MAGGIE'S FARM

sito italiano di BOB DYLAN

 

THE CHELSEA HOTEL

 

 

 

( di Corrado Nuccini )

C’è un posto a New York. E’ il Chelsea Hotel. In molti hanno vissuto lì. Poeti, girovaghi, musicisti e squattrinati hanno tutti trascorso giornate in quelle stanze, componendo, scrivendo, cazzeggiando, filmando, amandosi e morendo nei dodici piani dell’edificio che sorge sulla 23ª. In origine era un grande condominio. Anche se la parola inganna. Era un posto per ricchi dove dietro il tetro mix di art decò e gotico delle facciate si svelava il lusso sensuale degli appartamenti. Era al centro di una strada molto in voga. C’era l’Opera House Palace, la Pike’s Opera House e il Proctor’s Theater. Ma le cose prendono spesso altre pieghe e il declino fu rapido. Stava nascendo sulla 40ª il Teatro Empire, primo tassello della futura Broadway. La 23ª cadde nel dimenticatoio diventando riserva di lottizzatori e speculatori. Nel 1903, dopo il fallimento della cooperativa che gestiva il condominio, il Chelsea fu così trasformato in un hotel. Oggi si può affermare che quel declino abbia significato la sua fortuna. La gloria dimenticata del palazzo affascinò diversi artisti che ne fecero la loro casa, rendendo il luogo immortale.
Raccontare in poche parole gli avvenimenti che gravarono intorno al Chelsea Hotel è impossibile. Si devono fare delle scelte. E così questa che racconto è una delle tante storie. I protagonisti, gente comune. Dal nome di Andy Warhol, Bob Dylan e Edie Sedwick.
Era il 1966 quando Andy Warhol girò «The Chelsea Girls», summa della sua estetica nichilistica. Un’opera composta da 12 film di 30-35 minuti ciascuno, senza stacchi di montaggio, girati nelle camere art decò e dai soffitti altissimi del Chelsea Hotel. Fu mostrata in pubblico nella primavera successiva. Per 19 settimane solamente. Da allora è conservato in duplice copia al Museo di arte moderna di New York e al Museo Warhol di Pittsburgh. Davanti alla macchina da presa sfilano uomini e donne, icone warholiane: Nico, Marie Menken, Mary Woronov, Gerard Malanga, International Velvet, Ingrid Superstar, Angelina Pepper Davis, Ondine, Albert Rene Ricard, Rona Page, Ed Hood, Patrick Fleming, Mario Montez, Eric Emerson, Ari Boulogne e Brigid Berlin che in una scena memorabile si buca di methedrina attraverso i jeans.
In quegli anni al Chelsea Hotel c’era anche Bob Dylan. Sul letto della suite principale compose una delle sue più belle canzoni d’amore, «Sad eyed lady of the Lowlands», dedicata alla moglie Sara Lowndes. Dylan s’era sposato da poco ed in gran segreto. Così parallelamente viveva una storia d’amore con Edie Sedgwick. Attrice della Factory e musa preferita di Warrol. Si incontrarono ad una festa al Dakota e fu subito amore. “She’s so fabulous!”, disse lui poi chiedendo chi fosse quella ragazza. Lei era la settima di otto figli, famiglia benestante ma con grossi problemi all’interno. Padre che soffriva di crisi depressive, madre senza carattere. E lei “dentro di sé portava un buco nero” dice Victor Bockris, amico di Warrhol. Un male oscuro legato anche ad alcuni abusi che subì dal pradre in giovane età. Ma poi arrivò Dylan e le cose cambiarono in tutti i sensi.
 

