MAGGIE'S FARM

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CSNY : Il prezzo della libertà

 



 

di Paolo Vites

Quarant’anni fa erano i portavoce della generazione che si ribellava contro la guerra in Vietnam. Oggi che una nuova guerra infuria, Crosby, Stills, Nash & Young sono tornati a reclamare il loro ruolo di scomodi disturbatori dell’establishment. Due anni fa hanno portato on the road uno dei tour più impegnati e controversi che abbiano attraversato gli Stati Uniti d’America. Cuore dei concerti erano le canzoni che Neil Young ha pubblicato nel suo “Living With War”, polemico atto di accusa verso l’amministrazione Bush. La maggior parte dei fan applaude, ma non sono pochi quelli che lasciano le sale. È il ritratto di un’America spaccata in due, adesso disponibile nel film “Déjà Vu” che debutta nelle sale italiane questo mese. Lo abbiamo visto in anteprima: ne parliamo e raccontiamo la storia dell’impegno politico dei quattro musicisti.



È la sera del 16 agosto 1969, all’Auditorium Theatre di Chicago. Si esibiscono Crosby, Stills e Nash. Con il loro disco omonimo, pubblicato a maggio, sono già in vetta alle classifiche: sono gli artisti del momento. Ma per quello che è il loro debutto dal vivo sentono di aver bisogno di una spalla che dia maggior robustezza. Su consiglio del presidente della loro casa discografica, Ahmet Ertegun, e nonostante i pareri inizialmente contrari di Stephen Stills e Graham Nash, è stato invitato a unirsi a loro Neil Young che appunto dovrebbe essere solo un musicista aggiunto nei concerti, ma le cose, come dimostrerà il disco Déjà Vu che uscirà nella primavera dell’anno successivo, non andranno così. Di fatto, sin dall’inizio, questa storia comincia con un logo passato alla storia e che quasi quarant’anni dopo questa storia la segna ancora: CSNY. Il fatto che questo supergruppo sia nato sulle assi di un palcoscenico e che nei successivi quattro decenni abbia inciso pochissimi dischi in studio (tre, e solo il primo degno di attenzione) la dice lunga. La loro dimensione ideale è là dove le «quattro strade» si incontrano al meglio, uniscono i propri percorsi singolari e si esaltano: su di un palco. Ecco perché, per alzare forte la voce di un’America che rivive nel terzo millennio l’incubo della guerra in Vietnam, non c’è stato bisogno di un disco (anzi sì, però quel disco era del solo Neil Young, Living With War), ma di un tour: il Freedom Of Speech del 2006, con cui CSNY sono tornati per reclamare il loro ruolo di portavoce dell’America libertaria. D’altro canto, appena due giorni dopo quel debutto a Chicago quasi quarant’anni fa, CSNY avrebbero suonato di fronte alla nazione hippie, un milione circa di ragazzi bagnati dalla pioggia a Woodstock, creando così un legame che si è rivelato indissolubile nei successivi quattro decenni.
«Right here! Get set! Point! Fire!»
Per capire qual è l’autentico significato di questo tour bisogna nuovamente tornare indietro. Al 4 maggio 1970. Il 30 aprile il presidente Richard Nixon, che durante la campagna elettorale che lo aveva portato alla elezione nel 1968 aveva promesso di porre fine alla guerra in Vietnam, ha annunciato alla nazione che le forze armate degli Stati Uniti hanno invaso la Cambogia. Immediatamente, il primo maggio, una protesta studentesca prende piede nel campus della Kent State University, in Ohio. Nei giorni successivi la manifestazione degenera in violenze, viene dato alle fiamme l’edificio universitario dove si tengono gli arruolamenti militari, mentre incidenti di vario tipo si svolgono per le vie cittadine. Il sindaco di Kent dichiara lo stato di emergenza chiedendo al Governatore dell’Ohio di inviare la Guardia Nazionale.
Il 4 maggio, mentre circa 2 mila studenti continuano a manifestare nel campus, in circostanze mai chiarite un gruppo di uomini della Guardia Nazionale fa fuoco improvvisamente, uccidendone quattro (di cui solo due partecipanti alla manifestazione; gli altri due stavano semplicemente recandosi da un’aula a un’altra per seguire i corsi) e ferendone altri nove. Le successive inchieste diranno che i soldati hanno reagito per eccesso di autodifesa e cattiva preparazione a questo tipo di evento e che nessun superiore ha dato loro l’ordine di aprire il fuoco. Nei processi che seguono i soldati sotto accusa dichiarano di aver avuto paura della folla dei manifestanti. In effetti, “solo” una trentina di essi aprono il fuoco. Nel 2007, però, uno degli studenti coinvolti negli incidenti trova una registrazione fatta allora in un dormitorio universitario in cui si sente distintamente un urlo: «Right here! Get set! Point! Fire!» («Venite qui, mettetevi in fila, puntate, fuoco!»).
Qualunque sia stato il motivo di quello che viene definito dalla stampa «il massacro di Kent State», l’America si trova sconvolta davanti a un fatto di tale portata. Nei giorni successivi oltre quattro milioni di studenti americani entrano in sciopero: è il primo sciopero studentesco a livello nazionale della storia americana. Dieci giorni dopo una folla infuriata di 100 mila studenti arriva a Washington: la tensione è tale che il presidente Nixon viene portato via dalla Casa Bianca e nascosto in una località segreta. Come conseguenza degli avvenimenti, alla Guardia Nazionale verrà proibito di utilizzare armi da fuoco durante le manifestazioni.
Anche due musicisti rock assistono attoniti e sconvolti a quanto sta succedendo nel loro paese, ormai giunto sull’orlo della guerra civile. Due settimane dopo l’accaduto, il 19 maggio, David Crosby mostra a Neil Young una copia della rivista Life che in copertina ha una foto scattata a Kent, quella diventata famosa di una ragazza che piange accanto al corpo di uno degli studenti uccisi. Young si ritira per alcune ore e quando riemerge dice all’amico: «Chiama Steve e Graham, andiamo in studio a registrare una canzone». Due giorni dopo, il 21 maggio, CSNY incidono Ohio. Ahmet Ertegun dice che bisogna farla uscire immediatamente su singolo. Come b-side, registrano Find The Cost Of Freedom, un brano di Stills che già eseguivano dal vivo. Ohio è una instant song, proprio come quel disco, Living With War, che 36 anni dopo Young inciderà in nove giorni. Il pezzo entra immediatamente al numero 14 della classifica di Billboard e fa di CSNY i leader del movimento giovanile di protesta. Con questo brano e con il duro atto di accusa scritto da Graham Nash, Chicago/We Can Change The World, i quattro musicisti sono il punto di riferimento per una intera generazione, proprio come era accaduto per Bob Dylan alcuni anni prima. Nelle liner notes del suo disco antologico Decade, pubblicato nel 1977, Young scriverà che «Crosby era così coinvolto emotivamente da quella canzone che alla fine dell’incisione è scoppiato in lacrime». Crosby a sua volta dichiarerà che l’aver messo il nome di Nixon nel testo della canzone «è stata la cosa più coraggiosa che avessi mai sentito». Con il suo tipico approccio, Young, nelle stesse liner notes, aggiungerà che «è piuttosto ironico che abbia guadagnato dei soldi sulla morte di quegli studenti».

