Vi allego questa foto di Bob e Joe assieme nel 1986, in quell'anno vidi
per la prima volta Cocker a Padova, l'ho rivisto a Lucca tre anni fà....
un leone !
With a Little Help from my Friends resterà
per sempre un'esempio della creatività e della genialità che c'era in
quegli anni, a mio parere è la stata la migliore cover della storia del
rock, nel mio "personal juke box" c'è anche la sua versione Ring Them
Bells del 2007... Goodbye Joe !
Auguri a tutti i dylaniati della fattoria !!!
Grazie Maurizio, allora
ecco per tutti Ring Them Bells!
e naturalmente la mitica
"With a little help from my friends" nel mitico scenario di Woodstock
con The Grease Band!
Joe Cocker vocals,
Henry McCullough guitar, Alan Spenner bass, Chris Stainton keyboards,
Bruce Rowland drums, Bobby Torres congas. Rowland, Spenner, e
McCullough, con l'aggiunta dell'ex-chitarrista ritmico del gruppo Neil
Hubbard, suoneranno in seguito tutte le canzoni della colonna
sonora di Jesus Christ Superstar. McCullough, lasciata la Grease Band,
sarà per anni il chitarrista dei Wings di Paul McCartney.
Tanti auguri di buone feste da parte mia
e da mia moglie Giuliana.
E sempre moltissimi complimenti per il tuo e, devo dire, Nostro
sito.............
L'amico Marcello
Grazie per gli auguri
che contraccambio con gioia, e lasciamo farti i complimenti perchè hai
capito il vero sprito di Maggie's Farm, il posto è davvvero Vostro,
anche se per forza di cose lo gestisco io. Colgo l'occasione per fare
gli auguri a tutti e prendermi qualche giorno di riposo, ci aggiorniamo
a dopo l'Epifania. Mr.Tambourine, :o)
Ciao Mr.Tambourine,
vorrei ricordare anch’io il grande Joe Cocker condividendo con tutti
questo meraviglioso pezzo.
Gianpaolo.
Joe Cocker - Mad Dogs & Englishmen -
Space Captain
Very kind pensiero
Gianpaolo, credo che davvero tutti i Maggiesfarmers condivideranno con
gioia questo stupendo brano scritto da Mattew Moore che è uno scrittore
e musicista che ha fatto parte del coro dei Mad Dogs & Englishmen
assieme al fratello Daniel Moore, Pamela Polland, Nicole Barclay e Bobby
Jones soprannominati "Space Choir". L'espressione "Mad Dogs &
Englishmen" è diventata una frase di slang per indicare quelle persone
che fanno delle cose assurde. Nasce dall'insana abitudine dei titolati
inglesi di giocare a polo in India nei torridi pomeriggi estivi con
senso satirico nei loro confronti, infatti significa che solo dei cani
arrabbiati e degli inglesi possono rimanere a cuocere sotto il sole a
picco senza una valida ragione (giocare a polo non è una valida ragione
per farsi friggere il cervello). L'espressione fu usata per la prima
volta nel 1932 da Noel Coward che scrisse appunto la canzone che
intitolò "Mad Dogs & Englishmen" che canzonava più in generale le
strane abitudini degli inglesi, e conteneva la frase "Only Mad Dogs and
Englishmen Go Out in the Mid-day Sun", probabilmente la frase era stata
ispirata dal romanzo "Kim" di Rudyard Kipling che contiene la frase
"Only the devils and the English walk to and fro without reason". La
denominazione era perfetta per la banda di sciammannati messa insieme da
Leon Russel per accompagnare Cocker nella sua tournee americana nella
quale le leggi americane imponevano allora (oggi non saprei se sia
ancora così) agli artisti stranieri l'uso di musicisti locali per i loro
spettacoli, quindi il tour che si svolse nel 1970 in 52 città americane
prese questo satirico ed azzeccato nome. Il pezzo che tu hai suggerito è
super, così come l'arrangiamento di Russel e la prestazione di musicisti
e coristi, ma sinceramente, se andiamo a cercare i pezzi di quel tour su
Youtube sono tutti uno più bello dell'altro, daltronde quando cantanti e
musicisti sono dei grandi è assai probabile che dal connubio escano cose
irripetibili come "Joe Cocker Mad Dogs & Englishmen". In questo caso non
mi sento di dire alla prossima perchè stiamo parlando di un artista che
ci ha lasciato un profondo segno nel cuore con la sua scomparsa. Grazie
ancora, Mr.Tambourine, :o)
Martedi 23 Dicembre 2014
Ciao Joe!
Ti vidi allo stadio Dallara di Bologna, credo fosse il 1971 o
forse il 1972, con
una band che imitava i Mad Dogs & Englishmen, ma la magia di quel
fenomenale gruppo di musicisti non c’era più. L’unico rimasto di quella
straordinaria band era il pianista Chris Stainton che gli sarà fedele
per tutta la sua carriera. In quei giorni Joe, il grande Joe, l’uragano
che aveva spazzato il palco del “Woodstock Festival – Three days of
Peace, Love and Music” nella conca di Bethel, Contea di Sullivan, stato
di New York, stava già annegando nella piaga dell’alcool che l’avrebbe
tenuto lontano dalle scene per moltissimi anni. Sul palco dello stadio
di Bologna, vicino al suo microfono, c’era il pianoforte a mezza coda di
Chris, e sul piano c’erano due bottiglie di Johnny Walker etichetta
rossa. In due ore di concerto Joe se le scolò come se fossero state
bottiglie d’acqua. La voce c’era ancora, rauca, graffiante, potente,
strozzata e tirata fino all’inverosimile per la gola di un uomo normale,
ma Joe aveva una gola unica che sopportata qualunque cosa. Certro
mancava la magia del suond di Leon Russell (guitar, keyboards), Don
Preston (guitar, vocals), Carl Radle (bass), Chris Stainton (keyboards),
Jim Price (trumpet), Bobby Keys (sax), Chuck Blackwell (percussion,
drums), Sandy Konikoff (percussion), Bobby Torres (percussion), Jim
Gordon (drums), Jim Keltner (drums), Rita Coolidge (vocals), Claudia
Lennear (vocals), Daniel Moore (vocals), Donna Weiss (vocals), Pamela
Polland (vocals), Matthew Moore (vocals), Donna Washburn (vocals),
Nicole Barclay (vocals), Bobby Jones (vocals), ed infine Canina, la
cagnetta bianca e nera mascotte di quella irripetibile tour. Niente e
nessuno potè mai paragonarsi a Cocker ed ai Mad Dogs & Englishmen, ma
quella sera a Bologna Joe e Chris c’erano e ci regalarono due ore di
“magia figlia di un dio minore” ma sempre magia. Lo rividi forse
vent’anni dopo a Milano, fisico inciccito, capelli corti e barbetta,
sembrava un altro, ed effettivamente lo era, anche la voce non aveva più
la fantastica potenza, la gola e le corde vocali, dopo tanti eccessi
avevano ceduto. Era sempre emozionate e bello ascoltarlo, anche se era
l’ombra di Joe Cocker, ma questo nulla toglieva al suo valore, era solo
la voce che era diversa, più pacata e oserei dire più intonata senza più
le pazzesche urla che facevano di tutto per disintegrarla. Quello che ci
ha lasciato è questo Joe, avvolto quasi nella normalità dall’età che
inesorabilmente era avanzata, invece il Cocker di Woodstock e dei Mad
Dogs è da anni parte insostituibile di una leggenda musicale
difficilmente uguagliabile.
Certo, leggere della sua scomparsa è stato un colpo che ha riempito di
tristezza molti di noi, in particolare i suoi contemporanei come me che,
grazie alle persone come Joe, avevano quasi creduto che l’Isola che non
c’è esistesse davvero.
Caro Joe, ora puoi finalmente riposare in pace, e quando penserò a te
sul mio viso spunterà un sorriso di simpatia e le mie labbra diranno
“Per la miseria Joe....eri........” ma poi queste poche misere parole
lasceranno sempre il posto alla commozione ed ad un groppo alla gola.
Mr.Tambourine
On Stage:
Joe Cocker - vocal
Eric Clapton - guitar
Andy Fairweather Low - guitar
Bill Wyman - bass
Chris Stainton - keyboards
James Hooker - keyboards
Ian Stewart - keyboards
Charlie Watts - drums
Kenny Jones - drums
Ray Cooper - percussion
Domenica 21 Dicembre 2014
LIBRI: "Musica e pubblico giovanile" di
Alessandro Carrera
clicca qui
Sabato 20 Dicembre 2014
La canzone non riconosciuta di Bob Dylan
era "Key To The Highway"
By Stephen Pate
"Key To The Highway" è la canzone ha sconcertato il fan svedese nello
one-man-show di Bob Dylan, ma è un noto blues.
"Key To The Highway" è la canzone blues che Fredrik Wikingsson di
Experiment Alone non ha riconosciuto. Fra le quattro suonate da Bob
Dylan nel suo solo concert è stata la quarta. Come ultima canzone allo
one-man-show presso l'Accademia di Musica di Philadelphia Dylan ha
suonato "Key To The Highway", con un groove lento ed un testo diverso,
ma questa non è una cosa insolita nel blues.
Charles Segar e Big Bill Broonzy
"Key To The Highway" è stata scritta da Charles Segar e Big Bill Broonzy
circa nel 1940. Segar ha rivendicato la canzone come sua, ma ha ammesso
di averla tratta da un brano molto più vecchio che circolava tra gli
artisti blues negli Stati Uniti del sud. "Alcuni dei versi che Charlie
Segar cantava nel Sud erano gli stessi che cantavo io. In pratica tutti
i blues sono solo dei piccoli cambiamenti di altri blues, qualche
parola, il modo di cantare, i blues che sentivo quando ero un bambino
... Tu prendi una canzone e ne puoi fare scaturire altre cinquanta...
basta cambiare un pò le parole. (Big Bill Broonzy)
Big Bill Broonzy (1893 - 1958) è stato un cantante e chitarrista blues,
con più di 300 canzoni al suo attivo. In origine, artista del sud
country blues, era uno esecutore e sviluppatore precoce dello stile del
blues di Chicago reso popolare dalla Chess Records. Broonzy, nato Lee
Conley Bradley, era un musicista eccezionalmente dotato che ha suonato
nel 1938 al concerto “Spitituals to Swing” alla Carnegie Hall. Aveva uno
stile chitarristico unico e complicato. Happy Traum, amico di Bob Dylan
e maestro di chitarra, ha preso lezioni da Big Bill e come la maggior
parte delle persone considera il suo stile difficile da padroneggiare.
Intuendo il crescente interesse per la musica popolare, Big Bill tornò
allo stile di suonare la chitarra acustica e si affermò come un artista
importante sulla scena della musica folk nel 1950.
Little Walter
Big Bill Broozy morì nel 1957. Little Walter (1930-1968) l'uomo che ha
creato il blues moderno amplificando l’armonica, ha registrato "Key to
the Highway" come tributo a Big Bill Broonzy.
Little Walter, nato Marion Walter Jacobs, è stato il primo suonatore ad
amplificare l’armonica con un microfono collegato ad un amplificatore a
valvole. La sua tecnica di distorsione del suono dell’armonica ha
cambiato l’armonica blues per sempre. Ci sono solo due persone che si
sono emulate suonando l’armonica blues, Sonny Boy Williamson e Little
Walter.
Originariamente era un membro della banda di Muddy Waters e della
home-band della Chess Records, Little Walter è stato uno dei primi
artisti del dopoguerra sulla scene blues di Chicago. Stufo di essere
sempre un sideman, Little Walter si esibibì con una propria band dal
1952 in poi. Little Walter ha avuto 14 top-ten nella classifica di
Billboard R & B.
Eric Clapton
"Key to the highway" è stato registrata da diversi artisti, tra i quali
Eric Clapton. Eric ha registrato la canzone con Derek and the Dominos
come una road-house blues sul disco “Layla and Other Assorted Love
Songs”.
Successivamente Clapton è tornato allo stile acustico di Big Bill
Broonzy per la versione su “Eric Clapton Unplugged”.
Il suo duetto con B.B. King è un’altra versione ancora migliore della
canzone.
Bob Dylan
Bob Dylan ha inserito "Key to The Highway" nel suo Theme Time Radio Hour
show tratto dal bootleg “Bob Dylan - The Genuine Never Ending Tour
Covers Collection 1988-2000”.
La versione di Bob Dylan "Key to the Highway" è stata registrata a casa
di Toad (New Haven, CT), il 12 gennaio 1990 secondo Eyolf Ostrem (Dylan
Chords).
Ho trovato la registrazione e messo insieme questo video che permette di
sentire Dylan suonare la versione stile elettrico della canzone.
Bob Dylan è un'enciclopedia ambulante della musica e delle ballate della
guerra civile, balllate marinaresche, folk, country, rock, pop e blues.
Gli piace far cover di canzoni di altri, il che significa che i suoi fan
hanno una vasta scelta di musica da sentire una volta che iniziano ad
ascoltare i suoi bootleg.
1. I'm A Fool To Want You
(Frank Sinatra, Jack Wolf, Joel Herron)
Registrata per primo da Sinatra a New York nel 1951, “I'm A Fool To Want
You” da allora è stata coverizzata da una pletora di cantanti, da Billie
Holiday a Carly Simon e anche dalla Interpol Paul Banks. La versione
originale presentava i cori epici alla Ray Charles Singers, così chiamati
da Perry Como dopo che Charles aveva lavorato come arrangiatore e
direttore del gruppo corale che cantava nello show televisivo di Perry
Como per oltre tre decenni.
2. The Night We Called It A Day
(Matt Dennis, Tom Adair)
Squisitamente suonata da Chet Baker, questo è uno dei più dolci e più
celebri pezzi del duo di compositori Dennis/Adair. I due si incontrarono
in un club di Los Angeles nel 1940 e scrissero insieme numerose canzoni
per film (non ultimo Disney) e per i musicals di Broadway.
Dennis/Adair sono stati inseriti nella Songwriters Hall of Fame nel
2010.
No, non una cover di Sam Smith tipo gospel-feste sante con uccellini che
cinguettano, Stay With Me è stata originariamente scritta nel 1963 per
il film drammatico di Otto Preminger “The Cardinal” da Jerome Moross, un
compositore noto anche per aver scritto le musiche nel 1960 di “Le
avventure di Huckleberry Finn”, questa volta con l’aiuto della
scrittrice di testi Carolyn Leigh. Questa registrazione di Sinatra fu
inserita nel suo album compilation “Sinatra ’65: This Singer Today”, un
album il cui titolo può o non può parodiare il titolo dell’album dei
Beatles “Beatles '65”.
