|
L'inizio fu la ricerca di un nuovo suono da parte di Bob Dylan per
realizzare l'album "Blonde on blonde" , e poi............
come per tutta la musica rock e
per ciò che poi ne è seguito, le radici del progressive rock vanno
sempre ricercate in uno dei due gruppi che, ognuno in maniera diversa,
hanno dato origine ad un vero e proprio terremoto nella musica
contemporanea, ovvero Beatles
e Rolling Stones.
Il progressive rock si innesta nel
filone dei Beatles,
non i Beatles “elviseggianti” della prima ora, ma quelli più maturi e
litigiosi della fine della loro brevissima storia. E’ incredibile
pensare a ciò che hanno sovvertito in campo musicale i
Beatles in appena 7
anni di carriera (il primo album è “Please Please Me” del 1963 e
l’ultimo “Let it be” del 1970).
La svolta verso tematiche che
ritroveremo poi nel
progressive rock si ha però a cavallo tra il 1966 ed il
1967, grazie soprattutto alla vena melodica ed intimista di
Paul McCartney.
E’ difficile oggi non individuare
in brani come “Eleanor Rigby”
(Revolver - 1966), “A
Day in the life” (Sgt. Pepper's
Lonely Hearts Club Band - 1967)
“Penny Lane” e
“Strawberry fields forever”
(Magical Mystery Tour – 1967),
“Because” (Abbey
Road – 1969), “Let it be”
e “The Long and Winding Road”
(Let It Be – 1970) l’embrione di quello che diverrà poi il
progressive.
Parallelamente, sulla scena
inglese, negli stessi anni, altri gruppi sperimentano un nuovo modo di
fare rock che esce dagli schemi dei soliti quattro accordi, seppur
magistralmente combinati tra loro, per attingere alla tradizione della
cultura musicale europea.
Ecco allora che da Birmingham
arrivano i Moody Blues
(biografia
e
discografia), in origine poco fortunata band
di Rhythm and Blues, ma che nel 1966, con l’album
Days of Future Passed,
che conteneva anche la celeberrima
“Nights in white satin”,
dà un’improvvisa sterzata verso composizioni più elaborate e
musicalmente complesse. I
Moody Blues hanno tra l’altro il grande merito di
introdurre per primi nella musica rock l’uso del
mellotron.
Il mellotron era in verità già
stato utilizzato sia dai
Beatles in
“Strawberry Fields Forever” e in
“I Am the Walrus” (Magical
Mystery Tour – 1967) che dai
Rolling Stones in
“She's a Rainbow”
(Their Satanic Majesties Request – 1967), ma mai in maniera così
continua e caratterizzante.
Altro gruppo fondamentale in
questa svolta della musica rock, sono i
Procol Harum (biografia
e
discografia), del pianista e cantante
Gary Brooker, del
tastierista Matthew Fisher
e del chitarrista Robin
Trower, che, sempre nel 1967, con il singolo di esordio
“A Whiter Shade of Pale”,
raggiungono il primo posto nella hit inglese e vi rimangono per sei
settimane. Quel brano, vagamente ispirato dall’Aria sulla quarta corda
dalla Suite n. 3 in sol maggiore di Johann Sebastian Bach,
caratterizzato da maestosi e struggenti suoni dell’organo Hammond, altro
grande protagonista della musica progressive, scala le classifiche di
mezzo mondo vendendo oltre sei milioni di copie, un’enormità per quegli
anni.
I
Procol Harum
introducono altre novità rivoluzionarie per l’epoca: sono il primo
gruppo ad avere contemporaneamente in formazione un organista ed un
pianista, i primi a comporre una suite interamente strumentale come
”Repent Walpurgis”,
pubblicato da noi – chissà perché – con il titolo di
“Fortuna” (Procol
Harum – 1967), i primi ad utilizzare suoni ambientali come parte
integrante di un brano in “A
Salty Dog” (A Salty Dog – 1969) nel quale si
possono udire il fischio di un nocchiere, le grida dei gabbiani ed il
rumore della risacca sullo sfondo, particolarità queste che ritroveremo
poi successivamente in molti album dei
Pink Floyd.
Provenendo dal folk convergono
verso le stesse atmosfere gruppi totalmente differenti come gli
Amazing Blondel ed i Jethro Tull.
