MAGGIE'S FARM

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LUCIO BATTISTI

 
 

A dieci anni dalla scomparsa di Lucio......il nostro ricordo

 

Lucio Battisti (Poggio Bustone5 marzo 1943 – Milano9 settembre 1998) è stato un cantautore italiano. È considerato uno dei massimi autori ed interpreti nella storia della musica leggera italiana.

La sua produzione ha rappresentato una svolta decisiva nel pop e nel rock italiani: da un punto di vista strettamente musicale, Lucio Battisti ha personalizzato e innovato in ogni senso la forma della canzone tradizionale e melodica (intesa come susseguirsi di strofa - ritornello - strofa - inciso - finale).

Per ciò che attiene ai testi, grazie alla collaborazione con Mogol, Battisti ha rilanciato temi ritenuti esauriti o difficilmente innovabili, quali il coinvolgimento sentimentale, le gioie e i dolori della vita di coppia, e i piccoli avvenimenti della vita quotidiana. Ha inoltre saputo esplorare anche argomenti del tutto nuovi e inusuali, a volte controversi, spingendosi fino al limite della sperimentazione pura, sia su testi di Mogol sia nel successivo periodo di collaborazione con Pasquale Panella.

Timidissimo fin da ragazzo e letteralmente "attaccato" alla sua chitarra che - attestano i più vecchi amici e colleghi nei gruppi musicali in cui ha militato - era capace di suonare ininterrottamente per ore estraniandosi da tutto, Lucio Battisti si è volutamente trasformato nell'"antipersonaggio" per eccellenza, dopo una discreta gavetta come autore e il successo travolgente come cantante esploso dalla fine degli anni sessanta.

Poco amante dei concerti e delle esibizioni televisive, e refrattario ai tentativi della stampa d'invadere la sua vita privata, a partire dal 1976 Battisti cessa del tutto di concedersi al pubblico, manifestando l'intendimento di comunicare "solo con le sue canzoni" e procedendo con ferrea determinazione su questa strada. Di lì in poi si limita a concedere rarissime interviste a periodici specializzati (l'ultima nel 1982) e a fare qualche sporadica apparizione televisiva fuori dall'Italia. Da un'intervista di quegli anni emerge il suo bisogno di non subire l'onda del successo, capace di travolgere le abilità artistiche del musicista e soprattutto le abitudini di un uomo borghese che non ha alcuna intenzione di cambiare a scapito della sua serenità.

Partito da un background di preferenze musicali costituito da band anglosassoni come gli Animals e i Beatles, ma soprattutto dai grandi del rhythm and blues come Otis Redding, Lucio Battisti affinò negli anni un suo stile personale, fatto di sonorità spesso inattese e innovative (anche se, dalla seconda metà degli anni settanta, influenzate da certo sound d'oltremanica), e di melodie efficaci, mai scontate e piene di sentimento. Ha quindi percorso una strada compositiva che ha saputo coniugare al meglio le sonorità "nere" da lui predilette con la tradizione italiana; un'operazione che a nessuno (se non, limitatamente all'interpretazione, a cantanti come Fausto Leali) era prima riuscita.

Nel periodo artisticamente più felice, le sue melodie si sono perfettamente amalgamate coi testi scritti da Mogol, spesso onirici, all'insegna di un modo di parlare dei sentimenti moderno e coraggioso, in cui le virtù e le fragilità maschili e femminili venivano osservate in profondità con una notevole capacità di analisi introspettiva.

In questo periodo, che durerà fino al 1980, un punto di forza di Battisti è il particolare uso della voce. Dotato di una notevole estensione vocale, Battisti fu criticato per il timbro fuori dai canoni dell'epoca, al punto da essere bocciato ad un provino sostenuto alla RAI all'inizio della sua carriera. Nella sua produzione, Lucio ignorerà le critiche e utilizzerà la sua originalissima voce in maniera "creativa", imponendo un modo di cantare lontano dalla tradizione ma marcatamente italiano. Il suo stile è imperniato su una continua tensione fatta di alternanze tra alti e bassi (emblematica è la canzone Le tre verità, cantata su ben tre ottave diverse), tra apparenti raucedini e acuti in falsetto (come si può cogliere nell'interpretazione della canzone La compagnia), talora facendo ricorso alla velocissima scansione di più sillabe in pochissime battute, per certi versi anticipatrice del rap.