Uno degli standard più famosi del mondo nell’album di Dylan, molti
sapranno riconoscere questa canzone come un lavoro di melanconia
acustica di Eva Cassidy. La canzone è infatti di origine francese,
chiamata “Les Feuilles Mortes” (Le foglie morte), con il testo
caratterizzato dalla influente poetica dello scrittore francese Jacques
Prévert, che ha anche scritto la sceneggiatura del film di Marcel Carné
“Les Portes de la Nuit” che fece la prima apparizione nel 1946. La
canzone è famosissima nella versione di Yves Montand.
5. Why Try To Change Me Now?
(Cy Coleman / Joseph McCarthy)
Fiona Apple è tra gli artisti moderni che hanno contribuito alle molte
versioni di questo classico di Cy Coleman, che ebbe una stretta e
turbolenta collaborazione creativa con la co-scenegguatrice Carolyn
Leigh. La canzone è stata scritta appositamente per l’ulbum del 1959 di
Sinatra “No One Cares”, una raccolta di ciò che il cantante definì
“canzoni da suicidio”.
6. Some Enchanted Evening
(Richard Rodgers / Oscar Hammerstein II)
Dal primo atto di “South Pacific” ecco uno dei gioielli della corona dei
due re del musical Rodgers e Hammerstein, scrittori di “The Sound of
Music”, “The King and I” e “Oklahoma”. South Pacific ha debuttato a
Broadway nel 1949 e rimase in cartellone per più di cinque anni,
guadagnandosi il premio Pulitzer 1950 per il dramma.
7. Full Moon And Empty Arms
(Buddy Kaye / Ted Mossman)
Un altro “colpo” di Sinatra! Frank fece questa registrazione nel 1945, e
da allora è stato coverizzato da Sarah Vaughan e Jerry Vale, The
Platters, tra gli altri. Lo scrittore Buddy Kaye composa anche numerosi
hits Ella Fitzgerald, Dinah Washington, Dusty Springfield ed Elvis
Presley, ed ha anche vinto un Grammy per il suo lavoro con l’attore
gallese Richard Burton per la lettura del “Piccolo Principe” nel 1975.
La prima registrazione fu cantata da Gertrude Niesen, inserita nel film
del 1937 film “Top Of The Town”. Sinatra ha riscoperto questa canzone
sul suo omonimo album circa 20 anni dopo, e da allora è stata
ricoverizzata da Shirley Bassey, Aretha Franklin e dal sassofonista jazz
Sonny Rollins.
Rifatta nel 974 da Jack Clayton per il film di F. Scott Fitzgerald “Il
Grande Gatsby”, la canzone risale in realtà risale al 1923, quando fu
eseguita dai cantanti Grace Moore e John Steele teele al The Box Theatre
Music di New York . Dal momento che questo pezzo entrò nel repertorio di
decine di artisti, tra cui Alison Krauss, Judy Garland, Frank Sinatra,
Art Garfunkel, Linda Ronstadt, Harry Nillson e Alvin And The Chipmunks.
10. That Lucky Old Sun
(Beasley Smith / Haven Gillespie)
Frankie Laine ha debuttato con questa canzone nel mese di agosto del
1949, ma questo non ha impedito a Frank Sinatra di pubblicare la sua
versione in competizione con quella di Laine solo due mesi più tardi.
Johnny Cash può essere annoverato tra coloro che hanno registrato una
versione di questo classico contemplativo, insieme a Jerry Garcia, Louis
Armstrong, Leon Russel e Willie Nelson.
Oggetto: biglietto concerto Joan Baez
- Roma 10 Marzo 2015
Carissimo Mr. Tambourine e carissimi
Farmer,
ho un biglietto in più per il concerto di Joan Baez del 10 marzo 2015 a
Roma.
Purtroppo, con mio grande dispiacere, non
potrò recarmi al concerto per sopraggiunti impegni di lavoro. Se qualcuno fosse interessato glielo
vendo a € 30 invece di € 42,44 che mi è costato.
Potete contattarmi a questo indirizzo mail:
ziobob41@gmail.com
Approfitto per augurare a tutti BUONE FESTE.
Ciao, a presto, Biagio Gagliano.
Amici romani, non
lasciatevi sfuggire questa occasione!!!!!!!
Ciao Mr Tambourine,
dici? A me invece il blues in questione sembra proprio "Key to the
highway", riguardo al testo Dylan nell'unica strofa che ho sentito canta
qualcosa tipo:
so long baby
so long baby
well i just gotta to say
i gonna roam this highway
until the day i die
che sembra solo una delle tantissime varianti sul tema di questo
fantastico blues!
ciao alla prossima, Gian
Ciao Gian, a me sembra di sentire che dica:
so long baby
so long baby
when on? i just had to say goodbye
i'm gonna slow? this highway dawn?
until the day i die
Purtroppo il filmato ci fa vedere solo il finale del pezzo, e a
causa della mia scarsa competenza in inglese ho messo dei punti
interrogativi sulle parole che mi suscitano dubbi di interpretazione
anche se hanno senso tradotte in italiano. Spero che qualcuno dei nostri
lettori che parli e capisca fluentemente l'inglese, meglio ancora se madrelingua,
si prenda la briga di ascoltare e risolvere questo piccolo problema di
testo. Probabilmente quella di Dylan è una delle tante interpretazioni
di questo celebre blues. Posto ancora il link filmato, basta andare al
minuto 9,45 per sentire le parole:
Dylan ha suonato
questa canzone solo due volte dal vivo,
la prima volta il 12 gennaio 1990 alla "Toad's Place" di
New Haven, CT, e la seconda il 23 settembre 1995 al "The Edge" di Fort
Lauderdale, FL, ma purtroppo il sito ufficiale di Bob non riporta il
testo perchè non è una canzone scritta da Bob, inoltre il testo cantato
allora è diverso da quest'ultima esecuzione. Restiamo in attesa che
qualcuno capace più di noi possa illuminarci. Ciao, Mr.Tambourine, :o)
Martedi 16 Dicembre 2014
Talkin' 9514
- gcautiero
Hey Mr,
La quarta canzone da quello che si sente è "Key of the highway" , forse
il più famoso 8 bar blues..
Spero di mandarti un giorno la mia versione :)
Ciao, Gian Jesus
Ciao Gian, anch'io
avevo letto il mese scorso, nel forum di expectingrain.com, questa
dichiarazione ma la cosa non mi ha convinto. Sono andato a cercare il
testo della canzone e non c'è nemmeno una parola di quelle che dice
Dylan che corrisponda. Tieni presente che di blues come questo (con la
stessa disposizione musicale e con parole cambiate) ce ne saranno almeno un
migliaio e forse anche di più. Sono andato anche a sentire la bellissima
versione di Eric Clapton e Keith Richards della quale ti propongo link:
https://www.youtube.com/watch?v=_Kmlk5ll3oE ,
perchè chi ha postato il video ha disattivato la possibilità di
embeddarlo su un altro sito. C'è un'altra versione di questa canzone,
sempre di Eric Clapton, con un tempo più veloce, alla "Sweet Home
Chicago":
https://www.youtube.com/watch?v=jRIeIS1E6Vk , come pure
questa versione di B.B. King e Jeff Beck:
https://www.youtube.com/watch?v=7fuMF3Bjr84 ! Ti dirò che dopo aver
ascoltato la canzone sono meno convinto ancora che Dylan abbia cantato
"Key to the highway" come quarta canzone. In sostanza per me il mistero
rimane ancora e spero prima o poi di riuscire a risolverlo perchè finora
non c'è niente sul WEB al riguardo.
Ecco anche il testo della canzone cantata da Eric
e Keith:
Key To The Highway
(William Lee Conley Broonzy / Charles Segar)
I got the key to the highway
Oh fell Feel like I'm bound to go
I'm gonna leave here runnin'
cause walkin' is much too slow
I'm goin' back to the border
Where I'm better known
Yeah when i leave this town girl
I want be back no more
Oh, give me one one more kiss woman
Just before i go
cause when I leave this town this time, honey
I won't be back no more
Even when the moon peeps over that mountain
Honey i'll be on my way
I'm gonna roam this highway
Until the break of day
So give me one more kiss mama
'cause i must say goodbye
Oh i'm gonna roam this highway
Until the day i die
Avrai notato che le
parole di questa versione sono leggermente diverse da quelle di
precedenti versioni. "Key to the Highway" è un blues standard, inciso per primo dal pianista
blues Charlie Segar nel 1940. La canzone fu registrata anche da Jazz
Gillum e Big Bill Broonzy nel 1940/41, e più tardi divenne un hit R & B
ad opera di Little Walter nel 1958. Da allora, numerosi artisti l’hanno
interpretata, incluso Eric Clapton che ha registrato diverse versioni
della canzone e dalla Steve Miller Band, che la incluse nel suo primo
album “Children of the Future” agli inizi del 1968.
"Key to the Highway" è di solito accreditata a Charles "Chas" Segar e
William "Big Bill" Broonzy. Secondo Broonzy, la canzone è basata su di
un vecchio blues traditional. "Qualche strofa che lui cantava (Charlie Segar)
giù
nel Sud la cantavo anch'io allo stesso tempo. Praticalmente tutti i blues
sono costruiti su dei piccoli cambiamenti dagli originali che sentivo io quando ero
piccolo... Tu prendi una canzone e ne fai altre 50 cambiando un poco le
parole". Il testo di Segar è “simile” o in certi casi identico a quello
registrato da Broonzy and Jazz Gillum.
Eric Clapton ne ha registrato una prima versione nel 1970 con Derek and
the Dominos.
Nel 1964, i Rolling Stones registrarono una versione di "Key to the
Highway" ai Chess Studios di Chicago, ma non fu poi pubblicata. Vent’anni
più tardi, una versione strumentale della durata di 33 secondi di "Key
to the Highway" venne pubblicata alla fine dell’album degli Stones
“Dirty Work”. La canzone, tenuta nel casseto per molto tempo, fu inclusa
in memoria del membro fondatore e primo pianista degli Stones Ian
Stewart che la suonava.
Ci sono altre versioni di numerosi artisti di questa canzone, compreso
B.B. King, John Lee Hooker, Count Basie con Joe Williams, Sonny Terry &
Brownie McGhee, Mance Lipscomb, The Band, Steve Miller Band, Sam
Samudio, Muddy Waters, Jimmy Witherspoon con Groove Holmes, Junior
Wells, Luther Allison, Freddie King, Sonny Landreth, John Hammond,
Snooky Pryor, Carey Bell & Lurrie Bell, Buddy Guy con Junior Wells,
Jo-Ann Kelly, Detroit Junior, Derek Trucks Band e Captain Beefheart.
Per la tua versione sai
come fare, pubblicala su Youtube e mandami il link, alla prossima,
Mr.Tambourine, :o)
Ciao Mr. T,
Ti segnalo le date del tour italiano di Joan Baez, previsto per Marzo:
03/07/15 - Teatro Auditorium Manzoni - Bologna, ITALY
tickets on sale December 8th at Ticketone and VivaTicket
03/08/15 - Teatro Nuovo Giovanni da Udine - Udine, ITALY
tickets on sale December 8th at Ticketone and VivaTicket
03/10/15 - Sala Santa Cecilia - Rome, ITALY
tickets on sale December 8th at Ticketone and VivaTicket
03/12/15 - Teatro Degli Arcimboldi - Milan, ITALY
tickets on sale December 8th at Ticketone
Andrea
Grazie Andrea,
al momento Ticketone,
clicca qui , ha messo in vendita i biglietti
solo per Bologna e Milano, ma credo che a breve ci saranno anche gli
altri. Il sito ufficiale di Joan elenca queste date e lascia anche la
possibilità di inserirne altre da fare nelle università. Alla prossima,
Mr. Tambourine, :o)
Lunedi 15 Dicembre 2014
Bob Dylan and 1 Man
Philadelphia, Pennsylvania - Academy Of
Music, November 23, 2014
Showtime: 15:30 PM - private afternoon show for Fredrik Wikingsson
set list 1. Heartbeat (song by Buddy Holly)
2. Blueberry Hill (song by Fats Domino)
3. It's Too Late (She's Gone) (song by Chuck Willis)
4. Key to the highway (song by Charles "Chas" Segar and William "Big
Bill" Broonzy)
Sabato 13 Dicembre 2014
"Shadows in the Night" è il nuovo album
tributo a Frank Sinatra
clicca qui
Charlie Sexton fa un piccolo cammeo in
questo film, allego la locandina.
Charlie esegue due
pezzi nella colonna sonora del film, il primo in coppia con Ethan Hawke
chiamato "Split the Difference" ed il secondo da solo chiamato
"The Dog Song". Da segnalare inoltre che tra le 50 canzoni della
soundtrack è presente anche "Beyond the Horizon" cantata da Bob Dylan.
Aggiungo qualche nota informativa sul film:
"Boyhood" è un film
del 2014 scritto e diretto da Richard Linklater.
La lavorazione del film è durata 12 anni, dal 2002 al 2013, per
raccontare la crescita di Mason (interpretato da Ellar Coltrane) e il
rapporto con i genitori divorziati (interpretati da Ethan Hawke e
Patricia Arquette).
Il film ha partecipato in concorso alla 64ª edizione del Festival di
Berlino, dove Linklater ha vinto l'Orso d'argento per il miglior
regista.
Il film segue la vita del giovane Mason, dai sei anni, quando frequenta
la scuola elementare, fino ai diciotto anni, quando entra al college,
raccontando il rapporto con i genitori divorziati, i traslochi, le nuove
scuole, i matrimoni falliti della madre, il rapporto conflittuale con la
sorella Samantha, la nuova relazione del padre, seguendo anche
l'evoluzione degli oggetti d’uso quotidiano, tecnologici e non, e i
cambiamenti culturali, sociali e politici degli anni.
Nel maggio 2002 il regista e sceneggiatore Richard Linklater annuncia
che nell'estate inizierà a girare un film, con il titolo provvisorio The
Twelve Year Project. Ogni anno, per dodici anni, Linklater ha radunato
la stessa troupe e lo stesso cast per girare alcune scene, al fine di
seguire la crescita dei personaggi a pari passo con quella degli attori.