 

 

Vivere con la guerra
Aprile 2006. In nove giorni, in un piccolo studio di registrazione di Los Angeles, Neil Young incide il suo disco più incazzato di sempre. Come accaduto nel 1970 con Ohio, si tratta di instant song, composte per lo più nello studio stesso prendendo come spunto gli avvenimenti che coinvolgono gli Stati Uniti e il loro attuale presidente, George W. Bush. Anche la guerra adesso è un’altra: welcome to Iraq, baby.
Come racconta lo stesso Neil Young nel corso di una lunga intervista con il giornalista televisivo americano Charlie Rose tenuta nel luglio 2008, lo spunto per quel disco, esattamente come era successo per Ohio, è un articolo di giornale. Sulla rivista Usa Today il musicista canadese aveva infatti visto un servizio su alcuni grandi jet dell’esercito americano trasformati in ospedali volanti. Qui sono curati i soldati gravemente feriti in Iraq che vengono trasportati d’urgenza verso i centri di cura presenti nelle basi militari in Germania. Quello che colpisce Young è che il servizio viene presentato come «il grande sviluppo tecnologico della medicina moderna». Del tipo: guardate, possiamo curare i feriti anche su un aeroplano. Non si fa cenno al dramma di questi uomini e delle loro famiglie. Neil è così disgustato e angosciato che si chiude in camera e scrive di getto una canzone, che poi si intitolerà, su Living With War, Families. È la scintilla dell’intero disco e del successivo tour di CSNY, Freedom Of Speech. Dirà Stephen Stills: «CSNY si ritrovano insieme ogni volta che c’è una guerra». È soprattutto un brano di Living With War, Let’s Impeach The President, a fare scalpore, con le sue durissime liriche che accusano Bush di aver mentito alla nazione, di aver abusato dei suoi poteri, di non aver soccorso in modo appropriato i cittadini di New Orleans dopo l’uragano Katrina, di aver dirottato la religione per servirsene in modo da farsi eleggere e altro ancora. Sono canzoni dure anche musicalmente, di derivazione punk. Quando David Crosby, durante il tour, chiederà un giorno all’amico come mai avesse composto brani musicalmente semplici e privi di particolari ricerche sonore, il canadese commenterà: «Non spreco le mie cose migliori per parlare di George Bush».
Mai come in questo periodo storico l’America è divisa. A differenza dei tempi della guerra in Vietnam, una parte del popolo americano crede che, dopo l’attacco subito l’11 settembre 2001, l’invasione in Iraq sia un legittimo diritto di difendersi di un paese in stato di guerra, di colpire i suoi nemici. È quasi come ai tempi di Pearl Harbor e della guerra col Giappone. Chi critica questa posizione viene accusato di essere un traditore del paese. E a Young queste critiche pioveranno addosso in modo estremamente duro.

 

 

 

We Can Change The World
Se il canadese è il “provocatore” del gruppo, i suoi colleghi non sono mai stati da meno per quanto riguarda la denuncia politica. Prima che Young si unisse a CSN, i tre avevano già un discreto numero di canzoni impegnate: Long Time Gone di David Crosby, scritta dopo l’omicidio di Robert Kennedy, chiamava gli americani a schierarsi apertamente contro «la pazzia» che stava colpendo il loro paese; For What It’s Worth, che Stills aveva traghettato dal repertorio dei Buffalo Springfield, denunciava gli scontri avvenuti tra polizia e giovani sul Sunset Strip a Los Angeles quando il Pandora’s Box, uno dei locali più frequentati dagli hippie, era stato chiuso per ordinanza delle autorità cittadine, mentre dal vivo lo stesso Stills trasformava la sua 49 Bye-Byes in un durissimo rap contro l’establishment. Wooden Ships, scritta da Crosby insieme a Stills con l’apporto di Paul Kantner dei Jefferson Airplane, denunciava la guerra nucleare fra Occidente e Russia sentita allora imminente, e ancora What Are Their Names, dal primo disco solista di Crosby, in cui il musicista chiedeva nomi e cognomi dei responsabili della guerra in Vietnam, concludendo con la richiesta più semplice che un uomo possa fare: «La pace non è una cosa così terribile da chiedere»; il brano non a caso ha aperto i concerti del Freedom Of Speech Tour. E poi c’era Chicago/We Can Change The World, talmente esplicita che Nash dovette inciderla sul suo primo album solista perché sembrava troppo forte per un disco di CSNY, ma che veniva eseguita dal vivo durante i concerti dei quattro. Scritta in seguito agli incidenti durante la convention del Partito Democratico a Chicago nel 1968, era un esplicito invito a scendere in piazza a difendere i leader del movimento di protesta che erano stati arrestati e messi sotto processo. Era anche un invito a Stills e Young, allora riluttanti, a unirsi a Crosby e Nash nella protesta, come dirà lo stesso Graham: «La scrissi per Stephen e Neil, “per favore volete venire a Chicago solo per cantare?”, perché loro due non avevano voluto partecipare a un concerto in sostengo di Bobby Seale e degli altri arrestati».
Le contraddizioni dal punto di vista della partecipazione politica in seno al supergruppo si evidenzieranno spesso nel corso dei decenni (come vedremo in seguito, Stills aveva seri dubbi nel partecipare al Freedom Of Speech Tour), ma riflettono una partecipazione libera da restrizioni ideologiche. Dirà Nash: «Non abbiamo mai creduto nel far proselitismo, ma non riusciamo a ignorare ciò che ci offende e ci fa incazzare». «Non credo che si possa salire su di un palco e dire alla gente in che cosa credere» afferma invece Crosby. «Ma noi abbiamo offerto una seria alternativa di valori ai giovani di questo paese, che è l’unico modo di combattere un governo potente e forte come il nostro». «Tutti cercavano un messaggio politico in quello che scrivevo» racconta Stills. «Come se mi stessi candidando al Senato».
Conclusa la guerra in Vietnam (dirà Bob Dylan, forse con la sua consueta ironia, ma comunque non sbagliando di tanto che «Crosby, Stills, Nash e Young hanno fermato la guerra») l’impegno di CSN si sposterà su ogni causa sostenibile, con canzoni e decine di benefit per questa o quell’altra situazione, dall’ambientalismo con canzoni dedicate alla difesa delle balene (Wind On The Water di Crosby e Nash) alla battaglia contro l’energia nucleare (Barrel Of Pain di Nash e ancora recentemente Puppeteer nel disco di Crosby e Nash di quattro anni fa) e negli anni della Guerra Fredda, gli 80, canzoni di Stills come War Games. Sempre in prima linea. Aveva scritto il critico Ron Stone: «CSNY sono stati i portavoce radicali di una generazione. Erano la voce dell’underground. Dicevano cose, nei dischi o alla radio, che ogni ragazzo americano diceva su quanto accadeva. Furono uno specchio per l’anima del pubblico». Viceversa, è Neil Young quello che si è sempre tenuto più lontano dall’impegno politico esplicito. Nella sua carriera solista non ci sono esempi evidenti di prese di posizione, anzi a metà anni 70 su On The Beach riflette in modo amaro e sconfortante sul crollo delle utopie di qualche anno prima, sull’eroina che sta spazzando via una intera generazione (in Tonight’s The Night) e addirittura in un brano di Rust Never Sleeps (la splendida Trasher) decide di sbarazzarsi dei tre vecchi pards con parole acidissime: «Così mi stufai, loro per me erano solo un peso morto, meglio essere sulla strada senza quel peso». C’è una eccezione, ed è uno dei suoi brani meno famosi, ma certamente uno dei più belli per la melodia, ma soprattutto per la toccante liricità che esprime bene l’approccio politico del canadese. È Campaigner, una canzone incisa dopo lo scandalo Watergate, in cui Young guarda attonito il baratro in cui è precipitato il suo paese, ma conserva un momento di compassione per il suo nemico dai tempi di Ohio: «Anche Richard Nixon ha un’anima». La canzone, in rarissime occasioni, ha fatto capolino durante il tour acustico che ha toccato anche l’Italia lo scorso febbraio. Questa volta il verso è diventato: «Anche George Bush ha un’anima»…

