Di Shooting Star con la collaborazione
tecnica di Mr Tambourine
“I was born a rebel, down in Dixie on a
sunday mornin'
Yeah with one foot in the grave and one foot on the pedal, I was born a
rebel”
(Tom Petty)
Thomas Earl Petty è nato nel 1952 e cresciuto a Gainesville, nelle paludi
della Florida, ovvero nel profondo Sud e non aveva nessun’aspirazione
musicale finché Elvis Presley non visitò la sua città natale. Iniziò a
suonare la chitarra a undici anni. Appena 17enne lasciò la scuola per
militare a tempo pieno nei Mudcruth.
Il nostro eroe ha discendenze Seminole che nel suo sangue si mischiano a
quelle degli invasori. In Tom Petty troviamo lo spirito indomito degli
antenati, il gusto per la tradizione che non si deve perdere o dimenticare e
la passione per i suoni bianchi e neri, interpretati in maniera altamente
personale.
Dopo aver fatto parte d’altre band come The Sundowners, The Epics, (di cui
facevano parte i futuri membri degli Heartbreakers Mike Campbell e Benmont
Tench) si trasferì in California.
Collabora con Al Kooper per un disco di Leon Russel del 1975 che però resta
nel cassetto.
Iniziò la sua carriera discografica come Tom Petty & the Heartbreakers,
quando la band irruppe nella scena musicale nel 1976 con l'album omonimo di
debutto. Musicalmente a mezza strada fra il beat inglese e il rock
californiano, si sente nelle influenze vocali un eco dylaniano e mcguiniano.
Sempre in quel periodo Petty e suoi fecero da spalla a Nils Lofgren e a Bob
Seger.
Nella sua trentennale carriera le costanti di Petty sono state la musica
d’elevata qualità sonora e la sua band di supporto, i favolosi
Heartbreakers. Definiti da Bob Dylan “l’ultima grande rock band americana”,
e capitanati dal chitarrista Mike Campbell, coadiuvato da Benmont Tench,
pianoforte e tastiere, Ron Blair, basso, Steve Ferrone, batteria e Scott
Thurston chitarra, armonica, basso.
(Ricordiamo anche gli ex membri Howie Epstein - basso, Stan Lynch -
batteria)
Questa band- famiglia (un po’ come la E-Street Band per intenderci) ha
calcato i palchi di tutto il mondo suonando forse più di chiunque altro e
sempre su livelli elevatissimi. Se in studio il biondo musicista della
Florida ha commesso qualche passo falso, dal vivo questo non è mai successo.
Ricordiamo i tour mitici con Dylan, le collaborazioni con Warren Zevon, Roy
Orbison, George Harrison, Johnny Cash e U2 (collaborando nella meravigliosa
“All I want is you”).
La leggenda vuole che Petty partì dalla Florida, insieme al chitarrista Mike
Campbell, per cercare successo ad Hollywood. Durante il tragitto incontrò
coloro che avrebbero condizionato per sempre il suo futuro: a New Orleans il
fido tastierista Benmont Tench, ed in Oklahoma il cosiddetto "Mago Inglese"
e produttore Denny Cordell.
Personaggio di una moralità esemplare, legato a valori tradizionali
d’onestà, correttezza e fedeltà, Tom Petty ha espresso nella sua musica la
tormentata co-esistenza con una civiltà che quei valori li dissacra tutti i
giorni per televisione, al cinema e a Wall Street. Tom Petty sembrava
adulto, anche quando aveva poco più di vent'anni. Ultimo grande rocker
proletario, Petty erige impeccabili strutture formali per esprimere quella
maschia nostalgia che è uno dei sentimenti più cari al popolo statunitense.
Una premessa sull’accostamento Petty - Springsteen
Personalmente ritengo l’accostamento Petty- Springsteen un pò forzato.
Bisogna fare un distinguo fra Bob Seger, Springsteen e Southside Johnny e
l’altra cordata di rocker americani, cioè Elliot Murphy, John Prine, John
Mellencamp e Tom Petty stesso. Perché nel loro caso la lezione byrdsiana e
dylaniana appare predominante, e nel caso di Petty va aggiunto anche il
southern rock dei Lynyrd Skynyrd o il sound dei Fleetwood Mac.
Per quanto riguarda Springsteen, Seeger e Southside Johnny, si sentono odori
di Stax, Motown e soprattutto un forte richiamo al Genio di Van Morrison.
Fanno da comune denominatore invece John Fogerty, leader dei Creedence
Clearwater Revival, Elvis Presley, Chuck Berry, Bo Diddley, Rolling Stones,
Beatles, Animals e forse anche The Band e Jackson Browne.
Personalmente ritengo che lo stile chitarristico di Tom Petty e degli
Heartbreakers, sia più preciso e squillante rispetto a quello di Springsteen
e della E Street Band, che almeno fino all’arrivo di Nils Lofgren è sempre
stato vivace e generoso, ma abbastanza rude seppur non privo di un forte
respiro epico. Mentre Campbell e i suoi sono orientato verso soluzioni più
sottili e pungenti rendendo il sound degli Heartbreakers unico e
caratteristico.
Certo, sempre di mainstream rock si parla, ma l’uso del pianoforte di
Springsteen o di Bob Seger, pare assai distante dal sound più snello e
solare se vogliamo di Tom Petty. Lo stesso per quanto riguarda la scelta dei
fiati, in vicinanza appunto col sound Stax, mentre la lezione byrdsiana
delle dodici corde Rickenbacker da parte di Petty appare un evidente segno
distintivo. Petty, grande fan di McGuinn, ha dato da solo il via ad una
nuova moda Rickenbacker usando una 325/12 solid body e ancora oggi viene
identificato con quel suono. Ricordo per i profani che la chitarra, un
modello 360/12, era la prima Rickenbacker a 12 corde fatta in modo che,
dando le pennate verso il basso, il plettro entrasse prima in contatto con
la corda più spessa del paio, non la piu' sottile e piu' alta. Questo,
accoppiato con le insolite costruzioni e pick up della Rickenbacker, dava
quel suono stridente che rende il sound delle Rickenbacker a 12 corde uno
dei piu' riconoscibili del mondo. A differenza di tutte le altre 12 corde,
la Rick è l’unica ad aver invertito l’ordine delle prime tre corde doppie,
portando il Mi basso al posto del Mi cantino, questo rende il suo suono
unico, la cosa strana è che, pur avendo avuto un successo straordinario,
nessuno ha mai copiato questo sistema. La Rickenbacker è rimasta l’ultima
frontiera del Made in U.S.A. per le chitarre, costruita ancora in maniera
liutaia nel piccolo stabilimento di Santa Ana in California, corpo e manico
esclusivamente in acero canadese e tastiera in Rosewood, pick-up “High gain”
o “Toaster” e seconda del modello, è l’unica chitarra ad avere il doppio
truss-road nel manico per mantenere la giusta rigidità e una perfetta
regolazione.
