Maggie's farm gli dedica una completa
biografia e un ricordo mai sfocato…
George Harold Harrison (Liverpool, 25 febbraio 1943
– Los Angeles, 29 novembre 2001) è stato un chitarrista, cantautore e
compositore inglese. Dal 1962 al 1970 è stato il chitarrista solista e
cantante (spesso d’accompagnamento e, più raramente, solista) del complesso
musicale dei Beatles, per i quali ha anche composto 22 canzoni.
Dopo lo scioglimento del gruppo (il cui ultimo atto coincise, nell’aprile
1970, con la seduta di studio della canzone scritta da Harrison I Me Mine)
ha intrapreso una carriera individuale, sia come musicista di successo sia
come produttore cinematografico.
Dal 15 marzo 2004 il suo nome figura nella Rock and Roll Hall of Fame.
Harrison ha sempre sostenuto di essere nato un giorno prima della data di
nascita che gli è sempre stata attribuita, e cioè il 24 febbraio. In realtà,
tale affermazione è stata in un certo senso sconfessata dalla sorella di
Harrison, secondo cui la loro madre scrisse sul proprio diario che George
venne alla luce dieci minuti dopo la mezzanotte del 25 febbraio.
Comunque sia, Harrison imparò a suonare la chitarra quando era ancora
adolescente, nel periodo dello skiffle, vale a dire nella seconda metà degli
anni Cinquanta. Nel 1956 fondò assieme al fratello maggiore e ad alcuni
amici il gruppo dilettantistico dei “Rebels“. Poco dopo, nel 1958, il
compagno di scuola Paul McCartney lo presentò a John Lennon. I tre suonarono
insieme nei Quarrymen, più avanti diventati i Beatles.
Celebre l’episodio del suo rimpatrio forzato da Amburgo nel corso della
prima tournèe dei Beatles in quanto ancora minorenne.
All’interno del gruppo Harrison ricoprì un ruolo secondario, ma non
certamente marginale, come accompagnatore ai più prolifici e quotati
colleghi Lennon & McCartney e, per i primi anni di attività del gruppo, le
sue prove compositive non furono frequenti. Tra esse sono da ricordare I
Need You, If I needed Someone (entrambe del 1965), Taxman e I Want To Tell
You (1966).
A partire dal 1965 iniziò a cercare una propria identità musicale al di
fuori del contesto dei Beatles. I suoi interessi per l’Oriente lo portarono
ad abbracciare, più dei compagni, musica e religione indiana. Nel periodo
conobbe il maestro Ravi Shankar, con il quale iniziò a studiare ed a suonare
il sitar. Successivamente, tracce evidenti di questo suo interesse sarebbero
affiorate in molte canzoni, sia con i Beatles sia come solista. Harrison fu
tra i primi ad innestare strumenti orientali nel rock, e durante la
permanenza con i Fab Four suonò il sitar nelle canzoni “Norwegian Wood”
(1965), “Love You To” (1966), “Within You, Without You” (1967) e “The Inner
Light” (1968).
Nel secondo periodo di attività dei Beatles Harrison assunse un ruolo di
primo piano sia come chitarrista, affinando uno stile di chitarra
inconfondibile, sia come autore originale ed intenso di alcune splendide
canzoni come “While My Guitar Gently Weeps” (1968), “Here Comes The Sun” e
“Something” (entrambe del 1969), quest’ultima suo personale capolavoro.
Considerato da sempre, alcune volte a torto, “il terzo” dei Beatles, in
qualità di autore e produttore Harrison fu in realtà molto più attivo di
quanto si creda. Alla fine degli anni Sessanta furono infatti numerose le
sue produzioni per la Apple a favore di artisti come i Badfinger, Billy
Preston, Jackie Lomax e Radha Krishna Temple. Desideroso di intraprendere
progetti individuali e sempre incline alla sperimentazione musicale, sempre
in quel periodo Harrison si cimentò inoltre, per l’etichetta sperimentale
Zapple, in musica d’avanguardia per film con Wonderwall Music (1968),
colonna sonora di sapore orientale e con Electronic Sound (1969), un
esperimento non troppo riuscito di musica elettronica.
