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THE CHELSEA HOTEL |
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( di Corrado Nuccini ) C’è un posto a New York. E’ il Chelsea
Hotel. In molti hanno vissuto lì. Poeti, girovaghi, musicisti e squattrinati
hanno tutti trascorso giornate in quelle stanze, componendo, scrivendo,
cazzeggiando, filmando, amandosi e morendo nei dodici piani dell’edificio
che sorge sulla 23ª. In origine era un grande condominio. Anche se la parola
inganna. Era un posto per ricchi dove dietro il tetro mix di art decò e
gotico delle facciate si svelava il lusso sensuale degli appartamenti. Era
al centro di una strada molto in voga. C’era l’Opera House Palace, la Pike’s
Opera House e il Proctor’s Theater. Ma le cose prendono spesso altre pieghe
e il declino fu rapido. Stava nascendo sulla 40ª il Teatro Empire, primo
tassello della futura Broadway. La 23ª cadde nel dimenticatoio diventando
riserva di lottizzatori e speculatori. Nel 1903, dopo il fallimento della
cooperativa che gestiva il condominio, il Chelsea fu così trasformato in un
hotel. Oggi si può affermare che quel declino abbia significato la sua
fortuna. La gloria dimenticata del palazzo affascinò diversi artisti che ne
fecero la loro casa, rendendo il luogo immortale.
“Edie lasciò Warhol per Bob Dylan. E pensare che voleva essere la lead
singer dei Velvet Underground, ma Edie parlava solo di soldi e non sapeva
nemmeno cantare. Il suo posto fu occupato da Nico” afferma Bockris . E
prosegue “Nico introduce un nuovo stile dal ‘66 in poi. Se Edie era hot,
Nico era cool. Edie era una ragazza. Nico è una donna”. Così passo sotto la
“protezione” di Dylan. Era pronta per il grando salto. Albert Grossman,
manager di Dylan, avrebbe dovuto farle firmare un contratto cinematografico
di esclusiva per Hollywood.
Questa storia è solo una delle mille leggende che gravitano intorno
all’edificio. Scorrere l’elenco degli ospiti del Chelsea Hotel equivale a
passare in rassegna un secolo di arte americana. William Burroughs vi
scrisse «Il pasto nudo». Il Chelsea fu la casa di Milos Forman per tutto il
tempo delle riprese di «Hair». O. Henry visse lì per anni registrandosi,
ogni notte, sotto nomi differenti. A metà degli anni Settanta, Patti Smith e
Robert Mapplethorpe vissero la loro storia d’amore impossibile tra le pareti
di una delle sue stanze. Edgar Lee Masters vi scrisse 18 libri di poesie.
Sempre lì Arthur Miller scrisse il dramma «Dopo la caduta», la sua spietata
lettera d’addio a Marilyn. Lì Harry Smith cucì insieme le migliaia di nastri
della sua «Anthology of American Folk Music», libro di testo sapienziale per
tre generazioni di cantautori americani. All’ingresso dell’hotel una targa
ricorda un altro dei suoi famosi inquilini, un poeta gallese grande e
dannato: «Dylan Thomas visse e soffrì qui… e da qui salpò verso la morte».
In una di quelle camere, nel febbraio del 1979, cercò e trovò la morte con
un’overdose di eroina, Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols che pochi
mesi prima, in un’altra stanza del Chelsea, aveva ucciso la sua fidanzata,
Nancy Spungen. Una storia d’amore finita tragicamente, a differenza di
quella che, negli anni Sessanta, unì per poche notti soltanto Leonard Cohen
e Janis Joplin e alla quale il cantautore canadese dedicò la sua «Chelsea
Hotel n. 2»
EDIE &ANDY C’è un posto a New York. E’
il Chelsea Hotel. In molti hanno vissuto lì. Poeti, girovaghi, musicisti e
squattrinati hanno tutti trascorso giornate in quelle stanze, componendo,
scrivendo, cazzeggiando, filmando, amandosi e morendo nei dodici piani
dell’edificio che sorge sulla 23ª. In origine era un grande condominio.
Anche se la parola inganna. Era un posto per ricchi dove dietro il tetro mix
di art decò e gotico delle facciate si svelava il lusso sensuale degli
appartamenti. Era al centro di una strada molto in voga. C’era l’Opera House
Palace, la Pike’s Opera House e il Proctor’s Theater. Ma le cose prendono
spesso altre pieghe e il declino fu rapido. Stava nascendo sulla 40ª il
Teatro Empire, primo tassello della futura Broadway. La 23ª cadde nel
dimenticatoio diventando riserva di lottizzatori e speculatori. Nel 1903,
dopo il fallimento della cooperativa che gestiva il condominio, il Chelsea
fu così trasformato in un hotel. Oggi si può affermare che quel declino
abbia significato la sua fortuna. La gloria dimenticata del palazzo
affascinò diversi artisti che ne fecero la loro casa, rendendo il luogo
immortale.