Dopo la separazione artistica da Mogol, oltre a interrompere del tutto ogni forma di comunicazione col pubblico, imprime una svolta alla sua musica, apprezzata da molti critici ma poco compresa e condivisa da larga parte del suo pubblico. I testi, affidati a Pasquale Panella, si fanno criptici, ermetici, densi di giochi di parole e di doppi sensi; le sonorità diventano più elettroniche, col dominio assoluto di una sezione ritmica sempre più orientata verso la musica techno; il canto diventa impersonale, con la quasi totale scomparsa degli acuti, delle raucedini, e dell'alternarsi di toni alti e bassi.

Battisti e la politica

A differenza di quanto accadrà negli anni sessanta e settanta per la gran parte dei cantautori italiani, nella dimensione artistica di Lucio Battisti l'impegno politico non assunse mai particolare rilievo. Battisti fu anzi all'epoca spesso criticato per la scelta di parlare solamente di sentimenti, o delle piccole cose del quotidiano, ritenuta espressione di un approccio "piccolo-borghese". Addirittura, non mancò chi lo indicava apertamente come fascista, in contrapposizione al gran numero di cantautori emergenti dell'epoca vicini alla sinistra o a movimenti anarchici. Tutto questo non senza dare corpo a voci, mai provate, secondo cui Battisti avrebbe anche finanziato organizzazioni di estrema destra.

Pierangelo Bertoli una volta dichiarò come "negli anni settanta si sapeva che Battisti stava a destra e che era vicino al MSI. Non c'era bisogno di prove, lo si sapeva e basta".

La tesi fu alimentata anche dalle discutibili interpretazioni di alcuni versi dei suoi più celebri pezzi: il celebre "o mare nero, mare nero" in La canzone del sole, o "planando sopra boschi di braccia tese" da La collina dei ciliegi, secondo alcuni avrebbero un significato strettamente politico, chiaramente da riferirsi al mondo fascista; persino la canzone Il mio canto libero fu ritenuta a suo tempo una metafora dell'innalzarsi dell'ideologia di destra. Altre canzoni, come La luce dell'est, furono accusate di essere apertamente anticomuniste e antisovietiche.

In realtà, va ricordato che nell'epoca in cui nacquero queste interpretazioni, l'autore dei testi di Battisti, sicuramente da lui condivisi, era Mogol, un autore politicamente disincantato ma all'epoca molto sensibile a temi come l'ecologia, lontani dalle priorità della destra neofascista. Mogol comunque propose a Battisti anche temi quali la fragilità maschile, agli antipodi rispetto a quel mondo politico-culturale. Se per alcuni Battisti era vicino al movimento hippy e alla beat generation, negli ultimi anni Bruno Lauzi ha asserito che invece il cantautore aveva una certa simpatia per Marco Pannella e i Radicali. Alcuni critici, anche negli anni ottanta e novanta, non hanno mancato di voler rinvenire nei testi di Pasquale Panella, talora al limite dell'esoterismo, un qualche recondito significato politico. La copertina di Cosa succederà alla ragazza, con l'acronimo del titolo "C.S.A.R", fu da alcuni letta come una prova delle simpatie monarchiche di Battisti (CSAR come CZAR è la traslitterazione di "Zar", il titolo attribuito agli imperatori russi).