La discografia nel dettaglio
Per il suo primo album, Tom Petty & The Heartbreakers (Shelter, 1976),
uscito mentre imperversava la new wave, il chitarrista e cantante attinse a
tutta la tradizione del rock. Le dieci canzoni sono tutte composte da Petty,
ma le si potrebbe scambiare facilmente per brani d'epoca. Il suo forte non è
l'innovazione, ma la conservazione, non è il genio, ma il buon gusto.
Rifiutando il punk anarchico che dilaga in Inghilterra, l'isteria colta
della new wave di New York e il suono disumano che incalza nei cabaret
elettronici, Petty manda a memoria la storia del rock e, come un consumato
entertainer, ricicla tanti dei suoi stereotipi: le ballate dei Byrds in
American Girl, gli anthem degli Who in Rocking Around e in Anything That 's
Rock And Roll, e i lenti dei Rolling Stones in Breakdown e Strangered In The
Rain. La vocazione più autentica del chitarrista si scopre in due brani come
Luna e Fooled Again, nei quali Petty abbozza un'atmosfera meno solare e più
tenebrosa, all'insegna di una maledizione psichedelica venata di languida
disperazione. Sfruttando fino in fondo cliché di provata presa sul pubblico:
il lamento nasale alla McGuinn/Dylan, le chitarre scampanellanti alla Byrds,
le storie affrante d’anti-eroi perdenti e solitari; ma lo fa con sincerità,
in sintonia con il personale travaglio psicologico, che da un lato presenta
incontenibili slanci idealisti e populisti e dall'altro lo incupisce in una
sorta di quieta disperazione. Un grande esordio.
Il disco successivo, You 're Gonna Get It (Shelter, 1978), si mantiene in
linea con lo stile cristallino del precedente, anche se più eclettico ed
elettrico. Ancora un rock educato, piacevole e rilassante, un concentrato
d’energie e di fuochi, che non mira a rivoluzionare il concetto di musica,
ma semplicemente a proporre delle intelligenti variazioni sui temi noti:
ancora Byrds suadenti in When The Time Comes, Magnolia, Listen To Her Heart;
e rock and roll mozzafiato come Too Much Ain't Enough e I Need To Know (il
più dinamitardo in assoluto della sua carriera). I meriti e i limiti di
Petty sono riassunti in questa moderata "intelligenza" musicale, che gli
consente di ottenere piccoli gioielli senza bisogno di sconquassi o scoperte
avveniristiche.
Il primo capolavoro è “Damn the Torpedoes” (1979)
Tom canta come se avesse il fuoco dentro di se, gli Heartbreakers macinano
rock come un rullo compressore tra i lancinanti assoli di Campbell, e la
potenza della sezione ritmica va liscia e potente sopra al tappeto sonoro
costruito dalle tastiere di Tench. Magia allo stato puro! Una vera fucilata
che spacca l’asfalto incandescente di una polverosa strada del sud.. Non ci
sono brutti pezzi in questo disco, che va ascoltato tutto di un fiato e a
volume altissimo, come nella migliore tradizione rock. Da un lato il gusto
tende a una maturazione che lima implacabilmente ogni punta d’isteria e si
esprime con uno stile, elegante, ponendosi come un classico, al punto che
non ha senso considerare Petty un figlio degli anni Sessanta, perché egli é
diventato l'estremo rappresentante di quella generazione. Si fondono con
armonia e collaudato mestiere il rock and roll, la ballata melodrammatica,
il boogie epilettico e il folk-rock struggente e fanno da cornice ai due
capolavori del disco: la sognante, dylaniana serenata-monologo Here Comes My
Girl e la delicata, nostalgica ballata country Louisiana Rain, degne
apologie di "cuori infranti". Una bomba rock dalla devastante potenza con
ritornelli da cantare a squarciagola. Album imperdibile per tutti i veri
cuori rock, una perla che farà la gioia di tutti coloro che hanno la
polvere, il whiskey e l’acciaio cromato nelle vene.
Southern Accents (MCA, 1985)
“There's a southern accent, where I come from the young 'uns call it country
The yankees call it dumb I got my own way of talkin'
But everything is done, with a southern accent Where I come from”
(Tom Petty “Southern Accent”)
Questo disco prodotto da Dave Stewart, è una sequenza di monologhi in forma
drammatica di un giovane della classe lavoratrice il cui spirito ribelle
accomuna il tradizionale orgoglio sudista a uno sfrenato istinto di
auto-distruzione. Con toni quasi "Faulkneriani", Petty dà un ritratto
intenso ed atmosferico del Nuovo Sud, dall'inno di Rebels alla ballata
barocca Don 't Come Around Here No More, da It Ain't Nothing To Me alla
lunga malinconica storia che dà titolo al disco: un capolavoro inscindibile
della carriera di Petty, e brano complementare di “Racing in the street” del
Boss. Make It Better - Forget About Me, è invece un grande brano venato di
black music. Inizialmente quest’album doveva essere doppio, ma l'idea cambiò
a causa di alcuni problemi durante la lavorazione, tra i quali la frattura
ad una mano del rocker, che per il nervosismo diede un pungo al muro durante
la fase di produzione. Nonostante la formula consolidata e funzionante a
meraviglia, Petty decide di rischiare e provare a fare qualcosa di
leggermente diverso. Non c'è solo il rock tradizionalista nell'album ma
cresce l'uso dei suoni sintetici, e per la prima volta compare una sezione
di fiati. Accanto ad alcune canzoni, come "Rebels", ancora un grande brano
per il Nostro, uno degli inni Pettyani per eccellenza e "Dogs On The Run",
entrambi brani tirati e con gli Heartbreakers in gran spolvero, troviamo
episodi che si spostano dal classico sound della band. "Don't Come Around
Here No More" è l'episodio più innovativo della nuovo percorso: batteria
marziale, noise sinth, una grande melodia supportata da un coro dionisiaco
nel ritornello e un finale stomp che trasforma il brano in uno sferragliato
rock'n'roll.La conclusiva "The Best Of Everything" eterea e impalpabile,
d’atmosfera crepuscolare, con i fiati soul in evidenza, è uno dei brani che
splendono di luce propria. Certo, in alcuni casi l'elettronica e i fiati
fanno male all'abituale suono genuino del gruppo. Un po' anonime, anche se
piacevoli, "Spike" e "Mary's New Car", due episodi minori per uno dei lavori
migliori di Petty.
