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Jack White - The White Stripes

 
 

(di Ivana Vita)

Scrivere la biografia di questa band può essere un compito abbastanza arduo, soprattutto perché il duo dei White Stripes ha contribuito non poco nel creare caos sulla loro reale identità. La storia che Jack White, voce e chitarra, e Meg White, batteria, avevano raccontato con astuzia, secondo la quale, i due, fratello e sorella cresciuti con mezzi di fortuna nei sobborghi di Detroit, comincia a perdere credibilità… Megan Martha White e John Antony Gillis (prima di cambiare in Jack White) pare siano stati marito e moglie. Già, “stati” perché il certificato di nozze è stato affiancato da uno di quasi immediato divorzio. Ma queste sono solo stranezze e aneddoti che fan parte del passato, veniamo alla storia vera e propria.
Il duo si forma nel 1997, con delle idee sulla band da subito ben chiare: tutto quello che Meg e Jack vogliono fare è del semplice e genuino Rock & Roll. Si danno da fare pubblicando nello stesso anno i singoli “Let’s Shake Hands” e “ Lafayette Blues” per la Italy Records, ma presto scelgono di passare alla label indipendente Symphaty For The Record Industry di Detroit e pubblicano un altro singolo, “The Big Three Killed My Baby”. A questo punto i White Stripes sono pronti per realizzare il loro album di debutto “The White Stripes”, registrato interamente nell’appartamento di Jack. Pubblicato nel 1999, suona un energico garage rock, e contiene due intelligenti cover, “Stop Breaking Down” di Robert Johnson, e “One More Cup Of Coffee” di Bob Dylan.
Per promuovere l’album i White Stripes compiono una scelta diversa: non restano ad esibirsi nell’area di Detroit, (come per altro aveva già fatto Jack White in precedenti esperienze con altri gruppi della zona), ma escono all’esterno della città creandosi un seguito a livello nazionale grazie a due successivi tour con gli indie rockers Pavement e Sleater-Kinney nel 1999 e nel 2000.
Il 2000 è anche l’anno del secondo album “De Stijl”, titolo in fiammingo ispirato al movimento olandese di arte astratta capitanato da Gerrit Rietveld. L’album, ancora una volta registrato tra le mura di casa White, oltre ad un ossequioso amore nei confronti della musica folk americana, contiene già lo spirito “giocoso” dell’originale coppia. Avevano giocato sin dall’inizio con i colori del nero, del bianco e del rosso, diventati loro simbolo e marchio d’inconfondibile riconoscimento, e ora giocano con la loro reale identità, con la canzone “Sister, do you now my name?”, (Sorella, conosci il mio nome?), cantata con disinvoltura dal nostro Jack.
Dopo la realizzazione di “De StiJl”, i White Stripes intraprendono una fortunata tournee in Giappone e Australia che fa accrescere pian piano la loro fama. Dopo ciò sono pronti per entrare negli studi di registrazione di Memphis col famoso produttore Doug Easley per il nuovo album del 2001 “White Blood Cells” che viene distribuito in Europa dalla britannica XL recordings. Con questo nuovo album “le strisce bianche” si preparano a diventare una delle nuove band capaci di far riscoprire il rock’n’roll grezzo alle nuove generazioni, e non solo a quelle.
Il salto di qualità però avviene grazie alla partecipazione al famoso e gettonato show americano “Late Show With David Letterman” il 10 ottobre 2001, e al video del singolo “Fell in love with a girl”, estratto da “White Blood Cells”, e premiato da MTV. Il video, diretto da Michel Gondry, non ripropone i soliti colori del nero bianco e rosso se non nelle forme stilizzate di Meg e Jack, per il resto, il semplice ma originale e divertente video è interamente composto dai coloratissimi e famosi mattoncini Lego.
Devono inoltre gran parte del loro successo alla stampa, in particolare a quella inglese. Infatti, nel 2001 quando il duo era semisconosciuto in patria e non avevano alcun contratto in Europa, il The Daily Telegraph e il The Sun cominciano a parlare di loro, e il settimanale inglese NME li mette addirittura in copertina, facendoli scoprire a scoppio ritardato agli Americani, che nel 2002 mandano il terzo album “White Blood Cells” in classifica.