In ogni caso Battisti si disinteressò sempre della politica attiva. Il solo ideale che egli sosteneva con costanza, come del resto Mogol, pareva essere appunto quello ecologico, in curiosa sinergia peraltro con Adriano Celentano, precursore assoluto della "canzone ecologica". Mogol non mancò più volte di dichiarare come lui e Battisti fossero stati etichettati come fascisti con il preciso scopo di renderli antipatici ad una grossa fetta del pubblico giovane, all'epoca particolarmente politicizzato. I due furono poi accusati di maschilismo per alcune canzoni, fra cui Innocenti evasioni, Il tempo di morire, Dio mio no, Comunque bella, e La canzone della terra, che secondo il movimento femminista proponevano un'ideale di donna datato e tradizionalista.

Con il passare degli anni, mutò gradualmente a sinistra la considerazione verso l'opera battistiana, tanto che i dischi pubblicati da Battisti nel periodo del sodalizio con Panella ebbero un'accoglienza entusiastica da parte di Michele Serra in veste di critico per il quotidiano L'Unità. Il risultato fu che in occasione della morte del cantante nel 1998, nei commenti e nelle interviste pubblicate dai mass media italiani Battisti fu avvicinato un po' a tutte le parti politiche, a dimostrazione di quanto controversa resti ancora la questione.

Mogol dal canto suo è sembrato mettere la parola fine al presunto neofascismo di Battisti in un'intervista al Corriere della Sera del 28 giugno 2005: secondo il paroliere l'origine dell'equivoco ebbe luogo durante un concerto, quando il braccio levato di Battisti per incitare il pubblico a cantare fu scambiato per un saluto romano. Secondo quanto riferisce Mogol, a Battisti non interessava la politica e non andava neanche a votare alle elezioni.

Umanamente Uomo: il sogno


 

Per guidare verso Napoli sulla A1 all’altezza di Fiano Romano si allunga da qualche anno a questa parte una bretella autostradale che sbuca dritta a Monteporzio Catone. Ma solo fino alla metà dei novanta per dirigerti a sud della Capitale dovevi per forza percorrere il Gran Raccordo Autostradale, uno striminzita e improbabile superstrada costrutita nel 1962 che ancora resiste al peso degli automobilisti romani, una razza a parte. Al km 12 di essa si erge ancora oggi una casermone che all’epoca della sua costruzione (1960) veniva descritto come ”modernissimo", “innovativo”. Su di esso svettava, rossa in campo bianco, una bandiera che recava una scritta semplice ma incisiva. Vi si leggeva: R.C.A che stava per Record Corporation of America. Ogni estate la nostra macchina, diretta al Sud, viaggiava veloce a fianco della più grande industria di successi discografici dell’Italia degli anni sessanta: la RCA, l’etichetta di Rita Pavone, Gianni Morandi, Gianni Meccia, Sergio Endrigo, Piero Ciampi, Nada, dei Rokes, di Patty Pravo- la ragazza del Piper-, di Lucio Dalla, Dino, Mal e dei suoi Primitives. La stessa RCA che in America annoverava tra i suoi artisti Elvis Presley. Quella RCA d’Italia presso cui approderà nel tardo 1969 con il primo vero, solido, contratto di licenza Lucio Battisti e la sua Numero Uno, soci il paroliere Giulio Rapeti in arte Mogol e il produttore Alessio Colombini. Io, mentre la macchina dribblava i cornutoni romani e le loro scassatissime quattro ruote, ogni qualvolta superavamo l’edificio, allungavo l’orecchio per carpire un suono, uno che potesse in qualche modo essere sfuggito ai tecnici in camice bianco che avevo visto tante volte alle prese con manopole e cursori nelle scene lì dentro girate in colossi della filmografia mondiale come “Quando dico che ti amo” (1967) o “Il professor Matusa e i suoi hippies” (1968) o il mitico “Steasera mi Butto” (1969).
Ma il monolite di cemento e ferro non lasciava trapelare alcuna nota e io mi dovevo accontatare di tornare ad ascoltare la radio e consolarmi con “Per Voi Giovani”, un programma che snobbava i successi della R.C.A. ma che puntava forte su Lucio Battisti.
Battisti alla R.C.A. ci era arrivato solo per soldi ed il merito è da ascrivere tutto ad un fiorentino, Ennio Melis, presidente con mandato di direzione artistica dalle grandi qualità umane e professionali. Lucio a Roma non ci voleva proprio andare. Stava benissimo a Milano, ma un pò perchè la televisione si faceva a Roma, un pò perchè aveva chiaro il proprio percorso è un pò perchè un reatino a Milano – dice il proverbio- più di dieci anni non può resistere, appena il contratto con la Ricordi volse al termine, non esitò a rischiare nuovi rapporti e la frequentazione di persone sconosciute.
La sede della RCA di Roma era stata costruita su un terreno di proprietà del Vaticano che Melis ben conosceva; il ragioniere, infatti, lavorava alla segreteria del Vaticano quando, nel 1956, presentò a Papa Pio XII una proposta a cui sarebbe stato impossibile dire no. La scommessa di aprire una sede italiana del colosso discografico americano la si doveva infatti proprio a quel Papa che al termine della seconda guerra mondiale si trovava nella condizione di poter chiedere agli americani qualunque cosa. E fra un baratto e l’altro ci scappò anche questa “fabbrichetta” di dischi americana, ma con personale locale. Ma nel 1955 tutto sembrava languire e si stava pensando seriamente di mandare tutti a casa. Fu allora che il ragionier Ennio decide di offrirsi come commissario speciale e rilevare la gestione della RCA italiana. Tutto questo avvenne proprio un attimo prima che in America la casa madre non firmasse i contratti con Sam Cooke, Henry Belafonte e Elvis Presley.
La fortuna aiuta gli audaci, insomma!, no?

