche le parole
di Bob Dylan. Che definisce «un poeta di natura abbastanza selvatica. Che
per quanto sia colto, non è un intellettuale raffinato - e nemmeno ci tiene
a esserlo. D’altra parte questa è una tradizione della cultura americana.
Molti scrittori, per quanto siano personalmente istruiti, colti, sagaci, non
si definirebbero mai degli intellettuali. Dylan è un grande visionario, sa
creare immagini, sa creare situazioni, sa creare storie, ma non lo fa da
intellettuale, lo fa da narratore puro, da ragazzo nato in una città
mineraria, che non ha mai veramente fatto l’università e si è formato
leggendo Woody Guthrie, Ginsberg, Kerouac, e tutto quello che gli passava
sottomano, compresi i classici latini e i poeti americani minori
dell’Ottocento.
La particolarità di Dylan è stata quella di essere riuscito a raccontare
fasi della sua maturazione attraverso delle storie, non necessariamente
autobiografiche, perché lui parla poco di sé, e se lo fa, lo fa per
allusioni, riferimenti nascosti. Le storie che racconta sono oblique,
strane, e mai del tutto chiare. è stato capace di creare un canzoniere
(ormai siamo a 500 canzoni) costantemente fatto di allusioni e rimandi,
citazioni nascoste, agganci in altre canzoni, nella Bibbia, in altre opere.
Gli antropologi lo definirebbero un bricoleur. Cioè uno capace di mettere
insieme tutto quello che trova e di creare qualcosa di nuovo».
(Articolo originale:
http://www.terranews.it/news/2010/10/quando-bob-non-era-diventato-dylan)
Dylan, un elefante nella sala dei cristalli
E’ proprio così, ancora una volta, the good ol’ Bob, alla venerabile età di
quasi 70 anni, spara un altro colpo di cannone, un uppercut da KO
fulminante, passa al galoppo nella sala e frantuma tutte le cristalline
certezze del mondo delle Major e della Tin Pan Alley, detta le nuove regole
per lui e forse per quelli a venire. Mai era successo che un artista
pubblicasse ufficialmente dei semplici e grezzi demos, ma Dylan è nella
condizione di fare quel che vuole, l’unico uomo al mondo che può al momento
fare questa strana e bizzarra cosa e, oltre che non essere massacreato da
dotti, medici e sapienti, scatenare le più divertenti fantasie di questi
soloni onniscenti!
Perdiana!!!!!! Mica poco!!!!!!
Questa nuova uscita ufficiale chiamata The Bootleg Series Vol.9 -The
Witmark Demos 1962-1964 non contiene niente che possa essere proposto come
canzone, sono soltanto degli abbozzi, delle primordiali idee da sviluppare,
delle tracce audio da far ascoltare ad altri artisti allo scopo e nelle
speranza di invogliarli a registrare qualcuno di questi pezzi, e di
conseguenza incassarne i diritti d’autore. Questo era il “solo ed unico”
scopo dei Witmark Demos (con l’aggiunta di qualche pezzo proveniente dalle
Leed sessions). Sono come la prima stesura di un libro, tanto per capirci,
“Fermo e Lucia” invece dei “Promessi Sposi”. Certo il Manzoni non si sarebbe
mai sognato di pubblicare una bozza di un suo lavoro, ma quelli erano altri
tempi, dove bastava una stretta di mano per confermare la fiducia ad una
persona. Ma come disse Dylan 40 anni fa : “I tempi stanno cambiando”, e sono
davvero cambiati, la decadenza è diventata così reale nella nostra vita che
una “Leggenda Vivente” come Bob (o forse chi per lui), può permettersi cose
di questo scarnissimo valore. Immagino qualunque altro artista coinvolto in
un’operazione simile, chissà quanto venderebbe, e soprattutto, chissà cosa
gli direbbero. Ma per Bob le possibilità sono infinite!
Non mi sento di condividere le cose che ho letto dai critici e dagli
esperti musicali, nessuna delle loro idee, per quanto illuminate e
simpatiche possano essere, I Witmark Demos nascono come demos col solo scopo
di essere dei demos, nient’altro.
Poi sono d’accordo che possano avere un valore di testimonianza storica
sugli inizi dell’opera del più grande artista musicale del Novecento con
coda nel Duemila fino ad oggi, possano creare un elevato interesse fra i
giustamente appassionati fans collezzionisti di tutto quanto riguardi il
lavoro di Bob, per avere quanto più sia possibile per arricchire il loro
catalogo personale dylaniano, questo lo capisco e lo comprendo, ma non
riesco ad andare oltre, cercare di scalare l’Everest senza le gambe, col
solo aiuto delle mani o della mente è fuori dalle mie possibilità.
Non voglio con questo dire se abbiano fatto bene o male a pubblicare i
Witmark Demos, ognuno avrà le sue buone ragioni per aver messo in moto
un’operazione di questo genere, ma per favore, non commettiamo l’errore di
trasformare dei semplicissimi demos in un’opera degna o pronta di essere
pubblicata, non lo sono e non lo saranno mai, saranno sempre ed
esclusivamente delle testimonianze di un periodo storico dylaniano e del
mondo musicale in quel momento e niente di più.
