di Paolo Vites
Quarant’anni fa erano i portavoce della generazione che si ribellava
contro la guerra in Vietnam. Oggi che una nuova guerra infuria, Crosby,
Stills, Nash & Young sono tornati a reclamare il loro ruolo di scomodi
disturbatori dell’establishment. Due anni fa hanno portato on the road uno
dei tour più impegnati e controversi che abbiano attraversato gli Stati
Uniti d’America. Cuore dei concerti erano le canzoni che Neil Young ha
pubblicato nel suo “Living With War”, polemico atto di accusa verso
l’amministrazione Bush. La maggior parte dei fan applaude, ma non sono pochi
quelli che lasciano le sale. È il ritratto di un’America spaccata in due,
adesso disponibile nel film “Déjà Vu” che debutta nelle sale italiane questo
mese. Lo abbiamo visto in anteprima: ne parliamo e raccontiamo la storia
dell’impegno politico dei quattro musicisti.
È la sera del 16 agosto 1969, all’Auditorium Theatre di Chicago. Si
esibiscono Crosby, Stills e Nash. Con il loro disco omonimo, pubblicato a
maggio, sono già in vetta alle classifiche: sono gli artisti del momento. Ma
per quello che è il loro debutto dal vivo sentono di aver bisogno di una
spalla che dia maggior robustezza. Su consiglio del presidente della loro
casa discografica, Ahmet Ertegun, e nonostante i pareri inizialmente
contrari di Stephen Stills e Graham Nash, è stato invitato a unirsi a loro
Neil Young che appunto dovrebbe essere solo un musicista aggiunto nei
concerti, ma le cose, come dimostrerà il disco Déjà Vu che uscirà nella
primavera dell’anno successivo, non andranno così. Di fatto, sin
dall’inizio, questa storia comincia con un logo passato alla storia e che
quasi quarant’anni dopo questa storia la segna ancora: CSNY. Il fatto che
questo supergruppo sia nato sulle assi di un palcoscenico e che nei
successivi quattro decenni abbia inciso pochissimi dischi in studio (tre, e
solo il primo degno di attenzione) la dice lunga. La loro dimensione ideale
è là dove le «quattro strade» si incontrano al meglio, uniscono i propri
percorsi singolari e si esaltano: su di un palco. Ecco perché, per alzare
forte la voce di un’America che rivive nel terzo millennio l’incubo della
guerra in Vietnam, non c’è stato bisogno di un disco (anzi sì, però quel
disco era del solo Neil Young, Living With War), ma di un tour: il Freedom
Of Speech del 2006, con cui CSNY sono tornati per reclamare il loro ruolo di
portavoce dell’America libertaria. D’altro canto, appena due giorni dopo
quel debutto a Chicago quasi quarant’anni fa, CSNY avrebbero suonato di
fronte alla nazione hippie, un milione circa di ragazzi bagnati dalla
pioggia a Woodstock, creando così un legame che si è rivelato indissolubile
nei successivi quattro decenni.
«Right here! Get set! Point! Fire!»
Per capire qual è l’autentico significato di questo tour bisogna nuovamente
tornare indietro. Al 4 maggio 1970. Il 30 aprile il presidente Richard
Nixon, che durante la campagna elettorale che lo aveva portato alla elezione
nel 1968 aveva promesso di porre fine alla guerra in Vietnam, ha annunciato
alla nazione che le forze armate degli Stati Uniti hanno invaso la Cambogia.
Immediatamente, il primo maggio, una protesta studentesca prende piede nel
campus della Kent State University, in Ohio. Nei giorni successivi la
manifestazione degenera in violenze, viene dato alle fiamme l’edificio
universitario dove si tengono gli arruolamenti militari, mentre incidenti di
vario tipo si svolgono per le vie cittadine. Il sindaco di Kent dichiara lo
stato di emergenza chiedendo al Governatore dell’Ohio di inviare la Guardia
Nazionale.
Il 4 maggio, mentre circa 2 mila studenti continuano a manifestare nel
campus, in circostanze mai chiarite un gruppo di uomini della Guardia
Nazionale fa fuoco improvvisamente, uccidendone quattro (di cui solo due
partecipanti alla manifestazione; gli altri due stavano semplicemente
recandosi da un’aula a un’altra per seguire i corsi) e ferendone altri nove.
Le successive inchieste diranno che i soldati hanno reagito per eccesso di
autodifesa e cattiva preparazione a questo tipo di evento e che nessun
superiore ha dato loro l’ordine di aprire il fuoco. Nei processi che seguono
i soldati sotto accusa dichiarano di aver avuto paura della folla dei
manifestanti. In effetti, “solo” una trentina di essi aprono il fuoco. Nel
2007, però, uno degli studenti coinvolti negli incidenti trova una
registrazione fatta allora in un dormitorio universitario in cui si sente
distintamente un urlo: «Right here! Get set! Point! Fire!» («Venite qui,
mettetevi in fila, puntate, fuoco!»).
Qualunque sia stato il motivo di quello che viene definito dalla stampa «il
massacro di Kent State», l’America si trova sconvolta davanti a un fatto di
tale portata. Nei giorni successivi oltre quattro milioni di studenti
americani entrano in sciopero: è il primo sciopero studentesco a livello
nazionale della storia americana. Dieci giorni dopo una folla infuriata di
100 mila studenti arriva a Washington: la tensione è tale che il presidente
Nixon viene portato via dalla Casa Bianca e nascosto in una località
segreta. Come conseguenza degli avvenimenti, alla Guardia Nazionale verrà
proibito di utilizzare armi da fuoco durante le manifestazioni.
Anche due musicisti rock assistono attoniti e sconvolti a quanto sta
succedendo nel loro paese, ormai giunto sull’orlo della guerra civile. Due
settimane dopo l’accaduto, il 19 maggio, David Crosby mostra a Neil Young
una copia della rivista Life che in copertina ha una foto scattata a Kent,
quella diventata famosa di una ragazza che piange accanto al corpo di uno
degli studenti uccisi. Young si ritira per alcune ore e quando riemerge dice
all’amico: «Chiama Steve e Graham, andiamo in studio a registrare una
canzone». Due giorni dopo, il 21 maggio, CSNY incidono Ohio. Ahmet Ertegun
dice che bisogna farla uscire immediatamente su singolo. Come b-side,
registrano Find The Cost Of Freedom, un brano di Stills che già eseguivano
dal vivo. Ohio è una instant song, proprio come quel disco, Living With War,
che 36 anni dopo Young inciderà in nove giorni. Il pezzo entra
immediatamente al numero 14 della classifica di Billboard e fa di CSNY i
leader del movimento giovanile di protesta. Con questo brano e con il duro
atto di accusa scritto da Graham Nash, Chicago/We Can Change The World, i
quattro musicisti sono il punto di riferimento per una intera generazione,
proprio come era accaduto per Bob Dylan alcuni anni prima. Nelle liner notes
del suo disco antologico Decade, pubblicato nel 1977, Young scriverà che
«Crosby era così coinvolto emotivamente da quella canzone che alla fine
dell’incisione è scoppiato in lacrime». Crosby a sua volta dichiarerà che
l’aver messo il nome di Nixon nel testo della canzone «è stata la cosa più
coraggiosa che avessi mai sentito». Con il suo tipico approccio, Young,
nelle stesse liner notes, aggiungerà che «è piuttosto ironico che abbia
guadagnato dei soldi sulla morte di quegli studenti».
Vivere con la guerra
Aprile 2006. In nove giorni, in un piccolo studio di registrazione di Los
Angeles, Neil Young incide il suo disco più incazzato di sempre. Come
accaduto nel 1970 con Ohio, si tratta di instant song, composte per lo più
nello studio stesso prendendo come spunto gli avvenimenti che coinvolgono
gli Stati Uniti e il loro attuale presidente, George W. Bush. Anche la
guerra adesso è un’altra: welcome to Iraq, baby.