Era il 1966 quando Andy Warhol girò «The Chelsea Girls», summa della sua
estetica nichilistica. Un’opera composta da 12 film di 30-35 minuti
ciascuno, senza stacchi di montaggio, girati nelle camere art decò e dai
soffitti altissimi del Chelsea Hotel. Fu mostrata in pubblico nella
primavera successiva. Per 19 settimane solamente. Da allora è conservato in
duplice copia al Museo di arte moderna di New York e al Museo Warhol di
Pittsburgh. Davanti alla macchina da presa sfilano uomini e donne, icone
warholiane: Nico, Marie Menken, Mary Woronov, Gerard Malanga, International
Velvet, Ingrid Superstar, Angelina Pepper Davis, Ondine, Albert Rene Ricard,
Rona Page, Ed Hood, Patrick Fleming, Mario Montez, Eric Emerson, Ari
Boulogne e Brigid Berlin che in una scena memorabile si buca di methedrina
attraverso i jeans.
Questa storia è solo una delle mille leggende che gravitano intorno
all’edificio. Scorrere l’elenco degli ospiti del Chelsea Hotel equivale a
passare in rassegna un secolo di arte americana. William Burroughs vi
scrisse «Il pasto nudo». Il Chelsea fu la casa di Milos Forman per tutto il
tempo delle riprese di «Hair». O. Henry visse lì per anni registrandosi,
ogni notte, sotto nomi differenti. A metà degli anni Settanta, Patti Smith e
Robert Mapplethorpe vissero la loro storia d’amore impossibile tra le pareti
di una delle sue stanze. Edgar Lee Masters vi scrisse 18 libri di poesie.
Sempre lì Arthur Miller scrisse il dramma «Dopo la caduta», la sua spietata
lettera d’addio a Marilyn. Lì Harry Smith cucì insieme le migliaia di nastri
della sua «Anthology of American Folk Music», libro di testo sapienziale per
tre generazioni di cantautori americani. All’ingresso dell’hotel una targa
ricorda un altro dei suoi famosi inquilini, un poeta gallese grande e
dannato: «Dylan Thomas visse e soffrì qui… e da qui salpò verso la morte».
In una di quelle camere, nel febbraio del 1979, cercò e trovò la morte con
un’overdose di eroina, Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols che pochi
mesi prima, in un’altra stanza del Chelsea, aveva ucciso la sua fidanzata,
Nancy Spungen. Una storia d’amore finita tragicamente, a differenza di
quella che, negli anni Sessanta, unì per poche notti soltanto Leonard Cohen
e Janis Joplin e alla quale il cantautore canadese dedicò la sua «Chelsea
Hotel n. 2»
EDIE &ANDY - (di Francesca Gentile) Magnetica, scandalosa, fragile. Nel '65
Edie Sedgwick fu la musa di Warhol. Poi si eclissò. Con due libri e un film
si torna a parlare di lei
Su quanto invece la loro relazione fosse stata autodistruttiva per Edie, il mistero rimane, e le opinioni sono tuttora divergenti. Victor Bockris è uno strenuo difensore (e amico) di Warhol, nonché l'autore della biografia dell'artista intitolata Warhol: The Biography e di altri libri su personaggi del periodo, come Lou Reed, William Burroughs, Blondie, Keith Richards, mentre ora sta ultimando una trilogia sul movimento Punk. "Sbaglia chi accusa Warhol di avere iniziato Edie alla droga", esordisce Bockris che incontriamo al mitico Chelsea Hotel di New York (ma che cosa non è mitico in questa storia?) dove vive e lavora. "Edie prendeva anfetamine già prima di arrivare alla Factory. È falso inoltre sostenere che nel laboratorio di Andy ci fosse eroina". Bockris si riferisce alla biografia di Stein e Plimpton. Agitando una bottiglia di Coca Cola quasi vuota continua: "Warhol si arrabbiò davvero quando lesse quel libro. Seppure amasse la pubblicità negativa, in questo caso rimase contrariato, soprattutto per le parole che vennero messe in bocca a lei e che riguardavano lui sulla faccenda dell'eroina. Stein e Plimpton erano due conservatori che attaccarono Warhol tramite la Sedgwick. Quando Edie incrociò Warhol, era una ragazza ricca e persa, che scorrazzava con gruppi di amici gay, e non aveva una grande personalità. Era una brava persona con un'anima buona, generosa, ma era terribilmente confusa dagli eventi della sua esistenza. Dilapidò i soldi di famiglia in breve tempo, era drogata, non mangiava mai. Andy completava le persone che amava e lo stesso fece con Edie". Betsie Johnson, costumista del film Ciao! Manhattan, la ricorda così: "Andy sapeva che in Edie aveva trovato qualcosa di eccezionale, unico. Incapsulava un'intera era, solamente con quello sguardo distratto da Holly Golightly: cinque paia di ciglia finte, lip gloss, trucco pesante, il taglio di capelli alla Vidal Sassoon. E poi Edie correva con i cavalli selvaggi. Voglio dire che non era solo look: aveva una testa, un corpo, un storia terribile alle spalle. Intendo dire che era la candidata perfetta, giovane, bellissima, l'immagine di quel tempo, nelle mani di Andy, e capace anche di stare in piedi da