Augusto Daolio
(Novellara, 18 febbraio 1947 – 7 ottobre 1992)
La sua avventura nel mondo della musica comincia da adolescente, quando
assieme a Beppe Carletti, Franco Midili, Leonardo Manfredini, Gualtiero
Gelmini e Antonio Campari fonda il gruppo dei Nomadi. Il complesso sarà
destinato a diventare in breve tempo una delle più importanti band nella
storia della musica italiana. Diventa il cantante ed il leader del gruppo,
grazie al suo carisma e al suo rapporto con il pubblico caratterizzato dalla
voglia di stare insieme ai fan, da lui sempre considerati amici.
Augusto Daolio al Cantagiro del 1967.Nel 1972 incide un 45 giri da solista:
"Una ragazza come tante".
Muore il 7 ottobre 1992, alla fine di una breve e straziante malattia
causata da un tumore ai polmoni. Lascia la compagna Rosanna Fantuzzi, la
quale in seguito fonda l'associazione "Augusto per la vita"
Augusto Daolio conosciuto ai più come cantante si è dedicato anche alla
poesia ed alla pittura.
Augusto Daolio è nato a Novellara (RE) il 18 febbraio 1947, come ebbe a
scrivere lui:"...nel cuore della notte, mentre freddo e brina duellavano con
rami secchi di pioppi e tigli". A sedici anni iniziò la sua avventura
musicale con il complesso dei Nomadi, attività che fu per lui, fino agli
ultimi momenti della sua vita, essenziale e per la quale il suo impegno fu
totale. L'attività musicale di Augusto e del suo complesso, di cui era il
leader carismatico, ha segnato un'epoca e per tanti giovani degli anni
Sessanta e Settanta le loro canzoni furono una bandiera. Non solo perché
denunciavano il grande disagio di una gioventù che si sentiva testimone
occulta dell'olocausto e che viveva il malessere di una società in crisi di
identità, ma anche perché contestavano l'impostazione di un costume
religioso che si reggeva sull'ipocrisia e il perbenismo. Anche se quei
giovani ormai sono diventati padri, quelle canzoni continuano a vivere nei
loro cuori e l'amore per queste è stato trasmesso ai loro figli. Questo a
dimostrare che, quando le grandi tematiche della vita diventano un "sentire
comune", non esiste un salto generazionale. La pittura, altro suo grande
impegno artistico, non è mai stata un'attività subalterna a quella musicale
ed era frutto delle sue capacità naturali ed istintive. La sua "maniera" di
disegnare e dipingere non era schiava di un metodo, così come quella di
comporre. Tutto quello che Augusto presentava era sempre e comunque ben
radicato nella natura, madre e ancella di tutte le cose. La fantasia guidava
la sua mano alla ricerca di un mondo surreale e magico. Amava molto dire:
"...mi interessa molto l'aspetto magico e segreto delle cose, gli enigmi, le
illusioni delle ombre". Queste attività lo hanno portato a girare il mondo
e, nonostante il profondo legame con la sua terra d'origine, era un
cosmopolita o, meglio, "un uomo del mondo, un uomo del mio tempo, ma anche
un uomo antico". Era autodidatta, pieno di curiosità e di una carica vitale
che gli permisero di vivere un'intensa seppur breve carriera artistica. Il
vuoto che ha lasciato è incolmabile, e lo testimoniano le migliaia di
persone che ancor oggi percorrono lunghe distanze solo per un saluto o per
respirare le atmosfere a lui care.