Come racconta lo stesso Neil Young nel corso di una lunga intervista con il
giornalista televisivo americano Charlie Rose tenuta nel luglio 2008, lo
spunto per quel disco, esattamente come era successo per Ohio, è un articolo
di giornale. Sulla rivista Usa Today il musicista canadese aveva infatti
visto un servizio su alcuni grandi jet dell’esercito americano trasformati
in ospedali volanti. Qui sono curati i soldati gravemente feriti in Iraq che
vengono trasportati d’urgenza verso i centri di cura presenti nelle basi
militari in Germania. Quello che colpisce Young è che il servizio viene
presentato come «il grande sviluppo tecnologico della medicina moderna». Del
tipo: guardate, possiamo curare i feriti anche su un aeroplano. Non si fa
cenno al dramma di questi uomini e delle loro famiglie. Neil è così
disgustato e angosciato che si chiude in camera e scrive di getto una
canzone, che poi si intitolerà, su Living With War, Families. È la scintilla
dell’intero disco e del successivo tour di CSNY, Freedom Of Speech. Dirà
Stephen Stills: «CSNY si ritrovano insieme ogni volta che c’è una guerra». È
soprattutto un brano di Living With War, Let’s Impeach The President, a fare
scalpore, con le sue durissime liriche che accusano Bush di aver mentito
alla nazione, di aver abusato dei suoi poteri, di non aver soccorso in modo
appropriato i cittadini di New Orleans dopo l’uragano Katrina, di aver
dirottato la religione per servirsene in modo da farsi eleggere e altro
ancora. Sono canzoni dure anche musicalmente, di derivazione punk. Quando
David Crosby, durante il tour, chiederà un giorno all’amico come mai avesse
composto brani musicalmente semplici e privi di particolari ricerche sonore,
il canadese commenterà: «Non spreco le mie cose migliori per parlare di
George Bush».
Mai come in questo periodo storico l’America è divisa. A differenza dei
tempi della guerra in Vietnam, una parte del popolo americano crede che,
dopo l’attacco subito l’11 settembre 2001, l’invasione in Iraq sia un
legittimo diritto di difendersi di un paese in stato di guerra, di colpire i
suoi nemici. È quasi come ai tempi di Pearl Harbor e della guerra col
Giappone. Chi critica questa posizione viene accusato di essere un traditore
del paese. E a Young queste critiche pioveranno addosso in modo estremamente
duro.
We Can Change The World
Se il canadese è il “provocatore” del gruppo, i suoi colleghi non sono mai
stati da meno per quanto riguarda la denuncia politica. Prima che Young si
unisse a CSN, i tre avevano già un discreto numero di canzoni impegnate:
Long Time Gone di David Crosby, scritta dopo l’omicidio di Robert Kennedy,
chiamava gli americani a schierarsi apertamente contro «la pazzia» che stava
colpendo il loro paese; For What It’s Worth, che Stills aveva traghettato
dal repertorio dei Buffalo Springfield, denunciava gli scontri avvenuti tra
polizia e giovani sul Sunset Strip a Los Angeles quando il Pandora’s Box,
uno dei locali più frequentati dagli hippie, era stato chiuso per ordinanza
delle autorità cittadine, mentre dal vivo lo stesso Stills trasformava la
sua 49 Bye-Byes in un durissimo rap contro l’establishment. Wooden Ships,
scritta da Crosby insieme a Stills con l’apporto di Paul Kantner dei
Jefferson Airplane, denunciava la guerra nucleare fra Occidente e Russia
sentita allora imminente, e ancora What Are Their Names, dal primo disco
solista di Crosby, in cui il musicista chiedeva nomi e cognomi dei
responsabili della guerra in Vietnam, concludendo con la richiesta più
semplice che un uomo possa fare: «La pace non è una cosa così terribile da
chiedere»; il brano non a caso ha aperto i concerti del Freedom Of Speech
Tour. E poi c’era Chicago/We Can Change The World, talmente esplicita che
Nash dovette inciderla sul suo primo album solista perché sembrava troppo
forte per un disco di CSNY, ma che veniva eseguita dal vivo durante i
concerti dei quattro. Scritta in seguito agli incidenti durante la
convention del Partito Democratico a Chicago nel 1968, era un esplicito
invito a scendere in piazza a difendere i leader del movimento di protesta
che erano stati arrestati e messi sotto processo. Era anche un invito a
Stills e Young, allora riluttanti, a unirsi a Crosby e Nash nella protesta,
come dirà lo stesso Graham: «La scrissi per Stephen e Neil, “per favore
volete venire a Chicago solo per cantare?”, perché loro due non avevano
voluto partecipare a un concerto in sostengo di Bobby Seale e degli altri
arrestati».
Le contraddizioni dal punto di vista della partecipazione politica in seno
al supergruppo si evidenzieranno spesso nel corso dei decenni (come vedremo
in seguito, Stills aveva seri dubbi nel partecipare al Freedom Of Speech
Tour), ma riflettono una partecipazione libera da restrizioni ideologiche.
Dirà Nash: «Non abbiamo mai creduto nel far proselitismo, ma non riusciamo a
ignorare ciò che ci offende e ci fa incazzare». «Non credo che si possa
salire su di un palco e dire alla gente in che cosa credere» afferma invece
Crosby. «Ma noi abbiamo offerto una seria alternativa di valori ai giovani
di questo paese, che è l’unico modo di combattere un governo potente e forte
come il nostro». «Tutti cercavano un messaggio politico in quello che
scrivevo» racconta Stills. «Come se mi stessi candidando al Senato».
Conclusa la guerra in Vietnam (dirà Bob Dylan, forse con la sua consueta
ironia, ma comunque non sbagliando di tanto che «Crosby, Stills, Nash e
Young hanno fermato la guerra») l’impegno di CSN si sposterà su ogni causa
sostenibile, con canzoni e decine di benefit per questa o quell’altra
situazione, dall’ambientalismo con canzoni dedicate alla difesa delle balene
(Wind On The Water di Crosby e Nash) alla battaglia contro l’energia
nucleare (Barrel Of Pain di Nash e ancora recentemente Puppeteer nel disco
di Crosby e Nash di quattro anni fa) e negli anni della Guerra Fredda, gli
80, canzoni di Stills come War Games. Sempre in prima linea. Aveva scritto
il critico Ron Stone: «CSNY sono stati i portavoce radicali di una
generazione. Erano la voce dell’underground. Dicevano cose, nei dischi o
alla radio, che ogni ragazzo americano diceva su quanto accadeva. Furono uno
specchio per l’anima del pubblico». Viceversa, è Neil Young quello che si è
sempre tenuto più lontano dall’impegno politico esplicito. Nella sua
carriera solista non ci sono esempi evidenti di prese di posizione, anzi a
metà anni 70 su On The Beach riflette in modo amaro e sconfortante sul
crollo delle utopie di qualche anno prima, sull’eroina che sta spazzando via
una intera generazione (in Tonight’s The Night) e addirittura in un brano di
Rust Never Sleeps (la splendida Trasher) decide di sbarazzarsi dei tre
vecchi pards con parole acidissime: «Così mi stufai, loro per me erano solo
un peso morto, meglio essere sulla strada senza quel peso». C’è una
eccezione, ed è uno dei suoi brani meno famosi, ma certamente uno dei più
belli per la melodia, ma soprattutto per la toccante liricità che esprime
bene l’approccio politico del canadese. È Campaigner, una canzone incisa
dopo lo scandalo Watergate, in cui Young guarda attonito il baratro in cui è
precipitato il suo paese, ma conserva un momento di compassione per il suo
nemico dai tempi di Ohio: «Anche Richard Nixon ha un’anima». La canzone, in
rarissime occasioni, ha fatto capolino durante il tour acustico che ha
toccato anche l’Italia lo scorso febbraio. Questa volta il verso è
diventato: «Anche George Bush ha un’anima»…
Freedom Of Speech
Con un tour come CSNY già in programma, dopo aver terminato Living With War,
Young chiama Stills, Nash e Crosby: «Ho fatto un disco, dovete ascoltarlo.