Potranno piacere, entusiasmare, annoiare o sembrare inutili, ognuno di noi
li giudicherà secondo il suo metro e darà ad essi la sua personale
importanza, e questo è più che giusto. Che non è giusto è considerare in
modo diverso questi lavori del giovane Dylan, sono quello che sono e
servivano per uno scopo ben preciso, ogni altra interpretazione rientra
nell’ambito della fantasia.
Mr.Tambourine
BOB DYLAN
The Witmark Demos: 1962-1964 - The Bootleg Series Vol. 9(Columbia) 2010
di Gabriele Benzing
Gennaio 1962. Una stanza spoglia, una nuvola di sigaro. La neve comincia ad
imbiancare la punta del Chrysler Building. Dietro una scrivania di metallo,
il boss delle edizioni musicali Leeds, Lou Levy, fa scattare il suo
registratore. Ha avuto sotto contratto gente come Henry Mancini e Bobby
Darin, ma di quel ragazzotto del Minnesota che se ne sta appollaiato su una
sedia di legno di fronte a lui sembra proprio non sapere che farsene. Mentre
Levy giocherella con il suo anello di diamanti, quel ventenne dall'aspetto
arruffato comincia a suonare la chitarra: canta di vagabondi e giocatori
d'azzardo con il tono di un vecchio folksinger. Si fa chiamare Dylan. Bob
Dylan.
Di lì a poco, ci penserà il suo nuovo manager, Al Grossman, a risolvere per
un migliaio di dollari il contratto con Leeds e ad accordarsi con uno dei
principali editori di Tin Pan Alley, Witmark & Sons. Nei due anni
successivi, il giovane Dylan continuerà a registrare per Witmark una serie
sempre più fitta di demo da sottoporre ad altri interpreti. E quando Peter,
Paul & Mary scaleranno le classifiche con una delle sue canzoni, "Blowin' In
The Wind", probabilmente anche Lou Levy si renderà conto di quello che si è
lasciato sfuggire...
A cinquant'anni di distanza, i demo registrati da Dylan per Leeds e Witmark
(arcinoti ai fan nella loro versione "pirata") vedono per la prima volta la
luce in forma ufficiale nel nono volume delle "Bootleg Series", in
contemporanea con la riedizione in formato mono dei primi otto album del
songwriter di Duluth. Qualcosa era già affiorato in passato, nei precedenti
episodi della collana, ma la pubblicazione integrale del corpus di
registrazioni (per un totale di quasi cinquanta brani) rende giustizia a
quel rigore filologico che spesso era mancato nell'opera di sistemazione
degli archivi dylaniani. Accanto a versioni più o meno embrionali dei
classici del primo canzoniere di Dylan, la raccolta offre così una
quindicina di episodi che finora non avevano mai trovato spazio nella
discografia ufficiale: un'istantanea in presa diretta di un talento sorpreso
proprio nel momento del suo sbocciare.
"Non ci si sveglia un bel giorno con il bisogno di scrivere canzoni",
riflette Dylan nella sua autobiografia a proposito di quei giorni. "Succede
che uno vuole fare le cose a modo suo, vuole vedere con i suoi occhi quello
che si nasconde dietro la cortina di nebbia". Ascoltare "The Witmark Demos"
è come essere resi partecipi di quel processo: nel giro di pochi mesi, la
scrittura di Dylan si trasforma da incerta imitazione dei modelli folk a
visionaria esplorazione di un territorio sconosciuto. "Era come aprire una
porta che dà su una stanza buia. Uno crede di sapere che cosa c'è e dove
sono state messe le cose, ma in realtà non lo sa finché non ci entra".
Sembra che non ci sia nulla da scoprire, nell'ascolto dell'ennesima versione
di "Girl From The North Country" o di "Masters Of War". Ma, come osserva
Colin Escott nelle liner notes dell'album, "si tratta di una testimonianza
del potere di queste canzoni che, pur essendo state sviscerate e analizzate
più minuziosamente di qualunque altra canzone nella storia della popular
music, mantengono un nocciolo di mistero impenetrabile". È proprio nella
loro natura di demo che va cercata la cifra di queste registrazioni: Dylan
non sta incidendo un disco o intrattenendo una platea, sta semplicemente
tracciando un bozzetto di brani su cui il suo editore possa mettere il
copyright. Il tono è disteso e spontaneo, le imperfezioni sono il segno di
un lavoro ancora tutto in evoluzione. Certo, tra interruzioni, colpi di
tosse e commenti sparsi, la traballante qualità sonora di "The Witmark
Demos" sembra valere più come documento che non come ascolto per il profano.
Dylan saccheggia la montagna dorata della tradizione, raccogliendo l'eco dei
canti spiritual ("Ain't Gonna Grieve") e dei sermoni di Blind Willie Johnson
("Whatcha Gonna Do?"). Prende in prestito dalle antiche ballate inglesi la
nostalgia di "Farewell" e dal blues di Robert Johnson l'inquietudine di
"Standing On The Highway". Muove i primi passi sul terreno della canzone
"impegnata", ripercorrendo in "The Death Of Emmett Till" la storia di un
ragazzo di colore brutalmente assassinato negli anni Cinquanta, secondo
tutti i canoni della topical song. Si strugge con alcune delle sue pagine
d'amore più sincere, dal picking teso di "Tomorrow Is A Long Time" sino al
tocco delicato di "Mama, You Been On My Mind". E quando siede al pianoforte,
"Mr. Tambourine Man" sembra assumere un nuovo volto, dipanandosi con
l'incedere dell'inno.
