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Ciao.
Sto preparandomi all'esame di III media. Per testo letterario ho deciso
di portere la canzone The Times they are a changin'. Potreste
consigliarmi un testo semplice di commento?
Vi ringrazio per la collaborazione...
Maria Lubello
Cara Maria , ti roposto alcuni scritti
che ti potranno certo aiutare come base di partenza e fonte di notizie ,
poi , giustamente , devi metterci del tuo , analizza le frasi e cerca i
significati , a chi si sta rivolgendo dylan , vedrai che ci arriverai
facilmente , buona tesi :o)
I TEMPI STANNO CAMBIANDO
parole e musica Bob Dylan
Venite intorno gente
dovunque voi vagate
ed ammettete che le acque
attorno a voi stanno crescendo
ed accettate che presto
sarete inzuppati fino all'osso.
E se il tempo per voi
rappresenta qualcosa
fareste meglio ad incominciare a nuotare
o affonderete come pietre
perché i tempi stanno cambiando.
Venite scrittori e critici
che profetizzate con le vostre penne
e tenete gli occhi ben aperti
l'occasione non tornerà
e non parlate troppo presto
perché la ruota sta ancora girando
e non c'è nessuno che può dire
chi sarà scelto.
Perché il perdente adesso
sarà il vincente di domani
perché i tempi stanno cambiando.
Venite senatori, membri del congresso
per favore date importanza alla chiamata
e non rimanete sulla porta
non bloccate l'atrio
perché quello che si ferirà
sarà colui che ha cercato di impedire l'entrata
c'è una battaglia fuori
e sta infuriando.
Presto scuoterà le vostre finestre
e farà tremare i vostri muri
perché i tempi stanno cambiando.
Venite madri e padri
da ogni parte del Paese
e non criticate
quello che non potete capire
i vostri figli e le vostre figlie
sono al dì la dei vostri comandi
la vostra vecchia strada
sta rapidamente invecchiando.
Per favore andate via dalla nuova
se non potete dare una mano
perché i tempi stanno cambiando.
La linea è tracciata
La maledizione è lanciata
Il più lento adesso
Sarà il più veloce poi
Ed il presente adesso
Sarà il passato poi
L'ordine sta rapidamente
scomparendo.
Ed il primo ora
Sarà l'ultimo poi
Perché i tempi stanno cambiando.
Scritta poco tempo prima dell'assassinio di John Kennedy, The Times They
Are A-Changin' sarebbe arrivata a significare sempre piu' nei mesi e
negli anni che seguirono. "Questa era decisamente una canzone con uno
scopo", disse Dylan. "Sapevo esattamente cosa volevo dire e per chi lo
volevo dire. Sai, fu influenzata naturalmente da ballate irlandesi e
scozzesi....'Come All Ye Bold Highway Men', 'Come All Ye Miners', 'Come
All Ye Tender Hearted Maidens'. Volevo scrivere una grande canzone, sai,
con brevi strofe concise che si accatastavano l'una sull'altra in un
modo ipnotico... Il movimento dei diritti civili e il movimento della
musica folk furono molto vicini e alleati per un po' a quel tempo. Tutti
conoscevano quasi tutti gli altri. Ho dovuto suonare questa canzone la
stessa notte che il Presidente Kennedy e' morto. In qualche modo divenne
una costante canzone di apertura e lo resto' a lungo".
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"È più una canzone di protesta che una canzone contro la guerra, ma
credo che la frase "non criticate quel che non capite" sia alla base
della convivenza pacifica tra i popoli (oltre che all'interno della
famiglia)
(Alessandra)
"Dopo un lungo purgatorio ho deciso di inserire il testo di questa
canzone, che non ha nessun bisogno di presentazione essendo una delle
più celebri canzoni non solo di Bob Dylan ma addirittura in lingua
inglese.
Oltre alle considerazioni fatte da Alessandra, che la ha inviata a suo
tempo, specifico che tale canzone fu una "costante" nel movimento contro
la guerra nel Vietnam nato con i moti di Berkeley, e che la sua
importanza e valenza contro la guerra sia non tanto da ascrivere al
testo, quanto alla descrizione esatta di ciò che stava accadendo in una
generazione forse irripetibile. La quale seppe anche opporsi
efficacemente alla guerra, come tutti sanno.