Gli
Amazing Blondel (biografia
e
discografia) sono uno dei gruppi più originali
ed insoliti del panorama rock di tutti i tempi. Il nome stesso, che
deriva da quello del leggendario menestrello di Re Riccardo “Cuor di
Leone”, fa intuire come il trio si ispiri alla musica di stile
medievale. La strumentazione è altrettanto inusuale includendo, tra gli
altri, anche liuto, ocarina, cornamusa, harmonium ed oboe. Nel 1971
incidono l’album “Fantasia
Lindum” che contiene anche l’omonima leggendaria suite
della durata di oltre venti minuti. Sebbene i brani, per via della
strumentazione, appaiano ripetitivi, le atmosfere che riescono a creare
sono realmente magiche.
“England”, del 1972, è probabilmente l’album più
significativo inciso dagli
Amazing Blondel nella loro breve storia.
Dal folk arrivano anche i più
famosi Jethro Tull
(biografia
e
discografia) dell’istrionico flautista
folletto Ian Anderson,
tanto popolari tra il pubblico, quanto osteggiati dalla critica. La loro
musica è una miscela di hardrock, blues, melodie folk tradizionali,
brani classici rivisitati ed attualizzati, un esempio tra tutti
“Bouree” tratto
dall’omonima composizione di Johann Sebastian Bach (Stand Up –
1969).
Sia gli
Amazing Blondel che i
Jethro Tull
introducono per primi l’uso ricorrente del flauto traverso come
strumento solistico.
A Manchester, nel 1968, l’incontro
tra il batterista Chris Judge
Smith, il visionario cantante e compositore
Peter Hammill ed il
tastierista Nick Peame
da vita ai Van Der Graaf
Generator. I testi oscuri ed esistenziali di
Hammill ben si
adattano alla musica sperimentale, jazzisticamente ispirata, degli altri
componenti, che si concretizza nel loro indiscusso capolavoro
“Pawn Hearts” del
1971.
Nel 1967, sulla scena londinese,
debuttano The Nice,
gruppo che suonerà solo per 3 anni, ma che ha il grande merito di
costruire un ponte tra il pop
psichedelico e ciò che diventerà il
progressive rock.
Della formazione fa parte anche
Keith Emerson,
tastierista eclettico ed egocentrico, dotato di una mostruosa tecnica
strumentale e di un altrettanto mostruoso assolutismo e gusto per la
provocazione. L’organista attira l’attenzione della critica e del
pubblico in performances “Hendrixiane” pugnalando la tastiera o
simulando amplessi sul palco con il proprio organo Hammond, bruciando
amplificatori ed altri oggetti, inclusa una bandiera americana durante
un concerto alla Royal Albert Hall, sfiorando l’incidente diplomatico.
La musica di The Nice
è un misto di rock, musica classica, jazz tradizionale e fusion che si
concretizza nel loro secondo album
“Ars Longa Vita Brevis”,
del 1968, nel quale spicca l’omonima suite per gruppo e orchestra che
occupa l’intera seconda facciata e che si ispira ai Concerti
Brandeburghesi di Bach, riprendendo anche la Suite Karelia di Jean
Sibelius.
Nel frattempo, a Canterbury, nel
1966, il batterista Robert
Wyatt ed il bassista e cantante
Kevin Ayers, fondano,
assieme al tastierista Mike
Ratledge ed al chitarrista australiano
Daevid Allen il
gruppo dei Soft Machine.
Le liriche surreali e le complesse architetture armoniche di ispirazione
jazz-pop
appaiono del tutto rivoluzionarie per l’epoca. Già dal secondo album (Vol.
2 - 1969), l’impronta musicale
jazz-rock prende il
sopravvento sui testi e sulle parti cantate che diventano accessorie, i
brani appaiono onirici e quasi inaccessibili. L’album successivo (Soft
Machine Third – 1970) vede l’introduzione nella formazione di una
sezione di fiati ed è considerato l’archetipo sia del
progressive rock che
del jazz-rock.
Tutto questo fermento concentrato
in pochissimi anni, questa continua ricerca di nuove vie, di
contaminazioni, di esperimenti, doveva sfociare per forza in qualche
cosa di innovativo, di “mai sentito prima” nel panorama rock mondiale.
Nell’estate sempre del 1967 il
batterista Michael Giles
e suo fratello Peter,
bassista, veterani delle scene rock minori inglesi, contattano
Robert Fripp che,
dopo aver militato in piccole formazioni locali, suona la chitarra in
una piccola orchestra in un hotel. Formano un gruppo e superano un
provino alla Decca Records che consente loro di incidere un album,
The Cheerful Insanity of
Giles, Giles & Fripp, una strana mistura di jazz, musica
psichedelica, ballate e humor demenziale che passa praticamente
inosservato.