Dopo lo scioglimento dei Beatles, il vero e proprio esordio di Harrison come
solista avvenne con All Things Must Pass (1970), un album ambizioso e di
grossa mole in cui poté mettere in luce la maturità artistica raggiunta
nell’ultimo triennio di attività dei Beatles. È un disco triplo, co-prodotto
con Phil Spector e registrato con Eric Clapton e Dave Mason. Il disco è
unanimemente considerato il suo capolavoro. Quando uscì sorprese
notevolmente la critica, che aveva sottovalutato per lungo tempo il talento
del chitarrista, ed ottenne un notevole successo di pubblico, arrivando a
vendere la sorprendente quantità di oltre cinque milioni di copie in tutto
il mondo. Pezzo forte dell’album fu il singolo “My Sweet Lord“, brano di
enorme successo più tardi accusato di plagio perché la sua melodia era
troppo simile a quella di “He’s So Fine“, un successo delle Chiffons
risalente ai primi anni Sessanta.
La causa di plagio tra “My Sweet Lord” e “He’s So Fine“, oggi un caso di
scuola, è senza dubbio una delle più lunghe e controverse che si ricordino.
Arrivò in tribunale nel 1976, ben cinque anni dopo la denuncia, e terminò
inizialmente con la condanna di Harrison per “plagio subconscio” oltre al
pagamento di una multa di oltre 1.600.000 dollari. In seguito si scoprì però
che il suo manager di allora Allen Klein aveva fatto il doppio gioco,
“comprando” il caso e cercando di acquistare per sé i diritti di He’s So
Fine. In questo modo Harrison avrebbe dovuto pagare la multa comminatagli
dal giudice al suo ex-manager. Di conseguenza, fu intentata un’altra causa,
che terminò nel 1990 con la cessione ad Harrison dei diritti della canzone
plagiata nei mercati più importanti, dietro il pagamento delle sole spese
che Klein sostenne, pari a 576.000 dollari.
Nell’estate del 1971, rispondendo ad un invito di Ravi Shankar, Harrison
organizzò in prima persona il celebre Concerto per il Bangladesh, iniziativa
benefica a favore delle popolazioni di profughi dalla guerra civile tra
India e Pakistan che portò alla costituzione dello stato del Bangladesh.
L’evento, che sarebbe diventato il suo “fiore all’occhiello”, fu la prima
iniziativa musicale di beneficenza di ampia portata ed ebbe una risonanza
mondiale. Il 1 agosto furono organizzati due spettacoli dal vivo al Madison
Square Garden di New York che fecero registrare il “tutto esaurito” grazie
alla presenza di ospiti illustri quali Bob Dylan, Ravi Shankar, Eric
Clapton, Leon Russell e Ringo Starr.
Gli spettacoli furono seguiti da un pubblico di circa 40.000 spettatori. Il
secondo concerto fu registrato e pubblicato sul triplo LP live The Concert
For Bangla Desh (1971), che ottenne un notevole successo in tutto il mondo.
Dall’evento fu ricavato anche un film-documentario dallo stesso titolo
(1972). George Harrison e Ravi Shankar ricevettero poi il premio Child Is
The Father of the Man dall’UNICEF, come riconoscimento per gli impegni
umanitari, mentre il doppio album ricevette il Grammy “Album dell’anno
1972?.
Considerando la portata dell’evento, gli intenti benefici furono tuttavia
raggiunti soltanto parzialmente. Nel corso del 1972, i funzionari del Fisco
americano sollevarono varie questioni in merito ai proventi raccolti dal
concerto e dalle iniziative connesse. L’album, tra l’altro, non fu
considerato una pubblicazione benefica, con la conseguente applicazione sui
proventi della normale tassazione per le pubblicazioni standard. Una parte
consistente dei fondi raccolti rimase quindi bloccata fino al 1981. Fu un
duro colpo per Harrison, che rimpianse per lungo tempo il fatto di aver
organizzato il concerto in fretta (cinque settimane soltanto) e di non aver
istituito, causa i tempi ristretti, una fondazione benefica a cui destinare
da subito e senza problemi tutti i fondi raccolti.