Ma i White Stripes nonostante il successo continuano a comportarsi in modo indifferente e alternativo. Dichiarano di non voler usare l’elettronica, di usare solo strumenti vintage, e che il profilo per incidere i loro dischi è basso, di aver bisogno di poco denaro e di poco tempo. Inoltre rifiutano di essere i protagonisti di una campagna pubblicitaria televisiva della Gap, nota azienda di abbigliamento, che tra l’altro aveva già messo sotto contratto per la sua pubblicità, Tricky, Daft Punk e addirittura i Duran Duran: ai White Stripes non piace essere comprati o strumentalizzati.
Sembrano però contraddirsi quando nel gennaio 2002 firmano un contratto in esclusiva da un milione di sterline con la V2, che ripubblica il terzo album “White Blood Cells”.
Nel giugno 2002 la popolarità aumenta anche grazie al loro chiacchierato legame, per via di un certificato di divorzio pubblicato on line da un sito americano: il mistero si infittisce ma non si risolve, anche perché il duo continua a far finta di niente.
Nell’estate 2002 si esibiscono al trionfante show con i The Strokes, altra nuova band dallo stesso profilo alternative rock, allo stesso modo osannata dalla stampa d’oltre Manica.
Nel 2002 persino i mitici Rolling Stones chiedono ai White Stripes di accompagnarli in alcune date del loro tour: ma tra i loro fan pare ci siano anche gli Oasis e persino il loro più popolare concittadino Eminem. Per non deludere le aspettative dei fan, la stella nascente Jack si lancia anche nel cinema, con un piccolo ruolo nel nuovo film del premio Oscar Anthony Minghella: “Cold Montain”, girato in Romania con Nicole Kidman, Renée Zellweger e Jude Law, ispirato al libro di Charles Frazier sulla guerra civile americana. Il film esce nelle sale a Natale 2003, e ovviamente Jack ha composto la colonna sonora, dichiarando di avere una grande ammirazione per chi compone colonne sonore: «mi piace l'idea di scrivere canzoni per un film, mi costringe ad entrare in un luogo in cui mi devo relazionare con diversi personaggi. E' un lavoro veramente interessante».
A questo punto Jack diventa il più “cool” per il settimanale inglese NME, e si aggiudica la copertina di ottobre 2002 del mensile americano Spin, come è giusto sia per una nuova star…
La stima guadagnata da Meg e Jack, va ampiamente riconosciuta, e i White Stripes confermano le loro doti di genialità e originalità con il loro quarto album “Elephant”, pubblicato con anticipo per rispondere alla distribuzione pirata on line il 31 marzo 2003, e distribuito in Europa ancora dalla XL recordings.
Il titolo è “Elephant” « perché l’elefante può essere simbolo di più cose, come potenza o goffaggine, maestà e innocenza, insomma di una cosa e del suo esatto contrario, dipende da come la vedi», dice Jack, «dai punti di vista, esattamente come in quella storiellina americana i cui protagonisti sono due uomini cechi che devono descrivere un elefante, uno si trova di fronte e toccando la proboscide dell’animale crede di toccare un idrante, l’altro tocca la coda e dice di toccare un mucchio di peli, storia interessante perché dimostra come la stessa cosa possa essere vista in due modi completamente diversi», racconta ancora Jack.
Ma c’è di più, «gli elefanti sono gli unici animali che restano turbati alla vista di un loro simile morto, e cercano addirittura di sotterrarli con le proboscidi: simile sensibilità non è rintracciabile in nessun’altra specie». Insomma un animale che bene si accosta alla filosofia del duo di Detroit.
Già, perché i White Stripes hanno una loro ben precisa filosofia: come prima in “White Blood Cells” in “I’m Finding It’s Harder To Be A Gentleman”, ritorna il tema della perduta tenerezza e gentilezza. “Elephant” è infatti dedicato “to, and is for, and about the death of the sweetheart”: «è' completamente fuori moda nella cultura americana essere dolci», dice Jack, che al New York Time Magazine, dichiara di essere dispiaciuto per i ragazzini di oggi senza cultura, che pensano solo al nu-metal e all’ hip hop, ai tatuaggi, ai piercing e a cambiare continuamente partner solo per dimostrare di essere duri, di non essere innocenti e sensibili perché questo è fuori moda, perdendo così dei valori importanti. Cosa che, sottolinea Jack, è ancora più facile succeda negli ambienti del Rock.
