Liner notes da BOOTLEG
SERIES Volumi 1-3
traduzione di Benedicta "Hamster"
Introduzione
Per la maggior parte di quei favolosi anni ‘60, essere un affezionato,
appassionatissimo e in tutti i sensi devoto fan di Bob Dylan non
richiedeva molto di più che comprare i dischi, entusiasmarsi per le
canzoni e la voce di Dylan davanti ad amici increduli e genitori
perplessi, sognare di vederlo un giorno in concerto e rimanere sempre, con
nervosa impazienza, in attesa di nuove notizie sui suoi progetti.
Negli anni ’60, anni senza fax, in cui le trasmissioni televisive
dipendevano ancora dalle onde elettromagnetiche e la corrispondenza
urgente veniva trasportata nelle borse a tracolla dei pony express, spesso
le notizie su quel che Dylan faceva venivano a galla mesi dopo gli eventi
stessi. In Inghilterra, nel 1965, Dylan veniva salutato come nuovo grande
cantante folk, e la sua “ultima canzone di protesta” – “The Times They Are
A-changin’” furoreggiava nella Top 20, diversi mesi dopo la registrazione
decisamente non folk, ma rock – rap di “Subterranean Homesick Blues”.
Perfino negli Stati Uniti non tutti erano al passo con quanto stava
accadendo. A Newport, i vecchi e puntigliosi puristi del folk che avevano
amato il socialmente esplicito Bobby Dylan si tapparono le orecchie e
urlarono “fateli smettere!” quando Bob e la Butterfield band ci diedero
dentro all’infausto Folk Festival del 1965, nonostante “Like a Rolling
Stone” avesse ruggito da ogni radio che fosse appena un po’aggiornata
durante la settimana che precedette quel “primo concerto elettrico”. Certo
i tempi erano diversi, allora.
Alla fine del decennio, lo zoccolo duro degli entusiasti possedeva
registrazioni di Bob Dylan per un totale di 103 canzoni su nove album
della Columbia, senza contare il Greatest Hits. Ognuno dei dischi era
stato comprato con il fiato sospeso e portato in trionfo fino a casa,
mentre il resto della giornata veniva riservato alla trascrizione dei
testi delle canzoni, alla loro analisi, e all’appropriato indugiare nella
meraviglia di quanto ogni disco fosse diverso da quello che l’aveva
preceduto.
Ma poi, nella tarda estate del 1969, le cose cambiarono. E per i fan di
Dylan, la vita non sarebbe più stata la stessa.
Tutto cominciò quando uno strano disco “bootleg” dall’etichetta bianca,
chiamato Great White Wonder, arrivò dalla California. Per quanto ne
sapessero i fans, era il decimo LP di Bob Dylan, anche se così non era
scritto sulla copertina. Anche se suonava come se fosse stato registrato
con la tecnologia più primitiva in circolazione, offriva parecchie
delizie. Metà dei pezzi erano tratti dai Basement Tapes, canzoni
glorosamente folli registrate con la Band a Woodstock nel 1967; le altre
canzoni di Great White Wonder erano registrazioni del 1961, nelle quali un
Bob molto giovane cantava sperimentando vivacemente ogni genere di grandi
canzoni blues e folk – beh, provava persino a raccontare una barzelletta!
La maggior parte di quel materiale era grandioso – e sembrava ancora più
eccitante proprio perché, essendo raro, inedito e quasi sicuramente non
ufficiale, si trattava di qualcosa che non avremmo proprio dovuto
ascoltare – un frutto proibito, e per questo di gran lunga più dolce. La
casa discografica era comprensibilmente indignata, le persone che curavano
i diritti d’autore stavano giustamente imbracciando le armi, ma noi
potevamo sentire Bob Dylan cantare “Baby Please Don’t Go” e “This Wheel’s
On Fire”, nonché “I Shall be Released” , e la vita non era mai sembrata
così bella.
Poi, nel dicembre 1969, nel numero 47 di Rolling Stone, quello del secondo
anniversario, Greil Marcus fu lasciato libero di riempire cinque paginoni
di entusiastica dissertazione sull’esistenza di ore e ore di altri nastri
inediti di Dylan che lui stesso aveva registrato e tenuto per sé:
registrazioni private in appartamenti di amici, nastri di prime esibizioni
nelle coffeehouse del Greenwich Village, e canzoni incise ma mai inserite
nei dischi ufficiali; versioni di prova – alcune di esse con arrangiamenti
o testi molto diversi – di canzoni che già conoscevamo; e nastri di
concerti, sia da solo che con gli Hawks, più tardi conosciuti come la
Band. “Le più grandi registrazioni di Dylan”, sosteneva Marcus.
Così ebbe inizio la grande caccia al nastro, la sfida di collezionare
qualsiasi cosa Bob Dylan avesse mai registrato. Nel corso degli ultimi 20
anni una febbrile rete di collezionisti sottobanco è stata al lavoro,
registrando nastri, seguendone le tracce e scambiandoli.
Ed ora finalmente, qualcosa della reale quantità e valore di molti di quei
tesori nascosti, a lungo cercati dai collezionisti, viene portato alla
luce. In questa cornucopia di materiale mai pubblicato prima sono incluse
registrazioni casalinghe, demo, versioni di prova, versioni alternative,
registrazioni da coffeehouse, registrazioni tratte da concerti, e molto
altro ancora. Parecchio di questo materiale ci dice molto su come Dylan si
sviluppò come compositore o cantante in quei primi anni; altro ancora è
semplicemente sensazionale – esibizioni di sorprendente forza e finezza e
di varietà pressoché infinita. In questa collezione il punto di interesse
principale riguarda Dylan come compositore: 38 canzoni che non sono mai
state inserite negli album ufficiali, così come demo e versioni di prova
di canzoni ben conosciute. I volumi seguenti si occuperanno di materiale
dal vivo, compreso il leggendario concerto della “Royal Albert Hall” del
1966. Per coloro che non hanno mai sospettato che questo materiale
esistesse sono in vista inimmaginabili gioielli. E per quei collezionisti
insaziabili, i “completisti” a cui piace pensare di aver ascoltato tutto,
qui ci sono un po’di canzoni insospettabili.
Qualunque reputazione Dylan si sia guadagnato come scrittore e cantante
nella sua carriera trentennale dovrà inevitabilmente essere riveduta alla
luce di questa collezione storica. E se gli scrittori e i critici che
vengono chiamati a riaffermare i meriti di Bob Dylan scoprissero che i
termini superlativi sono già stati tutti usati per il suo catalogo di
registrazioni ufficiali, vorrà dire che dovranno semplicemente inventarsi
qualche “versione alternativa” superlativa, giusto?
Hard Times In New York Town
Bob Dylan arrivò a New York quasi sicuramente martedì 24 gennaio 1961,
dopo aver scroccato un passaggio da Madison, Wisconsin, dove si era
brevemente fermato lungo il suo viaggio dal Minnesota. Era venuto a New
York in cerca del suo idolo Woody Guthrie, che aveva saputo essere in
ospedale in New Jersey; e naturalmente, era anche in cerca di fama e
fortuna come folk singer al Greenwich Village. Per lo più, sembra che gli
amici che si era lasciato alle spalle pensassero che la sua ambizione
fosse mal riposta. Le sue poche esibizioni nei club folk di Dinky Town, a
Minneapolis, avevano provato che sapeva suonare la chitarra, il piano e
l’armonica in modo corretto ma non esaltante, e il suo modo di cantare era
più incline a suscitare alzate di sopracciglio che applausi. In ogni caso,
da quando aveva letto Bound For Glory di Guthrie (Questa Terra è La Mia
Terra, n.d.t.), si era messo all’opera per trovare tutti i dischi che
poteva. Quando giunse a New York conosceva e padroneggiava l’intera opera
di Woody Guthrie, ed era deciso a farcela - e New York gli avrebbe offerto
l’opportunità di cui aveva bisogno. Come ricordò nel 1985: “Sapevo di
dover andare a New York… l’avevo sognato per molto tempo.”
Soltanto 76 giorni dopo il suo arrivo tornò a Minneapolis, dopo aver già
conquistato il circuito delle coffeehouse del Greenwich Village e dopo le
sue prime esibizioni ufficiali al Gerde’s Folk City come accompagnatore
del grande John Lee Hooker. I suoi amici del Minnesota non erano soltanto
colpiti da quanto avesse già ottenuto, erano allibiti davanti a ciò che
gli era successo. Come ricorda John Pancake, direttore del giornale di
musica folk locale: “Il cambiamento in Bob era, a voler dire il minimo,
incredibile. In soltanto sei mesi aveva imparato a miscelare armonica e
chitarra in modo tosto, eccitante, quasi blues…”
“Hard Times In New York “ (scritta nel novembre del 1961) può definirsi a
tutti gli effetti una composizione di Bob Dylan, anche se ha la sua
origine in una canzone folk popolare tra i fattori poveri del sud e nota,
a seconda dei casi, come “Down On Penny’s Farm (per come fu incisa dai
Bentley Boys nel 1929) o “Tanner’s Farm” (Gid Tanner & Riley Puckett,
1934) o “Roberts’Farm” (incisa da Bascom Lamar Lumsford, 1935). Dylan
prende in prestito la melodia, le due righe di apertura e la struttura
delle strofe di “Down On Penny’s Farm”, ma sposta l’ambientazione della
canzone dalla campagna alla città, raccontando la storia dei propri tempi
duri, passati cercando fortuna nella metropoli.
La canzone si chiude con quella che sembra essere una promessa di successo
fatta a se stesso – “Quando lascerò New York sarò ben saldo sulle mie
gambe” – ma al tempo della stesura della canzone Bob Dylan era già, per
così dire, caduto in piedi – il critico musicale Robert Shelton aveva
scritto di lui in maniera entusiasta sul New York Times, aveva firmato un
contratto con la Columbia Records offertogli da John Hammond, e il suo
primo LP era già in preparazione. Potevano esserci stati dei tempi duri,
ma la gioiosa allegria che si avverte in questa canzone è certo di
qualcuno che ha piena fiducia nel fatto che i tempi sarebbero stati in
qualche modo meno duri nell’immediato futuro.
He Was A Friend Of Mine
“He Was A Friend Of Mine” venne registrata per il primo LP di Dylan edito
dalla Columbia, “Bob Dylan”, ma non fu mai utilizzata. Quando venne
intervistato da Robert Shelton per le note interne del disco (Shelton
avrebbe usato il suo pseudonimo, Stacey Williams, sull’album), Dylan gli
disse che era l’adattamento di una canzone che aveva imparato da una
cantante di strada di Chicago di nome Blind Arvella Gray.
La fonte di “He Was A Friend Of Mine” è una canzone tradizionale delle
prigioni del sud intitolata “Shorty George”, che era stata incisa da
Leadbelly nel 1935 e da diversi cantanti dei penitenziari per le incisioni
dell’archivio della Library Of Congress. Era proprio da queste
registrazioni della Library Of Congress che Eric Von Schmidt, che ricorda
di aver suonato a Dylan il suo adattamento del pezzo all’inizio degli anni
sessanta, imparò la canzone. Parlando della reazione di Bob quando gli
suonò il pezzo per la prima volta, Von Schmidt disse al biografo di Dylan,
Anthony Scaduto: “Era molto colpito dal fatto di essere in grado di
cogliere le espressioni tipicamente nere di quel tipo di canzone e di
riuscire a cantarle. A quei tempi non era ancora del tutto in grado di
trattare materiale che aveva a che fare con il blues e stava ancora
esercitando la sua sensibilità, cercando un modo di farlo”.
Dylan lo ammise nelle note di copertina di “The Freewheelin’Bob Dylan”:
“Non so ancora gestirmi nel modo in cui lo hanno fatto Big Joe Williams,
Woody Guthrie, Leadbelly e Lightnin’Hopkins. Spero di riuscirci un giorno,
ma loro sono più vecchi…”
Ma nel momento in cui Dylan realizzò questa incisione il suo stile era
molto più sicuro, probabilmente come risultato delle molte volte in cui
aveva suonato il pezzo nei folk club di New York durante le settimane
prima della session di registrazione. All’inizio del 1962 Dylan poteva
reclamare i diritti di compositore e arrangiatore su questa canzone, e la
sua versione fu quindi adottata come standard da altri cantanti folk del
Village tra cui Dave Van Ronk, che incluse la propria versione nel suo LP
del 1963 “Dave Van Ronk, Folksinger”. Anche Eric Von Schmidt incise la
canzone per il suo primo LP, anch’esso del 1963, “The Folk Blues Of Eric
Von Schmidt”, una copia del quale si può vedere in mezzo al bric-a-brac
assortito sulla copertina dell’album del 1965 di Bob Dylan, “Bringing It
All Back Home”.
Man On The Street
Durante i primi anni in cui scriveva le proprie canzoni, Dylan continuò ad
affidarsi a pezzi folk tradizionali per le melodie e le strutture di base
delle canzoni. “Man On The Street”, ad esempio, usa il motivo di una
canzone della frontiera americana, “The Young Man Who Wouldn’t Hoe Corn”,
che Pete Seeger (una fonte d’ispirazione evidente per Dylan) cantava
spesso: “Vi canterò una canzone e non è molto lunga/Su un giovane che non
voleva zappare il grano…” Ma anche se a questo punto era già immerso nel
patrimonio folk e blues americano, Bob stava anche leggendo moltissimo, ed
è sorprendente come avesse subito iniziato a inserire e sovrapporre
influenze letterarie nei suoi testi.
Questa canzone, scritta alla fine dell’agosto 1961, fu subito inserita nel
suo repertorio per le coffeehouse, e in novembre fu incisa per il primo LP
“Bob Dylan”, ma non venne poi inclusa nel disco. Robert Shelton, a cui
erano state commissionate le note di copertina, annotò all’epoca che la
canzone era “un pezzo originale basato su di un episodio accaduto in West
Fourth Street al Village. Bob aveva visto un poliziotto vibrare colpi di
manganello su di un uomo già morto per scuoterlo.” Una possibile fonte per
l’immagine più scioccante della canzone, nonché per la struttura delle
strofe del pezzo, potrebbe essere individuata nel poema di Bertolt Brecht
“Litania del Respiro”.
La letteratura era estremamente importante per il circolo di amici di
Dylan di New York. In effetti la sua fidanzata del tempo, Suze Rotolo,
aveva lavorato a una produzione teatrale tratta dai lavori di Brecht,
“Brecht On Brecht”, collaborando alle scenografie e agli oggetti teatrali.
Bob era un visitatore regolare durante le prove, e ascoltava il cast
recitare le poesie e le canzoni di Brecht.