”Now that drunk tank in Atlanta's Just a motel room to me Think I might go
work Orlando If them orange groves don't freeze I got my own way of workin'
But everything is run, with a southern accent. Where I come from for just a
minute there I was dreaming, for just a minute it was all so real For just a
minute she was standing there, with me”
Full Moon Fever (1989)
Basta aprire una qualunque guida ai cento migliori dischi rock per trovare
questo lavoro collocato tra le prime posizioni. Petty appare molto motivato
e ispirato e a guadagnarci prima di tutto è proprio la musica. È un disco di
rabbia, tristezza, amore, solitudine e tenerezza. Provate ad ascoltare Free
Fallin a occhi chiusi, lasciandovi cullare dalla brezza della sera, mentre
pensate ad un amore distante e capirete quanto Petty sa comunicare emozioni
in un brano di quattro minuti. Con Full Moon Fever (1989) lo zio Tom fa
saltare il banco, il disco è infatti salutato coi consensi unanimi di
pubblico e critica ed è la tanto attesa consacrazione di un Grande Autore.
E’ un album ricchissimo di storie e d’umori dal solito fascino fatalista. Le
sue epopee di falliti (il proclama orgoglioso di I Won't Back Down, la
marziale danza di guerra di Love Is A Long Road, continuano a tenere col
fiato sospeso l'America. Le dolenti elegie di Free Fallin' e A Face In The
Crowd, che segnano con tono funereo il percorso morale dei tanti "loser" e
"loner" della provincia, sono bilanciate dalla filastrocca scanzonata Yer So
Bad (una delle melodie più memorabili della sua carriera) e dal boogie
bruciante di Runnin' Down A Dream (uno dei suoi rock and roll più abrasivi
ed epidermici).
Le liriche sono sempre da manuale dei poeti americani (lunghi viaggi
attraverso la prateria, sogni che si frantumano, donne cattive e tragedie
domestiche). Petty è ormai il più grande in questo genere. E’ una bandiera
vivente del proletariato, una raccolta di storie archetipiche della piccola
borghesia. Il sound cristallino e pulito (merito anche del produttore Jeff
Lynne) esalta ancor più le cronache drammatiche di Petty. Questo disco lo ha
imposto come non c'erano riusciti neppure i primi tre, perfetti, album. Ed è
anche la prova della maturità artistica del Nostro, della sua completa
armonia musicale e, in un certo senso, spirituale. Forse perché è
accompagnato da ospiti di calibro enorme, quali Roy Orbison e Gorge
Harrison, o forse è solo il fatto che ci ha messo il cuore a scrivere questa
opera: e quando Tom ci mette il cuore non si può proprio rimanere delusi.
Ciò che caratterizza Full Moon Fever rispetto ai dischi precedenti è il
sound: si coglie una leggera virata verso gli anni Ottanta, verso
un'atmosfera meno grezza e più raffinata dovuta soprattutto all'influenza
marcante dell'amico e bassista Jeff Lynne.
Il disco apre con "Free Falling", che diventerà il cavallo di battaglia di
Petty & Co., con il quale l'artista verrà per sempre etichettato e,
giustamente, associato. Il pezzo è infatti uno dei più belli che Tom abbia
mai scritto: con i suoi toni di voce, le sue parole, accompagnato dai
fantastici coretti di Campbell e Lynne, riesce a esprimere e trasmettere una
miscela di vari sentimenti: un capolavoro che non ha età!
Seguita subito da "I Won't Back Down", ormai celebre, che è accompagnata
dalla melodica chitarra piangente di George Harrison: sa subito farsi strada
nelle classifiche americane. Il sound risulta molto anni ottanta, e
soprattutto molto differente da ciò che di solito ci si aspetta da Petty,
ovvero una musica fortemente ispirata a Byrds, Beatles e Dylan. Aspetti che
si ritrovano leggermente in "Love Is A Long Road", che, infatti, se non
fosse stato per la tastiera, avrebbe benissimo potuto far parte del disco
"Into The Great Wide Open". Segue un altro nuovo esperimento che Tom sente
di dover fare: con "A Face In The Crowd", apre le danze alle sad-ballads,
canzoni intense da pelle d'oca, elettriche ma malinconiche, la cui
caratteristica è la sua epica ed emozionante voce, così dolce e triste allo
stesso tempo. Dalla malinconia si lascia posto al delirio più assoluto di
"Running Down A Dream", un hard rock assai potente, dal riff di chitarra
micidiale e dall'influente ritornello, che fa subito presa. Con il mega
assolo finale, da cui si può ancora una volta affermare l'importanza della
spalla destra del gruppo: Mike Campbell. Arriva il momento della chitarra
acustica con "Yer So Bad", semplice e preziosa, che sa incantare con le
vigorose pennate di plettro e parole di scherno.