Quando Battisti arriva a Roma, la RCA ha già fatto cappotto. Ha sbancato tutti nei sessanta e ora punta alla qualità. Chi meglio di Lucio che unisce successi e classe? Ma il cantautore di Poggio Bustone e i suoi amici non sono proprio tipi simpatici. La prima cosa che il nostro fa è chiedere che venga costruito un eliporto appositamente per lui. E poi il campino di calcio che lo renderà simpatico a tutti gli operai che lavorano alle galvaniche e alle presse. Firmato il contratto monta a cavallo col suo amico Mogol (paga la casa discografica, naturalmente!) e parte per 15 giorni modello cowboy alla ricerca dell’ispirazione per il primo album che la RCA gli distribuirà. Il tutto documentato da un fotografo che ha l’esclusiva. I più cattivi affermano che i due non si allontanarono mai dalla zona di Roma Nord, ma questa è l’invidia, si sà!.

Lucio Battisti in studio fa le bizze.
Le due sale per registrare, la A e la B, sono le più belle d’Europa e sono state progettate dagli americani; la sala A inaugurata da Artur Rubinstein che vi registrò i “Notturni“ di Chopin, quella B – in contemporanea - con registrazione de “I Watussi” di Edoardo Vianello e i Flippers con il coro dei 4+4 di Alessandroni e l’orchestra diretta e arrangiata dal m°Morricone. Ma l’artista riccioluto non è contento e chiede che siano cambiate tutte le attrezzature della sala B (la sala A lo inibiva!), scatenando il malcontento tra i tecnici residenti. Solo Melis tiene testa a Lucio che pretende anche nuovi tecnici, gente giovane, e non i soliti senior in camice bianco. A sua insaputa (o forse no!) Battisti sovverte, insomma, tutti i metodi di lavorazione discografica in quel momento in uso in Italia, anticipando, in qualche modo, il modus operandi delle indipendenti. Alla RCA vengono assunti per la prima volta dei tecnici camuffati da free lance. L’artista sceglie fra questi un ventenne che si è appena fatto notare per la registrazione di “4 Marzo 1943” di Lucio Dalla: Gaetano Ria. Poi, dopo quanto descritto, una mattina Battisti si sveglia storto, chiama Melis e gli comunica che ha deciso di lasciar perdere gli studi romani per ripiega sulla Fonorama di Milano, in Via Barletta. Melis, nonostante gli scazzi con il consiglio di amministrazione della società, accetta ancora la sfida e dà l’ok a Lucio.
L’album che si va a registrare non ha ancora un nome, ma chi partecipò alle sedute le descrive come un inferno. Il m° Giampiero Reverberi che scrisse delle fantastiche parti per orchestra ne “La Canzone del Sole“ (Nov.1971) venne relegato al ruolo di semplice “auditore”, lui che aveva fino a quel giorno svolto funzioni di produttore di sala (si pensi a “Senza Orario, Senza Bandiera” dei New Trolls con i testi di Fabrizio De Andrè) mentre vennero richiamati alcuni musicisti di fiducia: a Simon Luca, Dario Baldan Bembo, Mario Lavezzi (del gruppo “Flora, Fauna & Cemento” prodotti da Battisti), Oscar Prudente e Tony Cicco, giovanissimo batterista de la “Formula Tre” (anch’essi della Numero Uno) si chiede di essere a disposizione ventiquattro ore al giorno. Nessuna deroga, nessun permesso concesso.