Ecco allora il punto: nonostante tutto, sarebbe un tradimento trattare
queste canzoni solo come il reperto di un'epoca passata. Di sicuro l'America
di Obama non è più quella di Emmett Till: ma, come suggerisce con amaro
sarcasmo "Long Ago, Far Away", nascondersi dietro al fatto che i tempi sono
cambiati non sarebbe altro che un modo per sottrarsi al cuore della
questione. Perché la forza che anima i versi del primo Dylan non sta tanto
in un determinato zeitgeist, quanto nel loro insistente bisogno di non
smettere mai di interrogare la realtà.
Del resto, Dylan non sarebbe Dylan se si lasciasse catalogare tra le pagine
di un libro di storia: "I know I ain't no prophet / And I ain't no prophet's
son", proclamava già ai tempi di "Long Time Gone", rubando le parole
all'Amos biblico. Le sue canzoni si spingono oltre la contingenza di un
frangente: il loro segreto, per usare le sue stesse parole, è quello di
saper "mostrare alle persone un lato del loro animo che loro stesse
ignorano". E questo, Dylan non ha mai smesso di farlo.
(Fonte:http://www.ondarock.it/recensioni/2010_bobdylan.htm)
CD Review: Bob Dylan, "The Bootleg Series Vol. 9 - The
Witmark Demos"
di Shane Ken
Nel gennaio del 1961, Bob Dylan è arrivato, sconosciuto, a
New York City. Non passò molto tempo prima che lui stava già facendo il giro
dei "basket cafe" (così chiamati perché gli artisti passavano fra i clienti
del bar per guadagnare quello che potevano raccogliere nel cestino che
facevano passare in giro), del Greenwich Village. Le cose hanno davvero
cominciato a girare per Dylan quando il critico musicale del N.Y. Times
Robert Shelton ha scritto una recensione positiva di una performance tenuta
in settembre da Dylan al Gerde's Folk City.
E' stato così che Dylan ha campato fino ad arrivare a suonare l'armonica in
una sessione di registrazione per Carolyn Hester, ed il suo primo incontro
con John Hammond, che poco dopo lo mise sotto contratto per la Columbia
Records. La Columbia pubblicò il primo album di Dylan nell’aprile del 1962,
ed a malapena pareggiò i costi.
Prima dell’ arrivò di Dylan sulla scena, le canzoni venivano gestite da un
regno chiamato "Tin Pan Alley" a New York City. Gli editori di musica
dovevano quindi tentare di vendere le canzoni ad altri artisti perchè le
registrassero, con vari gradi di successo. Dylan ha cambiato tutto questo
per sempre. All'inizio, firmò con una casa editrice musicale chiamata Leeds
Music. In quei giorni un cantautore doveva registrare dei demo per la casa
editrice che li avrebbe poi trascritti sugli spartiti, e utilizzati per
aiutare i publisher a registrare la canzone con un artista di successo. Nel
gennaio del 1962, Dylan ha fatto quello che era probabilmente la sua unica
sessione di demo per la Leeds Music. Aveva appena finito di registrare il
suo primo album che non era stato ancora pubblicato.
Questo primo album non aveva molto in termini di materiale originale di
Dylan, e non ebbe un grande impatto. Intanto alla Columbia Records, Dylan
cominciò ad essere indicato come "La follia di Hammond" . A quel tempo,
Artie Mogull stava lavorando per una società denominata Music Publisher's
Holding Company, una sussidiaria interamente di proprietà della Warner Bros.
Poco dopo l’avvento nel 1927 del primo film sonoro, The Jazz Singer, le
persone della Warner avevano capito il valore che la musica avrebbe avuto e
così decisero di acquistare un certo numero di case editrici musicali, tra
cui quella denominata Witmark & Sons, che era stata fondata nel 1885. Un
giorno Mogull ricevette la visita del primo manager di Dylan, Roy Silver, e
in base al successo ancora minore di Peter, Paul & Mary, Mogull, che aveva
messo sotto contratto il trio per la Warner Bros., lo stette ad ascoltare.
Solo poche settimane prima, Dylan aveva scritto la sua prima canzone
veramente grande, "Blowin 'in the Wind", e quando Mogull la ascoltò ne fu
completamente convinto.
Naturalmente c'era un piccolo problema; Dylan era ancora sotto contratto con
la Leeds Music per la pubblicazione delle sue canzoni. Nello stesso periodo,
Albert Grossman assunse il management di Dylan, e Mogull gli versò 1.000
dollari per comprare la loro uscita dal contratto con la Leeds. La Leeds,
impressionata negativamente dai risultati del primo album, fu fin troppo
felice di lasciare andare Dylan. Come Colin Escott dice nel saggio molto
sottile che accompagna questo doppio album, "Era il luglio del 1962, sei
mesi dopo la Decca Records in Inghilterra respingeva il provino dei Beatles
a favore di quello di Brian Poole, decidendo che quella era la scommessa
migliore.
Dylan era molto sotto pressione quando arrivò il momento del suo secondo
album, ma lui non ebbe bisogno di preoccuparsi. Aveva firmato il suo nuovo
contratto editoriale, che aveva già inciso "Blowin 'in the Wind" per The
Freewheelin' Bob Dylan, e Peter, Paul & Mary lo trasformarono in un enorme
successo. Questo è stato solo il primo di molti successi, rimasto come un
inno indelebile di quegli anni.