 

 

Freedom Of Speech
Con un tour come CSNY già in programma, dopo aver terminato Living With War, Young chiama Stills, Nash e Crosby: «Ho fatto un disco, dovete ascoltarlo. Quello che voglio fare nel nuovo tour è eseguire queste nuove canzoni. Non voglio concentrarmi su niente altro. Gli unici brani del nostro passato che posso concedere vengano suonati sono quelli che hanno un tema in comune con le mie nuove canzoni. Non si potrà distogliere l’intensità di questo messaggio con cose diverse. Nessuna canzone sulle balene, questa volta (battutaccia su brani di Crosby e Nash come Wind On The Water, dedicata al pericolo di estinzione dell’animale acquatico, nda)». In particolare Young chiede che durante i concerti «non si facciano comizi» (forse ha ancora in mente la parte fatta da David Crosby al festival di Monterey del 1967, quando durante il set dei Byrds si lanciò in una lunga filippica a proposito dei mandanti e degli assassini del presidente John F. Kennedy). Nessuno deve introdurre le canzoni, il loro messaggio deve parlare da sé. Una tale presa di posizione autoritaria, in passato, avrebbe portato i quattro a uno degli usuali litigi e conseguente cancellazione del tour. Era accaduto innumerevoli volte, nel corso della loro turbolenta storia. Ad esempio quando un disco già pronto, registrato nel 1973, non uscì mai. Ma adesso i tempi sono cambiati. C’è da denunciare una situazione politica disastrosa, e soprattutto, se Young sa benissimo che il fatto di andare in tour come CSNY gli porta molti più spettatori di un suo tour solista e quindi il messaggio di Living With War può raggiungere una platea più ampia, anche Stills, Nash e Crosby sono consapevoli che senza di lui non hanno ormai un grande riscontro di audience. Dice Graham Nash: «Dal momento in cui ci chiamò, tutti noi eravamo coscienti di essere pronti a sostenerlo. Sapevamo che volevamo cantare quelle canzoni, eravamo coscienti dell’importanza di un tour del genere e volevamo buttarci nella cosa». Aggiunge Crosby: «Come musicisti il nostro ruolo è principalmente di offrire uno spettacolo, di intrattenere il pubblico. Ma c’è anche l’aspetto del troubador, quello che andava in giro di città in città avvertendo la gente che “sono le 11 e tutto va bene” oppure che “sono le 12 e alla Casa Bianca c’è uno scimpanzè e le cose non vanno proprio bene”. Lasciatemi dire però che se le canzoni non ci fossero piaciute non le avremmo suonate. Ma quelle cose andavano dette e siamo orgogliosi di averlo fatto».
È Stills l’unico che ha dei dubbi. Young racconta che «Steve era consapevole dell’impatto politico e aveva paura di suscitare una immagine negativa. Mi disse che aveva paura che il pubblico tirasse loro oggetti. Lui soffre molto le critiche, è una persona molto sensibile ed è proprio ciò che lo ha reso un grande chitarrista e un grande autore di canzoni». Dirà lo stesso Stills: «Una parte di me pensava: tutto ciò è esagerato, otterremo il risultato di galvanizzare la base del partito repubblicano. L’esperienza del Vote for Change Tour aveva ottenuto di alienare le simpatie di molti americani verso la musica rock. E poi cantare questo tipo di canzoni nella terra di Bush... Mi aspettavo fischi e insulti da un buon 20% del pubblico. In America questo tipo di percentuale di conservatori ci sarà sempre. Ed effettivamente c’erano persone che alla fine dei concerti mostravano il dito medio a Neil». Per Young ne è valsa la pena, anche perché «c’è stato un link con il nostro passato. Inizialmente non ne ero consapevole, ma improvvisamente mi è apparso evidente. E ci siamo mossi in quella direzione. Nella vita l’unica cosa è tenere gli occhi bene aperti e poi le cose accadono da sole».
Quello di cui Stills aveva paura, in effetti è successo in modo massiccio una sola volta, durante il concerto di Atlanta. Qui, molti spettatori hanno lasciato il concerto, altri hanno violentemente urlato il loro dissenso e addirittura la camera di albergo di Neil Young, dopo lo show, è stata perquisita dalle forze di polizia nel timore che l’artista potesse trovare una sgradita sorpresa. Pare infatti che le minacce di attentati rivolte ai quattro rocker siano state per tutto il tour piuttosto continuative.
Nash ha commentato che per la prima volta Neil non ha portato con sé in tour la sua famiglia, cosa che abitualmente fa. «Aveva davvero paura che qualcuno potesse fare del male a lui o ai suoi cari».
 

 