“Edie lasciò Warhol per Bob Dylan. E pensare che voleva essere la lead singer dei Velvet Underground, ma Edie parlava solo di soldi e non sapeva nemmeno cantare. Il suo posto fu occupato da Nico” afferma Bockris . E prosegue “Nico introduce un nuovo stile dal ‘66 in poi. Se Edie era hot, Nico era cool. Edie era una ragazza. Nico è una donna”. Così passo sotto la “protezione” di Dylan. Era pronta per il grando salto. Albert Grossman, manager di Dylan, avrebbe dovuto farle firmare un contratto cinematografico di esclusiva per Hollywood.
Ma non ci fu mai alcun contratto e così rimase alla Factory. Una situazione surreale. Paul Morrissey e Gerard Malanga raccontano un aneddoto che spiega quella situazione “La relazione di Edgie Sedgwick con Bob Dylan venne fuori una sera in cui vedemmo Edie al Ginger Man. Ella ci disse che non voleva più che Andy Warhol - di cui era intima amica - mostrasse i suoi film… Ci disse di avere firmato un contratto con Albert Grossman, il manager di Dylan… Dylan le telefonava frequentemente per invitarla a uscire con lui, dicendole di non riferire a Andy o a chiunque altro che loro due si vedevano. La invitò a Woodstock, e le disse che Grossman sperava di riuscire a metterla insieme a lui. Avrebbe potuto essere la sua primadonna… Lei, convinta da Dylan, firmò un contratto con Grossman… Disse: Faranno un film, e pare che io ne sarò la protagonista assieme a Bobby. Improvvisamente, fu tutto un Bobby di qui, Bobby di là, finche non ci rendemmo conto che aveva una cotta per lui… A un certo punto, Andy Warhol non resistette più e le disse: “Edie, lo sai che Bob Dylan è sposato?” - Lei impallidì. Cosa? - disse - Non ci credo”.
Il resto è cronaca di un declino. Edie ebbe una relazione distruttiva con un amico di Dylan, inziò ad assumere droghe cosantemente. Si tolse la vità a 28 anni. Il Chelsea hotel ha chiuso i battenti quest’anno dopo una strenua resistenza trattenendo tra quelle mura gli echi di mille canzoni, parole, vaniloqui, litigi, gemiti d’amore e quant’altro quel luogo ha raccolto.
 

Questa storia è solo una delle mille leggende che gravitano intorno all’edificio. Scorrere l’elenco degli ospiti del Chelsea Hotel equivale a passare in rassegna un secolo di arte americana. William Burroughs vi scrisse «Il pasto nudo». Il Chelsea fu la casa di Milos Forman per tutto il tempo delle riprese di «Hair». O. Henry visse lì per anni registrandosi, ogni notte, sotto nomi differenti. A metà degli anni Settanta, Patti Smith e Robert Mapplethorpe vissero la loro storia d’amore impossibile tra le pareti di una delle sue stanze. Edgar Lee Masters vi scrisse 18 libri di poesie. Sempre lì Arthur Miller scrisse il dramma «Dopo la caduta», la sua spietata lettera d’addio a Marilyn. Lì Harry Smith cucì insieme le migliaia di nastri della sua «Anthology of American Folk Music», libro di testo sapienziale per tre generazioni di cantautori americani. All’ingresso dell’hotel una targa ricorda un altro dei suoi famosi inquilini, un poeta gallese grande e dannato: «Dylan Thomas visse e soffrì qui… e da qui salpò verso la morte». In una di quelle camere, nel febbraio del 1979, cercò e trovò la morte con un’overdose di eroina, Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols che pochi mesi prima, in un’altra stanza del Chelsea, aveva ucciso la sua fidanzata, Nancy Spungen. Una storia d’amore finita tragicamente, a differenza di quella che, negli anni Sessanta, unì per poche notti soltanto Leonard Cohen e Janis Joplin e alla quale il cantautore canadese dedicò la sua «Chelsea Hotel n. 2»
«I remember you well in the Chelsea Hotel, you were talking so brave and so free. Giving me head on the unmade bed while the limousines wait in the street and those were the reasons and that was New York»
Vorrei dire molte altre cose ma non darebbero un senso ulteriore a quello che ho raccontato. Sulla vita di Edie Sedgwick sta uscendo in Italia un film nelle sale in questi giorni. Dicono che non sia un granchè, però magari andatelo a vedere. Sulla canzone di Leonard Choen vi offro in anteprima la versione di Luca dei Julie’s Haircut. E’ una demo destinata ad un progetto di cui vi racconterò. E’ registrata in casa. La qualità è quella che è, però è sentimentale e vissuta.
 