(Riccardo Venturi)"
(commenti dalle "CCG Primitive", marzo 2003)
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THE TIMES THEY ARE A-CHANGIN' - LINER NOTES
da "The Times They Are A-Changin'"
Negli ultimi anni, anche se ancora giovane
La mia testa roteava pesante con pazze curve
Ed un confuso sentiero mi rincorreva e mi legava
Nella delimitazione della mia giovinezza
Finchè alla fine indietreggiai distante
Dai muri del mondo e dai giochi senza amici
Tanto da non avere una parola da dire
Ad ognuno che incontrava i miei occhi
E mi rinchiusi e persi la chiave
E lasciai che i simboli acquistassero la loro forma
Ed ebbi un immagine di un nemico da combattere
Per frustare la mia lingua e ribellarmi
E per sputare parole di vomito
Ma imparai a scegliere bene i miei idoli
Per essere la mia voce e raccontare la mia storia
Ed aiutarmi a combattere il mio fantasma rissoso
Ed il mio primo idolo fu Hank Williams
Poiché lui cantava delle rotaie
delle sbarre di metallo e delle rumorose ruote
senza lasciare alcun dubbio sul fatto che fossero reali
Ed il mio primo simbolo fu la parola "beautiful"
Perché le rotaie non erano "beautiful"
Erano nere di fumo e colorate di strada
E piene di puzza e fuligginose e polverose
E le avrei giudicate belle con queste regole
Ed accettate solo se sgradevoli
E se le avessi potute toccare con le mie mani
Perché solo poi capii
E dissi "si, queste sono reali"
E camminai per la mia strada a cantai la mia canzone come un clown
triste
Nel circo del mio stesso mondo
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[Dylan ha "copiato"] The Times They Are A' Changing
ha ammesso che proprio quel pezzo, tra i suoi più
riconoscibili, «deriva molto probabilmente da una vecchia
ballata scozzese». the times they are a-changin' -
pubblicata nel 1964 e subito divenuta un classico della
controcultura - sarebbe stata ispirata da hamish henderson,
agente segreto scozzese, in seguito poeta e pacifista, e in
particolare dalla sua ballata the 51st (highland) division's
farewell to sicily. henderson, uno dei maggiori poeti di
scozia, scrisse il pezzo durante la seconda guerra mondiale
dedicandolo ai soldati che tornavano dall'italia. rab
noakes, cantautore e produttore, che ha studiato le
influenze scozzesi di dylan, ammette che il testo di dylan è
pressoché «identico, così come il ritornello», e che
l'artista vi si sia imbattuto attraverso richard farina,
musicista e romanziere, ai tempi del greenwich village a new
york negli anni sessanta
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I tempi stanno cambiando, o meglio, stanno peggiorando. Il giovane
Dylan, dopo la buona prova offerta con "The Freewheelin' Bob Dylan",
cambia poco e osa molto: musiche sempre molte semplici (gli accordi di
chitarra sono sempre quei tre, l'armonica, per quanto micidiale, è
statica e ripetitiva), testi feroci e controcorrente. Un modo per
esprimere tutta la propria rabbia (e tutta la propria inquietudine)
contro un mondo violento e palesemente inumano. Non è un album
capolavoro, ma è forse il lavoro più politico, e in qualche modo più
controverso, di un Bob Dylan massacrato dai dubbi, dalle speranze e
dagli ideali forse traditi. Il gioco questa volta si fa duro: niente
concessioni alla poesia o alla retorica, solo disgusto e rabbia.
Dylan è contro tutti e contro tutto. Non risparmia nessuno, attacca
ferocemente politica e affari. Anche, e soprattutto, per questo l'album
non piacque nè alla sinistra nè alla destra. Evidentemente, il pesante
intervento americano in Vietnam aveva sconvolto la coscienza di Dylan e
la coscienza di molti pacifisti come lui.
"The Times They Are A Changin" è un brano bellissimo, folgorante, ancora
più cattivo e arcigno di "Blowin In The Wind", feroce e senza speranze.