Al termine delle sedute - Battisti aveva intanto lavorato molto tempo da solo in studio, una cosa che diventerà normale negli anni a venire – che erano state dichiarate, fin dal primo giorno, off limits, vengono convocati per un “ascolto ufficiale“ in sala, il presidente Melis e Mogol, il paroliere e amico del cantautore al quale era stato però, intanto, vietato anche a lui l’accesso. Racconta Gaetano Ria “in studio l’atmosfera è fredda, tesa, innaturale. Parte la musica: Mogol, sigaro acceso, spaparanzato nel comodo divano in fondo alla regia, ascolta concentrato. Al termine della lettura del nastro nessuno osa parlare e Melis, da sottile mediatore quale è sempre stato, rivolgendosi a Mogol chiede: “Allora Giulio, che ne dici?... “. Mogol, stacca il toscano dalle labbra, sputa per terra il tabacco rimasto appiccicato ad esse e esclama senza staccare la testa dal pavimento” Lucio, bella cagata!”. Poi, si alza e se ne va, lasciando sul banco di regia un foglio con un testo scarabocchiato a mano. Lucio Battisti a quel punto, nell’imbarazzo generale, con calma metodica e senza far trasparire alcun sentimento si avvicina al registratore master Studer a 2 piste, svita il nastro appena ascoltato e lo srotola nel cestino della immondizia. Poi si volta e se ne va uscendo dalla parte opposta, ma dopo aver recuperato il foglio lasciato di Mogol. Il presidente Melis che ha intanto atteso che la scena si svolgesse, chiama a se il suo assistente, Grandis (anche lui fiorentino), e gli mormora nell’orecchio “Segna il titolo: umanamente uomo. Il sogno “. Poi anche lui esce di scena”.
Al tecnico non resterà che ricominciare tutto da capo. Solo il giorno dopo, però, come se niente fosse accaduto, Lucio Battisti torna in sala con i suoi musicisti e registra una nuova canzone, cantando le parole che Mogol aveva scarabocchiato, il giorno prima, su quel foglietto, titolo: “I Giardini di Marzo”. Poi, riassemblato l’album, e senza il consenso di nessuno, lo porta di persona a Roma e lo consegna alla segretaria di Melis. Infine scompare, rendendosi irreperibile per diverse settimane a venire.

Lucio Battisti è deceduto il 9 Settembre 1998.
La sede della RCA al km 12 del G.R.A. ha chiuso nel 1999. Adesso è un magazzino. Ennio Melis si è ritirato negli anni novanta e nel luglio 2003 ha presentato una proposta alla Rai per produrre un nuovo formato del festival di San Remo dedicato esclusivamente al prodotto di qualità. Gaetano Ria ha lavorato per Ernesto de Pascale mixand gli album da questo prodotto “Il Grande Ritmo dei Treni Neri” di Massimo Altomare e “Hypnodance” del gruppo omonimo.