La canzone di Dylan è una delle parecchie scritte nell’arco dei mesi
successivi che esprimono compassione per i diseredati, i reietti e gli
emarginati della società. In quella che è una delle sue prime composizioni
fa un ottimo lavoro con la “non molto lunga” canzone sul vecchio inerme
che sembra attrarre più curiosità da parte dei passanti (anche se poca
simpatia) dopo la sua morte che non mentre era in vita. Quel brusco
“battere” del “bastone da bullo” del poliziotto mostra che perfino nella
morte il derelitto non può sfuggire all’umiliazione e alla sofferenza che
ha subito in vita. Cosa interessante, Dylan avrebbe ritoccato il soggetto
della canzone (certamente per affrontarlo in modo più efficace) pochi mesi
dopo in “Only A Hobo”. Il confronto tra i due pezzi mostra quanto
velocemente la scrittura di Dylan si stesse evolvendo in quel periodo.
No More Auction Block
Stando a quanto riporta Alan Lomax in “Le Canzoni Folk del Nord America”,
questa canzone sulla libertà — conosciuta anche come “Many Thousands Gone”
— è originaria del Canada e veniva cantata dai neri che fuggirono laggiù
dopo che la Gran Bretagna ebbe abolito la schiavitù, in anticipo sugli
Stati Uniti, nel 1833. L’unica performance conosciuta di Dylan di “No More
Auction Block” (l’”Auction Block” era un blocco di cemento sul quale gli
schiavi messi all’asta venivano esposti ai potenziali acquirenti, n.d.t.)
fu registrata al Gaslight Cafe di New York nell’ottobre 1962. Sembra sia
stata una serata particolarmente significativa, laggiù in quello che era
stato per parecchio tempo il locale preferito di Dylan, una “coffeehouse
sotterranea pulsante del rumore dei tubi del riscaldamento… sepolta
proprio nel mezzo di MacDougal Street” (come la descrisse lui stesso nella
sua poesia “In The Wind”). Cantò una selezione di pezzi costituita quasi
del tutto da materiale non di sua composizione, nonostante il fatto che da
diversi mesi avesse composto canzoni sue a un ritmo piuttosto
impressionante.
Dylan potrebbe benissimo aver imparato la canzone dalla versione di Odetta
contenuta nel suo LP dal vivo alla Carnegie Hall (registrato l’8 aprile
1960 — come lui stesso ha più volte riconosciuto, Odetta ebbe una grande
influenza sul giovane Bob Dylan), ma è stato Pete Seeger il primo a
riconoscere, nell’adattamento da parte di Dylan della melodia di questa
canzone, la sua “Blowin’in The Wind”. In effetti, Dylan stesso avrebbe
ammesso il suo debito nel 1978, quando disse al giornalista Marc Rowland:
““Blowin’ In The Wind” è sempre stato uno spiritual. L’ho presa da una
canzone intitolata “No More Auction Block” — quella è uno spiritual, e
“Blowin’ In The Wind” in un certo senso prosegue nella stessa direzione…”
E questa è la grande performance di uno spiritual: Da quei primi
strimpellamenti di chitarra, che sembrano quasi una prova, veniamo guidati
gentilmente, attraverso una serie di note pizzicate, verso la semplice
melodia. E poi entra la voce — quella di un ragazzino bianco che in
qualche modo riesce a unire, a simulare dentro di sé la figura del
cantante, l’esausto ma ormai libero schiavo, che afferma e dichiara la sua
liberazione. Ricorda tutti gli altri che non sono stati altrettanto
fortunati, ringraziando, non con gioia, ma con una dignità piena di forza
che è allo stesso tempo commovente e convincente.
House Carpenter
Una delle canzoni registrate nel marzo1962 per il secondo LP di Dylan, non
venne mai usata. “House Carpenter” (“Il Muratore”, n.d.t) può
probabilmente ritenersi una delle canzoni più vecchie che Bob Dylan abbia
mai cantato. E’ Child Ballad (Number 243), una delle tante canzoni
raccolte dal professore di Harvard Francis James Childs nella sua
collezione — vera e propria pietra miliare —di ballate popolari inglesi e
scozzesi. Comuni varianti americane del pezzo sono le ballate di montagna
del sud “James Harris” e “The Daemon Lover”. La versione stampata più
antica di questa canzone, intitolata “A Warning For Married Women” (Un
Avvertimento alle Donne Sposate, n.d.t.) è datata 1685, ma probabilmente
risale addirittura a tempi più antichi. Dylan potrebbe averla sentita
ovunque, ma Joan Baez e Bob Gibson — tra gli altri— la cantavano
regolarmente nelle coffeehouse del Village all’epoca.
Talkin’ Bear Mountain Picnic Massacre Blues
Questa è probabilmente la prima delle molte canzoni di Bob Dylan ad avere
le sue origini in una storia presa dal giornale. Il ritaglio raccontava
l’interessante storia del noleggio di un battello da escursione, l’Hudson
Belle, per un picnic organizzato da un club sociale di Harlem in occasione
di una gita nella vicina New York, il giorno della Festa del Papà. La voce
— in seguito rivelatasi fondata — che fossero stati venduti centinaia di
biglietti falsi, fece nascere una folle lotta nel tentativo di salire a
bordo quando il battello attraccò al molo con circa due ore di ritardo.
Nel panico che serpeggiò su tutti e tre i ponti della nave, una dozzina
circa di persone riportarono ferite. L’Hudson Belle non salpò mai per la
Bear Mountain. La storia venne ritagliata dal New York Herald Tribune del
19 giugno 1961 da Noel Stookey, frequentatore abituale del Gaslight Cafe
(che sarebbe poi divenuto il “Paul” di Peter, Paul & Mary). Lui la mostrò
a Dylan, ritenendola una storia “deliziosamente macabra” e, come Stookey
stesso ricorda, “Il giorno dopo Bob arrivò con una satira in nove versi…”
La registrazione qui inclusa è dell’aprile 1962, ancora dalle session per
il previsto, secondo LP. Da quando l’aveva composta il giugno precedente,
Dylan aveva suonato la canzone con regolarità. E aveva sperimentato lo
stile del talking blues per diverso tempo, inizialmente copiando Woody
Guthrie — alcuni dei primi nastri di Bob Dylan lo mostrano che si sforza
di interpretare “Talking Columbia”, “Talking Merchant Marine” e “Talking
Fish Blues” di Guthrie. Le canzoni talking blues erano sempre state state
scritte nello stesso stile ironico e malinconico da quando questa forma
era stata sviluppata, negli anni ’20, per mano di un cantante del Sud
Carolina di nome Chris Bouchillon. Dato che ogni verso si conclude di
solito con un commento particolarmente sardonico, la forma è perfetta per
la satira, e in “Talkin’Bear Mountain Picnic Massacre Blues” (Talking
Blues del Massacro del Picnic alla Bear Mountain”, n.d.t) Dylan ironizza
sui mali dell’avidità, dipingendo nel contempo un ritratto beffardo del
fiasco del picnic. Come Terri Thal, moglie di Dave Van Ronk e per breve
tempo primo business manager di Dylan, osservò parlando ad Anthony
Scaduto: “Stava cominciando a pensare e parlare di persone che venivano
calpestate. Non nel senso della classe sociale, ma semplicemente perché
odiava le persone che si approfittavano degli altri… questo è ciò che si
sentiva in “Talkin’Bear Mountain Picnic Massacre Blues.””
Forse ancor più significativamente, con “Talkin’Bear Mountain Picnic
Massacre Blues” Bob Dylan aveva scritto la sua prima canzone “d’attualità”
— una canzone che aveva le sue radici nella tradizione folk, ma il cui
contenuto faceva direttamente riferimento agli eventi del presente. Il
fatto che “Talkin’Bear Mountain Picnic Massacre Blues” fosse così popolare
nei club folk potrebbe benissimo essere dovuto non tanto al suo humour —
anche se è ancora una canzone piuttosto divertente — ma al fatto di aver
indicato la strada futura a tutti i cantanti folk del Greenwhich Village:
la strada verso le “canzoni d’attualità” che avrebbero dominato la scena
nei mesi a venire e che, alla fine, avrebbero salutato il ritorno della
“canzone di protesta” sulla scena folk dei primi anni ‘60.
Let Me Die In My Footsteps
(Lasciatemi Morire Sui Miei Passi)
Una delle quattro canzoni originalmente incluse nelle prime copie di prova
di “The Freewheelin’ Bob Dylan” ma scartate dall’album all’ultimo momento
— in questo caso, a favore di “A Hard Rain’s A-Gonna Fall”.
L’impaginazione grafica dell’LP era già stata preparata per la
pubblicazione, incluse le note di Nat Hentoff alle canzoni che sarebbero
poi state eliminate. La nota che riguardava “Let Me Die In My Footsteps” è
di particolare interesse, perché fu scritta — stando a quanto dice la
copertina, nel maggio 1962 —da Dylan stesso:
“Ho avuto in mente questa canzone per circa due anni. Ero in Kansas,
Phillipsburg o Marysville, credo. Stavo attraversando qualche città laggiù
e stavano facendo questo rifugio antiatomico appena fuori dalla città, una
di queste specie di cose tipo Coliseum, e c’erano operai e tutto. Sono
stato lì circa un’ora, semplicemente a guardarli mentre lo costruivano, e
credo di aver già scritto la canzone nella mia testa in quel momento, ma
l’ho portata dentro per due anni finché finalmente non l’ho buttata giù.
“Mentre li guardavo al lavoro, mi fece effetto il fatto ironico che si
concentrassero tanto nello scavare un buco sottoterra quando c’erano così
tante altre cose che avrebbero dovuto fare nella loro vita. Per lo meno,
avrebbero potuto guardare il cielo e farsi un giro e vivere un po’ invece
di fare questa cosa immorale. Credo che il fatto sia semplicemente che
puoi condurre un sacco di gente per mano. Non sanno nemmeno cos’è che li
spaventa.
“Vorrei dire che questa è una canzone che sono davvero contento di aver
inciso su disco. Non considero nulla di quello che scrivo politico, ma
anche se potessi a stento cantare una nota, o anche se non riuscissi a
reggermi in piedi, questa è una canzone che non avrà bisogno, perché la
gente la capisca, che le persone mi guardino o mi ascoltino con
attenzione, o nemmeno che io gli piaccia.
“Let Me Die In My Footsteps” è il primo “inno di Bob Dylan — una canzone
che può essere cantata come espressione di appartenenza, a una nazione,
una fede o una causa” per dirla come Paul Williams, che infatti data la
canzone con molta probabilità alla fine del febbraio 1962; Izzy Young,
proprietario del Folklore Center e instancabile scrittore di diari, annotò
alla data del 22 febbraio che Bob Dylan era passato di lì e gli aveva
cantato la canzone. La registrazione qui contenuta appartiene anch’essa
alle sessioni di Freewheelin’ del 25 aprile 1962, e Dylan avrebbe
continuato a suonare la canzone durante tutto l’anno — forse anche troppo
spesso, visto che quando, nel dicembre 1962, ne registrò per ragioni di
copyright una versione demo agli uffici del suo editore musicale,
M.Witmark & Sons, a New York City, sbottò, affermando che per lui cantare
di nuovo la canzone era “una tortura — l’ho cantata così tante volte.”
Dylan, comunque, suonò “Let Me Die In My Footsteps” almeno una volta
ancora, il 24 gennaio 1963, per la rivista Broadside. Comunque, in quella
registrazione — che venne successivamente pubblicata nel settembre 1963 su
Broadside Ballads, Vol.1 (Broadside Records BR-301) — la voce solista era
quella di Happy Traum, mentre Dylan cantava le armonie del coro e forniva
l’accompagnamento di chitarra sotto il famoso pseudonimo di Blind Boy
Grunt.
Rambling, Gambling Willie
(Willie lo Scommettitore Girovago)
La più vecchia performance esistente di Dylan di questa perfetta canzone
scritta di sua penna era su una registrazione demo, incisa nel gennaio
1962 per ragioni di dichiarazione del copyright per la Duchess Music
Corporation, un’affiliata della Leeds Music, alla quale Dylan era stato
raccomandato da John Hammond. Dylan mantenne il suo entusiasmo per la
canzone, dato che l’avrebbe registrata nuovamente nell’aprile 1962,
durante le sessioni per il suo secondo LP per la Columbia, The
Freewheelin’Bob Dylan.
L’animata storia di Will O’Conley, scommettitore fuorilegge pieno di
energia da vendere, sarebbe quasi sicuramente stata pubblicata su
Freewheelin’ — era inclusa nelle prime copie di prova dell’LP, ora una
rarità per collezionisti — se la data di pubblicazione non fosse slittata.
Nonostante Dylan avesse iniziato a incidere materiale per il disco già
nell’aprile 1962, questo non sarebbe stato pubblicato fino al maggio 1963,
quando Dylan aveva già scritto diverse, nuove canzoni importanti, che sia
lui che la sua casa discografica erano desiderosi di far uscire. Quindi,
all’ultimo momento “Rambling, Gambling Willie” (insieme ad altri tre
pezzi) fu scartato da The Freewheelin’Bob Dylan, e venne sostituita dalla
più recente “Bob Dylan’s Dream”. Di conseguenza, questo racconto
esuberante sarebbe rimasto un outtake raramente ascoltato. E’un delizioso
trambusto di canzone, ironica, dall’energia contagiosa, piena di rime
meravigliose e di tanto, semplice divertimento,
Ancora una volta, la canzone affonda le sue radici nel passato. Dylan ha
modellato il suo scapestrato scommettitore fuorilegge dal cuore d’oro su
una figura popolare altrettanto eroica, quella del vagabondo irlandese
Willie Brennan, impiccato a Cork nel 1804. La antica e stimolante ballata
sulla quale è basata “Rambling, Gambling Willie” è “Brennan On The Moor”
(Brennan Nella Brughiera, n.d.t), che fu un caposaldo del set dei Clancy
Brothers durante tutta la loro carriera. Dylan li sentì cantare la canzone
a New York e se ne innamorò subito. Nel 1984 disse al regista Derek
Bailey: “Non avevo mai sentito questo genere di canzoni prima… tutte le
persone leggendarie di cui parlavano — Brennan On The Moor o Roddy
Macaulay… Penso a Brennan On The Moor allo stesso modo in cui penso a
Jesse James o qualcuno del genere. Sai, ho scritto alcune delle mie
canzoni sulle melodie che li ho sentiti suonare…
Talkin’Hava Negeilah Blues
(Il Blues Parlato di Hava Negeilah)
Sembra che Bob Dylan abbia iniziato a includere questa canzoncina nel suo
set in un giorno del settembre 1961. Di certo la cantò al Gerde’s Folk
City il 26 di quel mese, dato che è una delle canzoni menzionate in quella
che è stata senza dubbio la più importante recensione di un concerto
nell’intera carriera di Bob Dylan.