La Columbia a quei tempi non permetteva che nuovi artisti andassero in
studio al fine di produrre dei demo, ma Witmark lo fece, presso gli uffici
Witmark al 51° di Madison, in uno studio di sei piedi per otto. Fu lì che
Dylan registrò la maggior parte dei demo pubblicati ora su The Bootleg
Series Vol. 9 – The Witmark Demos (Columbia Records). Ci sono 47 canzoni di
Bob Dylan qui, registrate per Leeds e Witmark, tra il 1962 e il 1964. Qui
potrete trovare i classici di Dylan, come la già citata "Blowin 'in the
Wind", "Mr. Tambourine Man","The Times They Are A-Changin'"e" Masters of War
". Le mie preferite di questo gruppo sono una versione toccante di "Tomorrow
Is A Long Time", e la triste "Boots of Spanish Leather", entrambe ispirate
al rapporto di Dylan con Suze Rotolo che divenne celebre camminando sotto il
braccio di Dylan sulla copertina di Freewheelin'. Il vero tesoro è però
sotto forma di 15 canzoni di Dylan che sono state registrate per queste
sessioni, ma mai pubblicate prima ufficialmente. Questi includono la
pensierosa "Ballad For A Friend", ispirata ai diritti, “Long Ago, Far Away”,
"The Death of Emmett Till" e la malinconica "Guess I'm Doing Fine".
Questi demos ci offrono l'imbarazzo della scelta. Le registrazioni sono
grezze. Dylan tossisce, inciampa e si dimentica a volte il testo, si ferma
bruscamente a metà canzone, e fa piccole osservazioni sulle canzoni.
L'ascolto dei Witmark Demos è un'esperienza totalmente gratificante dal
punto di vista storico. Per uno come me, che porta in giro Dylan nel suo
cuore ovunque egli vada, questa è una cosa trascendentale.
(Fonte: //popdose.com)
Il cantautore Bob Dylan nel 1960.
Di Edna Gundersen, Shriver Jerry, Mansfield e Brian Gardner Elysa, USA TODAY
PRIMO PIANO: UN LATO PRECOCE DI BOB DYLAN
Bob Dylan, The Bootleg Series Volume 9: The Witmark Demos
Mentre la dolente Guess I'm Doing Fine, influenzando Ballad for a Friend e
altri 13 demos non sono mai stati ufficialmente pubblicati, la maggior parte
delle 47 canzoni saranno familiari ai completisti e agli ascoltatori.
Registrati tra il 1962 e il 1964 per gli editori di Dylan per essere
registrati da altri cantanti, sono stati pubblicati in diverse versioni nel
corso degli anni, e anche questi ultimi rari, ripuliti dalla polvere ,
fedeli al titolo della serie, sono stati ampiamente bootleggizzati.
Tuttavia, l'ampiezza del talento del giovane cantautore è sorprendente, l’
esecuzione sfacciata e l'intimità delle sessioni rendono la sequenza
cronologica dei due set di CD un'aggiunta emozionante ed essenziale per
qualsiasi persona che raccoglie l’opera di Dylan.
Dylan si accompagna con la chitarra acustica, armonica e pianoforte ,
barcolla tra le tracce disseminate di glitch e interruzioni, una performance
casuale che avrebbe richiesto un indirizzo permanente per diventare più
convincenti. Il suo talento notevole scusa il fraseggio della lingua,
l’incertezzabordi frastagliata del set e le carenze audio. Un interessante
carellata da ascoltare a ruota libera.
(Fonte: www.usatoday.com)
Come Bob Dylan “suonava” Prima di diventare una star
Tutti gli artisti enigmatici godono della loro giusta quota di aneddoti e
pettegolezzi, che è probabilmente uno dei motivi per i quali i critici della
cultura pop sono così attratti da loro. Bob Dylan è quanto di più enigmatico
e camaleontico ci sia come artista, così ho avuto l'occasione di ridacchiare
su alcune storie su Dylan di volta in volta. La mia preferito attuale
combacia con l'uscita di questa settimana di The Bootleg Series Volume 9-The
Witmark Demos: 1962-1964. E' una scena improbabile: un giovanissimo Dylan
seduto in una stanza di un ufficio di Madison Avenue nel 1962, aspeta che
qualcuno ascolti i suoi demo nella speranza che qualche folk-Niks sia
attirato a registrare la sua musica, guadagnandosi così le entrate dai
diritti d'autore. E perché era preoccupato? A quel tempo c’era chi odiava
Dylan a causa della sua voce. La storia racconta che gli arrangiatori di
musica negli uffici circostanti chiedevano le porte assicurandosi che quando
c’era Mr. Dylan esse fossero saldamente chiuse, per paura che la sua voce
ragliante disturbasse il loro lavoro.
Noi ci siamo incontrati faccia a faccia con la sua voce nelle demo. E’
robusta, fragile, e villana su "Masters Of War" e "The Death of Emmett
Till". La voce fumosa del veggente, che ritroveremo in un classico come
Blonde On Blonde – si diffonde attraverso il lamentoso paesaggio sonoro
della grossolana "Mama You Been On My Mind" e "Don’t Think Twice It's All
Right" L'uscita di queste prove ufficiali in studio, conserva ancora
la dignità del canto del demo, solido, creando l'effetto di un artista che
fa di tutto per tenersi insieme, scusandosi prima di spegnersi e cadere a
pezzi in privato.