EDIE &ANDY C’è un posto a New York. E’ il Chelsea Hotel. In molti hanno vissuto lì. Poeti, girovaghi, musicisti e squattrinati hanno tutti trascorso giornate in quelle stanze, componendo, scrivendo, cazzeggiando, filmando, amandosi e morendo nei dodici piani dell’edificio che sorge sulla 23ª. In origine era un grande condominio. Anche se la parola inganna. Era un posto per ricchi dove dietro il tetro mix di art decò e gotico delle facciate si svelava il lusso sensuale degli appartamenti. Era al centro di una strada molto in voga. C’era l’Opera House Palace, la Pike’s Opera House e il Proctor’s Theater. Ma le cose prendono spesso altre pieghe e il declino fu rapido. Stava nascendo sulla 40ª il Teatro Empire, primo tassello della futura Broadway. La 23ª cadde nel dimenticatoio diventando riserva di lottizzatori e speculatori. Nel 1903, dopo il fallimento della cooperativa che gestiva il condominio, il Chelsea fu così trasformato in un hotel. Oggi si può affermare che quel declino abbia significato la sua fortuna. La gloria dimenticata del palazzo affascinò diversi artisti che ne fecero la loro casa, rendendo il luogo immortale.
Raccontare in poche parole gli avvenimenti che gravarono intorno al Chelsea Hotel è impossibile. Si devono fare delle scelte. E così questa che racconto è una delle tante storie. I protagonisti, gente comune. Dal nome di Andy Warhol, Bob Dylan e Edie Sedwick.
 

Era il 1966 quando Andy Warhol girò «The Chelsea Girls», summa della sua estetica nichilistica. Un’opera composta da 12 film di 30-35 minuti ciascuno, senza stacchi di montaggio, girati nelle camere art decò e dai soffitti altissimi del Chelsea Hotel. Fu mostrata in pubblico nella primavera successiva. Per 19 settimane solamente. Da allora è conservato in duplice copia al Museo di arte moderna di New York e al Museo Warhol di Pittsburgh. Davanti alla macchina da presa sfilano uomini e donne, icone warholiane: Nico, Marie Menken, Mary Woronov, Gerard Malanga, International Velvet, Ingrid Superstar, Angelina Pepper Davis, Ondine, Albert Rene Ricard, Rona Page, Ed Hood, Patrick Fleming, Mario Montez, Eric Emerson, Ari Boulogne e Brigid Berlin che in una scena memorabile si buca di methedrina attraverso i jeans.
In quegli anni al Chelsea Hotel c’era anche Bob Dylan. Sul letto della suite principale compose una delle sue più belle canzoni d’amore, «Sad eyed lady of the Lowlands», dedicata alla moglie Sara Lowndes. Dylan s’era sposato da poco ed in gran segreto. Così parallelamente viveva una storia d’amore con Edie Sedgwick. Attrice della Factory e musa preferita di Warrol. Si incontrarono ad una festa al Dakota e fu subito amore. “She’s so fabulous!”, disse lui poi chiedendo chi fosse quella ragazza. Lei era la settima di otto figli, famiglia benestante ma con grossi problemi all’interno. Padre che soffriva di crisi depressive, madre senza carattere. E lei “dentro di sé portava un buco nero” dice Victor Bockris, amico di Warrhol. Un male oscuro legato anche ad alcuni abusi che subì dal pradre in giovane età. Ma poi arrivò Dylan e le cose cambiarono in tutti i sensi.
“Edie lasciò Warhol per Bob Dylan. E pensare che voleva essere la lead singer dei Velvet Underground, ma Edie parlava solo di soldi e non sapeva nemmeno cantare. Il suo posto fu occupato da Nico” afferma Bockris . E prosegue “Nico introduce un nuovo stile dal ‘66 in poi. Se Edie era hot, Nico era cool. Edie era una ragazza. Nico è una donna”. Così passo sotto la “protezione” di Dylan. Era pronta per il grando salto. Albert Grossman, manager di Dylan, avrebbe dovuto farle firmare un contratto cinematografico di esclusiva per Hollywood.
Ma non ci fu mai alcun contratto e così rimase alla Factory. Una situazione surreale. Paul Morrissey e Gerard Malanga raccontano un aneddoto che spiega quella situazione “La relazione di Edgie Sedgwick con Bob Dylan venne fuori una sera in cui vedemmo Edie al Ginger Man. Ella ci disse che non voleva più che Andy Warhol - di cui era intima amica - mostrasse i suoi film… Ci disse di avere firmato un contratto con Albert Grossman, il manager di Dylan… Dylan le telefonava frequentemente per invitarla a uscire con lui, dicendole di non riferire a Andy o a chiunque altro che loro due si vedevano. La invitò a Woodstock, e le disse che Grossman sperava di riuscire a metterla insieme a lui. Avrebbe potuto essere la sua primadonna… Lei, convinta da Dylan, firmò un contratto con Grossman… Disse: Faranno un film, e pare che io ne sarò la protagonista assieme a Bobby. Improvvisamente, fu tutto un Bobby di qui, Bobby di là, finche non ci rendemmo conto che aveva una cotta per lui… A un certo punto, Andy Warhol non resistette più e le disse: “Edie, lo sai che Bob Dylan è sposato?” - Lei impallidì. Cosa? - disse - Non ci credo”.
Il resto è cronaca di un declino. Edie ebbe una relazione distruttiva con un amico di Dylan, inziò ad assumere droghe cosantemente. Si tolse la vità a 28 anni. Il Chelsea hotel ha chiuso i battenti quest’anno dopo una strenua resistenza trattenendo tra quelle mura gli echi di mille canzoni, parole, vaniloqui, litigi, gemiti d’amore e quant’altro quel luogo ha raccolto.
 