Peter Giles,
entusiasta comunque del progetto, contatta anche
Julie Dyble, ex
cantante dei Fairport
Convention ed il polistrumentista
Ian McDonald con i
quali vengono incisi alcuni brani. Mentre
Julie Dyble abbandona
ben presto il gruppo, Ian
McDonald si trova a suo agio in questo melting pot
di idee e chiama anche un suo amico, il poeta visionario
Peter Sinfield. Il
sound del gruppo si affina sempre più, grazie anche all’utilizzo del
mellotron. Nel 1968 Peter
Giles decide di abbandonare la carriera ed abbandona il
gruppo e Fripp
propone agli altri di sostituirlo con un suo vecchio amico, bassista e
cantante, Greg Lake.
Il nome del gruppo “Giles,
Giles & Fripp” è oramai inadeguato e la fantasia di
Sinfield ne
concepisce un nuovo, quello di
King Crimson (
biografia e
discografia).
E’ il 1969 e viene pubblicato
“In the Court of the Crimson
King” (recensione):
è nato il Progressive.
La strumentazione e la scena
La ricerca di un suono quanto più
vicino alla musica sinfonica e medievale, porta i gruppi
Progressive
all’assimilazione di una nuova strumentazione o alla riscoperta di
strumenti tradizionali, ma estranei fino ad allora al palcoscenico rock.
Inizialmente vengono introdotti
nelle formazioni il flauto traverso ed il violino, ne sono un esempio le
prime composizioni dei King
Crimson, dei
Genesis e, in Italia, della
PFM, alle volte anche
strumenti meno usuali come cornamusa, harmonium ed oboe,
ma la grande mancanza sono le sezioni strumentali, tanto che in alcuni
casi vengono ingaggiate delle vere e proprie orchestre.
Il punto di svolta si ha con
l’introduzione del
mellotron, strumento tanto semplice quanto geniale.
Il mellotron
è una tastiera, generalmente di tre ottave, in cui ogni tasto aziona
la testina di un registratore ad esso collegato. Sul nastro possono
essere incisi dei suoni e quindi violini, viole, strumenti a fiato,
ma anche intere sezioni di strumenti ad arco o a fiato, cori,
rumori, ogni nastro può contenere sino a tre tracce differenti
lunghe 8 secondi ciascuna. Rilasciato il tasto, il nastro si
riavvolge automaticamente ed è pronto per una nuova esecuzione. Il
musicista, agendo appunto sui tasti, di fatto attiva una testina di
un registratore facendo emettere allo strumento il suono che è
presente sul nastro. |
Mellotron |
Ecco dunque che le formazioni
possono allargare la propria strumentazione all’infinito, aggiungendo ai
brani quelle atmosfere tipicamente sinfoniche o etniche che erano loro
precluse, soprattutto nelle esecuzioni live.
Grande importanza in questo sound
innovativo riveste l’organo e la scelta dei gruppi cade quasi sempre
sull’Hammond,
soprattutto sui modelli B3,
C3 e
L100, per il
particolarissimo suono aspirato.
L’Hammond
ha due tastiere sovrapposte da 61 chiavi ed una pedaliera di 25
chiavi basse. Una caratteristica unica che contraddistingue gli
organi Hammond
da tutti gli altri è la presenza sulla console di nove tiranti a
stantuffo ciascuno impostabile su altrettante posizioni diverse,
che, combinandosi tra loro, permettono al musicista di variare
all’infinito le tonalità ed il volume dello strumento. In simbiosi
con l’organo Hammond
vi sono quasi sempre i diffusori della Leslie che, grazie ad un
congegno elettromeccanico che convoglia il suono in un condotto
elicoidale, genera un tremolo del tutto particolare. |
Organo
Hammond C3 |
Note gravi e note acute vengono
dapprima filtrate e poi indirizzate verso due distinti rotori, che
girano a velocità disuguali, creando così una modulazione sonora sempre
differente. Il Leslie 122
ed il Leslie 142
sono i modelli più famosi e generano un suono morbido e rotondo, quello
che si ascolta nelle esecuzioni di
Richard Wright dei
Pink Floyd.
Il Leslie 147
ed il Leslie 145
producono un suono più aspro e duro, quello preferito ad esempio da
Jon Lord dei
Deep Purple.