sola. Cadendo, rialzandosi, in ogni caso, era unica in un'infinità. Non c'è più stato un periodo così intenso: le strade, i teatri, da capogiro! E Edie si trovava in mezzo a tutto questo, lei c'era. Io non so che cosa è, ma Andy voleva contornarsi sempre di persone che sapessero vivere, che facessero tutto quello che volevano, e così era Edie". Secondo Truman Capote, Warhol voleva essere Edie. Gli sarebbe piaciuto essere tutto ciò che lei era, bella, aristocratica, talmente assorbita da se stessa da attirare attenzione e piacere al primo sguardo. "Sì, in un certo senso è vero", dice Bockris, "a un certo punto si assomigliavano pure, si vestivano alla stessa maniera, portavano una pettinatura simile, erano sempre insieme, sette sere su sette. Si amavano. Edie era una figura da ispirazione, androgina, sexy, come un ragazzino adolescente quattordicenne che piace ai gay. Per Warhol era un pezzo d'arte pop camminante". C'è qualcuno che l'abbia amata veramente? "Tutti gli uomini volevano portarsela a letto, la trattavano come un oggetto sessuale, per questo motivo preferiva frequentare i gay. D'altronde era molto difficile avere una relazione sentimentale con Edie perché chiedeva di essere salvata dal suo caos, i suoi compagni non se la sentivano e infine scappavano. Ma c'era anche un altro tassello drammatico nel suo passato: aveva subito abusi sessuali da bambina. Non poteva aspirare a un'esistenza serena. Intelligente? Piuttosto era creativa", continua Bockris, "ma non sapeva vivere. Era un disastro. Dentro di sé portava un buco nero. Praticamente si suicidò. Andy le diede la possibilità di vivere, ma lei la buttò via. Warhol è stato un grande personaggio che ha cambiato il mondo. La Sedgwick che cosa ha fatto? Niente!". Edie lasciò Warhol per Bob Dylan. Voleva essere la lead singer dei Velvet Underground, il gruppo formato da Warhol con Lou Reed e John Cale, ma Edie questionava sui soldi e non sapeva nemmeno cantare, il suo posto fu occupato da Nico. "La Factory era il centro luminoso dell'arte", ricorda Bockris, "per sopravvivere con Andy però era necessaria una forte dose di forza personale. Edie possedeva del talento, aveva mantenuto la sua bellezza nonostante le droghe e l'alcol, ma era confusa e alla fine si fece "soffiare" il posto da Nico, che assunse il ruolo di nuova musa della Factory. A quei tempi in un anno poteva cambiare tutto. Nico introduce un nuovo stile dal '66 in poi. Se Edie era hot, Nico era cool. Edie era una ragazza. Nico è una donna". Andy insofferente agli abbandoni la isolò progressivamente. Edie stava perdendo terreno. Si trasferisce al Chelsea Hotel (una notte manda a fuoco la stanza con un mozzicone di sigaretta) e furiosa passa al clan di Dylan, dove sogna di continuare la sua carriera di attrice e cominciare quella di cantante. Riuscì a firmare un contratto con il suo manager Albert Grossman. Dylan negò sempre l'esistenza di un legame sentimentale tra di loro, ma s'ispirò a Edie nel comporre alcuni brani (anche se su questo punto i pareri non collimano), come Like a Rolling Stone, Just Like a Women, Leopardskin Pillbox Hat. La Sedgwick non digerì il suo matrimonio in sordina con Sara Lowndes e inoltre le promesse fatte non furono mai mantenute; Edie non recitò e non cantò per Dylan. Rimase invece coinvolta
in una burrascosa relazione con il suo amico Bobby Neuwirth, e fu allora che
cadde nel tunnel dell'eroina. Neuwirth infine la lasciò perché incapace di
gestire la sua follia e dipendenza dalle droghe. Questo è l'inizio della
fine. Forse la fine di un'epoca. La ragazza che dominava il mondo dalle
pagine di Vogue, nonostante il tempio della moda la tenesse a distanza
perché tossicodipendente, si stava frantumando. La "poor little rich girl"
torna in California dalla famiglia. La sua salute va degenerando e i
ricoveri si susseguono. Nel '69 viene pizzicata con la droga dalla polizia
locale e trasferita al reparto psichiatrico del Cottage Hospital di Santa
Barbara. Qui incontrerà Michael Post, un paziente dell'ospedale, che sposerà
nel luglio del '71. La mattina del 16 novembre dello stesso anno il marito
la trova nel letto priva di vita. Causa della morte: intossicazione acuta di
barbiturici. Fine della storia. L'artista Ultra Violet amica-nemica di
Warhol commentò: "Edie era squisita, ma osservandola da vicino si poteva
vedere qualcosa di inquietante: un magnifico animale impaurito, che è stato
inseguito, ucciso in altre parole, da Andy Warhol, e conservato come un
trofeo, come la testa di un capriolo esposta nella casa di un cacciatore".
Quando Andy seppe della sua morte sembra che abbia risposto come se fosse
accaduto qualcosa su un altro pianeta. |
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