“Mia sorella e' stata fortunata, ha sposato uno yuppy. Se l'e' preso visto
quanto valeva
Adesso lei e' una ninfomane e lui un cantante Non so cosa sia peggio e certo
non io, amore
Ho te a salvarmi, ah, sei cosi' cattiva! La cosa migliore che mi sia mai
capitata
In un mondo di matti sei cosi' cattiva!“
Una lode a parte va fatta a "All Right For Now", due minuti di poesia pura,
di brividi e sentimenti, rappresentata da un arpeggio d’acustica e la voce
di Tom che fa da strumento musicale, così appassionata e struggente. A
contrastare questo piccolo momento di magia capace di trasportarti lontano
dal mondo reale, c'è "A Mind With A Heart On Its Own", un riuscito e
divertente semi-gospel, con cori neri e tanto di reprise, che con un fading
introduce la chiusura del disco, "Zombie Zoo". Capolavoro. Uno dei tanti per
il buon Petty.
Into The Great Wide Open (1991)
“Mi sono messo in cammino su una strada sporca, solitario, il sole era
tramontato attraversavo la collina e la città illuminata, il mondo si era
fermato
Sto imparando a volare, ma non ho le ali e venire giù è la cosa più
difficile”
(Learning to fly)
L'album si apre con "Learning To Fly" e si parte alla grande! Brano
caratterizzato da un testo molto significativo e una parte strumentale
accattivante, solare come solo Petty sa fare. La successiva "Kings Highway"
è un altro grande pezzo d'ascoltare tutto d'un fiato! É il momento della
Title-Track "Into The Great Wide Open", melodia eccelsa, con un suono molto
ricco e d’ampio respiro. Una perla di rara bellezza. "Two Gunslingers" altra
gran bella canzone, e la qualità rimane alta e inalterata con le successive
"The Dark Of The Sun", "All Or Nothin", "All The Wrong Reasons" (perfetta
pop-song dal refrain easy), "Too Good To Be True", "You And I Will Meet
Again" (dove troviamo la presenza della Rickenbacker di Roger McGuinn),
"Built To Last".
Per finire "Out In The Cool" e "Makin' Some Noise" (grandi Rock song dal
suono abrasivo) Tutto il disco è un trionfo di chitarre e cori, da non
dimenticare poi la presenza come musicista e co-autore dell'ottimo Jeff
Lynne dell’Electric Light Orchestra.
Le rocce potrebbero sciogliersi ed il mare potrebbe bruciare. Sto imparando
a volare, ma non ho le ali. Qualcuno ha detto che la vita ti farà crollare,
ti spezzerà il cuore, ti ruberà la corona. Così mi sono incamminato, per Dio
sa dove, credo che lo saprò quando ci arriverò. Sto imparando a volare,
attorno alle nuvole, Ma ciò che va su deve anche tornare giù
(Learning to fly)
“Wildflowers” (1994)
“Soltanto una piccola costatazione: Petty ha realizzato il suo capolavoro
formale”
(Ercole Speranza, Poeta del Suono e dell’Immagine)
Il disco solista Wildflowers (Warner Bros, 1994), è un doppio, e si vocifera
che decine di canzoni siano rimaste inedite. La produzione è di Rick Rubin,
il quale si concentra sugli strumenti "organici", dai suoni vintage, come il
mellotron e l'harmonium, a rievocare i Beach Boys di Pet Sounds. Petty
coglie a piene mani dal suo canzoniere più intimista e acustico e regala
grandi emozioni. Si è detto che è un disco che affonda nell'amarezza della
mezza età, ma è proprio con quel rock adulto che riuscirà a sopravvivere e a
dare nuovi slancia ad una carriera ormai ventennale. Petty è un grande
tradizionalista della musica rock. Che non ha mia cercato di innovare la
formula ma di perpetuarne e consolidarne la tradizione. Se ciò che volete
sono sperimentalismi cercateli altrove. Qui troverete solo bella musica e
testi nostalgici. I riferimenti artistici si sono arricchiti delle sue doti
indiscusse di songwriter, e nel corso degli anni Tom ci ha così regalato
grandi canzoni, concerti indimenticabili, collaborazioni di lusso e album
divenuti classici. E' il caso di questo "Wildflowers". Epitome personale di
Petty che ne contiene i vari gusti musicali che hanno influenzato il suo
lavoro durante l'intera carriera. L'artista è qui colto in un brillante
momento creativo. Le interviste del periodo rivelano un uomo sereno, sicuro
e ottimista. La sua voce regala sempre emozioni, i musicisti suonano nelle
canzoni come se le avessero tatuate sulla pelle da sempre, e la produzione
di Rick Rubin è pulita. "Wildflowers" è un omaggio a tutti gli eroi di Petty
e gustando le quindici tracce del disco è facile intuire quali siano. Un
personale greatest hits delle passioni, un tuffo nei ricordi anni 60, quando
le radio trasmettevano musica sognante che invogliava un ragazzo a suonare
la chitarra e a formare un gruppo. "Wilflowers" è un'opera rassicurante sia
nelle sonorità che nei testi. Un piccolo classico ispirato dai classici. La
garbata title-track ricorda gli spunti acustici dei Beatles. “It’s good to
be king”, masterpiece d’eleganza formale e suoni voluttuosi con una bella
coda strumentale. "Only A Broken Heart" è un omaggio diretto all'amico
George Harrison, oltre ad entrare nel novero delle cose migliori scritte da
Petty. "Cabin Down Below" profuma di John Fogerty e "Crawling Back To You"
ha lo stile impeccabile dei Fleetwood Mac. Ogni tanto spuntano atmosfere
byrdsiane ("A Higher Place"), shuffle southern rock con chitarre alla Jimmy
Page ("House In The Woods") e atipici blues acustici ("Don't Fade On Me").
La presenza di Carl Wilson nella dura "Honey Bee" omaggia i Beach Boys, la
batteria discreta di Ringo Starr da un tocco skiffle alla dylaniana "To Find
A Friend" e "Time To Move On" viaggia nel tunnel dell'amore di Springsteen.
Un cenno a parte lo meritano la mossa "You Wreck Me", la dolcemente
pianistica "Wake Up Time" e "You Don't Know How It Feels", puro Petty-sound.
