Il "tradimento" di Dylan - Festival di Newport - 25/7/65


 
25 Luglio 1965. Al Festival di Newport Dylan si presenta sul palco per la prima volta accompagnato da un gruppo (la Paul Butterfield Band) ed esegue i pezzi elettrici della sua ultima produzione. Il pubblico lo fischia e Dylan esce (secondo alcuni in lacrime) dal palco al culmine della contestazione per rientrare in scena dopo vari minuti convinto dagli organizzatori ad eseguire qualche canzone da solo con la chitarra acustica e l'armonica. E' la rottura totale con il pubblico dei puristi del folk.
 

Joe Boyd: "A Newport, Dylan era atteso con trepidazione perfino eccessiva - la gente continuava a chiedere: "Non è arrivato, ancora? Quando arriva?" - e invece del personaggio in blue jeans e camicia da lavoro che era arrivato nel 1964 per interpretare il ruolo del Pifferaio Magico, eccotelo arrivare in compagnia di Bob Neuwirth e Al Kooper... in camicia a pallini con le maniche a sbuffo e occhiali da sole... Un'immagine molto, molto diversa. Avevano preso alloggio in un lussuoso hotel appena fuori città, e si comportavano come un clan, tenendo alla larga gli altri".
"La folla che circondava il Seminario dei Cantautori era talmente grande che stava inondando anche gli altri seminari. La gente si lamentava, e chiedeva a gran voce che venisse alzato il volume a Dylan a discapito degli altri seminari: una cosa che andava contro a quello che si supponeva fosse lo spirito del festival... Grossman divenne il bersaglio dell'ostilità degli organizzatori, ai quali, peraltro, non era mai stato molto simpatico: era sempre stato ritenuto, per così dire, uno dei mercanti che profanavano il tempio, e non un sacerdote. Grossman, da parte sua, si comportava in maniera arrogante, soprattutto ora che Dylan era
tanto famoso; cioè, era molto calmo, ma il suo modo di essere calmo faceva girare le palle a più di una persona".

"Peter Yarrow aveva esercitato un sacco di pressioni perchè la Butterfield Blues Band venisse inserita nel programma, un'idea alla quale Lomax si era tenacemente opposto sin dall'inizio. Sembrava avercela con Butterfield, anzi, contro qualunque bianco
osasse suonare blues... In ogni caso, Lomax venne costretto a inserire la band in cartellone, e quando salì sul palco per presentarli, rivolse al pubblico un discorsetto nel quale trattò la band con molta sufficienza.. Quando la band attaccò la propria esibizione, Lomax scese dal palcoe venne affrontato da Grossman, il quale glie ne disse quattro a proposito della presentazione che Lomax aveva appena fatto al gruppo... Una parola tirò l'altra, ed ecco che dopo un po' i due, nessuno dei quali era quello che si può definire un mingherlino, cominciarono a darsele di santa ragione, rotolandosi addirittura per terra. Dovettero separarli, altrimenti chissà quanto avrebbero continuato... Lomax indisse immediatamente una riunione d' emergenza del
comitato organizzatore... che quella sera stessa votò per l'allontanamento di Grossman dal terreno ove si svolgeva il festival. George Wein, che era un consigliere senza diritto di voto del comitato organizzatore, si fece avanti e disse: Guardate, io non ho diritto di voto, perciò la scelta spetta a voi, ma una cosa vi dico, che se mandate via Grossman, state pronti a vedere andar via anche Dylan, Peter, Paul & Mary e Buffy Saint-Marie! ...Pertanto, il comitato organizzatore ritirò il provvedimento di allontanamento emanato a carico di Grossman, ma la cosa non servì certo a far diminuire la tensione".

Michael Bloomfield: "C'eravamo tutti, a Newport: io, Kooper, Barry Goldberg, e questo negro Jerome, che suonava il basso ...era lui quello che incasinava più di tutti le cose. Eravamo tutti in una stanza, e c'era Odetta a vederci, e Mary Travers, e quello che suonavamo faceva veramente schifo, finchè non venne l' ora di salire sul palco e io e Barry dovemmo andare a vomitare nei cessi pubblici".