Questa storia è solo una delle mille leggende che gravitano intorno all’edificio. Scorrere l’elenco degli ospiti del Chelsea Hotel equivale a passare in rassegna un secolo di arte americana. William Burroughs vi scrisse «Il pasto nudo». Il Chelsea fu la casa di Milos Forman per tutto il tempo delle riprese di «Hair». O. Henry visse lì per anni registrandosi, ogni notte, sotto nomi differenti. A metà degli anni Settanta, Patti Smith e Robert Mapplethorpe vissero la loro storia d’amore impossibile tra le pareti di una delle sue stanze. Edgar Lee Masters vi scrisse 18 libri di poesie. Sempre lì Arthur Miller scrisse il dramma «Dopo la caduta», la sua spietata lettera d’addio a Marilyn. Lì Harry Smith cucì insieme le migliaia di nastri della sua «Anthology of American Folk Music», libro di testo sapienziale per tre generazioni di cantautori americani. All’ingresso dell’hotel una targa ricorda un altro dei suoi famosi inquilini, un poeta gallese grande e dannato: «Dylan Thomas visse e soffrì qui… e da qui salpò verso la morte». In una di quelle camere, nel febbraio del 1979, cercò e trovò la morte con un’overdose di eroina, Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols che pochi mesi prima, in un’altra stanza del Chelsea, aveva ucciso la sua fidanzata, Nancy Spungen. Una storia d’amore finita tragicamente, a differenza di quella che, negli anni Sessanta, unì per poche notti soltanto Leonard Cohen e Janis Joplin e alla quale il cantautore canadese dedicò la sua «Chelsea Hotel n. 2»
«I remember you well in the Chelsea Hotel, you were talking so brave and so free. Giving me head on the unmade bed while the limousines wait in the street and those were the reasons and that was New York»
Vorrei dire molte altre cose ma non darebbero un senso ulteriore a quello che ho raccontato. Sulla vita di Edie Sedgwick sta uscendo in Italia un film nelle sale in questi giorni. Dicono che non sia un granchè, però magari andatelo a vedere. Sulla canzone di Leonard Choen vi offro in anteprima la versione di Luca dei Julie’s Haircut. E’ una demo destinata ad un progetto di cui vi racconterò. E’ registrata in casa. La qualità è quella che è, però è sentimentale e vissuta.
 

