Un frullato di “Tempest”
Ho letto molte recensioni di Tempest, anche quelle che non ho postato perchè
sapevano di copia-incolla con qualche aggiustamento personale, ne ho
ricevute a migliaia in questo mese, naturalmente ho postato quelle che ho
ritenuto più interessanti, ma questo non vuol dire che le altre non lo
erano. Comunque ho voluto fare un esperimento, ho preso tutte le opinioni,
le ho buttate in un frullatore e ne è venuto fuori l’articolo sottostante,
non è tutta farina del mio sacco naturalmente, c’è un pò di plagio quà e là,
ma fondamentalmente è quello che penso anch’io.
"Tempest", il 35esimo album in studio, è arrivato dopo 50 anni di onorata
carriera alla bella età di quasi 72 anni, uscito l’11 settembre proprio come
nel fatidico 2001 per "Love & Theft". Sarà solo una coincidenza? "Tempest" è
un album bellissimo, tra i migliori di Dylan, a un passo dal capolavoro, è
il disco della maturità, del dolore, della rabbia, soprattutto un disco
profondamente oscuro, che racconta vecchie storie, di grandi navi che
affondano con tutto il loro carico umano di speranze e delusioni, come
spesso accade nella vita. Parla di rovine, di decadenza e della cattiveria
della società, del crollo della lealtà e dei suoi simboli che portano al
termine delle speranze.
Personaggi veri e di fantasia si mischiano in un gorgo senza fine che tutto
trascina al fondo, il Titanic, John Lennon, le città agli sgoccioli della
civiltà, vicine alla loro fine, dove ogni cosa si paga col sangue, anche se
col sangue di qualcun’altro. Storie vecchie come il mondo, di triangoli
amorosi che finiscono in tragedia pura, tra omicidi spietati e suicidi
indotti dal rimorso.
La scena raccontata da Dylan è alla “desolation row”, e per questo il Nostro
la narra con tutto il dolore e tutta la rabbia di cui è capace, con la sua
voce fangosa, afona e roca, una raspa fastidiosa e coinvolgente,
affascinante nella sua bruttezza e nella sua capacità di emozionare come
nessun’altra, rifacendosi a suoni e stili ormai passati, forse quelli della
sua infanzia, dove il suono era crudo e non arricchito dalle maestose sale
d’incisione odierne con migliaia di sovraincisioni che creano una
inattacabile fortezza sonora. Dylan sembra marciare in senso contrario alle
tendenze e alla civiltà che avanza distruggendo quello che le generazioni
precedenti avevano costruito, ma non sempre stato così? A lui interessa
comunicare quello che c’è dentro la sua anima e la sua mente, ma a modo suo
come ha sempre fatto, non sempre viene capito al volo, è vero, i suoi testi
vanno girati e rigirati per trovare il codice d’accesso al significato, idem
per le sue motivazioni. L’attuale suono è un mix tra le radici americane
della musica, Modern Times e Together Through Life, a volte ingentilito e
invece in altre occasioni volutamente esasperato nella sua efficiente
povertà e spontaneità.
Il disco comincia in modo divertente con "Duquesne Whistle", un vecchio
shuffle che ti cattura immediatamente, ti strappa un sorriso, ti strizza
l’occhio, sembra dire “vedi che il vecchio Bob c’è sempre?”, canzone e suono
dei bei tempi andati, che fa degna coppia con lo swing aggrazziato di sapore
old-jazz e l’eleganza stile crooner di "Soon After Midnight". Duquesne
potrebbe essere una Università di Pittsburgh, una città fantasma in Arizona,
un piccolo villaggio del Missouri, una piccola città in Pennsylvania, ma già
in questi primi due brani c’è tutto il Dylan di oggi. Ci sono le storie che
ti portano a percorrere una "lunga e stretta via", c’è il rimpianto e
l’amarezza di quegli “Anni lunghi e sprecati”, c’è la rabbia di "Pago col
sangue". Un percorso che conduce pian piano all’interno della “Città
scarlatta”, luogo inquietante, con strade che han nomi che è meglio non
pronunciare, un mix quasi fotografico di momenti dove il disagio ti salta
addosso, dove le parole sono dure, dove piangere è quasi proibito, popolata
da miserabili di ogni sorta che tirano avanti tra alcolici, stupefacenti e
folate di vento gelido a rendere l’esistenza più penosa. Ci sono i
fantomatici "Early Roman Kings" un blues che più blues non si può, i re
romani sono una famigerata gang del Bronx? O la trasposizione metaforica dei
prelati del Varticano con i loro collegamenti con la mafia? Le domande
sorgono spontanee mentre la voce di cartavetrata di Dylan esegue un cover
personalizzata di Mannish boy, di I’m a man o di una nuova Hoochi Coochie
Man.
Ed ecco apparire in mezzo a tutto questo disastro il lato cinematografico e
favolistico di Dylan, che ormai è padrone assoluto di chi l’ascolta con una
ridda senza sosta di personaggi veri e bizzarri, felici e disperati, veri o
inventati, la realtà che si fonde con la favola, il mito, il cinema e la
poesia. Dylan dimostra che nessuno è crooner come lui, nessuno racconta le
storie come lui, nessuno le canta come lui, nessuno le scrive come lui.
Dylan naviga nel suo mare personale, dove le vele lo portano dove vuol lui e
non dove vuole il vento, celestiale nocchiero di una nave in gran tempesta
con suo carico mortale di cento e cento spiriti, dove la morte è l’atto
finale senza allegorie, la morte è reale, raccontata quasi con il distaccono
tipico del cronista televisivo. “Tin Angel” e “Tempest” possono annoiare o
lasciare sconvolto l’ascoltatore, non c’è via di mezzo, non c’è pietà per
nessuno, Dio e gli Angeli guardano da un’altra parte mentre la tragedia si
consuma in tutta la sua drammaticità, migliaia di vite stanno per essere
sacrificate alla vanità umana ed alla boria babilonese di arrivare al cielo
per dimostrare a Dio che l’uomo è fatto a sua immagine e somiglianza, che
l’uomo può tutto, che la mente concepisce e la mano costruisce senza la
conoscenza necessaria. Cose che stupiscono? Assolutamente no, il Titanic
sarebbe affondato anche senza iceberg, spezzato in due dall’arroganza dei
suoi costruttori, un immenso colosso dai piedi d’argilla.
E come se tutto questo non fosse sufficiente, ecco apparire il viso
familiare di Lennon ecco che Dylan si mette a raccontare un’altra storia di
morte, la morte di un amico, la fine di un sogno che si era trasformato in
un incubo.
“Non mollare John” lo incita ancora Dylan a distanza di trent’anni, “Tieni
Duro”, avevi ragione tu, anche se un fanatico ti ha sparato nella schiena
come il peggiore dei vigliacchi. Sembra di vederlo il caro vecchio John,
protagonista principale delle pazze pensate di Yoko, sorvegliato speciale
della C.I.A. per il suo desiderio di pace che inevitabilmente si scontrava
con le necessità dei padroni della guerra, e stranamente, ecco di nuovo
qualcuno che spara. Casualità e basta? Chi può dirlo, anche qui si accettano
scommensse, “Ti hanno legato le mani e ti hanno chiuso la bocca, non c’era
via d'uscita da quella caverna profonda e oscura” dice Dylan, dubita anche
lui o son solo parole casuali? Forse Dylan ha preso atto che prima o poi
dovrà andare a ritrovare John in qualche angolo del cielo? Perchè 30 anni
dopo? Perchè lo spirito di John ha vinto e sconfitto la morte che tutto
vorrebbe cancellare? Le parole di Imagine sono la risposta vincente, nessuno
potrà mai cancellare il suo sorriso sornione, potrà spegnere la luce di
quegli occhi nascosti dietro gli occhialini rotondi, il suo abito bianco e
le sue scarpe da tennis continuano a vagare per New York, John è morto viva
John, John è più che mai vivo, continua così John.
Dylan termina la sua lunga sequenza di sangue e dolore con questa canzone,
chiude un grande album che fa pensare, ci obbliga a guardarci nello specchio
per vederci come siamo realmente, incapaci di uscire dalla desolazione
morale e materiale che ci circonda, che lui ci ha costretto a rivedere come
se stessimo guardandoci allo specchio per la prima volta. Non è il disco che
voleva lui ha detto, Tempest fa venire i brividi, e se fosse stato come
voleva lui? Non oso pensarci.....
Mr.Tambourine
Bruno Sansonetti
Caro Mr. Tambourine.
Mio nipote è venuto a trovarmi qui a Marsiglia con un regalo gradito. Un
disco, l'ultimo, appena uscito, del nostro Dylan: "Tempest". Tengo a
precisare che si tratta del vinile, poiché io non possiedo un lettore cd!
Dopo qualche ascolto, penso di poter scriverci su qualcosa. L'impressione
immediata (e sempre più confermata) è che si tratti di un lavoro maiuscolo,
potente, ispirato come ormai non accadeva da anni non solo per Dylan, ma per
l'intero panorama musicale di questi anni. Le canzoni sono sorrette da una
melodia immediata ma mai banale, e, soprattutto, da liriche di rara bellezza
e costruzione. Chi di recente ha messo in dubbio la qualità del songwriting
dylaniano dovrebbe essersi ricreduto. Se vuoi sapere che effetto ha fatto
questo splendido album su un vecchietto come me, eccoti accontentato!
DUQUESNE WHISTLE
Un ballabile, chiaramente, con quell'introduzione (se non erro, una steel
guitar) dolce e accattivante e quel ritmo sostenuto. Penso sia una citazione
di Lonesome Whistle Blues del caro Hank Williams, che però capovolge la
malinconia di quel fischio solitario in un fischio di positività, un fischio
da prendere al volo, da non lasciarsi scappare. Forse anche un messaggio
all' ascoltatore occasionale di questo Tempest, a farsi catturare dalla
magia di una nuova avventura musicale!
SOON AFTER MIDNIGHT
Ragazzi, portate indietro le lancette agli anni '50, abbassate le luci e
fate entrare il crooner e la sua orchestrina. La voce di Dylan qui è
incredibilmente affabile, confidenziale, esattamente come in Nashville
Skyline (era dal '69 che Dylan non aveva una voce così nasale). Un brano
sognante, "lirico", una Blue Moon o, se volete, una Copper Kettle. Ma, tutto
sommato, è strano. E' come se Frank Sinatra cantasse Queen Jane
Approximately.
NARROW WAY
La scossa elettrica che infonde questa canzone riesce a sorprendermi ad ogni
ascolto. Una sequenza inarrestabile di immagini apocalittiche, la crudeltà
di una strada diritta, stretta, interminabile (sensazione accentuata dal
riff ripetuto eternamente e dal lungo refrain). Come le higways americane,
come un sole impietoso che squarcia la notte e ti sveglia bruscamente da un
dolce sogno di mezzanotte. Sembra Cold Irons Bound, ma a me ha fatto lo
stesso effetto di Highway 61!
LONG AND WASTED YEARS
Non so se questa struggente ballata possa definirsi autobiografica, non
importa. Ma, se lo fosse, sarebbe una confessione di umana finitudine, di
umana fragilità. Il tono è quello profondo di Time Out of Mind. Dopo
l'up-tempo, Dylan gioca di nuovo sui contrasti di ritmo, creando
un'atmosfera ancora una volta "siderale". E' talmente bravo a fare
accelerare il battito del tuo cuore sino a farlo quasi fermare, se vuole,
che tutto ti sembra più che naturale. "If I hurt your feelings, I apologize"
canta Bob. E a me tornano alla mente altri versi: "Myself, for what I did, I
cannot be excused", di un'altra canzone... Chissà?