Lucio Battisti – Umanamente Uomo: il sogno Dischi Numero Uno ZSLN 55 060 – distribuzione RCA, Aprile 1972

I Giardini di Marzo / Innocenti evasioni / ... E Panso a Te / Umanamante Uomo : Il sogno / Comunque Bella / Il Leone e la Gallina / Soganando e Risognando / Il Fuoco

Massimo Luca – chitarre
Eugenio Guaraia – chitarre
Angelo Salvador – basso
Tony Cicco – batteria e percussioni
Lucio Battisti – chitarre e pianoforti
Dario Baldan Bembo- organo e piano
Oscar Prudente, Mario Lavezzi, Tony Cicco, Babelle, Barbara e Sara – cori
Ed inoltre violini, viole,violoncelli e ocarina

Ascolto in regia e archi: Giampiero Reverberi
Tecnico del suono: Gaetano Ria
Foto di Caesar Monti
Produzione: Lucio Battisti
 

( Ernesto De Pascale )

 

Gli Inizi

La prima esperienza in un complesso musicale è nell’autunno 1962 come chitarrista de “I Mattatori”, un gruppo di ragazzi napoletani. Arrivano i primi guadagni, ma non sono abbastanza; ben presto Battisti cambia complesso e si unisce a “I Satiri”.
Roby Matano, cantante e bassista de “I Campioni”, racconta: “Il nostro chitarrista se n’era andato dopo la partenza di Tony Dallara per il servizio militare e nel gruppo che apriva la serata, I Satiri, c’era un ragazzo che suonava bene la chitarra. Così Lucio si è unito a noi. Nel 1964 siamo andati a suonare in Germania e in Olanda: un’ottima occasione per ascoltare la musica di Dylan e degli Animals. Il primo ingaggio di Lucio è stato comunque al Club 84 di Roma. Lo avevamo soprannominato Cucciolo per la sua aria tranquilla e un po’ smarrita”.
Battisti dimostra subito di avere le idee chiare e una buona dose di ambizione; suonare in gruppo non gli piace, così decide di tentare la fortuna da solo a Milano, la “Mecca” della canzone. Qui, diversamente da molti suoi coetanei che per sbarcare il lunario accettano lavori alternativi, non si piega a soluzioni di compromesso e, barricato per settimane intere in una pensione di periferia, persegue senza distrarsi un unico scopo: prepararsi al meglio in attesa dell’incontro con un discografico importante.

 

Nel 1964 Battisti compone assieme a Roby Matano le sue prime canzoni. Ecco i titoli in ordine cronologico.

      1)   “Era” Battisti-Matano (con lo stesso titolo, ma con le parole di Mogol diventerà il successo che conosciamo);
2) “A cosa serve piangere” Battisti-Matano (con le parole di Mogol diventerà “Le ombre della sera”)
3) “Se non sai che cos'è un bacio” Battisti-Matano (con le parole di Mogol diventerà “Uno in più”)
4) “Torno stasera” Battisti-Matano, inedito
5) “Vogliamo il surf” Battisti-Matano, inedito

 

             il primo 45 giri di Lucio Battisti, "Per una lira", non aveva il suo volto in copertina. Un importante funzionario di quella che era allora la sua casa discografica aveva sentenziato:"Con quella faccia non potrà mai sfondare". E si era ricorsi ad un compromesso, mostrandolo a figura intera, di spalle, abbracciato a un ragazza, mentre sui due campeggiava la riproduzione di una liretta, monetina già a quel tempo assai rara.

 

Di queste storie è pieno il mondo della canzone. Tutti prima o poi hanno dato un giudizio avventato. Certo è che agli inizi Battisti sforzava a decollare come cantante, mentre mieteva successi come autore.

Era nato il 5 marzo 1943, a Poggio Bustone, in provincia di Rieti. Con la famiglia si era poi trasferito a Roma. Conseguito il diploma di perito industriale, aveva scelto invece la musica.