Nel New York Times di venerdi 29 settembre 1961, l’articolo di Robert
Shelton titolava, sopra un pezzo da ben tre colonne: “Bob Dylan: Uno
Stilista Che Si Distingue” e non solo era notevole per il fatto di dare
tanto risalto a un relativo sconosciuto, ma era anche di tono così
entusiasta che sembrerebbe essere stato la causa diretta dell’ottenimento
del suo contratto con la Columbia. Come Dylan avrebbe in seguito detto a
Robert Shelton parlando del suo primo incontro con John Hammond: “Gli
strinsi la mano con la destra e gli diedi la tua recensione con la
sinistra. Si offrì di farmi firmare il contratto senza neanche avermi
sentito cantare!”
Nella recensione, Shelton è entusiasta di ogni aspetto della performance
di Dylan: “Il Signor Dylan è allo stesso tempo un commediante e un attore
tragico. Come un attore di vaudeville del circuito rurale, offre una
varietà di comici monologhi musicali… “Talkin’Hava Negeilah Blues” si
prende gioco della mania della folk music e del cantante stesso”.
Quit Your Low Down Ways
(Smettila Con i Tuoi Modi Subdoli)
Registrata il 9 luglio 1962 durante la seconda delle sessioni per The
Freewheelin’, questa canzone è probabilmente già nota per la versione che
Peter, Paul & Mary inclusero nel loro LP del 1963 “In The Wind”, per il
quale Dylan scrisse una lunga nota di copertina sotto forma di poesia con
lo stesso titolo. L’ LP conteneva anche la versione — zuccherosa ma di
gran successo — di Peter, Paul & Mary di “Blowin’In The Wind”, incisione
che, più di ogni altra, donò a Dylan la reputazione di giovane compositore
del momento. “Quit Your Low Down Ways” è una composizione che si potrebbe
definire come una specie di coperta patchwork, i cui versi derivano da
varie canzoni blues tradizionali. La fonte più diretta è “Milk Cow Blues”,
registrata da Sleepy John Estes nel 1930; infatti, i primi due versi di
“Quit Your Low Down Ways” sono in pratica presi in prestito dalla versione
di Kokomo Arnold di quella stessa canzone, incisa nel 1934. Sembra che in
quel periodo Dylan si sia divertito a esplorare la musica blues e le sue
radici — solo un paio di mesi prima aveva provato a incidere la sua
personale versione rielaborata di “Milk Cow Blues” (una versione che si
basava contemporaneamente su quelle di Robert Johnson, Leadbelly, Kokomo
Arnold ed Elvis Presley di quello stesso pezzo). Avrebbe occasionalmente
continuato a provare ed aggiustare lo stile e il ritmo di “Quit Your Low
Down Ways” durante il resto dell’anno, eseguendola con una gran varietà di
inflessioni vocali, che andavano dal sentenziare minaccioso fino
all’allegro e al trionfante, prima di lasciarsela infine alle spalle, nel
momento in cui nuove, migliori canzoni arrivavano alla sua mente con
sempre maggior frequenza.
Worried Blues
(Blues Preoccupato)
Questa canzone fu registrata il 25 aprile 1962, alla seconda delle
sessioni per il suo secondo LP per la Columbia. Dylan aveva cantato a
intermittenza “Worried Blues” nel corso dei sei mesi precedenti; le
origini della canzone, così come l’occasione in cui la sentì per la prima
volta, non sono chiare. Lo stile di fingerpicking che Dylan utilizza in
questa esecuzione in particolare è molto interessante, e ha portato il
musicologo inglese John Way a suggerire che Dylan potrebbe dovere qualcosa
a Elizabeth Cotten per il suo modo particolare di pizzicare la chitarra.
Lo stesso stile di fingerpicking fu poi usato, notoriamente, su “Don’t
Think Twice, It’s Alright” — che in comune con questo pezzo ha anche lo
stesso genere di inflessioni vocali gentili — e, occasionalmente, anche
come accompagnamento su pezzi più tradizionali come “Barbara Allen” e
“Kentucky Moonshiner”. Ma dopo il 1964, per quanto riguarda i concerti o
le registrazioni ufficiali, Dylan sembra aver completamente abbandonato
questo modo di suonare la chitarra.
Casualmente, se i versi sull’ “andare dove il clima è adatto ai miei
abiti” suonano familiari, è perché risuonano anche nella “Everybody’s
Talkin’” di Freid Neil, tema della colonna sonora del film “Un Uomo da
Marciapiede” — il che fa venire alla mente altri due legami con Dylan: il
primo, che lo stesso Fred Neil fu uno dei primi ad assumere Bob come suo
armonicista durante i suoi primi giorni a New York; e la seconda, che se
Dylan non avesse impiegato tanto tempo a comporre la canzone “Lay, Lady
Lay”, in origine commissionata proprio per “Un Uomo Da Marciapiede”, la
sua canzone sarebbe stata per sempre associata al film vincitore
dell’Oscar, e il pezzo di Fred Neil non sarebbe forse mai stato la hit che
fu per il suo interprete Harry Nilsson.
Kingsport Town
Durante una serie di sessioni in studio negli ultimi mesi del 1962, Dylan
cercò di completare le registrazioni di Freewheelin’ con il produttore
John Hammond prima di partire per l’Inghilterra per apparire nella
commedia televisiva della BBC “Madhouse On Castle Street”. Tra i pezzi
incisi c’era “Kingsport Town”, una piccola, dolce canzone cantata in modo
accattivante, che aveva le sue origini nel pezzo “Who’s Gonna Shoe Your
Pretty Little Feet?” di Woody Guthrie (a sua volta basato su un’antica
ballata). Era una canzone che Dylan cantava già ai tempi di Dinkytown, a
Minneapolis. Ci sono due cose che risaltano particolarmente in questa
esecuzione: una è il curioso accento Okie (dell’Oklahoma, N.d.T.) simulato
da Dylan mentre canta. L’altra è che il personalissimo e particolare stile
di fraseggio e scrittura di Dylan si può avvertire nel mezzo di versi
altrimenti ordinari. In pratica, chiunque avrebbe potuto scrivere di “una
ragazza dai capelli ricci e gli occhi scuri”, ma di certo solo Bob Dylan
(e riusciamo a sentirlo che prepara l’allitterazione anche mentre sta
cantando) avrebbe potuto scrivere “E chi bacerà la tua bocca di Memphis
mentre io sono là fuori nel vento?”
SESTA PUNTATA
Walkin’Down The Line
(Andando fino in fondo)
La prima versione conosciuta di questa canzone risale al novembre del
1962, quando Dylan la incise per la rivista Broadside, così che potesse
essere trascritta e in seguito magari pubblicata. È una delle dozzine di
canzoni scritte in quel periodo e poi registrate sotto copyright (questa
incisione viene dai demo realizzati per la casa editrice, M.Witmark &
Sons) ma che non vennero mai prese sul serio in considerazione per una
pubblicazione ufficiale.
Quanto Dylan fosse in quel periodo un autore prolifico lo si può giudicare
dal numero straordinario di registrazioni da lui realizzate per la
Witmark, una delle prime e più prestigiose case editrici musicali degli
USA (con la quale aveva sottoscritto un contratto di tre anni, firmato il
13 luglio 1962). Non era mai accaduto che un “folk singer” firmasse con
una casa così prestigiosa, ma il manager di Dylan, Albert Grossman, era un
uomo incredibilmente ambizioso. Avendo contribuito alla formazione del
gruppo di Peter, Paul & Mary e avendo fatto loro incidere “Blowin’ in the
Wind” con grande successo, era deciso a vendere Bob Dylan come autore di
canzoni da far poi cantare ad altri. Di conseguenza, Dylan fu condotto a
intervalli regolari negli studi della Witmark per registrare demo delle
sue ultime canzoni. Nastri, acetati, e spartiti di nuove composizioni di
Dylan, datate dagli ultimi mesi del 1962 ai primi del 1963, furoro
distribuiti a chiunque potesse essere interessato a inciderle – e molti lo
erano. Ciò segnò l’inizio di una vera e propria industria di cover delle
canzoni di Bob Dylan, e versioni di Walkin’Down The Line, un bell’esempio
di pezzo dalla melodia gioviale e dall’astuto cambio di frase, sarebbero
presto apparse per mano di artisti molto diversi tra loro, come Jackie De
Shannon, Glen Campbell, Hamilton Camp, Odetta, Ricky Nelson, e i da tempo
dimenticati Joe & Eddie. Quando il contratto con la Witmark scadde, tre
anni dopo, questa aveva pubblicato 237 composizioni di Dylan.
Walls of Red Wing
(Le mura di Red Wing)
La fonte della melodia di “Walls of Red Wing” è una vecchia canzone
popolare scozzese, “The Road and the Miles to Dundee” (“La strada e le
miglia fino a Dundee”), che Dylan potrebbe aver scoperto quando aveva
visitato Londra all’inizio dell’anno, immergendosi nelle vecchie canzoni
folk di cantanti come Martin Carthy e Nigel Davenport. Red Wing in sé è un
riformatorio per ragazzi in Minnesota, e anche se Dylan certo non vi passò
mai del tempo, è possibile che abbia conosciuto o parlato con qualcuno che
ci era stato, anche se in realtà Red Wing non è affatto la squallida
fortezza gotica qui ritratta. Naturalmente, la realtà è irrilevante ai
fini della canzone, che è un esercizio di stile fantasioso che riunisce
gli orrori a cui la prigionia in un luogo del genere può portare. Non
stupisce il fatto che fosse una canzone che non in molti facevano la fila
per incidere.
Paths of Victory
(Sentieri di Vittoria)
Probabilmente la canzone più Guthriana che Woody non scrisse mai. Dylan
aveva iniziato a buttare giù questo pezzo fin dal novembre del 1962, e ne
aveva già completata una prima versione quando la eseguì durante una delle
prime, rare apparizioni televisive, in occasione di uno speciale sulla
musica folk della Wastinghouse Broadcasting Company, mandato in onda nel
marzo 1963. La canzone sarebbe in seguito passata attraverso un’ulteriore
riscrittura, ma non sarebbe mai stata pubblicata su disco.
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traduzione di
Michele Murino
TALKING JOHN BIRCH PARANOID BLUES
(Blues parlato paranoico di John Birch)
Nel febbraio del 1962, quale parte di una fiorente scena musicale folk a
New York, apparve una nuova rivista ciclostilata chiamata "Broadside".
L'idea di base di "Broadside" era quella di fornire un mezzo con il quale
i nuovi cantautori potessero pubblicare le loro più recenti composizioni e
così metterle a disposizione di eventuali esecutori. Bob Dylan, il quale
scriveva più canzoni ogni settimana di quante egli stesso sapesse come
utilizzare, divenne un regolare collaboratore della rivista (a partire dal
numero 48 egli in realtà venne inserito come Contributing Editor, sebbene
questa sua carica durò soltanto per altri dieci numeri), ed infatti nella
primissima edizione di "Broadside" apparve una nuova composizione di Bob
Dylan, "Talking John Birch Paranoid Blues". Comunque non c'è traccia di
una registrazione di questa canzone da parte di Bob Dylan fino a nove mesi
dopo, cioè fino alle sedute di registrazione per l'album Freewheelin'. Il
soggetto della canzone, un'incisiva satira della "meglio-morti-che-rossi"
John Birch Society, finì per essere apprezzato da Pete Seeger, Gil Turner,
e tutti i più vecchi rappresentanti della comunità folk del Village,
sebbene nessuno di questi cantautori avrebbe potuto mai immaginare lo
scompiglio che la canzone avrebbe causato al suo autore diversi mesi dopo.
"Talking John Birch Paranoid Blues", era una delle quattro canzoni che
inizialmente erano state previste per essere incluse nell'album "The
Freewheelin' Bob Dylan" ma che alla fine ne furono escluse. Il disco venne
ristrutturato perchè i legali della Columbia si spaventarono quando
cominciarono a temere un'azione legale a causa del testo della canzone che
lasciava intendere che i membri della John Birch Society sottoscrivevano i
"punti di vista di Hitler". La canzone fu così esclusa e sostituita con
"Talking World War III Blues".
Tuttavia eravamo solo a metà della vicenda.
Il 12 maggio del 1963 Dylan era stato invitato a partecipare al "The Ed
Sullivan Show". Questo significava apparire su un grosso network
televisivo ed una enorme esposizione. Il manager di Dylan, Albert
Grossman, era naturalmente eccitato alla prospettiva. Lo stesso Sullivan e
il produttore dello spettacolo avevano ascoltato Dylan eseguire "Talking
John Birch Paranoid Blues" in precedenza nel corso della settimana ed
erano felici che egli la cantasse durante il programma. Non così invece
Stowe Phelps, editor della CBS-TV il quale sentì la canzone durante le
prove dello spettacolo. Così ricorda lo stesso Bob Dylan: "Poco prima del
momento in cui stavo per uscire in scena e cantarla vennero in camerino,
ed eravamo praticamente a ridosso dell'inizio dello show, sai, vennero
dentro e ci fu una gran confusione. Vidi gente che discuteva animatamente
di qualcosa. Io ero pronto a suonare e poi qualcuno venne da me e mi disse
che non avrei potuto cantare quella canzone... Avrei potuto fare
qualcos'altro ma avevamo provato la canzone così tante volte e tutti
l'avevano sentita. Aveva sempre avuto un ottimo riscontro ed io non vedevo
l'ora di cantarla. Persino Ed Sullivan sembrava davvero apprezzarla -
hahaha!".
Dylan rimase stupito ed ancor più lo fu quando gli venne suggerito di
cantare al posto di "Talking John Birch Paranoid Blues" una canzone dei
Clancy Brothers. Dylan decise di andarsene.
La polemica proseguì per diversi giorni sui giornali, e Dylan e la sua
canzone vennero difesi su tutti i fronti. Grossman fu ben lieto della
pubblicità aggiuntiva e Dylan continuò ad eseguire la canzone in concerto
fino a tutto il 1964 presentandola in genere come "la canzone che non mi
hanno lasciato cantare in TV".
La versione della canzone che si ascolta in questa raccolta è stata
registrata alla Carnegie Hall di New York il 26 Ottobre del 1963. Come in
genere avveniva per molte delle canzoni satiriche di Dylan, anche in
questo caso il brano prende davvero vita grazie alla risposta del
pubblico. Il riferimento ad "Hootenany television" è relativo ad uno show
di musica folk mandato in onda da un network e chiamato appunto
"Hootenany", uno spettacolo al quale Dylan e molti altri cantautori
socialmente impegnati avevano rifiutato di partecipare. Il network era
ancora sotto l'influenza della lista nera dell'era McCarthy che impediva
ad artisti con simpatie comuniste di apparire in programmi o film della TV
americana. Logicamente Pete Seeger and the Weavers non poterono apparire
nello spettacolo.
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WHO KILLED DAVEY MOORE?
(Chi ha ucciso Davey Moore?)