A Song Won’t Change The World
Per un gruppo che in trent’anni ha fatto due sole tournée (quella del 1969/70 e quella del 1974), averne fatte ben tre in sei anni è un bel record. Solo l’ultima è stata documentata con un cd (vedi recensione su JAM 151), per le altre – quella del 2000, nata per festeggiare il nuovo millennio, e quella del 2002, per reagire allo shock che aveva colpito l’America dopo gli attentati dell’11 settembre – dobbiamo accontentarci dei racconti degli americani o di chi ha varcato l’oceano per vederli. Non è chiaro perché CSNY non siano venuti in queste occasioni nella vecchia Europa (probabilmente un problema di costi, visto che i quattro chiedono cifre alquanto alte).
Il film documentario del Freedom Of Speech Tour diretto dallo stesso Young è uscito su dvd e nelle sale americane lo scorso luglio. A ottobre sarà in quelle italiane, seguito poco dopo dal dvd. Ma il vecchio guerriero, adesso che la sua opera più impegnata è disponibile al grande pubblico, contemporaneamente sembra aver deposto le armi. Nei recenti tour europei di quest’anno ha abbandonato completamente il repertorio di Living With War, concentrandosi piuttosto sul suo songbook degli anni 70, quello più intimista e dolente, e qualche accenno al suo recente disco solista, Chrome Dreams II. Non solo. Qualche mese fa nel corso di una intervista Young ha dichiarato di ritenere che «il tempo in cui la musica poteva cambiare il mondo è finito. Credo che sarebbe davvero infantile pensare una cosa del genere in questa epoca. Credo che il mondo oggi sia un posto differente e che sia il tempo per la scienza, la fisica e la spiritualità di fare la differenza e cercare di salvare il pianeta».
Nella già citata intervista con il giornalista televisivo Charlie Rose, Young ha così posto fine a quell’esperienza: «Quando ho scritto le canzoni di Living With War non è stato affatto una esperienza piacevole. Anzi, è stata una cosa terribile. È terribile criticare il proprio presidente, fare questo e quello, ed essere lì in prima persona... È stato come essere risucchiato dentro qualcosa. Non è una cosa di cui sono felice, oggi, ma è accaduta. Ero arrabbiato per le menzogne che ci stavano dicendo, ma non è una cosa che voglio vivere di nuovo. Non mi piace cantare quelle canzoni (di Living With War, nda). L’ho fatto, ma non sono la Cnn. Piuttosto che fare un altro tour come questo, preferisco andare a suonare con i Rolling Stones».
Non è un controsenso in realtà. CSNY non sono dei politicanti, sono qualcosa di diverso. Come ogni grande artista, rappresentano la coscienza di un popolo. Graham Nash al proposito pur esprimendosi in modi diversi, concorda: «Non stiamo dicendo al mondo che cosa debba fare. Tutto quello che stiamo dicendo è: questo presidente del cazzo ci sta uccidendo. Questo coglione sta conducendo il paese alla pazzia. È responsabile di aver reso l’America il paese più odiato al mondo. Tutto quello che dico è: questo è ciò che pensiamo di questo idiota. Che cosa ne pensate?». Young: «Libertà di parola non è solo il punto di vista di una singola persona. Ero determinato a dare voce a ciò che pensava la gente che era ai concerti. Anche, e soprattutto, se fosse stato il punto di vista opposto al nostro. Devi rispettare chi esprime la propria rabbia, perché vuol dire che crede profondamente in qualcosa. Quello che ho cercato di fare con questo film è stato di lasciare che le cose accadessero, e che la gente dicesse che cosa provava».
Nei concerti europei di questa estate il canadese ha presentato un brano inedito, che si intitola (guarda un po’) Just Singing A Song Won’t Change The World, cantare una canzone non cambia il mondo, in cui fra le altre cose dice: «Puoi cantare del bisogno di un cambiamento, beh, devi fare il tuo cambiamento personale, puoi essere quello che stai cercando di dire, ma cantare una canzone non cambia il mondo».
Gli ha risposto un collega che ha sempre avuto problemi con la canzone politica (rifiutò a Michael Moore la sua Won’t Get Fooled Again), Pete Townshend: «Forse è vero che la musica e i musicisti non sono in grado di cambiare il mondo nel modo in cui loro o noi pensiamo di poter fare. Ma le persone creano il cambiamento ogni singolo giorno. Alcuni insegnando, altri protestando, altri ancora dando gratuitamente il proprio tempo o denaro. A volte basta un sorriso per fare la differenza. Una canzone non cambierà il mondo in modo drastico e automatico, ma da qualche parte bisogna cominciare. E i musicisti e la musica possono fare la loro parte anche se non sarà una rivoluzione».
Recentemente Neil Young si è impegnato in uno di questi cambiamenti. Sta lavorando insieme ad alcuni esperti a un nuovo tipo di automobile che possa usare un carburante alternativo rispetto al petrolio. Ci crede molto e ci sta investendo soldi e tempo. E continuerà a cantare la sua personale rivoluzione: «I miei amici mi dicono di non smettere. Non smetterò. Sono convinto che questo sia il momento di operare dei cambiamenti. Ma so anche che non sarà una canzone. Forse lo era, ma oggi non lo è più. Sto cercando il carburante della gente, ciò che la spinge a vivere e a muoversi. Lo troverò? Sì. Non so nemmeno perché ho scelto di dare una mano a rivelare una cosa di tale portata. So solo che quando lo avrò trovato potrò scrivere una canzone. Fino ad allora posso scrivere una canzone sulla ricerca. Ma una canzone da sola non cambierà il mondo. Eppure, continuerò a cantare».
Magari insieme a Crosby, Stills e Nash. Speriamo solo non sia in occasione di una nuova guerra.
 

(fonte : jamonline.it/)

 

 

di Leonardo Zaccaria

Quella di Crosby, Stills, Nash & Young è una storia tutta particolare nel mondo della musica rock. Non un vero gruppo, piuttosto quattro individualità, quattro personalità mediamente abbastanza forti legate da un rapporto artistico ed umano che avrebbe fatto la felicità di Sigmund Freud. Graham Nash coglie bene l’aspetto umano della vicenda quando, dopo anni di vicissitudini in bilico tra armonia e odio, afferma che: “Non importa quanto sanguinosamente noi si possa litigare, alla fine, come accade tra fratelli, ci sono dei legami invisibili che non si possono spezzare”. Più difficile risulta spiegare le decisive motivazioni artistiche di un sodalizio così fragile eppure così duro a morire, a meno che non si voglia ricorrere al consunto cliché della combinazione chimica. La verità è che questa cosa inafferrabile, imprevedibile e stupefacente che è il rock’n’roll non risponde alle leggi che governano l’universo: due più due fa invariabilmente quattro per la matematica, ma può fare cento, o mille, o zero per la musica. Crosby, Stills & Nash sono dei buoni musicisti, chi più (Stills), chi meno (Nash), ma la combinazione di loro tre insieme produce un risultato che è infinitamente superiore a quello che si potrebbe ottenere da una semplice somma algebrica delle loro qualità (caso tutt’altro che raro, si pensi ai Beatles!). Per Neil Young il discorso è diverso: fedele al proprio ruolo di “loner”, lui non ha mai permesso che il proprio fluido si combinasse e reagisse con quello degli altri, preferendo “poggiare” la propria eccezionale capacità artistica sulla combinazione CSN, esaltandola ma minandone irrimediabilmente l’equilibrio umano, con il proprio comportamento egocentrico. La storia di CSN&Y è importante non solo per la musica che hanno fatto, ma anche per il modo in cui ciascuno di loro ha attraversato quasi quaranta anni di storia del mondo giovanile, incarnando le aspirazioni di almeno tre generazioni, nella speranza come nella disfatta.

Gli anni dei capolavori 1968-1971
Ormai chiunque sa quasi tutto relativamente a cosa sia stato il ’68. Pertanto, ricorderò molto celermente che nel 1968 l’America venne divorata dalla contestazione giovanile, che significava soprattutto una nuova consapevolezza della propria forza da parte dei giovani, che non volevano più limitarsi a prepararsi ad essere adulti, come avevano fatto sino ad allora i loro coetanei, ma vivevano, tra ansia ed entusiasmo, la bellissima speranza di poter cambiare lo stato delle cose.

Il rock, prima forma d’arte di matrice giovanile nella storia di comunicazione di massa, dava voce (come già tredici anni prima nel 1956 anche se in maniera diversa) a questo coacervo di emozioni e sensazioni.

David Crosby c’era già dentro fino al collo; nato a Los Angeles nel 1941, era stato nei Byrds, gruppo nato come risposta americana ai Beatles e lungo la strada evolutosi fino a diventare espressione di quella parte del movimento che nel coltivare i propri ideali, tra cui quello di fare nuove esperienze, entrava in pericolosa confidenza con gli acidi. Dopo aver fatto nei Byrds da leader filosofico più che artistico (poche le sue canzoni di rilievo, tra cui, però, non può essere dimenticata Everybody’s Been Burned, da Younger Than Yesterday), Crosby lasciò il gruppo per dissidi con McGuinn e Parsons e, dopo aver per un po’ vagabondato con la sua leggendaria barca a vela, proprio nel 1968 inizia ad accompagnarsi ad un altro giovane di belle speranze, Stephen Stills.

Questi aveva già inciso tre dischi con i Buffalo Springfield, formazione in cui militavano anche Neil Young e Richie Furay. I Buffalo avevano consegnato al mondo una serie di fragili e meravigliose canzoni, la più bella e più importanti delle quali, nonostante Neil Young, resta una composizione di Stills, For What It’s Worth, che in breve diventa un inno per oltre una generazione di pacifisti.

I Buffalo si erano sciolti per contrasti personali tra Stills e Young. Dunque, Crosby e Stills iniziano a girare insieme suonando in piccolo club californiani, ma ben presto si rendono conto di aver bisogno di un harmony singer.