Tratto da: "Augusto Daolio, musicista, poeta, pittore"
"IL SUONO DELLE IDEE"
(di Davide Carletti)
"...Beppe è di Novi, un paese vicino a Modena. Fin da bambino nutriva una
grande passione per la musica ma le possibilità economiche erano scarse. A
nove anni i genitori gli comperarono una fisarmonica; appena undicenne si
esibiva da solo con il suo strumento ai festini organizzati dai giovani
della Bassa modenese. Poi iniziò ad esibirsi con un suo amico, Leonardo
Manfredini, che aveva imparato a suonare la batteria. Avrebbero voluto
iscriversi al conservatorio ma proprio non era possibile; così terminate le
scuole dell'obbligo, cominciò a lavorare dapprima presso una fabbrica di
porta ombrelli, poi in un calzaturificio, infine come addetto alla custodia
delle acque minerali. Alla sera però, continuava a suonare. Nel 1961 fondò
il primo complessino con altri ragazzi del paese. I Monelli, questo era il
nome del gruppo, ma nel 1962 si accorsero che il nome stava un pò stretto e
decisero di chiamarsi I NOMADI, espressione di un desiderio incontenibile di
viaggiare, trovare posti e gente, di farsi conoscere. Proprio quell'anno,
1962, Beppe conobbe Franco Midili, chitarrista di Novellara, s'incontrarono
in una balera, d'estate, a Moglia, in provincia di Mantova. Franco suonava
in un altro gruppo, Beppe gli propose di entrare nei Nomadi, che non avevano
un assetto ancora definito. I genitori spesso facevano pressioni perchè i
giovani desistessero e si dedicassero ad attività più sicure. Nel 1963
Franco disse a Beppe che conosceva un ragazzo di Novellara di 16 anni,
canterino. A Trecenta, durante una serata, Franco chiamò il ragazzo sul
palco, cantò quattro pezzi e piacque moltissimo.
Quel ragazzo era AUGUSTO DAOLIO ........... era il 1963."
Io Vagabondo : i Nomadi con Augusto
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Dio è morto - Francesco Guccini - Nomadi
Alla ricerca di qualcosa che non trovano.
"Ecco verranno giorni
-oracolo del Signore Dio -
in cui manderò la fame nel paese,
non fame di pane, né sete di acqua,
ma di ascoltare la parola del Signore.
Allora andranno errando da un mare all'altro
e vagheranno da settentrione a oriente,
per cercare la parola del Signore,
ma non la troveranno.
In quel giorno appassiranno le fanciulle
e i giovani per la sete" (Amos 8,11-13)
Questa è forse la canzone più famosa di Francesco Guccini ed anche la più
rappresentativa di un sentimento molto diffuso tra i giovani italiani alla
fine degli anni sessanta.
Il movimento hippy e la protesta studentesca avevano portato anche in Italia
la consapevolezza che era necessario un cambiamento del mondo, della
società, dell'uomo, che era giunto "il momento di negare tutto ciò che è
falsità". La civiltà che stava davanti ai giovani era una civiltà piena di
contraddizioni: davanti a ideali formalmente proclamati stava lo spettacolo
di un mondo pieno di ipocrisie e di meschinità. Il "dio" di quella società
era morto, non convinceva più nessuno, se non chi cercava un "perbenismo
interessato". Era giunto il momento di cercare un "dio risorto" dentro
ideali nuovi, dentro la novità di "ciò in cui crediamo e vogliamo", dentro
"il mondo che faremo"...
E' evidente qui il riferimento al Dio cristiano, alla persona di Cristo
stesso; ma è anche evidente che si tratta di un riferimento equivoco: la
resurrezione di Cristo più che un fatto storico, un avvenimento reale, è
vista qui come un qualcosa di ideale, simbolico, trasfigurato in un
umanitarismo universale.
Non è da escludere che tutto ciò abbia alla radice un desiderio sincero di
riscoperta del cristianesimo, ma non c'è dubbio che manca la capacità o la
possibilità di capire che cosa sia veramente questo cristianesimo da
riscoprire. Insomma, qui protagonista più che un chiaro ideale cristiano è
l'utopia, cioè una proiezione verso un futuro radioso realizzato con le
proprie forze. E ciò che è accaduto dalla fine degli anni sessanta in poi
mostra chiaramente come un'utopia non solo non sia la risposta vera alle
domande dei giovani, ma li conduca sulle strade della violenza e della
delusione, quelle stesse da cui la canzone, descrivendole, prende le mosse.
Ciò che comunque fa pensare in questa canzone è che una società non può
censurare le domande di verità e di felicità dell'uomo: esse sono destinate
a riemergere continuamente, specialmente nella coscienza dei giovani. Come
ha scritto acutamente Joseph Ratzinger "una società agnostica è malinconica
per essenza, un luogo della disperazione" (Joseph Ratzinger, Guardare
Cristo, ed. Jaca Book, p. 62).
Eppure la censura delle domande ultime e l'agnosticismo sono stati e
continuano ad essere quasi una legge nei criteri educativi delle nostre
società. Basti citare qui due esempi emblematici.