Il pugile Davey Moore venne mandato al tappeto da Sugar Ramos, il 23 marzo
del 1963 e morì due giorni dopo senza aver mai ripreso conoscenza. Solo
diciotto giorni dopo, durante il suo concerto del 12 aprile alla New York
Town Hall Bob Dylan presentò "Who Killed Davey Moore?", presumibilmente
dopo aver letto sui giornali la risposta alla morte di Moore di quelli
direttamente legati all'incontro di boxe. La canzone venne presentata
durante il suo set per tutto il resto dell'anno e per buona parte del
1964. La performance che si ascolta in questa raccolta, e che proviene dal
concerto della Carnegie Hall del 26 ottobre 1963, era inizialmente
destinata ad essere inclusa nell'album "Bob Dylan In Concert". La canzone
venne dimenticata quando il progetto venne cancellato.
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ONLY A HOBO
(Soltanto un hobo)
Pubblicata per la prima volta sulla rivista "Broadside" nel marzo del
1963, questa canzone è una riscrittura più completa del soggetto della
precedente "Man on the street". Ancora una volta, Dylan saccheggiò dal
passato la struttura e la melodia di questa canzone, perchè "Only a hobo"
è un ovvio adattamento della canzone "Poor Miner's Farewell" di Aunt Molly
Jackson (che a sua volta è l'adattamento di molte canzoni simili più
antiche tra cui alcune che parlano di marinai o cowboys morti). Il brano
condivide anche la melodia con la canzone "The Great Divide" di Woody
Guthrie, brano che Dylan stesso era solito cantare regolarmente al Folk
City.
La versione presente in questa raccolta è un outtake delle sedute di
registrazione dell'album "The Times They Are A-Changin'". Una versione di
"Only a hobo" ha avuto in effetti una pubblicazione sia pur limitata.
Dylan l'ha registrata negli uffici di "Broadside" nel febbraio del 1963 ed
in seguito quella registrazione venne inserita sul disco "Broadside
Ballads Vol. 1". Poichè era già sotto contratto con la Columbia Records,
Dylan dovette nascondere il proprio nome sotto lo pseudonimo di Blind Boy
Grunt sul disco di "Broadside". In seguito egli raccontò al folksinger del
Greenwich Village Happy Traum una storia a proposito di come questo
particolare pseudonimo era nato: "Ero lì che cantavo questa canzone ed
avevo soltanto un paio di strofe e niente altro, così qualcuno nella
cabina di controllo mi disse: "Vai avanti, cantane ancora". Io risposi:
"Beh, non ce n'è più. Non posso cantare più niente." Il tizio mi disse:
"Allora se non puoi cantare fai GRUNT! (ndt: grugnisci)". E allora io
risposi: "GRUNT?". Poi qualcun altro che era seduto ad una scrivania alla
mia sinistra mi fa: "Che nome devo scrivere su questo disco?". Io risposi:
"GRUNT!". Lei mi chiese: "Solo GRUNT?". Poi il tizio della cabina di
controllo disse: "GRUNT!". Entrò qualcuno dalla porta e disse: "Quello era
Blind Boy Grunt?" e la ragazza che era seduta alla scrivania disse: "Sì!".
Quasi otto anni dopo, nell'ottobre del 1971, Dylan si incontrò con Happy
Traum a New York per registrare alcuni duetti di sue canzoni - che erano
state rese famose da altri artisti - per una possibile inclusione
nell'album "Bob Dylan's Greatest Hits Vol. 2". "Only a hobo" era una di
queste (Rod Stewart ne fece una cover nel suo LP del 1970 "Gasoline
Alley"). Comunque il duetto Traum/Dylan su "Only a hobo" non venne mai
utilizzato. "Semplicemente non se n'è mai presentata l'occasione", spiegò
in seguito Happy Traum.
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MOONSHINER
(Distillatore clandestino)
C'è qualcosa di misterioso a proposito del perchè una versione di questa
famosa ballata tradizionale di montagna del Sud venne inclusa tra le
registrazioni di Bob Dylan utilizzate come demo per l'etichetta Witmark.
E' probabile che alcune delle canzoni che Dylan registrava durante le
frequenti sedute di registrazione alla Columbia Records in quell'epoca
(fine 1962, inizio 1963) vennero poi date alla Witmark per essere
utilizzate come demo o per intenti di copyright, e che in qualche modo
questa canzone è stata inclusa tra i demo per errore.
Qualunque sia stata la ragione, quel che è certo è che questa
registrazione non venne realizzata solo con l'intento di fornire un demo:
certamente infatti essa risulta una delle più belle performance di Bob
Dylan dei primi anni sessanta. Quel che è straordinario in questa
registrazione di "Moonshiner" è come Dylan riesca a richiamare la forza
della caratterizzazione per rievocare decadi di esperienza, disillusione e
rassegnazione nella sua voce, mentre la sua sottile chitarra ed il suono
appena accennato della sua armonica lavorano perfettamente per supportare
la voce del distillatore clandestino protagonista della canzone, una voce
che sembra provenire dalla tomba.
E' ironico il fatto che questa registrazione sia stata realizzata quando
alcuni tradizionalisti si lamentavano del fatto che il ventiduenne Dylan -
secondo loro - non fosse in grado nemmeno di cantare (ricordate lo scherno
del proprietario della coffee house raccontato in "Talkin' New York":
"Ritorna un altro giorno, sembri un hillbilly. Vogliamo folksinger
qui!"?). Ad ogni modo questa è una performance che fa venire i brividi
lungo la spina dorsale, e la voce di Dylan, dolce e allo stesso tempo
venata di una ruvidezza country, si eleva o si inabissa con il timbro di
voce, spesso cantando diverse note con un solo respiro come richiedono le
liriche della canzone, dalla aspirazione bramosa e senza speranza di "Dio
le benedica quelle belle donne, vorrei fossero mie" fino al disgusto del
verso "Il mondo intero è una bottiglia e la vita nient'altro che un
bicchierino di whisky / Quando una bottiglia è vuota state certi che non
vale più un fico secco". Dylan una volta ha parlato delle sue canzoni come
di "esercizi per controllare il tono del respiro". Questa frase può essere
ben applicata a questa performance e se qualcuno osasse mettere in dubbio
l'abilità di Bob Dylan come cantante può ascoltare questa traccia. Se
"Moonshiner" non li convincerà, allora niente lo farà.
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WHEN THE SHIP COMES IN
(Quando arriverà la nave)
Un interessante demo per la Witmark con accompagnamento di pianoforte per
una canzone che fu inclusa sull'album The Times They Are A-Changin',
pubblicato il 13 gennaio 1964. Nella biografia di Bob Dylan scritta da
Anthony Scaduto nel 1971, Joan Baez racconta una storia straordinaria a
proposito delle circostanze che portarono alla composizione di questa
canzone: "E' stata incredibile la storia di questa piccola canzone.
Eravamo in auto io e Bob sulla East Coast da qualche parte, e io dovevo
tenere un concerto; non mi ricordo se Bob doveva cantare con me, ma lui ed
io eravamo in auto insieme e ci fermammo davanti ad un albergo. Io gli
dissi: "Vai a vedere se è il posto giusto". Così Bob scese dall'auto,
entrò nell'albergo, poi uscì dicendo: "Ehi, non ci sono prenotazioni
qui!". Io gli chiesi: "Sei sicuro?". Poi entrai nell'albergo e mi dissero:
"Salve, Miss Baez, la stavamo aspettando!". Io dissi: "Aspettate un
attimo, voglio una stanza in più, per favore". E allora Bobby entrò
nell'albergo. Aveva un aria del tutto innocente ed era incredibilmente
trasandato. Io dissi: "Date una camera a questo signore". Loro risposero:
"Oh, certamente!", ma non vollero parlare con lui. Bob aveva chiesto:
"Joan Baez ha una stanza prenotata qui?", e loro avevano risposto di no. E
lui se n'era uscito. Così quando più tardi fu nella sua stanza scrisse
"When the ship comes in": "Your days are numbered". Per quella stessa sera
la canzone era finita, gli ci volle esattamente una serata per scriverla".
Questa canzone, scritta con molto astio, contiene diverse allusioni
bibliche nel verso che abbina la morte per annegamento della tribù del
Faraone e la sconfitta di Golia, e nel riferimento al settimo capitolo
dell'Apocalisse che parla dei venti che si fermeranno nel Giorno del
Giudizio prima che i salvati risorgano e cominci la tortura per le anime
dannate.
E' possibile che Dylan abbia anche utilizzato una fonte brechtiana, la
canzone "The black freighter", fantasia di vendetta della Jenny dei
Pirati. E giusto per buona misura letteraria è possibile che Dylan abbia
preso l'immagine delle sue "catene del mare" (the chains of the sea) dalla
poesia di Dylan Thomas dal titolo "Fern Hill" che termina con: "Though I
sang, in my chains, like the sea".
La maniera nella quale Dylan trasforma un'esperienza ordinaria in una
ballata profetica e commovente di completo ribaltamento dell'ordine
sociale, è stupefacente.
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THE TIMES THEY ARE A-CHANGIN'
(I tempi stanno cambiando)
Un altro demo per la Witmark con il solo accompagnamento di pianoforte per
una delle canzoni più famose di Dylan, scritta intorno al settembre del
1963. Nelle note di Biograph, Dylan commenta così la composizione della
canzone: "Questa era decisamente una canzone con uno scopo. Sapevo
esattamente cosa volevo dire e per chi lo volevo dire. Volevo scrivere una
grande canzone, una sorta di canzone a tema, sai, con versi brevi e
concisi che si accumulavano l'uno sull'altro in una maniera ipnotica...".
Egli riuscì nel suo intento. La canzone, piena di clichè e a volte priva
di tatto, era ed è irresistibile. Ha i connotati di un inno, è profetica
(piena di un immaginario biblico per un imminente ed irrevocabile
cataclismatica rivoluzione) e cattura perfettamente lo spirito dei tempi.
Per questa canzone, più che per ogni altra canzone di Dylan, si può
effettivamente dire che abbia dato voce ad una generazione. I tempi
stavano davvero cambiando. Il fatto che Dylan fosse il solo a poter
scrivere una canzone che fosse una sorta di dichiarazione di questa
evidente verità, è ancora una volta un tributo alla sua unicità.
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LAST THOUGHTS ON WOODY GUTHRIE
(Ultimi pensieri su Woody Guthrie)
Il concerto alla New York Town Hall di venerdì 12 Aprile 1963 fu di enorme
importanza per Bob Dylan. Egli ebbe allora l'opportunità di presentare al
pubblico molte nuove canzoni, ed allo stesso tempo colse l'occasione dello
show per una sorta di omaggio a coloro che lo avevano influenzato e fatto
arrivare così lontano ed anche per dire alcuni addii. O per caso o forse
per una mossa studiata egli apparve a quelli che si ricordavano di lui,
come sembrava quando arrivò per la prima volta al Village - capelli
arruffati, abiti da vagabondo, una sorta di Woody Guthrie Junior, vivente,
respirante, cantante. Alla fine del concertoDylan fece ritorno sul palco
per fare qualcosa che non aveva mai fatto prima e che non ha mai più fatto
in seguito: leggere una delle sue poesie in pubblico. La sua vagamente
apologetica e nervosa presentazione è modesta e toccante; la poesia che
egli lesse dopo è uno stupefacente capolavoro.
"Last thoughts on Woody Guthrie" non è un necrologio - Woody sarebbe morto
nell'Ottobre del 1967 - ma è un discorso di commiato, un addio formale al
passato di Bob Dylan. E' abbagliante nella sua struttura con i suoi ritmi
cantabili che avanzano lentamente con una regolarità incantatoria finchè
le parola in maniera inaspettata allungano o accorciano la metrica,
sforzandosi di raggiungere un particolare drammatico effetto.
E' una poesia che è sempre stata pensata per essere ascoltata, piuttosto
che letta, più vicina alla canzone che alla letteratura. E tuttavia Dylan
ne scrisse le parole e le lesse allo scopo di poterla presentare nel corso
di quella performance, con un effetto curioso.
Per la maggior parte della poesia sia ha un effetto in stile linguaggio
libero alla Whitman, ma occasionalmente, c'è una maldestra e forzata
esitazione, come se ci fossero frasi che si rifiutano di esser lette o
come se il controllo del respiro da parte di Dylan non riesca a stare al
passo con il torrente di parole della poesia.
Eric Clapton, nel corso di un'intervista per The Telegraph, dichiarò tutto
il suo entusiasmo nei confronti di questa registrazione.
"Dylan è un poeta. Fondamentalmente è un poeta. Non si affida alla sua
voce. Non si affida alla sua chitarra. Non crede di essere capace di fare
qualcosa tranne che scrivere - ed anche in questo caso ha dei dubbi su se
stesso. Hai mai sentito quella cosa che ha scritto su Woody Guthrie?
Quella per me è la somma di tutta la sua vita."
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SEVEN CURSES
(Sette Maledizioni)
Registrata una prima volta per la Witmark nel Maggio del 1963 e
successivamente negli studi della Columbia (è questa la versione presente
in questa raccolta), "Seven Curses" fu tra le canzoni eseguite da Bob
Dylan nel suo concerto alla Carnegie Hall del 26 Ottobre 1963. Era stata
in un primo tempo destinata ad essere inclusa nell'LP "Bob Dylan In
Concert" che non vide mai la luce.Nondimeno "Seven Curses" è una canzone
molto interessante e la performance di Dylan è notevole.
La storia della canzone è vecchia come le montagne - il racconto
utilizzato da Shakespeare per "Measure for measure" ne è una ovvia
variante - ed è stata raccontata nell'ambito della canzone folk molte
volte nel corso degli anni, sotto titoli come "The Prickly Bush", "The
Briery Bush" e "The Prickle Holly Bush". Probabilmente la versione
originale è la Child Ballad (Numero 95) "The maid freed from the gallows",
ma è possibile che la fonte diretta di Dylan fosse una canzone intitolata
"Anahtea", spesso eseguita da Judy Collins, che Dylan conosceva bene a
quell'epoca.
Il lavoro di rielaborazione effettuato da Dylan è ineccepibile e di grande
effetto, con l'uso di dettagli narrativi, a partire dai lascivi vecchi
occhi del giudice quando egli vede la figlia di Reilly, ed il suo
rivolgersi alla ragazza in maniera allo stesso tempo lasciva e protettiva
quando le dice "my dear" (mia cara) mentre afferma che la verginità della
ragazza sarà il prezzo da pagare per la vita di suo padre, fino al verso
in cui la natura sembra aborrire quel che sta avvenendo mentre il prezzo
viene pagato.
L'orrore per il crudele giudice e la dichiarazione formale delle sette
maledizioni dirette alla sua anima (espresse in forma di sentenza di
tribunale) sono rese in maniera ancor più rabbrividente dalla impassibile
resa vocale di Dylan. Non c'è un sentimento di oltraggio, nè di furia,
nessun tipo di emozione che venga espresso dal narratore. E' solo un
racconto di come vanno le cose quando la povera gente ha a che fare con la
giustizia.
