Durante la prima crociata i
francesi andavano all'attacco gridando "niente pace, Satana, niente pace
Satana, alle armi!" Ovvero "Pas paix Satan, pas paix satan, à l'epée".
Pape (o papè) potrebbe essere una resa del termine latino papae, greco
papa? Papaí, un'interiezione di stupore o di stizza, attestata negli
autori antichi (come il nostro Accidenti!).
Aleppe potrebbe derivare da alef, la "A" dell'alfabeto ebraico (già alep
in quello fenicio, che divenne alfa in quello greco). La deformazione
fonetica di alef in aleppe sarebbe analoga a quella del nome Yosef in
Giuseppe. In ebraico alef significherebbe anche "numero uno", ovvero "il
principio che contiene il tutto" e ciò corrisponderebbe a un attributo
della maestà di Dio. Nel tardo medioevo un'espressione del genere sarebbe
stata in uso interezione (come oddio!). Quindi la frase sarebbe,
assieme all'interpretazione di altri esegeti, un miscuglio di latino
(papae, genitivo di papa), greco (satan, col significato di "avversario")
ed ebraico (aleph o alef prima lettera dell'alfabeto ebraico) e
significherebbe "Primo nemico del papa".
Quanto allo spirito con cui le parole vengono pronunciate, le proposte
fondamentali sono cinque: si tratta di un grido di meraviglia; di dolore;
d'invocazione a Satana; d'ira; di minaccia. Molti tra gli antichi
commentatori e non pochi tra i moderni vedono in pape (papae) un termine
latino, noto ai lessici medievali, già proprio del linguaggio comico
classico, e analogo a forma greca: una interiectio admirantis,
un'interiezione di meraviglia equivalente ad un "oh!". Così, tra gli
altri, Graziolo, le Chiose Selmi, Lana, Pietro, il Campi, oggi il Sapegno.
Come osserva il Petrocchi, anche se non si possa avere la certezza
dell'interpretazione, non esistono interpretazioni " altrettanto
soddisfacenti ".
Il testo adunque e la situazione narrativa offrono come possibili tali
interpretazioni. L'interpretazione linguistico-letterale non serve a
favorire più l'una che l'altra, perché l'acume dei commentatori ha reso
giustificabili non poche interpretazioni, e proprio facendo forza sul dato
linguistico.
Molti commentatori sono favorevoli a vedere nell'espressione l'uso della
lingua ebraica: " Splendi, aspetto di Satana, splendi, aspetto di Satana
primaio " (Lanci); " Qui qui, Satana è imperatore " (Venturi, Cesari); "
Vomita:, bocca di Satana, fiamme di fuoco " (Schier).
Per altri si tratta di lingua greca, sin da Benvenuto (aleph è greco, per
vide): " Ah, ah, Satan, ah, ah, Satan invitto " (Olivieri); " Poffardio,
Satana, dei vagabondi s'inoltrano a questa volta " (Fraticelli, Walter); "
Oh, ribelle, oh, ribelle, ah ! vattene via " (Monti); " Come, o Satanasso,
come, o Satanasso, principe dell'Inferno, un audace mortale osa penetrare
qua entro? " (Puccianti).
Altri dicono si tratti di espressione in lingua araba, o in ogni caso di
lingua semitica: " La porta dell'Inferno ha vinto " (Scarafoni); " È la
porta di Satana, è la porta di Satana, fermati " (Troni); " Sì, la porta
di Satana, sì, la porta di Satana ha vinto " (Barbera): similmente il
Tini, l'abate Marta e parecchi altri.
Per un ristretto gruppo di studiosi, si tratterebbe di un'espressione
dialettale (si è visto in essa anche il dialetto modenese): "Oh ribelle,
oh ribelle, oh leppa " (Monti); " Sorgi, Satana, aiutami, affrettami
alleppare " (Torquati; ? alleppare ' significherebbe " fuggire ", da
radice di origine greca); " Satanasso, alleppate, alleppate,
andatevene al diavolo " (Amari, citato dal Vaccalluzzo).