Quello che voglio fare nel nuovo tour è eseguire queste nuove canzoni. Non
voglio concentrarmi su niente altro. Gli unici brani del nostro passato che
posso concedere vengano suonati sono quelli che hanno un tema in comune con
le mie nuove canzoni. Non si potrà distogliere l’intensità di questo
messaggio con cose diverse. Nessuna canzone sulle balene, questa volta
(battutaccia su brani di Crosby e Nash come Wind On The Water, dedicata al
pericolo di estinzione dell’animale acquatico, nda)». In particolare Young
chiede che durante i concerti «non si facciano comizi» (forse ha ancora in
mente la parte fatta da David Crosby al festival di Monterey del 1967,
quando durante il set dei Byrds si lanciò in una lunga filippica a proposito
dei mandanti e degli assassini del presidente John F. Kennedy). Nessuno deve
introdurre le canzoni, il loro messaggio deve parlare da sé. Una tale presa
di posizione autoritaria, in passato, avrebbe portato i quattro a uno degli
usuali litigi e conseguente cancellazione del tour. Era accaduto
innumerevoli volte, nel corso della loro turbolenta storia. Ad esempio
quando un disco già pronto, registrato nel 1973, non uscì mai. Ma adesso i
tempi sono cambiati. C’è da denunciare una situazione politica disastrosa, e
soprattutto, se Young sa benissimo che il fatto di andare in tour come CSNY
gli porta molti più spettatori di un suo tour solista e quindi il messaggio
di Living With War può raggiungere una platea più ampia, anche Stills, Nash
e Crosby sono consapevoli che senza di lui non hanno ormai un grande
riscontro di audience. Dice Graham Nash: «Dal momento in cui ci chiamò,
tutti noi eravamo coscienti di essere pronti a sostenerlo. Sapevamo che
volevamo cantare quelle canzoni, eravamo coscienti dell’importanza di un
tour del genere e volevamo buttarci nella cosa». Aggiunge Crosby: «Come
musicisti il nostro ruolo è principalmente di offrire uno spettacolo, di
intrattenere il pubblico. Ma c’è anche l’aspetto del troubador, quello che
andava in giro di città in città avvertendo la gente che “sono le 11 e tutto
va bene” oppure che “sono le 12 e alla Casa Bianca c’è uno scimpanzè e le
cose non vanno proprio bene”. Lasciatemi dire però che se le canzoni non ci
fossero piaciute non le avremmo suonate. Ma quelle cose andavano dette e
siamo orgogliosi di averlo fatto».
È Stills l’unico che ha dei dubbi. Young racconta che «Steve era consapevole
dell’impatto politico e aveva paura di suscitare una immagine negativa. Mi
disse che aveva paura che il pubblico tirasse loro oggetti. Lui soffre molto
le critiche, è una persona molto sensibile ed è proprio ciò che lo ha reso
un grande chitarrista e un grande autore di canzoni». Dirà lo stesso Stills:
«Una parte di me pensava: tutto ciò è esagerato, otterremo il risultato di
galvanizzare la base del partito repubblicano. L’esperienza del Vote for
Change Tour aveva ottenuto di alienare le simpatie di molti americani verso
la musica rock. E poi cantare questo tipo di canzoni nella terra di Bush...
Mi aspettavo fischi e insulti da un buon 20% del pubblico. In America questo
tipo di percentuale di conservatori ci sarà sempre. Ed effettivamente
c’erano persone che alla fine dei concerti mostravano il dito medio a Neil».
Per Young ne è valsa la pena, anche perché «c’è stato un link con il nostro
passato. Inizialmente non ne ero consapevole, ma improvvisamente mi è
apparso evidente. E ci siamo mossi in quella direzione. Nella vita l’unica
cosa è tenere gli occhi bene aperti e poi le cose accadono da sole».
Quello di cui Stills aveva paura, in effetti è successo in modo massiccio
una sola volta, durante il concerto di Atlanta. Qui, molti spettatori hanno
lasciato il concerto, altri hanno violentemente urlato il loro dissenso e
addirittura la camera di albergo di Neil Young, dopo lo show, è stata
perquisita dalle forze di polizia nel timore che l’artista potesse trovare
una sgradita sorpresa. Pare infatti che le minacce di attentati rivolte ai
quattro rocker siano state per tutto il tour piuttosto continuative.
Nash ha commentato che per la prima volta Neil non ha portato con sé in tour
la sua famiglia, cosa che abitualmente fa. «Aveva davvero paura che qualcuno
potesse fare del male a lui o ai suoi cari».
A Song Won’t Change The World
Per un gruppo che in trent’anni ha fatto due sole tournée (quella del
1969/70 e quella del 1974), averne fatte ben tre in sei anni è un bel
record. Solo l’ultima è stata documentata con un cd (vedi recensione su JAM
151), per le altre – quella del 2000, nata per festeggiare il nuovo
millennio, e quella del 2002, per reagire allo shock che aveva colpito
l’America dopo gli attentati dell’11 settembre – dobbiamo accontentarci dei
racconti degli americani o di chi ha varcato l’oceano per vederli. Non è
chiaro perché CSNY non siano venuti in queste occasioni nella vecchia Europa
(probabilmente un problema di costi, visto che i quattro chiedono cifre
alquanto alte).
Il film documentario del Freedom Of Speech Tour diretto dallo stesso Young è
uscito su dvd e nelle sale americane lo scorso luglio. A ottobre sarà in
quelle italiane, seguito poco dopo dal dvd. Ma il vecchio guerriero, adesso
che la sua opera più impegnata è disponibile al grande pubblico,
contemporaneamente sembra aver deposto le armi. Nei recenti tour europei di
quest’anno ha abbandonato completamente il repertorio di Living With War,
concentrandosi piuttosto sul suo songbook degli anni 70, quello più
intimista e dolente, e qualche accenno al suo recente disco solista, Chrome
Dreams II. Non solo. Qualche mese fa nel corso di una intervista Young ha
dichiarato di ritenere che «il tempo in cui la musica poteva cambiare il
mondo è finito. Credo che sarebbe davvero infantile pensare una cosa del
genere in questa epoca. Credo che il mondo oggi sia un posto differente e
che sia il tempo per la scienza, la fisica e la spiritualità di fare la
differenza e cercare di salvare il pianeta».
Nella già citata intervista con il giornalista televisivo Charlie Rose,
Young ha così posto fine a quell’esperienza: «Quando ho scritto le canzoni
di Living With War non è stato affatto una esperienza piacevole. Anzi, è
stata una cosa terribile. È terribile criticare il proprio presidente, fare
questo e quello, ed essere lì in prima persona... È stato come essere
risucchiato dentro qualcosa. Non è una cosa di cui sono felice, oggi, ma è
accaduta. Ero arrabbiato per le menzogne che ci stavano dicendo, ma non è
una cosa che voglio vivere di nuovo. Non mi piace cantare quelle canzoni (di
Living With War, nda). L’ho fatto, ma non sono la Cnn. Piuttosto che fare un
altro tour come questo, preferisco andare a suonare con i Rolling Stones».