Altro strumento innovativo che
trova spazio nelle esecuzioni
Progressive è il
Mini-Moog,
progenitore del
Sintetizzatore, strumento totalmente elettronico
costituito da oscillatori, generatori d'inviluppo, mixer e filtri,
una console piena di interruttori e manopole che regolano ogni
aspetto del suono generato ed una tastiera a tre ottave e mezza. il
Mini-Moog,
con la sua possibilità di modulare il suono da nota a nota, consente
per la prima volta al tastierista di “svisare”, ovvero di passare da
una nota alla successiva attraverso le “non-note” dei suoni
intermedi, possibilità fino ad ora riservata agli strumenti a corda,
chitarra in testa a tutti. |
Mellotron con
Mini-Moog |
Sostanzialmente i modelli di
chitarra più usati dai chitarristi
Progressive sono
due: la Fender
Stratocaster e la
Gibson Les Paul
,
anche nel suo modello
Custom, amplificate dai giganteschi
Marshall o dai
piccoli Vox AC30.
La scelta dello strumento è realizzata dal chitarrista in funzione
della propria sensibilità, del genere di musica che ama suonare,
della maneggevolezza del manico, della leggerezza o durezza
dell’accordatura, della sonorità che vuole raggiungere.
Le
Gibson Les Paul
dal suono più caldo e armonico sono le preferite, ma anche le
Fender Statocaster
dal suono più chiaro e preciso hanno i loro estimatori.
Tra i chitarristi pro-Gibson
si annoverano, tra gli altri,
Robert Fripp dei
King Crimson,
Gary Green
dei Gentle Giant,
Steve Hackett
dei Genesis,
Martin Barre
dei Jethro Tull,
Steve Howe
degli Yes,
tra i pro-Fender David
Gilmour dei
Pink Floyd,
Robin Trower
dei Procol Harum.
Altri chitarristi si alternano indifferentemente dall’una all’altra:
è il caso di Andy Latimer
dei Camel.
|
Fender Stratocaster
Gibson Les Paul Custom |
La ricerca di sonorità complesse
fa sì che, davanti al chitarrista, appaiano pedaliere di tutti i tipi:
dal substain per allungare la vibrazione della corda, ai controlli del
volume e della tonalità, ai distorsori, all’E-bow,
strumento elettronico che agisce su una singola nota, la fa vibrare e la
sostiene e consente al chitarrista di ottenere suoni simili a quelli di
un violino o di un flauto o atmosfere eteree ed impalpabili.
Quella che tradizionalmente è
la sezione ritmica, basso e batteria, nel
Progressive
subisce un’impressionante evoluzione. Le complesse tessiture ed i
cambi repentini di tempo esaltano le doti degli strumentisti
chiamati per la prima volta anche a vere e proprie esecuzioni
solistiche al pari di tutti gli altri membri del gruppo. Tra gli
strumenti assume una buona popolarità il basso
Rickenbacker dal
suono secco e metallico usato, tra gli altri, da
Mike Rutherford
dei Genesis,
Chris Squire
degli Yes,
Roger Waters
dei Pink Floyd
ed appaiono percussioni inusuali, come gong, campane tubulari,
strumenti dalle origini etniche più svariate e i
Roto Tom, dei
tom-tom sintetici montati su un telaio d’acciaio che hanno la
possibilità, ruotando sul supporto, di modificare la tonalità del
suono emesso, creando interessanti effetti di movimento.
|
Basso
Rickenbacker 400x
Roto Tom |
Con gli strumentisti spesso
impegnati in esecuzioni complesse, spesso seduti davanti ad uno
spartito, la presenza scenica è fatalmente ridotta all’osso. Occorre
studiare forme nuove di catalizzazione dell’attenzione dello spettatore
che sopperiscano alla staticità degli strumentisti. Alcuni gruppi, come
i Pink Floyd,
utilizzano luci e fumo, laser e sfere riflettenti come coreografia alla
musica, altri performances con il proprio strumento come
Keith Emerson che
accoltella o da fuoco al proprio Hammond durante il concerto. I
Genesis sfruttano
invece l’inventiva e la vena eclettica di
Peter Gabriel per
creare attorno ai brani un vero e proprio spettacolo fatto di costumi,
travestimenti, luci ed ombre sapientemente spalmate sulla scena per
sottolineare una storia, una situazione, un personaggio.
Il
rock non è mai stato
così creativo!
“In the Court of the Crimson King”
(recensione)
viene considerato l’origine ed il manifesto del
Progressive perché ne
contiene gran parte degli elementi caratterizzanti.