PAY IN BLOOD
Sembra uscita da "Love and Theft", d'accordo, ma ha anche l'andatura della
versione di Someday Baby di Tell Tale Signs. Mi piace specialmente quella
strofa che inizia con il verso "Another politician pumping out the piss...".
Un Dylan che è ancora l'"angry boy" che era nel '65, ma la disillusione è
maggiore, perché la salvezza (o soltanto la sopravvivenza?) passa attraverso
il sangue. Sono io contro il mondo ("You could put me out in front of a
firing squad"). Oltre a me, c'è solo Dio e la Sua legge.
SCARLET TOWN
La canzone s'inerpica per un luogo reale, ma trasfigurato, cristallizzato in
un'immagine precisissima, esattamente come accade nelle folk ballads
tradizionali. Melodia e banjo a parte, mi ha colpito molto la citazione di
Walking the Floor (Over You) proprio all'ultima strofa. E' uno standard
della country music, mi pare di Ernest Tubb. L'ascoltavo io negli anni '50!
Era uno dei pochi 78 giri di musica americana che avevo in casa. Questo mi
tocca nel profondo, è la mia adolescenza, i primi anni lieti dopo la
guerra... Se è così, sono senza parole!
EARLY ROMAN KINGS
Già in Together Through Life Dylan ci ha abituati alla presenza di Muddy
Waters. Ma c'è qualcosa di diverso qui, c'è una storia precisa. Ha il pregio
di movimentare un po' le cose dopo le pure evocazioni del brano precedente.
E chi se ne frega se sono davvero i re di Roma o una gang di strada? Dylan
racconta e basta. E' ispirato, dicevo, la strada si affolla e, di colpo, si
fa silenziosa, la gente passa e se ne va, ma senza una logica apparente. Le
cose capitano così, senz'altro aggiungere, bisogna prenderle e basta.
TIN ANGEL
Ecco, immaginate che Bob lasci passare i pacchiani "Re di Roma", si fermi e
dica: attenzione, ragazzi, state bene a sentire. Mio nipote dice che si
chiama "murder ballad". In ogni caso, è qualcosa di tremendamente reale, è
qualcosa che accade davvero. Se non è folk music questa, ditemi cos'è. Come
Hollis Brown, Hattie Carroll e Emmett Till. Ma non si sente indignazione o
querimonia contro un sopruso razzista. E' l' agghiacciante precisione dei
gesti a far più cupo il dipinto e più miserevole e insensata la morte. Ma la
morte non può essere accusata, la morte è del tutto fuori dai giochi.
"There's seven people dead/On a South Dakota farm/There's seven people
dead/On a South Dakota farm/Somewhere in the distance/There's seven new
people born" (Ballad of Hollis Brown) - "All three lovers together in a
heap/Thrown into the grave, forever to sleep/Funeral torches blazed
away/Through the towns and the villages all night and all day" (Tin Angel).
Notate: Dylan canta queste strofe praticamente nello stesso modo. E non
potrebbe essere altrimenti, poiché questi eventi fanno parte di un'unica
storia. E' la vita, e la vita soltanto.
TEMPEST
Eccola qui, la canzone che mi ha portato via, lontano. Mi spiego: la Carter
Family era conosciuta, ai miei tempi, e la citazione di quella loro canzone
è chiaramente un omaggio. Ma Bob si è chiaramente lasciato prendere la mano.
Ha dilatato all'infinito il racconto, usando la descrittività della folk
ballad come una cinepresa che, in un unico piano-sequenza, mostra tutto
quello che si può mostrare. Sale, scende, apre le porte e spia dagli oblò. E
trova tutti, immancabilmente, anche chi non c'era, ma ci deve essere per
forza (Leonardo di Caprio). Tutto accade adesso, contemporaneamente. Non ci
sono cause, non ci sono spiegazioni, è la volontà di Dio. E' simile a
Desolation Row, ma forse è molto più affollata, più simile al Giudizio
Universale, ma non serve a niente leggere il Libro delle Rivelazioni. Si
badi bene al titolo: non è più un naufragio (come in effetti è stato), cioè
un fatto umano e come tale spiegabile e investigabile, è una tempesta,
ovvero un fatto naturale, inscritto nell'ordine dell'universo, e per questo
descrivibile, certo, ma le cui cause stanno del tutto al di fuori
dell'intelligibilità umana.
ROLL ON, JOHN
Ancora una volta, è come se Dylan avesse atteso che gli ultimi gorghi
sommergessero la grande nave, facendo il silenzio tutt'intorno. Allora John
Lennon compare, trasfigurato anch'egli. Incredibilmente belli i versi "Rags
on your back just like any another slave/They tied your hand/And they
clamped your mouth". Se non sbaglio, Dylan è stato visto in un tour a far
visita alla sua casa natale. Forse ci pensava da tempo, a un omaggio per
quello sfortunato genio del rock. Forse, con il passare degli anni, si sente
più vicino a lui. Il pezzo inizia rievocando le sonorità di Oh Mercy, ma è
sicuramente un gospel. L'avrei visto bene anche in Shot of Love. Devo
confessare che, a sentirlo per la prima volta, ho trattenuto a stento le
lacrime. Di norma, uno della mia età (ricordo che ho 73 anni!) si commuove
ascoltando un evergreen della propria gioventù, non certo una canzone nuova.
Sì, Roll on John è nuova, ma non esattamente nuova. E non mi riferisco alle
citazioni beatlesiane, ma al fatto che, per quanto mi riguarda, Bob può
averla scritta la notte dell'8 dicembre 1980, così come Tempest può essere
una rielabolazione in metrica di un racconto di cento anni fa. Si è ripetuta
la magia che, quasi mezzo secolo fa, mi suscitarono le prime registrazioni
di questo ex ragazzo spigoloso e prodigiosamente ispirato.
A questo punto, è logico che Tempest sia un disco pieno di anniversari e di
commemorazioni. Ma attenzione, forse non solo dei 50 anni di carriera del
nostro Dylan, non solo del centenario del Titanic, non solo di John Lennon,
e così via, ma di un maestro, Woody Guthrie, dalla cui nascita, guarda caso,
sono passati esattamente cent'anni. Questo, per molti aspetti, è un disco
dedicato a lui, al suo storytelling, al suo modo di cantare della vita,
dell'uomo e della morte. A disc for Woody. O almeno io lo interpreto così.
Naturalmente, gli ascolti continueranno. S'interromperanno e riprenderanno,
lasciandomi intravedere ogni volta qualcosa di nuovo e inatteso, smentendo
impressioni passate. Insomma, teniamocelo stretto, Bob Dylan, nessuno è come
lui, e speriamo che continui a stupirci in futuro.
Grazie per avermi dato l'opportunità di esprimere la mia opinione sul tuo
bellissimo sito, e arrivederci alla prossima!
Bruno Sansonetti.
duluth49
Ho ascoltato piu' volte l'album , devo dire che il lavoro di Bob mi e'
sembrato un ritorno al passato con vecchie melodie blues. Come giustamente
hai detto, bisogna metabolizzarlo per un po' di tempo.
Sicuramente ai primi ascolti non mi pare che per quanto riguarda la parte
musicale abbia lo stesso impatto dei suoi migliori dischi , uno su tutti
"Time out of mind" per citarne uno.
La cosa che certamente mi ha colpito , e su questo non avevo dubbi, sono i
testi veramenti belli ed intensi nella sua migliore tradizione .
La canzone che mi sta piacendo di piu' e mi trasmette grandi sensazioni e'
LONG AND WASTED YEARS .
Posso anche dire che nel mondo dei grandi artisti nessuno ha mai avuto una
evoluzione e sperimentazione cosi' vasta come Lui . Da tutti i grandi fans
dobbiamo solo dire a BOBBY ...... FOREVER YOUNG .........un caro saluto a te
ed a tutti gli amici di MAGGIE'S FARM.
Marcello duluth 49
Enrico Bonacina
Caro Tambourine, seguo Bob proprio dall'inizio (per essere
precisi dal secondo album) e per la prima volta sento di dover scrivere un
commento, sia pur breve, sull'ultimo suo lavoro, licenziato alla bella età
di 71 anni (non dimentichiamolo).
Non saprei dire se Tempest sia un capolavoro o meno, sono troppi i parametri
che dovrebbero essere considerati e poi un capolavoro in relazione a cosa?
Alla sua discografia o in generale rispetto alla musica contemporanea?
Personalmente ho sempre pensato che in assoluto il vecchio zio Bob sia il
più grande musicista del novecento alla pari con Puccini e questo per una
serie di ragioni che sarebbe troppo lungo esplicare in questa sede.
La ragione è semplice: Dylan quando è ispirato riesce ad essere toccante, fa
vibrare le più recondite corde del mio animo; in una parola "commuove". E
questo Tempest è un album molto, molto ispirato e commovente; addirittura la
sua voce (che in effetti dal vivo a volte è imbarazzante) nei lavori di
studio diventa un plus, uno strumento aggiunto, non potrei farne a meno.
Tempest, the song, è lunga 14 minuti, ma se anche durasse il doppio non mi
disturberebbe talmente quegli accordi ripetuti sono ipnotici e pacificanti.
Era da quell'inimitabile "Not dark yet" (a mio parere la sua canzone più
bella di sempre) che non sentivo le vibrazioni che mi producono "Long and
wasted years" o "Roll on John" per citarne solo due.
Insomma, capolavoro o no, per me trattasi di un lavoro straordinario certo
non inferiore ai suoi migliori del passato che per me rimangono John Wesley
Harding, Desire, Oh Mercy e Time out of mind. Grazie per l'attenzione,
distinti saluti e complimenti per il sito che credo, senza voler fare della
piaggeria, sia il migliore del web.
Talkin' 8904 - Stefano Barbieri
Questa è la prima volta che scrivo, nonostante siano anni che visito
quotidianamente il sito.
Premetto che seguo Dylan da più di 40 anni, ho tutti i suoi dischi e lo
seguo in diretta, cioè acquistando i suoi lavori non appena escono, dai
tempi di Planet Waves.
Avendo però mio fratello 4 anni più di me, Dylan in casa mia si sentiva già
dai tempi dell'LP bianco dei Beatles, cioò dal 68.
Scrivo perchè sento commenti entusiasti riguardo Tempest, ma io francamente
non lo trovo per niente un gran bel disco, non sento innovazione, la musica
è abbastanza piatta e la voce è ormai un disastro. Qualcuno parla di
capolavoro, di miglior disco di sempre, ma, in confronto a Blonde on blonde
o John Wesley Harding, giusto per fare 2 esempi, ma potrei farne almeno
altri 20, Tempest è poca cosa.
Ascolto persino più volentieri Self Portrait, il che è abbastanza
indicativo, ma veramente lo trovo più interessante e vario.
Per quanto riguarda l'oggetto-canzoni, cioè la musicalità e modalità con cui
Bob 'trasmette' i suoi testi, scrivo queste brevi impressioni, non potendo
per ora soffermarmici più a lungo:
Duquesne whistle: carina, orecchiabile, ma non mi sembra certo un
capolavoro.
Soon after midnight: sicuramente la mia preferita; è vero ricorda pezzi di
Nashville Skyline o Self Portrait, come dice Sansonetti, ma questo per me è
un pregio.
Narrow way: già sentita e risentita, mi fa venire in mente Obviously five
believers...
Long and wasted Years: interessante, ma la musica troppo monocorde e
ripetitiva non mi appassiona proprio
Pay in blood : carina, un po' abbaiata... preferisco Forgetful heart..