Il caso volle che nel febbraio del 1968 gli Hollies, gruppo di punta dell’easybeat britannico, titolare di una trentina di successi di cassetta grazie ad una serie di canzoncine acqua e sapone nobilitate da pregevoli arrangiamenti vocali, effettuassero un breve tour negli Stati Uniti. Graham Nash, cantante e co-leader degli Hollies assieme ad Allan Clarke, era in un periodo di crisi nei confronti del gruppo, che Clarke stava maldestramente cercando di trasformare in formazione rock, e rimase fortemente colpito dall’atmosfera eccitante che si respirava in California, tanto da decidere di tornare in estate a trovare gli amici conosciuti durante la tournée. Fu allora, nel salotto di una giovane cantante canadese di cui Crosby aveva appena prodotto il primo disco (Joni Mitchell), che Crosby, Stills e Nash suonarono insieme la prima volta e, come ricorda Nash: “Il salotto sembrò tremare, e io capii che avrei dovuto lasciare il mio paese, la mia famiglia ed il mio gruppo, per cantare con loro”.

Dopo aver conquistato con il loro particolarissimo impasto vocale tutti coloro che li avevano ascoltati, i tre decisero di fare sul serio. Assunsero come produttore David Geffen ma, non fidandosene eccessivamente, vi affiancarono Elliot Roberts, produttore anche di Neil Young. Dopo una combutta asta firmarono per la Atlantic di Ahmet Ertegun, che per strappare Nash alla Epic, con cui quest’ultimo era sotto contratto, fu costretto a cedere Richie Furay, che poté così formare i Poco.

Le registrazioni del primo disco iniziarono in Inghilterra, dove Nash era andato a tagliare i ponti, e proseguirono poi, in un clima di grande armonia e collaborazione, a Los Angeles. Il disco, chiamato semplicemente Crosby, Stills & Nash, uscì alla fine di giugno del 1969.

Alcuni irriducibili idolatri del “disco d’esordio” tendono a considerarlo l’insuperato capolavoro del trio, cosa che, a mio sommesso avviso, non è. Si tratta comunque di un ottimo disco, in cui l’equilibrio raggiunto dal gruppo è perfetto. Anche se la paternità di ogni singolo brano è agevolmente attribuibile, sarebbe sbagliato sottovalutare l’importanza dell’influenza reciproca dei tre protagonisti nella realizzazione dell’album. Nash, pur essendo senza dubbio il più immaturo dal punto di vista compositivo, legato com’è agli schemi dell’easybeat britannico, conferisce al patrimonio comune un sicuro intuito melodico, oltre alla propria indiscutibile abilità vocale che rende spesso celestiali le armonie dei tre; unico dei suoi brani degno di menzione è Marrakech Express, canzoncina dall’esotico testo scritta ai tempi degli Hollies che ha, per loro, il non indifferente merito di ottenere grande successo come singolo. Stills sembra ancora un poco insicuro sulla strada da seguire, tendenzialmente portato verso un rock più grintoso, subisce in un certo senso il taglio prevalentemente acustico dato al disco dai suoi compagni, ma se non altro sventa il pericolo di un’eccessiva sdolcinatezza. Tra le sue composizioni, splendida Suite Judy Blue Eyes, dedicata, con amore, a Judy Collins, intessuta su di un fragile intreccio vocale che si carica di energia nel celebre coro finale. Anche una versione ridotta di questo brano uscirà come singolo, bissando il successo di Marrakech Express. Buona anche l’elettrica e trascinante 49 Bye Byes, risultato della fusione di due canzoni: 49 Reasons e Bye Bye Baby.

Chi però emerge nettamente è David Crosby, maestro della dissonanza armoniosa, incapace di scrivere una partitura banale, è anche l’unico dei tre a produrre dei testi che vale la pena di ascoltare: le sue composizioni sono una spanna sopra quelle degli altri, e forse non tanto la celebratissima poesia acustica di Guinnevere quanto, soprattutto, la corposità elettrica di Wooden Ships in cui si vagheggia la partenza verso un mondo nuovo, fatto di libertà (“l’orrore ci afferra quando vi vediamo morire, possiamo solo fare eco alle vostre grida angosciate… guardate come muoiono tutti i sentimenti umani, noi stiamo partendo, non avete bisogno di noi”); anni dopo un pragmatico Jackson Browne rimprovererà a Crosby la filosofia rinunciataria di questa canzone, che resta, comunque, un capolavoro. Ugualmente bella è Long Time Gone, altro inno hippie (“parla, devi parlare contro la pazzia delle cose, devi dire come la pensi se ne hai il coraggio. Ma non cercare di sentirti migliore degli altri, altrimenti faresti meglio a tagliarti i capelli”).

Fatto il disco e verificatone l’ottimo impatto sul pubblico; Crosby, Stills e Nash si interrogano sul loro futuro, ed emergono contrastanti versioni: Nash vorrebbe insistere sul carattere acustico della formazione, mentre Stills avverte l’esigenza di infondere un po’ di energia rock nella loro musica. Vince quest’ultimo, fortunatamente, e dopo avere invano cercato di convincere Stevie Winwood ad unirsi a loro, tramite Elliot Roberts, Stills rientra in contatto con l’antico compagno dei Buffalo: Neil Young, il quale nel frattempo aveva pubblicato due dischi solisti: Neil Young ed il più convincente Everybody Knows This Is Nowhere. Dopo qualche perplessità iniziale i quattro decidono di provare e, ad agosto del 1969, compaiono come CSNY all’ormai leggendario raduno di Woodstock ed il plauso di quella folla sterminata li convince di potercela fare. Quando però, in autunno, entrano in sala di registrazione, sono tutti alle prese con gravi problemi sentimentali: Crosby, in particolare, ha appena perduto la compagna Christine Gail Hinton, la Lady Christine di byrdsiana memoria, uccisa in settembre in un incidente stradale.

In parte per questo motivo, in parte per la incapacità (o non volontà) di Neil Young ad integrarsi ed a collaborare con gli altri senza riserve, l’armonia in sala è del tutto assente, eppure, come talvolta accade, la tensione tra i quattro produce un grande risultato artistico, l’imperdibile gioiello che è Deja Vu.

La prima facciata è da consegnare direttamente alla leggenda, un brano per uno in una magnifica gara a superarsi in cui, alla fine, non ci sono sconfitti. Apre Carry On di Stills, elettrico ed allucinato, con quegli incredibili impasti vocali vivificati da un’energia sconosciuta al primo disco; segue Teach Your Children, da un Nash sorprendentemente in gradi di lanciarsi oltre la canzonetta, pur restando fedele al proprio credo melodico (“insegnate ai vostri figli che l’inferno dei loro padri lentamente passerà e nutriteli con i loro sogni… i sogni che loro sceglieranno”), bellissima; quindi Crosby con la sua Almost Cut My Hair, in cui il significativo testo è sorretto da una forte struttura musicale; veri brividi corrono lungo la schiena quando irrompe la voce inconfondibile di Neil Young a dipingere col suo timbro nasale, che nel nostro immaginario è così indissolubilmente legato a quegli altri, la sua magnifica Helpless; chiude, il lato A, un tributo ad un brano a firma Joni Mitchell, una splendida canzone chiamata Woodstock, dedicata al raduno cui lei non aveva potuto partecipare, ma che con questa eccezionale composizione ha contribuito a mitizzare (“Quando siamo arrivati a Woodstock eravamo oltre mezzo milione e, dappertutto, c’erano canzoni e festeggiamenti; e io ho sognato gli aerei da guerra pronti a sganciare la morte dal cielo che diventavano farfalle sulle nostre teste). E la magia prosegue sul secondo lato con Deja Vu, splendida composizione di Crosby, dall’andamento imprevedibile eppure armoniosissimo e con un arrangiamento vocale semplicemente perfetto, frutto di quasi cento ore di registrazione. Ed altre ottime vibrazioni vengono comunicate dall’acustica 4 + 20 di Stills e da Country Girl di Young.