“21st century Schizoid Man”,
brano che apre l’album, ci scaraventa d’impatto dentro un allucinato
mondo dell’allora futuro, oggi presente, un mondo opprimente, violento
come i suoni che urlano gli strumenti: ed ecco gli improvvisi cambi di
ritmo, gli assoli che spezzano le frasi, le rincorse, i continui ritorni
del riff feroce, intollerabile e angosciante. La splendida
“I talk to the Wind”
ci trascina in un universo contrapposto, sognante ed estasiato ed è
dominata dal lirismo della voce di
Greg Lake e dal
flauto di Ian Mc Donald,
così come la malinconica e velata
“Epitaph” (Confusion
we’ll be my epitaph…”) e la grandiosa
“The Court of the Crimson King”,
mausoleo all’ambientazione
Progressive.
Come in mille altri casi della
vita, molto probabilmente il
Progressive non avrebbe mai visto la luce se i
King Crimson, nel
luglio del 1969, non fossero stati gruppo di supporto al concerto
gratuito dei Rolling Stones
ad Hyde Park di fronte a 650.000 persone: una pubblicità così clamorosa
consegna immediatamente i
King Crimson all’olimpo della Hit Parade inglese dove
raggiungono il sesto posto per vendite nel novembre dello stesso anno:
incredibile per un gruppo al debutto.
Quel nuovo “suono” incomincia ad
essere passato nelle radio inglesi più d’avanguardia e ripreso anche da
molte emittenti europee contribuendo alla diffusione di questi intarsi
vocali e strumentali del tutto estranei all’orecchio dell’ascoltatore.
Quello stesso anno vede il debutto
degli Yes (biografia
e
discografia) del cantante
Jon Anderson, del
bassista Chris Squire
e del batterista Bill Bruford.
L’album, chiamato semplicemente
“Yes”, mostra tutte
le peculiarità che caratterizzeranno il gruppo nell’intera successiva
produzione: armonie impeccabili e pulite, piene di enfasi e roboanti che
fanno immediatamente pensare alla musica sinfonica e jazz. L’album
contiene sia covers di gruppi famosi reinventate in stile
Progressive, come la
sorprendente “I see you”
dei Byrds, un
esperimento jazz del chitarrista
Peter Banks e del
batterista Bill Bruford
che giocano attorno al riff originale, che anche e soprattutto brani
originali.
I
Pink Floyd (biografia
e
discografia), dopo aver inciso
“More”, colonna
sonora dell’omonimo film, sempre nel 1969 pubblicano
“Ummagumma”, album
doppio venduto al prezzo di un album normale, che contiene una parte dal
vivo, registrata a Birmingham ed a Manchester nel giugno dello stesso
anno, ed una parte in studio molto sperimentale nella quale ogni membro
del gruppo porta la sua personale musica. I
Pink Floyd non fanno
parte del Progressive
in senso stretto, la loro musica è ineguagliabile ed ineguagliata, ma
alcune loro composizioni entrano ed escono dai canoni del Prog, basti
pensare alla suite di "Atom
Heart Mother" (recensione),
alle composizioni “concept” come
“The Dark side of the moon”
(recensione)
o “The wall”
(recensione).
La loro musica quindi si intreccia e va a braccetto in quegli anni con
quella degli altri gruppi
Progressive dai quali ricevono ed ai quali cedono alcune
caratteristiche.
Dalla cosiddetta “Scuola di
Canterbury” provengono invece i
Soft Machine che, nel
1969, incidono il loro secondo album, intitolato appunto
“Volume Two”, che
combina l’energia del rock
psichedelico con l’improvvisazione vibrante del
jazz.
I Soft Machine non
hanno mai avuto un successo di massa, proprio per le caratteristiche
surreali e spesso inaccessibili della loro musica, ma nei primi anni
settanta diventano uno dei gruppi più seguiti ed amati nell’ambiente
underground londinese. Nonostante il successo di nicchia, i
Soft Machine sono una
delle band che influenzerà maggiormente tutta la scena musicale di
quegli anni.
Sempre nel 1969, i
Van Der Graaf Generator
incidono il loro secondo album
“The least we can do is wave to each
other” associando alla musica sperimentale e cerebrale,
testi che spaziano dal misticismo all’astrologia, alla numerologia, alla
magia, alla fantascienza, all’ecologia.
In quasi tutti i concerti
londinesi dei Van Der Graaf
Generator appare di spalla un nuovo gruppo emergente
sulla scena musicale inglese a cavallo degli anni sessanta e settanta.
Il gruppo fondato nel 1965 da quattro studenti della Charterhouse School
a Godalming nel Surrey, ovvero
Peter Gabriel,
Tony Banks,
Michael Rutherford
e Anthony Phillips
a cui si aggiunge il batterista
Chris Stewart, nel
1967 prenderanno il nome di
Genesis (biografia
e
discografia). Proprio nel 1969 incidono il
loro primo album “From
Genesis to Revelation”, distribuito anche con il nome di
“In the beginning”,
album grezzo che però contiene già, qui e là, i semi di quella che sarà
la loro musica.