Ci sono anche molte digressioni buffe, con Dylan che commenta le sue canzoni
ironico, o qualche gaffe di produzione occasionale. Ma per ogni esempio,
quando Dylan fonde se stesso con una lirica, vengon fuori cose come "Girl
From The North Country", eseguito con il tipo di solennità epica apprezzato
dai grandi bluesman del Delta, ma con una leggerezza che fa apprezzare il
suo senso ritmico. Il Dylan che abita questi demo ha un talento che esula
quasi dal suo tempo, o in qualsiasi momento futuro, davvero. Si comincia a
chiedersi da dove diavolo venisse quell' uomo nell’ ufficio di Madison
Avenue.
La brigate di hardcore fans di Dylan hanno già avuto la maggior parte di
queste registrazioni da molto tempo, grazie al generoso business bootleg di
Dylan. Comprensibilmente, il concetto di demo generale è un pò in contrasto
con la nostra era dell’ iPod, quindi potrebbe richiedere un pò di tempo
prima che questo set di due dischi possa crescere di importanza. I Demos non
sono, in qualsiasi modo, un prodotto finito, un lavoro pubblicabile. Non
sono takes alternative, cioè un tentativo di ottenere una parte di una
canzone o una canzone completa. Sono solo delle guide, una performance come
da manuale di istruzioni. Ci sono alcuni esempi sparsi in giro dei Beatles,
e una miriade di demo degli Who di Pete Townshend, con Townshend che suona
tutti gli strumenti in modo che i suoi compagni in seguito potessero
imparare le loro parti. E questo è notevole, come demo sono spesso più
importanti delle loro versioni-ufficiali, con particolari esagerati e una
formalità prevalente che tende ad essere in contrasto alla loro situazione
spesso di registrazioni di bassa qualità.
Mi sono spesso chiesto cosa abbiano mai pensato i compagni folky di Dylan
quando hanno sentito alcuni campioni della sua produzione. Tutto qui è stato
registrato prima che Dylan avesse 24 anni. L'uomo è stato positivamente
armato con canti, ed è stato innescato per usarli. Dylan, come chiunque
abbia visto Don't Look Back attesterà, non ha avuto problemi di coscienza
quando si trattava di intimidire altri artisti. Se siete incerti, guardare
ciò che accade a Donovan in quel film quando ha fatto la sua richiesta di
suonare una canzone di Dylan, solo per ricambiare Dylan con una delle sue.
Alcuni potrebbero vedere la Witmark Demos come ammissione che, forse, una
carriera a lungo termine nel mondo dello spettacolo non era una certezza
nella mente di Dylan. Personalmente, io non sento niente vagamente simile ad
un piano di programmazione e di salvataggio di quei pezzi. Sento un ragazzo
con un diverso tipo di talento trovare un altro modo per ostentarlo.
L'outsider del music business, con la voce folle, è stato, in un certo
momento, un insider del music biz come quel ragazzo che consegnava il
materiale da editore. E poi, naturalmente, c'era il fascino che qualche
artista che avrebbe avuto in classifica un disco di successo con una delle
sue composizioni. Non so se a Dylan sia mai venuta in mente questa cosa, che
deve essere grato anche per i suoi motivi più instabili, i suoi tempi della
pre-superstar.
(Fonte: www.theatlantic.com)
Dylan: Witmark Demos - primo ascolto
Ecco una raccolta di brani originali da un cantante giovane e fresco. Copre
il periodo del suo lavoro in età compresa fra i20 e 23 anni. Sappiamo che il
suo songwriting sarà più maturo in seguito, come lo sarà lui, ma le persone
giovani adesso nel 21° secolo avranno uno straordinario album "nuovo" da un
artista della loro età. Il suo nome è Bob Dylan.
Nel gennaio 1962 Dylan aveva firmato con le Edizioni musicali Leeds-Duchess
per poter avere le royalty per le sue registrazioni e prestazioni, film e
apparizioni alla TV, e per la pubblicazione degli spartiti. Leeds-Duchess
non poteva sapere come si stava evolvendo rapidamente Dylan o se avesse
scritto canzoni mostruose. Il nuovo manager di Bob, Albert Grossman. ha
cercato un nuovo contratto di pubblicazione dando un taglio netto con
Leeds-Duchess e ne ha negoziato uno nuovo con M. Witmark & Sons, società
controllata da Warner Bros. Leeds lasciò il contratto per un migliaio di
dollari e lo stesso mese Bob firmò con Witmark, registrando alcuni demo. Uno
si chiamava Blowin' In The Wind e nel giro di un anno avrebbe venduto un
milione di copie nella versione di Peter, Paul & Mary, e Bob Dylan sarebbe
diventato il più grande folk singer del mondo.
Witmark aveva uno Studio di registrazione di 6x8 piedi a New York per i
cantautori. I copisti avevano trascritto le registrazioni sugli spartiti, e
l'editore avrebbe fatto sentire le registrazioni ai produttori, nella
speranza che facendo ascoltare il suo appello (da cui "demos") li
convincesse a sostenere le spese di produzione delle canzoni. Dylan era come
una bestia rara in quei giorni - un artista e un cantautore.