A Milano si era unito come chitarrista al complesso dei Campioni, che accompagnavano Tony Dallara, e con essi aveva girato anche l'Europa.

Nel '65 l'incontro determinante con Giulio Rapetti, tra i più noti " parolieri " sotto lo pseudonimo di Mogol. I due trovarono una giusta forma di simbiosi che è durata felicemente per oltre tre lustri. 

Nel 1968, con " Balla Linda ", partecipava al Cantagiro, nel 69, in coppia con Wilson Pickett, presenta a Sanremo "Un'avventura".

L'affermazione decisiva arrivava nell'estate seguente, al Festivalbar, con " Acqua azzurra, acqua chiara ".

Ma gli anni di Battisti sono stati gli Anni Sessanta e anche gli Anni Ottanta. Li ha iniziati con un 45 giri con due canzoni di grande successo, " La canzone del sole " e " Anche per te ", incise per la sua nuova etichetta, da lui stesso fondata con alcuni amici e collaboratori, e che porta il nome emblematico di " Numero Uno ".

E lì scandì con una serie impressionante di 8 LP, tutti al primo posto nelle classifiche.

Ha fatto anche l'autore, l'editore e il discografico, dando dei successi a Mina, a Patty Pravo, alla Formula Tre, a Bruno Lauzi.

Caratteristica più unica che rara, ha mantenuto il contatto con il pubblico solo attraverso i suoi dischi e qualche rara intervista concessa alla stampa, ignorando televisioni e concerti. Ha difeso strenuamente la sua vita privata. Ha abbandonato la città e si è ritirato in campagna, in Brianza, dove si è persino allestito uno studio di registrazione personale, il Mulino, prima di scegliere di recarsi in America e quindi in Inghilterra in cerca di un nuovo " sound ".

I suoi LP sono stati sempre il frutto di un lavoro lungo e meticoloso, dove nulla è stato lasciato al caso, nemmeno la copertina. Ma non è stato il lavoro del contabile o dell'industriale, ma piuttosto dell'artigiano, se non vogliamo dire dell'artista.

Hanno spesso avuto costi altissimi, in tempo, in fatica e in denaro, ma il prodotto finale non ha mai tradito le aspettative nè di chi lo aveva realizzato o aveva concorso a realizzarlo, né del pubblico cui era destinato.

Battisti e Dylan

Un'altro pezzo di Battisti che mi ricorda Dylan è quello che parlava della torta di panna montata tutta contenta di non essere stata lanciata... mmm aspetta... non mi ricordo come si chiama...
ah sì mi sembra "Dolce di giorno", con quell'armonica molto dylaniana... E questa cosa dell'armonica mi ha fatto anche ricordare che avevo lanciato su "Maggie's farm" un altro quiz relativo a Dylan ed al grandissimo Lucio Battisti e la domanda era: quale cantautore italiano, che da giovanissimo frequentava il "giro" di Battisti, era invitato dallo stesso Lucio (quasi ogni volta che si vedevano stando alle affermazioni del cantautore in questione) a fargli dei pezzi di Dylan che Battisti restava ad ascoltare in adorazione?
Risposta: Edoardo Bennato che dichiarò anche testualmente: "Lucio era colpito da come portavo l'armonica fissata al collo come il suo idolo Bob Dylan".
Però a questo punto, per curiosità , mi dici sul newsgroup di Battisti quali canzoni di Lucio ti hanno citato come probabili rimandi a Dylan? Sono curioso... magari poi hanno imbroccato anche quella che dicevo io e che ora non riesco a ritrovare...

 

La morte di Lucio Battisti è un grande e profondo dispiacere popolare. Che cosa significhi "popolo", oggi, non è più ben chiaro. Nel caso, però, è chiarissimo: significa che molti milioni di italiani di ogni ceto sociale e di almeno due generazioni hanno cantato le stesse canzoni. C'è una chiave, in ogni bella canzone e in tante di Battisti, che ci apre e ci scioglie come fossimo prigioni di burro. ...