Nel 1970, infatti, esce
“Trespass”, che fa
loro scalare moltissime posizioni nel gradimento del pubblico
Progressive, ma poche
nelle classifiche di vendita, per lo meno in Inghilterra.
Occorre dire infatti che, mentre
il Progressive
stentava ad affermarsi nei Paesi di lingua anglosassone, nel resto
d’Europa e soprattutto in Italia ebbe quasi subito un buon seguito.
“Trespass” è un album
di crescita verso la maturazione e la consacrazione dei
Genesis, comincia a
prendere forma la drammaticità e teatralità della loro musica e delle
loro liriche: brani come “Looking for someone”, “Stagnation”
e, soprattutto, “The knife” costituiscono pietre miliari della
storia del Progressive.
Sulla scia del loro primo
successo, i King Crimson
pubblicano, sempre nel 1970,
“In the Wake of Poseidon” (recensione)
che costituisce l’ideale continuazione di atmosfere e tematiche di
“In the court of Crimson
King”. Sorprendentemente non è la chitarra di
Fripp lo strumento
dominante in quest’album, ma il mellotron suonato dallo stesso
Fripp dopo
l’abbandono del gruppo da parte di
Ian Mc Donald. In
quest’album, oltre all’omonimo brano che introduce una partitura per
batteria assolutamente innovativa, vi sono “The Devil’s triangle”
e soprattutto “Cadence and Cascade”, uno dei brani più suggestivi
di tutta la produzione crimsoniana e forse dell’intero movimento
Progressive.
Durante l’incisione di
“In the Wake of Poseidon”
(Mc Donald e
Giles avevano
già lasciato il gruppo alla fine del 1969), anche
Greg Lake abbandona
la formazione e, assieme a
Keith Emerson dei
Nice e
Carl Palmer
proveniente dai Crazy World
of Arthur Brown, forma il primo supergruppo della musica
progressive: gli Emerson,
Lake and Palmer o più semplicemente
E.L.P.. Non si sa se
sia un matrimonio d’amore o d’interesse l’unione di questi tre
musicisti, fatto sta che si portano dietro l’apprezzamento dei fans dei
vari gruppi dai quali provenivano. Amati dalla stampa e dal pubblico,
passati in continuazione nelle radio di mezzo mondo, ampliano la platea
degli ascoltatori del
Progressive da poche centinaia di migliaia a decine di
milioni. Nel 1970 esce il loro primo album chiamato semplicemente
“Emerson, Lake & Palmer”
che si apre con un brano di musica classica reinterpretato in chiave
progressive, “The Barbarian” di Bela Bartok, e con una serie di brani
dominati dalle tastiere di
Keith Emerson , ma in cui trovano spazio, come in ogni
supergruppo che si rispetti, anche l’enorme talento di
Greg Lake e di
Carl Palmer .
Orfani di
Greg Lake, i
King Crimson tornano
in sala d’incisione e, alla fine del 1970, esce il terzo album,
“Lizard”. Entrano a
far parte del gruppo Gordon
Haskell al basso ed alla voce,
Mel Collins al sax ed
al flauto e Andy McCullough
alla batteria, ma alla realizzazione dell’album contribuiscono anche
ospiti di nome, come il cantante
Jon Anderson degli
Yes, il
pianista jazz Keith Tippett
e Marc Charig,
virtuoso di oboe e corno inglese. Con una formazione così eterogenea e
complessa non poteva che uscire un album altrettanto eterogeneo e
complesso. I brani sono lunghi, suddivisi in arie dove si alternano
elementi di classica ad altri di jazz, il piano di
Tippett fa da
contraltare al mellotron ed agli altri strumenti elettronici e disegna
delicate ed evanescenti armonie sul tappeto creato dal mellotron di
Fripp. Anche
i testi sono più complessi e rarefatti, epici come in “Ragnarok”
dove si intreccia la battaglia tra il bene ed il male o grotteschi come
in “Cirkus”. Il brano omonimo “Lizard” è una lunga suite
di 25 minuti divisa in tre parti nettamente distinte per atmosfera e
ritmica, mentre “Lady of the Dancing Water” costituisce un
gioiellino etereo.
I
Soft Machine, nel
medesimo anno, incidono il loro terzo album,
“Third”, che è
considerato il punto di incontro tra il progressive-rock ed il
jazz-rock, tanto da risultare di difficile ascolto sia per i fans del
rock che per quelli del progressive.