EDIE &ANDY - (di Francesca Gentile)
 

Magnetica, scandalosa, fragile. Nel '65 Edie Sedgwick fu la musa di Warhol. Poi si eclissò. Con due libri e un film si torna a parlare di lei
Come improvvisamente arrivò, così velocemente scomparve. Edie Sedgwick, simbolo dei favolosi Sixties, divenne la stella della Factory di Warhol nel 1965, per un anno con Andy illuminò la scena newyorchese, poi, disintegrata dalle droghe, morì appena ventottenne sulla West Coast. Una meteora americana, come Marilyn Monroe, James Dean, Jim Morrison, morti belli e giovani, "prodotti" meravigliosi per la mitologia dello star system. Mitologia che in un eterno ritorno parla e riparla ciclicamente di se stessa; sarà perché la moda detta legge e ricicla, oppure sarà la voglia della gente di scavare nelle tragedie altrui, come ben scrive Warhol in POPism: "Judy Garland ed Edie coinvolgono le persone nei loro problemi, e i loro problemi le rendono più seducenti, ti fanno dimenticare i tuoi e inizi ad aiutarle". Comunque sia, su questo "sistema copernicano" che è la Sedgwick, un sole intorno al quale gravitavano tutti e tutto, adesso sta per uscire un film, Factory Girl, con Sienna Miller, e due biografie sono state appena pubblicate negli Stati Uniti: Edie: Girl of Fire (Chronicle Books) di David Weisman e Melissa Painter, e Edie: Factory Girl (VH1 Press) di Nat Finkelstein e David Dalton. Modella, attrice, ma forse soprattutto "episodio di costume", di lei non si fiatò per i dieci anni seguiti alla sua morte, fino appunto, al 1982, data di pubblicazione dell'unica biografia rimasta in circolazione fino a ora Edie: American Girl di Jean Stein e George Plimpton, un successo internazionale che la rilanciò nel firmamento dei fenomeni tragicamente glamorous dell'American Dream. David Weisman, che era stato coregista del film Ciao! Manhattan, ricorda il suo magnetismo, il suo stile, diventati fenomeno: "Indossava un cappello e una maglietta e faceva tendenza. Edie era spontanea, vera, non era un'operazione di marketing. I giovani di oggi fanno fatica ad avere personalità e molti si chiedono 'chissà come era allora'. Ma Edie aveva qualcosa che non si può più ottenere: l'innocenza degli anni Sessanta". Primavera del 1965. David Dalton, assistente di Warhol alla Factory, si rammenta, nella biografia fresca di stampa, della prima volta che vide Edie: "Sono a un party al Dakota, un palazzo tipo montagna gotica, su Central Park West. Una manciata di letterati, Norman Mailer (che pontifica), i collezionisti d'arte Bob e Ethel Scull (rumorosi, spiacevoli), palazzinari, parrucchieri, Leonard Bernstein, e tutta la scintillante calca della New York della metà degli anni Sessanta. Tutti quanti si lasciavano crescere i capelli, cercando di essere alla moda e provando ad emergere. C'è Andy Warhol, nel suo bozzolo argentato di afasia e passività. Conosco Andy, mia sorella e io siamo stati i suoi primi assistenti artistici. Qui è con il suo attuale aiutante, Gerard Malanga, con Baby Jane Holzer, e i membri del suo entourage. I soliti fannulloni da chiacchiere ai cocktail party, "otto giorni alla settimana" fanno da dolce sottofondo al divertimento. Improvvisamente, una strana ragazza con una calzamaglia nera attillata, una T-shirt a righe e un paio di orecchini giganti, entrò nella stanza. Con la sua particolare andatura da uccello, con una piroetta raggiunge il centro della sala, e rimane lì, semplicemente, roteando su se stessa. Qualche risatina. Qualcuno si chiede che cosa stia succedendo a quella povera creatura. Ma mentre stanno parlando, proprio sotto il loro naso, la stanza comincia a girare. Il mondo di Edie è una specie di giostra - puoi scegliere di salire in groppa a uno dei cavalli di gesso, oppure di startene a guardarli mentre girano e girano". Di colpo Edie bucò la scorza indifferente di Andy Warhol: "She's so fabulous!", disse, "chi è?", chiese. Edie Sedgwick, la settima di otto figli, era una ricca ereditiera nata a Santa Barbara, California, nel 1943, da una famiglia aristocratica di antiche radici. Trascorre un'infanzia segnata da episodi tragici, negli spazi estesi dei ranch californiani, da "animale selvaggio", braccato e disperato. Il padre, Francis Mintum Sedgwick, viene descritto dalle biografie come un individuo sofferente di psicosi maniaco-depressiva e fobie, la madre, Alice Delano de Forest, come una donna debole, priva di autorità. Edie viene ripetutamente molestata dal padre, "mi perseguitava dall'età di nove anni" ricorda nel film Ciao! Manhattan, e i suoi fratelli non sfuggono alla stessa sorte. Il fratello Minty, alcolizzato già a quindici anni, viene ricoverato all'ospedale psichiatrico Manhattan State perché sorpreso a Central Park a declamare un discorso a una folla inesistente. Lì ventiseienne si ucciderà impiccandosi. Bobby, l'altro fratello affetto da problemi psichiatrici, morirà in bicicletta travolto da un autobus. Edie viene istituzionalizzata per la prima volta nel '62 in seguito a una forma di anoressia. L'anno dopo raggiunge Cambridge dove continua per tre volte alla settimana a curarsi da uno psichiatra, mentre frequenta i giovani più brillanti dell'università e studia scultura. Nel '64 si trasferisce a New York. Sul tipo di influenza che Warhol ebbe sulla Sedgwick il dibattito è ancora aperto. Con l'artista, si sa, girò undici film che la resero celebre nella New York underground, che in quegli anni rappresentava lo scenario artistico-culturale più vibrante del mondo.