Non è un controsenso in realtà. CSNY non sono dei politicanti, sono qualcosa
di diverso. Come ogni grande artista, rappresentano la coscienza di un
popolo. Graham Nash al proposito pur esprimendosi in modi diversi, concorda:
«Non stiamo dicendo al mondo che cosa debba fare. Tutto quello che stiamo
dicendo è: questo presidente del cazzo ci sta uccidendo. Questo coglione sta
conducendo il paese alla pazzia. È responsabile di aver reso l’America il
paese più odiato al mondo. Tutto quello che dico è: questo è ciò che
pensiamo di questo idiota. Che cosa ne pensate?». Young: «Libertà di parola
non è solo il punto di vista di una singola persona. Ero determinato a dare
voce a ciò che pensava la gente che era ai concerti. Anche, e soprattutto,
se fosse stato il punto di vista opposto al nostro. Devi rispettare chi
esprime la propria rabbia, perché vuol dire che crede profondamente in
qualcosa. Quello che ho cercato di fare con questo film è stato di lasciare
che le cose accadessero, e che la gente dicesse che cosa provava».
Nei concerti europei di questa estate il canadese ha presentato un brano
inedito, che si intitola (guarda un po’) Just Singing A Song Won’t Change
The World, cantare una canzone non cambia il mondo, in cui fra le altre cose
dice: «Puoi cantare del bisogno di un cambiamento, beh, devi fare il tuo
cambiamento personale, puoi essere quello che stai cercando di dire, ma
cantare una canzone non cambia il mondo».
Gli ha risposto un collega che ha sempre avuto problemi con la canzone
politica (rifiutò a Michael Moore la sua Won’t Get Fooled Again), Pete
Townshend: «Forse è vero che la musica e i musicisti non sono in grado di
cambiare il mondo nel modo in cui loro o noi pensiamo di poter fare. Ma le
persone creano il cambiamento ogni singolo giorno. Alcuni insegnando, altri
protestando, altri ancora dando gratuitamente il proprio tempo o denaro. A
volte basta un sorriso per fare la differenza. Una canzone non cambierà il
mondo in modo drastico e automatico, ma da qualche parte bisogna cominciare.
E i musicisti e la musica possono fare la loro parte anche se non sarà una
rivoluzione».
Recentemente Neil Young si è impegnato in uno di questi cambiamenti. Sta
lavorando insieme ad alcuni esperti a un nuovo tipo di automobile che possa
usare un carburante alternativo rispetto al petrolio. Ci crede molto e ci
sta investendo soldi e tempo. E continuerà a cantare la sua personale
rivoluzione: «I miei amici mi dicono di non smettere. Non smetterò. Sono
convinto che questo sia il momento di operare dei cambiamenti. Ma so anche
che non sarà una canzone. Forse lo era, ma oggi non lo è più. Sto cercando
il carburante della gente, ciò che la spinge a vivere e a muoversi. Lo
troverò? Sì. Non so nemmeno perché ho scelto di dare una mano a rivelare una
cosa di tale portata. So solo che quando lo avrò trovato potrò scrivere una
canzone. Fino ad allora posso scrivere una canzone sulla ricerca. Ma una
canzone da sola non cambierà il mondo. Eppure, continuerò a cantare».
Magari insieme a Crosby, Stills e Nash. Speriamo solo non sia in occasione
di una nuova guerra.
(fonte : jamonline.it/)
di Leonardo Zaccaria
Quella di Crosby, Stills, Nash & Young è una storia tutta particolare nel
mondo della musica rock. Non un vero gruppo, piuttosto quattro
individualità, quattro personalità mediamente abbastanza forti legate da un
rapporto artistico ed umano che avrebbe fatto la felicità di Sigmund Freud.
Graham Nash coglie bene l’aspetto umano della vicenda quando, dopo anni di
vicissitudini in bilico tra armonia e odio, afferma che: “Non importa quanto
sanguinosamente noi si possa litigare, alla fine, come accade tra fratelli,
ci sono dei legami invisibili che non si possono spezzare”. Più difficile
risulta spiegare le decisive motivazioni artistiche di un sodalizio così
fragile eppure così duro a morire, a meno che non si voglia ricorrere al
consunto cliché della combinazione chimica. La verità è che questa cosa
inafferrabile, imprevedibile e stupefacente che è il rock’n’roll non
risponde alle leggi che governano l’universo: due più due fa invariabilmente
quattro per la matematica, ma può fare cento, o mille, o zero per la musica.
Crosby, Stills & Nash sono dei buoni musicisti, chi più (Stills), chi meno
(Nash), ma la combinazione di loro tre insieme produce un risultato che è
infinitamente superiore a quello che si potrebbe ottenere da una semplice
somma algebrica delle loro qualità (caso tutt’altro che raro, si pensi ai
Beatles!). Per Neil Young il discorso è diverso: fedele al proprio ruolo di
“loner”, lui non ha mai permesso che il proprio fluido si combinasse e
reagisse con quello degli altri, preferendo “poggiare” la propria
eccezionale capacità artistica sulla combinazione CSN, esaltandola ma
minandone irrimediabilmente l’equilibrio umano, con il proprio comportamento
egocentrico. La storia di CSN&Y è importante non solo per la musica che
hanno fatto, ma anche per il modo in cui ciascuno di loro ha attraversato
quasi quaranta anni di storia del mondo giovanile, incarnando le aspirazioni
di almeno tre generazioni, nella speranza come nella disfatta.
Gli anni dei capolavori 1968-1971
Ormai chiunque sa quasi tutto relativamente a cosa sia stato il ’68.
Pertanto, ricorderò molto celermente che nel 1968 l’America venne divorata
dalla contestazione giovanile, che significava soprattutto una nuova
consapevolezza della propria forza da parte dei giovani, che non volevano
più limitarsi a prepararsi ad essere adulti, come avevano fatto sino ad
allora i loro coetanei, ma vivevano, tra ansia ed entusiasmo, la bellissima
speranza di poter cambiare lo stato delle cose.
Il rock, prima forma d’arte di matrice giovanile nella storia di
comunicazione di massa, dava voce (come già tredici anni prima nel 1956
anche se in maniera diversa) a questo coacervo di emozioni e sensazioni.
David Crosby c’era già dentro fino al collo; nato a Los Angeles nel 1941,
era stato nei Byrds, gruppo nato come risposta americana ai Beatles e lungo
la strada evolutosi fino a diventare espressione di quella parte del
movimento che nel coltivare i propri ideali, tra cui quello di fare nuove
esperienze, entrava in pericolosa confidenza con gli acidi. Dopo aver fatto
nei Byrds da leader filosofico più che artistico (poche le sue canzoni di
rilievo, tra cui, però, non può essere dimenticata Everybody’s Been Burned,
da Younger Than Yesterday), Crosby lasciò il gruppo per dissidi con McGuinn
e Parsons e, dopo aver per un po’ vagabondato con la sua leggendaria barca a
vela, proprio nel 1968 inizia ad accompagnarsi ad un altro giovane di belle
speranze, Stephen Stills.
Questi aveva già inciso tre dischi con i Buffalo Springfield, formazione in
cui militavano anche Neil Young e Richie Furay. I Buffalo avevano consegnato
al mondo una serie di fragili e meravigliose canzoni, la più bella e più
importanti delle quali, nonostante Neil Young, resta una composizione di
Stills, For What It’s Worth, che in breve diventa un inno per oltre una
generazione di pacifisti.
I Buffalo si erano sciolti per contrasti personali tra Stills e Young.
Dunque, Crosby e Stills iniziano a girare insieme suonando in piccolo club
californiani, ma ben presto si rendono conto di aver bisogno di un harmony
singer.