Il primo è tratto da un famoso libro di testo di letteratura italiana, uno
dei più diffusi nelle scuole italiane: il Disegno storico della Letteratura
Italiana, di Natalino Sapegno. A proposito della vita di Leopardi vi si
trova scritto: "Le domande in cui si condensa la confusa e indiscriminata
velleità riflessiva degli adolescenti, la loro primitiva e sommaria
filosofia (che cosa è la vita? a che giova? quale il fine dell'universo? e
perché il dolore?), quelle domande che il filosofo vero ed adulto allontana
da sé come assurde e prive di un autentico valore speculativo e tali che non
comportano risposta alcuna né possibilità di svolgimento, proprio quelle
diventarono l'ossessione di Leopardi, il contenuto esclusivo della sua
filosofia". Commenta Giussani: "Omero, Sofocle, Virgilio, Dante,
Dostoevskij, Beethoven sarebbero degli adolescenti, perché tutta la loro
espressione è determinata da quelle domande, grida quelle esigenze che -
come diceva Thomas Mann - danno "fuoco e tensione a ogni nostra parola,
urgenza a ogni nostro problema". Io sono ben lieto di stare nella compagnia
di quelli, perché un uomo che azzera la questione non è un uomo umano!" (Il
senso religioso, p. 84; anche in Scuola di religione, cap. 2)
Il secondo esempio è tratto da un testo di uno dei maggiori responsabili di
quella pedagogia che si è imposta dapprima in America e quindi in Europa e
che è uno degli autori più studiati nelle scuole superiori italiane a
indirizzo pedagogico, John Dewey: "Abbandonare la ricerca della realtà e del
valore assoluto e immutabile, può sembrare un sacrificio, ma questa rinuncia
è la condizione per impegnare in una vocazione più vitale. La ricerca dei
valori che possono essere assicurati e condivisi da tutti perché connessi
alla vita sociale, è una ricerca in cui la filosofia troverà non rivali, ma
coadiutori negli uomini di buona volontà".
L'esito di questa pedagogia, di questa censura sistematica delle domande più
grandi e radicali dell'uomo, è proprio quel "perbenismo interessato" contro
il quale si sollevarono i giovani sopra ricordati. Peccato che, come ha
acutamente notato Pasolini, essi credettero di identificare il male della
società nel suo passato, nella sua tradizione che appariva logora e spenta;
ma era proprio di quella tradizione che la nuova cultura dominante voleva
liberarsi, perché nonostante tutto con i suoi valori quella tradizione
costituiva un freno insopportabile; e perciò la generazione del 68,
scagliandosi contro quel passato finì col rendere un ottimo servizio a
quella società loro contemporanea che pensavano invece di combattere e di
cambiare: "generazione sfortunata... tu disobbedendo obbedisti" (Pier Paolo
Pasolini, Scritti corsari).
Testo della canzone
Ho visto la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente
cercare il sogno che conduce alla pazzia nella ricerca
di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già
Lungo le notti che dal vino son bagnate
dentro alle stanze da pastiglie trasformate
dentro alle nuvole di fumo, nel mondo fatto di città
essere contro ed ingoiare la nostra stanca civiltà
È un Dio che è morto, ai bordi delle strade dio è morto
nelle auto prese a rate Dio è morto
nei miti dell'estate Dio è morto
M'han detto che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede
nei miti eterni della patria e dell'eroe
perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità
Le fedi fatte di abitudini e paura
una politica che è solo far carriera
il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
È un Dio che è morto, nei campi di sterminio Dio è morto
coi miti della razza Dio è morto con gli odi di partito
Dio è morto
Io penso che questa mia generazione è preparata
ad un mondo nuovo e a una speranza appena nata
ad un futuro che ha già in mano a una rivolta senza armi
perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore
è per tre giorni e poi risorge
in ciò che noi crediamo, Dio è risorto
in ciò che noi vogliamo, Dio è risorto
nel mondo che faremo, Dio è risorto - Dio è risorto.
Autore: Graziola, Don Matteo
Fonte: Centro Culturale Rebora
Nomadi: Per Quando Noi Non Ci Saremo
"Per Quando Noi Non Ci Saremo", uscito nel 1967, è il primo LP de I Nomadi.