"Wildflowers" è un album eccellente, che si sistema elegantemente in un
piccolo angolo della storia del rock americano e ne riassume i contenuti di
un ventennio. Un'ennesima prova del fatto che la grande musica non nasce per
caso ma ha bisogno di radici vere per crescere. Un mazzo di quindici fiori
selvaggi destinati a durare per sempre.
“The last DJ” (2002)
Eccolo, l'ultimo DJ, trasmette quello che gli pare e dice quello che vuole.
Arriva la libertà di scelta, arriva l'ultima voce umana, arriva l'ultimo
DJ"; "così mentre celebriamo la mediocrità, i ragazzi al piano di sopra
vogliono capire, quanto pagherai per qualcosa che una volta era gratuito!”
Ingiustamente snobbato o attaccato dalla critica questo disco appare subito
come un lavoro compatto e lineare che ci da un Petty in ottimo spolvero, con
un grande utilizzo di archi e di un arredo sonoro sorprendente. Nostalgico e
retrò, ma mai artificioso. Con almeno tre perle assolute come Have Love Will
Travel, Dreamville e The Man Who Loves Women. Lavoro unico e senza
precedenti si staglia nella produzione di Petty e si avvicina
pericolosamente alle passate atmosfere anni sessanta ed oltre. Il sacro
fuoco del rock è con l’autore e le sue liriche ribelli fanno un attacco
frontale in campo aperto all’industria musicale. Coraggio e classe per un
grande autore di consolidata fama. Tom canta di questo ultimo DJ, come
l'ultimo paladino, l'ultima "Human Voice" che dice le cose come stanno e non
si abbassa alle leggi del mercato, dello showbusiness dicendo le cose che
vuole e suonando le cose che vuole. Concetto ribadito dalla notevole "Money
Becomes King" titolo già molto esplicativo, ci racconta di Johnny, che si
diverte a cantare e suonare e lo fa solo perchè ci crede, fino a quando
"manipolato" diventa un prodotto senza anima né cuore. E’ il momento della
tenera ed emozionante "Dreamville" che inizia con una grande melodia di
pianoforte che dà i brividi per intensità e armonia, forte di arrangiamenti
sinfonici anni sessanta alla Spector/Orbison, cupi e melodrammatici. Tom
canta l'innocenza che non c’è più in quel suo mondo che oggi non ritrova
più. "Lost Children" inizia con un riff in pieno stile settanta e si
trasforma in una ballata acida, qui il testo è una preghiera per tutti i
ragazzi in qualsiasi modo persi, con la speranza che possano ritrovare la
propria strada. Fortunatamente la tristezza che finora è stata protagonista
dell'album lascia spazio alla melodia e alle ritmiche più solari Rock e
Folk. Ci sono pezzi più "leggeri" come la dylaniana "You And Me"
impreziosita dall’ottimo dialogo tra pennate di acustica ed il
pregevolissimo lavoro di tastiere. La bellissima "The Man Who Loves Women"
ballata byrdsiana/beatlesiana dal ritmo coinvolgente, inizia con il suono di
un Banjo che si fa sempre più alto fino a quando lascia spazio alla
chitarra. Le seguenti due canzoni hanno il classico suono della Rickenbacker
di Tom Petty. Se stimate Tom Petty questo disco è decisamene consigliato in
quanto alterna momenti facili a momenti più introspettivi. Malinconia e
tristezza con una discreta dose di rabbia e d’energia elettrica.
“Mudcrutch” (2008)
Tom Petty, decide di dare un'opportunità ai suoi amici d'infanzia e incide
con i Mudcrutch un Cd, il primo della band, che esce a più di 30 anni dalla
separazione. E se questo non è essere un uomo dal grande cuore? Dopo una
piccola tournèe tutta sold out è finalmente uscito “Mudcrutch”. L'attesa è
stata lunga, ma n’è valsa la pena, questo è un gran disco! Le influenze di
Tom sono impiantate fino alle radici delle canzoni. Alcuni brani sono vecchi
pezzi del gruppo, ri-arrangiati un'ora prima dalla registrazione mentre
altre sono canzoni scritte da ognuno dei componenti nel corso degli anni.
Apre "Shade Gorve", chiaro segno che la band è carica e gira bene.
Tom Petty riprende in mano il basso, dopo l'avventura dei Traveling
Wilburys, dando sfogo al suo talento con fantastico Rickenbacker. Petty da
spazio alla voce di Tom Leadel. La canzone che spicca di più è "Scare Easy”.
In puro stile Heartbreakers, con la voce di Petty in grande spolvero, tanto
da far venire la pelle d'oca al primo ascolto. Tutto il disco è comunque
ottimo, si tocca il country rock con "Orphan Of The Storm" e "Queen Of The
Go-Go Girls", passando per il classico rock'n'roll in Six Days On The Road e
la fantastica melodia dei Byrds ripresa con il sound di oggi, "Lover Of The
Bayou”. Tom canta in stile Dylan e la chitarra di Campbell esegue un mega
assolo molto simile a quello di "One More Day, One More Night" da "Echo".
Semplici e geniali riff di chitarra caratterizzano ogni canzone, i fraseggi
di "Topanga Cowgirl" e "Bootleg Flyer", alternati con brani più rilassanti,
come la dolce "Oh, Maria” o “Crystal River" con una interessante parte
strumentale. Ottima prova dei Mudcrutch. Tom Petty dimostra ancora una volta
la sua sensibilità immensa. Il Nostro non ha deciso di fare un supergruppo,
come capita a tanti rocker annoiati. Al tempo i Mudcrutch riuscirono ad
incidere solo un paio di singoli, così Petty ha deciso di dare alla band
quell'occasione che non ha mai avuto: insieme a Campbell e Tench ha
ricontattato Tom Leadon e Randall Marsh, ha ripreso in mano il basso ed
eccoci qua. Con uno dei suoi più bei dischi da anni. C'è anche spazio per i
comprimari, ma è sempre il vecchio leone biondo a dominare la scena, insieme
alle chitarre di Mike Campbell. Insomma: un piccolo grande gioiello, in cui
forse non tutto luccica come le gemme appena citate, ma che suona spontaneo,
anche nei brani più superflui (lo strumentale “June apple”) o quando è
Leadon a cantare (“This a good street”). Nonostante gli anni iniziano a
farsi sentire Tom mantiene la sua energia pur somigliando al nipote
(s)pettynato di Willie Nelson.