Scarlet Town : buona canzone, ma non credo lascerà il segno nel mio cuore
Early Roman Kings : nulla di nuovo
Tin Angel : l'altra mia preferita. Mi ricorda un po' Ain't talkin', che però
mi sembra superiore
Tempest : l'ho ascoltata per intero una sola volta, tutte le altre volte
l'ho tolta prima della fine, di una lunghezza e monotonia esasperanti
Roll on John : discreta, ma mi aspettavo ben di più da un omaggio al genio
di Lennon; anche il testo non mi piace molto.
Scusa se sono stato troppo sintetico, ma non avevo molto tempo; qualcuno
penserà che sono impietoso nel valutare questo disco. Può darsi, vorrei
concludere però dicendo che comunque per me Bob è stato fonte d'ispirazione
per molti anni, le sue canzoni sono la colonna sonora della mia vita e lo
considero il più grande songwriter di tutti i tempi.
ciao, Stefano
“Tempest” è buono, ma non il migliore
Di Tim Cain – columnist dell’Herald-Review.com
Per troppo tempo, a partire probabilmente dai primi anni 80, gli album di
Bob Dylan hanno smesso di interessare più di quel tanto.
Forse era la prolungata predicazione basata sul fuoco dell’inferno e sullo
zolfo del predicatore cristiano rinato Bob Dylan, forse era il cambiamento
degli stili musicali, forse le canzoni erano semplicemente mediocri, ma gli
album di Dylan avevano smesso di essere un evento, così come la il suo
Never-Ending Tour (iniziato nel 1988) era diventato molto meno di un evento.
Ma nel 1997, Dylan, scampato ad una brutta esperienza che l’aveva quasi
ridotto in fin di vita, risale la china e torna ad essere rilevante con
"Time Out of Mind", che resta a mio parere la migliore opera di Dylan dopo
"Blood on the Tracks" del 1975, "l’album del divorzio", che rimane una delle
uscite più buie e migliori della storia della musica rock.
Ora, la macchina della campagna pubblicitaria dice che il nuovo album di
Dylan, "Tempest" è tra le migliori opere prodotte da uno dei più grandi
parolieri del rock. Non credete alle montature, non è come dicono.
Questo non vuol dire che "Tempest" sia un brutto album o un album debole. E'
abbastanza buono. Se non si eleva ai livelli di altri album di Dylan, beh,
non c'è niente di male se dico che non è l’album migliore della sua
carriera. Se vogliamo proprio fare qualche nome ecco: "Time Out Of Mind", i
suoi sei album 1963-1966, in particolare "Highway 61 Revisited" e "Blonde on
Blonde" e poi "Blood on the Tracks".
Ma le cinque stelle delle recensioni mi hanno fatto scuotere la testa. Ma
cosa hanno sentito queste persone? E perchè dire che questo sia l’album più
scuro di Dylan? Questo è stato detto dai critici mentre la stampa
strombazzava l’uscita imminente dell'album, allora uno si chiede se usare la
parola “dark” per descrivere i testi di Dylan sia stata una condizione sine
qua non per poter essere scelti fra coloro che hanno potuto usufruire delle
sessione di preascolto del disco.
Ed è impossibile non chiedersi quanto siano a conoscenza del lavoro di
Dylan, queste persone che hanno definito questo album "oscuro" e tetro".
Dylan non ha trascorso la sua carriera nei panni di Captain Sunshine. C'è un
sacco di morte e distruzione nell’album – c’è il tributo e l’elogio di John
Lennon, c’è il triangolo amoroso che sfocia nella morte di tre persone,
omicidi e suicidi, e canta 45 strofe per 14 minuti sull’affondamento del
Titanic nella title track dell’album.
Ma Dylan è distaccato da tutte le canzoni, anche nel pezzo "Roll On John"
Dylan è lontano pur elogiando John, cosa curiosa, dato che i due erano più
che semplici conoscenti. "Tempest" uccide molti dei suoi personaggi, e
contiene la sua buona dose di metafore sulla fine del pianeta. Ma su "Blood
on the Tracks", Dylan ci aveva coinvolto e trascinato nel suo dramma, ci
aveva fatto sentire ogni centimetro del suo dolore, odio e rimpianto. Da un
uomo che sa creare grandi aspettative nelle menti della gente, sentirlo
cantare “Shake it up baby, twist and shout, you know what it’s all about”
porta l’ascoltatore a dire "Questo è il meglio che poteva dire? "
La melodia popolare in stile irlandese scelta per supportare il testo di
Tempest poteva andare bene per creare la tensione e la drammaticità della
storia raccontata dal testo, ma 100 anni dopo l'affondamento della nave,
sembra che Dylan poteva trovare qualcosa di più di una strana miscela di
scene dal film di James Cameron e visioni quasi da fiction nelle strofe come
"Tutti i signori e le signore pregavano per la loro vita ormai destinata
all’eterno riposo" e "si sono riparati dietro i portelli, ma i portelli non
avrebbe retto." E il tempo in 6/8 musicale e la decisione di Dylan di
limitarsi a strofe di quattro righe con versi di 6-8 sillabe per linea
rendono l’idea delle sue precedenti maratone di chitarra acustica come
"Desolation Row" e "Sad-Eyed Lady of the Lowlands".
L'omaggio a Lennon è imbarazzante. La canzone da l’impressione di essere
stata scritta tra le lacrime da una matricola del liceo la notte stessa
nella quale fu assassinato Lennon. Di sicuro non dà l’impressione di aver il
peso di 30 e più anni di considerazione di un 71enne. Le cose peggiori
potrebbero essere i riferimenti alle canzoni dei Beatles "A Day in the
Life", "Slow Down", "Come Together" e "The Ballad of John e Yoko" - gli
ultimi tre stipati goffamente in un unico verso.
L'album ha i suoi momenti positivi, che vengono fuori dopo diversi ascolti.
"Pay in Blood", "Scarlet Town" e "Tin Angel" forniscono la parte rilevante
del centro dell’album. L’opener " Duquesne Whistle" può sembrare un pezzo
usa e getta, ma il suo swing western e il tempo ritmato sostengono il pezzo
smentendo alcune delle prevedibilità che seguono. E "Narrow Way" ha una
delle mie strofe preferite nel finale di ogni strofa "Se non posso lavorare
per voi, sarete sicuramente voi a lavorare per me un giorno."
Il problema è se i nuovi adepti troveranno nell’album ciò che era stato
promesso nelle rassegne dai vari giornali e televisioni.
E' difficile spiegare l’importanza di Dylan e di quello che ha fatto nella
sua carriera a gente che non conosce il suo modo di scrivere i testi ed è
magari fuorviata dalla sua voce distrutta. Girare la schiena e lodare
“Tempest” come uno tra i suoi lavori migliori, quando in realtà non lo è -
anche se si tratta di un bell’album e una delle uscite migliori di 2012 -
rende un cattivo servizio sia Dylan che agli ascoltatori.
(Fonte:
http://herald-review.com/entertainment/local/tim-cain-column-tempest-is-good-but-not-the-best)
Gabriele
Spett. MAGGIE'S FARM,
da assoluto inesperto (ma neanche tanto...) esprimo la mia opinione su
TEMPEST dopo averlo ascoltato più volte: non sono riuscito a farmelo piacere
ma neppure lo odio! in realtà, il carisma di Dylan, ormai un'icona
dell'immaginario colto-pop del nostro tempo, è talmente forte che impregna
qualunque brano cui dia voce (quella che resta) e genera ulteriori
significati anche laddove probabilmente non ci sono. E questo per la storia
che l'artista si porta dietro e per l'autorità che da questa storia deriva.
Intendiamoci: considero Dylan un poeta, al pari di Tito Schipa Jr. lo
ritengo paragonabile, per certi versi, a Shakespeare: è stato capace di
costruire un mondo, dei personaggi più veri del vero che restano scolpiti
nella memoria, ha scandito periodi e portato alla luce "segrete
corrispondenze", ha stupito e allargato la forma canzone dilatandone i
tempi, sparigliandone i limiti e attingendo alle radici più profonde della
cultura e dell'uomo. Perciò provo sempre una certa reverenza ad accostarmi
ai suoi testi che spaziano fra stili e sfumature diverse con un'abbagliante
facilità. Quello che mi risulta davvero insopportabile è invece la monotonia
sotto il profilo musicale. Ora, nessuno mette in dubbio la perizia dei
musicisti, degli arrangiamenti, ecc. ecc. ma è possibile far durare una
canzone 14 minuti ripetendo all'infinito i soliti 4 accordi senza una
variazione, una modulazione, un qualcosa che tenga vivo l'interesse e
stimoli l'ascolto? Per carità, una canzone così può durare anche 35 minuti
ma francamente diventa una tortura. O no?
Stefano Catena
Tempest la replica.
Quando dico che Tempest e' il capolavoro di Dylan intendo che lo e' per il
periodo in cui stiamo vivendo, per questo secolo e non per quello passato.
Giustamente si puo' dire, ed giusto che sia cosi' che Blood On the Tracks lo
era per gli anni 70, ma non si puo dire che e' il capolavoro assoluto di
Dylan, il disco del 1975. Come il disco del 1975 Tempest, va ascoltato nel
suo insieme e nel suo insieme al pari di Blood On the Track e' un
capolavoro. In Tempest vi e' lo stesso tipo di desolazione, lo stesso senso
di abbandono, la stessa tensione, ma la differenza sono i testi che
compongono l'album che ne fanno un opera compiuta a tutto tondo. Sfido
quindi a prendere il capolavoro del 1975 nei suoi testi e confrontarli con
Tempest. Lo spessore nella narrazione e nel modo di scrivere e' nettamente
superiore, cosi come lo e' il disco, nettamente superiore alle ultime uscite
discografiche di Dylan stesso. Per me con Tempest Dylan e' arrivato al top e
nella piena maturita' in fatto di composizione lirica e nel modo di cantare.
Il sangue che c'e' in Blood on The tracks c'e' anche qui ne piu' ne meno.
Sono due capolavori diversi e chi lo nega e chi lo mette in dubbio, ma
quando anche su FB dico ci sono i testi tradotti dell'uno e dell'altro
disco, per far un confronto si sorvola. Personalmente ritengo che Desire e
Planet Waves sono di lunga molto piu' grandi di Blood On The Tracks, ma se
il sentire comune lo danno come capolavoro, mi adeguo e allora prendo come
riferimento il disco del 1975.
In Tempest, Dylan colpisce ancora, soprattutto nella voce e nei testi sa
ancora ben colpire come in Idiot Wind. E come negli anni 70 Dylan e'
ritornato a narrare storie non piu' criptiche, ma come in Desire e in Blood
On The Track sembrano scene di un film.
La title track di Tempest ho letto che ascoltandola a lungo andare perde di
tensione, per me e' il pezzo migliore del disco.
Non so gli altri come ascoltano Tempest, io mi prendo le traduzioni e
leggendo i testi in italiano seguo la voce di Dylan, e vedo e sento Tempest
come una grande opera che mai ha fatto prima.
Non ho detto che e' uguale a BOTT, ho detto che e' superiore e se BOOT era o
e' un capolavoro lo e' anche questo per le cose che ho citato sopra.
Spero di aver risposto a Tamburino e a Daniele e a tutti gli altri che
leggono.
Stefano C.
Talkin' 8890 - Simone Baneschi
Finalmente ho 5 minuti (e pensare cha al mondo c'è gente che non ha mai
lavorato in vita sua e che lavorare non sa neanche cosa significhi [cit.])
per scrivere qualcosa su "Tempest" che spero interessi ai frequentatori del
sito (tante cose da dire...ho tempo solo per quelle che mi saltano in mente
per prime...)