Su quanto invece la loro relazione fosse stata autodistruttiva per Edie, il mistero rimane, e le opinioni sono tuttora divergenti. Victor Bockris è uno strenuo difensore (e amico) di Warhol, nonché l'autore della biografia dell'artista intitolata Warhol: The Biography e di altri libri su personaggi del periodo, come Lou Reed, William Burroughs, Blondie, Keith Richards, mentre ora sta ultimando una trilogia sul movimento Punk. "Sbaglia chi accusa Warhol di avere iniziato Edie alla droga", esordisce Bockris che incontriamo al mitico Chelsea Hotel di New York (ma che cosa non è mitico in questa storia?) dove vive e lavora. "Edie prendeva anfetamine già prima di arrivare alla Factory. È falso inoltre sostenere che nel laboratorio di Andy ci fosse eroina". Bockris si riferisce alla biografia di Stein e Plimpton. Agitando una bottiglia di Coca Cola quasi vuota continua: "Warhol si arrabbiò davvero quando lesse quel libro. Seppure amasse la pubblicità negativa, in questo caso rimase contrariato, soprattutto per le parole che vennero messe in bocca a lei e che riguardavano lui sulla faccenda dell'eroina. Stein e Plimpton erano due conservatori che attaccarono Warhol tramite la Sedgwick. Quando Edie incrociò Warhol, era una ragazza ricca e persa, che scorrazzava con gruppi di amici gay, e non aveva una grande personalità. Era una brava persona con un'anima buona, generosa, ma era terribilmente confusa dagli eventi della sua esistenza. Dilapidò i soldi di famiglia in breve tempo, era drogata, non mangiava mai. Andy completava le persone che amava e lo stesso fece con Edie". Betsie Johnson, costumista del film Ciao! Manhattan, la ricorda così: "Andy sapeva che in Edie aveva trovato qualcosa di eccezionale, unico. Incapsulava un'intera era, solamente con quello sguardo distratto da Holly Golightly: cinque paia di ciglia finte, lip gloss, trucco pesante, il taglio di capelli alla Vidal Sassoon. E poi Edie correva con i cavalli selvaggi. Voglio dire che non era solo look: aveva una testa, un corpo, un storia terribile alle spalle. Intendo dire che era la candidata perfetta, giovane, bellissima, l'immagine di quel tempo, nelle mani di Andy, e capace anche di stare in piedi da sola. Cadendo, rialzandosi, in ogni caso, era unica in un'infinità. Non c'è più stato un periodo così intenso: le strade, i teatri, da capogiro! E Edie si trovava in mezzo a tutto questo, lei c'era. Io non so che cosa è, ma Andy voleva contornarsi sempre di persone che sapessero vivere, che facessero tutto quello che volevano, e così era Edie". Secondo Truman Capote, Warhol voleva essere Edie. Gli sarebbe piaciuto essere tutto ciò che lei era, bella, aristocratica, talmente assorbita da se stessa da attirare attenzione e piacere al primo sguardo. "Sì, in un certo senso è vero", dice Bockris, "a un certo punto si assomigliavano pure, si vestivano alla stessa maniera, portavano una pettinatura simile, erano sempre insieme, sette sere su sette. Si amavano. Edie era una figura da ispirazione, androgina, sexy, come un ragazzino adolescente quattordicenne che piace ai gay. Per Warhol era un pezzo d'arte pop camminante". C'è qualcuno che l'abbia amata veramente? "Tutti gli uomini volevano portarsela a letto, la trattavano come un oggetto sessuale, per questo motivo preferiva frequentare i gay. D'altronde era molto difficile avere una relazione sentimentale con Edie perché chiedeva di essere salvata dal suo caos, i suoi compagni non se la sentivano e infine scappavano. Ma c'era anche un altro tassello drammatico nel suo passato: aveva subito abusi sessuali da bambina. Non poteva aspirare a un'esistenza serena. Intelligente? Piuttosto era creativa", continua Bockris, "ma non sapeva vivere. Era un disastro. Dentro di sé portava un buco nero. Praticamente si suicidò. Andy le diede la possibilità di vivere, ma lei la buttò via. Warhol è stato un grande personaggio che ha cambiato il mondo. La Sedgwick che cosa ha fatto? Niente!". Edie lasciò Warhol per Bob Dylan. Voleva essere la lead singer dei Velvet Underground, il gruppo formato da Warhol con Lou Reed e John Cale, ma Edie questionava sui soldi e non sapeva nemmeno cantare, il suo posto fu occupato da Nico. "La Factory era il centro luminoso dell'arte", ricorda Bockris, "per sopravvivere con Andy però era necessaria una forte dose di forza personale. Edie possedeva del talento, aveva mantenuto la sua bellezza nonostante le droghe e l'alcol, ma era confusa e alla fine si fece "soffiare" il posto da Nico, che assunse il ruolo di nuova musa della Factory. A quei tempi in un anno poteva cambiare tutto. Nico introduce un nuovo stile dal '66 in poi. Se Edie era hot, Nico era cool. Edie era una ragazza. Nico è una donna". Andy insofferente agli abbandoni la isolò progressivamente. Edie stava perdendo terreno. Si trasferisce al Chelsea Hotel (una notte manda a fuoco la stanza con un mozzicone di sigaretta) e furiosa passa al clan di Dylan, dove sogna di continuare la sua carriera di attrice e cominciare quella di cantante. Riuscì a firmare un contratto con il suo manager Albert Grossman. Dylan negò sempre l'esistenza di un legame sentimentale tra di loro, ma s'ispirò a Edie nel comporre alcuni brani (anche se su questo punto i pareri non collimano), come Like a Rolling Stone, Just Like a Women, Leopardskin Pillbox Hat. La Sedgwick non digerì il suo matrimonio in sordina con Sara Lowndes e inoltre le promesse fatte non furono mai mantenute; Edie non recitò e non cantò per Dylan. Rimase invece coinvolta