Le riprese sono iniziate nell'estate 2002 fino a ottobre 2013.
Il film è stato presentato in anteprima il 19 gennaio 2014 al Sundance
Film Festival, a febbraio è stato presentato in concorso al Festival di
Berlino.
La pellicola è stata distribuita nelle sale statunitensi da IFC Films a
partire dall'11 luglio 2014, mentre nelle sale italiane è uscito il 23
ottobre 2014, distribuito da Universal Pictures.
Comunque grazie per la
segnalazione e per avermi dato modo di parlarne, alla prossima,
Mr.Tambourine, :o)
Bob Dylan: il nuovo album è "Shadows
In The Night"
clicca qui
Giovedi 11 Dicembre 2014
Talkin' 9511
- anathea.lawrence
Oggetto: Mio fratello Lazlo
Tamburino,
leggo solo ora la tua risposta a mio fratello Lazlo e, lasciamelo dire,
sei pedante!
La Pivano e la Ghezzi che son morte, Paul Clayton che era una checca e,
figurariamoci, morto anche lui...
Sono tutti dettagli insignificanti che ti fanno perdere di vista
l'essenza delle cose. Quando sarai più giovane capirai.
Cosa vuoi che ti dica, forse hai ragione: non si trattava di Paul
Clayton. Anzi, adesso che mi ci fai riflettere, dev'essere stato quello
svitato di quell'indiano Narraganset... Peter La Farge si chiamava, il
figlio di Oliver.
Ma che differenza fa? Ciò che conta è avere una chiave di lettura che ci
permetta di non perderci in questo gran carnevale che è il mondo.
Tu le reputi fantasie, ma lo sai che a teatro i Greci ci andavano per
conoscere la verità e trascendere gli inganni del reale?
Tu, Tamburino, sei un bravo ragazzo, ma devi crescere e imparare ad
accettare il mistero.
Ti sei fermato a Voltaire, forse? Non vedi che brutte figure che fa
Odifreddi, sembra un leone arteriosclerotico.
Ma non hai visto che ci son stati solo disastri dall'illuminismo in poi?
Tua Anathea
The City Waites - Sir Eglamore or
Courage Crowned with Conquest
Ciao Cara Anthea,
Sò perfettamente di
essere pedante, ma mi piace stimolarti, la tua fantasia fa voli
pindarici meravigliosi ed è un piacere leggere ciò che scrivi. Hai un pò
questo fatto di citare nomi di persone che son passate a miglior vita da
anni, ma ognuno di noi ha le sue piccole manie. Certo saprai che anche
Peter La Farge, nome d'arte di Oliver Albee LaFarge, autore di quel
bellissimo pezzo folk intitolato "The Ballad of Ira Hayes" cantata anche
da Bob, è morto a New York il 27 ottobre 1965 in circostanze mai del
tutto chiarite a trentaquattro anni di età. Peter discendeva da una
tribù di nativi americani che porta il nome della città di Narragansett.
Fu cresciuto solo dalla madre Wanden La Farge Kane in un ranch a
Fountain, Colorado. Era figlio dello scrittore vincitore del Premio
Pulitzer Oliver La Farge, un antropologo che vinse il premio letterario
nel 1930 per il suo romanzo Laughing Boy. Se qualquno vuole avere
maggiori dettagli sulla tribù dei Narragansett clicchi il link sotto:
Sono completamente
d'accordo con te sul fatto che la fantasia sia una grande chiave per
bypassare questo gran carnevale che è il mondo. Non credo di essermi
fermato a François-Marie Arouet che, insieme a Montesquieu, Locke,
Rousseau, Diderot, d'Alembert, d'Holbach, e du Châtelet, fu uno degli
esponenti principali e grande animatore del movimento culturale
dell'Illuminismo. "Voltaire" potrebbe essere uno dei primi nickname, e
forse derivato da un particolare anagramma del suo cognome in scrittura
capitale latina, dal nome con cui era conosciuto in gioventù, Arouet le
Jeune (Arouet il giovane, per distinguerlo dal padre omonimo): da AROUET
L(e) J(eune) a AROVET L. I. o AROVETLI, da cui VOLTAIRE. Lui si chiedeva
sempre: «Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come
sono?» Qualcuno dice che era affetto da sindrome bipolare perchè pur
disprezzando il militarismo e sostenendo il pacifismo e il
cosmopolitismo, nella vita privata portava avanti lucrosi e poco onesti
affari proprio nel campo dei rifornimenti militari all'esercito, una
specie di Master of War del suo tempo, diventando ricchissimo e famoso.
Scrisse di lui Sergio Romano «Voltaire aveva convinzioni forti, grandi
passioni intellettuali, una vasta cultura, una scrittura ironica e
scintillante, una straordinaria curiosità per gli avvenimenti del suo
tempo e una prodigiosa capacità di raccontare le idee. Fu insomma, anche
se la parola può sembrare riduttiva, un giornalista», un crooner del suo
tempo potremmo dire, un pre-Bob forse? La vasta produzione letteraria di
Voltaire fu caratterizzata dall' ironia, dalla chiarezza dello
stile, dalla vivacità dei toni e dalla polemica contro le ingiustizie e
le superstizioni. Famosi alcuni dei suoi aforismi: "Chiedete al rospo
che cosa sia la bellezza e vi risponderà che è la femmina del rospo",
"Quando colui che ascolta non capisce colui che parla e colui che parla
non sa cosa sta dicendo: questa è la filosofia", "Gli uomini discutono,
la natura agisce", "Le streghe hanno smesso di esistere quando noi
abbiamo smesso di bruciarle", "Per la maggior parte delle persone
correggersi vuol dire cambiare i propri difetti", "Uccidere è proibito,
quindi tutti gli assassini vengono puniti, a meno che non si uccida su
larga scala e al suono delle trombe". Insomma un vero innovatore del suo
tempo come Bob lo è stato del nostro.
I greci erano il massimo dell'intelligenza e della saggezza, elevando il
pensiero sopra ogni altra cosa, però non sono mai riuscito a capire
perchè un popolo così avanti avesse quel poco simpatico vizietto
contronatura.............! Non conosco Odifreddi quindo non posso
esprimere un parere, ma per concludere credo che le disgrazie ci siano
sempre state, sia prima e sia dopo l'illuminismo, è l'imbecillità
dell'uomo che non ha mai imparato niente dalla sua storia. In un certo
senso hanno più etica gli animali, perlomeno hanno la scusante di non
essere in grado di ragionare.
Con tanta simpatia,
alla prossima, Mr.Tambourine :o)))))))
Bob Dylan: il nuovo album da studio
“Shadows In The Night”
clicca qui
Mercoledi 10 Dicembre 2014
Il nuovo album "Shadows In The
Night" uscirà il 3 Febbraio 2015
La Columbia Records ha
annunciato oggi, sul sito ufficiale di Bob Dylan, che il nuovo album in
studio di Bob, “Shadows In The Night”, uscirà il 3 febbraio 2015.
Shadows In The Night è ora disponibile per il pre-ordine su Amazon e
iTunes.
Con dieci tracce, l'album in studio prodotto da Jack Frost è il 36° in
studio di Bob Dylan ed è la prima uscita dell’artista dopo “Tempest” nel
2012.
Dopo l'annuncio della Columbia del rilascio del prossimo album, Bob
Dylan ha commentato: "E' stato un vero privilegio poter fare questo
album. Avrei voluto fare qualcosa di simile a questo da lungo tempo, ma
non ho mai trovato il coraggio di avvicinarmi ad arrangiamenti fatti per
30 musicisti con una band di soli 5 elementi. La chiave di tutto?
Sapevamo i brani originali molto bene. E' stato fatto tutto in diretta.
Forse uno o due riprese. Nessuna sovraincisione. Nessuna cabina per il
canto, nessuna cuffia, nessuna traccia separata, è stato mixato come è
stato registrato. Io non mi vedo proprio come uno che fa covers di
canzoni originali. Queste canzoni sono già state coverizzate abbastanza,
morte e sepolte. Quello che io e la mia band stiamo facendo è cercare
fondamentalmente di riscoprire queste canzoni, tirandole su dalla loro
tomba e riportarle alla luce del giorno".
(Fonte: bobdylan.com)
La tracklist dell'album:
1. I'm A Fool To Want You -
(J. Wolf / Herron / Frank Sinatra)
2. The Night We Called It A Day - ( Matt Dennis / Tom Adair) 1941
3. Stay With Me - (Jerome Moross and Carolyn Leigh)
4. Autumn Leaves - (Joseph Kosma / Jacques Andre Marie Prevert / Jonnhy
Mercer)
5. Why Try to Change Me Now - (Joseph Mccarthy Jr. / Cy Coleman)
6. Some Enchanted Evening - (words Oscar Hammerstein II / music Richard
Rodgers)
7. Full Moon And Empty Arms (Jerome Moross and Carolyn Leigh)
8. Where Are You? - (Peter de Angelis / Robert Marcucci)
9. What'll I Do - (Irving Berlin) 1924
10. That Lucky Old Sun - (music by Beasley Smith / words by Haven
Gillespie)
Il 3 febbraio uscirà l'album di Bob
Dylan dedicato a Sinatra
clicca qui
Martedi 9 Dicembre 2014
“Bob Dylan - 50th Anniversary Collection
1964" su 9 LP
E’ annunciata La pubblicazione in Europa per il terzo anno consecutivo
di materiale inedito di Bob Dylan per prevenire la perdita dei diritti
delle canzoni e non lasciarli diventare di dominio pubblico. IIl set che
si chiamerà “Bob Dylan - 50th Anniversary Collection 1964” si compone
di 9 LP in vinile e sarà in vendita l'8 dicembre. L'edizione è limitata
a mille copie e solo per i negozi e non per i siti online o ebay. Ecco
una lista delle registrazioni che contiene il set:
LP 1 - SIDE A
CBC TV Studios - Toronto, Ontario, Canada, February 1, 1964
1. The Times They Are A-Changin’ (2:36)
2. Talking World War III Blues (4:53)
3. The Lonesome Death Of Hattie Carroll (5:27)
(Missing) Girl From The North Country
4. A Hard Rain's A-Gonna Fall (6:02)
5. Restless Farewell (5:03)
LP 1 - SIDE B
NBC Studios - Steve Allen Show - Los Angeles, California, 25 February
1964
1. The Lonesome Death Of Hattie Carroll
(6:04)
Eric Von Schmidt's House - 532 Beach Road, Siesta Key, Sarasota,
Florida, May 1964. All tracks performed by Bob Dylan and Eric Von
Schmidt. (Previously not in circulation)
2. Bob and Eric Blues #1 (6:35) (Written
by Bob Dylan and Eric Von Schmidt)
3. Black Betty (1:22) (Traditional, arranged by Bob Dylan and Eric Von
Schmidt)
4. Come All You Fair And Tender Ladies (4:48) (Traditional, arranged by
Bob Dylan and Eric Von Schmidt)
5. Florida Woman (2:58) (Written Eric Von Schmidt) (previously unknown
title)
6. Johnny Cuckoo (3:47) (Traditional, arranged by Eric Von Schmidt)
LP 2- SIDE C
Eric Von Schmidt's House - (Actual address listed on the box), Sarasota,
Florida, May 1964
1. Money Honey (3:34) (Written by Jesse
Stone)
2. More And More (4:00) (Written by Webb Pierce and Merle Kilgore)
3. Mr. Tambourine Man (6:11)
4. Suzie Q (5:36) (Written by Dale Hawkins, Stan Lewis, and Eleanor
Broadwater)
5. Harmonica Duet (2:27) (Written by Bob Dylan and Eric Von Schmidt)
6. Glory Glory (3:08) (Traditional, arranged by Bob Dylan and Eric Von
Schmidt)
LP 2 - SIDE D
Eric Von Schmidt's House - (Actual address listed on the box), Sarasota,
Florida, May 1964
1. Dr. Stangelove Blues (5:45) (Written
by Eric Von Schmidt)
2. Stoned On The Mountain (1:35) (Written by Bob Dylan)
3. Stoned On The Mountain (3:28) (Written by Bob Dylan)
(Missing) I Want To Hold Your Hand (John Lennon/Paul McCartney)
(Missing) I Got A Hold On You (?)
4. Walkin' Down The Line (3:00) (Written by Bob Dylan)
5. Joshua Gone Barbados (4:03) (Eric Von Schmidt)
BBC Studios, London, England, May 1964
6. With God On Our Side (2:00)
Didsbury Studios, Manchester, England, 14 May 1964
7. Don't Think Twice, It's All Right (3:15)
(Still uncirculating) Blowin’ In The Wind
(Still uncirculating) Chimes Of Freedom
LP 3 - SIDE E
Royal Festival Hall - London, England - May 17, 1964
(Note: This concert was recorded by Pye Records Ltd., previously
uncirculated except *)
1. The Times They Are A-Changin’ (3:35)
2. Girl From The North Country (3:49)
3. Who Killed Davey Moore? (3:17)
4. Talkin’ John Birch Paranoid Blues (3:28)
5. Ballad Of Hollis Brown (5:55)
6. It Ain't Me, Babe (4:29)
LP 3 - SIDE F
Royal Festival Hall - London, England - May 17, 1964
1. Walls Of Red Wing (4:00)
2. Chimes Of Freedom (7:32)
3. Mr. Tambourine Man (6:37) *
4. Eternal Circle (2:59) *
LP 4 - SIDE G
Royal Festival Hall - London, England - May 17, 1964
1. A Hard Rain's A-Gonna Fall (7:44)
(Followed by intermission)
2. Talkin’ World War III Blues (5:41)
3. Don't Think Twice, It's All Right (5:08)
4. Only A Pawn In Their Game (5:47)
LP 4 - SIDE H
Royal Festival Hall - London, England - May 17, 1964
1. With God On Our Side (6:20)
2. The Lonesome Death Of Hattie Carroll (6:54)
3. Restless Farewell (7:13)
4. (Encore) When The Ship Comes In (3:39)
LP 5 - SIDE I Columbia Studios - New York, New York - June 9, 1964 - (The “Another
Side Of Bob Dylan” session, produced by Tom Wilson)
1. Denise (3:01)
2. It Ain’t Me, Babe TK 1 (2:07)
3. Spanish Harlem Incident TK 3 (3:09)
4. Spanish Harlem Incident TK 3 (1:31)
5. Ballad In Plain D TK 2 (2:02)
6. I Don't Believe You TK 1(4:07)
7. I Don't Believe You TK 3 (3:56)
LP 5 - SIDE J
Columbia Studios - New York, New York - June 9, 1964
1. Chimes Of Freedom TK 1 (3:12)
2. Chimes Of Freedom TK 3 (3:07)
3. Mr. Tambourine Man TK 1 (:46) (with ”Rambling” Jack Elliott, backup
vocals.)