Per altri si tratta invece di lingua inglese (help, " aiuto ": Valgimigli)
o persino di dialetto maltese (Giglio, Manara). Numerosi i sostenitori di
un' espressione in lingua francese, che avrebbe significato una battuta
polemica contro l' ingordigia della casa di Francia (e per il Dionisi Pluto
sarebbe allora Filippo il Bello): così sin dalla nota interpretazione del
famoso cesellatore Benvenuto
Cellini (" Paix, paix, Satan, paix, paix, Satan, allez! paix ", Vita Il
27), seguito poi dal Perazzini e dal Dionisi; il Vigliecca: " Pas paix,
allez, pas paix "; lo Scolari e il Ventura: " Paix Satan, paix Satan, à
l'épée "; il Fantoni: " Paix Satan, paix Satan, à l'épais " (al sodo); il
Coltelli: " Paye ça tant, allez, paye ".
La scelta di un'interpretazione puntualmente linguistica non offre, come
si vedrebbe ancor meglio se si riferissero tutte le sottili osservazioni
degl'interpreti, una possibilità d'interpretazione esclusiva, aumenta anzi
l'area delle incertezze. Non più convincenti in questo caso neppure le
tesi che propongono un eventuale linguaggio misto, bilingue,
greco-ebraico, francese-arabo (Mignon), latino-ebraico (Rossetti,
Pietrobono), o trilingue (Sarolli).
A rendere ancor più complesso il quadro ermeneutico, si aggiungono poi le
interpretazioni più originali e personali, che in questo come in casi
consimili non sono certo meno numerose delle più documentate: " Al papa
Satanno, al papa Satanno, aiuto " (Rossetti); " Oh, un nemico, un grande
nemico ! " (Di Cesare: ma non si può precisare se il nemico sia Virgilio o
D.); " Padre Satana, ali ai piedi " (Ravazzini); " Pesa, pesa tante pene
al papa " (Picci); " Olà nemico, olà nemico, oh! " (Scherillo); " Al Papa
nemico, al Papa nemico primo " (Porena: D. sarebbe nemico di Bonifacio,
che è carissimo invece a Pluto, dio della ricchezza: tesi ripresa da
Bertha Marti); " Oh capo Satana assente ", " O Padre, tu sei Dio "
(Perrone-Capano). Per altri infine si tratta di una congerie di nomi di
demoni, che Pluto chiama a raccolta (Cardona).
È inutile dire che ogni saggio è ricco di osservazioni parziali
intelligenti e a volte anche stringenti, in alcuni casi (si pensi al
Perrone-Capano) con precisi riferimenti anche di carattere paleografico
oltre che linguistico. L'inquietante ricchezza di proposte ha dunque fatto
sì che tra alcuni moderni prevalesse una tesi scettica: si tratta di
parole senza un preciso comprensibile significato, o perché appartenenti a
un linguaggio demonico, o perché dovute allo sconvolgimento dell'ira: così
sostengono ad esempio il Grabher, il Momigliano, il Montanari, il
Malagoli.
L'aiuto per cercar di dare una risposta al problema si può dunque ricevere
ritornando ancora una volta al contesto. Dal contesto ad esempio appare
chiaro che quelle parole qualcosa dovevano significare, e che Virgilio le
comprese. Se si dovesse proporre una prima indicazione, si potrebbe
osservare anzitutto che le parole sono rivolte quasi sicuramente a Satana,
come si ricava dal contesto in via diretta (Satàn) e in via indiretta
(Virgilio oppone a Satana Michele: e Satana è per Pluto quello che
l'albero per la vela). Data poi la costante coerenza psicologica del
personaggio dantesco con sé stesso e con le condizioni della propria vita,
è inutile pensare che una divinità della mitologia greca (la questione se
si tratti di Pluto o di Plutone in questo caso non ha rilievo) parli altra
lingua che non la propria, il greco: pape latino in realtà può derivare
benissimo dal greco papa?, come si è detto, e aleppe può ricollegarsi,
anche paleograficamente, al greco, poiché può derivare da aleph, metatesi
per alpha, " il primo " (Perrone-Capano). La proposta d'interpretare
letteralmente il verso: " Oh Satana, oh Satana Dio ", come voleva il
Guerri, e secondo l'interpretazione di gran numero di commentatori, sembra
convincente. Che Pluto usi invece un linguaggio misto, greco, latino,
ebraico, meno convince, perché la mistione di ebraico e latino di Pd VII
1-3 citata dal Pietrobono si giustifica come formula del linguaggio
liturgico nel Paradiso, non nell'Inferno. Nell'Inferno il linguaggio è
ancora quello dell'uomo antico, non dell'uomo nuovo, e tanto più tra
custodi infernali.