Una bella presa di posizione e di distacco dalle mode insomma. Del resto loro così démodé, registrano “Elephant” agli studi Toe-Rag di Londra, famosi per l’utilizzazione di sola strumentazione anni 60, perché non gradiscono alcuna tecnologia moderna nella loro musica, vogliono esprimersi senza trucchi, e dichiarando odio ai computer che modificano e aggiustano, continuano a registrare nella genuina vecchia maniera, limitandosi all’uso di voce, batteria e chitarra esattamente come vengono fuori… Il puro spirito lo-fi, che bada più alla spontaneità che alla perfezione, tra l’altro promette anche ottimi guadagni. “Elephant”, prodotto da Jack stesso, è stato registrato in meno di due settimane (come ha dichiarato Liam Watson, proprietario degli studi Toe-Rag, «Meg e Jack sono davvero efficenti») “sprecando” solo 4000 sterline. Inezie per la casa discografica, in confronto ai 9 milioni di sterline entrati in cassa con il precedente “White Blood Cells”. Ed in prospettiva “Elephant” potrebbe fare ancora meglio, supportato da un video per il loro singolo “Seven Nation Army”, che come già in passato, risulta geniale e assolutamente fuori da tutti gli stereotipi degli ultimi anni: un video che li ha fatti conoscere definitivamente al grande pubblico.
L’album per parecchie settimane sul trono inglese delle top chart, si ferma solo al secondo posto in America, dove la resistenza è dovuta a “Meteora” dei Linkin Park.
A questo punto a movimentare la storia, ci pensa un incidente sul ghiaccio: Meg, si frattura un polso, e la band deve per questo rinunciare ad alcune date del tour europeo.
Ma altre stranezze trapelano sulla vita dei due: per esempio Jack completa l’arredamento della sua casa con la bara che Screaming Lord Sutch, eccentrico rocker britannico, usava per le esibizioni on stage. Jack è un grande fan di Sutch, tanto da eseguire “Jack The Ripper”, brano di Sutch, ogni tanto dal vivo. Il figlio di Sutch, venendo a conoscenza dell’ammirazione del cantante di Detroit nei confronti del padre, ha pensato di inviare il pensierino-bara a casa White…
Poi succede che persino Lars Ulrich resta fulminato dallo stile del duo, dopo che incuriosito da tutti gli articoli sul loro conto, decide di vederli in un live nella sua città nell’estate 2003 e dichiara: «non ho mai visto niente di simile in tutta la mia vita. Il giorno dopo il concerto sono corso a comprarmi il disco, che credo ascolterò per tutta la durata del tour europeo».
La popolarità causa però curiosità, che comincia a piombare inaspettata su Jack, quando i pettegolezzi della stampa internazionale lo vogliono innamorato e ormai definitivamente insieme all’attrice Renée Zellweger, con cui Jack aveva partecipato al film “Cold Montain”. Addirittura, pare che in occasione dell’ incidente d’auto avvenuto a Detroit il 9 luglio 2003 (data del compleanno numero 28 per Jack), la Zellweger fosse in auto con lui, ma che sia fortunatamente rimasta illesa. Jack invece riporta una frattura al dito indice della mano sinistra che fa saltare la partecipazione dei White Stripes alle importanti tappe al festival “T In The Park” in Scozia ed il festival “Witnness” in Irlanda.
Insomma, il cantante che dichiarava di amare il blues, ammirare Bob Dylan, di idolatrare gli Yarbirds, e stimare fra i contemporanei Jeff Beck, sposta decisamente i suoi interessi per il momento…
Tutti i fan sperano solo che non si distragga troppo, non ci possono essere altri incidenti a fermare la scalata al successo di queste nuove piccole leggende del rock.