Il gruppo era però già attivo da due anni con delle pubblicazioni di
singoli, per lo più cover di canzoni d' oltremanica (come imponevano le
mode), tradotte o reinterpretate, con dei testi che non avevano nulla a che
vedere con quelli originali, e cantate in italiano. L'album, contenente
alcuni dei pezzi più famosi del gruppo, è da considerarsi una pietra miliare
del pop italiano di quei tempi. Vi sono anche chiari riferimenti al beat,
che in quel periodo aveva raggiunto la sua massima popolarità, specialmente
in Italia, dove aveva trovato terreno particolarmente fertile.
La band era composta dal tastierista Beppe Carletti (che resiste tutt' ora),
dal chitarrista Franco Midili, dal bassista Gianni Coron, dal batterista
Gabriele Copellini e dalla voce indimenticata e indimenticabile di Augusto
Daolio, anima del gruppo.
Le tracce sono in totale 12, per una durata complessiva di 28 minuti pieni
(e non un'ora e un quarto come nei CD "moderni" in cui gli artisti sono
fieri di infilarvici una buona mezz' ora e passa di riempitivo). L'opera,
quindi, risulta molto piacevole all'ascolto, con dei testi che toccano
tematiche spesso affrontate dai primi Nomadi, quali l'amore e i problemi
giovanili. Forte è anche la presenza di un certo Francesco Guccini come
paroliere (e forse anche qualcosa in più), che scrisse buona parte delle
canzoni.
Le più celebri e conosciute (praticamente da chiunque), sono "Come Potete
Giudicar", cover di "The Revolution Kind" di Sonny Bono, che divenne un vero
e proprio inno generazionale della gioventù italica del tempo, "Noi Non Ci
Saremo" e "Dio è Morto", che la RAI ai tempi decise di censurare. Altri
pezzi relativamente famosi (presenti anche sulla Platinum Collection) che
compongono il disco sono "Spegni Quella Luce", "Per Fare Un Uomo", "Il
Disgelo", "Noi" e la cover di "I Want You" presente su "Blonde On Blonde" di
Bob Dylan, "Ti Voglio".
Chiudono l'LP "Quattro Lire e Noi" (altra cover degli "Small Faces"), "Ma
Piano (Per Non Svegliarmi)", la title track, un capolavoro in cui la poetica
di Guccini viene a galla, recitata dalla sola voce del doppiatore Luigi
Paoletti e accompagnata da organo e chitarra (o forse clavicembalo?), e
l'"avanguardistica" "Baradukà", con cori e chitarra, molto vicina alla
psichedelia.
Che dire di più di un disco che ha fatto la storia della musica leggera
italiana? Riascoltatelo.
Beppe Carletti
"I nostri fan ci mandano centinaia di cassette da tutt'Italia. Ci teniamo in
contatto, discutiamo, e alla fine scegliamo con loro i pezzi migliori".
L'entusiasmo con cui lo racconta non lascia dubbi: crede ancora allo
"stile-Nomadi" Beppe Carletti, fondatore e unico superstite del nucleo
originario della storica band emiliana, trentacinque anni di canzoni e
successi in comunione totale con il pubblico. Una formula inossidabile,
malgrado i continui stravolgimenti nell'organico della band, "grande
famiglia" aperta a tutti. "Ogni nuovo membro - spiega Carletti - sa che
dovrà condividere il nostro credo; ci sono i concerti, ci sono i tanti fan
club sparsi per l'Italia. C'è che l'ha trovato pesante, e infatti se n'è
andato.".
Chi è rimasto, invece, ha ancora tanta passione da trasformare in musica.
Come conferma anche il più recente album del gruppo, "Una storia da
raccontare". Un disco che parla di pena di morte, ma anche di amicizie,
amori, leggende popolari, sogni. Temi ricorrenti nella produzione nomade.
"Siamo sempre stati etichettati come un gruppo 'politico' - dice Carletti -.
Non rinneghiamo il nostro passato, ma le nostre canzoni sono sempre state
soprattutto 'sociali'; con "Auschwitz", ad esempio, volevamo cantare un
momento della storia, non fare della ideologia. Purtroppo, poi, di Auschwitz
ce ne sono state tante altre. Le nostre storie sono spesso drammatiche, ma
alla fine lasciano sempre spazio alla speranza. Non vogliamo deprimere la
gente, ma solo farla riflettere".