Quando, nel novembre del 1969, il disco è finito, Stills dirà di sentirsi come se si fosse cavato un dente, ma su quel dente cala la stupefatta ammirazione di tutto il mondo. Confortati dal successo, i quattro partono per una, per i tempi, mastodontica tournée americana ed europea, durante la quale i nostri sembrano ritrovare una certa serenità. Dopo la tournée CSNY si concedono un periodo di break, durante il quale l’infaticabile Young va in tour con i Crazy Horse e Stills si ferma a Londra per registrare il primo disco solo, in cui compaiono, tra gli altri Jimi Hendrix ed Eric Clapton.

Dopo un primo, fallito, tentativo di tornare insieme sulla strada, nel maggio del 1970 incidono Ohio scritta da Neil Young sull’onda della commozione per l’uccisione di quattro studenti durante una dimostrazione alla Kent University. Neil Young dirà che è il pezzo migliore mai inciso da CSNY, ed in effetti, pubblicato come singolo (sul lato B una versione live di Find The Cost Of Freedom), ripete il successo in precedenza ottenuto con Teach Your Children.

Tra giugno e luglio una nuova serie di concerti scatena incontenibili entusiasmi, ma la scissione è imminente. Motivi: Neil Young è al proprio top creativo e non vuole spendersi questo momento all’interno del gruppo, inoltre Stills litiga violentemente con Nash per via di Rita Coolidge.

Dopo il rompete le righe, tutti si dedicano ai propri lavori solisti e confermano il momento di eccezionale vena che ciascuno sta attraversando: Neil Young pubblicherà in rapida successione gli essenziali After The Gold Rush e Harvest, Stills fa uscire il suo primo disco solo (Stills) e così anche Nash, che da alle stampe il sorprendente Songs For Beginners; ma, ancora una volta, il capolavoro assoluto viene da Crosby, che si circonda di amici (tutti i Jefferson Airplane, molti dei Grateful Dead, Santana, Joni Mitchell e Neil Young) e pubblica If I Could Only Remember My Name, sublime espressione di uno dei più grandi e sottostimati talenti rock di tutti i tempi.

Questo felice periodo si chiude con la appropriata decisione della Atlantic di lasciare un documento delle esibizioni live di CSNY: così, contro il parere dei quattro ex-compagni, esce nel 1971 Four Way Street, doppio live che, pur nella abbondanza di sovraincisioni con cui è stato realizzato, è altra pietra miliare del periodo.

Il disco è diviso in una parte acustica, in cui brillano Chicago di Graham Nash, On The Way Home e Don’t Let It Bring You Down di Neil Young e la sempre attuale Love The One You’re With di Stills (“Se non riesci a stare con la ragazza che ami, cerca di amare quella con cui stai”), ed in una parte elettrica, in cui si elevano su tutte le torride e lunghissime Carry On di Stills e Southern Man di Young, specie quest’ultima con l’acida chitarra di Neil Young intenta a combattere con quella rovente di Stills.

Anche Four Way Street entra di diritto tra i dischi che hanno segnato un’epoca…eppure, purtroppo, fu proprio quell’album, ricco di gemme e gioielli, che in qualche maniera chiudeva definitivamente una porta.

E venne il tempo delle coppie 1972-1977
Dopo lo scisma, le forze di attrazioni latenti iniziarono il loro lento lavoro; la prima aggregazione è anche la più imprevedibile: Crosby e Nash suonano insieme ad un concerto per i reduci del Vietnam a Detroit nel 1971. Ma come? L’immaginifico Crosby con il canzonettaro Nash? Ebbene sì, perché alla base esiste una forte amicizia, cementata dal conforto dato da quest’ultimo a Crosby durante il periodo successivo alla tragica morte di Christine Hinton, e, soprattutto, c’è una grande paura di entrambi all’idea di affrontare il mondo da “soli”, specie con alle spalle un così ingombrante passato e dinanzi così tante attese. Timori che non soffre certo Neil Young, sicuro della propria grandezza, né Stephen Stills, la cui notoria arroganza sarà pagata a caro prezzo.

Crosby e Nash vanno in sala a San Francisco nel 1972 e registrano il primo disco intitolato Graham Nash And David Crosby. E’ un buon lavoro, grazie soprattutto a Crosby, le cui composizioni determinano sempre un salto di qualità, come per Whole Cloth, Games e, in particolare, Page 43, con la cristallina giuntura di chitarra e il testo che invita a vivere (“la vita è bella, anche con i suoi alti e bassi, e dovresti berne un sorso…altrimenti scoprirai che ti è solo passata accanto”). Certo, se pur sempre imprevedibile, neanche Crosby è lo stesso di prima, i fuochi degli ultimi anni Sessanta si vanno spegnendo, lasciando una certa disillusione, e la frantumazione di CSNY è per lui un’ulteriore rappresentazione della sconfitta dei propri ideali. Il suo stato d’animo è ben reso da alcuni versi di The Wall Song: “…e il muro si allunga senza fine, vicino a te, verso il nulla…quel muro che hai cercato di superare per anni, quello steccato di paure che nessuno ascolta”).

Graham Nash, che pure sta maturando, più di tanto non può, ed anzi cava dal cilindro una buona Immigration Man e delle dignitose Girl To Be On My Mind e Southbound Train, ma anche delle spaventose cadute di tono.
 

 

Il 1973 ed il 1974 sono anni perduti dietro il sogno della riunione. Sembra fatta nel ’73, quando i quattro si rincontrano alle Hawaii e scrivono insieme del materiale, ma, al ritorno in California, tutto si sfalda di nuovo. Nel ’74 riescono addirittura a rimettere insieme una tournée di 35 date, di cui 27 in stadi, cosa che negli anni Settanta non era usuale come oggi; scontato il successo riscosso, e quasi scontato il fallimento delle registrazioni nei Sunset Studios dopo che era stato persino annunciato il titolo del disco della riunione: “Human Highway”, da una canzone di Neil Young.

Dopo l’ennesima delusione Crosby e Nash pubblicano nel 1975 un discreto Wind On The Water, che attinge i momenti di maggiore spicco dalla commossa Carry Me, scritta da Crosby dopo la morte della madre, e da due composizioni di Nash, entrambi socialmente impegnati, Fieldworker, canzone di protesta sulle condizioni dei braccianti americani, e To The Last Whale, canzone ecologica contro lo sterminio delle balene, preceduta da un’introduzione solo vocale scritta ed interpretata da Crosby. Nell’esecuzione live di questo brano Crosby e Nash proiettano un filmato sulla caccia alle balene, contrappuntato dalle loro voci.

L’accoglienza riservata al disco è tiepida e, probabilmente, più che da un indebolimento della vena musicale di Crosby e Nash, questo dipende dal calo di tensione ideale che si era registrato nel corso degli anni Settanta. Come abbiamo visto, CSNY erano stati esponenti di spicco del movimento di protesta giovanile, cui avevano fornito inni da ricordare e modelli da imitare. L’impegno sociale delle loro canzoni – di stampo prettamente americano, e quindi ben diverso dall’impegno europeo di matrice rivoluzionaria (vedi i primi Clash) – si era accompagnato ad un valido sostegno musicale, ma soprattutto aveva tratto energia e linfa vitale dalla massa giovanile, che per queste canzoni e questi interpreti si infiammava ed in questi atteggiamenti si identificava. Nel momento in cui lì fuori non c’è quasi più nessuno disposto a farsi trascinare da una protesta contro l’ingiustizia, quando il messaggio cade nel vuoto e non vi è più presenza di uno scambio emozionale tra artista e pubblico non può non risentirne anche il prodotto artistico.