Duquesne Whistle
Ci son due obbligati! novità quasi assoluta in Dylan.
Impossibile per me, che tra l'altro non ballo mai, non muovermi nell'intro
della canzone... e se sto guidando son guai grossi. Mi fa pensare
all'altoforno di Piombino che presto forse spegneranno e magari chissà non
verrà riacceso più...
P.S. Tin Angel..canzone squisitamente narrativa che mancava da anni e anni
(e anche Tempest stessa un po' lo è)
Ho letto sul sito qualche giorno fa un intervento sul fatto che c'è chi
ancora si aspetta canzone "folgoranti" come quelle degli anni '60 e c'è chi
non se lo aspetta più... La questione non ha senso: Secondo me gli inizi
delle canzoni di questi album sono fantastici..Doctor doctor tell me the
time of day... (bah, io non so proprio cosa sperarmi di meglio).
Secondo me da TOOM in poi, tutti i dischi di Dylan son capolavori...anche
TTL che sicuramente è il meno ispirato...
Secondo me da TOOM in poi Dylan è sempre stato cattivo e spietato..ma in
questo album è davvero sfrontatamente feroce
Scarlet town...ricorda tante canzoni (soprattutto musicalmente) di questi
ultimi anni...ma questo testo è splendido... forse il migliore da anni...
Se quest'album fosse uscito come TOOM dopo anni di silenzio avrebbe avuto lo
stesso identico impatto in chi lo ascolta.
TOOM però, almeno in me, è cresciuto sempre più, vedremo se lo farà anche
Tempest...ma se lo farà lo farà in un altro senso poichè è meno compatto dal
punto di vista musicale rispetto a TOOM (e anche a L&T)
Generale (e Titanic)! che la citazione Degregoriana sia un ringraziamento
dopo "Per brevità chiamato artista" (album che non mi è piaciuto affatto, ma
sicuramente molto ispirato alla vita di dylan)?
Ma quando esce il nuovo disco di Bob Dylan?
Non vedo l'ora ne esca un altro (Dio o chi per te, fai in modo che Robert
Allen Zimmerman continui ancora a calpestare il nostro stesso suolo e a
riempire i nastri musicali...)
Simone Baneschi
Talkin' 8889 - Daniele "Ardez" Ardemagni
Ciao Stefano, come ben sai siamo amici su Facebook e se dai un'occhiata alla
mia pagina potrai ben vedere quante sono le recensioni che ho postato su
Tempest definendolo un capolavoro, uno dei suoi migliori album e di certo il
migliore da oltre 25 anni ad ora. Sono d'accordo in parte con te: Tempest è
superiore a TOOM, anche per gli arrangiamenti più scorrevoli almeno nelle
prime sette tracce..poi l'album diventa più "serioso" per via della
lunghezza dei pezzi...ma ricordiamoci che non è la prima volta che Bob lo
fa...in TOOM c'era Highlands che con un'arrangiamento molto più monotono
durava ben 17 minuti.
TOOM che di per sè è un capolavoro, ma non ha i livelli di Tempest, soffriva
di certi interventi di Daniel Lanois: basta ascoltare le versioni di Can't
Wait su "Tell Tale Sign" com'erano superiori a quella che si ascolta nel
disco...o quel riff insopportabile di chitarra su un gioiello come Tryn' to
get to Heaven e canzoni un pò scontate come Dirt Road Blues o Million Miles
con un'arrangiamento assai pesante. Lo stesso direi per Oh, Mercy! che non è
certo un album da ascoltare in auto con pezzi troppo lenti messi uno dietro
l'altro..non capisco perchè ad esempio furon scartate Born in Time, Series
of dream o God Knows che avrebbero alzato un pò la tonalità monotona
dell'album (considerazioni mie).
Che poi Tempest sia il Blood On The Tracks del 2012 non mi trovi
d'accordo...tutti sanno la mezza avversione che ho nei confronti di quel
disco..ho provato, tentato di farmelo piacere ma non ci sono riuscito...non
tanto per i testi ma per gli arrangiamenti troppo scarni e la tristezza che
trasmette (più che rabbia, Idiot Wind a parte)...parte di quelle canzoni nei
live diventano capolavori davvero come Tangled, Simple, o Shelter...ma su
disco dopo mezza canzone rischio la pennichella come lo è per Oh Mercy! Come
ti dicevo qualche giorno fa, siamo di fronte a buona parte di una critica
rimbecillita che quando devono recensire un disco di Bob o di qualche altro
grande è talmente confusa fra i vari X-Factor e i lavori di 40 anni fa di
Dylan che a volte parlano per contratto, giusto perchè devono farlo.
Dall'altro abbiamo fans di Dylan conservatori che stanno aspettando che il
Nostro si ripeta con un altro Desire o BOTT...ma come dicevo tempo fa il
tempo non si ferma a 40 anni....Dylan è uno che sperimenta, e credo che
nessuno come lui abbia cambiato così diversi generi musicali. Altrimenti
dovrebbe fare come Little Tony che canterà Riderà o Cuore Matto con le
stesse basi di 50 anni fa...e questo buona parte di certi cantanti venuti
alla ribalta in quel periodo.
Faccio un'esempio: mio padre ha 64 anni e negli anni '60, da giovanissimo ha
potuto vivere questa nuova ondata rock...non si poteva permettere di
comprarsi dischi nonostante lavorasse 12 ore al giorno perchè dava tutto in
casa, e, come molti giovani di allora aveva un suo gruppo. Poi col passare
degli anni la musica è diventata per lui di secondaria importanza ma non
indifferente, anzi. Ma sapete...si è sposato nel '75, dopo due anni arrivai
io, poi mia sorella, il lavoro alti e bassi e certe cose col tempo le
dimentichi. Gli ho fatto riscoprire Bob io con gli anni, comprandomi quando
potevo, dal '97 in poi, tutta la discografia, cercando bootleg e andando
insieme a qualche concerto. Gli album recenti non lo entusiasmavano molto,
tranne qualche ballata di TOOM e MD..Pochi giorni fa gli ho masterizzato
Tempest così se lo ascolta in auto quando è in giro per lavoro...tornò dopo
un paio di giorni dicendomi che Bob è tornato ad entusiasmarlo come quando
aveva 20 anni..dicendomelo sempre in modo discreto...non si fa trascinare
molto. Facendo un passo indietro gli feci ascoltare, BOTT, dicendogli che è
uno dei dischi più amati dai dylaniani...ma non ha retto oltre la 4° canzone
(almeno su questo, a volte ci assomigliamo)...allora gli feci sentire Saved
(uno dei miei dischi preferiti) e gli dissi che era il secondo della
triologia cristiana molto snobbata dai fans della prima ora. Ne resto
affascinato e con un certo entusiasmo mi disse "Caspita mi ricorda Jesus
Christ superstar".
Settimane fa ero con un mio amico coetaneo e gli feci ascoltare Blonde on
Blonde e H61...niente da fare...nel piazzagli i bootleg degli ultimi
concerti ha cominciato ad apprezzare il Nostro. Tutta questa pappardella che
ho scritto è per dire che a mio avviso non ci sono verità assolute per
niente e nessuno...ho conosciuto gente che non ama certi dischi osannati di
Bob ma ama Down in the groove o Empire..ognuno ha una sua classifica e ad un
certo punto fanculo anche alla critica.
Tempest per ora resterà a lungo del mio lettore, non mi stanca, lo trovo da
ascoltatore un album quasi perfetto e da lettore..beh...niente da dire sui
testi.
Come c'e restato e tornerà MD, Saved, Street Legal, TOOM, ma anche perle
"soffocate" come Death is not the end dove in questi giorni mi ha consolato
molto dopo la perdita di un amico o Restless farwell nella versione fatta da
Sinatra. Trovo sempre molto importanti i dischi degli anni '60 se riportati
in quell'epoca ma se allora erano avanti di 30 anni allora ora trovo gli
arrangiamenti datati e preferisco le attuali versioni live,o almeno quelle a
partire dagli anni '70. Non trovo così scarso Under the red sky (uscito
anch'esso l'11 settembre..del '90), anzi...lo trovo solare musicalmente
parlando anche se di certo si sentiva una carenza compositiva in certi
testi.
Poi, e qui chiudo, credo si vada a momenti...c'è stato un periodo che mi
rispecchiavo addirittura in BOTT ma poi tornai all'ultimo Dylan...a volte mi
piace molto rispolverare anche il primo Dylan come quello acustico degli
anni '90 di GAABTY o WGW...Dylan è così immenso che per ogni stato d'animo
c'è una canzone o un disco da ascoltare per l'occasione.
E con Tempest ho ritrovato un grande entusiasmo perchè è la sua ennesima
prova dove si possono affrontare tematiche molto serie come i sentimenti, la
morte, l'amore, la violenza e la speranza con della musica ascoltabile e
piacevole senza cadere per forza nel tedioso e nel depresso...cosa che buona
parte del cantautorato italiano non ha ancora imparato a fare.
Poi che fine ha fatto il genio che potrebbe fare 10 Tempest all'anno? Ne ha
già pronto uno in cantiere?..............come vedi Mr. Tambourine non ha
alzato chissà che polverone quella "schiocchezza"...i dylaniani ci sono
passati sopra facendosi magari una bella risata.
Viva Tempest, il mio album preferito con MD, che sta in vetta a tutte le
classifiche del mondo e si sta pigliando 5 stelle dalle riviste
specializzate...non da giornalisti abituati a seguire i talent-show. Grazie
della pazienza...a presto.
P.S.: la frase incompleta nella recensione che feci di Tempest che sentì da
qualche parte era "Forse la musica di Dylan non cambierà più il mondo, ma è
bello che il mondo non cambi Bob Dylan". Del resto conoscete altro artista
che a 71 anni compone canzoni come quelle contenute in Tempest?
Daniele "Ardez" Ardemagni.
“Tempest” di Bob Dylan, non è il suo album migliore
di Stephen Pate, NJN Network
Quando va in scena il genio sottile come si fa a lodare l'artista?
Bob Dylan è un artista geniale allo stesso livello di Picasso. Il suo
talento è unico, il suo stile mercuriale è leggendario, le sue opere vanno
avvicinate con una certa riverenza.
Il che spiega il motivo per cui ho il blocco dello scrittore nel cercare di
commentare il suo ultimo album in studio "Tempest". Non è al livello delle
sue più grandi opere, a dispetto di tutte le esaltanti recensioni pubblicate
dai media.
Tutti sanno che sono un fan di Dylan dai tempi di "The Freewheelin' Bob
Dylan”. Ho tutti gli album, i CD, i video, i bootleg, e tutti in tripla
versione (vinile, CD, SACD, VHS, DVD, ecc.) Ho letto più di 30 libri e ha
imparato a suonare un centinaio di canzoni di Dylan. So anche che alcuni
album hanno avuto bisogno di qualche decennio per essere apprezzati.
Detto questo, "Tempest" non mi sembra un grande album di Dylan. La sua voce
è quasi finita e le canzoni semplicemente non hanno il fascino e l'atmosfera
di sue più grandi opere.
Forse "Tempest" sarà come un grande dipinto dell’ ultimo periodo di Picasso,
la rappresentazione grottesca di un vecchio gnomo che desidera donne più
giovani.
L’album comincia abbastanza bene con l'orecchiabile " Duquesne Whistle", che
è stata accoppiata ad un video grintoso.
La seconda canzone di "Tempest" è "Soon after midnight", dove Dylan
canticchia:
"Sono alla ricerca di frasi per cantare le tue lodi,
Ho bisogno di dirlo a qualcuno,
E' appena passata la mezzanotte,
E la mia giornata è appena cominciata”
Poi Dylan ti permette di sapere che alcuni suoi bisogni fisici sono stati
anche soddisfatti da qualche prostituta mischiata al popolo della notte.