Il caso volle che nel febbraio del 1968 gli Hollies, gruppo di punta
dell’easybeat britannico, titolare di una trentina di successi di cassetta
grazie ad una serie di canzoncine acqua e sapone nobilitate da pregevoli
arrangiamenti vocali, effettuassero un breve tour negli Stati Uniti. Graham
Nash, cantante e co-leader degli Hollies assieme ad Allan Clarke, era in un
periodo di crisi nei confronti del gruppo, che Clarke stava maldestramente
cercando di trasformare in formazione rock, e rimase fortemente colpito
dall’atmosfera eccitante che si respirava in California, tanto da decidere
di tornare in estate a trovare gli amici conosciuti durante la tournée. Fu
allora, nel salotto di una giovane cantante canadese di cui Crosby aveva
appena prodotto il primo disco (Joni Mitchell), che Crosby, Stills e Nash
suonarono insieme la prima volta e, come ricorda Nash: “Il salotto sembrò
tremare, e io capii che avrei dovuto lasciare il mio paese, la mia famiglia
ed il mio gruppo, per cantare con loro”.
Dopo aver conquistato con il loro particolarissimo impasto vocale tutti
coloro che li avevano ascoltati, i tre decisero di fare sul serio. Assunsero
come produttore David Geffen ma, non fidandosene eccessivamente, vi
affiancarono Elliot Roberts, produttore anche di Neil Young. Dopo una
combutta asta firmarono per la Atlantic di Ahmet Ertegun, che per strappare
Nash alla Epic, con cui quest’ultimo era sotto contratto, fu costretto a
cedere Richie Furay, che poté così formare i Poco.
Le registrazioni del primo disco iniziarono in Inghilterra, dove Nash era
andato a tagliare i ponti, e proseguirono poi, in un clima di grande armonia
e collaborazione, a Los Angeles. Il disco, chiamato semplicemente Crosby,
Stills & Nash, uscì alla fine di giugno del 1969.
Alcuni irriducibili idolatri del “disco d’esordio” tendono a considerarlo
l’insuperato capolavoro del trio, cosa che, a mio sommesso avviso, non è. Si
tratta comunque di un ottimo disco, in cui l’equilibrio raggiunto dal gruppo
è perfetto. Anche se la paternità di ogni singolo brano è agevolmente
attribuibile, sarebbe sbagliato sottovalutare l’importanza dell’influenza
reciproca dei tre protagonisti nella realizzazione dell’album. Nash, pur
essendo senza dubbio il più immaturo dal punto di vista compositivo, legato
com’è agli schemi dell’easybeat britannico, conferisce al patrimonio comune
un sicuro intuito melodico, oltre alla propria indiscutibile abilità vocale
che rende spesso celestiali le armonie dei tre; unico dei suoi brani degno
di menzione è Marrakech Express, canzoncina dall’esotico testo scritta ai
tempi degli Hollies che ha, per loro, il non indifferente merito di ottenere
grande successo come singolo. Stills sembra ancora un poco insicuro sulla
strada da seguire, tendenzialmente portato verso un rock più grintoso,
subisce in un certo senso il taglio prevalentemente acustico dato al disco
dai suoi compagni, ma se non altro sventa il pericolo di un’eccessiva
sdolcinatezza. Tra le sue composizioni, splendida Suite Judy Blue Eyes,
dedicata, con amore, a Judy Collins, intessuta su di un fragile intreccio
vocale che si carica di energia nel celebre coro finale. Anche una versione
ridotta di questo brano uscirà come singolo, bissando il successo di
Marrakech Express. Buona anche l’elettrica e trascinante 49 Bye Byes,
risultato della fusione di due canzoni: 49 Reasons e Bye Bye Baby.
Chi però emerge nettamente è David Crosby, maestro della dissonanza
armoniosa, incapace di scrivere una partitura banale, è anche l’unico dei
tre a produrre dei testi che vale la pena di ascoltare: le sue composizioni
sono una spanna sopra quelle degli altri, e forse non tanto la
celebratissima poesia acustica di Guinnevere quanto, soprattutto, la
corposità elettrica di Wooden Ships in cui si vagheggia la partenza verso un
mondo nuovo, fatto di libertà (“l’orrore ci afferra quando vi vediamo
morire, possiamo solo fare eco alle vostre grida angosciate… guardate come
muoiono tutti i sentimenti umani, noi stiamo partendo, non avete bisogno di
noi”); anni dopo un pragmatico Jackson Browne rimprovererà a Crosby la
filosofia rinunciataria di questa canzone, che resta, comunque, un
capolavoro. Ugualmente bella è Long Time Gone, altro inno hippie (“parla,
devi parlare contro la pazzia delle cose, devi dire come la pensi se ne hai
il coraggio. Ma non cercare di sentirti migliore degli altri, altrimenti
faresti meglio a tagliarti i capelli”).
Fatto il disco e verificatone l’ottimo impatto sul pubblico; Crosby, Stills
e Nash si interrogano sul loro futuro, ed emergono contrastanti versioni:
Nash vorrebbe insistere sul carattere acustico della formazione, mentre
Stills avverte l’esigenza di infondere un po’ di energia rock nella loro
musica. Vince quest’ultimo, fortunatamente, e dopo avere invano cercato di
convincere Stevie Winwood ad unirsi a loro, tramite Elliot Roberts, Stills
rientra in contatto con l’antico compagno dei Buffalo: Neil Young, il quale
nel frattempo aveva pubblicato due dischi solisti: Neil Young ed il più
convincente Everybody Knows This Is Nowhere. Dopo qualche perplessità
iniziale i quattro decidono di provare e, ad agosto del 1969, compaiono come
CSNY all’ormai leggendario raduno di Woodstock ed il plauso di quella folla
sterminata li convince di potercela fare. Quando però, in autunno, entrano
in sala di registrazione, sono tutti alle prese con gravi problemi
sentimentali: Crosby, in particolare, ha appena perduto la compagna
Christine Gail Hinton, la Lady Christine di byrdsiana memoria, uccisa in
settembre in un incidente stradale.
In parte per questo motivo, in parte per la incapacità (o non volontà) di
Neil Young ad integrarsi ed a collaborare con gli altri senza riserve,
l’armonia in sala è del tutto assente, eppure, come talvolta accade, la
tensione tra i quattro produce un grande risultato artistico, l’imperdibile
gioiello che è Deja Vu.
La prima facciata è da consegnare direttamente alla leggenda, un brano per
uno in una magnifica gara a superarsi in cui, alla fine, non ci sono
sconfitti. Apre Carry On di Stills, elettrico ed allucinato, con quegli
incredibili impasti vocali vivificati da un’energia sconosciuta al primo
disco; segue Teach Your Children, da un Nash sorprendentemente in gradi di
lanciarsi oltre la canzonetta, pur restando fedele al proprio credo melodico
(“insegnate ai vostri figli che l’inferno dei loro padri lentamente passerà
e nutriteli con i loro sogni… i sogni che loro sceglieranno”), bellissima;
quindi Crosby con la sua Almost Cut My Hair, in cui il significativo testo è
sorretto da una forte struttura musicale; veri brividi corrono lungo la
schiena quando irrompe la voce inconfondibile di Neil Young a dipingere col
suo timbro nasale, che nel nostro immaginario è così indissolubilmente
legato a quegli altri, la sua magnifica Helpless; chiude, il lato A, un
tributo ad un brano a firma Joni Mitchell, una splendida canzone chiamata
Woodstock, dedicata al raduno cui lei non aveva potuto partecipare, ma che
con questa eccezionale composizione ha contribuito a mitizzare (“Quando
siamo arrivati a Woodstock eravamo oltre mezzo milione e, dappertutto,
c’erano canzoni e festeggiamenti; e io ho sognato gli aerei da guerra pronti
a sganciare la morte dal cielo che diventavano farfalle sulle nostre teste).
E la magia prosegue sul secondo lato con Deja Vu, splendida composizione di
Crosby, dall’andamento imprevedibile eppure armoniosissimo e con un
arrangiamento vocale semplicemente perfetto, frutto di quasi cento ore di
registrazione. Ed altre ottime vibrazioni vengono comunicate dall’acustica 4
+ 20 di Stills e da Country Girl di Young.