4. Black Crow Blues TK 1 (1:20)
5. Black Crow Blues TK 2 (3:48)
6. I Shall Be Free No. 10 TK 1 (:50)
7. I Shall Be Free No. 10 TK 2 (3:17)
8. I Shall Be Free No. 10 TK 3 (5:09)
9. I Shall Be Free No. 10 TK 4 (4:43)
LP 6 - SIDE K
Freebody Park - Newport, Rhode Island - July 24, 1964- Newport Folk
Festival afternoon workshop
1. It Ain’t Me, Babe (3:47)
Freebody Park - Newport, Rhode Island - July 24, 1964 - Newport Folk
Festival evening
2. All I Really Want To Do (3:40)
3. To Ramona (4:25)
Forest Hills Tennis Stadium, New York, New York, August 8, 1964 (Joan
Baez concert)
4. Mama, You Been On My Mind w. Joan Baez (2:35)
5. It Ain't Me, Babe w. Joan Baez (3:51)
6. With God On Our Side w. Joan Baez (5:33)
LP 6 - SIDE L
Town Hall - Philadelphia, Pennsylvania - October 10, 1964 (Audience)
1. The Times They Are A-Changin’ (3:33)
2. Girl From The North Country (4:06)
3. Who Killed Davey Moore? (3:40)
4. Talkin’ John Birch Paranoid Blues (4:12)
5. To Ramona (5:11)
6. Ballad Of Hollis Brown (5:48)
LP 7 - SIDE M
Town Hall - Philadelphia, Pennsylvania - October 10, 1964 (Audience)
1. Chimes Of Freedom (7:18)
2. I Don't Believe You (4:18)
3. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding) (9:54)
LP 7- SIDE N
Town Hall - Philadelphia, Pennsylvania - October 10, 1964 (Audience)
1. Mr. Tambourine Man (7:00)
(Intermission)
2. Talkin’ World War III Blues (5:39)
3. A Hard Rain's A-Gonna Fall (7:44)
4. Don't Think Twice, It's All Right (4:20)
LP 8- SIDE O Town Hall - Philadelphia, Pennsylvania - October 10, 1964 (Audience)
5. Only A Pawn In Their Game (4:53)
6. With God On Our Side (6:35)
7. It Ain't Me, Babe (4:25)
8. The Lonesome Death Of Hattie Carroll (6:19)
9. (Encore) All I Really Want To Do (3:20)
LP 8- SIDE P
Masonic Memorial Auditorium - San Francisco, California - November 27,
1964 (Audience, incomplete)
1. Gates Of Eden (6:04)
2. If You Gotta Go, Go Now (2:54)
3. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding) (8:26)
4. Talkin’ World War III Blues (5:29)
5. Don't Think Twice, It's All Right (4:03)
6. Mama, You Been On My Mind w. Joan Baez (2:17)
LP 9 - SIDE Q
Civic Auditorium - San José, California - November 25, 1964 (Audience,
incomplete)
1. The Times They Are A-Changin’ (3:17)
2. Talkin’ John Birch Paranoid Blues (3:36)
3. To Ramona (4:20)
4. Gates Of Eden (7:34)
5. If You Gotta Go, Go Now (2:26)
LP 9 - SIDE R
Civic Auditorium - San José, California - November 25, 1964 (Audience,
incomplete)
1. It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding)
(7:30)
2. Mr. Tambourine Man (6:02)
3. A Hard Rain's A-Gonna Fall (6:15) (Intermission)
4. Talkin’ World War III Blues (4:43)
5. Don't Think Twice, It's All Right (4:21)
Tutte le canzoni scritte da Bob Dylan eccetto dove diversamente
indicato.
Ricompare il taccuino di Dylan Thomas,
andrà all'asta da Sotheby's
clicca qui
Lunedi 8 Dicembre 2014
Talkin' 9510
- albebianchi
Ciao Mr.Tambourine,
stavo ascoltando il primo disco dei Traveling Wilburys e mi sono chiesto
chi era il Wilbury che ha dato il nome al gruppo. Mi sai dire qualcosa?
Grazie per il lavoro che fai per il sito,
Alberto
Pare che il primo a fare il nome dei Traveling
Wilburys fu George Harrison durante un'intervista radiofonica con Bob
Coburn della stazione radio Rockline nel mese di febbraio del 1988. Alla
domanda su cosa avesse intenzione di fare dopo l’uscita del suo album
“Cloud Nine”, Harrison rispose: "Quello che mi piacerebbe davvero fare
dopo è ..... fare un album con alcuni dei miei amici..... qualche
canzone, capisci. Forse con i Traveling Wilburys.....è questo nuovo
gruppo che ho messo insieme..... si chiama i Traveling Wilburys, mi
piacerebbe fare un album con loro e poi tutti potranno riprendere a fare
ancora una volta i loro album".
Il nome "Wilbury" non è riferito ad una persona ma è un termine gergale
usato per la prima volta da Harrison durante la registrazione di “Cloud
Nine” con Jeff Lynne. Facendo riferimento ad alcuni errori di
registrazione generati da alcune attrezzature difettose, Harrison
scherzosamente disse a Lynne, "We'll bury 'em in the mix" (Li
seppelliremo nel mix). In seguito i due hanno usato il termine per
qualsiasi piccolo errore in termini di prestazioni ed il termine è stato
utilizzato di nuovo quando il gruppo si era messo insieme. Harrison
suggerì "The Trembling Wilburys" (i Tremolanti Wilburys) come nome
scherzoso ed autoironico per il gruppo dato che tutti erano ormai avanti
con l’età, invece Lynne suggerì "Traveling Wilburys" (i Wilburys
Viaggianti), modifica che fu accettata da tutti.
L'idea di formare il gruppo sorse nel 1988 durante le sessioni di
registrazione del brano che doveva servire da lato B per un disco
singolo di Harrison (This is Love). Le sedute avvennero al Santa Monica
California Studio di Bob Dylan e il risultato fu la registrazione di una
canzone - Handle with Care - che apparve subito troppo buona per essere
limitata come riempitivo per un 45 giri.
All'inizio, Tom Petty non era incluso nel gruppo, fu Harrison che,
recandosi da Dylan per registrare, dovette passare da Petty a recuperare
una sua chitarra dimenticata lì e in tale occasione gli propose di
unirsi alla combriccola per una suonata.
Alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
Buongiorno,
non so se può interessare, è comunque un artista affine al Nostro...che
è ovviamente menzionato nel celebre episodio che li riguarda. Grazie
comunque.
Buona giornata, Adriano Ercolani
Grazie Adriano, i tuoi
scritti sono sempre ben fatti ed interessanti, alla prossima,
Mr.Tambourine, :o)
Sabato 6 Dicembre 2014
New York, NEW YORK - Beacon Theatre,
December 3, 2014
1. Things Have Changed (Bob center stage,
Donnie on pedal steel, Stu on acoustic)
2. She Belongs To Me (Bob center stage with harp, Donnie on pedal steel)
3. Beyond Here Lies Nothin' (Bob on piano, Donnie on electric mandolin,
Stu on acoustic)
4. Workingman's Blues #2 (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
5. Waiting For You (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
6. Duquesne Whistle (Bob on piano, Donny on lap steel, Tony on standup
bass)
7. Pay In Blood (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
8. Tangled Up In Blue (Bob center stage with harp then on piano, Donnie
on pedal steel, Stu on acoustic)
9. Love Sick (Bob center stage, Donnie on electric mandolin)
(Intermission)
10. High Water (For Charley Patton) (Bob center stage, Donnie on banjo,
Tony on standup bass)
11. Simple Twist Of Fate (Bob center stage with harp, Donnie on pedal
steel, Stu on acoustic)
12. Early Roman Kings (Bob on piano, Donnie on lap steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
13. Forgetful Heart (Bob center stage with harp, Donnie on viola, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
14. Spirit On The Water (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Tony on
standup bass)
15. Scarlet Town (Bob center stage, Donnie on banjo, Stu on acoustic,
Tony on standup bass)
16. Soon After Midnight (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
17. Long And Wasted Years (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
(encore)
18. Blowin' In The Wind (Bob on piano, Donnie on violin, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
19. Stay With Me (Jerome Moross and Carolyn Leigh) (Bob on piano, Donnie
on pedal steel, Tony on standup bass)
Dylan chiude il Tour "014 con un
magistrale concerto al Beacon Theatre
di Andy Greene | 4 dic 2014
I recenti concerti di Bob Dylan sono
stati il modo per esternare il suo monologo interiore in un luogo
affollato di persone, indipendentemente dal fatto che qualcuno lo segua
o meno. Molte notti sono sublimi, altre sembrano essere telefonate,
ringhiando la sua storia solo con qualche vecchio successo e
abbandonando tutti gli altri, ma i fans hardcore fanno fatica a capire
anche il titolo della canzone.
Qualcuno ha cercato di indovinare che cosa è cambiato nel corso degli
ultimi mesi, ma la performance finale dei suoi cinque concerti al Beacon
Theatre di New York, il suo incredibile 91° spettacolo dell’anno, Dylan
suonava magnifico. Era espressivo, chiaro, articolato, intensamente
concentrato e visibilmente soddisfatto. Senza dubbio, è stato il più
piacevole concerto di Dylan di recente memoria.
Parte del cambiamento potrebbe essere legato alla sua decisione di
abbandonare la maggior parte di ciò che ha scritto prima di “Time Out of
Mind”, tenere solo due canzoni dal 1960 e altre due tra dal 1970 al
1997. Questa è una mossa coraggiosa per un artista con alle spalle un
catalogo superamato come Dylan, cosa che nessuno dei suoi coetanei
potrebbe permettersi di fare. Come al solito, ha aperto con "Things Have
Changed", la sua canzone che ha vinto il premio Oscar dalla colonna
sonora del film Wonder Boys. E' stata una scelta molto appropriata,
perché la melodia del 1999 ha tracciato la esatta linea di demarcazione
segnando il momento esatto in cui ha smesso di lavorare con i produttori
esterni, optando semplicemente per produrre da sè tutto il suo futuro
lavoro. La stragrande maggioranza del resto della notte è stata un
viaggio attraverso i quattro albums (escluso quello di Natale) che ha
pubblicato negli anni successivi.
Dylan ha registrato questi album con la sua touring-band, e anche se i
componenti qualche volta sono cambiati, il suo nucleo è il bassista Tony
Garnier, il batterista George Recile, il chitarrista ritmico Stu
Kimball, il chitarrista solista Charlie Sexton ed il polistrumentista
Donnie Herron per un periodo piuttosto lungo. Si sono trasformati in un
gruppo incredibilmente stretto fra di loro, e il fatto che hanno
ripetuto questa esatta scaletta di 19 canzoni per mesi e mesi ha fatto
sì che essi abbiamo facilmente ripetuto ogni sfumatura. Sexton è stato
particolarmente impressionante. Egli non è più a brandelli come sembrava
essere durante i concerti alla fine degli anni 1990 e nei primi anni
2000 con Dylan, ma per molti versi l'approccio più delicato e raffinato
messo in mostra la scorsa notte era ancora più impressionante.
Il set prima della pausa è caratterizzato da una lenta e rielaborata
versione di “Workingman’s Blues # 2", un inquietante "Beyond Here Lies
Nothin'" e un rollicking "Duquesne Whistle". Dylan si è alternato tra il
suo pianoforte a lato del palco ed il microfono al centro del palco
senza uno strumento. Il set si è chiuso con un doppio colpo incredibile,
"Tangled Up in Blue" e "Love Sick". Bob sta riscrivendo i testi di
queste canzoni da 40 anni, il che significa che non saprete mai come la
storia degli amanti sfortunati procederà fino a che in realtà lui inizia
a cantare.
Dopo una breve pausa, Dylan è tornato con "High Water (For Charley
Patton)" e "Simple Twist Of Fate”, la canzone tratta da Blood On The
Tracks ispirata dalla rottura della sua storia con la prima fidanzata di
New York Suze Rotolo. Dylan è stato costretto a rivivere la loro triste
separazione sulle banchine lungomare per decenni, e sentirlo cantare
solo di una corsa veloce in metropolitana dal loro vecchio quartiere è
stato particolarmente commovente. E' anche il tipo di momento che tende
ad essere dimenticato e poco seguito quando Dylan lo suona nelle arene
di basket o nei grandi anfiteatri all'aperto, vedere questo spettacolo
in un teatro è un'esperienza completamente diversa.
L'unico vero passo falso è venuto verso la fine del secondo set, quando
si è mosso attraverso "Early Roman Kings”, "Forgetful heart” e "Spirit
on the Water". Queste sono tutte canzoni blues, una sorta di minestrone
impastato e sfuocato quando sono suonate in sequenza. Dylan ha gettato
un osso per il pubblico occasionale dando il via ai bis con "Blowin' in
the Wind", poi ha di nuovo sconcertato tutti quando ha chiuso lo show
con "Stay With Me", che è un brano che Frank Sinatra rese popolare nel
1964 e che probabilmente apparirà sul prossimo album “Shadows In The
Night” l’anno venturo. "Ho freddo, sono stanco e so che ho peccato" ha
cantato, suona come se veramente dare il significato giusto ad ogni
parole. "E io vado in cerca di rifugio e grido nel vento".
Camminava dal palco senza dire nulla mentre poneva fine al 26° anno
consecutivo del Tour Never Ending. Non ci sono ancora date relative al
2015, ma è difficile immaginare che questo treno possa fermarsi senza
preavviso. Quando il tour riprenderà, è possibile che lui continuerà con
la stessa esatta scaletta, ma potrebbe anche rinnovare tutto. L'unica
cosa costante nella carriera di Dylan è che nessuno sà mai che strada
prenderà la prossima volta.