Joe Boyd: "Tra la fine del concerto di Domenica pomeriggio e l'inizio del set della Butterfield Blues Band, previsto per quella sera, c' erano due ore di tempo... pertanto, facemmo sgombrare la zona e facemmo il nostro soundcheck. Sapevamo che Dylan voleva suonare qualcosa assieme ad altri musicisti, ed era ovvio che un soundcheck fosse necessario...
Avevamo preso la precauzione di far fare a quasi tutti gli altri artisti che si sarebbero esibiti la Domenica sera il proprio soundcheck al mattino... Non avevamo sentito Dylan, ma avevamo fatto in modo di lasciargli a disposizione questo intervallo di tempo... Egli aveva intenzione di esibirsi con la Butterfield Blues Band e Al Kooper all'organo. Sistemammo il palco come volevano loro, che poi era il modo in cui andava comunque sistemato per la Butterfield Blues Band. Cominciarono a suonare, e fin dalle prime note fu chiaro che erano grandi! Tutti ci rendemmo conto che la loro esibizione avrebbe rappresentato qualcosa di significativo... Dissi loro: Quante canzoni avete intenzione di suonare ? Loro - Butterfield, Bloomfield e Dylan - si guardarono l'un l'altro e risposero: Be', ne abbiamo pronte solo tre, perciò tante ne faremo".

Pete Seeger: "Non fu un vero soundcheck. Armeggiarono un po' con i loro strumenti, e l'unica cosa che sembravano volere era più volume - continuavano a ripeterlo!".

Liam Clancy: "Quell'anno, filmai l'intero festival; ero posizionato in cima a una piattaforma alta tre metri e mezzo circa, e avevo un tele obiettivo, in modo da poter zoomare sul palco. Quando Dylan salì sul palco, fu subito chiaro che era fatto: barcollava qua e là per il palco con una camminata alla Chaplin!".