E' questa la filosofia del gruppo fin dall'esordio. Il primo embrione di
quelli che poi sarebbero stati i Nomadi nasce in una calda giornata del
1961, in piena era del "dopo-boom". Un gruppo di ragazzi, capeggiati da
Beppe e la sua fisarmonica, comincia a esibirsi nei paesi della campagna
modenese. Inizialmente si chiamano I Monelli. Ma ben presto si accorgono che
quel nome è un limite. Non sarebbero potuti essere eternamente "monelli". Si
sentono però "vagabondi", nella musica come nella vita. E' il 1962 quando un
giovanotto di sedici anni si unisce al resto della banda: Augusto Daolio, il
filosofo, colui che avrebbe portato nel gruppo un tocco di poesia e di
magia.
Nascono così i Nomadi, l'unico gruppo italiano che ha attraversato
trentacinque anni di storia. E' cresciuto e cambiato in un'Italia in
continuo mutamento, mantenendo sempre una sua personalità. La morte di
Augusto, nel 1992, a soli 45 anni, è stata una brutta batosta, forse il
segno se non di una fine, di un passaggio importante. "E' stato l'unico
momento in tutti questi anni in cui ho pensato veramente di mollare -
racconta Carletti -. Il pensiero di salire sul palco senza di lui sembrava
inconcepibile. Ma in quell'anno è morto, in un incidente stradale, anche un
altro componente del gruppo, il bassista Dante Pergreffi. Allora mi sono
ribellato, ho pensato che solo andando avanti potevo tenere vivo il ricordo
dei miei amici. Ed è stato così, la tomba di Augusto, nel cimitero di
Novellara, non è un luogo triste; è pieno di vita, c'è una chitarra appesa,
una maglietta, tanti ricordi. E i giovani che vengono ai nostri concerti mi
chiedono tutti di Augusto".
Un disco-tributo da parte di diversi artisti italiani (con una struggente
versione di "Noi non ci saremo", ad opera dei Csi) ha voluto ricordare la
sua figura nel 1995. Ma chi era veramente Augusto Daolio? Carletti lo
ricorda con l'emozione di un amico, più che un collega "Era un artista
completo: cantante, pittore, scrittore, poeta. Ci siamo conosciuti a 16
anni; venivamo tutti e due da un paese di campagna, stessa storia: quinta
elementare e poi via, a lavorare, ad aiutare i genitori. Ma poi lui ha fatto
tutto da solo, ha cominciato a leggere libri, a scrivere, e poco tempo dopo
era già una spanna sopra di noi". Il carisma di Augusto era visibile sul
palco, dove dava sempre il massimo. "Eppure era un introverso, sembrava
quasi scostante, ma in realtà nascondeva la sua timidezza. Sul palco, però,
spariva tutto: era bellissimo sentirlo dialogare con il pubblico".
Insieme, Carletti e Daolio hanno condiviso la gioia dei trionfi, ma anche la
rabbia per tante battaglie perse. Come la sfortunata partecipazione al
"Disco per l'estate" con quello che sarebbe poi diventato il loro inno, "Io
vagabondo" (in testa nella prima serata, vengono poi retrocessi all'ultimo
posto solo perché "qualcuno si era lamentato"). O come la sfida impossibile
alla censura della Rai contro "Dio è morto". "La consideravano una canzone
di sinistra, materialista. orse la pensava così anche qualcuno che
frequentava i nostri concerti. Invece era piena di spiritualità e di
speranza". Se ne accorse la Radio Vaticana, che la mandò in onda prima della
Rai.
Gli anni Sessanta segnano l'affermazione dei Nomadi. La loro musica, la loro
voglia di libertà conquista i giovani. Hanno rabbia dentro e grande senso
artistico, voglia di emergere, ma anche di mantenere una propria integrità.
Volano i loro pensieri, in un'immensa e immaginaria musica che trasforma la
loro filosofia in versi. Negli anni Sessanta due membri del gruppo vanno
via, e il bassista che subentra si chiama Umberto Maggi, "una faccia pulita,
da vero milanese trapiantato a Modena", secondo la definizione di Carletti.
e loro canzoni conquistano i giovani, sono esplosive e drammaticamente
attuali. Nasce anche il sodalizio con Francesco Guccini, un affetto che va
oltre la musica, tanto che i Nomadi pubblicano un disco di cover delle sue
canzoni, I Nomadi interpretano Guccini. E' il 1974.