Dylan avrebbe raffinato la tecnica più tardi quando registrò una delle sue
più grandi canzoni, "The Lonesome Death Of Hattie Carroll", che ha la
stessa morale. Intanto "Seven Curses" serve a ricordarci che spesso le
grandi canzoni hanno la loro fonte in buone canzoni e che l'arte di Dylan
si ricostruisce costantemente su se stessa e si rinnova da sè.
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ETERNAL CIRCLE
(Eterno Circolo)
Una delle sei canzoni incluse in questa raccolta che erano state
registrate ma non utilizzate per il terzo album di Dylan per la Columbia,
"The Times They Are A-Changin'". Dylan sembra aver scritto "Eternal
Circle" nell'estate del 1963, dal momento che ne aveva suonata una
versione primitiva a Tony Glover, un suo amico di Minneapolis, in Giugno.
La eseguiva ancora in concerto nel Febbraio del 1864.
E' una piccola canzone ben costruita, che sembra il ricordo di un cantante
che diventa consapevole dell'attenzione di una ragazza durante
l'esecuzione di una lunga canzone. L'attenzione della ragazza nei
confronti della canzone viene scambiata dal cantante come attenzione nei
suoi confronti e la svolta nel racconto si ha alla fine della canzone,
quando il cantante guarda verso il pubblico e scopre che la ragazza è
scomparsa.
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SUZE - THE COUGH SONG
(Suze - La canzone della tosse)
Questa poco usuale improvvisazione di chitarra è la reminiscenza di un
motivetto chiamato "Mexican Rag", registrato da Jimmie Tarlton nel 1930 e
vagamente prefigura la prima traccia solo strumentale ufficialmente
pubblicata di Bob Dylan, "Nasville Skyline Rag", del 1969.
La "Suze" del titolo è, presumibilmente, Suze Rotolo, la sua ragazza di
New York nei primi anni '60.
Sebbene egli si sia occasionalmente gingillato con tracce strumentali -
altre due, "Boogie-Woogie" e "Wigwam", furono incluse nel disco "Self
Portrait" del 1970 - Dylan deve ancora completare l'LP totalmente
strumentale che egli di tanto in tanto ha menzionato
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MAMA, YOU'VE BEEN ON MY MIND
(Cara, ti ho pensato)
Dalla metà del 1964, questa è una delle grandi canzoni d'amore di Bob
Dylan inedite, una canzone che egli ha occasionalmente cantato in duetto
con Joan Baez. La stessa Baez ha registrato il brano (con il titolo
"Daddy, you've been on my mind") nel suo LP del 1965, "Farewell Angelina".
Dylan ha cantato "Mama, you've been on my mind" senza la partecipazione di
Joan Baez in numerose occasioni.
Egli ne ha registrato una versione piuttosto ponderosa quale demo per
l'etichetta Witmark, con un accompagnamento di piano, nell'estate del
1964. Poi ne incise una nuova versione con George Harrison nel maggio del
1970, nel corso di una qualche sessione di studio a New York dalla quale
non è stato pubblicato nulla, e poi l'ha eseguita velocemente una sola
volta a Philadelphia il 6 gennaio 1974 nel corso del suo tour degli U.S.A.
insieme con The Band.
Più recentemente la canzone è stata presentata diverse volte in tour
durante gli ultimi dieci anni.
La registrazione che viene inclusa in questo cofanetto, comunque, e che
proviene da una seduta di registrazione in studio del 1964, è la più bella
di tutte quante.
A differenza dei duetti con Joan Baez nei quali Dylan quasi sempre faceva
il gigione, cantando la canzone senza pietà, qui invece egli conferisce al
brano la sensibilità ed il controllo che questa bellissima melodia e le
liriche che fluiscono come una cascata meritano.
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FAREWELL, ANGELINA
(Addio, Angelina)
Non ha importanza quanto gli sforzi dei collezionisti di nastri siano
stati assidui nel corso degli anni per documentare esattamente quello che
Bob Dylan potesse aver mai registrato e quando, è sempre stato presunto
che egli non avesse mai cantato questa canzone, scritta all'inizio del
1965.
Joan Baez velocemente se ne era appropriata e l'aveva registrata come
traccia guida per il suo nuovo album.
L'inclusione di una versione di questa canzone ad opera di Bob Dylan nella
presente raccolta è dunque una delle numerose, inaspettate delizie persino
per i più ferventi tra i fans di Dylan.
"Farewell Angelina" segna un chiaro passo in avanti nello stile di
scrittura di Dylan, con delle liriche simbolistiche e surreali usate per
creare un'atmosfera ed un mood proprio come qualsiasi racconto letterario,
sebbene qualcuno abbia riscontrato nel verso "I must follow the sound"
qualcosa che in qualche modo rappresentava un indizio per una nuova
direzione, naturalmente via dal passato, e in direzione di un futuro
vagamente percepito ma sicuramente molto differente.
La canzone, come molte composizioni dylaniane contemporanee ad essa,
contiene quelle che lo stesso Dylan una volta aveva definito come "catene
di immagini lampeggianti" che offrono degli squarci ondeggianti di scene
ed azioni non necessariamente sequenziali.
Dylan aveva per la prima volta iniziato ad esplorare questo tipo di
scrittura nel 1964 per alcune canzoni come "Chimes of freedom" e "Mr.
Tambourine Man", entrambe ispirate dalla sua personale rilettura
dell'opera "Illuminations" del poeta simbolista francese Arthur Rimbaud e
Dylan l'aveva portata a nuove ed eccitanti estremi nel 1965 in canzoni
come "It's all over now Baby Blue" (forse la canzone più vicina per stile
a "Farewell Angelina") e "Desolation Row", una canzone quest'ultima nella
quale "i pirati dagli occhi incrociati e King Kong e i folletti che
ballano sui tetti" e anche "i demoni che inchiodano bombe ad orologeria
alle mani degli orologi" di "Farewell Angelina" si sarebbero potuti
trovare molto a proprio agio.
Se le liriche della canzone ci indicano in un certo qual modo il futuro di
Bob Dylan, per quanto riguarda invece la musica dobbiamo ancora una volta
guardare al passato.
La melodia è infatti presa quasi interamente dal brano "The Wagoner's
Lad", una canzone che Joan Baez cantava regolarmente e che Dylan stesso ha
di tanto in tanto eseguito negli anni recenti del Never Ending Tour, tra
il 1988 ed il 1991.
Comunque, c'è anche un'altra fonte per questo brano: una canzone di un
marinaio scozzese chiamata "Farewell to Tarwathie", scritta nel 1850 da
George Scroggie, un mugnaio di New Deer (vicino ad Aberdeen, Scozia), che
utilizza la melodia di "The Wagoner's Lad" come canzone di "addio".
Sicuramente è questa è la prima fonte per quanto riguarda "Farewell
Angelina", ma quando e dove Dylan sia venuto a conoscenza di questa
canzone non è dato sapere.
Per quanto riguarda la registrazione presentata in questa raccolta, è
davvero un piacere ascoltare Bob Dylan cantare questa canzone, ma che
versione sorprendente con la sua sottile e bellissima variazione della
melodia familiare della registrazione di Joan Baez, il modo lento e
deliberato con cui queste parole straordinarie sono cantate e l'aggiunta
di un verso precedentemente non conosciuto, quello dei "camouflaged
parrots".
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SUBTERRANEAN HOMESICK BLUES
(Blues sotterranei nostalgici)
Se Dylan spesso aveva usato canzoni folk per abbellire le melodie o le
strutture delle proprie composizioni nei primi anni sessanta, con
"Subterranean Homesick Blues", si rivolge invece al rock'n'roll per la
propria ispirazione.
Utilizzando una resa vocale per metà cantata e per metà parlata e di
contro un ritmo rock'n'roll, Dylan annunciò la sua nuova direzione
musicale senza alcuna incertezza quando rese questa canzone la traccia
guida del suo LP del 1965, "Bringing it all back home".
Le liriche della canzone sono incredibili e molti versi sono entrati nel
linguaggio comune come dei veri e propri aforismi - "Don't follow
leaders..." (Non seguire i capi), oppure "You don't need a weatherman to
know which way the wind blows..." (Non hai bisogno di un meteorologo per
sapere da che parte spira il vento) o ancora "20 years of schooling and
they put you on the day shift..." (20 anni di studio e poi ti mettono al
turno di giorno) - e l'intera canzone sfida l'ascoltatore a cantarla
insieme con Dylan (e non importa quante volte ci si provi, si fallirà
sempre).
La canzone potrebbe sembrare una sorta di gioco di parole ma in realtà è
un'articolata declamazione contro il sistema ("The insanity factory" come
Dylan disse una volta, "La fabbrica della pazzia"), i cui "consumatori" ed
"imbroglioni" e le figure autoritarie piegano e spezzano l'individuo
costringendolo a cercare rifugio nelle droghe o in politiche alternative.
"Look out kid" avverte Dylan, "They keep it all hid..." (Fa attenzione
ragazzo, che insabbiano tutto).
Dylan esplorò queste tematiche anche in altre canzoni ("Maggie's Farm" e
"Desolation Row", per esempio) e, con una durata di gran lunga maggiore,
anche nelle pagine del suo romanzo, "Tarantula".
La versione acustica di questa canzone inclusa nella presente raccolta,
con Dylan che canta in modo straordinario su un tono solo, risulta una
sorpresa, in un certo modo.
Probabilmente registrata per dare un esempio ai suoi musicisti affinchè
imparassero la canzone, essa funziona perfettamente bene come take solista
ed avrebbe potuto essere inserita in maniera appropriata su "Another Side
Of Bob Dylan".
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IF YOU GOTTA GO, GO NOW (OR ELSE YOU GOT TO STAY ALL NIGHT)
(Se devi andare, vai ora (oppure devi restare tutta la notte) )
Bob Dylan iniziò ad includere "If you gotta go, go now (or else you got to
stay all night)" nel set dei suoi concerti nell'autunno del 1964 (la sua
prima performance registrata avvenne durante il concerto di Halloween alla
New York Philarmonic Hall il 31 ottobre di quell'anno), utilizzando il
brano per dare un po' di necessario sollievo leggero tra due altre nuove
composizioni, entrambe canzoni molto lunghe, piene di parole e alquanto
serie - "Gates of Eden" e "It's all right ma (I'm only bleeding)".
Una specie di "passiamo la notte insieme" infarcito di risate, e che
otteneva sempre una buona risposta da parte del pubblico per la sua
scabrosità, tenuto conto che si era alla metà degli anni sessanta, e venne
mantenuta nella stessa posizione nel corso del set durante il tour
acustico inglese del 1965.
Questa versione elettrica molto più veloce venne registrata durante le
sessions di "Bringing it all back home" ma non venne poi inclusa nel LP.
Ad ogni modo la canzone venne pubblicata ufficialmente come singolo nei
paesi del Benelux nell'agosto del 1967, con "To Ramona" su lato b (CBS -
2921).
La copertina di questo 45 giri (molto ricercato tra i collezionisti e di
gran valore) usava una versione in scala ridotta del famoso dipinto
realizzato da Milton Glaser del profilo di Dylan, che originariamente era
stato incluso come poster in omaggio nell'edizione americana di "Bob
Dylan's Greatest Hits".
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SITTING ON A BARBED WIRE FENCE
(Seduto su un recinto di filo spinato)
Incisa nel corso di una delle sedute di registrazione iniziali dell'album
"Highway 61 Revisited", è un brano in cui Dylan chiaramente stava
improvvisando molte delle liriche blues mentre ne cantava il testo.
In qualche modo simile nel "mood" al brano "From a Buick 6", che venne
incluso su questo LP, "Sitting on a barbed wire fence" iniziava con un
riff di chitarra "grunge" che è quello che domina tutta la canzone e con
Dylan che ride verso la fine del brano.
Tuttavia è bello averla, specialmente per il verso che recita: "She's
making me into an old man, and man I'm not even 25!" (Lei mi sta
trasformando in un vecchio, e - Dio! - non ho ancora 25 anni!).
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LIKE A ROLLING STONE
(Come una pietra che rotola)
Molti affermano che "Like a rolling stone" sia la più grande canzone di
Bob Dylan.
La registrazione di questo "singolo da sei minuti" in un solo pomeriggio è
stata raccontata da Dylan in "Rolling Stone": "La canzone è stata scritta
su di un vecchio pianoforte verticale in tonalità di Si diesis, ed in
seguito è stata trasformata in tonalità di Mi con la chitarra allo studio
di registrazione della Columbia. La parte del ritornello è quella che mi è
venuta per prima, ho continuato a canticchiarla tra me e me ed in seguito
sono venuti i versi che iniziavano con un tono basso per poi innalzarsi.
I primi due versi che mettevano in rima "kiddin' you" con "didn't you"
quasi mi hanno messo fuori combattimento; e più tardi quando mi sono
venuti i versi dei "jugglers" e del "chrome horse" e della "princess on
the steeple" tutto è cominciato ad essere troppo. L'ho registrata nel
corso di una session dopo aver inciso un gruppo di altre canzoni. Abbiamo
portato un acetato di questa canzone a casa del mio manager a Gramercy
Park e diverse persone hanno cominciato ad andare e venire ed abbiamo
suonato il pezzo sullo stereo per tutta la notte. Il mio editore musicale
continuava ad ascoltarlo, scuoteva la testa e diceva: "Wow amico, non ci
credo, non posso crederci!". Anche un addetto della Columbia Records era
presente e continuava a dire: "Questo diventerà un singolo da hit parade e
non può essere tagliato". Stava anticipando la gente della casa
discografica che avrebbe detto che il brano era troppo lungo.
Personalmente penso che fosse una gran cosa da ottenere a quell'epoca, la
lunga durata della canzone".
Questo frammento proveniente dai primissimi tentativi della seduta di
registrazione di quel pomeriggio può dare origine ad una ridda di
speculazioni - quello che non è mai stato chiaro fino ad ora è che la
canzone è stata originariamente scritta in un tempo di 3/4. "Like a
rolling stone" era in origine un valzer!
Persino in questa primitiva registrazione nella quale Dylan suona la
canzone a beneficio dei musicisti riuniti perchè la imparino, è chiaro che
Dylan aveva una voce fantastica quel pomeriggio e se il tempo della
canzone non fosse stato in seguito trasformato in un tempo di 4/4 chissà
cosa sarebbe potuto essere di questo brano? Ma il seguito, naturalmente, è
storia.
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IT TAKES A LOT TO LAUGH, IT TAKES A TRAIN TO CRY
(Ci vuole un sacco per ridere, ci vuole un treno per piangere)
Dylan incominciò a lavorare a questa canzone (che originariamente aveva il
titolo di "Phantom Engineer", "Il macchinista fantasma") nel giugno del
1965 e l'aveva terminata il mese successivo, includendola nell'album
"Highway 61 Revisited".