Bob Dylan with G.E.Smith - Bridge
School Benefit - December 4, 1988 - Oakland Coliseum Arena
1) San Francisco Bay Blues - (Jesse
Fuller cover) (with George Edward Smith)
2) Pretty Boy Floyd - (Woody Guthrie cover) (with George Edward Smith)
3) With God on Our Side - (with George Edward Smith)
4) Girl From the North Country - (with George Edward Smith)
5) Gates of Eden - (with George Edward Smith)
6) Forever Young - (with George Edward Smith)
Venerdi 5 Dicembre 2014
Talkin' 9508
- gebianchi
Cari amici, non vorrei trasformare questo
talkin in un palloso contraddittorio a base di citazioni e riferimenti,
ma visto che sono stato tacciato di contraddittorietà, sempre con
immutata simpatia vorrei provare a chiarire alcuni aspetti della mia
analisi.
Vengo perciò a bomba sulle contraddizioni che Mr. Tambourine riscontra
nella mia disquisizione; quando parlo di narcisismo dell’artista, mi
riferisco al suo rapporto col pubblico, al fatto che se accetta di
salire su di un palco deve o dovrebbe pensare con grande attenzione ad
esso, oltre che al fatto non trascurabile che qualcuno ha sborsato dei
soldi per andarlo a sentire. Siamo tutti d’accordo sul fatto che il
pittore, il musicista, lo scultore, creano per se stessi, guai se così
non fosse; per intenderci, un conto è l’autore di una canzone o di un
qualsivoglia brano musicale che è ispirato dal proprio umore e dai
propri stati d’animo, altro è l’autore di jingles pubblicitari che deve
comporre un tanto al chilo. Ma io mi riferivo al fatto che quando un Bob
Dylan si esibisce su un palco sapendo quali e quante emozioni questo
arrecherà al suo pubblico, sottolineo pagante, non lo fa solo pensando a
se stesso. E la veridicità di quanto dico è dimostrata dal fatto che sia
stato lo stesso Dylan a dichiarare il suo bisogno vitale di esibirsi da
decenni in maniera compulsiva nel suo neverending tour. Di certo non per
ragioni banalmente economiche, nè per poter semplicemente…..suonare,
cosa che potrebbe fare tranquillamente nei suoi studi di registrazione
con quattro amici. Ma quello che cerca il Dylan settantaquattrenne è
invece proprio il contatto con la gente, l’interazione con i suoi fans
che da cinquant’anni si emozionano ascoltandolo latrare nel microfono.
Certo, lo fa a modo suo, con la sua proverbiale riservatezza e
scontrosità, ma questo non sminuisce la considerazione che Egli a mio
avviso riserva a chi lo va a sentire. Io penso che questo Dylan lo
sappia e sappia bene che la gente che lo va ad ascoltare è convinta che
Lui sia in quel posto per comunicare qualcosa agli altri. Certo suonerà
anche per se stesso, ma ripeto, se fosse solo così non servirebbero i
palcoscenici e le sale da concerto. Chiaro che, proprio perché arte e
tecnicismo non sono necessariamente legati, gli si può perdonare tutto,
anzi si può persino considerare sublime questo suo modo di porsi, perché
come già dicevo, anche il wc dadaista è arte, frutto di una riflessione
critica, segno di una volontà strutturata. Quindi, per far chiarezza,
una cosa è scrivere e pubblicare un disco, magari splendido nella sua
auto riflessività intimistica e che nel momento della sua stesura non
tiene e non deve minimamente tener conto dei gusti di chi lo acquisterà,
ma del proprio percorso creativo, un’altra è salire su un palco e
pensare di infischiarsene del pubblico. Tu dici che questo è quello che
fa Dylan, ma io non sono d’accordo. Non sperticarsi in saluti e moine
non significa mancanza di rispetto, persino il dare le spalle al
pubblico di Miles Davis erano una forma di rispetto, perché Davis in
quel gesto invitava proprio il pubblico a concentrarsi non sull’icona
davisiana, ma sulla musica che fluiva dalla sua tromba, e questo è
rispetto per il pubblico. Quando Dylan si mostra imbronciato o lunatico,
a mio avviso, non è assolutamente irrispettoso del pubblico, anzi,
comunica la propria fragilità, il suo essere uno di noi, con le proprie
angosce e turbamenti ed il bello dei suoi concerti è anche in questo
spiazzante modo di rapportarsi al pubblico. Dylan non vuole essere
un’icona, non vuole essere un modello per nessuno; ha sempre detto di
non essere un profeta, arrivando pure all’irrisione di quei
radical-political-chic che pretendevano di farlo diventare il simbolo
del movimento. Eppure, paradossalmente, mi dici che proprio uno che non
vuole essere modello o un’icona per nessuno, viene imitato e replicato
proprio in quanto modello di vita. Beh, questo mi pare che sia
contraddittorio; perdonate, forse sono io ad essere un fan anomalo e
deprecabile, ma personalmente di Dylan amo le canzoni, i suoi versi, le
sue metafore; del Dylan uomo, francamente me ne curo poco, ho altri
modelli di vita (ammesso che ne abbia o che ne cerchi), laici o
ispirati, ma infinitamente più coerenti con se stessi. Ognuno poi è
libero di prendersi i modelli di riferimento e i maestri di vita che
vuole, ma guarda che se non si opera questo distacco, si rischiano le
infinite e a mio avviso imbarazzanti querelle tipo quella circa il fatto
che sia giusto o meno che il nostro eroe giri lo spot delle automobili
per il Superbowl… Lo fa per soldi? Lo fa per provocare? Lo fa
perché…..perchè sono fatti suoi e la bellezza di una Tangled up in Blue
è completamente svincolata dalla grandezza o meschinità del personaggio.
Questo peraltro vale per moltissimi grandi artisti, geniali nelle loro
manifestazioni di creatività, miseri nel quotidiano (citiamo pure tutti
quelli della scorsa mail; Joyce, Proust, Picasso etc). Imitiamo o
traiamo spunto dal loro lavoro, dalla loro arte, non dalla loro persona.
Peraltro questo meccanismo imitativo è vero, è molto Girardiano, ma è
proprio Renè Girard a stigmatizzarne le ricadute. Lo fa ad esempio in un
saggio del 2003, Le origini della Cultura, o in altri cicli di lezione
sull’arte tenute alla Stanford University in cui se la prende proprio
con quella che definisce la caduta della mediazione esterna. Per non
andar sul difficile, visto che non tutti magari conoscono questo
intellettuale, diciamo che secondo Girard proprio l’onnipotenza
dell’uomo moderno, il suo spostare sempre più in su l’asticella del
desiderio di emulare modelli un tempo considerati irraggiungibili e
quindi per loro natura inimitabili, ha fatto cadere quei filtri che lo
separavano gerarchicamente dai propri modelli di riferimento, siano essi
divinità laiche o non, spingendolo verso un’imitazione che definisce
appunto sterile perché vuol essere quasi identificazione, assimilazione
totale e questo produce giocoforza una caduta di creatività a favore
della semplice emulazione; non solo, ma chi ne volesse intuire gli esiti
ancor più nefasti, può leggersi il suo saggio su Dostoevskij
(Dostoevskij dal doppio all’unità) per comprenderlo ancor meglio. E’
argomento complesso, sottile, del quale peraltro credo di essere
profondo conoscitore visto che lo studio da più di vent’anni e credo di
conoscerne molto bene le infinite sfumature e ricadute . Bada però che
io concordo con te quando sostieni che chi rifà Dylan non è animato da
puro spirito di emulazione, ci mancherebbe; c’è la condivisione di un
percorso, c’è un sentirsi in linea con un messaggio, con un artista, c’è
la sublimazione di un’esperienza che in quel momento diventa unica e
assoluta etc etc. ma quello di cui parlo è il risultato oggettivo che,
ribadisco , secondo me ne viene fuori. Ossia la brutta copia (non brutta
in quanto brutta, ma brutta in quanto copia) di un già fruito, di un già
assaporato nell’originale. Tu mi fai l’esempio della lirica, ma la
lirica, come la classica, nascono da premesse differenti, ossia da uno
spartito definito e immutabile; la genialità di un Pavarotti o quella di
un Pollini nell’interpretare Beethoven, nasce dalle dinamiche, dai
chiaroscuri, dagli accenti spostati, dalle corone più o meno dilatate.
Chiunque sappia leggere uno spartito sa bene quanto la durata di una
croma o di una semiminima siano relativi, o quanto aleatorio sia il
termine allegro, piano, adagio etc. La grandezza dell’interprete
eccezionale è proprio nella interpretazione con la I maiuscola, nella
sua capacità di amalgamare tutto questo in maniera armonica ed
emotivamente vincente. Ma da musicista sai bene, quanto assurdo e
ridicolo sarebbe applicare questi elementi ad uno spartito dylaniano. E
poi il grande interprete non è grande perché imita qualche suo collega,
semmai ne trae spunto, ma restando nella lirica, puoi ascoltare mille
interpretazioni di Rigoletto e avrai mille diversi modi di interpretare.
Infine su Max Scheler, solo un telegramma; non era mia intenzione
entrare nei dettagli della sua impostazione filosofica, peraltro il
riferimento a Cartesio è piuttosto complesso e tuttora problematico e
motivo di riflessioni varie presso la “comunità filosofica” e non mi ci
vorrei addentrare , non mi pare la sede adeguata e la fenomenologia
scheleriana è argomento troppo fuori luogo perché possa essere
esplicitato in qualche riga, era solo un ricorrere alla categoria
Nietschianza, del risentimento e della dinamica servo-padrone come
sintetizzata da Max Scheler, per applicarla alla considerazione che
l’uomo comune ritiene di dover tributare a certi grandi uomini che hanno
fatto la storia e tra i quali Biagio, giustamente inserisce anche Bob
Dylan, o meglio, per quanto mi riguarda, la sua opera.
Con simpatia, Enrico
Caro Enrico, ogni
tanto serve mettere un pò di sale sulla coda alle persone per far uscire
tutto quello che han dentro. Ho notato con piacere che, seppur con
piccole differenze forse anche trascurabili, la pensiamo allo stesso
modo su quel grande mistero che risponde al nome di Bob Dylan che a
volte sembra uno smarrito personaggio in cerca d' autore, la differenza
è che lui se la cava sempre anche se l'autore non lo trova. Bob Dylan
potrebbe essere soltanto un mezzo, una rappresentazione visiva e sonora
di un modo di essere e di pensare, iun personaggio creato appositamente
sfacciato per vincere la timidezza di base di Robert Zimmermann. Un
piccolo attore travolto da un successo troppo planetario per essere
previsto. Poi, come si dice, quando si è in ballo si balla, ed a volte
diventa impossibile fermarsi. Che Bob Dylan sia un personaggio inventato
ed irreale l'ha detto diverse volte anche lui, Bob Dylan deve fare cose
che al Sig. Robert Zimmermann sono impossibili, ma quando spingi la
fantasia all'eccesso (per far questo ci vuole la famosa "capa tanta")
può succedere che ti ritrovi per le mani un personaggio unico come Bob
Dylan, e gestire un personaggio del genere non è la cosa più facile del
mondo. Sarà per questo che esistono tanti lati e tanti modi doversi di
essere Bob Dylan?
Ha detto Robert
Zimmermann: “Bob Dylan: una leggenda nata per… noia” .
A volte ognuno di noi si domanda come nasce una leggenda. La risposta di
Bob Dylan potrebbe essere: “per noia”. Il Bardo di Duluth, ormai icona
leggendaria della musica, entrato di diritto a far parte della cultura
americana, ha infatti dichiarato in una recente intervista di aver
cominciato a scrivere canzoni all’inizio degli anni ’60 semplicemente
perché non aveva niente altro da fare.
Genio per caso? Dylan rivela di aver trovato l’ispirazione durante
quella che fu chiamata la “Summer of Love” insieme al chitarrista Robbie
Robertson: “Gli eventi di quel periodo sembravano essere distanti anni
luce da noi. Non stavamo davvero partecipando a quello che stava
succedendo, era la “Summer of Love” ma noi non eravamo lì. Così abbiamo
cominciato a scrivere, non avevamo niente altro da fare ed io ho
cominciato a scrivere un mucchio di canzoni. Non avevo intenzione di
scrivere niente su me stesso perché ho sempre pensato che non avrebbe
interessato nessun altro. E così ho cominciato a prendere ispirazione da
qualsiasi cosa, dalla televisione fino agli elenchi telefonici. Quando
la Cina ha sganciato la prima bomba all’idrogeno, abbiamo avuto
l’ispirazione per "Tears of Rage". Poi ci furono delle rivolte a
Rochester e nacque "Too Much of Nothing”. Poi da cosa nasce cosa e da un
piccolo menestrellino di paese nasce un genio!
Sono anni che tutti coloro che masticano la materia Dylan, che sono
stati travolti dalla forza delle sue canzoni, che hanno impostato la
loro vita su di lui come Greil Marcus, che hanno diviso del tempo con
lui, suonato con lui, lavorato per lui, vissuto con lui, cercano di
spiegarcelo “in tutti i luoghi in tutti i laghi” come dice Pier Davide
Carone. Ma nessuno ci riesce, quando hai finito di scrivere una cosa lui
è già diventato un’altra, e così devi cominciare da capo.
La verità e che scatta sempre qualcosa fuori e dentro di lui, e tutto il
resto è piccolo. La verità e che lui scrive ogni volta che il flusso
delle parole corrisponde ai battiti del suo cuore. La verità è che
l’universo lo insegue, ma lui è sempre irrangiungibile. La verità è che
lui prova cose che noi umani non immaginiamo neppure, e quando le
sentiamo raccontate dalle sue parole restiamo incantati e catturati for
ever and ever and ever!!!!
Scusami se ti ho ingiustamente stimolato, ma è stato bello e utile.! Con
molta simpatia, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)
New York, NEW YORK - Beacon Theatre,
December 2, 2014
1. Things Have Changed (Bob center stage,
Donnie on pedal steel, Stu on acoustic)
2. She Belongs To Me (Bob center stage with harp, Donnie on pedal steel)
3. Beyond Here Lies Nothin' (Bob on piano, Donnie on electric mandolin,
Stu on acoustic)
4. Workingman's Blues #2 (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
5. Waiting For You (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
6. Duquesne Whistle (Bob on piano, Donny on lap steel, Tony on standup
bass)
7. Pay In Blood (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
8. Tangled Up In Blue (Bob center stage with harp then on piano, Donnie
on pedal steel, Stu on acoustic)
9. Love Sick (Bob center stage, Donnie on electric mandolin)
(Intermission)
10. High Water (For Charley Patton) (Bob center stage, Donnie on banjo,
Tony on standup bass)
11. Simple Twist Of Fate (Bob center stage with harp, Donnie on pedal
steel, Stu on acoustic)
12. Early Roman Kings (Bob on piano, Donnie on lap steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
13. Forgetful Heart (Bob center stage with harp, Donnie on viola, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
14. Spirit On The Water (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Tony on
standup bass)
15. Scarlet Town (Bob center stage, Donnie on banjo, Stu on acoustic,
Tony on standup bass)
16. Soon After Midnight (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
17. Long And Wasted Years (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
(encore)
18. Blowin' In The Wind (Bob on piano, Donnie on violin, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
19. Stay With Me (Jerome Moross and Carolyn Leigh) (Bob on piano, Donnie
on pedal steel, Tony on standup bass)
Ian McLagan, tastierista di Small
Faces e Faces ci ha lasciato
Ian McLagan, ex tastierista della
leggendarie band Small Faces e Faces, è morto per un ictus all'età di 69
anni. Il musicista, colpito da un ictus, era stato
ricoveratoall’ospedale di Austin, Texas, ma non si è più ripreso.