Joe Boyd: "Dylan non salì sul palco alla fine della serata, ma a metà circa, il penultimo a esibirsi prima dell'intervallo: erano le 21:15 circa. Io ero salito sul palco prima di lui, per sistemare gli amplificatori ai giusti livelli, e insieme a Rotschild avevamo preparato tutto a puntino; quando attaccarono le prime note di Maggie's Farm... Be', diciamo che per gli standard di oggi il volume non era quella gran cosa, ma per quei tempi era quanto di più fragoroso chiunque avesse mai sentito. Il volume. Fu tutta questione di volume. Non fu soltanto la musica, non fu solo il fatto di essere salito sul palco accompagnato da una band elettrica... Era stato fatto di tutto perche fosse Rotschild a mixare l'esibizione, e non qualche sconosciuto tecnico del suono che aggeggiasse con i controlli fino a fare raggiungere al sound il bilanciamento necessario, ammesso che ci riuscisse... Insomma, con Rotschild non c'era il pericolo che venisse fuori un brutto mixaggio, e infatti non fu così: si trattò di un concerto di rock 'n' roll dal sound poderoso, con le palle, e mixato da mani esperte. Non appena ebbi messo a posto le cose sul palco, corsi verso il settore riservato alla stampa, cioè di fronte al palco, poi di fianco al palco, sempre pensando Grandioso! Mentre mi stavo godendo il concerto, qualcuno mi prese per un braccio, e mi disse: Sarà meglio che tu vada nel backstage, c' è qualcuno che ti
vuole parlare. Così feci, e mi trovai davanti Seeger, Lomax e, penso, Theodore Bikel, o qualcun altro, che mi dissero: Il volume è troppo alto! Dovete abbassarlo! È una cosa insopportabile! Erano incazzati, ma incazzati neri. Io risposi: Non sono io il responsabile del sound, il mixer è là in mezzo al pubblico. Così, Lomax chiese: Come faccio ad arrivare fin là? Dimmelo, ci vado io. Risposi: Be', Alan, puoi andare fino infondo - sono solo ottocento metri - poi spostarti verso il centro, mostrare il tuo distintivo all'ingresso e passare per il corridoio centrale, fino al mixer. Lui replicò: Come, non c' è un modo più veloce? Risposi: Bè puoi sempre scavalcare la staccionata, dando contemporaneamente un'occhiata al suo panzone! Lui disse: Ascolta, vacci tu: puoi farcela meglio di me. Vai là e gli dici che il comitato organizzatore gli ordina di abbassare il volume. Accettai, e scavalcai la staccionata in un punto in cui tutti, salendo sopra una scatola, avrebbero potuto passarvi sopra. Quando arrivai là, penso che fossimo ormai giunti all'inizio del secondo brano, e c'erano Grossman, Neuwirth, Yarrow e Rotschild tutti seduti attorno al banco del mixer, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro, visibilmente soddisfatti di se stessi, mentre intanto il pubblico stava dando fuori di testa... C' era persino gente che litigava, perche c' era chi fischiava e chi invece applaudiva fino a spellarsi le mani... Io riferii il messaggio di Lomax, e Peter Yarrow disse: Di' ad Alan Lomax di andare a fare in culo, accompagnando la frase con un gesto inequivocabile. Io risposi: Dài, Peter, non mettermi nei casini! Allora egli disse: Bè di' ad Alan Lomax che il comitato organizzatore del festival è più che adeguatamente rappresentato qua al banco del mixer, che abbiamo tutto perfettamente sotto controllo e che riteniamo che i livelli sonori siano perfetti. Così, tornai indietro, scavalcai di nuovo la staccionata e, giunto a destinazione, tutto quello che riuscii a vedere di Pete Seeger fu la sua schiena che scompariva in distanza lungo la strada che oltrepassava il parcheggio... Venni nuovamente affrontato da Lomax e Bikel, schiumanti di rabbia, ai quali riferii il messaggio di Yarrow; loro si limitarono a imprecare e a digrignare i denti, anche perchè, ormai, l'esibizione era quasi terminata".
 

Al Kooper: "Accadde che, in Maggie's Farm, sbagliammo a entrare, e così il battere cadde, anzichè sulla seconda e sulla quarta battuta, sulla prima e sulla terza. Sono cose che accadono, si sa, ma quando accadono di solito succede un disastro, e così fu... Io mi persi del tutto".

Al Kooper: "Non c'era dubbio, il pubblico stava fischiando, ma solo perchè l'esibizione era stata troppo breve, solo tre canzoni... La gente aveva pagato un sacco di soldi, e penso che a nessuno fregasse alcunche degli altri artisti che erano in programma. Erano venuti per vedere Dylan, ed egli aveva suonato solo tre canzoni, quando uno come Son House aveva suonato per quarantacinque minuti... Like a Rolling Stone era al primo posto in classifica, allora, o giù di lì, per cui non so cosa la gente si aspettasse di sentire -Who Killed Davey Moore, forse? Al festival, però c'era stata una gran polemica riguardo al fatto che fosse stato concesso a qualcuno di esibirsi con degli strumenti elettrici, e penso che chi non approvava questa cosa
si fosse mischiato a quelli che protestavano per l'eccessiva brevità del set".

Bob Dylan: " Avevo fatto una cosa folle. Non sapevo cosa sarebbe accaduto, ma per certo so che ci fischiarono. Si potevano sentire fischi ovunque" [1965].