Come riflesso dei suoi interessi umanitari e soprattutto dopo le spiacevoli
vicende fiscali seguite al Concerto per il Bangladesh, nell’aprile 1973
Harrison istituì la Material World Charitable Foundation, una fondazione con
cui volle supportare attivamente vari progetti di beneficenza in tutto il
mondo. Alla fondazione decise di donare i proventi dai diritti d’autore di
alcune canzoni incluse nel suo album successivo, Living in the Material
World, che ancora una volta fece registrare vendite molto alte, forte del
successo dei singoli Give Me Love (Give Me Peace On Earth).
Nel 1974 Harrison fondò una propria etichetta discografica, la Dark Horse
Records, la cui prima scrittura andò all’amico e maestro di sitar Ravi
Shankar. Con lui l’ex-Beatle effettuò, tra novembre e dicembre di quello
stesso anno, una tournée di cinquanta concerti tra gli Stati Uniti ed il
Canada. L’evento avrebbe dovuto tra l’altro promuovere l’uscita dell’album
Dark Horse e del singolo omonimo. Harrison aveva gravi problemi alla voce ma
non fu possibile annullare la tournée, che fu un fiasco finanziario e
ricevette critiche pesantemente negative da parte della stampa americana,
compromise seriamente le vendite del disco e addirittura la reputazione di
Harrison all’interno del business discografico. Conobbe tuttavia Olivia
Trinidad Arias, che nel 1978 diventerà sua moglie.
Le reazioni negative suscitate dal tour americano contribuirono, almeno in
parte, a favorire il graduale distacco di Harrison dalla ribalta. Tra le
sporadiche apparizioni della seconda metà degli anni Settanta si ricordano
una partecipazione televisiva al programma Saturday Night Live con Paul
Simon nel 1976 ed una piccola parte in All You Need Is Cash (1978), un
graffiante film-parodia di Eric Idle (del gruppo di comici inglesi Monty
Python) sulla storia dei Rutles, una banda fittizia che prendeva in giro i
Beatles.
Due passatempi, in questo periodo, iniziarono ad assorbire molto del suo
tempo libero: la passione per le corse automobilistiche di Formula Uno, che
lo vide ospite frequente tra il pubblico degli appassionati in varie parti
del mondo, e la cura attenta per lo splendido parco della sua tenuta di
Friar Park, nei pressi di Oxford.
L’artista continuò a pubblicare nuovi lavori, registrati per lo più nel suo
studio privato a Friar Park, uno tra i più sofisticati del mondo. Le vendite
dei dischi si mantennero su livelli piuttosto buoni e gli fruttarono qualche
altro successo di media classifica: You, da Extra Texture (Read All About
It)(1975), This Song e Crackerbox Palace da Thirty-Three & 1/3 (1976) e Blow
Away da George Harrison (1979).
Alla fine degli anni Settanta, l’amicizia con il gruppo di comici Monty
Python lo stimolò nel finanziare la produzione del film Life Of Brian
(1978), inizialmente rifiutato dalla Warner Brothers. L’iniziativa ebbe
successo tanto da indurlo a fondare con il socio Dennis O’ Brien la casa di
produzione HandMade Films, parte della Dark Horse Productions, con
l’obiettivo di finanziare pellicole dal budget contenuto, che le case più
grandi avrebbero magari rifiutato.
Nel frattempo, anche la vita privata aveva raggiunto una tranquilla
stabilità. Dopo il divorzio dalla prima moglie Patti Boyd, nel 1978 Harrison
aveva sposato Olivia Trinidad Arias, una ex-segretaria della Dark Horse di
origini messicane, da cui aveva avuto il figlio Dhani.
Successivamente, nel 1979 Harrison pubblicò, prima in edizione limitata
(Genesis Publications) poi in edizione commerciale (1980), il libro I Me
Mine, una breve ma celebre autobiografia in cui rivelava retroscena inediti
e amari dell’epoca dei Beatles e del suo difficile rapporto con la fama e
con lo show business, due realtà molto spesso accettate con riluttanza.