Unchained di Johnny Cash (1996)
Nel ’96 Tom Petty suona e registra su "Unchained", di Johnny Cash, coi suoi
fidi Heartbreakers. Disco meraviglioso dove brillano una grande
riproposizione di “Southern Accents”, la struggente “Rusty cage” dei
Soundgarden, “Solitary man” in una versione calda e squillante e un
evergreen del country quale “Sea of Heartbreak”, semplicemente un piccolo
capolavoro, per un grande album. La voce di Cash si erge titanica su tutto,
dipingendo grintosi scenari di perdizione, mentre Tom e i suoi si ritagliano
piccoli spazi per far brillare maggiormente la voce baritonale del vecchio
combattente Man in Black.
Petty e Dylan (1985-1992)
"Bob Dylan influenced absolutely everything" (Tom Petty)
Il sodalizio fra Tom Petty & The Heartbreakers e Bob Dylan, inizia nel 1985;
per poi avere un degno finale la sera del 16 Ottobre 1992 durante il gran
raduno per celebrare i trenta anni di carriera del cantautore più importante
d’America.
Dylan impiega una parte degli Heartbreakers durante le sessioni di “Empire
Burlesque” (85), un lavoro notevolmente discusso e con troppa facilità
snobbato dalla critica. Nello stesso anno si esibisce sempre con Petty e i
suoi nel concerto Farm Aid, la risposta americana al Live Aid, su iniziativa
di Willie Nelson che secondo la leggenda raccolse la proposta di un polemico
Dylan che mentre tutti si curavano di essere politicamente corretti e
schierarsi in difesa dei deboli del continente nero, non ebbe timore a
manifestare il disinteresse della stampa e delle istituzioni verso il
proletariato agricolo a stelle e strisce. Fra Dylan e Petty s’istaurò una
gran collaborazione. Il 5 febbraio 86 partì il tour mondiale di Bob Dylan,
Petty & The Heartbreakers, attraverso Giappone, Australia, Europa e Stati
Uniti. Gli Heartbreakers verranno ricordati come la migliore band
d’accompagnamento di Dylan, seconda solo ai The Band. Il tutto si può
ascoltare sul video“Hard to handle”, che a mio avviso contiene una delle più
belle rese di “Knockin ’on heavens door” e altre ottime versioni di Just
like a woman, Lenny Bruce e Like a Rolling Stone. Petty e i suoi dimostrano
di essere all’altezza e in alcuni episodi quasi oscurano la stella Dylan,
che come afferma nella sua autobiografia “Tom stava dando il meglio di se,
mentre io davo il peggio, la gente veniva ai concerti più per loro che per
me” Ovviamente non è vero, ma questo sta a testimoniare che Petty e la sua
band non sono una comune e collaudata backing band, ma una micidiale
macchina da battaglia, seconda forse solo alla E Street Band. Il sound della
band capitanata da Dylan e Petty sembra un magnifico carrozzone
sferragliato, un Mistery Train che conduce alla redenzione e alla vera fonte
del Rock! Sempre nell’86 Dylan convoca la band in sala d’incisione per
prendere parte alle sedute di “Knocked Out Loaded”. Risultato altalenante
per uno dei dischi meno amati dai fan e dalla critica. Dylan e Petty
scrivono insieme due brani “Got my mind made up” e "Jammin' Me".
Nell’87 ancora un tour che stavolta tocca anche Israele e che nelle date
americane ed europee vedrà salire sul palco gente del calibro di Al Kooper,
Roger Mc Guinn e Mark Knopfler.
Dylan loda i suoi compagni di tour con questa affermazione “gli
Heartbreakers sono come una persona sola”
Nel 1988 Dylan insieme a Petty, George Harrison, Jeff Lynne (celebre
produttore e membro della Electric Light Orchestra) e il leggendario Roy
Orbison formano la super band dei Traveling Wilburys, che darà alla luce due
strepitosi lavori. Nel primo album la stratosferica Tweeter and Monkey Man,
scritta da Petty e Dylan in cucina tra una chiacchiera e l’altra. Si
segnalano anche Dirty World, Congratulations, Last Night e Margarita. Questo
disco è una delle cose migliori del Dylan anni ottanta. Nel 1990 la band,
orfana di Roy Orbison proverà a bissare il successo con risultati
altalenanti. Ricordiamo almeno i brani She's My Baby e If You Belonged To
Me.
Nel 92 al “The 30th Anniversary Concert Celebration”, Petty e suoi fidi
compagni riescono ad oscurare le molte stelle presenti con una “License to
kill”, meravigliosa e valida quasi quanto l’originale dylaniana e “Rainy day
woman”, pungente e adrenalinica. In Mr. Tambourine Man duetta col maestro
Roger Mc Guinn, mentre per My back pages, viene assemblata una superband che
comprende Dylan, Clapton, Petty, Neil Young, Roger Mc Guinn e George
Harrison in una versione byrdsiana del celebre brano. Finale epico con una
collettiva e maestosa resa di Knockin ’ on heavens door, per una serata
indimenticabile e che resterà a lungo negli annali.
Runnin ‘ Down A Dream: Tom Petty e il cinema
Nel 1996 fa una brevissima comparsata in Kingpin, un film dei fratelli
Farrelly: i celebri autori di “Tutti pazzi per Mary” e “Io me e Irene”, con
uno strepitoso Woody Harrelson e una colonna sonora da riscoprire.
Nel 97 Petty partecipa al film di Kevin Costner “The Postman”, storia di
un'America devastata da un conflitto nucleare, di un solitario ex attore che
indossa la giacca di un postino morto, e sì autopromuove portalettere per
distribuire la corrispondenza abbandonata prima della guerra. Un ibrido tra
Mad Max di Miller e Alba rossa di Milius, seminato di metafore e impregnato
di patriottismo. Petty interpreta con ironia e misura un sindaco di una
comunità montana.