E' una canzone alla quale egli è spesso ritornato, eseguendola nel suo
primo set elettrico al Newport Folk Festival del 25 Luglio 1965; al
concerto per il Bangla Desh (con George Harrison e Leon Russell) il Primo
Agosto del 1971; una volta nel 1974 con The Band; una versione potente e
sferzante eseguita molte volte con la Rolling Thunder Revue nel 1975; una
volta sola nell'estenuante tour mondiale del 1978; e di nuovo una volta
soltanto nel 1984 a Barcellona ("Non abbiamo mai suonato la canzone prima"
disse il chitarrista Mick Taylor a mò di scusante dopo che i musicisti ne
avevano eseguito una versione sgangherata. "Non è vero, la suoniamo in
continuazione!", rispose ridendo Dylan).
E' stata anche occasionalmente inclusa nel corso del Neverending Tour come
un blues potente, lento e sporco.
Che cosa succede in questa canzone? Beh è chiaramente un blues
malinconico, l'espressione di un sentimento ottenuta con una serie di
impressioni disconnesse tra loro. Allen Ginsberg una volta parlò della
maniera di comporre di Dylan nel 1965, e forse le sue parole danno una
qualche indicazione sulla maniera in cui una canzone come questa può
essere venuta fuori: "Il suo interesse era in versi improvvisati che
talvolta buttava giù senza pensarci nel microfono, senza sapere quale
sarebbe stata la parola successiva... A volte Dylan riascoltava quello che
aveva detto e lo scriveva e lo aggiustava un pochino. Non significava
necessariamente qualcosa nel senso che egli lo predisponeva perchè
significasse qualcosa, ma significava qualcosa nei temini di indicare la
tendenza o la direzione della sua mente, oppure il suo modo di sentire o
specifiche referenze o forme mentali che stavano passando nella sua testa
in quel momeno... Era un composto di quello che stava succedendo nella sua
mente".
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I'LL KEEP IT WITH MINE
(Lo terrò con me)
E' una canzone scritta da Dylan alla metà del 1964 e data a Nico, che la
registrò per il suo primo LP. Una versione fatta dal solo Bob Dylan al
pianoforte è stata finalmente pubblicata nel 1985 su "Biograph". Comunque,
esiste un'altra versione della canzone, un tentativo di registrarla con
dei musicisti che accompagnavano Dylan. E' un piacere particolare
ascoltare come la canzone comincia a prendere forma, incoraggiata - sembra
- dallo sprone del produttore Bob Johnston. All'inizio c'è soltanto il
pianoforte di Dylan, suonato alquanto goffamente, poi le iniziali
assurdamente irrilevanti maracas ed un tentativo di organo fantasma e di
basso. Ma, come per magia, dal disordine generale emerge una improvvisa
delicata coerenza. Mentre i musicisti prendono confidenza Dylan diventa
gradualmente più sicuro nel suo cantare e di conseguenza anche nel suo
suonare il pianoforte. Quello che alla fine si ottiene è uno sguardo a
come il sound di "Blonde on blonde" è stato assemblato.
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SHE'S YOUR LOVER NOW
(Lei è la tua donna adesso)
Registrata a New york nel Gennaio del 1966, con Rick Danko, Levon Helm e
Robbie Robertson, all'epoca conosciuti come The Hawks, ed Al Kooper e Paul
Griffin rispettivamente all'organo ed al piano, questa grande canzone una
volta aveva come curioso titolo di lavoro "Just a little glass of water"
(Solo un piccolo bicchiere d'acqua). E' un brillante e complesso brano,
una scena drammatica per tre interpreti, ma una sola voce recitante - il
cantante - che tenta di sbrogliare un intrico di complicate emozioni:
rabbia, risentimento, recriminazione, sgomento, disgusto, amore, perdita,
responsabilità, in presenza della sua ex donna e del nuovo ragazzo di lei.
I sentimenti che egli ha dentro di sè sono confusi, e sono espressi in
varie maniere, anche in maniera grottesca, sia nei confronti di lei, sia
nei confronti di lui, sia nei confronti di se stesso, mentre la canzone
prosegue.
E' davvero quasi impossibile rendere giustizia alla portata della canzone
senza un'intera dissertazione a proposito dei molti livelli simultanei sui
quali la canzone stessa poggia. Vennero registrate due differenti versioni
di questo brano, una lenta per soli piano e voce e la sferzante, pressochè
perfetta, versione con la band che si può ascoltare in questa raccolta.
Sfortunatamente quest'ultima versione si interrompe bruscamente verso la
fine quando Dylan inciampa nelle parole. Le liriche mancanti sono le
seguenti:
Now your eyes cry wolf
While your mouth cries I'm not scared
Of animals like you
And you, there's been nothing about you I can recall
I just saw you that one time
And you were just there, that's all
But, I've been already been kissed
I'm not gonna get into this
I couldn't make it, anyhow
You do it for me
You're her lover now
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I SHALL BE RELEASED
(Sarò liberato)
Il ritiro di Bob Dylan a Woodstock dopo il suo incidente motociclistico
del 1966 portò ad un periodo di recupero e di riflessione tra le montagne
e le foreste dello stato di New York. Anche i membri di The Band si
trasferirono lì, nella primavera del 1967, a Big Pink, la casa di West
Saugerties che dà il suo nome al loro LP di debutto del 1968.
Non passò molto tempo prima che i membri di The Band e Dylan si
ritrovassero insieme e suonassero musica, registrando in seguito molte ore
di materiale che più tardi sarebbe stato genericamente conosciuto con il
nome di The Basement Tapes (I nastri della cantina) e pubblicato
ufficialmente con lo stesso titolo nel 1975. Così ricorda Robbie
Robertson, uno dei musicisti di The Band: "Eravamo soliti ritrovarci
insieme ogni giorno all'una nella cantina di Big Pink ed era diventata una
routine. Ci trovavamo lì e per impedire a qualcuno di noi di impazzire
suonavamo musica ogni giorno. Dylan scrisse un mucchio di canzoni allora e
così facemmo noi".
Molte delle canzoni dei Basement Tapes all'inizio raggiunsero i
collezionisti dopo che erano circolate come demos. I demos vengono
distribuiti dagli editori per cercare artisti interessati a registrare la
composizione di un autore. L'editore di Dylan in Inghilterra, B. Feldman,
ebbe un notevole successo con queste "cover versions", ottenendo degli
hits con le versioni di Manfred Mann di "Quinn the Eskimo" e con "This
wheel's on fire" di Brian Auger e Trinity.
In America i Byrds resero popolare "You ain't goin' nowhere" sul loro
album country rock "Sweeheart of the Rodeo" e The Band incluse "Tears of
rage" e "I shall be released" sul proprio album di debutto "Music from Big
Pink".
"I shall be released" è diventata una delle composizioni più durature di
Dylan, interpretata da oltre cinquanta artisti inclusi The Hollies, Bette
Midler, The Heptones e Sting.
La versione inclusa in questa raccolta è il demo originale proveniente dai
Basement Tapes.
La vena narrativa della canzone, nella quale un prigioniero sogna la
libertà, è resa ancor più efficace dalla ossessionatne armonia in falsetto
cantata da Richard Manuel.
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SANTA FE
(Santa Fe)
A dispetto del relativamente recente riemergere nel circolo dei
collezionsiti di un ulteriore paio di ore provenienti dai Basement Tapes,
sembra che ci sia ancora un bel po' di materiale inedito. "Santa Fe" è
solo un esempio di un gruppo di tracce dei Basement Tapes di cui
precedentemente non si sospettatava l'esistenza - una tipica combinazione
di non sense e divertimento...
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IF NOT FOR YOU
(Se non fosse per te)
Nel Giugno del 1970, Rolling Stone riportò che Bob Dylan e George Harrison
avevano trascorso una giornata insieme in uno studio di New York,
registrando delle tracce per una possibile inclusione in un futuro LP di
Bob Dylan.
"Circa cinque delle canzoni sono di qualità abbastanza alta", scrisse il
loro corrispondente. In Inghilterra la storia venne raccolta dal New
Musical Express. "Dylan ed Harrison registrano un LP insieme!", riportava
con enfasi. Beh, naturalmente non andò così. Ma da quella session del 1
maggio 1970, venne fuori "If not for you", una canzone che in seguito lo
stesso Harrison registrò (per il suo album "All things must pass") e che
Dylan stesso incise nuovamente un paio di mesi più tardi per il suo LP
"New Morning".
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WALLFLOWER
(Tappezzeria*)
Una versione di questo delizioso valzer campagnolo venne inclusa nel LP
"Doug Sahm & Band" (Atlantic SD-7254), pubblicato nel dicembre del 1972,
nel quale il contributo vocale di Dylan alla seconda voce venne registrato
così alto che finì col diventare la voce guida del brano. La canzone fece
sicuramente impressione su Patti Smith che ricordò: "Avevo sempre
desiderato ballare con i ragazzi ma nessuno mi chiedeva mai di ballare,
dovevo aspettare la scelta delle donne... Ero talmente patetica. Ma Bob
comprende questa situazione dal momento che ha scritto "Wallflower"..."
Questa registrazione proviene dalle sessions del 4 novembre 1971, ai Blue
Rock Studios di New York, con Kenny Buttrey alla batteria, Dan Keith alla
steel guitar e Leon Russell al basso. Fu nel corso di queste stesse sedute
di registrazione che Dylan incise il proprio singolo "George Jackson", ma
fatta eccezione per poche apparizioni in veste di ospite speciale sui
dischi di altri artisti, il 1971 ed il 1972 sono anni pieni di giorni
scuri fatti di confusione e di incertezza. Dylan li avrebbe descritti in
seguito come "il periodo peggiore della mia vita, quando cercai di
ritrovare il passato e tornai a New York per la seconda volta. Non sapevo
cosa fare. Tutto era cambiato. Provai a scrivere e cantare allo stesso
tempo ed a volte mi sembrava di impazzire..."
* Con il termine "wallflower" si indica in gergo la ragazza seduta alle
festicciole che nessuno invita a ballare e che finisce per fare da
tappezzeria
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NOBODY 'CEPT YOU
(Nessuno all'infuori di te)
Dylan registrò "Planet Waves" con The Band nel Novembre del 1973, prima di
iniziare un tour con loro negli U.S.A. nelle prime settimane del 1974, la
sua prima serie di concerti in otto anni. Il LP venne pubblicato a metà
Gennaio, ma coloro che avevano seguito il tour ed avevano assistito ai
primi concerti rimasero sorpresi nel vedere che l'album non includeva una
potente nuova canzone che avevano sentito cantare a Dylan durante il suo
set acustico.
Quella canzone, "Nobody 'cept you", era stata infatti progettata per
essere inclusa nel LP ma all'ultimo momento Dylan l'aveva sostituita con
una nuova composizione, "Wedding song". Molti pensano che "Nobody 'cept
you" sia una canzone di un livello superiore ma Dylan la eseguì per
l'ultima volta a Largo nel Maryland, il 16 gennaio, il giorno prima della
pubblicazione di "Planet Waves".
Quella inclusa in questa raccolta è la versione registrata per l'album.
Sebbene inizi in maniera abbastanza cauta non ci vuol molto perchè la
particolarissima chitarra di Robbie Robertson faccia elevare la canzone.
Termina in maniera un po' brusca e forse aveva bisogno di un altro paio di
takes perchè assumesse la giusta dimensione.
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TANGLED UP IN BLUE
(Aggrovigliato nella tristezza)
Nel settembre del 1974, Dylan registrò le canzoni per "Blood on the
tracks" a New York City con un semplice accompagnamento di basso (Tony
Brown), di organo (Paul Griffin), e di steel guitar (Buddy Cage). Dieci
canzoni vennero stampate su di un disco promozionale che venne spedito in
quantità molto limitate ad alcune e selezionate stazioni radio a novembre,
come anticipazione del LP che sarebbe stato pubblicato il mese successivo.
Le altre due canzoni registrate a New York, "Up to me" (in seguito
pubblicata su "Biograph") e "Call letter blues" (che si può ascoltare in
questa raccolta per la prima volta), rimasero inutilizzate. Ad ogni modo,
quando Dylan suonò quello che si supponeva sarebbe stato il suo nuovo
disco durante le vacanze di Natale in Minnesota, egli si dichiarò
insoddisfatto ("Pensavo che le canzoni avrebbero potuto suonare in maniera
differente e migliore"), e decise di reincidere molte delle tracce.
Sebbene "Blood on the tracks" sia generalmente considerato uno degli album
più belli di Dylan, le tracce registrate a New York in origine e poi
rifiutate da Dylan, dimostrano di non essere meno efficaci di quelle che
furono poi incluse nell'album. Si nota un'ulteriore prova di quelli che
furono esperimenti da parte di Dylan nel modificare i pronomi in questa
canzone per dare delle prospettive che si spostano continuamente nella
narrazione del brano stesso (qualcosa che Dylan continuò ad esplorare
nelle versioni eseguite dal vivo). Sia in questo brano che nell'intero
album "Blood on the tracks", Dylan ha ammesso di avere utilizzato un
particolare sistema di scrittura, e di essere stato ispirato a fare ciò da
un insegnante di filosofia e pittura chiamato Norman Raeben, con il quale
Dylan aveva studiato a New York per alcuni mesi nel 1974. "Tutti sono
d'accordo nel dire che era abbastanza differente dal solito," disse Dylan
a proposito dell'album. "Quello che c'è di differente è che esiste un
codice nelle liriche, e anche che non c'è il senso del tempo...". In
seguito Dylan dichiarò: "Le canzoni erano caratterizzate da una
frantumazione del tempo, nel senso che non esisteva un tempo, e esse
tentavano di rendere il focus in maniera così forte come una lente di
ingrandimento sotto il sole. Fare questo in maniera cosciente è un trucco,
ed io l'ho fatto nell'album "Blood on the tracks" per la prima volta.
Sapevo come farlo perchè avevo imparato la tecnica - in realtà avevo avuto
un insegnante che me l'aveva fatta apprendere...".
Nelle note del cofanetto "Biograph", Dylan dichiarò a Cameron Crowe a
proposito di "Tangled up in blue": "Volevo provare a scriverla come se
fosse un dipinto dove si possono vedere le diverse parti ma dove si può
vedere anche tutto l'insieme. Con quella canzone particolare, volevo
provare a fare qualcosa del genere... con il concetto di tempo, ed il modo
in cui i personaggi cambiavano dalla prima alla terza persona, e non eri
mai sicuro se fosse la terza o la prima persona a parlare. Ma se guardi
alla cosa nel suo insieme non ha grande importanza".
Lo strano rumore che si sente nel corso della traccia è causato dai
bottoni della manica della giacca di Dylan che colpiscono la chitarra
mentre egli suona.