Dylan aveva raccontato i suoi notturni prima in "Visions of Johanna" e poi
in "Desolation Row", ma con un linguaggio più fine e abile.
Non c'è molto di nuovo musicalmente, dal momento che la maggior parte delle
melodie vengono prese da vecchi blues o riff celtici. E alcune canzoni
durano troppo. Gli ultimi 5 brani del CD sono lunghi 7, 5, 9, 14 e 7 minuti.
Dylan aveva già scritto in passato canzoni molto lunghe ma la maggior parte
di loro riuscivano a tenere la nostra attenzione. Su "Tempest" questa
attenzione non riesce a rimanere. Un mio conoscente ha detto che mentre
ascoltava il disco poteva andare a pranzo o fuori per una passeggiata, che è
un diversivo umoristico per commentare delle canzoni troppo lunghe.
Nel punto centrale di ascolto di "Tempest" la mia mente se n’era andata da
altre parti. Ho dovuto sforzarmi per ascoltare la seconda parte per
assicurarsi che non avessi dimenticato di ascoltare qualcosa di grande. Il
commento di mia moglie è stato succinto "Non è come "Modern Times" e lo ha
spento quando ho lasciato la stanza.
I 14 minuti della storia del Titanic della title track alla fine risultano
noiosi. Cosa c'è di nuovo nella narrazione ripetitiva del racconto di Dylan?
Niente, e la melodia è debole per far da supportoad una canzone del genere.
E' bello che Bob Dylan continui a registrare nuovo materiale a 71 anni, ma
il valore assuluto non sembra far parte di "Tempest", sostituito da quello
di entertainemet.
Solo il tempo ci dirà se le 10 canzoni potranno elevarsi nell'opinione
pubblica e nella critica.
Ammetto che per il momento questo è un parere di minoranza. Tuttavia, una
volta passata l'eccitazione sulle prime pagine delle riviste o sui media,
troverete valutazioni simili anche se formulate con un codice diverso in
quanto Dylan è un tesoro nazionale.
(Fonte://www.oyetimes.com/music/mainstream)
Talkin' 8888 - Stefano Catena
Tempest secondo me, ovvero secondo un Dylan fan
Leggo, ho letto molte recensioni sul nuovo album di Dylan "Tempest" e pur
con molte lodi nessuno o quasi afferma che questo album e' un capolavoro.O
meglio qlc lo fa' intendere in modo velato e non direttamente dicendo che e'
il suo piu' bel lavoro di sempre o il miglior album di sempre, ma mai
apertamente si dice, signori ci troviamo di fronte ad un capolavoro
dylaniano. Io personalmente ritengo che Tempest e' il capolavoro di Dylan
del 2012 al pari di Blood The tracks se non superiore. Perche' Blood on the
Tracks e non magari "Time out of Mind"? (Tempest e' superiore anche a TOOM).
Perche' come non mai nel 1975 Dylan riuscì a raggiungere le piu' alte vette
di composizione in fatto di testi e musica mai fatti fino allora, si disse
che i testi erano costruiti come dipinti dove vi si poteva leggere in piu'
dimensioni,dove l' io poteva essere scambiato per terza persona e Dylan
poteva stare benissimo dentro una storia, al di fuori o parlare per terza
persona o piu' semplicemente non esserne affatto presente. Racconto' in
testi cose che nessuno prima aveva fatto. Blood on The Tracks segna la
svolta di Dylan verso testi di maggior spessore, dove la poesia o i testi in
BOTT di Dylan al pari di un dipinto potevano essere oltra che ascoltati
visti come in un film, come scene di un film, un esempio su tutti "Lily,
Rosemary and The Jack of Heart" o la "Black of Diamond Bay" o la "Hurricane"
nell'album successivo Desire.
In "Tempest" ritroviamo tutti questi elementi a distanza di tempo ma con la
differenza che la produzione nei testi di Dylan qui a differenza di Blood On
The Track hanno uno spessore nella narrazione nettamente superiore rispetto
ai disco del 1975. La title track "Tempest" ne e' un esempio lampante, come
tutte le altre songs che compongono l'album "Tempest". Dylan ha detto che
voleva fare inizialmente un album pieno di songs religiose, ma poi ha
abbandonato il progetto perche' occorreva una concentrazione dieci volte
maggiore. Come in "Blood on the Tracks", Dylan non ha parlato di cose
religiose, ma di cose terrene, di vicende che viviamo nei giorni d'ggi e di
rimando di storie che non hanno tempo, come in una serie di quadri o dipinti
che rimangono fissi per l'eternita'. La maturazione di Dylan si trova in
tutte le sue espressioni in "Tempest". Bob Dylan nel 1975 non avrebbe potuto
mai fare questo album, ma oggi potrebbe benissimo fare 10 volte Blood on The
Track!!
Stefano C.
....ho scritto tutto on line!!:)333
Talkin' 8887 - sewe.14
Ciao a tutti. Volevo avvertire gli amici di maggie (se non ne fossero già al
corrente) che su youtube, c'è un tale holly 1960 che pubblica una miriade di
"chicche"sul nostro. I video percorrono diversi periodi della carriera di
Bob. In particolar modo mi sono piaciuti molto alcuni filmati dal never
ending tour(su tutti una girl from country e una desease of conceit
all'hammersmith di londra )in cui, se ce ne fosse ancora bisogno, risalta la
bravura di Dylan con chitarra pianoforte e armonica (Nils Lofgren: "un
giorno mi trovai con Bob, nonostante forse non sia molto noto per questa sua
abilità, duellammo per alcune ore con le nostre chitarre elettriche e devo
dire che fu una bella battaglia", la traduzione suonava più o meno così -
Augie Meyers, organist: “Bob’s a genius in the studio. He’s a great piano
player; a lot of people don’t know that. It amazed me the way he could
instantly change keys, hit all the chord changes. No matter what key he went
into, he didn’t have to search for the chord.”) e la sua genialità nel
reinterpretare i suoi brani. Un bootleg series sulle cose migliori del net
sarebbe fantastico! Se non vi annoio vorrei darvi anche un primo parere su
Tempest: sui testi non si discute neanche, è sempre il numero uno. Dal punto
di vista musicale mi piacciono Duquesne Whistle,Soon After Midnight, Pay in
Blood, il giro di basso di Tony in Tin Angel (mi ricorda vagamente la
canzone dei pirati "15 uomini sulla cassa del morto") Roll On John
commovente (stofa in crescendo, ritornello in calando) il cantato ironico
impagabile in Long And Wasted Years, il banjo in Scarlet Town. Devo
ammettere che continuando a sentirlo in macchina, melodie che mi sembravano
scontate e già sentite come la ballata Tempest e il blusaccio Narrow Way mi
cominciano a piacere non poco. Inevitabilmente mi chiedo: la mia obiettività
su Bob è "andata a farsi benedire"? E' il cuore che ormai giudica?
Talkin' 8885 - Biagio Gagliano
Caro Mr. Tambourine,
Non sarai mai ringraziato abbastanza per lo spazio che offri ai fan di Dylan
di dialogare, di confrontarsi e aggiornarsi sull'oggetto della loro
passione.
Ne approfitto per esercitare il mio acutissimo senso critico sull'ultima
fatica dello Zio.
Ho ascoltato Tempest per giorni e giorni nell'ultima ora e mezza.
Mi è davvero piaciuto, soprattutto le tracce uno, due, quattro.
Tempest, la traccia nove, l'ho trovata commovente, anche se decisamente
lunga.
Come sai non sono (più) uno di quelli che si aspetta che ogni brano dello
Zio inizi con: Darkness at the break of noon/ shadows even the silver
spoon...oppure Come gather 'round people/ wherever you roam...
Se la musica mi piace davvero allora vado a cercarmi il testo e addirittura
me lo traduco.
Forse anche stavolta sarà così e quasi certamente almeno un brano entrerà
nel repertorio.
Chissà.
Ciao e grazie ancora, alla prima occasione propizia
lo zio Bob
Dylan al passato
Tempest contiene in se qualcosa che certamente ha sorpreso
tutti , die-hard fans e non.
Ormai sono tantissimi gli anni nei quali Dylan si erge su tutto e tutti ,
"Mito" inarrivabile ed a volte incomprendibile, che vive e si muove in un
mondo dove si esistono esclusivamente lui ed i suoi pesonaggi, Einstein col
violino, Mr.Jones con l'aria di chi non capisce, Billy che parla con le
pistole, Hurricane paladino della violenza e dell'ingiustizia, George
Jackson ucciso solo perchè era "coloured" come Hattie Carrol, oppure Leo and
Cleo sulla punta del Titanic, e, volendo, un altro migliaio e forse più.
Dylan è un mito strano che lui stesso porta avanti con il suo cosidetto
Never Ending Tour, certamente unico nel suo genere, circondato ormai da un
alone di leggenda. Differenze? Il Dylan di vent’anni fa era pane per i denti
dei “dylaniati”, invece adesso, forse a causa della risonanza gigantesca che
le cose assumono con Internet, Dylan sembra essersi calato nei panni del
nuovo Messia che annuncia al mondo, attraverso la sua “Tempesta” chissà
quali altri misteriosi eventi futuri, con la "sua" morale nascosta fra le
parole come nelle favole di Esopo. Eppure Dylan da molto tempo sta parlando
“al passato”, sia con la sua musica (ormai totalmente legata alle radici
americane, intrisa di blues e di atmosfere anni ’50, il tutto con una
spruzzatina di rock e di jazz molto dolce, svolta che era cominciata quando
aveva ancora una voce per cantare, prima che il suono della gola cominciasse
a diventare un grugnito rasposo con TOOM, peggiorata poi nel bellissimo
Moder Times e quasi affondata in Together Through Life), sia con le parole.
Criptico era e criptico rimane, e noi a cercar di capire.............!
Ma stavolta, per questo “Tempest”, è successo qualcosa di imprevedibile,
tutti si sono mobilitati per raccogliere quante più notizie possibile sul
nuovo album, poi, dopo l’uscita, le parole hanno cominciato ad essere
mitragliate adosso alla gente dalla totalità dei mass-media, come se fossimo
al cospetto di un nuovo capolavoro, di un super Blonde On Blonde chiamato
questa volta Tempest. Ci vorrà ancora diverso tempo per classificare questo
disco, certo che le premesse della bontà e della straordinarietà ci sono
tutte, poi i paragoni ed il buon senso interverranno facendo il resto.
Molti anni fa si stava realmente in fila davanti ai negozi in attesa
dell’apertura per poter acquistare il gioiello del momento (a Londra è
successo di nuovo, appena pochi giorni fa, con la gente in fila all'alba
davanti ai negozi per accaparrarsi una delle poche copie del disco
autografate dalla Leggenda in persona.
Oggi invece la regola è quella di stare ai nastri di partenza,
metaforicamente parlando, col topo in mano per scaricare per primi, sentire
per primi e commentare per primi le nuove rivelazioni di Bob Dylan, o almeno
quello che pensiamo di aver capito dalle Bob-parole.