Joe Boyd: "Dopo l'intervallo, per qualche ragione il programma perse colpi, e sul palco salì ogni sorta di vecchio, stanco, finito, barboso scoreggione comunista si potesse immaginare - gente come Ronnie Gilbert, Oscar Brand, Josh White, che allora era veramente alla frutta, Theodore Bikel - finchè la serata non venne conclusa da Peter, Paul & Mary. Se ci fu una lezione da imparare, quella sera, fu che tutta quella gente era finita, e che le cose avevano preso veramente un nuovo corso...".
a cura di Michele Murino
 
Il set di Dylan a Newport '65
1. Maggie's Farm
2. Like a Rolling Stone
3. It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry
4. It's all over now, baby blue
5. Mr. Tambourine Man

 
Due pezzi sul Newport Folk Festival e la contestazione al Dylan elettrico

Newport Folk Festival, 1965/1 
di Irwin Silber 
Newport Folk Festival, 1965, su "Sing Out!", novembre 1965.

La scena più controversa del festival ha avuto luogo sul palcoscenico gigante, drammaticamente illuminato, a metà del concerto finale, quando Bob Dylan è emerso dall'aura misterica imposta dal suo culto per dare una dimostrazione del suo nuovo folk rock, un genere d'espressione che già ha iniziato a farsi strada nelle classifiche dei Top Forty, quelle che danno la misura quantitativa del successo. 
A molti è parso che non sia stato un gran bel "rock", mentre legioni di altri delusi hanno trovato che non sia stato un gran bel 
Dylan. Gran parte di costoro si sono sfogati restando in silenzio al termine delle canzoni di Dylan, mentre qualcuno ha fischiato l'idolo d'un tempo. Altri hanno applaudito e chiesto bis, trovando nel "nuovo" Dylan un'espressione di se stessi, proprio come gli attivisti sociali adolescenti del 1963 s'erano trovati rispecchiati nella visione del giovane poeta arrabbiato. 
Colpito e in qualche modo disorientato dalla reazione disomogenea della folla, Dylan è tornato in lacrime sul palco, senza strumenti elettrici, stanco e teso, per comunicare la sua sensazione d'inatteso spiazzamento con le parole e la musica di una canzone che ha reso paurosamente appropriata:  "It's all over now, Baby Blue...” 

Newport Folk Festival, 1965/2 
di Paul Nelson, Newport Folk Festival, 1965, su "Sing Out!", novembre 1965