 

Ulteriore conferma di questo stato di cose viene dai due dischi pubblicati nel 1976, dopo un altro tentativo di riunione.

Era accaduto che Stephen Stills, reduce da un’impressionante serie di fallimenti, avesse cercato rifugio presso Neil Young. I due avevano iniziato a coltivare il progetto di un disco insieme a Miami proprio mentre, a Los Angeles, Crosby e Nash, a loro volta, cominciavano a lavorare sul loro terzo disco di coppia. In un impeto di nostalgia, Young aveva chiamato Nash, invitando lui e Crosby ad unirsi al loro lavoro. Molto materiale venne inciso da Crosby, Stills, Nash & Young di nuovo insieme, ma quando Crosby e Nash dovettero ritornare in California per ultimare il disco che avevano lasciato a metà, Stills e Young, inspiegabilmente, ne approfittarono per cancellare tutte le loro parti, rimuovendo ogni traccia del loro lavoro con la pretestuosa motivazione che Crosby e Nash non sarebbero stati disponibili per il tour promozionale che avrebbe dovuto seguire la pubblicazione dell’album.

Per un artista non c’è niente di peggio che vedere cancellato con un colpo di spugna il frutto della propria fatica, e, prevedibilmente, fu davvero furibonda la reazione di Nash e Crosby, che accusarono gli altri due di mercenario opportunismo. Come per una punizione divina lo scialbo album della Stills Young Band, intitolato Long May You Run, andò maluccio, ed, inoltre, Neil Young piantò Stills a metà del tour informandolo con un laconico telegramma così concepito: “Caro Stephen, buffo come delle cose che nascono spontaneamente, possano morire altrettanto spontaneamente. Mangiati una pesca. Neil”. Lo sconsolato Stills tornò a casa in Colorado per scoprire che la moglie, la cantante francese Veronique Sanson, aveva avviato le pratiche di divorzio!

Intanto non migliore fortuna riscuoteva Whistling Down The Wire di Crosby & Nash. Netto il cambio di prospettiva musicale, ormai tutta spostata sui lenti ritmi della ballata country, senza più grandi distinzioni tra le composizioni di un Nash in crescita e quella di un Crosby, sempre più schiavo di alcol e droghe, in declino. Il disco si ascolta comunque con piacere, specie per brani come Broken Bird, Dancer Mutiny, Marguerita e Taken At All, anche se non vi è più traccia dello sperimentalismo vocale del duo.

Il suggello al periodo delle coppie viene messo, nel 1977, dall’album Crosby & Nash Live, inutile giro nel repertorio già noto del duo, senza che nulla venga aggiunto alle versioni originali, ma con l’aggravante di una presuntuosa storpiatura in chiave avanguardistica di Deja Vu. Ma il disco è solo un’operazione commerciale effettuata dalla ABC per capitalizzare il successo che nel frattempo aveva ottenuto la reunion di Crosby, Stills & Nash.


Di nuovo insieme verso gli anni ottanta 1977-1985
Il ritorno di uno Stills, comprensibilmente depresso, con i musicisti che aveva freddamente escluso dai lavori per Long May You Run è l’ennesima prova del legame inspiegabile che unisce questi soggetti. L’incontro avvenne nel backstage del Greek Theatre di Los Angeles, dove Crosby e Nash tenevano un concerto. Dopo un momento d’imbarazzo, immediatamente l’abbraccio; ma non crediate che sia solo perché alla fine vincono i sentimenti che CSN tornano insieme. Separati i ragazzi non vendevano neanche la metà dei dischi che avevano venduto insieme ed il 1977 era un anno in cui la riunione avrebbe trovato terreno fertile. Infatti, dopo alcuni anni di stagnazione, un fremito di vivacità stava risvegliando la musica rock; i vecchi grandi del rock si rendevano conto di una rinnovata voglia di ideali e di ribellione da parte dei giovani e provvedevano: Bob Dylan metteva insieme la Rolling Thunder Revue, con Joan Baez e The Band, e tornava a combattere una battaglia a colpi di chitarra per il pugile di colore Rubin Carter, ingiustamente accusato di omicidio; intanto Jackson Browne pubblicava The Pretender e tentava di mobilitare i giovani contro i nuovi nemici: l’inquinamento ambientale e l’energia nucleare; e poi, oltre l’oceano, dai garage veniva fuori a colpi di vomito il punk dei Clash e dei Sex-Pistols. Crosby, Stills & Nash non erano stati presi da questo ardore, ma era evidente che una loro riunione, dopo un passato in prima linea, avrebbe facilmente suggestionato la massa giovanile.
 

 

Con molta intelligenza i tre evitano comunque di cavalcare strumentalmente la tigre della protesta, che peraltro si rivelerà presto meno impattante di quanto sembri, e puntano tutto sull’altra loro prerogativa che aveva contribuito a creare il mito: la musica e le armonie vocali soprattutto. Annunciato dapprima come “Jigsaw Puzzle”, il disco esce nel 1977 sotto il titolo Crosby, Stills & Nash. La elegante copertina annuncia che il nuovo credo dei musicisti si possa riassumere nella parola “raffinatezza”. Raffinate sono le melodie, che Stills spesso soffonde di ritmi sudamericani, in omaggio agli anni dell’adolescenza trascorsa in Costarica (Fair Games e, in parte, Dark Star), eleganti e mai poveri sono anche gli arrangiamenti acustici, stupefacente la compattezza dei corali, che conferiscono ulteriore classe ai brani. La gemma dell’album e’ senza dubbio un brano di Graham Nash, degno di figurare tra le cose migliori da lui mai scritte, Cathedral, ispirato da una visita all’alba a Winchester Cathedral che, sotto il pesante effetto di varie droghe allucinogene, si era trasformata in un’esperienza onirica. Dopo una prima parte tesa ed emozionante disegnata su di un fondale di pianoforte drammatizzato da inserti di batteria, il brano si scioglie nella seconda parte ritmata da voci e chitarre. Questa volta è sottotono David Crosby, il cui apporto non è decisivo, e si riassume in definitiva in Shadow Captain, di cui peraltro ha scritto solo le parole, sulle quali Craig Doerge è riuscito a cucire un rarefatto commento musicale molto crosbiano.

Grande e, date le circostanze, meritato successo sia dell’album che dei due singoli che ne vengono tratti: Just A Song Before I Go, che è la solita canzoncina intrigante di Nash, e Dark Star. Baldanzosi i tre annunciano un nuovo disco per il 1978 ed un tour di cinque mesi ma, ancora una volta, il destino ha deciso diversamente. Antiche cambiali vengono messe all’incasso e David Crosby entra definitivamente nel tunnel dell’assuefazione da eroina.

Da qui in poi è difficile tracciare una storia coerente, ci sono solo alcuni episodi. Nel 1979 esce The Best Of Crosby & Nash, antologia ben compilata che ha l’aria dell’epitaffio. Nel settembre di quello stesso anno Graham Nash, di gran lunga il più equilibrato dei quattro, richiama vicino a sé i vecchi compagni per una serie di concerti al Madison Square Garden organizzata dal MUSE, associazione di musicisti antinuclearisti di cui Nash è uno degli animatori con Jackson Browne e Bonnie Raitt. Neil Young, alle prese con seri problemi di alcolismo, declinerà l’invito mentre tre brani dell’esibizione vengono pubblicati sul triplo No Nukes, uscito a Natale del 1979. Intanto Stills subisce l’umiliazione di vedersi rifiutare la pubblicazione di un disco già pronto.
 