in una burrascosa relazione con il suo amico Bobby Neuwirth, e fu allora che cadde nel tunnel dell'eroina. Neuwirth infine la lasciò perché incapace di gestire la sua follia e dipendenza dalle droghe. Questo è l'inizio della fine. Forse la fine di un'epoca. La ragazza che dominava il mondo dalle pagine di Vogue, nonostante il tempio della moda la tenesse a distanza perché tossicodipendente, si stava frantumando. La "poor little rich girl" torna in California dalla famiglia. La sua salute va degenerando e i ricoveri si susseguono. Nel '69 viene pizzicata con la droga dalla polizia locale e trasferita al reparto psichiatrico del Cottage Hospital di Santa Barbara. Qui incontrerà Michael Post, un paziente dell'ospedale, che sposerà nel luglio del '71. La mattina del 16 novembre dello stesso anno il marito la trova nel letto priva di vita. Causa della morte: intossicazione acuta di barbiturici. Fine della storia. L'artista Ultra Violet amica-nemica di Warhol commentò: "Edie era squisita, ma osservandola da vicino si poteva vedere qualcosa di inquietante: un magnifico animale impaurito, che è stato inseguito, ucciso in altre parole, da Andy Warhol, e conservato come un trofeo, come la testa di un capriolo esposta nella casa di un cacciatore". Quando Andy seppe della sua morte sembra che abbia risposto come se fosse accaduto qualcosa su un altro pianeta.