Quanto al significato dell'intera esclamazione, non sembra assurdo pensare
siano espressi qui due movimenti diversi dell'animo, dapprima la
meraviglia (non diremmo l'amirazione: né la derivazione da noi accolta di
pape dal linguaggio comico la giustificherebbe), quindi l'invocazione a
Satana; ma Satana è invocato per rabbia, per richiesta d'aiuto, per
minaccia quindi indirettamente: l'ira, il bisogno di aiuto, la minaccia
sono tutte realtà in nuce nelle parole di Pluto. Soprattutto, per analogia
con altri incontri infernali, l'ira.
L'analisi più estesa della situazione narrativa confermata dall'analisi
linguistica del testo sembra dunque confluire a sostegno della proposta
già avanzata dal Guerri e oggi, con nuove attestazioni, dal Pagliaro. È
evidente che il verso rimane aperto a ogni interpretazione, e pure tra i
problemi della crittografia dantesca non solo questo non sembra il più
grave ma neppure quello la cui soluzione risulti, in base a precisi
elementi di razionalità, particolarmente ardua. Si accetti
l'interpretazione dei familiari D., quella del Guerri o quella del
Pagliaro, ognuna di esse induce a ogni modo a dare al verso una sola
possibilità di trascrizione ermeneutica, che sembra poi più criticamente
giustificata.
Una traslitterazione dal francese è proposta anche da Benvenuto Cellini
nella sua Vita (1558-1562), dove dichiara di aver sentito dire quella
frase ("Phe phe Satan phe phe Satan alè phe") durante una lite a Parigi e
che traduce come: "Sta' cheto, sta' cheto, Satanasso, levati di costì, e
sta' cheto!" (2, XXVII).
(Fonte:
http://www.treccani.it/enciclopedia/pape-satan-pape-satan-aleppe_(Enciclopedia-Dantesca)/
)
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Chi entri nel sovrano tempio della cristianità, il San Pietro di Roma, che
rappresenta in terra la soglia del Paradiso, sia egli credente o no, si
vede accolto da queste profetiche e insieme minacciose parole, scritte ad
enormi caratteri sulla circonferenza basilare interna della cupola:
PORTAE INFERI NON PRAEVALEBUNT ADVERSUS EAM.
Sono prese ad imprestito dal Vangelo di Matteo (capo XVI, V. 18): sono la
promessa di Cristo, l' anima della indefettibilità della Chiesa.
Ora domando io: alla soglia dell'Inferno, e sulla enfiata labbia di
Plutone, che è spinto a fare maggiore sfoggio del suo potere dalla
presenza del cristiano che s'avanzava, Dante, quali altre parole , se non
il rovescio di quelle, avrebbe potuto mettere il poeta, per essere
interprete vero e fedele della situazione creatasi nella sua mente?
E per vero
Pape Satan, pape Satan aleppe
sono, parola per parola, le ebraiche:
Bab e-sciatan, Bab e-sciatan alep;
cioè:
porta Inferi, Porta Inferi praevaluit
– la porta dell'Inferno, la porta dell'Inferno prevalse.
Pape è la voce caldaica Bab (?? ) cioè porta.
Satan è la voce ebraica Sciatan ( ??? ) cioè diavolo.
Aleppe è la voce ebraica Aleb ( ??? ) cioè prevalere, opprimere.
E-sciatan è il genitivo costrutto della voce ebraica Sciatan, e significa
del diavolo.
È da osservare, per chi nol sapesse, che ebraico e caldaico sono due
lingue di tale affinità che nella Bibbia molti libri che sono scritti in
caldaico passano per ebraici.