Sempre nel 1970 viene pubblicato
un ardito album che miscela tra loro
hard-rock e
musica medievale con
l’apporto di strumentazione rigorosamente d’epoca. Il coraggioso
progetto è portato avanti dai
Gentle Giant (biografia
e
discografia) nel loro primo omonimo album.
Mentre gli
Yes pubblicano
“Time and a Word”,
escono, sempre nel 1970, “If
I could do It all over again I'd do it all over you” dei
Caravan e
“H to He, who am the only
one” dei Van
Der Graaf Generator.
Ma il 1970 è soprattutto l’anno
della mucca, quella mucca che incredibilmente campeggia sulla copertina
di “Atom Heart Mother”
dei Pink Floyd,
album indispensabile non solo per la comprensione dell’evoluzione della
musica floydiana, ma anche e soprattutto per comprendere come possa
essere fusa e forgiata in altre forme ogni tipo di composizione
musicale.
La cometa si allontana
Il 1976 vede il ritorno dei
Genesis, con
“Trick of the Tail”,
album che pare non risentire della partenza di
Peter Gabriel:
incredibilmente la voce di
Phil Collins, dopo la titubante performance di “More
fool Me” in “Selling
England by the pound”, appare del tutto identica a
quella di Gabriel!
Il sound appare sempre molto
raffinato e complesso, le liriche di buon livello, anche se i giochi di
parole tanto cari a Gabriel
spariscono del tutto, ma brani come “Dance on a
volcano” , “Entangled” , “Robbery, assault and battery”
e soprattutto “Ripples” rimangono splendidi esempi di
Progressive.
Nello stesso anno esce anche
“Wind & Wuthering”
nel quale, per la prima volta, i brani non sono composti coralmente, ma
sono opera dei singoli membri del gruppo, segno evidente di uno
scollamento che conduce, dopo l’incisione, all’abbandono anche di
Steve Hackett
che inizia una carriera solista piena di album classicheggianti nei
quali abbandona quasi del tutto la chitarra elettrica per tornare a
tempo pieno a quella acustica.
I
Camel incidono
“Moonmadness”,
il suono diventa più largo ed arioso e viene concesso molto spazio
all’improvvisazione dei solisti
Latimer e
Bardens. Pur non
essendo uno dei migliori album del gruppo, contiene dei brani come
“Air born” e “Song within a song” che diverranno dei capisaldi della
loro musica.
I
Van Der Graaf Generator
escono addirittura con due album,
“Still Life” e
“World Record”.
Il primo soprattutto è degno di nota per le atmosfere epiche, mentre il
secondo risente dei dissidi interni sempre più insanabili tra
Peter Hammill ed i
restanti componenti che sfoceranno di lì a poco allo scioglimento del
gruppo.
“Going for the one”
segna il ritorno di Rick
Wakeman tra le fila degli
Yes. Il gruppo
abbandona le larghe suite degli album precedenti per approdare a
composizioni brevi e melodiche. Nel brano che dà il titolo all’album,
Steve Howe
introduce per la prima volta in un’esecuzione rock la pedal steel
guitar. L’album contiene la maestosa “Parallels” che diviene
la track con la quale, negli anni a venire, il gruppo apre ogni
concerto.
I
Gentle Giant
pubblicano “Interview”
che è considerata l’ultima opera progressive del gruppo che, da quel
momento in avanti, “commercializzeranno” il loro sound per venire
incontro alle esigenze dei discografici.
“Interview” è un po’
la summa del lavoro di ricerca fino a lì realizzato dai
Gentle Giant e
l’album ne risente, apparendo spezzettato e compresso: meglio sarebbe
stato un album doppio, ma il mercato non l’avrebbe accettato.
In Italia la
PFM, ingaggiato
Bernardo Lanzetti ex
Area alla voce,
continua la sua strada anglo-americana con
“Chocolate Kings” nel
quale risaltano le tastiere di
Flavio Premoli in
“From under” e la chitarra acustica di
Franco Mussida in
“Harlequin”. Ne segue un tour mondiale di buon successo al termine
del quale Mauro Pagani
decide di lasciare il gruppo per dedicarsi allo studio strumentale.
Il
Banco pubblica
addirittura tre album, “Come
in un'ultima cena”, uscito per il mercato di lingua
inglese sotto il nome di “As
in a last supper”, e
“Garofano Rosso”.
“Come in un'ultima cena”
è probabilmente l’ultimo album “classico” del
Banco: nel corso
degli anni ’80 la band svolterà infatti verso un sound più commerciale.