Jeff Rosen e Steve Berkowitz hanno raccolto 39 brani dei Witmark Demos (più
8 brani dal breve periodo con Leeds) raccolti in due CD per The Bootleg
Series Volume 9 – The Demo Witmark. MOJO ha avuto il privilegio di ascoltare
un campione di questa straordinaria collezione. Dato l'artista, le sue
realizzazioni e il periodo di applicazione (1962-1964), si sentono
naturalmente classici come Blowin' In The Wind, Masters Of War, Don't Think
Twice, It's All Right, The Times They Are A-Changin' , e Mr. Tambourine Man.
La maggior parte delle canzoni di questo nuovo disco sono stati pubblicati
in una varietà di versioni su album originali di Dylan, Biograph, dischi
live, Broadside antologie folk (con lo pseudonimo di Blind Boy Grunt per
eludere l'esclusiva contrattuale con la Columbia) e sulle legali Bootleg
Series, nonché come bootleg illegali. Ma solo tre dei Witmark demos e Leeds
non sono mai state ufficialmente pubblicati e questo è uno dei tanti motivi
per i quali questa release è una chicca per gli appassionati di Dylan,
un'altra è quella di avere l'occasione di ascoltare un più rilassato Bob e
non sotto pressione. Ci sono flubs, versi dimenticati, e ogni sorta di
intima confusione mista, tra cui alcuni scherzi con (presumibilmente)
l'ingegnere e uno scherzo amichevole in cui egli suggerisce a Grossman di
giocare a dadi.
Per quanto riguarda le sue capacità strumentali, vi sono esempi di chitarra
ritmica percussiva proto-rock, il suo caldo maledetto picking country-blues,
e un sacco del suo sottovalutato plunking al pianoforte (più sorprendente in
Mr. Tambourine Man). Dato il tracking cronologico, sentiamo il suo fraseggio
alla Woody Guthrie trasformarsi in una cosa più rilassata, la voce più
personale - il Dylan archetipo cantato di un milione di imitatori. Nel
frattempo, nel disco 2, con titoli di gergo giornalistico, come la
travolgente When The Ship Comes In, in cui ogni nemico - ideologico o di
altro tipo – sarà vinto. Gli ultimi due brani del set (Mr Tambourine Man e
I'll Keep It With Mine) introducono il mistero e il surrealismo che
avrebbero caratterizzato la sua fase successiva.
Secondo i biografi Dylan, tre vengono dalla storia romantica con Suze
Rotolo: Tomorrow Is A Long Time, Boots Of Spanish Leather, e Don't Think
Twice, It's All Right. Il dolore del cuore è stato raramente così come
espresso nelle prime due, l'amarezza che segue il rifiuto non è mai stato
così bene rappresentato come nelle ultime due.
Oltre ai classici ovvio, ci sono interpretazioni di Bob poco note che col
senno di poi si potrebbe dire le sue migliori in quel tempo (15 dei brani
qui non sono mai stati ufficialmente pubblicati da Bob in qualsiasi forma).
Long Time Gone è un potente confutazione di ogni tentativo di domare il
protagonista che va alla deriva. Esse comprende le parole "Ma io so che non
c'è alcun profeta / Io non sono figlio di nessun profeta" - che anticipano
il rifiuto di essere definito “portavoce-di-una-generazione” (parole che
sono più profetiche di quanto lui potesse immaginare). Con un ritmo vivace,
un’accattivante melodia e un cambi di accordi offbeat per l'idioma folk,
Guess I'm Doing Fine è un altro inno di determinazione.
La determinazione e la sopravvivenza sono i temi ricorrenti nei primi lavori
di Dylan. Walkin 'Down The Line – ne un succcesso e nemmeno sconosciuto, ma
un mio favorito personale - è qui in forma di demo. "Vedo la luce del
mattino / vedo la luce del mattino / Beh, non è perché / io sono un tipo
mattiniero / non ho potuto dormire la notte scorsa", canta Bob. Per mezzo
secolo ha camminato lungo la linea. Altri meno artisti - meno uomini – non
avrebbro mai preso una strada difficile come la sua. I suoi piedi sono
sempre stati sul punto di staccarsi da terra e decollare, mentre lui ha
cantato la sua anima inquieta.
Io scommetto che un sacco di giovani del 21° secolo troveranno conforto
ascoltando questo giovane del 20° secolo quando stava iniziando la sua
odissea. Tutte le epoche sono sfide per le giovani menti - e Dio solo sa
quanto ognuno possa essere amareggiato. I veri artisti fanno i propri errori
e imparano le loro lezioni, ma non fa mai male sapere su quale strada i
giganti hanno camminato prima che voi intrapendiate il vostro di viaggio.
Michael Simmons
(Fonte: www.mojo4music.com)
Talkin' Bob Dylan Bootleg
di Chris W. Johnson
La scorsa settimana, la Columbia Records ha annunciato che farà uscire il
nono volume delle Bootleg Series il 19 ottobre. Intitolato "The Witmark
Demos, 1962 - 1964", la nuova collezione sarà composta di 47 registrazioni
demo che Dylan fece per il suo editore per la musica, l'eponimo M. Witmark &
Sons. Inoltre, la Columbia pubblicherà i primi otto album di Dylan nel loro
formato mono originale.