Quanto al b ebraico diventato p sotto la penna di Dante deve avvertirsi
che esso ha subito la sorte ordinaria del b semitico in bocca latina. Così
il p latino diventa b in bocca semitica. Un arabo che voglia pronunziare a
mò d'esempio la voce popolo dice infallibilmente bobolo. Quelle due
lettere si danno il cambio a seconda del paese.
Quanto al raddoppiamento della consonante p in aleppe, mentre la voce
ebraica è aleb, è da osservare che era richiesto dal verso e anche dal
genio della lingua italiana. Così pure un italiano pronunzia difficilmente
la parola lapis, che è pure della lingua: senz'accorgersene dice lapise.
Sono difficoltà che un semitista non muoverebbe di certo; e neanche chi
fosse solo iniziato agli studi linguistici. Pure io cerco di moltiplicare
le obbiezioni, perchè il dubbio che una difficoltà puerile potesse alle
volte mettere in forse questa interpretazioue, mi fa guardingo di
soverchio.
Non so se in Italia, dove pochissimi si occupano degli studi semitici,
essa potrà essere favorevolmente accolta dagli interpreti e dai lettori
del divino poema; ma in Malta, in quest'ultimo sasso d'Italia, dove per
una stranissima anomalia etnografica la lingua parlata è schiettamente
semitica, cioè affine alla fenicia, punica, ebraica, caldaica ed arabica,
l'interpretazione che ho esposta è da tempo l’unica accettata, perchè le
voci del verso dantesco sono del linguaggio comune. Chi infatti
prescindendo da quel verso, anzi del tutto ignorandolo, volesse tradurre
in dialetto maltese questo pensiero eminentemente orientale: la porta
dell’Inferno prevalse, dovrebbe dire così e non altrimenti:
Bap e-scitan, bap e-scitan alep.
E si osservi che in maltese il b ebraico finale diventa p, come nel verso
dantesco, e ciò perché nei maltesi il genio semitico è sposato al latino;
infatti la lingua scritta del paese è l’italiana, come italiana è la
maggior parte dei cognomi di famiglia.
Col soccorso di questa interpretazione, dovuta ad un orientalista maltese,
il signor Ferdinando Giglio, le parole d'incoraggiamento che Virgilio
rivolge a Dante si spiegano benissimo.
Dante osa inoltrarsi nell'Inferno perchè si fa forte dell'egida di Dio.
Trovatosi di fronte Plutone, che pecca sempre di superbia, epperò accoglie
il sopravenuto colla minaccia della propria onnipotenza, cioè col vanto
che il principio del male aveva trionfato del principio del bene, Dante
s'impaura. Ed ecco soccorrerlo Virgilio esortandolo a discacciare la sua
paura, chè, poter che abbia, Plutone è impotente contro i due poeti, e
rintuzzando la vanteria di Plutone col ricordargli che v' è altri
superiore alla sua potenza, perchè Vuolsi così colà dove si puote Ciò che
si vuole.
E questa interpretazione spiega pure perché Dante avesse così gelosamente
custodito il segreto di quel verso enigmatico. E per vero egli avrebbe
messo a serio repentaglio la fortuna del proprio libro se l'avesse
svelato. Niun pontefice avrebbe permesso, anche in bocca a Plutone,
l'audace smentita alla promessa fatta da Cristo che le porte dell'Inferno
non avrebbero giammai prevalso.
Sembra però che Dante rinunciasse malvolentieri alla futura
intelligibilità di quel verso, e gli sorridesse la speranza che i posteri
ne sarebbero venuti a capo. E si provò fors'anche ad ajutarli nel
difficile compito, badando però soprattutto a non iscoprirsi di troppo.
M'induce in questa credenza l'aver osservato che mentre il primo verso del
settimo canto dell'Inferno è scritto in una lingua non dichiarata
dall'autore, per contrario il primo verso del settimo canto del Paradiso
comincia con parole notoriamente ebraiche e caldaiche.
Gli antichi si dilettarono parecchio di questi contrasti; e vi mettevano
una certa tal quale malizia.
Valletta (Malta), 26 Novembre 1888.
Dott. Ernesto Manara
(Fonte:
http://www.classicitaliani.it/dante/critica/manara_papesatan.htm )
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