Gli anni passano e il mondo della musica sembra voltare le spalle al piccolo
gruppo di filosofi vagabondi.
In una trasmissione radiofonica della Rai di Bologna, in cui sono ospiti, il
conduttore li inviata addirittura ad abbandonare le scene, perché, dal suo
punto di vista, non hanno più niente da dire". I Nomadi, invece, continuano,
indifferenti alle critiche, senza però riuscire a spiegarsi l'improvviso
cambio di tendenza del pubblico: "La gente a volte può anche non capirti, ma
bisogna sempre seguire i propri ideali; se sei in pace con te stesso, il
tempo ti darà ragione".
Tempi duri, insomma. "Tirammo la cinghia, anni con poco lavoro, ma con tanta
voglia di spaccare il mondo". Per incanalare la rabbia, i Nomadi fondano
persino una squadra di calcio. L'album che in qualche modo segna la loro
riscossa è "Noi ci saremo". E' il 1976, e da questo momento in poi si crea
un pubblico fedelissimo, che ama e segue, nel bene e nel male, la famiglia
Nomadi.
Il 15 settembre 1983, alla festa dell'Unità di Reggio Emilia, si celebrano
vent'anni di Nomadi: è un trionfo, con i cinque protagonisti che giungono a
bordo di una fiammante spider rossa, tra due ali di folla. Gli anni a
seguire, invece, sono caratterizzati da alti e bassi. Sembra che i giovani
si siano annoiati della loro musica. A seguirli rimangono i fedelissimi.
Gli anni Novanta, invece, cominciano alla grande per il gruppo emiliano:
riconoscimenti, perfino rare apparizioni in tv, contatti. Sembra per un
attimo tornato l'antico splendore. Fino alla malattia di Augusto Daolio e
alla sua morte, che lacera e brucia il cuore dei Nomadi. "L'idea di
continuare agli stessi livelli sembrava impossibile, c'era il rischio di
riproporsi come un pugile suonato sul ring". Ma il miracolo riesce ancora.
Sempre grazie al formidabile connubio con il pubblico. "n fondo, è un altro
nomade, si sente partecipe fino in fondo di quello che facciamo. E'
cambiato, si è ringiovanito, molti sono i figli di quelli che ci seguivano,
altri sono ragazzi nuovi, che magari coinvolgono i loro genitori".
"Sempre Nomadi" è il grido di battaglia dei loro concerti. E lo spirito da
vagabondo ha portato Carletti e soci a girare il mondo, in cerca di nuove
esperienze, non solo musicali. Hanno suonato con artisti cubani,
palestinesi, bretoni, indiani. E sono riusciti a farsi ricevere da
personalità internazionali come Arafat, Fidel Castro e il Dalai Lama.
Quest'ultimo ha lasciato sul gruppo un segno profondo. "E' incredibile la
carica spirituale che ti trasmette. Ci ha ringraziato per le nostre
iniziative per i bambini del Tibet. Parlava in inglese: io lo capisco
pochissimo, eppure comprendevo ogni parola".
Spirito nomade, insomma, ma anche tanto spirito emiliano nelle radici della
band. "Essere emiliani, in fondo, vuol dire essere dei testoni, essere tosti
e non mollare mai. Ma Emilia significa anche culto delle balere, voglia di
divertirsi. Nel mio piccolo paese, di quattromila abitanti, c'era una balera
all'aperto. Avevo dodici anni e mi mettevo lì ad ascoltare i musicisti per
ore. Se non ci fosse stata, forse, non avrei scelto questo mestiere".
I Nomadi nascono nel 1963 tra Reggio
Emilia e Modena, su iniziativa del tastierista Beppe Carletti e del cantante
Augusto Daolio, ai quali si aggiungono Franco Midili (chitarra), Leonardo
Manfredini (batteria), Gualtiero Gelmini (sax), Antonio Campari (basso). In
breve tempo, però, il gruppo subisce dei cambiamenti nell'organico, con
Gelmini, Campari e Manfredini che lasciano il campo a Bila Coppellini
(batteria) e Gianni Coron (basso). È di due anni dopo l'incontro con
Francesco Guccini, che collaborerà con loro per il brano "Dio è morto",
primo grande successo del gruppo: il brano, censurato dalla radiotelevisione
di Stato, passa invece a Radio Vaticana, e proprio nel Vaticano, qualche
tempo dopo, i Nomadi si esibiranno, quale primo gruppo pop italiano.