Qualcuno potrà chiedersi perchè accadono ancora cose come queste, perchè un
artista ormai ai confini del “jurassico” riesca ancora a sollevare un
polverone simile intorno al suo lavoro, però cari amici, non dimentichiamo
che questo artista si chiama Bob Dylan e con questo tutti i pezzi del puzzle
tornano al loro posto. Sarà forse che tutti abbiamo sempre bisogno del
famoso “kick in the ass”? Di una scossa di milioni di watt che ci ridesti
dal torpore nel quale la società odierna ci costringe a vivere con grande
disagio? Come quando nei tempi andati si dava il “cognacchino” anche alle
Signore dopo un qualunque guaio per “vedrà che con questo si tira sù
subito!" Qualcosa che ci riporti indietro negli anni alla riscoperta delle
buone e vecchie “good vibrations” di Bechboyssiana memoria?. E’ dunque per
queste ragioni che abbiamo aspettato tutti le parole della “voce non è più”,
di quel suono ormai impossibile da definire correttamente? Ascoltiamo dunque
in silenzio quella massa di suoni che arrivano direttamente dalle radici
della musica americana, in silenzio assimiliamo senza ancora capire bene il
significato di quelle parole, di quelle frasi che certamente, anche se
apparentemente non facilmente decifrabili, devono avere fra le loro righe un
messaggio, un nuovo modo di vedere e vivere quel mondo che oggi scavalca
senza rimorsi o pietà chi è stato sbattuto a terra da una sorte avversa.
Il mondo attuale reclama disperatamente il “messaggio” per la salvazione
futura, sarà dunque l’arte con la A maiuscola a fare il miracolo, quella che
solo Dylan e pochi altri al mondo sanno ben confezionare e servire su un
piatto d’argento, quell’arte che è una delle poche cose che sono in grado di
annullare il tempo, l’arte ed il buon vecchio Bob Dylan naturalmente,
something else?....
Mr.Tambourine
Tempesta dylaniana
di Alessandro Carrera
Articolo già pubblicato su “Europa,” il 13 settembre 2012
Recensire Tempest, l’ultima raccolta di canzoni di Bob Dylan, è come cercare
di recensire l’iceberg che ha affondato il Titanic. Da qualunque parte lo si
prenda, qualunque cosa se ne dica, il novanta per cento rimane sott’acqua.
L’uscita del disco è stata preceduta da un video del primo brano, “Duquesne
Whistle”, che commenta la canzone in puro contrasto. Per le strade di Los
Angeles un giovanotto vuole disperatamente farsi notare da una ragazza che
non se lo fila per nulla, anzi alla prima occasione gli schiaffa in faccia
una spruzzata di spray urticante. Lui ruba rose per lei finché inseguito
dalla polizia butta a terra una scala senza badare a un operaio che ci
lavorava in cima. L’operaio ha degli amici nerboruti che lo conciano per le
feste e lo sbattono malridotto (ma sempre sognante la ragazza) sulla stessa
strada da dove è partito.
A quel punto Dylan, che avanza sul marciapiede a capo di una banda di
sciamannati decisi a conquistare il mondo, arriva in vista del ragazzo, gli
passa accanto senza fare una piega (quelli del gruppo lo scavalcano proprio)
e continua per la sua strada. Questo mentre la canzone, che ha il gusto
delle caramelle che ci comprava la nonna e che inizia con un suono
deliziosamente “telefonato”, anche quando passa a timbri più contemporanei
non perde la sua grazia retro. Come a dire: questo è il mio mondo, ragazzo.
Poco amore, giustizia brutale e pietà nessuna, e se non hai capito che è
anche il tuo, io non ci posso fare niente.
Non è che le cose andassero meglio quando nei boschi della Pennsylvania si
sentiva il “fischio del Duquesne,” un vecchio treno a scartamento ridotto,
ma adesso almeno siamo liberi di averne nostalgia, trasformarlo nel pianto
di una steel guitar lamentosa, cantarci sopra una canzone solo in apparenza
svagata e accattivante.
Solo in apparenza, perché Tempest comincia come un invito a un ballo ma non
c’è bisogno di arrivare alla penultima canzone, quella che dà il titolo al
disco, per accorgersi che il ballo è sul ponte del Titanic. La prima parte
del disco è carezzevole, piacevole, ingannevole. Il vecchio marpione ci
vuole far credere che la sua vita comincia dopo mezzanotte (“Soon after
Midnight”), e che «non riesco a farmi tutta la salita, tu per me dovrai
farti la discesa» (“Narrow Way”). Se “Pay in Blood” sta giusto sulla soglia
dell’inferno, è con la terrificante “Scarlet Town”, la città dove le strade
hanno nomi «che non si possono pronunciare», che cominciamo a scendere i
gironi, e il viaggio non è per tutti, anche se tutti lo dovrebbero tentare.
Sì, “Early Roman Kings” (forse il nome di una antica gang di New York)
riscrive “I’m a Man” di Bo Diddley con un testo formidabile, ma davvero si
possono recensire “Tin Angel”, “Tempest” e “Roll On John” (la finale,
toccante elegia per John Lennon), dopo uno o due ascolti? No, bisogna
lasciarsi assorbire e ossessionare, farsi deludere ed esaltare, rimanere
esasperati dalla lunghezza delle canzoni o ipnotizzati dalla voce ormai non
più di questo mondo e dalla stupefacente tavolozza fonetica dei testi (per i
significati c’è tempo, se mai ci arriveremo).
Chi è oggi Dylan? Che filo fragile o tenace lo lega ancora al ragazzo di
ventun anni che scriveva “Blowin’ in the Wind” in cinque minuti seduto a un
tavolino in un caffè del Greenwich Village e che ha sempre avuto ragione a
dispetto di tutti quelli che ne sapevano più di lui? («Bob, ma che canzone
stupida!» gli disse Dave Van Ronk, il folksinger che anche Dylan idolatrava,
ma non fino al punto di seguire i suoi consigli). Le canzoni di Tempest
ricordano a volte, ma non molto spesso, le epiche tempeste del passato. “Pay
in Blood” ha scambiato qualcosa sottobanco con “Just Like Tom Thumb’s Blues”
(1965), “Long and Wasted Years” deve essere la cugina di “Brownsville Girl”
(1986) e “Tin Angel” potrebbe essere il seguito, o il prologo, di “Man in
the Long Black Coat” (1989), ma non si riesce più a capire quale brano è
stato scritto prima e quale dopo.
Una volta le canzoni di Dylan sconcertavano perché non si capiva da dove
venissero. Oggi lo sappiamo, venivano dal futuro. Ogni poeta, così si dice,
inventa i suoi precursori, costringendoci a leggerli con altri occhi. Ma
Dylan non ci fa veramente sentire Woody Guthrie, Hank Williams, Robert
Johnson o Buddy Holly in modo diverso. Se li ascoltiamo sperando di capire
da dove viene Dylan sbagliamo direzione. L’unico antenato del Dylan del 1962
è il Dylan del 2012. Il tempo voleva che Dylan gli si sottomettesse,
facendosi distruggere da valori dissennati o maturando ambizioni insane, le
stesse che portano onesti e invecchiati canzonettari a voler scrivere
orribili musical, opere e sinfonie, o che li fanno finire a Las Vegas a
shakerare un medley dei loro greatest hits per un pubblico abbacinato dai
lustrini. Dylan invece ha preso il tempo per il collo e gliel’ha storcicato,
ha truccato le carte del prima e del dopo e anzi le ha proprio ignorate.
Come quell’altro inventore di se stesso che a una platea sbigottita di
duemila anni fa disse che ancora prima che Abramo nascesse lui già era, così
Dylan ci sta dicendo dal 1997, quando è uscito Time Out of Mind: dove voi
siete, io sono già stato; dove volete che io ritorni, è da lì che sono
appena venuto; e dove vado io, è dove voi non arriverete.
Oppure c’è un altro modo di raccontare la vicenda di quest’uomo assurdo che
a settantun anni scrive una canzone di 14 minuti e 45 quartine rimate,
basata su una melodia della Carter Family (un vero capolavoro di tortura
minimalista, da ascoltare insieme agli interminabili quartetti per archi di
Morton Feldman e agli edifici diatonico/ modali di Philip Glass), per
raccontarci l’affondamento del Titanic come puro act of God—come in inglese
si chiamano le catastrofi naturali. Mettiamola così: all’inizio degli anni
Novanta il produttore Jack Frost (il nome che Dylan usa per prodursi i suoi
dischi) scopre un folksinger squattrinato che va in giro a cantare vecchi
rottami come Barbara Allen o Golden Vanity e gli fa incidere due dischi di
folksongs, Good As I Been To You e World Gone Wrong, che vendono solo il
necessario per pagare le spese. Qualche anno dopo il folksinger squattrinato
gli porta uno scartafaccio di canzoni sue. Jack Frost è perplesso, le fa
vedere a Daniel Lanois e insieme si dicono, perché no? Mettiamogli un po’
d’atmosfera e vediamo come va. È così che Time Out of Mind vince il Grammy,
che “Things Have Changed” vince l’Oscar, e che “Love and Theft” e Modern
Times, e perfino Together Through Life, che rispetto agli altri è poco più
di una cosina graziosa, scalano le classifiche mondiali. Non si è mai vista
una cosa del genere. Chi è questo Dylan? Dicono che non sa cantare, o meglio
che non gliene importa. Mette ancora in rima honey con money. Va in giro con
dei professionisti ma li fa suonare come una garage band (non in questo
disco però, dove Jack Frost ha inchiodato il suono che da sempre voleva
strappare a Dylan). E di lui non si sa niente. Che cosa ha mai fatto prima
degli anni Novanta, dove stava nascosto, che musica ascoltava? Rock, poco o
niente, perché in Tempest del rock c’è solo l’ombra. Pare ascoltasse solo
blues, swing, rhythm and blues, un po’ di jazz e canzonette melodiche della
vecchia Tin Pan Alley, e che leggesse solo giornali molto vecchi,
appassionandosi a fatti successi quando non era ancora nato. Solo che per
lui non erano affatto vecchi. Erano notizie dall’avvenire, cose che dovevano
ancora succedere e solo quando le avrebbe cantate, come l’affondamento del
Titanic giusto cento anni dopo, sarebbero accadute davvero.
La mail di Maurizio
Ciao Mr. Tambourine,
mi permetto anch'io di dire la mia su Tempest, dopo aver preso la versione
deluxe con il divertente libricino con le copertine delle riviste dedicate a
Bob (molto belle quelle di Ciao Amici), ho fatto girare il CD in auto per
quattro giorni, facendo il rappresentante l'ho ascoltato piuttosto bene !!
Premetto che non mi soffermo sui testi, sempre belli ed enigmatici, ma solo
sull'aspetto musicale, e devo dire che anche questo disco mi ha deluso, come
tutti i precendenti da Love and Theft in poi.
Dopo Time out of Mind il nostro si è limitato a suonare dal vivo in studio i
suoi dischi con la sua touring band (che io chiamo Tony Garnier Orchestra),
senza piu farsi produrre un suono che vesta i suoi brani in maniera adeguata
ed originale.
E' dalla notte dei tempi che la musica di Dylan sta' meglio in mani diverse
dalle sue, basti pensare alle produzioni di Mark Knopfler e di Daniel Lanois
che negli anni passati hanno creato capolavori come Infidels o Oh mercy, per
non parlare dell'infinita serie di grandi cover.
Negli anni gli inserimenti dei pochi musicisti estranei alla touring band
non sono stati mai sufficenti a cambiare il solito suono, in Tempest ci
sarebbero dei bei brani, ma potrebbero venir fuori da Modern Times o TTL
tanto è "usuale" il suono.
Il disco comunque nel complesso è abbastanza buono, fatico a metterlo nella
top 5 e forse anche nella top 10, pero' non è neanche da buttare come
Selfportrait o Down in the Groove, lo collocherei in una fascia medio alta.