Di rilievo nell’album, peraltro abbastanza anonimo, la sola track
“Slogan”. “Garofano
Rosso” è invece un album totalmente strumentale, colonna
sonora dell’omonimo film diretto da Luigi Faccini, ed è singolare che un
gruppo che ha una delle sue peculiarità nella voce di
Francesco Di Giacomo,
decida di incidere un album facendone volutamente a meno!
Il 1977 è un anno di calma piatta
per la produzione dei gruppi progressive.
Da segnalare la pubblicazione di
“I Robot” di
The Alan Parsons Project,
ispirato all’omonima saga fantascientifica di Isaac Asimov, che è
probabilmente il miglior album di questa strana formazione.
I
Genesis pubblicano il
doppio live “Seconds out”
che, con Phil Collins
stabilmente alla voce e
Chester Thompson alla batteria, contiene anche brani
della produzione dei tempi di
Gabriel. Se
Collins è
perfettamente a suo agio nei brani soft e meno eclettici, in brani del
vecchio repertorio come “Supper’s ready”, “Firth of Fifth”
o “The lamb lies down on Broadway” il confronto con la voce
poliedrica di Gabriel
appare spietato.
I
Camel pubblicano
“Rain dances”
(recensione)
che vede l’apporto di Richard
Sinclair, co-fondatore dei
Caravan, al basso, di
Mel Collins
ai fiati e di Brian Eno,
ex Roxy Music,
alle tastiere nel brano “Elke”. I
Camel, in assoluta
controtendenza, continuano a “progredire” e
“Rain dances” è un
album maturo, ben strutturato ed omogeneo: tra i brani, tutti di buon
livello, spicca una splendida “Uneven song”.
I
Van Der Graaf Generator
sotto il nome accorciato di
Van Der Graaf
pubblicano “The quiet
zone/The pleasure dome”, brani brevi che consentono a
Peter Hammill,
attorniato da nuovi musicisti e da altri di ritorno, di sperimentare
nuove architetture sonore.
La
PFM con
“Jet Lag” torna a
rivolgersi al mercato italiano con un sound meno
Progressive e più
jazzato che
contraddistinguerà anche la successiva produzione del gruppo.
Il 1978 è da ricordare solo per un
paio di album sopra la media,
“Pyramid” di
The Alan Parsons Project
e “Breathless”
dei soliti Camel
e per la pubblicazione da parte dei
Genesis di
“And then there were three”
che segna il definitivo addio al progressive per approdare ad un più
remunerativo pop-rock
con brani tutti di lunghezza adeguata per passare in radio. I successivi
album seguiranno tutti questa linea ed apriranno la strada alla carriera
solistica di grande successo di
Phil Collins ed un
po’ meno di successo di Mike
Rutherford e
Tony Banks.
Il 1979, anno di pubblicazione di
“The wall” (recensione)
dei Pink Floyd,
è da ricordare per i fans del progressive per il solo
“I can see your house from here”
dei Camel ,
orfani di Peter Bardens,
che contiene due perle, “Hymn to her”, ma soprattutto la
misteriosa e immaginifica “Ice”.
Mike Oldfield
continua monocorde a produrre album che non si discostano molto dai
primi: “Incantation”
del 1978 e “Platinum”
del 1979 non tolgono nulla alla bravura del polistrumetista, ma non
aggiungono molto alla limitata creatività del musicista di Reading.
Analoghe considerazioni si possono
fare per Alan Parsons
che produce album sempre di buon livello, ma esageratamente ripetitivi.
Molti anni sono passati dall’urlo
lacerante di Greg Lake...
Blood rack, barbed wire,
polititians' funeral pyre,
innocents raped with napalm
fire:
twenty first century schizoid
man...
…abbiamo assistito all’ascesa ed
al declino di decine di generi musicali, di fenomeni durati il tempo di
una stagione, di mitici artisti tutti prematuramente dimenticati, ma in
angoli nascosti, nel completo disinteresse di radio e televisioni, si
può ancora udire qualche respiro…
Men of steel who endured
the most,
the father, the son and the
holy ghost,
the butterflies of war flying
so high,
sick as a pig on American
pie...
…e qualora non ci bastasse,
rimangono i grandi, quelli per i quali ci viene ancora il desiderio del
delicato rituale di estrarre un vinile dalla foderina, di appoggiarlo su
un piatto e di sederci a riascoltare storie di cavalieri e di isole
deserte, di re Cremisi e di carrozze di Hans, di scatole musicali e di
immutevoli giganti gentili…
|
|