I critici hanno accolto la notizia con entusiasmo. Scrivendo per il Daily
Beast, Sean Wilentz ha sostenuto che queste registrazioni rappresentano un
momento seminale nella storia della musica americana, quando il modello di
songwriting commerciale della vecchia Tin Pan Alley ha dato spazio ad un
ethos più individualista. Benchè siano le registrazioni del più grande
fenomeno culturale, si potrebbe dire, tutto considerato, che non sono una
cosa molto eccitante.
Mi ricordo delle negoziazioni che facevo coi miei amici per avere il bootleg
dei Witmark Demos durante il liceo. L'idea era incredibile - un tesoro ben
registrato del primo Dylan che canta le versioni inedite di alcune grandi
canzoni, delle quali di molte non avevo mai nemmeno sentito parlare. A
differenza di altri bootleg, questo non era difficile da avere. Queste
registrazioni circolavano facilmente.
Ma fin dall'inizio, c'era qualcosa indefinito sui bootleg Witmark. Forse
perché erano solo demo e Dylan stava abbozzando un quadro invece di
eseguirlo definitivamente. In ogni caso, non mi hanno mai afferrato - li ho
avuti e basta. Poi sono rimasti lì, quasi inascoltati. Ora stanno ricevendo
una valenza ufficiale, ed è questo che è sconcertante.
La questione principale è: perché questo? Ci sono certamente migliori
bootlegs per dare soldi alle case discografiche. Che ne dite di un approccio
globale, una pubblicazione dei pezzi di nastro tagliati rimasti sul
pavimento dello studio di incisione delle sessions di "Bringing it all back
home", o "The Freewheelin '", o la versione alternativa di "Blood on the
Tracks", che è stata ampiamente bootleghizzata, ma solo ufficialmente
pubblicata a pezzi? Poi ci sono le Rundown Rehearsals del 1978, per le quali
un sondaggio online le ha date favotite col 73 per cento rispetto al 27 per
cento dei Witmark Demos. Ci sono un sacco di oscure registrazioni di Dylan
che le persone vorrebbero sentire in questa nuova pubblicazione.
Giocare al direttore della casa discografica è un gioco inutile, ma posso
solo immaginare che i Witmark Demos siano stati scelti perché sono
registrazioni di qualità già alta, quindi non bisognava rompersi le scatole
a rimasterizzare il tutto. Più importante, giocano sul fatto che vanno nella
direzione culturale per far digerire i superficiali inizi di un poco
brillante Dylan-Folk che cominciava a dire le sue cose per il bene della sua
generazione. Certo, ci sono alcune gemme, ma la gente della Columbia sapeva
che molto tempo fa avevano già inserito qualcuno di questi nastri nella
"Bootleg Series, vol. 1-3”. Ora diventeranno una versione bootleg
ufficializzata, e susciteranno maggior interesse di quanto furono
piratizzati molti anni fa.
Se non altro, la riedizione di un enorme pezzo del catalogo di Dylan in mono
è la notizia davvero emozionante. Non è così allettante come materiale
inedito, e non possiederà certamente quel senso di speleologia alla scoperta
di nuovo e inesplorato disco, ma almeno darà la possibilità di sentire in
modo nuovo alcuni dischi stellari. La differenza tra le versioni mono e
stereo di "Blonde on Blonde", per esempio, non è affatto banale, almeno se
si ha la giusta attrezzatura audio. Ho ascoltato la versione mono di alcuni
di questi pezzi in CD circa sei mesi fa, ed è stato un altro paio di
maniche, completamente nuovo. Ora sono davvero qualcosa che vale la pena di
sentire.
(Fonte: //blogs.forward.com)
Bob Dylan, The Witmark Demos: 1962-1964 (The Bootleg Series
Vol. 9)
di Paolo Vites
Nel novembre 2001, un paio di mesi dopo gli attentati alle Torri Gemelle,
Bob Dylan si trovava sul palco del Madison Square Garden a New York. Solo
un’altra tappa del suo Never Ending Tour, il tour senza fine, ma non solo
quello, come sempre - o quasi - quando è coinvolto il più significativo
autore di canzoni del Novecento.
Era successo che, alla luce di quella tragedia, il bel mondo del rock si era
dato appuntamento in vari eventi benefici, Telethon e quant’altro. Tutti, ma
proprio tutti, da Bruce Springsteen agli U2 erano sfilati davanti alle
telecamere. Mancava all’appello solo uno, Bob Dylan, prontamente accusato
dalla intellighenzia dell’usuale menefreghismo e individualismo che lo
caratterizzerebbero. Sul palco del Madison Square Garden, quella sera Bob
Dylan avrebbe tuttavia regalato una delle sue più toccanti e coinvolgenti
performance della sua pluridecennale carriera: era evidente a tutti che
sentiva profondamente il suo essere a New York a poche settimane dall’immane
tragedia che l’aveva colpita.
E per chiudere certe bocche che parlano sempre troppo, a un certo punto se
ne uscì così: «La maggior parte delle canzoni che avete ascoltato stasera è
stata scritta a New York. Nessuno dovrebbe chiedermi che cosa provo per
questa città». Gli scroscianti applausi mandarono a casa ogni maldicenza. E
se volete sapere di quali canzoni stava parlando quella sera, e quando
furono scritte, non è sufficiente fare riferimento alla sua discografia
ufficiale, quella manciata di capolavori incisi tra il 1963 e il 1966,
dischi che rispondo ai nomi di “The Freewheelin’ Bob Dylan” o “Blonde on
Blonde”.