Quando, nel novembre del 1969, il disco è finito, Stills dirà di sentirsi
come se si fosse cavato un dente, ma su quel dente cala la stupefatta
ammirazione di tutto il mondo. Confortati dal successo, i quattro partono
per una, per i tempi, mastodontica tournée americana ed europea, durante la
quale i nostri sembrano ritrovare una certa serenità. Dopo la tournée CSNY
si concedono un periodo di break, durante il quale l’infaticabile Young va
in tour con i Crazy Horse e Stills si ferma a Londra per registrare il primo
disco solo, in cui compaiono, tra gli altri Jimi Hendrix ed Eric Clapton.
Dopo un primo, fallito, tentativo di tornare insieme sulla strada, nel
maggio del 1970 incidono Ohio scritta da Neil Young sull’onda della
commozione per l’uccisione di quattro studenti durante una dimostrazione
alla Kent University. Neil Young dirà che è il pezzo migliore mai inciso da
CSNY, ed in effetti, pubblicato come singolo (sul lato B una versione live
di Find The Cost Of Freedom), ripete il successo in precedenza ottenuto con
Teach Your Children.
Tra giugno e luglio una nuova serie di concerti scatena incontenibili
entusiasmi, ma la scissione è imminente. Motivi: Neil Young è al proprio top
creativo e non vuole spendersi questo momento all’interno del gruppo,
inoltre Stills litiga violentemente con Nash per via di Rita Coolidge.
Dopo il rompete le righe, tutti si dedicano ai propri lavori solisti e
confermano il momento di eccezionale vena che ciascuno sta attraversando:
Neil Young pubblicherà in rapida successione gli essenziali After The Gold
Rush e Harvest, Stills fa uscire il suo primo disco solo (Stills) e così
anche Nash, che da alle stampe il sorprendente Songs For Beginners; ma,
ancora una volta, il capolavoro assoluto viene da Crosby, che si circonda di
amici (tutti i Jefferson Airplane, molti dei Grateful Dead, Santana, Joni
Mitchell e Neil Young) e pubblica If I Could Only Remember My Name, sublime
espressione di uno dei più grandi e sottostimati talenti rock di tutti i
tempi.
Questo felice periodo si chiude con la appropriata decisione della Atlantic
di lasciare un documento delle esibizioni live di CSNY: così, contro il
parere dei quattro ex-compagni, esce nel 1971 Four Way Street, doppio live
che, pur nella abbondanza di sovraincisioni con cui è stato realizzato, è
altra pietra miliare del periodo.
Il disco è diviso in una parte acustica, in cui brillano Chicago di Graham
Nash, On The Way Home e Don’t Let It Bring You Down di Neil Young e la
sempre attuale Love The One You’re With di Stills (“Se non riesci a stare
con la ragazza che ami, cerca di amare quella con cui stai”), ed in una
parte elettrica, in cui si elevano su tutte le torride e lunghissime Carry
On di Stills e Southern Man di Young, specie quest’ultima con l’acida
chitarra di Neil Young intenta a combattere con quella rovente di Stills.
Anche Four Way Street entra di diritto tra i dischi che hanno segnato
un’epoca…eppure, purtroppo, fu proprio quell’album, ricco di gemme e
gioielli, che in qualche maniera chiudeva definitivamente una porta.
E venne il tempo delle coppie 1972-1977
Dopo lo scisma, le forze di attrazioni latenti iniziarono il loro lento
lavoro; la prima aggregazione è anche la più imprevedibile: Crosby e Nash
suonano insieme ad un concerto per i reduci del Vietnam a Detroit nel 1971.
Ma come? L’immaginifico Crosby con il canzonettaro Nash? Ebbene sì, perché
alla base esiste una forte amicizia, cementata dal conforto dato da
quest’ultimo a Crosby durante il periodo successivo alla tragica morte di
Christine Hinton, e, soprattutto, c’è una grande paura di entrambi all’idea
di affrontare il mondo da “soli”, specie con alle spalle un così ingombrante
passato e dinanzi così tante attese. Timori che non soffre certo Neil Young,
sicuro della propria grandezza, né Stephen Stills, la cui notoria arroganza
sarà pagata a caro prezzo.
Crosby e Nash vanno in sala a San Francisco nel 1972 e registrano il primo
disco intitolato Graham Nash And David Crosby. E’ un buon lavoro, grazie
soprattutto a Crosby, le cui composizioni determinano sempre un salto di
qualità, come per Whole Cloth, Games e, in particolare, Page 43, con la
cristallina giuntura di chitarra e il testo che invita a vivere (“la vita è
bella, anche con i suoi alti e bassi, e dovresti berne un sorso…altrimenti
scoprirai che ti è solo passata accanto”). Certo, se pur sempre
imprevedibile, neanche Crosby è lo stesso di prima, i fuochi degli ultimi
anni Sessanta si vanno spegnendo, lasciando una certa disillusione, e la
frantumazione di CSNY è per lui un’ulteriore rappresentazione della
sconfitta dei propri ideali. Il suo stato d’animo è ben reso da alcuni versi
di The Wall Song: “…e il muro si allunga senza fine, vicino a te, verso il
nulla…quel muro che hai cercato di superare per anni, quello steccato di
paure che nessuno ascolta”).
Graham Nash, che pure sta maturando, più di tanto non può, ed anzi cava dal
cilindro una buona Immigration Man e delle dignitose Girl To Be On My Mind e
Southbound Train, ma anche delle spaventose cadute di tono.
Il 1973 ed il 1974 sono anni perduti dietro il sogno della riunione. Sembra
fatta nel ’73, quando i quattro si rincontrano alle Hawaii e scrivono
insieme del materiale, ma, al ritorno in California, tutto si sfalda di
nuovo. Nel ’74 riescono addirittura a rimettere insieme una tournée di 35
date, di cui 27 in stadi, cosa che negli anni Settanta non era usuale come
oggi; scontato il successo riscosso, e quasi scontato il fallimento delle
registrazioni nei Sunset Studios dopo che era stato persino annunciato il
titolo del disco della riunione: “Human Highway”, da una canzone di Neil
Young.
Dopo l’ennesima delusione Crosby e Nash pubblicano nel 1975 un discreto Wind
On The Water, che attinge i momenti di maggiore spicco dalla commossa Carry
Me, scritta da Crosby dopo la morte della madre, e da due composizioni di
Nash, entrambi socialmente impegnati, Fieldworker, canzone di protesta sulle
condizioni dei braccianti americani, e To The Last Whale, canzone ecologica
contro lo sterminio delle balene, preceduta da un’introduzione solo vocale
scritta ed interpretata da Crosby. Nell’esecuzione live di questo brano
Crosby e Nash proiettano un filmato sulla caccia alle balene, contrappuntato
dalle loro voci.
L’accoglienza riservata al disco è tiepida e, probabilmente, più che da un
indebolimento della vena musicale di Crosby e Nash, questo dipende dal calo
di tensione ideale che si era registrato nel corso degli anni Settanta. Come
abbiamo visto, CSNY erano stati esponenti di spicco del movimento di
protesta giovanile, cui avevano fornito inni da ricordare e modelli da
imitare. L’impegno sociale delle loro canzoni – di stampo prettamente
americano, e quindi ben diverso dall’impegno europeo di matrice
rivoluzionaria (vedi i primi Clash) – si era accompagnato ad un valido
sostegno musicale, ma soprattutto aveva tratto energia e linfa vitale dalla
massa giovanile, che per queste canzoni e questi interpreti si infiammava ed
in questi atteggiamenti si identificava. Nel momento in cui lì fuori non c’è
quasi più nessuno disposto a farsi trascinare da una protesta contro
l’ingiustizia, quando il messaggio cade nel vuoto e non vi è più presenza di
uno scambio emozionale tra artista e pubblico non può non risentirne anche
il prodotto artistico.