Gli anni Ottanta arrivano carichi di foschi presagi, Crosby sempre più perduto nel suo incubo senza uscita, fa di tutto per alienarsi gli amici più cari. Stills e Nash decidono di provare un’accoppiata inedita ed entrano in sala di registrazione. Le armonie di Crosby vengono sostituite alla meglio con le voci di Timothy Schmit (già Eagles), Mike Finnegan ed Art Garfunkel, e la registrazione si prolunga indefinitamente. Nel 1981, mentre Stills e Nash ancora lavorano, quale nuovo riempitivo esce Replay, antologia di Crosby, Stills e Nash, senza inediti, ma con versioni live di Carry On e Give You Give Blind. Nel 1982 il disco di Stills e Nash è praticamente pronto, ma la casa discografica nicchia, poi, imperiosa, giunge la richiesta: “la ditta Stills-Nash non da sufficienti garanzie, bisogna che all’album partecipi anche Crosby!”.

Nash, esposto per 400.000 dollari personalmente, fa buon viso a cattivo gioco, racconta alla stampa che la mancanza di Crosby era divenuta lancinante, e lo richiama. Ovvio che, con un prodotto già finito, Crosby non possa fare molto più che aggiungere qualche vocalizzo su pochi brani e consegnare due canzoni da lui già registrate per un proprio chimerico album solista, Delta (che si rivelerà alla fine uno dei pezzi migliori del poverissimo disco) e Might As Well Have A Good Time. Del resto Crosby non sarebbe stato in grado di fare di più. Daylight Again è la pagina più nera di questa storia, intessuto di una serie di anonimi rock “alla Toto” non conserva nulla del tradizionale linguaggio musicale dei tre. Oltre alla già citata Delta, si salvano dal disastro artistico Turn Your Back To Love, che almeno è un po’ originale, e la title-track, missata con Find The Coast Of Freedom perché come afferma Stills: “Dopo averla scritta mi sono reso conto che era l’inizio che avevo sempre cercato per quella canzone”. Disastro artistico, ma non commerciale, in quanto Daylight Again guadagna il disco di platino e CSN sono chiamati alla rituale tournée, che si rivela un’altra, amarissima tappa del calvario di Crosby, che viene arrestato ben due volte per possesso di armi da fuoco e di droga. I tre, per la prima volta, vengono anche in Italia nel 1983, e, a sorpresa, nonostante l’agghiacciante abulia di Crosby, che viene tenuto segregato nella propria stanza d’albergo e non compare in alcuna occasione pubblica all’infuori dei concerti, riescono a regalare numerose emozioni grazie al loro evocativo repertorio.

Conferma ne è Allies, il live uscito nel 1983 che riscatta in parte il poco edificante Daylight Again. David Crosby non partecipa minimamente ai missaggi, e Nash e Stills hanno il loro da fare per trovare esecuzioni di Crosby degne di figurare, ma poi pescano una versione da brivido di For Free di Joni Mitchell, il pezzo migliore del disco. Ma molto buone sono anche Barrell Of Pain, canzone di Nash dedicata ai problemi dei rifiuti tossici, Shadow Captain e la suggestiva versione dell’immortale For What It’s Worth. Sull’album compaiono anche due inediti, sinistramente orientati verso la musica elettronica, War Games che Stills aveva originariamente scritto per la colonna sonora del film omonimo e Raise A Voice.
Altro tour nel 1984, che di nuovo tocca anche l’Italia, e poi la notte cala implacabile.
Nel 1985, dopo la riunione dei tre con Neil Young in occasione del concerto per il Live Aid, Crosby, perennemente in stato catatonico, viene arrestato e condannato a due anni di prigione.

 

 

Il resto della storia 1985 - 2008
di Salvatore Esposito

Alla fine degli anni '80 Crosby risolse definitivamente i suoi problemi e, letteralmente, risorse nel suo talento, nel 1988 si ricompone incredibilmente il quartetto ed fu proprio Neil Young il promotore dell'operazione, infatti mise a disposizione i suoi studi per l'incisione di "American Dream". Un buon disco di un inatteso ritorno, il quale puntualmente raggiunge le vette della classifica di Billboard. Finalmente fu possibile, riascoltare brani scritti a quattro mani da Stephen Stills e Neil Young come "Drivin' thunder" e "Night song" nonchè brani come "Nightime for the general" che ricordano il David Crosby dei tempi di "long time gone". Mentre il solito Nash che si presentò con una canzone (forse fra le migliori del gruppo) "pacifista" come "Soldiers of piece". Il gruppo si ripresentò di nuovo come trio nel 1991 con il mediocre "Live It Up" e poi nel 1994 con l'ottimo "After the Storm". Nel 1997, Crosby, Stills & Nash entrarono a far parte della Rock 'n Roll Hall of Fame, che riconobbe loro il loro massiccio contributo nell'evoluzione della musica americana contemporanea. La serata di gala si rivelò doppiamente speciale per Stephen Stills, il primo artista ad ottenere due premi nello stesso giorno, uno con Crosby e Nash e l'altro con Buffalo Springfield, e per la performance di David Crosby nel gruppo, appena dopo aver suonato con i Byrds. Infatti, tutti e tre i musicisti vantavano carriere artistiche doppie. Nel 1999 ci fu il colpo di scena Graham Nash, ai microfoni della Cnn annunciò: "Neil ci ha raggiunto in studio. Non posso e non voglio fare previsioni, è successo molte altre volte prima di ora e non siamo mai arrivati fino alla fine. Ma l' atmosfera tra noi è eccellente, Neil è contento, noi siamo molto contenti e tutto suona molto bene". La reunion era vicina e del resto era stato proprio Neil Young, in un'intervista a confermare la possibilità che il gruppo tornasse insieme: "Dal nostro punto di vista la band non si è mai sciolta, sappiamo di essere in grado di poter stare lontani per un po' di anni e poi tornare insieme". Poi arrivarono le dichiarazioni di Elliot Roberts che confermò il tutto dicendo che i quattro erano già in studio per registrare un nuovo album: "Sarà un disco bellissimo, le canzoni che stanno registrando sono davvero fantastiche". A conferma di questo arrivò una dichiarazione di Neil che disse "Pensiamo di essere in grado di fare la nostra musica per altri venti anni almeno". Ci vide giusto perchè "Looking Forward", fu acclamatissimo dalla critica ma tuttavia non aggiunse nulla di più alla fama del quartetto. In questo caso, al contrario di quanto era successo per "American Dream", partirono per un lungo tour che vide i quattro partecipare anche al "Farm Aid", annuale concerto benefico di cui Neil Young è uno dei promotori. Capaci come non mai di intrattenere un pubblico con loro squisite armonie, la rivista Rolling Stone ha definito il loro show del 1999 presso il Fillmore Auditorum di San Francisco "uno dei concerti del decennio". Nel 2000, questo splendido quartetto ha girato ancora il mondo con un reunion tour di grande successo, ottenendo recensioni entusiasmanti e riunendo tutta la magia musicale della loro storica partnership ovunque suonassero. Si parlò anche di una partecipazione al Festival di Sanremo come superospiti, ma poi tutto sfumò finendo per essere considerata l'ennesima leggenda dell'era Baudo. Forse sarebbe il caso che i fans italiani cominciassero a fare sentire la propria voce, chissà così se un giorno o l'altro si saprà di un concerto in Italia dei quattro che allo stato attuale non è stato ancora possibile vedere. Il resto è storia attuale….

(fonte: rusty81.altervista.org)