"Venite intorno gente, ovunque voi siate, le acque intorno a voi sono
cresciute ed è meglio che cominciate a nuotare o affonderete come dei
sassi perchè i temi stanno cambiando", questa la traduzione, un pò
libera, dell'inizio del brano. Dylan se la prende col mondo, coi
governanti, coi bacchettoni, coi padri e le madri che ascoltano "Love me
tender" e disprezzano la cultura avanguardistica leggermente free di
inizio anni Sessanta, coi critici, con gli scrittori, e persino coi
cantanti. La rabbia è forte, quasi insostenibile: i tempi stanno
cambiando, stanno cambiando sul serio.
debaser - Recensione di: Viva Lì
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Quando si ricorda il giovane Bob Dylan profetico e arrabbiato, il
pensiero corre sempre a Freewheelin' e ad alcune canzoni di quel disco
celebrato: l'ingombrante Blowin' In The Wind, Masters Of War, A Hard'
Rain's Gonna Fall. Forse però il vero disco di protesta di Bob Dylan è
quello successivo, The Times They Are A Changin': molto più coerente e
consapevole del secondo LP, meno umorale anche - là si svariava da
colombe della pace a ragazze dai lunghi capelli, da radiazioni atomiche
a visioni strane, mentre qui il tema è decisamente quello del sogno
americano tradito - «i tempi stanno cambiando» e l'America è ancora
quella delle ingiustizie razziali, dei padroni della guerra, degli avidi
sfruttatori, contro cui il giovane folksinger sempre più sicuro di sé
punta il dito violentemente, anche se non ha ancora rinnegato il voto di
continenza folk song e si limita a usare chitarra, armonica e la voce
sempre più aspra. Times è un disco esagerato e predicatorio, come Dylan
non farà più; un disco «di inni, perché alla gente piace così». È
introdotto bene dalla foto di copertina di Barry Feinstein, un ossuto
ritratto color seppia in cui Bobby non è più il ragazzo paffutello
fotografato solo due anni addietro sul primo LP, anzi, sembra suo padre.
L'album è in effetti così, quasi in bianco e nero, severo e spartano:
con un gusto retorico da antiche ballate popolari e toni di esaltazione
religiosa dove affiorano le radici ebraiche, vetero testamentarie, che
il ragazzo fino a quel momento aveva cercato di dissimulare. Vengono
dalla Bibbia le immagini di The Times They Are A-Changin', di When The
Ship Comes In, annunci di una rovina che guarirà il mondo dai suoi
peccati; mentre è la cronaca a ispirare Ballad Of Hollis Brown, Only A
Pawn In Their Game, The Lonesome Death Of Hattie Carroll, episodi di
anni recenti che gli occhi febbrili di un Dylan rivolto al passato
investono però di luce antica - sembra di stare negli anni della Grande
Depressione cantati da Guthrie, e il messaggio è che, trent'anni dopo,
nulla è davvero cambiato in quell'America marginale e di provincia.
Hollis Brown stermina la sua famiglia, moglie e cinque bambini,
impazzito per la miseria; la pallottola di un fanatico sudista nascosto
in un cespuglio trancia la vita dell'attivista nero Medgar Evers;
William Zanzinger uccide con un colpo di bastone una povera barista nera
che non lo aveva servito in fretta e viene condannato solo a sei mesi di
carcere. The Times They Are A-Changin' non venne accolto come un
capolavoro ma Dylan se ne curò poco. Lo aveva voluto fortemente così,
registrandolo e modellandolo in otto sedute newyorkesi fra l'agosto e
l'ottobre del 1963. Con lui in studio c'era il produttore Tom Wilson,
consigliato anzi imposto dai discografici, che in realtà svolse un puro
lavoro di routine senza mai entrare nel merito; era così distratto e
vago, quel compagno di stanza, che Dylan a un certo punto chiamò in
studio Paul Rothchild della Elektra perché gli desse qualche dritta su
come il lavoro procedeva. Voleva in effetti conferme sull'esecuzione dei
brani mentre sulla scaletta non ammetteva interferenze. Quello era affar
suo, con il mix di ostinazione e lune misteriose che gli appassionati
negli anni avrebbero più volte conosciuto (e sofferto). Dalle sedute di
quei mesi vennero altre otto canzoni, alcune notevoli, un paio davvero
splendide. Times, in altre parole, avrebbe potuto modellarsi in ben
altra maniera: più vario, meno iroso e buio, solo facendo posto a brani
come Percy's Song, Only A Hobo, Lay Down Your Weary Tune. Dylan non
volle; salvo poi forse, alla fine, sentirsi soffocato da quel repertorio
ma anche dall'immagine pubblica che stava assumendo e andare
appositamente in studio (era il 31 ottobre 1963) per registrare un
polemico sigillo che in qualche modo stravolgeva l'album. Restless
Farewell, si chiama quel ripensamento finale, ed è veramente l'«addio
irrequieto» che vuole il titolo. Alla fine del suo disco più
protestatario e impegnato, Dylan fa sapere che non ci sta più, che
smetterà di essere così «dylaniano» per scegliere invece la libertà.