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CALL LETTER BLUES
(Blues della lettera puntata)
E' una delle due outtakes provenienti dalle sessions originali dell'album
"Blood on the tracks" (l'altra, "Up to me", venne pubblicata sul cofanetto
"Biograph"). Questo grezzo, disperatamente personale e straziante blues -
che venne in seguito presumibilmente rimpiazzato sul LP da "Meet me in the
morning", che musicalmente suona esattamente come questo brano - ha come
tema ancora una volta la rottura della relazione d'amore, lo stesso tema
che domina l'album intero. Dylan ha negato in maniera ferma che le canzoni
di "Blood on the tracks" potessero essere interpretate in chiave
autobiografica. Parlando di "You're a big girl now" nelle note di
"Biograph" egli aveva osservato: "Ho letto in giro che questa canzone
parlarebbe di me e di mia moglie. Vorrei che le persone mi chiedessero le
cose prima di stampare sui giornali tutto quello che passa per la loro
mente. Intendo dire che potrebbe parlare di chiunque tranne che di mia
moglie, okay? Questi esegeti del mio lavoro delle volte sono degli stupidi
stronzi mistificatori - Voglio dire che cerco sempre di stare un passo
distante da me stesso e cambio con i tempi. Come se quella fosse la mia
stupida missione. Quanti ruoli posso recitare? Stupidi, ti confinano nei
limiti della propria mentalità priva di immaginazione. Non si fermano mai
a pensare che qualcuno ha avuto esperienze che loro non hanno avuto... Ad
ogni modo non è nemmeno l'esperienza che conta, è l'atteggiamento che c'è
verso l'esperienza".
Dylan dunque prende un qualcosa di specifico, un qualcosa di cui egli
stesso ha avuto esperienza, e trasforma quel metallo base nell'oro della
sua arte, universalizzando i sentimenti di amore e di perdita e trovando
spazio per quei piccoli dettagli della vita reale - come ad esempio dire
agli amici che lei se n'è andata, o come affrontare le domande dei
bambini.
Quando Mary Travers, nel corso di una discussione radiofonica, disse a
Dylan quanto le fosse piaciuto "Blood on the tracks", la replica di Dylan
fu pronta: "Un sacco di gente mi dice che ha apprezzato l'album. E' dura
per me rapportarmi a ciò. Voglio dire, alla gente piace quel tipo di
dolore...".
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IDIOT WIND
(Vento idiota)
"Idiot wind" subì una drammatica revisione tra New York e Minneapolis non
solo da un punto di vista delle liriche, ma, forse in maniera ancor più
importante, per quanto riguarda il suo atteggiamento.
Mentre la versione riscritta e pubblicata sull'album è vendicativa, ostile
ed amaramente disgustata (la versione pubblicata sull'album live del 1976
"Hard rain" porta questi sentimenti ad estremi catartici), qui il mood è
più basato sul dolore che sulla rabbia, con l'ammissione del cantante di
una condivisione delle responsabilità ("We pushed each other a little too
far...", "Ci siamo spinti l'un l'altro un po' troppo lontano...") per la
rottura della relazione d'amore. L'idea di un "Vento idiota" rimanda con
la mente ancora a Shakespeare ed in maniera specifica alla disperata
meditazione di Macbeth sull'assenza di significato della vita vista come
"...un racconto narrato da un idiota pieno di suono e di furia e che non
significa niente".
Sicuramente c'è maggior disperazione in questa ossessionante take della
canzone, con lo spettrale organo sopra tutto, di quanta ce ne sia nella
versione gridata a voce alta e piena di recriminazione inclusa in "Blood
on the tracks".
"Idiot wind" è una delle grandi canzoni di Dylan ma è anche una delle sue
più dolorose. Come per molte delle altre canzoni presenti su "Blood on the
tracks" essa presenta il suo cuore nudo - "Peace and quiet's been avoiding
me so long it seems like living hell" (Non ho conosciuto pace e quiete per
così tanto tempo che mi sembra di vivere all'inferno).
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IF YOU SEE HER, SAY HELLO
(Se la vedi, dille ciao)
La versione originale registrata a New York di una tra le più tristi
canzoni di amore perduto. Il narratore vorrebbe che la canzone sia la
prova di una matura accettazione e di un venire a patti con la rottura di
una relazione amorosa.
La separazione è percepita come inevitabile, o meglio decisa dal fato ("It
was written in the cards..." - "Era scritto nelle carte..."), ma i suoi
sforzi di essere magnanimo nel suo perdono, nella sua comprensione e nel
suo dispiacere sono smorzati dagli inevitabili dolori provocati dal
ricordo ("I've never gotten used to it, I've just learned to turn it off"
- "Non mi ci sono mai abituato, l'ho semplicemente spento") mentre rievoca
il passato.
E' come se le scene fossero state registrate su di una videocassetta del
cuore, ma i ricordi, invece di offrire consolazione, servono solo a
provocare ulterori sentimenti di amarezza e di colpa, culminando in
quell'efficace tocco di rancore nel verso fondamentale: "Tell her she can
look me up - if she's got the time." ("Dille che può venire a trovarmi -
se trova il tempo.")
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GOLDEN LOOM/CATFISH
(Telaio Dorato/Pescegatto)
Queste sono due canzoni scartate provenienti dalle sedute di registrazione
dell'album "Desire". "Catfish" è stata scritta a quattro mani, come molte
delle canzoni di "Desire", con Jacques Levy - l'uomo con la barba che
appare sul retro della copertina di "Desire", fotografato con Dylan al
microfono. Levy, un medico psicologo i cui lavori teatrali off-Broadway
scritti per diletto lo avevano alla fine portato ad una collaborazione con
Roger McGuinn dei Byrds, con il quale aveva cofirmato alcune canzoni,
incontrò Dylan per la prima volta, brevemente, nella primavera del 1974.
Un anno prima che le loro strade si incrociassero di nuovo, come ricorda
Levy:
"All'epoca non aveva piani specifici per realizzare un lavoro preciso e mi
disse qualcosa come "Mi piacciono davvero le cose che hai fatto con Roger.
Che ne dici se tu ed io facessimo qualcosa insieme?" Il che era alquanto
strano, no? Perchè lui sapeva che io scrivevo testi ed io sapevo che lui
faceva altrettanto. Ma risposi: "Certo, facciamo un tentativo."
La prima canzone che scrissero insieme fu "Isis" cui ne seguì un altro
paio prima che decidessero - visto che l'energia stava fluendo - di
recarsi nella casa sulla spiaggia che Dylan possedeva ad East Hampton e di
chiudersi lì per fare un lavoro vero e proprio. Nelle tre settimane che
trascorsero lì portarono a termine sette o otto canzoni, quattro delle
quali vennero in seguito incluse in "Desire", mentre altre - compresa
"Catfish" - rimasero inedite. Lo schietto racconto "eroico" di una stella
del baseball come il pitcher Catfish Hunter sembra essere stato scritto
più per iniziativa di Levy che di Dylan.
Durante il tour della Rolling Thunder Revue del 1975, una versione più
rock di questa canzone veniva regolarmente eseguita dal bassista Rob
Stoner e venne in seguito parzialmente inclusa nella colonna sonora del
film "Renaldo & Clara".
Eric Clapton era presente alla session durante la quale venne registrata
"Catfish" e ricorda che lo studio fu alquanto disorganizzato per gran
parte della serata:
"Sai, Dylan stava cercando di creare una situazione in cui potesse fare
musica con persone nuove. Se n'era andato in giro un po' dappertutto a
raccogliere musicisti e a portarli alle sessions. Finì che in studio si
contarono qualcosa come 24 musicisti, e suonavano tutti questi strumenti
incredibilmente assurdi - la fisarmonica, il violino... Era veramente dura
continuare. Dylan non era assolutamente sicuro di quello che voleva. Era
veramente in cerca di qualcosa e saltava da canzone a canzone. Me ne
dovetti andare fuori a respirare un po' di aria fresca perchè là dentro
era davvero un manicomio..."
La versione notturna che si ascolta qui, comunque, venne forse registrata
quando la maggior parte degli altri musicisti se n'erano tornati a casa.
Lenta, meditabonda e molto blues ha senza dubbio un mood da tarda notte.
Registrata nel Luglio del 1975, "Golden Loom" è una composizione del solo
Dylan ma le oscure allusioni al simbolismo alchemico e agli archetipi
Junghiani tradisce l'influenza del periodo di tempo trascorso con Jacques
Levy. E' una canzone onirica, con fugaci suggestioni nel linguaggio
figurato - la figlia del pescatore, tessitrice del destino, il rituale
lavacro che prepara al mistico sposalizio, il loto di Iside che
rappresenta il potere femminile o passivo, il leone tremante simbolo di un
agente divorante nel processo alchemico di separazione ed il velo di
Iside. "Una volta che hai guardato cosa c'è sotto il velo, cosa ti
succede?", si chiese una volta Bob Dylan. "Muori, non è vero? O diventi
cieco."
"Quanto lontano ti piacerebbe andare?" chiede Frank ai tre re nella storia
pubblicata sulla copertina di "John Wesley Harding". "Non troppo lontano",
rispondono, "ma abbastanza lontano da poter dire che siamo stati lì."
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SEVEN DAYS
(Sette giorni)
Alla fine di Marzo del 1976 Eric Clapton stava registrando il suo LP "No
reason to cry" negli studi Shangri La a Malibu. Bob Dylan decise di
fermarsi lì per un po' di tempo. Ricorda Clapton: "Se ne stava lì in giro.
Viveva in realtà in una tenda in fondo al giardino. Ogni tanto faceva una
capatina nello studio per vedere cosa succedeva cercando di beccarmi."
Ron Wood, il quale avrebbe in seguito inciso "Seven Days" (sull'album
"Gimme Some Neck"), gironzolava anche lui dalle parti di Shangri La (l'ex
bordello brevemente presentato in "The last waltz"). Se lo ricorda bene:
"E' lì che ho preso "Seven Days". Dylan la suonò per me e per Eric in
studio e disse ad Eric: "Se la vuoi puoi prendertela. Eric la rifiutò e
allora la presi io."
Dylan eseguì la canzone solo cinque volte nel corso del tour della seconda
Rolling Thunder Revue, tra il 18 ed il 23 Aprile del 1976, prima di
dimenticarsene completamente.
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YE SHALL BE CHANGED
(Sarai cambiato)
"Gesù mi battè la mano sulla spalla e mi disse "Bob, perchè mi resisti?"
Io risposi "Non ti sto resistendo!" Lui disse "Mi seguirai?" Io risposi
"Beh, non ci ho mai pensato a questo prima..."
L'entusiasmo appassionato di Dylan nel proclamare la propria nuova fede
trovata nel Cristianesimo gli fu di ispirazione, nei primi mesi del 1979,
per scrivere nuove canzoni, tutte tese ad esplorare il significato di
questa sua nuova fede. Nell'aprile del 1979 aveva completato almeno dieci
nuove canzoni e l'album "Slow train coming" venne registrato a Maggio di
quello stesso anno in 11 giorni, negli studi di Muscle Shoals, in Alabama.
Dylan si servì di due celebri talenti della produzione, Jerry Wexler e
Barry Beckett, perchè lo aiutassero a realizzare il disco. Egli richiese
la collaborazione di alcuni dei Dire Straits, il batterista Pick Withers
ed il chitarrista Mark Knopfler, per dare al LP un suono contemporaneo, un
suono che non fosse fuori posto nelle stazioni radio sia in USA che in
Europa. Sebbene i messaggi delle sue nuove canzoni fossero schietti e
spesso duri, Dylan era deciso a trovare un ampio pubblico che li
raccogliesse.
Tre delle canzoni registrate per "Slow train coming" non vennero
utilizzate per il LP: "Trouble in mind" venne successivamente pubblicata
come lato b di un singolo.
"No man righteous" fu registrata dalla band di reggae Jah Mallah. E "Ye
shall be changed", una spiritata canzone evangelica che abbina il ritmo
sincopato del gospel con delle liriche apocalittiche, è inclusa nella
presente raccolta.
Durante l'autunno del 1979 Dylan presentò in anteprima le canzoni di "Slow
train coming" durante il suo tour negli Stati Uniti raggiungendo il
culmine nei suoi controversi 14 show al Fox-Warfield Theatre di San
Francisco che terminarono il 16 novembre 1979.
Dylan presentò esclusivamente il suo nuovo materiale durante questi
spettacoli. Gli show sconcertarono molti e sgomentarono alcuni, ma fu tale
la potenza e la forza con cui furono eseguiti, e talmente ispirate furono
le performance di Dylan, che essi sono da annoverare tra i più
significativi e memorabili di tutta la sua carriera, come molti che vi
assistettero continuano a proclamare.
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EVERY GRAIN OF SAND
(Ogni granello di sabbia)
La grande canzone che conclude "Shot of love" viene qui presentata nella
versione che Dylan realizzò come demo. E' uno dei più commoventi testi che
Dylan abbia mai scritto, un autoritratto di isolamento, perfino di
desolazione, un'ammissione del fallimento nel tentativo durato una vita
intera di venire a patti con quella che Dylan chiama "La Realtà dell'Uomo"
e, forse, una confessione di un dubbio spirituale in quella che viene
descritta nel verso di apertura come "l'ora del mio più profondo bisogno".
La consolazione che Dylan offre a se stesso nella canzone, ovvero la
rassicurazione biblica che "ogni capello è numerato" e che c'è la
provvidenza anche nella caduta di un passero, che il mondo è governato da
"un pefetto piano compiuto", come scrive Dylan nel penultimo verso di una
versione alternativa del testo, sembra una compensazione abbastanza
convincente per le pene che si soffrono durante il viaggio in questa valle
di lacrime.
"Posso vedere la mano del Creatore / In ogni foglia che trema, in ogni
granello di sabbia", canta Dylan alla fine della seconda strofa, con echi
dalla poesia di William Blake "Auguries Of Innocence".
Dylan aveva già in precedenza affermato il concetto. "Posso vedere Dio in
una margherita", aveva detto nel 1976. Ma, sembra, ci sono duri momenti di
dubbio perchè egli non è sempre conscio della presenza del creatore nel
mondo. Nell'ultima strofa di "Every grain of sand" egli si volta, sentendo
quei "antichi passi" che tradiscono la presenza di Dio (l'immagine è
ancora una volta presa in prestito da Blake), ma solo "alcune volte" egli
sente di non essere solo, "altre volte sono solo io". E' un momento
emozionante, e niente altro che una dichiarazione di fede.
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YOU CHANGED MY LIFE
(Hai cambiato la mia vita)
Dalle sessions di "Shot of love" ecco una potente, irresistibile canzone
che esprime un ringraziamento fatto col cuore al Signore per aver cambiato
la vita del cantante. Come sempre viene eseguita da Dylan con grande
vigore ma la band fa un po' fatica ad entrare nel ritmo giusto della take.