The Faces: Tetsu Yamauchi, Ian McLagan, Ronnie Wood, Rod Stewart, Kenney
Jones.
McLagan nel 1966 era divenuto il tastierista degli Small Faces,
sostituendo Jimmy Winston. Ma dopo l’uscita dal gruppo di Steve Marriott
per formare gli Humble Pie, McLagan, Lane e Jones si unirono a Rod
Stewart e Jesse Ed Davis (sostituito poi da Ronnie Wood) per dare vita ai Faces.
Quando Ronnie Lane lasciò a sua volta fu rimpiazzato da Tetsu
Yamauchi.
Colin Allen, Bob Dylan, Ian McLagan, Greg Sutton, Mick Taylor
Negli anni a seguire McLagan ha lavorato anche con i Rolling Stones
(suonò nell'album “Some girls”, partecipando anche al tour
promozionale), con Bob Dylan fece il tour europeo 1984 che iniziò
dall’Arena di Verona con Mick Taylor (guitar), Greg Sutton (bass) e
Colin Allen (drums). Suonò inoltre per Jackson Browne, Joe Cocker, Chuck
Berry e Bruce Springsteen.
Morto Bobby Keys, uno dei più grandi
sassofonisti rock
Aveva 70 anni. Il decesso dopo una
lunga malattia. È stato in tour fino a inizio anno.
Bobby Keys, il leggendario sassofonista dei
Rolling Stones, divenuto famoso per aver partecipato al tour "Mad Dogs
and Englishmen" per accompagnare Joe Cocker nella sua tournee americana,
in coppia con l'altro famosissimo sassofonosta Jim Horm e l'altrettanto
famoso trombettista rock Jim Price, col quale suonerà in seguito per
lotissimi anni con i Rolling Stones, è morto nella sua casa di Franklin,
nel Tennessee, all’età di 70 anni.
A dare la notizia è stato il tastierista Michael Webb, che ha suonato
anche con Keys, il quale ha precisato che il musicista è morto dopo una
lunga malattia. Il sassofonista ha accompagnato lo storico gruppo rock
britannico nel suo tour fino a inizio anno quando si è dovuto ritirare a
causa della malattia.
con Joe Cocker e Jim Horn
Jim Price, Bobby Keys, Mick Taylor
Bobby Keys, Mick Jagger, Mick Taylor
Il "Tour dei Mad Dogls And Englishmen",
dal quale fu tratto anche un film, fu uno degli eventi più importanti
del rock ed ebbe luogo a partire dal marzo 1970 per sette settimame per
uj totale di 48 serate. Cocker fu obbligato dall'associazione dei
musicisti americani ad assumere del musicisti di quel paese per poter
effetuare il suo tour assieme ai musicicsti che di era portato
dall'inghlterra. L'incartico di formare una big bnand fu affidato a Leon
Russel che ingaggiò diversi nusicisti americani unendoli agli inglesi.
Ecco l'elenco di quella straordibnaria band, nomi dei musicisti e
nicknames:
vocals: Joe Cocker (TNT Voice),
Rita Coolidge (Delta Lady), Donna Washburn (Lady Madonna), Claudia
Lennear (The Stellar Gypsy), Daniel Moore + Pamela Polland + Matthew
Moore + Nicole Barclay + Bobby Jones (Space Choir). guitars: Don Preston (The Gentle Giant) , Leon Russell (Master of
Time) bass guitar: Carl Radle (The Mad Professor) piano and keyboards: Leon Russell Hammond; Chris Stainton (The Foxy Prince of Roll) drums: Jim Gordon (The Rock), Jim Keltner (Floats Like a
Butterfly) percussions: Chuck Blackwell (Straight from Taj Mahal), Sandy
Konikoff (Sphincter Phone) sax: Bobby Keys (The Ruby Lipped), Jim Horn trumpet: Jim Price (The Price is Right)
Joe Cocker, Mad Dogs and Englishmen - Honky
Tonky Woman
«I Rolling Stones sono devastati dalla
perdita del loro caro amico e leggendario sassofonista, Bobby Keys,», si
legge in un comunicato della band. «Bobby ha dato un contributo musicale
unico al gruppo fin dagli anni Sessanta. Ne sentiremo molto la
mancanza». Originario del Texas, Key iniziò a suonare con Buddy Holly e
The Crickets diventando presto un musicista apprezzato e famoso. Le sue
collaborazioni includono anche gli albums dei Rolling Stones, Lynyrd
Skynyrd, the Who, John Lennon, Harry Nilsson, Delaney Bramlett, George
Harrison, Eric Clapton and Joe Cocker, oltre ad altri prominernti
musicisti. Keys, che ha suonato in migliaia di dischi, fu principalmente
un touring musician dal 1956 fino al 2014.
Giovedi 4 Dicembre 2014
"From The Village To The Basement", uno
short film narrato Jeff Bridge
La Legacy Recordings, la divisione che
gestisce i cataloghi di Sony Music Entertainment, per celebrare l’uscita
di “The Basement Tapes complete: The Bootleg Series, Vol. 11” ha
pubbblicato online “From The Village to The Basement”, un cortometraggio
narrato da Jeff Bridges.
Disponibile in esclusiva sulla pagina ufficial Facebook di Bob Dylan:
https://www.facebook.com/video.php?v=10154845785630696&utm_content=nllink-3e11f3ff&utm_medium=email&utm_campaign=email%7C1041395253%7C20141203&utm_source=uscolumbia-bobdylan&cid=nl%3A1041395253
“From The Village to The Basement” comprime più di 12.000 fotografie in
una lunga caralleta di tempo, partendo dal marciapiede di fronte al
Washington Square Hotel al Greenwich Village, andando in direzione nord
attraverso lo stato di New York, e, infine, arrivando nel vialetto di
Big Pink, dove The Basement Tapes sono notoriamente stati registrati nel
1967.
Seguendo il percorso fatto da Dylan e The Band da Manhattan a West
Saugerties nella cantina di Big Pink, il filmato è un viaggio virtuale
con narratore Jeff Bridges che funge da guida turistica, che racconta la
storia e il mistero dei Basement Tapesi, la loro influenza sulla musica
americana. Per gli appassionati che cercano il meglio di queste
registrazioni, “The Bootleg Series, Vol.11: The Basement Tapes Raw” è
anche disponibile, presentando 38 brani più importanti del cofanetto in
una speciale collezione di 2-CD.
Ciao
Tambourine
volevo condividere con la comunità la mia versione di "Poeti per l'estate"
del nostro De Gregori. Forse entrambi passavamo a casa di Dylan, io a
quella di tutti e due, ma la canzone è registrata a casa mia :)
Poeti per L'estate - Gian Jesus
Bellissima Gian,
complimenti, alla prossima, Mr.tambourine, :o)
Mercoledi 3 Dicembre 2014
New York, NEW YORK - Beacon Theatre,
December 1, 2014
1. Things Have Changed (Bob center stage,
Donnie on pedal steel, Stu on acoustic)
2. She Belongs To Me (Bob center stage with harp, Donnie on pedal steel)
3. Beyond Here Lies Nothin' (Bob on piano, Donnie on electric mandolin,
Stu on acoustic)
4. Workingman's Blues #2 (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
5. Waiting For You (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
6. Duquesne Whistle (Bob on piano, Donny on lap steel, Tony on standup
bass)
7. Pay In Blood (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
8. Tangled Up In Blue (Bob center stage with harp then on piano, Donnie
on pedal steel, Stu on acoustic)
9. Love Sick (Bob center stage, Donnie on electric mandolin)
(Intermission)
10. High Water (For Charley Patton) (Bob center stage, Donnie on banjo,
Tony on standup bass)
11. Simple Twist Of Fate (Bob center stage with harp, Donnie on pedal
steel, Stu on acoustic)
12. Early Roman Kings (Bob on piano, Donnie on lap steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
13. Forgetful Heart (Bob center stage with harp, Donnie on viola, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
14. Spirit On The Water (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Tony on
standup bass)
15. Scarlet Town (Bob center stage, Donnie on banjo, Stu on acoustic,
Tony on standup bass)
16. Soon After Midnight (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
17. Long And Wasted Years (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
(encore)
18. Blowin' In The Wind (Bob on piano, Donnie on violin, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
19. Stay With Me (Jerome Moross and Carolyn Leigh) (Bob on piano, Donnie
on pedal steel, Tony on standup bass)
In vendita la nuova SJ-200 della
Gibson mod. Bob Dylan al Beacon Theatre di N.Y.
Roberta Epstein Spalter e Kathy Fortier
con la chitarra acustica Gibson SJ-200 Collector's Edition autografata
da Bob Dylan in vendita al Beacon Theatre di New York il giorno 1
Dicembre, 2014 (Foto per gentile concessione di Kathy Fortier)
Ora si potrà acquistare la chitarra
(modello firmato dall’artista) che Bob Dylan ha suonato oltre 3 decenni
fa, la Gibson SJ-200, per poco meno di $ 10.000.
La SJ-200, splendidamente ornata, è il risultato di una collaborazione
tra la Gibson e Dylan, che si tradurrà in 175 esemplari, tutti firmati
da Dylan stesso.
Il modello della SJ-200 autografato da Bob Dylan, che avrà la tavola in
abete Sitka ed il corpo e le fasce laterali in palissandro colorati in
vintage sundburst costerà $ 9.999,00. Si prevede che andranno a ruba in
pochissimo tempo.
Il
Modello players non autografato sarà invece una chitarra leggermente
diversa con il corpo e le fasce in acero, con un solo battipena inciso
invece che intarsiato, e costerà meno di $ 5.000.
Bob
Dylan al Festival di Newport del 1965 il pomeriggio del 24 Luglio. Dylan
arrivò sul palco con una chitarra Gibson J-200 con doppio battipenna.
Alcuni siti indicano che questa chitarra
sia stata usata anche per la foto della copertina di Nashville Skyline,
in realtà si tratta della J 200 ad un solo
battipenna regalatagli da George Harrison
chitarra che usarà anche nel concerto
dell'Isola di Wight nel 1970.
Martedi 2 Dicembre 2014
New York, NEW YORK - Beacon Theatre,
November 29, 2014
1. Things Have Changed (Bob center stage,
Donnie on pedal steel, Stu on acoustic)
2. She Belongs To Me (Bob center stage with harp, Donnie on pedal steel)
3. Beyond Here Lies Nothin' (Bob on piano, Donnie on electric mandolin,
Stu on acoustic)
4. Workingman's Blues #2 (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
5. Waiting For You (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
6. Duquesne Whistle (Bob on piano, Donny on lap steel, Tony on standup
bass)
7. Pay In Blood (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
8. Tangled Up In Blue (Bob center stage with harp then on piano, Donnie
on pedal steel, Stu on acoustic)
9. Love Sick (Bob center stage, Donnie on electric mandolin)
(Intermission)
10. High Water (For Charley Patton) (Bob center stage, Donnie on banjo,
Tony on standup bass)
11. Simple Twist Of Fate (Bob center stage with harp, Donnie on pedal
steel, Stu on acoustic)
12. Early Roman Kings (Bob on piano, Donnie on lap steel, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
13. Forgetful Heart (Bob center stage with harp, Donnie on viola, Stu on
acoustic, Tony on standup bass with bow)
14. Spirit On The Water (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Tony on
standup bass)
15. Scarlet Town (Bob center stage, Donnie on banjo, Stu on acoustic,
Tony on standup bass)
16. Soon After Midnight (Bob on piano, Donnie on pedal steel, Stu on
acoustic)
17. Long And Wasted Years (Bob center stage, Donnie on pedal steel, Stu
on acoustic)
(encore)
18. Blowin' In The Wind (Bob on piano, Donnie on violin, Stu on
acoustic, Tony on standup bass)
19. Stay With Me (Jerome Moross and Carolyn Leigh) (Bob on piano, Donnie
on pedal steel, Tony on standup bass)
E' sempre un piacere ascoltare la voce del Bardo! :-)
Un caro saluto, Giorgio
Prima di tutto ti
ringrazio per la segnalazione, l'avevo ricevuta anch'io ed avevo
intenzione di postarla in questi giorni, ma mi è sembrato doveroso dare
le precedenza a te. E' vero, è bello sentire la sua voce, peccato che è
difficile capire tutto ciò che dice. Se qualcuno dei nostri lettori che
conosce bene l'inglese se la sente di trascrivere la traduzione sarebbe
davvero una bella cosa, speriamo......! Alla prossima. Mr.Tambourine,
:o)
Gibson presenta la SJ 200 edizione
limitata autografata da Bob Dylan
Dopo anni di progettazione e sviluppo con
la supervisione personale dell'artista, l’ edizione della Gibson mod.
SJ-200 Collector autografata da Bob Dylan è una replica esatta della
personalizzata chitarra di di Bob. Costruita con palissandro indiano e
abete di Sitka (il nome deriva da quello della città di Sitka in
Alaska). La paletta presenta l’eye-logo intarsiato in madre-perla. I due
battipenna sono riccamente decorati con un intarsio di madre-perla
abalone.
Ogni modello dispone di un'etichetta autografata da Bob Dylan ed ha il
numero di serie sulla paletta. Solo 175 chitarre autografate saranno
costruite e distribuite per le vendite in tutto il mondo al prezzo di $
9.900,00. Queste chitarre includeranno anche una edizione limitata unica
con custodia rigida con il l’eye-logo dell'artista ricamato.