«Ah, un falso orologio vuol farmi scadere il tempo/ Stravolgermi,
distrarmi e tormentarmi/ E il sudiciume del pettegolezzo mi soffia sul
viso/ E la polvere delle dicerie viene a coprirmi./ Ma se la freccia è
dritta/ E la punta levigata/ Può penetrare la polvere non importa quanto
densa/ Per cui io tengo il mio punto/ E resto come mi sento/ E porgo il
mio addio, e questo è quanto». Manterrà la promessa. (Quando un paio
d'anni fa la Columbia aveva deciso di rimasterizzare il catalogo storico
di Bob Dylan, qualche pezzo era rimasto fuori e in particolare questo
terzo LP. Ora si ovvia a quella mancanza, anche se il disco subisce la
medesima sorte degli altri: la scaletta è la stessa dell'originale,
senza bonus. Un vero peccato, perché sono quasi una diecina i brani
registrati nel corso delle medesime sedute e dispersi sulle antologie
dylaniane - alcuni notevoli, un paio davvero splendidi, con poca fatica
sarebbero stati uno splendido corredo a questa nuova edizione).
(riccardo bertoncelli) Bob Dylan - The Times They Are A-Changin'
(Columbia) ****
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BOB DYLAN The Times They Are A-Changin' (Columbia, 1964)
di Raffaele Meale
A neanche un anno dall'uscita di "The Freewheelin' Bob Dylan" che lo
lancia nell'olimpo della musica d'autore mondiale, Dylan si ripresenta
alla ribalta con un nuovo lavoro. E lo fa in maniera dirompente,
lanciando nuove lucide invettive contro un sistema marcio e da
combattere.
"The Times They Are A-Changin'" è il suo album più politico, il più
intransigente, il più impegnato. Fin dalla title-track, trascinante
ballata dagli echi progressisti. I tempi stanno cambiando, grida il
menestrello ai suoi coetanei, e si rivolge di seguito agli intellettuali
("Who prophecie with your pen"), ai gestori del potere ("c'è una
battaglia fuori che infuria, e presto scuoterà le vostre finestre e farà
tremare i vostri muri"), ai genitori, ai quali viene chiesto di non
criticare quello che non possono capire.
Sempre più capopopolo, Dylan traccia la strada, e la nuova via è fatta
di libertà ("The order is rapidly fading"), consapevole che la sua non è
comunque una rivoluzione definitiva ("Il presente di adesso domani sarà
passato"). Molto più cinico e doloroso il tono di "Ballad of Hollis
Brown", dove viene raccontata la vita di un povero uomo della periferia,
nel Sud Dakota, portato dalla disperazione e dalla disoccupazione ad
assassinare la propria famiglia. Splendida la strofa finale, nella quale
la storia assurge a resoconto dell'universo ("Sette le persone morte in
un podere del Sud Dakota, sette sono i nuovi nati da qualche parte nella
vallata"), dimostrazione di come nulla sia solo un episodio.
Tocca poi a "With God on Our Side", dove si narrano le gesta infami
della politica estera statunitense, in un crescendo di rara angoscia
("La seconda guerra mondiale finì, abbiamo perdonato i tedeschi e poi
siamo diventati amici. Anche se hanno assassinato sei milioni di persone
bruciandoli nei forni, anche i tedeschi hanno Dio dalla loro parte") che
culmina nello slogan finale, stanco ma risoluto e in fin dei conti
ottimista ("Se Dio è dalla nostra parte impedirà la prossima guerra").
Abbandonata per un attimo la contestazione Dylan si sofferma dolcemente
sul mito del vagabondo, ancora forte nella sua poetica, nella
malinconica e assolata "One too Many Mornings" per poi raccontare una
vecchia storia del west, la vita di una donna scandita dal ritmo della
miniera di ferro in "North Country Blues". Ancora un inno antirazzista
in "Only A Pawn in their Game" ("Gli viene insegnato fin dall'inizio che
le leggi sono con lui per proteggere la sua pelle bianca , per
rinfocolare il suo odio") e poi ancora amore vagabondo in "Boots of
Spanish Leather".