Negli anni Ottanta Harrison, sistematicamente boicottato dalla propria casa
discografica che aveva perso fiducia in lui come artista commercialmente
appetibile, ridusse notevolmente l’attività musicale e si dedicò
prevalentemente alla produzione cinematografica, ottenendo buoni successi
internazionali soprattutto come produttore esecutivo dei film dei Monty
Python. Nel corso della sua attività, la HandMade Films alternò pellicole di
successo ad episodi meno fortunati. Verso la metà del decennio la casa di
produzione di Harrison, che era comunque diventata una presenza importante
nell’ambito del cinema indipendente britannico, dovette chiudere i battenti,
specialmente in seguito all’insuccesso di Shangai Surprise.
Sul fronte discografico, l’album Somewhere In England (1981) ricevette
addirittura l’affronto di essere rifiutato dalla casa discografica, finché
Harrison non vi incluse la bella All Those Years Ago, suo personale tributo
all’ex-collega John Lennon, recentemente scomparso e inizialmente destinata
al nuovo album di Ringo Starr. Il singolo, a cui parteciparono lo stesso
Ringo Paul e Linda McCartney, diventò un immediato successo internazionale.
Dopo l’insuccesso del debole Gone Troppo (1982) trascorsero cinque anni
durante i quali l’artista - a parte gli impegni nel campo della
cinematografia - rimase lontano dalle cronache facendo parlare di sé assai
di rado. Scarse furono anche le apparizioni in pubblico, tra cui sono da
segnalare un’estemporanea presenza sul palco con i Deep Purple in Australia
(1984), lo special televisivo Carl Perkins Tribute (1985) e la
partecipazione al concerto per il decimo anniversario della fondazione
benefica Prince’s Trust (1987).
Pubblicato alla fine del 1987, l’album Cloud Nine segnò il prepotente
rientro di George Harrison sulla scena musicale ed ottenne un notevole
successo, che riuscì a rinverdire antichi fasti. Prodotto insieme a Jeff
Lynne, che collaborò anche alla scrittura dei brani, il disco si avvale
della presenza di altri illustri colleghi quali Eric Clapton, Elton John,
Gary Wright e Ringo Starr. È il tipico album di un artista di mezza età che
si ripresenta al pubblico dopo alcuni anni con consumata classe e disinvolta
eleganza.
L’album si segnala, in particolare, per gli arrangiamenti curati e per le
melodie fresche e briose, che hanno in un certo senso “aggiornato” la magia
dei Beatles agli anni Ottanta. Il singolo Got My Mind Set On You, cover di
una vecchia canzone di Rudy Clark cara ai Beatles fin dai tempi di Amburgo,
riportò il nome di Harrison in vetta alla classifica statunitense dopo molto
tempo. Buon successo ottenne anche la canzone When We Was Fab, in cui
Harrison ricordava i tempi andati evocando intenzionalmente i Beatles. La
canzone deve una parte della sua popolarità al sofisticato e divertente
videoclip con cui fu promossa.
L’anno successivo suscitò sorpresa la sua partecipazione a Traveling
Wilburys (1988), un progetto discografico di moderna american music
straordinariamente riuscito. L’album, che ottenne un notevole successo
commerciale, è accreditato ai fantomatici “fratelli Wilburys”, sigla dietro
la quale oltre ad Harrison si celavano Bob Dylan, Tom Petty, Jeff Lynne e
Roy Orbison, che purtroppo morì improvvisamente poche settimane dopo
l’uscita dell’album. Il disco deve il suo successo critico e commerciale al
fatto di essere riuscito a trarre il meglio da ciascuno dei musicisti
coinvolti, ed in effetti ottenne un riscontro superiore a quello che
avrebbero potuto ottenere gli album solisti di ciascun componente del
gruppo.
Le osservazioni critiche che in passato avevano messo in ombra una parte
della produzione di Harrison erano ormai un lontano ricordo. Anche Paul
McCartney, dopo tanti anni, gli propose di tornare a comporre insieme.
Harrison tuttavia rifiutò, preferendo continuare a lavorare in più occasioni
con i suoi più recenti collaboratori, che avevano riconosciuto da sempre il
suo talento senza riserve. Nel periodo Harrison seguì ancora i “Fratelli”
anche in alcuni loro progetti solisti, contribuendo agli album Full Moon
Fever di Tom Petty, Mystery Girl di Roy Orbison e più tardi a Under the Red
Sky di Bob Dylan.