Cameron Crowe, talentuoso regista e celebre critico musicale “enfant
prodige”, ha invece celebrato le canzoni di Petty, in molti suoi film, su
tutti “Jerry Maguire” ed “Elizabethtown”. Petty ha poi realizzato la colonna
sonora del film She 's The One (1996) diretto da Edward Burns, interessante
storia d’amori di famiglie e d’altre catastrofi.
Nel 2007 Peter Bogdanovich, regista di ottimi film quali “Paper Moon”, “Ma
papà ti manda sola”, “Dietro la maschera” (The Mask) e soprattutto “L’ultimo
spettacolo”, realizza il documentario sulla vicenda artistica di Tom Petty &
Heartbreakers, dal titolo “Runnin ‘ Down A Dream”. Questa monumentale opera,
(tre Dvd e un Cd) testimonia il valore e la longevità dell'epopea
trentennale di Tom Petty. La storia di Tom e della sua band, è prima di
tutto la vicenda di un riscatto dalla cappa soffocante della provincia
americana: cronaca di un gruppo di adolescenti che mettono in piedi una
r'n'r band quasi obbedendo a un inconscio istinto di sopravvivenza che li
obbliga a mettere quanti più chilometri possibile tra loro e i pomeriggi
sonnacchiosi di un piccolo paese, le possibilità lavorative che non ci sono,
i bigottismi del sud. "Qualcuno era già arrivato da Lubbock, Texas. Qualcun
Altro da Hibbing, Minnesota, o Ferriday, Louisiana". Tom Petty, scappa da
Gainesville per incidere chirurgicamente sulla storia del rock'n'roll dal
1976 ad oggi. Secondo Drakoulias, "le storie che avevo sentito raccontare da
Tom e gli altri su Gainesville mi avevano sempre rammentato quel mondo
fotografato così bene da Bogdanovich nell'Ultimo Spettacolo. Visionando più
di 300 ore di materiali filmati, in fase di montaggio, persuasi
dell'impossibilità di ridurre la montagna di pellicola assemblata,
Drakoulias e Bogdanovich istruiscono i montatori affinché non stralcino
nessuna delle sezioni più interessanti del lavoro, che raggiunge la durata
di tre ore e mezzo. Viene presentato al New York Film Festival ed è oggi
disponibile in dvd. Si tratta di un lavoro molto interessante per tutti i
fan di Petty e del rock in generale, che vi troveranno tutte le informazioni
e curiosità circa il loro idolo. C’è molta nostalgia nell’apprendere di un
Petty bambino che vede in tv Beatles e Stones e sogna da subito l'evasione
dalle pastoie della cittadina natale. Siamo nella formula interviste /
materiali di catalogo (quelli che gli americani chiamano archival footage) /
spezzoni live. Dalla collaborazione con Bob Dylan (con le note, devastanti
versioni dal vivo di Maggie 's Farm, Knockin ' On Heaven 's Door e Like A
Rolling Stone) Si dà ampio spazio a questa collaborazione del biennio
1986/87, giudicata da tutti i membri della band come il momento chiave di
una svolta in termini di maturità artistica e capacità compositive. Si passa
all'avventura dei Travelling Wilburys fino al ruolo di backup band per
Johnny Cash, dalle vicissitudini personali (l'incendio della casa di Petty
negli anni '80, le controversie con le case discografiche di fine '70, la
morte improvvisa, nel 2003, del bassista Howie Epstein, sostituto
dell'originario Ron Blair), per indicare Petty tra i più grandi musicisti
americani di sempre. Non c'è il tentativo di trasformare la figura di Petty
in un santino da celebrare: le immagini non fanno nulla per celare
l'asprezza proverbiale del suo carattere, i modi individualisti e
autoritari. Quando si arriva alla descrizione dell'addio sofferto di un
drummer incredibile come Stan Lynch (poi rimpiazzato dall'altrettanto valido
Steve Ferrone), le motivazioni del batterista e quelle di Petty ottengono lo
stesso spazio. Colpisce più d’ogni altra cosa, l'incrollabile fiducia di
Petty nelle proprie idee, è lo spirito da music-fan dell'artista e la
disciplina straordinaria del suo lavoro. Il primo è quello che lo porta, in
studio con Roger McGuinn nel periodo di Back From Rio ('90), a mandare al
diavolo l'A&R della casa discografica che vuol far cantare all'ex-leader dei
Byrds una canzone indegna del suo passato. "Questo è l'uomo di Turn! Turn!
Turn!", esclama Petty all'esterrefatto discografico. "Come vi permettete di
proporgli questa immondizia? Quest'uomo ha scritto grandi canzoni..." (e
dopo McGuinn lo definisce "il mio eroe" perché l' ha spinto a rifiutare la
passività della situazione e a ricordarsi che su quel disco ci sarebbe pur
sempre stato il proprio nome). A 56 anni, Petty continua a tenere grandi
concerti come quello immortalato nel terzo dvd del box: 21 settembre 2006,
O' Connel Center, University Of Florida, serata per il trentennale degli
Heartbreakers, Petty, Mike Campbell (ancora oggi uno dei tre migliori
chitarristi in circolazione), il polistrumentista Scott Thurston, Tench,
Ferrone e il ritrovato Blair, per l'occasione accompagnati da Stevie Nicks,
di nuovo in forma come ragazzini, al servizio del pubblico e del suo diritto
di assistere a un grande show. Ascoltate gli assoli interminabili e i cambi
di tempo di una tumultuosa It's Good To Be King, lasciatevi scombussolare
dall'onda psichedelica di una Don't Come Around Here No More mai così feroce
e improvvisata, sentite il gruppo digrignare denti e chitarre per affrontare
una sconvolgente Mystic Eyes di Van Morrison, per non dire del gran finale
di una American Girl a rotta di collo, significa entrare nelle pieghe più
recondite, eppure sempre cruciali, di un lavoro fatto di pathos ed etica, di
passione violenta, dove le melodie di Byrds e Beatles incrociano la ruggine
delle garage-bands sudiste di fine anni '60 e la canzone rock di Bob Dylan
corre selvaggia sul viscerale tragitto di Stones e Animals.