Ulteriore conferma di questo stato di cose viene dai due dischi pubblicati
nel 1976, dopo un altro tentativo di riunione.
Era accaduto che Stephen Stills, reduce da un’impressionante serie di
fallimenti, avesse cercato rifugio presso Neil Young. I due avevano iniziato
a coltivare il progetto di un disco insieme a Miami proprio mentre, a Los
Angeles, Crosby e Nash, a loro volta, cominciavano a lavorare sul loro terzo
disco di coppia. In un impeto di nostalgia, Young aveva chiamato Nash,
invitando lui e Crosby ad unirsi al loro lavoro. Molto materiale venne
inciso da Crosby, Stills, Nash & Young di nuovo insieme, ma quando Crosby e
Nash dovettero ritornare in California per ultimare il disco che avevano
lasciato a metà, Stills e Young, inspiegabilmente, ne approfittarono per
cancellare tutte le loro parti, rimuovendo ogni traccia del loro lavoro con
la pretestuosa motivazione che Crosby e Nash non sarebbero stati disponibili
per il tour promozionale che avrebbe dovuto seguire la pubblicazione
dell’album.
Per un artista non c’è niente di peggio che vedere cancellato con un colpo
di spugna il frutto della propria fatica, e, prevedibilmente, fu davvero
furibonda la reazione di Nash e Crosby, che accusarono gli altri due di
mercenario opportunismo. Come per una punizione divina lo scialbo album
della Stills Young Band, intitolato Long May You Run, andò maluccio, ed,
inoltre, Neil Young piantò Stills a metà del tour informandolo con un
laconico telegramma così concepito: “Caro Stephen, buffo come delle cose che
nascono spontaneamente, possano morire altrettanto spontaneamente. Mangiati
una pesca. Neil”. Lo sconsolato Stills tornò a casa in Colorado per scoprire
che la moglie, la cantante francese Veronique Sanson, aveva avviato le
pratiche di divorzio!
Intanto non migliore fortuna riscuoteva Whistling Down The Wire di Crosby &
Nash. Netto il cambio di prospettiva musicale, ormai tutta spostata sui
lenti ritmi della ballata country, senza più grandi distinzioni tra le
composizioni di un Nash in crescita e quella di un Crosby, sempre più
schiavo di alcol e droghe, in declino. Il disco si ascolta comunque con
piacere, specie per brani come Broken Bird, Dancer Mutiny, Marguerita e
Taken At All, anche se non vi è più traccia dello sperimentalismo vocale del
duo.
Il suggello al periodo delle coppie viene messo, nel 1977, dall’album Crosby
& Nash Live, inutile giro nel repertorio già noto del duo, senza che nulla
venga aggiunto alle versioni originali, ma con l’aggravante di una
presuntuosa storpiatura in chiave avanguardistica di Deja Vu. Ma il disco è
solo un’operazione commerciale effettuata dalla ABC per capitalizzare il
successo che nel frattempo aveva ottenuto la reunion di Crosby, Stills &
Nash.
Di nuovo insieme verso gli anni ottanta 1977-1985
Il ritorno di uno Stills, comprensibilmente depresso, con i musicisti che
aveva freddamente escluso dai lavori per Long May You Run è l’ennesima prova
del legame inspiegabile che unisce questi soggetti. L’incontro avvenne nel
backstage del Greek Theatre di Los Angeles, dove Crosby e Nash tenevano un
concerto. Dopo un momento d’imbarazzo, immediatamente l’abbraccio; ma non
crediate che sia solo perché alla fine vincono i sentimenti che CSN tornano
insieme. Separati i ragazzi non vendevano neanche la metà dei dischi che
avevano venduto insieme ed il 1977 era un anno in cui la riunione avrebbe
trovato terreno fertile. Infatti, dopo alcuni anni di stagnazione, un
fremito di vivacità stava risvegliando la musica rock; i vecchi grandi del
rock si rendevano conto di una rinnovata voglia di ideali e di ribellione da
parte dei giovani e provvedevano: Bob Dylan metteva insieme la Rolling
Thunder Revue, con Joan Baez e The Band, e tornava a combattere una
battaglia a colpi di chitarra per il pugile di colore Rubin Carter,
ingiustamente accusato di omicidio; intanto Jackson Browne pubblicava The
Pretender e tentava di mobilitare i giovani contro i nuovi nemici:
l’inquinamento ambientale e l’energia nucleare; e poi, oltre l’oceano, dai
garage veniva fuori a colpi di vomito il punk dei Clash e dei Sex-Pistols.
Crosby, Stills & Nash non erano stati presi da questo ardore, ma era
evidente che una loro riunione, dopo un passato in prima linea, avrebbe
facilmente suggestionato la massa giovanile.
Con molta intelligenza i tre evitano comunque di cavalcare strumentalmente
la tigre della protesta, che peraltro si rivelerà presto meno impattante di
quanto sembri, e puntano tutto sull’altra loro prerogativa che aveva
contribuito a creare il mito: la musica e le armonie vocali soprattutto.
Annunciato dapprima come “Jigsaw Puzzle”, il disco esce nel 1977 sotto il
titolo Crosby, Stills & Nash. La elegante copertina annuncia che il nuovo
credo dei musicisti si possa riassumere nella parola “raffinatezza”.
Raffinate sono le melodie, che Stills spesso soffonde di ritmi sudamericani,
in omaggio agli anni dell’adolescenza trascorsa in Costarica (Fair Games e,
in parte, Dark Star), eleganti e mai poveri sono anche gli arrangiamenti
acustici, stupefacente la compattezza dei corali, che conferiscono ulteriore
classe ai brani. La gemma dell’album e’ senza dubbio un brano di Graham
Nash, degno di figurare tra le cose migliori da lui mai scritte, Cathedral,
ispirato da una visita all’alba a Winchester Cathedral che, sotto il pesante
effetto di varie droghe allucinogene, si era trasformata in un’esperienza
onirica. Dopo una prima parte tesa ed emozionante disegnata su di un fondale
di pianoforte drammatizzato da inserti di batteria, il brano si scioglie
nella seconda parte ritmata da voci e chitarre. Questa volta è sottotono
David Crosby, il cui apporto non è decisivo, e si riassume in definitiva in
Shadow Captain, di cui peraltro ha scritto solo le parole, sulle quali Craig
Doerge è riuscito a cucire un rarefatto commento musicale molto crosbiano.
Grande e, date le circostanze, meritato successo sia dell’album che dei due
singoli che ne vengono tratti: Just A Song Before I Go, che è la solita
canzoncina intrigante di Nash, e Dark Star. Baldanzosi i tre annunciano un
nuovo disco per il 1978 ed un tour di cinque mesi ma, ancora una volta, il
destino ha deciso diversamente. Antiche cambiali vengono messe all’incasso e
David Crosby entra definitivamente nel tunnel dell’assuefazione da eroina.
Da qui in poi è difficile tracciare una storia coerente, ci sono solo alcuni
episodi. Nel 1979 esce The Best Of Crosby & Nash, antologia ben compilata
che ha l’aria dell’epitaffio. Nel settembre di quello stesso anno Graham
Nash, di gran lunga il più equilibrato dei quattro, richiama vicino a sé i
vecchi compagni per una serie di concerti al Madison Square Garden
organizzata dal MUSE, associazione di musicisti antinuclearisti di cui Nash
è uno degli animatori con Jackson Browne e Bonnie Raitt. Neil Young, alle
prese con seri problemi di alcolismo, declinerà l’invito mentre tre brani
dell’esibizione vengono pubblicati sul triplo No Nukes, uscito a Natale del
1979. Intanto Stills subisce l’umiliazione di vedersi rifiutare la
pubblicazione di un disco già pronto.