Nel 1966 esce il singolo "Come potete giudicar", con il quale ottengono i
primi consensi del pubblico e i primi ingaggi come ospiti in diversi
programmi televisivi. La loro popolarità cresce così per tutti gli anni '70,
grazie a un seguito di fans fedelissimi che aumenta giorno dopo giorno,
innumerevoli concerti e alcune splendide canzoni, ma soprattutto grazie alla
figura carismatica e alla inconfondibile voce del cantante del gruppo,
Augusto Daolio.
Nella prima metà degli anni '80 si verifica un cambiamento d'organico: il
bassista Dante Pergreffi sostituisce Umberto “Umbi” Maggi, che si dedica
all’attività di produttore (è anche proprietario di un famoso studio di
registrazione). Al gruppo si aggiungono nel 1990 Cico Falzone alla chitarra
e Daniele Campani alla batteria; immutato rimane il seguito di pubblico, che
a ogni uscita spedisce gli album dei Nomadi in classifica, consentendo loro
di vincere dischi d'oro a ripetizione.
Il 1992 si rivela un anno terribile nella storia del gruppo: il 14 maggio in
un incidente stradale muore il bassista Dante Pergreffi, mentre a ottobre è
proprio Augusto Daolio a lasciarci, stroncato da una breve, straziante
malattia. Ferita gravemente da queste disgrazie, la band sbanda
vistosamente, prendendo anche in considerazione l'idea di sciogliersi.
L'incoraggiamento dei fans si rivela ancora una volta decisivo, e così i
Nomadi decidono di proseguire.
Con Elisa Minari al basso, Danilo Sacco alla voce e alla chitarra e
Francesco Gualerzi alla voce e al sax il gruppo riparte per una serie di
concerti, pubblicando l'ultimo album di studio realizzato con il contributo
di Augusto, intitolato CONTRO. Il 1993 si conclude con un viaggio in Cile,
dove i Nomadi si esibiscono insieme agli Inti illimani. L'anno successivo il
gruppo pubblica un nuovo album e si reca in viaggio a Cuba per una missione
umanitaria, nel corso della quale consegna strumenti musicali e generi di
prima necessità ai bambini di diverse scuole del paese. Sempre nel '94 i
Nomadi sono ricevuti dal Dalai Lama, premio Nobel per la pace, in visita in
Italia, in una sua tappa a Bologna, mentre nel luglio del '95 esce un nuovo
album, intitolato LUNGO LE VIE DEL VENTO. Non si tratta dell'unico impegno
che il gruppo assume per beneficenza, visto che i Nomadi hanno spesso
sostenuto movimenti di solidarietà, da Greenpeace ad Amnesty International,
da Emergency ai Centri di recupero per tossicodipendenti.
Nel 1996 esce un nuovo disco di studio, seguito da un doppio dal vivo, LE
STRADE, GLI AMICI, IL CONCERTO. Nel 1998 arriva UNA STORIA DA RACCONTARE,
che vede debuttare il nuovo organico: Elisa Minari e Francesco Gualerzi sono
stati sostituiti da Massimo Vecchi e Sergio Reggioli. Nel 1999 arriva nei
negozi SOS CON RABBIA E CON AMORE, una raccolta di vecchie canzoni
risuonate, abbinata a un video.
Nell'ottobre 2000, con la nuova formazione che vede - insieme al fondatore
Beppe Carletti (tastiere) - Daniele Campani (batteria), Cico Falzone
(chitarra), Danilo Sacco (voce e chitarra), Massimo Vecchi (voce e basso) e
Sergio Reggioli (percussioni, violino e whistle), i Nomadi pubblicano un
nuovo album di inediti dal titolo LIBERI DI VOLARE. Il 2002 si apre con il
“Nomadincontro - X Tributo ad Augusto Daolio”, manifestazione che ha visto
oltre 12.000 presenze, mentre il 19 aprile esce AMORE CHE PRENDI AMORE CHE
DAI. Nel 2003 esce NOMADI 40, raccolta con inediti, seguita nel 2005 da
CORPO ESTRANEO, nuovo disco di inediti.
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