Seguendo il cuore piuttosto che l'interesse. Certo, vedere la pelle del viso
di Tom Petty, invecchiata è un tonfo al cuore. Ma i suoi occhi sono ancora
quelli del ragazzino che scoprì la sua promessa di Redenzione nei quattro
accordi del rock'n'roll. In fuga da Gainesville, proiettato fino a noi.
Outside it's America!
Un (mancato) Byrds fuori dal tempo
Il torto di Tom Petty è solamente quello di essere nato 15 anni troppo tardi
, nel momento che tutto era finito , il jingle-jangle sound era già entrato
nella storia e nella leggenda con i Byrds , gli Heartbreakers, senza dubbio
collettivo migliore dei Byrds dal punto di vista della coralità musicale, si
pensi allo stile ritmico molto più raffinato di Stan Lynch, ma anche
all’amalgama che gli Heartbreakers raggiungono nella loro dimensione live,
secondi solo alla E Street band e ai The Band, e forse nemmeno… Agli
Heartbreakers sono mancati gli spiriti geniali che hanno ingigantito il mito
Byrds , gente come Gram Parson , David Crosby , Chris Hillman , Skip Battin
, Gene Clark , Gene Parson .Petty e gli Heartbreakers hanno il demerito di
essere stati troppi soli, senza innesti di nuove menti come è successo per i
Byrds. Petty è l’unico vero compositore degli Heartbreakers, che rimangono
la backing band perfetta dal punto di vista sonoro, difficile raggiungere la
loro perfezione , ma manca loro lo spunto per diventare grandi , adulti ,
essere se stessi , saranno invece sempre la bella copia di qualcos’altro.
Petty, grande artista limitato dal fatto di essere fuori quota, fosse stato
protagonista degli anni 60’ invece dei 70’ sarebbe stato considerato un
mostro sacro del folk-rock. Costretto a vivere all’ombra di McGuinn e Dylan,
ne ha ricalcato le orme in modo superlativo, ma l’originalità rimane a
McGuinn e Dylan, Petty regge il paragone in maniera perfetta, ma sarà sempre
considerato un clone invece di un leader.
Il romanticismo di Petty, un poeta del proletariato
La forza e l’energia della sua musica sono indiscutibili, come del resto la
raffinata semplicità delle sue ballate, il vero punto forte della produzione
sonora del Nostro Tom. Trenta anni di successo e di strada percorsa sotto la
migliore tradizione del mainstream rock Un personaggio controcorrente,
autentico ribelle, capace di assolute battaglie legali e umane, come quando
non soddisfatto della produzione di un suo disco diede un pugno al muro e
non poté suonare per otto mesi la chitarra. Romanticismo e cocciutaggine da
autentico rocker di barricata. Come quando racconta ci narra di giovani
personaggi imprigionati in un sogno di speranza e comunione e di amori non
corrisposti fatti di sudore, nervi e rabbia, che ti aiutano a resistere,
mentre la tormenta li investe e non ci sono rifugi nelle vicinanze. E quando
il suo motto, sprezzante inno di sopravvivenza si riduce ad un acre, “meglio
tirare a campare che tirare le cuoia” mentre le chitarre sferragliano come
un treno di forzati diretti alla prigione di Yuma…
Conclusione
Ingiustamente sottostimato e sempre paragonato a Springsteen, Dylan o Mc
Guinn, confronti che possono solo danneggiare anche un grande artista, e
Petty è un grandissimo artista da rivalutare. Soprattutto in Italia, mentre
negli USA è spesso finito sulle copertine di Rolling Stone o agli onori
della critica di settore cui non sono mai sfuggite le sue mirabili imprese
discografiche e concertistiche. In un universo caratterizzato da ingiustizia
e vacuità, la voce e lo stile di Tom Petty si stagliano forti come un grido
disperato di umanità e rispetto. Da antologia è la sequenza di “Jerry
Maguire” di Cameron Crowe, dove un Tom Cruise in fase di down morale, alla
guida della sua auto cerca una canzone adatta al suo stato d’animo, trova un
pezzo degli Stones e prova a cantargli dietro, ma sono troppo “duri e
sessuali” per quel contesto, e lui ha bisogno di un canto liberatorio e
catartico, cambia frequenza e appena riconosce la voce di Petty, intona il
suo grido di rabbia e dolore. “Free Fallin”, ovviamente da “Full Moon
Fever”…
Ascoltate un brano come “Like a Diamond”, “Only a broken heart” o “Southern
Accents”, e lasciatevi cullare dai ricordi delle labbra della vostra ex e
capirete che ascoltare Petty oggi equivale ad indossare un talismano o una
sciarpa lenitiva in una notte d’inverno. Un grande artista di cui tutti
abbiamo bisogno. Con un piede nella fossa e uno sul pedale, quest’uomo è
nato ribelle, è nato per suonare rock.
Tom Petty è il Cantore dell’America e di quel sogno dove la Redenzione si
può anche trovare in una canzone di tre minuti!
Discografia essenziale e voti
Tom Petty & The Heartbreakers , 7 e ½ You're Gonna Get It , 7
Damn The Torpedoes , 9
Hard Promises, 7
Long After Dark, 7
Southern Accents, 8
Let Me Up, 7
Full Moon Fever, 9
Into The Great Wide Open , 8
Wildflowers , 9 e ½ She's The One, 7
Echo , 7
The last DJ 8 e ½
Highway Companion 8
Mudcruth 8
Ringrazio gli amici di Debaser per la consulenza e le informazioni sulle
recensioni degli album e per la ricerca dei materiali documentativi; il mio
amico Paolo per avermi fornito la discografia completa di Tom Petty e
ovviamente il grande Mr Tambourine, maestro di pazienza e di rara umanità in
questo mondo devastato dal disinteresse!
E mi scuso con i lettori della Farm per essermi dilungato tanto senza
evitare il pistolotto sul romanticismo irlandese in un’epoca che fa di tutto
per estinguerlo. (This is for you, M.)
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