Minneapolis, Minnesota - Orpheum
Theatre, November 6, 2014
di Don Ely
Il clima era come ai primi di novembre nel North Country. Nessuna
tempesta artica scesa giù dalle terre selvagge del Canada, non il
temibile Blizzard che ha spazzato tutto il Dakota. Il fatto è che sono
stato in grado di fare un giro turistico della città vestito
prevalentemente con solo una t-shirt in flanella. Di tanto in tanto
prendevo la famosa Skyway che Paul Westerberg ha cantato così
notoriamente.
Così Bob Dylan era a Minneapolis per il terzo show all’Orpheum nel
quartiere dei teatri in Hennepin Avenue, ed io ero lì. Gli ultimi due
anni avevo il desiderio di rivederlo nel suo stato natale, e questa è
stata l'occasione. Il mio approccio a Minneapolis è avvenuto
attraversando il fiume a La Crosse, Wisconsin, e prendendo la strada
panoramica fino alla Highway 61, passata Red Wing.
Come aficionados di Bob sapevo che la set list sarebbe stata la stessa
delle sere prima. Nel corso dei tre notti ero posizionato al centro
della 16° fila a destra, 5° fila in centro a destra, e 7° fila in centro
sinistra.
Martedì e Mercoledì miei posti stavano davanti al piano di Bob e alla
postazione di Donnie Herron, mentre giovedi ero in fronte al resto della
band e di Bob quando veniva a cantare ai quattro microfoni al centro
della scena. Come previsto il suono era eccellente in un luogo creato
quando la qualità del suono era qualcosa di più che un semplice volume.
I 2.700 posti dell’Orpheum Theater erano praticamente tutti occupati.
Delle tre serate quella di martedì è stata, a mio parere, una tacca
sotto le altre.
Apertura con “Things Have Changed”, un sicuro successo di Bob per alcuni
anni. Poi è la volta di "She Belongs To Me" con il ritmo di un battito
cardiaco, un impulso di vita che non può essere spento. "Workingman’s
Blues # 2" non è mai stata tra i miei preferiti, ma questa era tra le
migliori versioni che ho sentito, Bob l’ha cantata teneramente e
convinto.
"Waiting For You" è stato il primo dei tre esordienti personali. E'
stato bello sentire un vecchio valzer di scuola country nel set. "Pay In
Blood" ha offerto alla band una possibilità per brillare, come quando
Bob ha fatto una piccola smorfia col viso mentre si faceva da parte per
far suonare alla band un paio di battute.
Una minimalista "Tangled Up In Blue" ha catturato la mia attenzione,
soprattutto appena Dylan si è messo al pianoforte accompagnato da Stu
Kimball con la chitarra acustica e Donnie che sottolineava il tutto.
Dopo "Love Sick" il gruppo ha lasciato il palco per l'intervallo. A me
questa pausa fa sembrare la serata più corta, ma il totale dei due set
rimane sempre intorno alle due ore.
Come al solito ho incontrato alcune
persone che conoscevo a questi spettacoli, come Dez dall'Irlanda, che
era negli Stati Uniti da tre settimane ed aveva così visto Bob Dylan per
la prima volta. La terza notte ero seduto accanto a una bella signora
che veniva dal Montana.
Dopo una boccata d'aria fresca la band torna con " High Water (For
Charley Patton) ". Io indossavo quella che è diventata la mia uniforme
da concerto: una t-shirt con la foto di Charley Patton, quello scoperta
da John Tefteller durante la sua spedizione alla Paramount Records di
Grafton e Port Washington, Wisconsin. Questa rimane l’unica l'immagine
conosciuta di Patton che morì nel 1934.
E’ ora la volta del tipo blues di Muddy Waters "Early Roman Kings".
Questo numero è migliorato nel corso del tempo, così la ripetitività si
è trasformata da fastidiosa in avvincente.
Il materiale di “Tempest” ha dominato la seconda metà dello show, con
"Scarlet Town" e "Soon After Midnight" in evidenza. Bob era in bella
voce, forse un pò ruvido la prima notte, e il suo lavoro al pianoforte è
stato molto buono. Ha aggiunto qualche battuta di armonica in tre
canzoni, e naturalmente la folla ha espresso l’apprezzamento.
Illuminazione calda ma debole, sfondo dai colori ambrati, e i musicisti
non si poteva vederli bene. Piccole luci erano appese per sostituire gli
spot dell’AmericanaramA tour, l'elemento più cool erano i vecchi
lampioni in stile canestro che sembravano essere venuti direttamente da
un palcoscenico della MGM!
«Long and Wasted Years" era l'unica canzone di Tempest che non avevo
ancora sentito, ed ero ansioso per questo. Non è stata ammaliante, ho
pensato che in questa performance mancava il potere che altri recensori
su boblinks avevano magnificato, ma sono stato contento che sia stata
inclusa nel set. Con questa canzone termina il main set e si passa ai
bis.
Innanzitutto la versione "felice" di "Blowin' In The Wind". Ed infine la
canzone con la quale chiude da diverse notti dopo l'ultimo show a Los
Angeles, e cioè "Stay With Me", breve ma dolce, apparentemente un pezzo
che Frank Sinatra canticchiava in un film del 1965 e anche incompleta,
ritengo che Bob la canti come ringraziamento speciale a coloro che gli
sono rimasti fedeli in tutti questi anni.
La gente lamenta il fatto che Bob parla raramente durante le
performances, non palesa mai di dare riconoscimento al suo pubblico, o
dire "Hey Detroit!" o qualsiasi altra cosa, ma in genere è sempre stato
così da anni ormai. Tutti i Bobcats erano felici di essere vicini a Bob,
finchè sarà possibile.
Lunedi 1 Dicembre 2014
Talkin' 9504
- gebianchi
Cari Biagio e Mr. Tambourine,
innanzitutto un ringraziamento per i binari di civiltà dialettica sui
quali si sta sviluppando questo “dibattito”. Nauseato da blog
irriverenti, talk show torpiloquianti, pensatori dell’ultima ora con il
solo gusto della provocazione e dello scontro muscolare, mi trovo invece
a plaudire questo modo pacato, sereno e legittimamente contraddittorio
di argomentare. Il mio è anche un invito che spero si estenda, nella sua
modalità, all’intera talkin’ , che a volte si infiamma e si inerpica su
battibecchi e diatribe rissose e poco tolleranti dell’altrui punto di
vista. Ma questa è un’altra storia. Venendo all’oggetto di questa mia
risposta, vorrei aggiungere qualche contributo a quanto espresso da
Biagio e Tambourine, rispetto ai quali, come si evince mi trovo in
garbato disaccordo, pur nel rispetto totale delle Vostre posizioni.
Comprendo l’approccio di Biagio, capisco bene il senso personalissimo di
quell’illuminazione che con una bellissima immagine del Messia che
cammina sulle acque voleva comunicare. E’ una sensazione meravigliosa,
ha ragione, intima e personalissima, totalmente svincolata dalla
maestria tecnica o da surplus intellettualistici che poco hanno a che
vedere con l’approccio empatico di quei momenti. Ogni musicista sa che
nell’attimo in cui, parafrasando Faber, avverte quanto sia bello che
”dove finiscono le mie dita debba in qualche modo cominciare una
chitarra”, tutto il resto scompare per lasciar posto ad una sfera di
sensazioni ed emozioni uniche ed irripetibili. Io però non volevo in
alcun modo censurare o stigmatizzare questo approccio alla musica e alla
creatività a favore di cerebralismi dotti e accademici, sia chiaro. In
fondo è la conquista di tutta l’arte moderna, da Fontana a Piero
Manzoni, passando per Jackson Pollock . La Merda d’artista o
l’esperienza dadaista di inizio novecento sono ad esempio la più chiara
dimostrazione del fatto che per essere artisti non è necessario avere la
tecnica caravaggesca dei chiaroscuri o quella degli sfumati di scuola
leonardesca. Però, in quelle esperienze artistiche così dissacranti ,
così volutamente in rottura con l’abilità tecnica, caposaldo formativo
per generazioni di artisti, (mi viene in mente, da frequentatore del
jazz a tutta l’esperienza del free Jazz di Ornette Coleman etc), vi è
comunque una straordinaria dose di autenticità, di personalità, di
creatività; l’arte non come processo narcisistico fine a se stesso,
mirato alla propria autorealizzazione (e in qualche modo chi sale su un
palco e si propone agli altri, anche agli altri deve pensare), ma come
comunicazione di un messaggio personale, sociale, politico, culturale in
senso lato, ma comunque trasmissione di un’esperienza nuova e unica che
sia in grado di travalicare il proprio autonomo godimento. Perdonate, la
mia è una visione forse un po’ troppo “politica” (in senso metaforico) e
terribilmente datata del momento artistico, non a caso al Dylan che da
par suo racconta di esperienze sentimentali più o meno liete, preferisco
il Dylan rombante dell’impegno e della consapevolezza sociale. Alle
evanescenti alchimie dei Perigeo, prediligo l’approccio militante degli
Area di Demetrio Stratos (qui andiamo nel Pleistocene!!). Ma questo è un
fatto del tutto personale lo riconosco, però, tornando a Dylan, anche
quando si addenta in una sfera intimistica e sentimentale, lo fa
fornendoci il suo mood il suo originalissimo modo di vedere la realtà in
grado di plasmarci, di riflettere, di uscire trasformati da
un’esperienza come può essere quella dell’ascolto di un suo disco o di
un suo concerto. Non voglio divagare, ma attenzione, cari amici, io non
parlo della libertà sacrosanta di imitare, coverizzare (che brutto
termine), tributare… come si vuole, e neppure della libertà dello
spettatore di assistere a questo tipo di performances, ci mancherebbe;
penso però che quando si decide di salire su un palco e si hanno davanti
10, 100, 1000, 10000 persone, in una dinamica di rapporto alto-basso,
necessariamente sbilanciata a favore del performer, si decide di
assumere qualche responsabilità in più rispetto a quelle che si ha
prendendo una chitarra e suonando per il proprio personale piacere e
questo secondo la mia opinione rende troppo assolutorio il giudizio del
tipo “tanto poi ognuno è libero di pagare un biglietto e vedere quello
che vuole”. Io credo che in questa mission (altro brutto termine) che il
musicista si impone o dovrebbe imporsi accettando di proporsi agli
altri, vi debba essere l’attenzione primaria per quello che si comunica
agli altri. A me piace ricordare come De Andrè, per l’enorme rispetto
che aveva verso il suo pubblico, curasse in maniera maniacale il modo in
cui nei suoi concerti giungevano le parole e la musica al pubblico, che
era il suo unico soggetto cui rendere conto, sottoponendo se e i suoi
musicisti a estenuanti sound check per curare al massimo livello il
proprio rapporto con chi lo andava a vedere, e si esibisse solo quando
usciva un nuovo suo disco perché riteneva di aver qualcosa di nuovo da
dire. Mi rendo conto che questo è un approccio estremo ed eccessivo, e
che in fondo anche nella milionesima esecuzione di Hard Rain bofonchiata
malamente in una sala da concerti con acustica al limite dello scandalo,
il nostro può trasmettere nuove “vibrations” agli astanti, ma questo
solo per dire come la ripetizione, la replica, spesso scada soprattutto
se praticata non dall’autore originale, in un gusto narcisistico che ha
molto a che vedere con le categorie freudiane. Caro Biagio, io non davo
connotazioni negative o positive alla cosa, in fondo chi suonando un
assolo a’ la Al Di Meola non si è sentito un po’ Al Di Meola? Ma questo
va bene, ci mancherebbe, non è che la conferma della teoria di Renè
Girard, grande antropologo e pensatore francese secondo cui, la gran
parte dei nostri comportamenti sono “imitativi” ed il bisogno innato di
imitare l’altro (tutti i nostri comportamenti, secondo Girard sono
mimetici, da quelli del bambino che imita gli altri suoi simili a quelli
degli adulti che sono sempre alla ricerca di un modello a cui
ispirarsi), produce alla lunga il desiderio di essere l’altro, di
appropriarsi dell’identità dell’altro. Questa schizofrenica deriva ha
davvero portato a mio parere ad una crisi sostanziale di originalità e
creatività; anche nel mondo del rock, del pop, del blues e perfino del
jazz, ormai è tutto riproduzione sterile del già visto, frusta
variazione sul tema. Ma come giustamente osservava Mr Tambourine, altro
era la cover italiana di un pezzo targato USA che quarant’anni fa potevi
ascoltare nella sua versione originale, solo sintonizzandoti su Radio
Lussemburgo, altro è la riproposizione di pezzi che ormai possiamo
fruire in un nanosecondo navigando nella Rete. Quei primi, scarsi, rozzi
coveristi, che spesso cambiavano i testi per ragioni di metrica o a
volte di censura, ci hanno però permesso di arrivare ad ascoltare i
Procol Harum, gli Stones di Paint It Balck (versione improbabile di
Caterina Caselli) o al Give Me An Hammer di seegeriana memoria. Ma
almeno, erano innovativi, originali nel loro imitare o rifare e sapevano
comunicare qualcosa anche a chi li ascoltava perché permettevano a un
pubblico bigotto abituato alle lagne sanremesi di aprire i propri
orizzonti oltreoceano, laddove le “good vibrations” stavano da tempo
modificando il costume e il modo di pensare di un’intera generazione.
Infine un ultima osservazione. Certo, faccio mio e condivido l’assunto
di Biagio che sostiene la storia procedere per balzi e attraverso le
accelerazioni che i grandi uomini sono in grado di imprimerle. Lo stesso
vale per l’arte e Dylan, Joyce, Picasso ,T.S. Eliot, per fare qualche
esempio ne sono la conferma. Credo fosse anche la tesi di Max Scheler
filosofo tedesco dei primi del novecento superficialmente e puerilmente
accusato di fascismo per aver sostenuto questa tesi che anch’io invece
(molto sommessamente) condivido. Però credo anche che in ognuno di noi
alberghi un piccolo Dylan, un piccolo Charlie Parker, un piccolo Marcel
Proust, e a mio parere, offrirsi e offrire al pubblico questo nostro
modesto contributo di “artisticità” originale, frutto della nostra
personalissima rielaborazione e frutto delle nostre esperienze, è
meraviglioso e sublime, è in fondo il piccolo contributo che ognuno di
noi riesce a offrire al progresso dell’umanità, al di fuori di
imitazioni che rischiano a volte di sconfinare nella deriva negativa
dell’idolatria fine a se stessa.