Il ricordo di un amore, il primo bacio, la prima automobile, i compagni di scuola, una vacanza, una chitarra, una tenda, un falò sulla spiaggia, la classica e - giustamente - sbeffeggiatissima gita in pullman, e su tutto la giovinezza che sfuma (ad libitum, come era scritto nell'ultima riga dei vecchi spartiti), e va a morire silenziosa nel letto di un grande ospedale. ...
 
 
Erano gli anni del beat e dei Beatles, seconda metà dei Sessanta. Chitarre, batterie, capelli lunghi, Battisti ne sbucò fuori perfettamente in linea con il ritmo dei tempi, ma con una sua inconfondibilità smagliante. Era così insolito da sorprendere ad ogni canzone, ma così solito da farla ricordare a chiunque al primo ascolto, e non saprei definire in altra maniera la qualità del genio nell'evo della riproducibilità tecnica: rimanere unico e insieme diventare, all'istante, di chiunque. E poi, soprattutto, cantava in italiano, aiutandoci a metabolizzare davvero, e definitivamente, quel salto d'epoca, quello scatto di vitalità che Beatles, Stones e Dylan ci avevano fatto balenare davanti, ma in una lingua ancora poco conosciuta, l'inglese, che per noi era suono ma non significato.

Le parole di Battisti, invece, si capivano due volte bene. Perché era italiano e perché le scriveva Mogol, paroliere abilissimo, fantasioso e "facile" tanto quanto, in parallelo, fiorivano i testi "difficili" dei cantautori. La biforcazione tra canzonetta e canzone colta fu in quegli anni netta e anche traumatica, riflettendo la medesima spaccatura tra impegno e disimpegno che divideva la società e specialmente la gioventù. Di qui (non certo dal fragile pettegolezzo, ieri nato dalla bigottaggine della sinistra e oggi scioccamente riecheggiato a destra, che voleva Battisti "fascista") la solida collocazione di Lucio in un suo mondo a parte, nettamente separato da quello dei grandi cantautori come De André, Guccini, De Gregori, Dalla, Vecchioni e più tardi Fossati e Conte. Non è affatto vero che questa differenza abbia generato, nel pubblico, una qualche discriminazione (addirittura "politica"!) nei suoi confronti. Ogni ragazzo con chitarra aveva in repertorio, non appena compiuto il minimo apprendistato del giro di do, parecchie canzoni di Battisti.

 
 
 Pure, dentro parecchi di questi surrogati d'arte, di queste contraffazioni tascabili, qualcosa, spesso, ci afferra per sempre. Battisti ci ha preso, quasi uno per uno, ciascuno nella propria vita e nella propria storia, così tante volte da farne, indiscutibilmente, il più grande compositore e cantante di canzonette che l'Italia abbia mai avuto. La sua misteriosa vita non ci permette di sapere se questo, umanamente, gli sia bastato. Certo qualche malumore, qualche insoddisfazione dovette toccarlo, se è vero che, rotto il sodalizio con Mogol, cercò di alzare tono e ambizioni scrivendo, con il poeta Pasquale Panella, quattro dischi ostici, cifrati, scostanti (almeno il primo dei quali, Don Giovanni, resta però un capolavoro assoluto, con buona pace dei nemici dell'intellettualismo).
Si confermò grande musicista e ineguagliabile cantante (ah quella voce, quella voce acerba, selvatica, intonatissima, da eterno ragazzino con il cruccio di vivere), ma non riuscì a ripetere quel sorvolo inarrestabile sopra ogni casa, ogni bar, ogni automobile, ogni coppia in amore. Le sue canzoni scritte con Mogol, lo ripeto, sono invece per tutta la vita. Sono nell'aria, sono aria e suoneranno all'infinito, o almeno per quanto infinita possa sembrarci la vita, tre minuti di canzone più tre minuti di canzone più tre minuti di canzone più tre minuti di canzone...

(10 SETTEMBRE 1998)