I brani migliori sono certamente Scarlet Town, Early Roman King, Roll on
John e Duquesne Whistle (con la comparsa vestita da "Kiss" che nel video mi
fa' assai ridere !), l'idea di risentirli dal vivo esattamente come sono
suonati nel disco non mi entusiasma affatto, per quanto Bob li sappia
trasformare negli arrangiamenti.
Daniel Lanois per favore, se ci sei, batti un colpo.... telefona a Bob !!!
Ciao a tutti !
Maurizio
P.S: Allego una foto dell'edizione deluxe per Francesco.
Il libricino contiene una breve collezione di riproduzioni di copertine di
riviste da tutto il mondo, comprese due di "Ciao Amici" del 1966 e 1967, che
se non sbaglio era la prima versione di quello che negli anni 70 divento'
CIAO 2001.
La mail di Ale '65
Ciao Mr. Tambourine…. Volevo dire anch’io la mia su Tempest… Gran bel
lavoro, non c’è che dire. Tanto di cappello Bob. Suono pieno e pulito senza
tanti fronzoli com’è nello stile di Dylan, ottimo risultato di una band
affiatata e collaudata da tempo. Non si torna indietro certo, intendo, la
voce-cartavetrata di Dylan, ma va bene così, anzi in Pay in Blood, Tin Angel
e Roll on John, mi sembra proprio azzeccata, da più “calore” al pezzo.
Chilometrica , Tempest, ma d'altronde visto l’argomento, difficile da
condensare in poche strofe. Soon after Midnight, bellissimo lento che mi
riporta a Nettie Moore, come pure la Scarlet Town enfatizzata, tra l’altro,
da un ottimo banjo. Duquesne Whistle, Narrow Way, Long and wasted Years,
buone, scivolano via tranquille. Forse un po’ troppo tradizionale Early
Roman Kings, ma comunque rimane sempre un buon pezzo di Blues ben sostenuto
dal contributo di Hidalgo e la sua Fisarmonica. Nota dolente, l’assenza
dell’armonica, ci speravo tanto, un paio di assoli d’armonica, dei Suoi
assoli, ci stavano tutti benissimo, perfetti in Tin Angel o Pay in Blood, o
ancora in Scarlet Town per esempio… Ma si rifarà nei concerti live, ne sono
sicuro. Quindi, che dire, ho letto alcune traduzioni dei testi, e per quello
che ci capisco io, tutti argomenti validi, tuttavia credo che bisognerà
aspettare ancora un po’, magari qualche altra traduzione, per farsi un’idea
del significato celato nelle sue frasi e cosa ha voluto esattamente
esprimere Dylan. Per concludere, Mr. Tambourine, volevo esporti una mia
osservazione, che mi è venuta proprio all’uscita dell’album, voluta da Dylan
l’11 Settembre. Pur non togliendo nulla alla Tempest, con la rievocazione di
un tragico epilogo, la triste sorte del Titanic, appunto, magari sbaglio, ma
credo sarebbe stato più “opportuno” da parte di Dylan, (visto che è partito,
incominciato tutto da li,) prendere in considerazione il bisogno di inserire
un pezzo in onore e in omaggio alle povere vittime di Ground Zero, e sono
state tante, come per il Titanic… Tanto più, che io sappia, non ha
partecipato al disco-tributo di altri artisti uscito dopo la strage, forse
lo riteneva troppo banale, o forse proprio per una sua forma di rispetto.
Chi se non lui, sa mettere in versi, il concetto di una follia sulla carta,
e in musica la disperazione? Fin dove può arrivare l’odio di una mente
distorta? Un’altra sorta di It's All Right, Ma (I'm Only Bleeding) credo
sarebbe stata molto apprezzata da tutti, dai sopravissuti, dagli eroi, dalla
gente comune, dai New Yorkesi, un degno omaggio e un triste ricordo per New
York. La sua New York. Ciao, alla prossima. Ale ’65.
La mail di Luca 68
Caro Mr.Tambourine,
sono appena sceso dall'automobile e ho ancora nelle orecchie l'ultimo disco
di Bob, subito una cosa vorrei dire: la sua voce, forse scassata,
dimenticata, rauca, da gatto malato e che più ne ha più ne metta, ma sai
cosa ti dico a me piace da paura. Nessuno nel mondo della musica sa colpirmi
al cuore cosi, si avvicina ma con molte lunghezze, forse solo Van Morrison.
Un'altra cosa fondamentale, almeno per me: i dischi del maestro piacciono
sempre di più man mano che li ascolti, questa cosa già la sapevo, ma con
quest'ultimo lavoro, credo maggiormente.
Tutti gli altri artisti piacciono o meno alla prima ma dopo forse un pò cala
l'interesse o il feeling, con Dylan aumenta la bellezza ad ogni ascolto. E'
strana sta cosa, Clapton forse voleva dire questo.Veniamo al disco: su tutti
e forse come singolo pezzo entrerebbe nella mia top list LONG WASTED YEARS,
come pronuncia le frasi come back baby e you're a friend of mine mi fa
impazzire, il testo poi mi pare credibile a sufficienza. Duquesne Whistle
buono ma niente di più. Soon after midnight ottima, Narrow way, la voce
blues di Dylan qui credo che sia la migliore blues del mondo. Pay in blood e
Scarlet town discrete ma devo risentirle bene. Early Roman Kings onestamente
a me non fa impazzire.Tin Angel non mi convince del tutto e Tempest ricorda
le canzoni dei marinai che in chronicles Dylan faceva cenno alle esecuzioni
dei Clancy Brother, OTTIMA!! e mi sembra anche lunga al punto giusto,anzi
sono sicuro che la versione iniziale fosse piu' lunga. Roll on John da 6 e
mezzo.
Lo sentirò e risentirò e vediamo se le altre canzoni che non mi hanno
colpito cresceranno d'intensità.
Un caro saluto e grazie del lavoro quotidiano.
Luca 68
La mail di Dino DallAglio
Caro Tambourine,
come tanti appassionati, amanti del nostro magico Bob, ho ascolta "Tempest"
in più fasi: la prima è stata quella dell'"impeto"...ho ascoltato tracce ed
antemprime e la sensazione che mi era arrivata era di un nuovo capolavoro
del nostro: la seconda fase, detta "meditativa", è quella che ho avuto
dall'11 settembre ad oggi e, credo, sia quella più corretta.
Tempest è un disco bello, piacevole all'ascolto e molto ben suonato. Credo
che non si sia arrivati ai livelli di Time Out Of Mind, ma comunque si sia
ben oltre a Modern Times e Together Through Life.....
Ci sono innumerevoli richiami a personaggi, ere, situazioni e locations...il
tutto mi riporta un pò a desolation row! La band è affidabile, Hidalgo da un
tocco di classe a questo disco (cosa che non ho apprezzato molto nel suo
precedente) e la voce di Bob rende "speciali" canzoni che potrebbero
ritenersi buone, ma "normali"!!! Che dire poi dei testi....a prima lettura
abbastanza semplici, ma ad una più attenta ed accurata visione sempre
profondi e forieri di notizie e sensazioni....insomma il "classico" Dylan,
il Dylan di cui noi tutti ci siamo innamorati.
Non sono in grado di dire se "tempest" sia un capolavoro o meno, so solo che
per me è esattamente quello che, nei miei sogni, mi aspettavo da Bob ma
credevo non potesse avvenire...sono stato - un'altra volta - smentito dal
nostro...per cui, a mio avvisio, è uno dei 5 dischi che mi prenderei su per
andare su un'isola deserta!!!!:)
Grazie, ciao Dino
La mail di Massimo
Ad avvalorare la tesi che i versi di "Early Roman Kings possano riferirsi
alla chiesa o alla religione cattolica vorrei dire la mia, brevissima a dire
il vero:
I versi "Io posso fasciare le tue ferite Con uno straccio intriso di sangue
raggrumato" potrebbero riferirsi alla Sacra Sindone e al potere taumaturgico
e mistificatorio che ha assunto nel corso degli anni nel credo cattolico.
"Non ho paura di fare l'amore Con una puttana o una vecchia" chi fù il primo
essere umano e vedere Gesu' risorto dopo essersi tolto di dosso quello
"straccio intriso di sangue raggrumato" ? La Maddalena spesso additata dai
suoi
detrattori a puttana e magari il non aver paura di fare l'amore narrato in
prima persona possa riferirsi a parole dette da Gesù stesso, di cui Dylan è
devoto, tanto che dopo aver consumato il suo amore non ha paura di
incontrare gente a cui chiede di
sventolare un fazzoletto come a condividere il gesto di amore e devozione
verso una donna, di cui non ci si deve vergognare.
E subito dopo i versi "Ti posso togliere la vita Toglierti il respiro Posso
mandarti giù Alla casa della morte" la solita minaccia vigliacca del credo
cattolico, che si è uomini solo se si rifiutano tutti gli istiniti più
naturali, quella su cui hanno costruito 2000 anni di paura.
Massimo
La mail di Gypsy Flag
Master of sounds
Il suono. E' quello che rende grande Tempest (e che ha sempre reso grande
Dylan). Un suono antico e originale - in un certo modo e curiosamente "mai
sentito". Non si coglie compiutamente nello streaming in rete, no. Va tenuto
alto e lasciato vibrare nell'aria. Allora Early Roman Kings non suona per
niente scontato. E Tin Angel fa davvero calare le tenebre, come nessun film
o romanzo noir potrebbe fare. La forza antica di una oscura ballata che
rivive oggi, nell'era dei suoni compressi, appiattiti e insipidi. Non so se
Tempest possa dirsi un capolavoro, non ha un concept che lo tiene insieme:
sembra piuttosto liberare o dissipare nicchie di senso. Superato se stesso,
si chiude in modo incerto...
Gypsy Flag
La mail di Daniel "Ardez" Ardemagni
C'è gente grande che ha l'umiltà di dire come stanno le cose
realmente...dall'altra c'è gente con la presunzione di credersi chissà cosa
cercando di fare i finti umili.
Tempest l'ho avuto in anteprima da quello che, fin da tempi non sospetti, ho
sempre considerato se non il più grande, uno fra i più grandi artisti del
panorama musicale italiano, ovvero Massimo Bubola. Appena me lo ha posto fra
le mani mi ha detto "è un'album fantastico, uno dei suoi più belli di sempre
con almeno 5 o 6 capolavori..poi in certe canzoni canta come siamo abituati
a sentirlo ora, in altre canta come trent'anni fa...splendido". L'umiltà di
un grande che è consapevole che Dylan è innarrivabile...forse sfiorabile a
volte..ma con Tempest ha dimostrato di essere ancora lui quello che comanda
il gioco, il genio assoluto, il migliore senza "se" e senza "ma". Pensavo
che dopo Modern Times, Bob non ci avrebbe più regalato capolavori come
Workingman's Blues, Nettie Moore o Ain't talkin'..e invece ecco tirare fuori
dal cilindro un vero gioiello.
Dall'altra parte c'è chi parla forse solo per apparire, dicendo addirittura
che sarebbe capace di fare 10 album a livello musicale come Tempest in un
anno...va bè..la grandezza dei grandi sta nell'umiltà (vedi in questo caso
Massimo), quella dei piccoli (in tutti i sensi) nella presunzione e nel
considerare un album come quello in questione inutile. Non faccio
nomi...sapete di chi sto parlando se avete letto le mail di oggi (ieri
quando apparirà questo intervento)...e su quell'intervento tiro un velo
pietoso...un velo molto spesso possibilmente e passo a quelle che sono le
mie impressioni in compagnia di Tempest.