Con simpatica “verve”polemica e mille scuse per la eccessiva verbosità….
un caro saluto, Enrico
Caro Enrico, ho letto con
piacere la tua mail indirizzata all’amico Biagio ed a me.
Con questo scambio di idee è come se ci fossimo addentrati in un campo
minato dal quale è difficilissimo uscirne, più ci si addentra, più si
citano filosofi e pensatori e più si corre il rischo di contraddirsi
inconsciamente perchè quando il ragionamento si arrotola su se stesso
avviluppandosi in spire sempre più profonde è difficile mantenere la
lucidità iniziale. Si potrebbe arrivare a dire tutto ed il contrario di
tutto con la massima facilità, senza nemmeno accorgersene.
Dylan è un artista dei più semplici da giudicare se tralasciamo di
perderci in inutili dissertazioni sul come, sul perchè e sul quando.
Dylan è stato un artista di rottura, in innovatore musicale, un nuovo
tipo di letterato, un grandissimo comunicatore, e tutto questo
conoscendo poco della materia che ha usato per esprimersi, cioè la
musica. Io credo che Dylan sia stato un “unicum” nel suo campo, e tutto
questo, come dici tu, senza avere la tecnica caravaggesca dei
chiaroscuri o quella degli sfumati di scuola leonardesca. Dylan è un
ramo dell’arte arte moderna, proprio come Fontana, come Piero Manzoni,
come Jackson Pollock, Andy Wharol, Picasso, come coloro che a modo loro
hanno descritto o creato le cose in un altro modo diverso dall’usuale.
Dylan ha usato la musica per esprimersi, passando diversi stadi
evolutivi durante tutta la sua carriera, eppure credo che Bob non sappia
leggere uno spartito musicale ne tantomeno scriverlo. Lui crea, scrive
parole ed accordi su un pezzo di carta, il suo spartito è un
registratore, canta e suona le sue cose d’avanguardia e giustamente
lascia che siano altri a fare il lavoro dello scrivano.
C’è però una contraddizione fra quello che dici tu:
"l’arte non come processo
narcisistico fine a se stesso, mirato alla propria autorealizzazione (e
in qualche modo chi sale su un palco e si propone agli altri, anche agli
altri deve pensare)”,
e il comportamento di Dylan nei confronti del pubblico. Lui non si è mai
preoccupato delle esigenze degli altri, Dylan si è sempre preoccupato di
soddisfare le sue esigenze infischiandosene di quelle degli altri, in
questo senso è unico, lui fa le cose e sono gli altri a doversi
adeguare. Il concetto è quindi ribaltato, cade l’esigenza della
responsabilità dell’artista nei confronti del pubblico, Dylan crea la
nuova regola, "è il pubblico a doversi adeguare a me" e non viceversa,
quindi, da un certo punto di vista, questo potrebbe anche essere
considerato un atteggiamento ultranarcisistico. Ma tutti sappiamo che
Dylan non funziona come noi e perciò perdoniamo e accettiamo tutto da
lui, nel bello e nel brutto.
Il problema di De Andrè non esiste in Dylan, “A
me piace ricordare come De Andrè, per l’enorme rispetto che aveva verso
il suo pubblico, curasse in maniera maniacale il modo in cui nei suoi
concerti giungevano le parole e la musica al pubblico, che era il suo
unico soggetto cui rendere conto, sottoponendo se e i suoi musicisti a
estenuanti sound check per curare al massimo livello il proprio rapporto
con chi lo andava a vedere”
scrivi tu, Dylan il sound
check lo fa in concerto, non gli importa se al pubblico arriva un suono
decente o se le parole possano essere capite chiaramente, lui sperimenta
e gioca le sue sensazioni in diretta sul palco, non nasconde niente, è
il massimo della sincerità. Se è incazzato lo si capisce chiaramente dal
suo comportamento, da come suona e da come canta, da come si rapporta
con chi è sul palco con lui, idem quando le cose girano per il verso
giusto.
Le Tribute Bands ed i Tribute Artist mettono in pratica il pensiero di
Girard, usano l’approccio a Dylan secondo le idee di Girard, un nuovo
approccio che non cerca l’ "originalità" delle opere, ma cerca ciò che
esse possono avere in comune con loro.
Imitamo l’artista che stimamo e rispettano, mentre contro-imitiamo le
persone che lo disprezzano, cioè cercano di fare il contrario di ciò che
fanno i detrattori e quindi sviluppamo opinioni opposte. Secondo Girard
il nostro comportamento è sempre imitativo, perché è sempre in funzione
dell'altro, nel bene come nel male. I tipici modelli che si presentano
nella vita di un uomo sono per esempio i genitori, il miglior amico, il
leader del gruppo, la persona amata, un politico, un cantante, una guida
spirituale o anche la massa in generale.
Perché si tende ad imitare gli altri? Il nostro desiderio è sempre
suscitato dallo spettacolo del desiderio di un altro per il medesimo
oggetto: la visione della felicità dell'altro suscita in noi (che ce ne
rendiamo conto oppure no) il desiderio di fare come lui per ottenere la
stessa felicità, o, ancora più intensamente, suscita in noi il desiderio
di essere come lui. I desideri delle persone che stimiamo ci
"contagiano". Ecco quindi spiegato e giustificato l’atteggiamento di chi
suona e canta Dylan in modo più aderente possibile all’originale.
Ma allora, si chiede Girard, siamo burattini senza libertà?
Assolutamente no. L'imitazione è la base della nostra capacità di
apprendimento (prendiamo ad esempio i bambini); senza imitazione non
sarebbe possibile la trasmissione della cultura, l'apprendimento del
linguaggio, ecc. L'uomo è ciò che è perché imita intensamente i suoi
simili. Dal desiderio di copiare o imitare viene tutto il meglio e il
peggio dell'essere umano. L'imitazione infatti non si deve intendere
come processo passivo e depersonalizzante (come dice Platone), ma come
attività potentemente creativa. La filosofia girardiana sembra essere in
contrasto con le tue parole quando scrivi:
“Questa schizofrenica deriva
ha davvero portato a mio parere ad una crisi sostanziale di originalità
e creatività; anche nel mondo del rock, del pop, del blues e perfino del
jazz, ormai è tutto riproduzione sterile del già visto, frustrante
variazione sul tema”.
Quindi non credo che chi copia Dylan lo faccia “solo ed esclusivamente”
per un’idolatria fine a se stessa o per esasperato egocentrismo, io
credo che nell’animo di una persona che vuole cantare le canzoni di
Dylan ci siano una serie di sensazioni e di sentimenti impossibili da
descrivere o liquidare semplicemente come “idolatria e
spersonalizzazione”, a mio modo di vedere c’è molto di più, altrimenti
dovremmo dire che tutti i grandi cantanti lirici che son venuti dopo
Jussi Björling, il più grande tenore di tutti i tempi, uno svedese morto
alcolizzato nel 1960, siano stati tutti degli imitatori spersonalizzati?
Di Björling ha così detto Luciano Pavarotti: "una voce come la mia nasce
ogni 10 anni, una voce come quella di Jussi nasce ogni 1000 anni".
Questo dice quanto Luciano lo stimasse e quanto avrebbe dato per avere
la voce come la sua.
Pavarotti era tecnicamente un “ignorante musicale”, anche se questa
affermazione sembra suonare come una bestemmia. Quando Luciano lasciò
questo mondo, Paolo Isotta scrisse sul Corriere della Sera: “Vorremmo
ricordare il tenore emiliano com'era ai suoi esordi, rimuovendo i
detriti limacciosi accumulatisi con gli anni. Da tenore «di grazia »,
emulo di Tito Schipa, il quale è ovviamente irraggiungibile, cantava nel
«mezzo carattere» dell'Elisir d'amore e della Sonnambula. Possedeva un
timbro delizioso ch'era immagine di giovinezza, fiati lunghi e sani e
quella splendida chiarezza di dizione che non l'ha abbandonato mai.
Sotto quest'ultimo profilo, anche nei periodi meno felici, Pavarotti
restava esempio d'una vecchia scuola italiana gloriosa: quando cantava
si capiva ogni parola. Contemporaneamente praticò con lo stesso successo
il repertorio «lirico»: a esempio, il duca di Mantova del Rigoletto. Lo
si volle accostare a Beniamino Gigli e, ripeto, per bellezza di timbro e
chiara dizione ne era un erede. Ho un prezioso ricordo d'un testimone
oculare quanto autorevole. Interpretava questo ruolo al Massimo di
Palermo sotto la bacchetta del grande e burbero Antonino Votto.
Rientrando il Maestro in camerino dopo la recita, borbottò: «Nunn' è
ccosa!».
Perché un direttore di tal calibro era scontento d'un delizioso tenore?
Pavarotti possedeva in radice difetti che i pregi della giovinezza
dissimulavano ma non potevano cancellare. Egli era un analfabeta
musicale, nel senso che non aveva mai appreso a leggere la notazione
musicale: le opere doveva impararle a fatica nota per nota con un tapeur
paziente. Questo è ancora il meno. Egli era a-ritmico per natura, non
era possibile inculcargli se non in modo vago la nozione della durata
delle note e dei rapporti di durata.
L'Opera lirica non è il canto del muezzin, è prodotto di accompagnamento
orchestrale e richiede voci che s'accordino fra loro. S'immagini
Pavarotti nel Sestetto della Lucia di Lammermoor…
Per avere quest'eccezionale cantante si doveva passar sopra a molte, a
troppe cose, e così si ricorreva a direttori d'orchestra abili nel
«riacchiappare » il tutto quanto pronti a chiudere tutti e due gli occhi
sul rispetto della partitura musicale. Questo difetto è con gli anni
aumentato, giacché Pavarotti, il suo vero torto, non aveva e non voleva
avere coscienza dei propri limiti.
Col crescergli un ego caricaturalmente ipertrofico diventava sempre più
insofferente delle critiche, anche solo degli avvertimenti affettuosi,
come affrontava zone del repertorio che gli erano precluse dalla natura
e dall'arte.
Da qui alle adunate oceaniche nei continenti, cantando egli con
amplificazione, alle manifestazioni miste con artisti leggeri, magari
più musicali di lui, alle canzoni napoletane detestabilmente eseguite,
al suo abbigliamento carnevalesco, ai prodigi di cattivo gusto, è stato
tutto un descensus Averni: ogni passo ti tira il successivo. E pensare
che aveva cantato col maestro Karajan”.
Nella classifica dei tenori Luciano occupava l’ottavo posto, dietro ad
Enrico Caruso (1873 1921), definito "il "modello" per tutti quelli l'
hanno seguito". Al secondo posto c' e' Placido Domingo: "Il migliore e
piu' completo tenore del nostro tempo", unico neo, la sua personalita'
"spesso rigida". Jussi Bjoerling (1911 60) è terzo anche se "finito
nella tomba prematuramente, alcolizzato"; quarto Lauritz Melchior (1890
1973); quinto John McCormack (1884 1945); sesto Beniamino Gigli (1890
1957), personalita' "irresistibile" contro un sex appeal "troppo
piagnucoloso"; e settimo John Vickers.
Trovo che ci siano un sacco di analogie tra le personalità di Pavarotti
e Dylan. Differenza fondamentale, Pavarotti aveva avuto in dono “la
voce”, Dylan “Il cervello”. Dylan, oltre la capacità mentale, non è mai
stato dotato o favorito da madre natura, non aveva il fisico, non aveva
una voce per fare il cantante, non aveva la tecnica per fare il
chitarrista e meno ancora il pianista, non conosce la musica, le sue
canzoni, scritte su uno spartito lui non sà leggerle. Teoricamente aveva
tutto per fallire nel mondo della musica, eppure è diventato il più
grande, misteri della natura che sembra distribuire i suoi doni senza
precise regole, a chi tocca tocca. In un casting di un “talent show”
odierno Dylan verrebbe scartato dopo 10/15 secondi, ma questo non
dimostra che Dylan sia sbagliato, dimostra quanto sbagliati siano i
criteri di selezioni dei talent.
Se prendiamo a paragone l’ opera lirica vediamo che in questo genere
musicale non c’è niente da innovare o inventare, esiste l’obbligo di
essere il più aderenti possibili a quanto scritto dall’autore. Chiaro
quindi che tutti gli interpreti dell’opera, siano essi tenori, baritoni,
bassi, castrati, contralti, controtenori, soprani, mezzosoprani o
sopranisti, devono per forza di cose interpretare i vari ruoli senza
innovare niente e rigorosamente senza “steccare”, pena la rivolta dei
loggioni. Questo limita gli artisti lirici che per trovare qualcosa di
nuovo devono fare cose per la lirica “inaudite” come hanno fatto i “Tre
Tenori” Pavarotti, Carreras e Domingo (formula copiata dai bravissimi
ragazzi de “Il Volo”), oppure inventarsi un “Pavarotti and Friends” come
ha fatto Luciano. Devo per forza di cose dire che i giovani del “Il
Volo” hanno spudoratamente copiato la formula dei “Tre Tenori”, eppore
nessuno dice che sono preda di una schizofrenica deriva, sostanzialmente
privi di originalità e creatività, riproduzione sterile del già visto,
frustrante variazione sul tema, ridicoli o patetici. Sono invece stimati
ed apprezzati ( ed anche profumatamente pagati) in tutto il mondo, ma
cosa dicono realmente di nuovo? Credo niente che non si sia già visto e
sentito, allora dovrebbero essere considerati dei cialtroni?
Per questo non vedo perchè uno che la fortuna di avere la voce con le
timbriche dylaniane dovrebbe vergognarsi di saper cantare con la voce di
Bob, anzi, beato lui che ha la possibiltà di farlo!
Per quanto concerne il pensiero di Scheler la questione è più
complicata, l’esasperazione di qualunque concetto crea problemi di
più difficile accettazione, Scheler vede nella riduzione kantiana della
persona a soggetto logico della ragion pratica una spersonalizzazione
della persona. Secondo lui anche Cartesio era in errore, e comunque il
suo resta un modo di pensare condivisibile o meno, certo che il mettersi
in contrasto con Kant e Cartesio non depone a suo favore.
Permettimi di dire che quando una persona, come nel caso di Biagio,
riesce a raggiungere il suo Nirvana con la sensazione di camminare sulle
acque è una persona beata che non potrebbe desiderare una sensazione
superiore.
Per finire, lasciami dire, che se anche se i nostri punti di vista sono
in contrasto, questo scambio di opinioni mi ha fatto davvero piacere.
Un caro saluto anche a te, alla prossima, Mr.Tambourine, :o)