Gli anni Ottanta arrivano carichi di foschi presagi, Crosby sempre più
perduto nel suo incubo senza uscita, fa di tutto per alienarsi gli amici più
cari. Stills e Nash decidono di provare un’accoppiata inedita ed entrano in
sala di registrazione. Le armonie di Crosby vengono sostituite alla meglio
con le voci di Timothy Schmit (già Eagles), Mike Finnegan ed Art Garfunkel,
e la registrazione si prolunga indefinitamente. Nel 1981, mentre Stills e
Nash ancora lavorano, quale nuovo riempitivo esce Replay, antologia di
Crosby, Stills e Nash, senza inediti, ma con versioni live di Carry On e
Give You Give Blind. Nel 1982 il disco di Stills e Nash è praticamente
pronto, ma la casa discografica nicchia, poi, imperiosa, giunge la
richiesta: “la ditta Stills-Nash non da sufficienti garanzie, bisogna che
all’album partecipi anche Crosby!”.
Nash, esposto per 400.000 dollari personalmente, fa buon viso a cattivo
gioco, racconta alla stampa che la mancanza di Crosby era divenuta
lancinante, e lo richiama. Ovvio che, con un prodotto già finito, Crosby non
possa fare molto più che aggiungere qualche vocalizzo su pochi brani e
consegnare due canzoni da lui già registrate per un proprio chimerico album
solista, Delta (che si rivelerà alla fine uno dei pezzi migliori del
poverissimo disco) e Might As Well Have A Good Time. Del resto Crosby non
sarebbe stato in grado di fare di più. Daylight Again è la pagina più nera
di questa storia, intessuto di una serie di anonimi rock “alla Toto” non
conserva nulla del tradizionale linguaggio musicale dei tre. Oltre alla già
citata Delta, si salvano dal disastro artistico Turn Your Back To Love, che
almeno è un po’ originale, e la title-track, missata con Find The Coast Of
Freedom perché come afferma Stills: “Dopo averla scritta mi sono reso conto
che era l’inizio che avevo sempre cercato per quella canzone”. Disastro
artistico, ma non commerciale, in quanto Daylight Again guadagna il disco di
platino e CSN sono chiamati alla rituale tournée, che si rivela un’altra,
amarissima tappa del calvario di Crosby, che viene arrestato ben due volte
per possesso di armi da fuoco e di droga. I tre, per la prima volta, vengono
anche in Italia nel 1983, e, a sorpresa, nonostante l’agghiacciante abulia
di Crosby, che viene tenuto segregato nella propria stanza d’albergo e non
compare in alcuna occasione pubblica all’infuori dei concerti, riescono a
regalare numerose emozioni grazie al loro evocativo repertorio.
Conferma ne è Allies, il live uscito nel 1983 che riscatta in parte il poco
edificante Daylight Again. David Crosby non partecipa minimamente ai
missaggi, e Nash e Stills hanno il loro da fare per trovare esecuzioni di
Crosby degne di figurare, ma poi pescano una versione da brivido di For Free
di Joni Mitchell, il pezzo migliore del disco. Ma molto buone sono anche
Barrell Of Pain, canzone di Nash dedicata ai problemi dei rifiuti tossici,
Shadow Captain e la suggestiva versione dell’immortale For What It’s Worth.
Sull’album compaiono anche due inediti, sinistramente orientati verso la
musica elettronica, War Games che Stills aveva originariamente scritto per
la colonna sonora del film omonimo e Raise A Voice.
Altro tour nel 1984, che di nuovo tocca anche l’Italia, e poi la notte cala
implacabile.
Nel 1985, dopo la riunione dei tre con Neil Young in occasione del concerto
per il Live Aid, Crosby, perennemente in stato catatonico, viene arrestato e
condannato a due anni di prigione.
Il resto della storia
1985 - 2008
di Salvatore Esposito
Alla fine degli anni '80 Crosby risolse definitivamente i suoi problemi e,
letteralmente, risorse nel suo talento, nel 1988 si ricompone
incredibilmente il quartetto ed fu proprio Neil Young il promotore
dell'operazione, infatti mise a disposizione i suoi studi per l'incisione di
"American Dream". Un buon disco di un inatteso ritorno, il quale
puntualmente raggiunge le vette della classifica di Billboard. Finalmente fu
possibile, riascoltare brani scritti a quattro mani da Stephen Stills e Neil
Young come "Drivin' thunder" e "Night song" nonchè brani come "Nightime for
the general" che ricordano il David Crosby dei tempi di "long time gone".
Mentre il solito Nash che si presentò con una canzone (forse fra le migliori
del gruppo) "pacifista" come "Soldiers of piece". Il gruppo si ripresentò di
nuovo come trio nel 1991 con il mediocre "Live It Up" e poi nel 1994 con
l'ottimo "After the Storm". Nel 1997, Crosby, Stills & Nash entrarono a far
parte della Rock 'n Roll Hall of Fame, che riconobbe loro il loro massiccio
contributo nell'evoluzione della musica americana contemporanea. La serata
di gala si rivelò doppiamente speciale per Stephen Stills, il primo artista
ad ottenere due premi nello stesso giorno, uno con Crosby e Nash e l'altro
con Buffalo Springfield, e per la performance di David Crosby nel gruppo,
appena dopo aver suonato con i Byrds. Infatti, tutti e tre i musicisti
vantavano carriere artistiche doppie. Nel 1999 ci fu il colpo di scena
Graham Nash, ai microfoni della Cnn annunciò: "Neil ci ha raggiunto in
studio. Non posso e non voglio fare previsioni, è successo molte altre volte
prima di ora e non siamo mai arrivati fino alla fine. Ma l' atmosfera tra
noi è eccellente, Neil è contento, noi siamo molto contenti e tutto suona
molto bene". La reunion era vicina e del resto era stato proprio Neil Young,
in un'intervista a confermare la possibilità che il gruppo tornasse insieme:
"Dal nostro punto di vista la band non si è mai sciolta, sappiamo di essere
in grado di poter stare lontani per un po' di anni e poi tornare insieme".
Poi arrivarono le dichiarazioni di Elliot Roberts che confermò il tutto
dicendo che i quattro erano già in studio per registrare un nuovo album:
"Sarà un disco bellissimo, le canzoni che stanno registrando sono davvero
fantastiche". A conferma di questo arrivò una dichiarazione di Neil che
disse "Pensiamo di essere in grado di fare la nostra musica per altri venti
anni almeno". Ci vide giusto perchè "Looking Forward", fu acclamatissimo
dalla critica ma tuttavia non aggiunse nulla di più alla fama del quartetto.
In questo caso, al contrario di quanto era successo per "American Dream",
partirono per un lungo tour che vide i quattro partecipare anche al "Farm
Aid", annuale concerto benefico di cui Neil Young è uno dei promotori.
Capaci come non mai di intrattenere un pubblico con loro squisite armonie,
la rivista Rolling Stone ha definito il loro show del 1999 presso il
Fillmore Auditorum di San Francisco "uno dei concerti del decennio". Nel
2000, questo splendido quartetto ha girato ancora il mondo con un reunion
tour di grande successo, ottenendo recensioni entusiasmanti e riunendo tutta
la magia musicale della loro storica partnership ovunque suonassero. Si
parlò anche di una partecipazione al Festival di Sanremo come superospiti,
ma poi tutto sfumò finendo per essere considerata l'ennesima leggenda
dell'era Baudo. Forse sarebbe il caso che i fans italiani cominciassero a
fare sentire la propria voce, chissà così se un giorno o l'altro si saprà di
un concerto in Italia dei quattro che allo stato attuale non è stato ancora
possibile vedere. Il resto è storia attuale….
(fonte: rusty81.altervista.org)
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