Bisogna fare riferimento anche a un patrimonio sommerso, dozzine di
incisioni che magari non hanno mai visto la luce su dischi ufficiali, o che
su questi dischi sono arrivate in forma del tutto diversa. Nel periodo che
va dal 1962, anno di uscita del suo primo, omonimo album, e il 1964, anno
dell’ultima incisione acustica prima della svolta elettrica, Bob Dylan
infatti registra per la casa di edizioni newyorchese Witmark Publishing una
mole impressionante di canzoni.
Lo scopo è di mettere su nastro incisioni che altri cantanti più famosi di
lui potranno pubblicare e portare magari in classifica. Oppure di fermare
per se stesso momenti di ispirazione su cui tornare più tardi per dar loro
forma definitiva. Altre ancora verranno lasciate lì perché semplicemente non
degne di apparire su alcun disco, che fosse di Bob Dylan o di altri artisti.
Anche se la qualità media di una canzone di Bob Dylan, anche di quelle meno
belle, farebbe la gioia di qualunque altro cantautore…
Sono due anni di esplosione creativa impressionante: la persona che le
compone e le incide ha, in questo lasso di tempo, inizialmente 20 anni; alla
fine, quando lascia gli studi dopo aver completato una versione per solo
pianoforte di Mr. Tambourine Man, nel gennaio 1964, non ne ha ancora
compiuti 23. Il 50% della mole dei suoi capolavori è tutta qua dentro, da
Blowin’ in the Wind a Masters of War, passando per A Hard Rain’s Gonna Fall
ad appunto Mr. Tambourine Man.
In mezzo, oltre a decine di altre canzoni di valore come la dolce Mama You
Been on My Mind, non c’è solo l’esplosione creativa di un genio precoce che
passa dall’essere - parole sue - “un Woody Guthrie juke box” a diventare il
poeta anfetaminico della rivoluzione lisrgica che lui stesso farà esplodere
con brani come Like a Rolling Stone e le visioni da incubo del tipo
Baudelaire sotto Lsd di "Highway 61".
In mezzo c’è anche la storia d’America, che in quei due anni vivrà allo
stesso modo di Dylan una spinta e una trasformazione sociale e politica
impressionanti. Da paese cioè ultra razzista in cui i neri non possono
neanche andare nelle università (e Dylan canta questi passaggi epocali, in
questa raccolta, ad esempio in Oxford Town, che parla proprio dei primi neri
ammessi all’università d Oxford) al paese delle marce di Martin Luther King
(ed ecco The Times They Are A-Changin’, scritta proprio dopo il discorso di
Luther Kign a Washington, qui ascoltabile in un affascinante versione voce e
pianoforte) al paese della rivoluzione dei figli dei fiori.
Certo, questo nuovo episodio della Bootleg Series (il nono) non è il
classico disco che si consigli a chi voglia, giovanissimo, approcciare Bob
Dylan per la prima volta. Altri, quelli sui 50 anni e dintorni, gran parte
se non tutto questo materiale lo hanno già da anni, disponibile appunto
sotto forma di bootleg, quelle circolazioni discografiche clandestine che
per anni hanno deliziato e ossessionato i fan più assidui, i completisti ad
ogni costo.
Tra i possibili acquirenti di questo doppio cd (contenente in tutto 47
canzoni) c’è anche chi desidera semplicemente mettere ordine in produzioni
appunto clandestine e quindi caotiche e mal assemblate, sistemando così un
altro tassello nel grande puzzle di quello che è stato il più affascinante e
appassionante momento culturale del Novecento, l’esplosione dei geni
musicali dei Bob Dylan, dei Beatles e di tanti altri.
Che, incredibilmente, bruciarono la gran parte del loro genio in un periodo
brevissimo e a un’età giovanissima. Per quando questi personaggi avrebbero
compiuti i 30 anni, avevano già detto tutto quello che avevano da dire. E
così la storia del rock. A noi, quarant’anni dopo, resta la gioia semplice
che dà ascoltare una prima versione della meravigliosa Boots of Spanish
Leather, ad esempio, con Dylan che scherza in apertura, commentando: «Qua si
impone un problema. Un problema da risolvere, ricordarsi le parole giuste».
Ride e parte senza alcun problema di ricordare o meno le parole di uno dei
brani più commoventi della intera stagione del movimento folk degli anni 60.
Ascoltare queste registrazioni è allora come aprire di schianto una porta,
uno stargate spazio-tempo: ce lo vediamo lì, il giovanissimo Dylan con
l’aria del ragazzotto di campagna che aveva in quei primi giorni
newyorchesi, mentre fuori delle finestre degli studi della Witmark impazza e
sbeffeggia il traffico caotico della Grande Mela. Lui probabilmente non se
ne rendeva conto, ma non stava solo registrando delle canzoni: stava
registrando la storia.
(Aricolo originale:
http://www.ilsussidiario.net/News/Dischi-Libri/2010/10/13/ESCLUSIVA-Bob-Dylan-The-Witmark-Demos-1962-1964-The-Bootleg-Series-Vol-9-/4/119107/)
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