A dispetto di qualche esitazione musicale, comunque, Dylan prosegue senza
preoccuparsi, sicuro di riuscire a portare a termine la canzone. E
naturalmente ce la fa.
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NEED A WOMAN
(Ho bisogno di una donna)
Registrata durante le sessions dell'album Shot of love e non inclusa nel
LP, Need a woman è stata in seguito riscritta due volte, una prima volta
dallo stesso Bob Dylan, ed una seconda volta da Ry Cooder, il quale inserì
una cover di questa canzone nel suo LP dal titolo The slide area. Cooder
ha spiegato: "Ho dovuto cambiare una buona parte del testo, ho dovuto
mettere a fuoco le liriche perchè Dylan è così vago, sai? Le sue parole
vanno in tutte le direzioni. 'Non posso far questo' ho pensato 'Devo
tirare fuori una storia da questa canzone'. E' stato molto difficile
riuscirci".
Ma come ha reagito Dylan a tutto ciò? "Gli è piaciuta la mia versione. Per
lui era la stessa cosa. Non ha provato ad interferire o a fermarmi nel
cambiare le liriche. Ed io ho apprezzato molto questa cosa".
Lo stesso Bob Dylan ha modificato radicalmente le liriche della canzone
durante le sedute di registrazione, ma presumibilmente non è stato mai del
tutto soddisfatto di quello che ne è venuto fuori. La canzone non è stata
mai pubblicata, nè è stata mai eseguita in concerto.
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ANGELINA
(Angelina)
Come commentare questo straordinario capolavoro? Registrata durante le
sessions dell'album Shot of love dell'Aprile/Maggio 1980, Angelina non
assomiglia a niente di quello che Bob Dylan ha mai scritto; in parte
simile ad un film di Cocteau, in parte ad un dipinto di Braque, totalmente
surreale, essa sfida la logica e porta nelle più profonde ed oscure zone
del mistero della poesia. Sebbene Dylan non abbia mai commentato in
pubblico questa canzone, è possibile che egli ammetterebbe che questo
brano costituisce un mistero per se stesso come per chiunque altro.
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SOMEONE'S GOT A HOLD OF MY HEART
(Qualcuno si è impossessato del mio cuore)
Verso la fine del 1982 Dylan incominciò a cercare il produttore per un
nuovo LP. Aveva già scritto una dozzina di canzoni all'epoca ed il suo
entusiasmo nei confronti della scrittura era nuovamente tornato.
Non c'è da meravigliarsi dunque che all'epoca della registrazione
dell'album Infidels, l'11 aprile 1983, presso i Power Station Studios di
New York con la produzione di Mark Knopfler, egli avesse molte più canzoni
di quante poteva utilizzarne per l'album.
C'erano almeno otto canzoni originali terminate e molte covers che egli
non utilizzò per il LP. Sebbene una cover di un pezzo di Willie Nelson dal
titolo Angel flying too close to the ground sia stata usata come lato b
per un singolo, Death is not the end è l'unica di queste otto canzoni di
Dylan ad essere stata pubblicata, apparendo in seguito sull'album Down in
the groove.
Someone's got a hold of my heart è stata in seguito riscritta e registrata
nuovamente con il titolo di Tight connection to my heart (Has anybody seen
my love), la canzone di apertura dell'album Empire Burlesque.
E ineressante confrontare le due canzoni per vedere il processo creativo o
ri-creativo di Bob Dylan, sebbene potrebbe essere facilmente dimostrato
che questa canzone in realtà non aveva bisogno di troppo lavoro di
riscrittura. E' anche una bellissima performance, con la voce di Dylan che
suona pigra dimostrando la facilità con cui egli fa sì che la sua voce
rifletta il significato delle parole che sta cantando. Va notato come qui
la sua voce sembra avvolgente in corrispondenza del termine "avvolgere",
ampia in corrispondenza del termine "ampio" e facile in corrispondenza del
termine "facile".
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TELL ME
(Dimmi)
Tell me è una delle altre cinque composizioni non utilizzate da Dylan
pubblicate in questa raccolta. Nel 1986 Scott Cohen di "Interview" chiese
a Dylan di rispondere ad una domanda sotto il titolo di "Suggerimenti per
le ragazze che vorrebbero piacermi". La risposta di Dylan fu. "Dimmi
tutto".
Dylan cattura l'eccitazione e la meraviglia che sono tipiche all'inizio di
una relazione quando la persona che sta seduta dall'altra parte del tavolo
è una perfetta sconosciuta. Da dove iniziare?
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LORD PROTECT MY CHILD
(Signore proteggi il mio bambino)
Anch'essa registrata ma non utilizzata per l'album Infidels, questa
commovente preghiera di un padre esprime la preoccupazione per il futuro
di un figlio in un mondo malvagio. In una delle sue prime grandi canzoni,
A hard rain's a-gonna fall, Dylan espresse il pensiero che la paura
peggiore era quella di portare bambini nel mondo. Mentre i genitori
saranno sempre ansiosi per il futuro dei loro figli a causa dei crescenti
problemi e delle crisi globali, questa canzone implica una forte fede per
cui tutto andrà bene.
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FOOT OF PRIDE
(Il piede del superbo )
Come la presente raccolta ha in una qualche maniera provato, ci sono molte
meravigliose canzoni inedite di Bob Dylan, così come è però anche vero che
Dylan non è mai stato così prolifico fin dai primi anni '60 come lo è
stato nel periodo 1982/1983, quando stava preparando il materiale per
l'album "Infidels". Nonostante "Infidels" sia indubitabilmente un disco
notevole, una manciata di canzoni eccezionali non ce la fecero ad essere
incluse nel LP. Due delle outtakes erano, a quanto sembra, in un primo
momento destinate ad essere incluse nell'album. "Foot of pride" è una di
queste due canzoni, un brano enigmatico dal punto di vista delle liriche
nel quale Dylan dimostra ancora una volta quale grande cantante egli sia,
riuscendo a cavarsela con le complessità metriche della canzone con
notevole tranquillità. Solo un critico è stato abbastanza audace (o
temerario) da tentare una valutazione di "Foot of pride". In un articolo
pubblicato sul "The Telegraph", Terry Gans ammise pienamente le difficoltà
che affronta l'ascoltatore che spera di capire quello che sta succedendo
nella canzone. Nondimeno egli osservò che "Foot of pride" si presentava
come un'altra delle canzoni di Dylan del tipo "...quelli che si lasciano
manipolare da quelli che manipolano meritano quel che ricevono". "Foot of
pride", zeppa com'è di allusioni bibliche, sembra offrire un avvertimento
principale a proposito dei pericoli della vanità. Dopo aver presentato una
straordinaria serie di immagini nella sezione di apertura, soltanto nelle
strofe quattro e cinque "Foot of pride" diventa diretta piuttosto che
allusiva nella condanna di quei falsi profeti che usano in maniera
distorta la religione e la fede, abusano della fiducia, ingannano i
creduloni, facendo tutto ciò nel perseguimento delle ricchezze terrene.
Ma, sebbene sembrano prosperare nel mondo, facendo "tutto quel denaro dal
peccato", ed apparentemente senza mai affrontare alcun tipo di meritato
castigo, come insiste il coro della canzone, c'è un prezzo che dovrà
essere pagato da queste persone, in maniera irrevocabile, quando "the hot
iron blows" e quando "the foot of pride comes down", quando non ci sarà
più "modo di tornare indietro".
Dylan non ha mai dipinto un quadro più convincente di un mondo in rovina,
di una Babilonia del ventesimo secolo, come è riuscito a fare con questa
canzone. Ne è mai stato così apertamente sdegnato nel suo aborrire i
corruttori ed i corrotti, nè così confidente che il giudizio eterno sarà
alla fine distribuito oltre questo mondo e che per i malvagi, per coloro
che distorcono le parole di verità, la vendetta sarà terribile, rapida e
sicura.
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BLIND WILLIE MCTELL
(Il cieco Willie McTell)
Nessun'altra canzone ha causato più grande costernazione tra i fans di
Dylan, come questa. E' un capolavoro, una grande, grande canzone, cantata
in maniera brillante, e Dylan decise di tenerla fuori dal LP. Perchè? Gli
è stata fatta questa domanda almeno due volte ed egli per due volte ha
risposto, la prima volta spiegando a Kurt Loder che: "...non pensavo di
averla registrata nel modo giusto", e più di recente dicendo ad Adrian
Deevoy: "Semplicemente non è venuta bene secondo me, non è stata
sviluppata come avrebbe dovuto essere".
"Blind Willie McTell" vede Dylan nelle vesti del grande cantante di blues
che egli sempre ha dato l'impressione di poter diventare, dati i tempi. Ma
nel mondo nel quale Dylan si trova a cantare il blues, egli mette in
dubbio la propria adeguatezza per questo compito ed evoca il fantasma del
grande Willie McTell, un cantante blues dalla voce molto dolce, che
avrebbe potuto offrire una appropriata lamentazione se non fosse morto da
tempo. Nel frattempo Dylan deve offrire la sua personale lamentazione,
piangendo non solo la dannazione del mondo, e non solo la propria
incapacità di offrire una appropriata risposta alla sua imminente fine, ma
lamentando anche il fatto che sembra non esistere chi sia in grado di
piangere in maniera appropriata questa fine, nè Robert Johnson, nè Blind
Lemon Jefferson, nè Leadbelly, nè Blind Willie McTell, i cui fantasmi
hanno a lungo infestato il lato più oscuro della sua strada.
Nel brano vengono cantati sia la non adeguatezza di un cantante sia la
presa di coscienza di tale inadeguatezza, insieme alla consapevolezza
della condizione del mondo. "Potere ed avidità e corruzione / Sembra
essere tutto quello che c'e'". In epoche precedenti il peso oppressivo di
tale consapevolezza poteva essere alleviata dai cantanti blues. Ora però
non c'è nessuno in grado di cantare il blues in maniera appropriata. Una
profonda ironia, questa di "Blind Willie McTell", comunque. Un'ironia che
viene corroborata dalla continuata diffidenza e dalla apologetica
insistenza di Dylan secondo cui egli "non l'ha registrata nella maniera
adeguata". Nel tentativo di esprimere i sentimenti della sua inadeguatezza
come cantante di blues e nel confessare la consapevolezza dei propri
limiti, Bob Dylan canta di fatto il blues, un blues che lacera l'anima e
che lo pone alla pari dei vecchi bluesman, inclusi Blind Willie McTell e
Robert Johnson.
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WHEN THE NIGHT COMES FALLING FROM THE SKY
(Quando la notte arriverà cadendo dal cielo)
Si tratta di una primitiva versione, molto differente, della canzone che
sarebbe in seguito stata pubblicata sull'album "Empire Burlesque",
registrata nel corso di una session a proposito della quale si sa
veramente molto poco, con due membri della band di Bruce Springsteen,
Miami Steve Van Zandt (Little Steven) alla chitarra e Roy Bittan alle
tastiere. Inoltre è giusto ricordare che questa è una take che
presumibilmente venne giudicata non abbastanza buona per essere
pubblicata, semplicemente una prova di lavorazione, e tuttavia Dylan la
canta in maniera meravigliosa. La canzone sembra capace di spingersi ad
una velocità persino più alta, e mentre la band se ne accorge, così fa
Dylan, il quale diventa chiaramente sempre più eccitato mentre la canzone
procede.
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SERIES OF DREAMS
(Serie di sogni)
Nel 1989, l'album "Oh Mercy" fece guadagnare a Bob Dylan più elogi da
parte della critica di qualsiasi altro LP egli avesse pubblicato fin dai
tempi di "Blood on the tracks". "Oh Mercy" venne così ben accolto non solo
grazie alle grandiose nuove canzoni che esso conteneva, ma anche perchè il
produttore Daniel Lanois fu capace di catturare un'atmosfera musicale che
si adattava perfettamente al materiale proposto sul disco e che allo
stesso tempo aveva una risonanza contemporanea.
Quando Lanois in seguito rilasciò delle dichiarazioni sul proprio
contributo al disco, ammise che - sebbene ci fosse stato tra lui e Dylan
un certo dialogo - i due non sempre si erano trovati d'accordo su come le
cose avrebbero dovuto essere realizzate. "Io gli dicevo che secondo me
alcune canzoni non avrebbero dovuto essere pubblicate sul disco. Dylan si
oppose ad alcune di queste mie decisioni. Il minimo che si possa fare nei
confronti di un artista è mostrare rispetto per le sue idee. Noi avevamo 4
o 6 canzoni che avevamo registrato ma che non usammo sul disco. Una
traccia, "Series of dreams", era una canzone fantastica, turbolenta, che
io sentivo avrebbe dovuto essere inserita sul disco ma... Dylan ebbe
l'ultima parola".
Fin dall'apertura, con l'insistente ritmo del basso e della batteria, che
ricorda il potente suono d'atmosfera che Lanois aveva creato in passato
per gli U2, fino all'entrata di quella voce oscura e ringhiante che
pervade tutto "Oh Mercy", la canzone si infiamma, e non c'è calo di
tensione mentre aumenta in intensità ed in pathos, mentre i sogni vengono
enumerati. Le immagini sono percepite in maniera vaga oppure ricordate per
metà, incoerenti, disconnesse, in qualche modo fugacemente significanti,
indubitabilmente ma enigmaticamente simboliche, talvolta disturbanti,
spesso commoventi, e tuttavia alla fine fermamente riluttanti a lasciare
che il loro meraviglioso mistero venga tradotto in un qualsiasi senso
letterale.
Che poi è spesso quello che avviene con la grande poesia, e questo
discorso è certamente vero per la canzoni di Bob Dylan, i suoi "thought
dreams".
"Series of dreams" è una conclusione perfetta per questo affascinante
viaggio attraverso alcune delle opere meno conosciute della sua
trentennale carriera. Ci dimostra quanto lontano Bob Dylan si sia spinto e
quanto straordinaria sia la sua opera. Nel 1961, toccato da un raro genio,
il giovane cantante si assegnò il compito di imparare il suo mestiere come
performer, songwriter e poeta dando forma e allacciandofra di loro parole
"avvolte in motivi / che scorrevano nei semplici anni".
Durante questo processo Dylan scoprì la propria voce e creò un nuovo tipo
di arte.
Quello che egli ha compiuto dall'epoca del suo incidente motociclistico e
del suo successivo ritiro forzato nel '66 è un'impresa notevole. Ma, come
Dylan disse a Robert Shelton all'epoca: "Non mi fermo..." E che Dylan
abbia continuato a scrivere, registrare, esibirsi, rendere perplessi,
stupire, frustrare, sbalordire, provocare, sfidare ed intrattenere così
tante persone per così tanti anni è una cosa sorprendente. Non c'è nessuno
come lui. Quelli di noi che lo hanno seguito nella sua corsa sono stati di
fatto fortunati. Ed ancora non si ferma!
John Bauldie
Londra, 1991 |