Nel 1989, infine, il termine del secondo decennio di carriera individuale fu
onorato con la pubblicazione di una bella antologia, Best Of Dark Horse
1976-1989, con i brani più importanti del periodo e due canzoni nuove.
A molto tempo ormai dai fasti Beatles, negli anni Novanta George Harrison,
ormai appagato sotto molti punti di vista, si divise comodamente tra i
consueti impegni nel campo della cinematografia ed una comoda attività
musicale. L’unico risultato in studio fu il secondo capitolo della saga dei
Traveling Wilburys, ironicamente intitolato Traveling Wilburys, Vol. 3
(1990), che ottenne un confortante successo commerciale. Il disco è dedicato
allo scomparso Roy Orbison ed è realizzato sempre in compagnia dei
“fratelli” Bob Dylan, Tom Petty e Jeff Lynne. Quest’ultimo produsse il
lavoro assieme ad Harrison.
Espletati gli impegni con la “famiglia” Wilbury, nel dicembre 1991 il
chitarrista, convinto da Eric Clapton, decise di affrontare nuovamente il
pubblico, a tanti anni dall’ultima tournée. La mossa fu comunque criticata
dai media, visto che Harrison optò solo per alcune date da effettuarsi in
Giappone. Ad accompagnarlo c’erano l’amico di sempre Eric Clapton e la sua
band, un gruppo di musicisti di prima scelta in cui si segnala Chuck Leavell
alle tastiere. Il risultato discografico fu il doppio album Live in Japan
(1992) che, nonostante le critiche positive, nulla aggiunse alle fortune di
colui che fino a quel momento era un ex-Beatle. Da segnalare che durante il
tour in Giappone George Harrison ebbe un’avventura con l’allora moglie di
Eric Clapton Lory Del Santo. È stata lei a rivelarlo nel 2007 affermando che
quella con Harrison fu molto piu che un’avventura, e nonostante sia durato
solo 3 giorni, è stato per lei un periodo molto felice.
Poco dopo la tournée giapponese, il 6 aprile 1992, Harrison suonò dal vivo
alla Royal Albert Hall di Londra. Il concerto faceva parte delle attività
promozionali per il lancio del NLP, Natural Law Party (Partito della Legge
Naturale), ideologia dietro la quale si celava ancora una volta l’anziano
Maharishi. Successivamente, un altro impegno di rilievo fu la sua
partecipazione al concerto di tributo a Bob Dylan realizzato al Madison
Square Garden di New York il 16 ottobre 1992 e trasmesso in TV via
satellite. Le registrazioni del concerto furono pubblicate sul doppio album
dal vivo Bob Dylan - The 30th Anniversary Concert Celebration (1993). Verso
la fine dell’anno, il 6 dicembre, Harrison fu poi il primo musicista
insignito del “Century Award”, prestigioso riconoscimento alla carriera da
parte della rivista americana Billboard.
Nel 1994, a causa di problemi finanziari, Harrison fu costretto a vendere la
HandMade Films. La spiacevole vicenda portò con sé strascichi legali
destinati a durare a lungo.
Quello stesso anno, il chitarrista tornò in studio di registrazione insieme
con Paul McCartney e Ringo Starr per portare a termine il progetto Anthology
dei Beatles, realizzato tra il 1995 ed il 1996 in un film-documentario e ben
tre doppi album. Nonostante le critiche controverse, il progetto ha avuto il
potere di consolidare ulteriormente il mito della più famosa pop band del
Novecento.
l meditativo Harrison, come di consueto, tra un progetto e l’altro non fece
parlare molto di sé. Dopo l’Anthology dei Beatles, nel 1995 lavorò alla
compilazione di In Celebration, un box antologico di Ravi Shankar Nelle note
di copertina del cofanetto ebbe il privilegio di essere definito il vero
padrino della world music. Lavorò poi alla produzione di Chants of India
(1997), un nuovo album di studio del musicista indiano.