"When the Ship Comes In" è una ballata dai toni profetici (quelli che
irromperanno di lì a poco con veemenza), "The Lonesome Death of Hattie
Carroll" è uno straordinario inno dei diritti civili, atto di accusa
contro l'ingiustizia dei tribunali, pronti ad assolvere assassini solo
in base al ruolo che ricoprono nella piramide sociale, "Restless
Farewell" è la buonanotte alla Dylan, il saluto ad un altro album
perfetto, scandito dalla sua voce, dalla chitarra e (a volte) da
un'armonica leggera. Un vero cantastorie che ha solo un'idea in testa
("Dirò anch'io la mia e rimarrò come sono") e la persegue, con
struggente profondità e indiscutibile classe.
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BOB DYLAN The Times They Are A-Changin'
(Columbia, 1964)
di Raffaele Meale
A neanche un anno dall'uscita di "The Freewheelin' Bob Dylan" che lo
lancia nell'olimpo della musica d'autore mondiale, Dylan si ripresenta
alla ribalta con un nuovo lavoro. E lo fa in maniera dirompente,
lanciando nuove lucide invettive contro un sistema marcio e da
combattere.
"The Times They Are A-Changin'" è il suo album più politico, il più
intransigente, il più impegnato. Fin dalla title-track, trascinante
ballata dagli echi progressisti. I tempi stanno cambiando, grida il
menestrello ai suoi coetanei, e si rivolge di seguito agli intellettuali
("Who prophecie with your pen"), ai gestori del potere ("c'è una
battaglia fuori che infuria, e presto scuoterà le vostre finestre e farà
tremare i vostri muri"), ai genitori, ai quali viene chiesto di non
criticare quello che non possono capire.
Sempre più capopopolo, Dylan traccia la strada, e la nuova via è fatta
di libertà ("The order is rapidly fading"), consapevole che la sua non è
comunque una rivoluzione definitiva ("Il presente di adesso domani sarà
passato"). Molto più cinico e doloroso il tono di "Ballad of Hollis
Brown", dove viene raccontata la vita di un povero uomo della periferia,
nel Sud Dakota, portato dalla disperazione e dalla disoccupazione ad
assassinare la propria famiglia. Splendida la strofa finale, nella quale
la storia assurge a resoconto dell'universo ("Sette le persone morte in
un podere del Sud Dakota, sette sono i nuovi nati da qualche parte nella
vallata"), dimostrazione di come nulla sia solo un episodio.
Tocca poi a "With God on Our Side", dove si narrano le gesta infami
della politica estera statunitense, in un crescendo di rara angoscia
("La seconda guerra mondiale finì, abbiamo perdonato i tedeschi e poi
siamo diventati amici. Anche se hanno assassinato sei milioni di persone
bruciandoli nei forni, anche i tedeschi hanno Dio dalla loro parte") che
culmina nello slogan finale, stanco ma risoluto e in fin dei conti
ottimista ("Se Dio è dalla nostra parte impedirà la prossima guerra").
Abbandonata per un attimo la contestazione Dylan si sofferma dolcemente
sul mito del vagabondo, ancora forte nella sua poetica, nella
malinconica e assolata "One too Many Mornings" per poi raccontare una
vecchia storia del west, la vita di una donna scandita dal ritmo della
miniera di ferro in "North Country Blues". Ancora un inno antirazzista
in "Only A Pawn in their Game" ("Gli viene insegnato fin dall'inizio che
le leggi sono con lui per proteggere la sua pelle bianca , per
rinfocolare il suo odio") e poi ancora amore vagabondo in "Boots of
Spanish Leather".
"When the Ship Comes In" è una ballata dai toni profetici (quelli che
irromperanno di lì a poco con veemenza), "The Lonesome Death of Hattie
Carroll" è uno straordinario inno dei diritti civili, atto di accusa
contro l'ingiustizia dei tribunali, pronti ad assolvere assassini solo
in base al ruolo che ricoprono nella piramide sociale, "Restless
Farewell" è la buonanotte alla Dylan, il saluto ad un altro album
perfetto, scandito dalla sua voce, dalla chitarra e (a volte) da
un'armonica leggera. Un vero cantastorie che ha solo un'idea in testa
("Dirò anch'io la mia e rimarrò come sono") e la persegue, con
struggente profondità e indiscutibile classe.
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Gli anni sessanta americani saranno per sempre etichettati come quelli
della rivoluzione. Della nascita dei movimenti hippy e pacifisti.
Iniziamo con Bob Dylan e The times they are a-changin, annuncio
dell’avvento di una nuova generazione di cui la vecchia dovrà tener
conto. Siamo nel 1964 e la canzone anticipa i tempi e lo stesso Bob
Dylan prenderà strade che lo porteranno lontano dal movimento di
protesta nascente.
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Mr.Tambourine
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