Da un punto di vista lirico non credo ci sia niente da dire visto che i
testi sono di grande spessore...quindi mi limiterò a fare un'intervento
dando dei pareri personali da ascoltatore, canzone per canzone senza
dilungarmi troppo..c'è già chi lo fa e spesso senza contare fino a dieci
prima di scrivere o parlare...ma del resto sono uno dei pochi dylaniani che
non ama granchè Blood on the tracks e che il Dylan (importantissimo e
fondamentale) degli anni '60 non è quello che lo entusiasma di più...quindi,
con le mie "pecche" comincio la mia piccola recensione.
Duquesne Whistle: ottimo inizio..sembra di essere fin dall'inizio in
un'altra epoca...ma poi ecco entrare la band che ci riporta ai giorni nostri
con questa splendida ballatona. Bello, anche se violento in certi casi il
video, dove l'indifferenza e la violenza fanno da padrone al giorno d'oggi,
ma come sempre c'è il barlume dell'amore che non lascia perdere la speranza.
Soon After midnight: qui la musica è veramente splendida, commuove fin dalle
prime note insieme al cantato profondo e perfetto di Bob...Una delle mie
preferite...peccato duri così poco.
Narrow Way: blusettone che riprende un pò recenti episodi di Dylan..niente
di straordinario ma la ritroveremo nei live quasi sicuramente. In ogni caso
dopo un bel lento come la canzone precedente non stona.
Long And Wasted Years : un'altra melodia di altri tempi..ideale da ballare
con la propria ragazza (o non) in un guancia a guancia...anche qui la forma
vocale è splendida e mette nell'anima qualcosa che riesce a farti venire il
magone.
Pay In Blood: su un ritmo estremamente ballabile e orecchiabile questa
rientra fra le mie preferite..fa battere il piede e muovere la testa
dall'inizio alla fine. Splendida!!
Scarlet Town: c'è da aggiungere altro per chi l'ha già ascoltata? Una delle
sue canzoni più belle di sempre con quello stile dark che ogni tanto si
trova nei suoi lavori..spero di trovarla nei live..canzone molto suggestiva.
Eary Roman Kings: mi è piaciuta fin dal primo ascolto quando qualche
settimana fa ha cominciato a circolare...un vecchio blues già sentito uscito
da qualche parte del mississippi con un testo sarcastrico, reale e
splendido.
Tin Angel: lunga ballata anche qui con un tocco dark...una di quelle che non
mi stanco di ascoltare.
Tempest: coi suoi violini sospesi fra l'Irlanda e la West Coast ci introduce
nella sfortunata avventura del Titanic con una bellissima ballata di quasi
14 minuti..voce meravigliosa..la musica da sola ti fa rivivere certe
"possibili" immagini che si stavano consumando sulla nave prima e durante la
tragedia.
Roll On John: canzone-preghiera di una leggenda vivente per un'altra
leggenda che fisicamente non c'è più...ma sarebbe meglio dire
canzone-preghiera di un amico dalla voce spezzata ad un altro amico che se
n'è andato troppo presto. Da nodo alla gola...col suo inizio che sembra
un'omaggio voluto a De Gregori...
Il disco-capolavoro di Bob termina così...perfetto connubbio di ciò che era
Bob ieri e di ciò che Bob stava sperimentando negli ultimi dischi e nei
live...album destinato a restare fra i suoi più bei lavori di sempre e fra i
più importanti della storia del rock.
Molto bella una frase che ho sentito tempo fa :" Forse la musica di Bob
Dylan non cambierà più il mondo, ma è bello che il mondo non cambi Bob
Dylan"....
Ma Dylan resta ancora oggi e resterà sempre il più grande punto di
riferimento per chi fa musica e poesia...perchè nessuno meglio di lui ha
saputo sposare le due cose..forse anche per chi dice farebbe dieci album
all'anno come questi....ahahahahah!!!
Grazie Mr.Dylan...ora mentre ci godiamo Tempest aspettiamo il lavoro
d'ispirazione religiosa che avevi in mente....mentre da altri aspettiamo che
ti diano il Nobel e almeno tre Grammy per questa tua ultima fatica (Mr.
Tambourine, non prendere sul serio certe mie provocazioni dettate
dall'entusiasmo scritta nella mail precedente :o) ).
Daniele Ardemagni
Tempest: Questa non è la recensione del nuovo Bob Dylan
A tre anni dal suo ultimo lavoro ritorna Bob Dylan. Ancora una volta, la
terza, sceglie come data di lancio quel fatidico 11 settembre. Un mese
frizzante, dove forse, dopo i fasti e le "monotone" litanie da ombrellone è
più semplice apprezzare un lavoro di un artista del calibro di Dylan.
Tempest: un disco assoluto, bislacco e sardonico, come solo Dylan può fare.
Una produzione brillante e inaspettata.
Dopo due dischi musicalmente più ingessati e quasi privi di guizzi del suo
genio musicale, (a parte un paio di episodi su Modern Times), è arrivata
questa bella sorpresa.
Un disco godibile, brillante e terrible. Fin dal primo ascolto, cosa che non
succedeva da un decennio, forse. Trentacinquesimo lavoro in studio che
celebra i 50 anni di carriera. Prodotto con lo pseudonimo di Jack Frost
nello studio di Santa Monica di Jackson Browne.
Con ospiti (già noti) come il paroliere Robert Hunter, storico collaboratore
dei Grateful Dead e David Hidalgo, il "Los Lobos" che per la terza volta fa
capolino in un disco di Dylan, suonando fisarmonica e violino. Torna nella
band in studio Charlie Sexton, il ché è un bene, a nostro parere.
C'è dentro una bella girandola di figure e nuovi personaggi da aggiungere
all'affresco. William Blake, lo spirito di John Lennon, Al Pacino, Keith
Richards, Ron Goulart, Leonardo Di Caprio, Francesco De Gregori, Louis
Armstrong, Charlotte la prostituta, Maria la madre di Gesù, la Regina delle
Fate e Cleopatra, fanno tutti da sfondo o da protagonisti al gran circo che
mette in scena Bob Dylan.
C'è una nuova citazione a Charlie Chaplin, nel video di Duquesne Whistle,
una nuova apprezzabile prova registica di Nash Edgerton, già autore dei
precedenti "Must Be Santa" e "Beyond Here's Lies Nothin' ".
Un disco lungo e coeso, 68 minuti, come non si sentiva dai tempi di Time Out
Of Mind. Un sound che ricorda forse Love And Theft, ma con degli innesti e
dei graffi più contemporanei ed efficaci, a livello di arrangiamento e di
suono. La cosa che stupisce però è la qualità delle canzoni. Testi e musica.
La band capitanata dalla chitarra di Charlie Sexton suona sugli scudi e
dimostra, ancora una volta, che c'è sempre voglia e motivo per ascoltare
questa MUSICA.
Dylan ancora una volta dimostra la sua maestria nel sapersi districare tra
musica ancestrale, testi visionari e controllo dei suoni. In cabina di regia
c'è lui, ed è un bene. Nonostante qualche fan nostalgico possa ancora
rimpiangere Daniel Lanois, è Dylan il capitano di se stesso in questa
sarabanda di storie di mare, di terra e di ferrovie.
Il western, le carovane, il fischio dei treni che passano sferragliando e
che riusciamo davvero a sentire nelle chitarre di Duquesne Whistle, o nel
blues nervoso di Narrow Way... Lasciatemi poi dire qualcosa della
meravigliosa "Pay In Blood", la migliore hit dai tempi di Thing Have
Changed. Con quell' incedere rock-blues alla Rolling Stones ("Tattoo You"),
le chitarre ariose e la ritmica decisa e sensuale. Ed un testo ambiguo
quanto basta.
Ad un primo ascolto Long And Wasted Years, Scarlet Town, (la nuova Ain't
Talkin'?) Tempest e Pay In Blood sono le prime canzoni che restano in testa.
Tempest è la sintesi finalmente riuscita tra la sua anima vintage, espressa
a più riprese nell’ultimo decennio, e la sfrontatezza folk rock dei suoi
anni giovanili. Ci era andato vicino con Love And Theft e Modern Times, ma
stavolta c’è riuscito davvero.
Tempest si nutre dell’eterno mito della frontiera americana, tirando fuori
dalle viscere della terra dieci canzoni senza tempo. Rispetto al suo
precedente lavoro, Together Through Life, questo è sicuramente più cupo,
meno consolatorio. Trasuda vita, morte, sangue e fantasmi. La voce di Dylan
pare provenire dall'aldilà, proprio come nel suo percorso blakiano di Time
Out Of Mind.
Scorrono, come in un flusso musicale a ritroso, tanti frammenti e
riferimenti. Da Infidels a Blood On The Tracks, da Desire a Blonde On
Blonde, da Highway 61 Revisited a Slow train comin'. E' semplicemente Bob
Dylan, che torna con un suo lavoro tra i più significativi ed importanti
della sua carriera. Sullo stesso livello di Oh Mercy e Time Out Of Mind,
come minimo.
Tempest è un disco lirico, provocatorio, ironico e apocalittico, in poche
parole, un disco di Bob Dylan.
"Quest’uomo ha una personalità straordinaria, ineguagliabile. Lo puoi
criticare, odiare per come stravolge i suoi brani storici, però l’immensità
non si tocca." (Stefano Bonagura)
"Fino a quando un uomo buono scriverà una grande canzone, questo treno
continuerà la sua marcia" (Vites)
Dario "Twist Of Fate" Greco
La mail di Pier Paolo Valentini
Caro Mr Tambourine, Tempest è bellissimo, a mio parere. La prima metà del
disco mi è parsa molto orecchiabile, "a scoppio immediato". Per i brani più
lunghi (almeno per quanto mi riguarda) occorrerà tempo - e un certo numero
di replay - per districarmi tra questi versi torrenziali. Quel che importa è
solo che BOB IS BACK!
P.s. Concedimi una replica scherzosa a Roberto "The Lizard", che giudica
brutto l'album. Forse non ha sentito il fischio di Duquesne? Un saluto anche
da mio zio Bruno Sansonetti.
Pier Paolo Valentini
La mail di Roberto "The Lizard"
Ognuno è dotato di un paio di orecchie e può quindi farsi un’ opinione su
Tempest.
C’ è gente che si addormenta ascoltando “Kind of Blue”, c’ è chi non
sopporta Bach: questo mi è sufficiente per capire che “de gustibus non est
disputandum”.
Non scrivo perciò “com’ è Tempest”: mi limito a esprimere “la mia opinione
su Tempest”.
Ebbene: mi è sembrato veramente brutto. Senza presunzione: io – che sono
nessuno – di dischi così posso scriverne 10 in un anno, musicalmente
parlando. Brevi melodie su sequenze standard di accordi, portate avanti
molto a lungo dopo che hanno smesso di interessare. I testi possono anche
essere interessanti ma la musica – poiché parliamo di canzoni – non credo
che sia un elemento trascurabile.
Disco brutto, dicevo, ma non è il suo peggior difetto: la cosa grave è che
mi è sembrato veramente inutile. Un disco inutile.
Se questo è quello che Bob è in grado di fare, mi auguro di tutto cuore che
Tempest abbia almeno questo pregio: che sia davvero l’ ultimo.
Giudizio duro? Molto. Ma ricevere da Dylan un disco del genere è come
sentirsi dire “no” da Claudia Schiffer: immagino che sia davvero dura da
mandar giù.
Ciao dalla Lucertola.
La mail di Antonio
Caro M. Tambourine, Sarò breve e sintetico. L'ho ascoltato più volte e c'è
poco da dire. Tempest intendo. E' roba buona. E' roba di livello. Il video
invece è brutto e secondo me come singolo doveva scegliere Scarlet Town. Ma
questo mio parere conta niente. Ciao e grazie
Antonio (Napoli)
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