Nel 1998, da un’intervista concessa dallo stesso Harrison, si venne a sapere
che il musicista aveva recentemente sofferto di un tumore alla gola, un
grave ostacolo che ne aveva bloccato l’attività musicale. Rincuorò comunque
i suoi fan, dichiarandosi completamente guarito.
Alla fine del 1999 Harrison subì un’aggressione da uno squilibrato,
introdottosi nella sua residenza inglese. Fu salvato dalla moglie Olivia.
Nel 2000 curò poi personalmente la realizzazione di una edizione
rimasterizzata del celebre album All Things Must Pass, pubblicata all’inizio
del 2001, nella quale tra l’altro aggiunse “My Sweet Lord 2000“, una nuova
versione di “My Sweet Lord” incisa probabilmente per dimostrare la sua
estraneità al plagio, ed annunciò l’imminente pubblicazione di un nuovo
album unitamente ad un box antologico con nuove ristampe degli album del
catalogo Dark Horse.
Queste confortanti notizie passarono in secondo piano quando, nell’estate
del 2001, fu confermato che il musicista era affetto da una forma di tumore
al cervello ormai in stato avanzato ed inoperabile.
George Harrison è morto il 29 novembre 2001 a Los Angeles in casa di un
amico all’età di 58 anni. La sua scomparsa ha scosso il pubblico e la
critica di tutto il mondo. Poco dopo la morte, la famiglia rilasciò alla
stampa la seguente dichiarazione: «Ha lasciato questo mondo come aveva
vissuto: consapevole di Dio, senza paura della morte ed in pace, circondato
dalla famiglia e dagli amici. Spesso ripeteva: “Tutto può attendere, non la
ricerca di Dio e amatevi l’un l’altro”».
L’ultimo album, Brainwashed, è stato pubblicato un anno dopo la morte ed ha
ottenuto ottime recensioni da parte della critica. Il disco raccoglie undici
nuove canzoni ed il remake di uno standard, “Between The Devil and the Deep
Blue Sea“. Lasciato incompiuto da Harrison, il disco è stato successivamente
completato da Jeff Lynne e dal figlio Dhani. La volontà di Harrison, per
ammissione degli stessi Lynne e Dhani, era di pubblicare l’album come una
raccolta di demo. Prima della morte, tra l’altro, Harrison (sempre assieme a
Lynne) stava lavorando ad un’antologia dei Traveling Wilburys.
Contemporaneamente alla pubblicazione di Brainwashed, la moglie Olivia ed
Eric Clapton hanno organizzato un concerto in tributo alla sua memoria,
Concert For George, svoltosi alla Royal Albert Hall di Londra il 29 novembre
2002. La registrazione è stata pubblicata sull’album Concert For George
(2003). All’evento hanno partecipato Ravi Shankar, Paul McCartney, Ringo
Starr, Eric Clapton, Tom Petty, Jeff Lynne, Gary Brooker, Billy Preston e il
figlio Dhani. È spiccata la grande assenza di Bob Dylan.
All’inizio del 2004 è stato pubblicato il cofanetto “The Dark Horse Years -
1976-1992?, contenente le nuove ristampe degli album da Thirty-Three & 1/3 a
Live In Japan, di cui Harrison aveva già parlato intorno al 2000. Tutti gli
album del periodo sono stati quindi reimmessi sul mercato (che erano fuori
catalogo da alcuni anni) accompagnati da un interessante DVD con interviste
inedite e divertenti video promozionali di alcune canzoni.
Ad ottobre 2005, infine, il Concerto per il Bangladesh (album e film) è
stato nuovamente pubblicato sia su doppio CD sia su DVD.
Nel settembre 2006 è stata pubblicata la versione rimasterizzata
dell’introvabile Living In The Material World del 1973 (in versione normale
e in formato deluxe).
Il 29 novembre 2006, a cinque anni esatti dalla scomparsa di George
Harrison, Editori Riuniti (Collana Pensieri e Parole) pubblica ‘Le Canzoni
di George Harrison’ di Michelangelo Iossa, il primo volume che analizza i
testi di tutti i brani del canzoniere harrisoniano, dal periodo-Beatles sino
alle produzioni postume.
Ciao George…All Things must Pass…
(Tratto da Wikipedia)
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