Per tutta la sua enfasi sulla tradizione e i suoi tranquilli pezzi forti (Roscoe Holcomb e Jean Ritchie che cantano Wandering Boy era fra tanti il mio favorito), Newport è ancora un luogo adatto al Grande Momento, il minuscolo secondo di Dramma supremo che gela il sangue e illumina il cervello in quel genere d'eccitazione che s'imprime definitivamente nella memoria. Nulla di simile a un tale momento è accaduto a Newport 1964 (uno stupido circo) ma Bob Dylan ce lo ha fornito quest'anno, nella serata di domenica: la scena più drammatica cui abbia mai assistito nella musica folk. Eccone due rendiconti, il primo schizzato frettolosamente, sul momento, nei mio taccuino. 
"Dylan con quella nuova roba R & R, R & B, R & ?, mi ha messo al tappeto; credo che le sue cose nuove siano entusiasmanti più di qualunque cosa abbia sentito di recente, in ogni campo. 
La folla di Newport, dal canto suo, ha fischiato le sue esibizioni con la chitarra elettrica e poi è seguito il fatto più drammatico che abbia visto: Dylan che se ne andava dal palcoscenico, con il pubblico che fischiava e urlava: "Butta via quella chitarra elettrica", Peter Yarrow che cercava di convincere il pubblico ad applaudire e Dylan a tornare indietro, George Wein che chiedeva a Yarrow in tutta incredulità: "Sta tornando indietro?", Dylan che tornava indietro con le lacrime agli occhi e cantava It's All Over Now, Baby Blue, una canzone che ho considerato il suo addio a Newport, un'incredibile tristezza sopra Dylan e il pubblico che ora infine applaudiva perché la chitarra elettrica era scomparsa...". 
(Dylan suonò solo le prime tre canzoni con chitarra elettrica e gruppo). 
La seconda narrazione è tratta da un lungo reportage su Newport di Jim Rooney, di Cambridge, Massachusetts. 
"Nient'altro, nel festival, ha causato tante controversie. La sua [di Dylan] apparizione è stata l'unica a rivelarsi davvero disturbante. Ha distrutto la Vecchia Guardia, penso, per diverse ragioni. 
Bob non è più un neo-Woody Guthrie con cui possano identificarsi. Ha buttato via i vestiti rustici e le giacche ispide. Ha smesso di  cantare talking blues e canzoni che parlano di qualche "causa" - pace o diritti civili. L'autostrada che percorre adesso è sconosciuta a quanti vagabondavano negli anni '30 durante la Depressione. 
Viaggia in aereo. Indossa scarpe a tacco alto e vestiti europei d'alta classe. Le montagne e le valli che conosce sono quelle della mente - una mente ben conscia della violenza del mondo interiore. Ed esteriore. "La gente" amata da Pete Seeger è "la folla" tanto odiata da Dylan. Di fronte alla violenza ha scelto di salvaguardare se stesso, soltanto se stesso. Nessun altro. E sfida chiunque altro ad avere il coraggio di essere altrettanto solo, altrettanto privo di connessioni... quanto lui. Grida attraversa l'organo e la batteria e la chitarra elettrica: "Come ci si sente a essere da soli?". E non c'è da sbagliarsi, l'ostilità la sfida il disprezzo sono diretti alle migliaia di persone che siedono davanti a lui e non sono da soli. 
Che non ci riescono. E loro, a quanto pare, sono riusciti a capire per la prima volta quella sera quanto Dylan ha cercato di dire per oltre un anno - che lui non appartiene a loro né ad altri - e non hanno apprezzato quello che hanno sentito e hanno risposto a fischi. Volevano scacciarlo. Pete (Seeger) aveva dato inizio alla serata facendo ascoltare i vagiti di un neonato e chiedendo a tutti di cantare per quel bambino e dirgli in che genere di mondo gli sarebbe toccato in sorte di crescere. Ma Pete sapeva già che cosa voleva che gli altri cantassero. Avrebbero dovuto cantare che era un mondo d'inquinamento, bombe, fame e ingiustizia ma che la GENTE avrebbe infine VINTO... Ma non ci possono essere canzoni violente quanto la nostra epoca? Una canzone folk deve per forza parlare di monti, vallate e amore tra il mio fratello e la mia sorella su tutta questa terra! La disperazione è permessa soltanto nel blues!... 
Tutto ciò è assai comodo e tranquillo. Ma è proprio quello che dovremmo cantare a quel bambino? Forse sì e forse no. Ma dovremmo porre la domanda. E l'unico in tutto il festival che abbia messo in forse la nostra posizione è stato Bob Dylan. Forse non l'ha fatto nel modo più diplomatico. Forse è stato rude; ma ci ha scosso. Ed è per questo che esistono i poeti e gli artisti". 
E' proprio per questo che esistono poeti e artisti. Newport 1965, ed è un fatto piuttosto interessante, ha separato per sempre i due più bei nomi della musica folk: Pete Seeger, che aveva visto nella serata di domenica un'occasione di proiettare la propria visione del mondo e cercava di fare in modo che tutti trasmettessero la stessa impressione (limitando cosi le proprie esibizioni) e Bob Dylan, simile a un fiero giovane fuorilegge spagnolo in giacca di cuoio, un uomo che non poteva più accettare il vago, generico umanesimo del cantante più anziano, un uomo che, come Nathaniel West, aveva la sua personale visione arrabbiata da proiettare, in canzoni elettriche e vigorose come Like A Rolling Stone, e Maggie´s Farm. 
E, che gli piacesse o meno, il pubblico doveva scegliere. Se, da un lato, accettare la parola di un umanitarista grande e dignitoso la cui sincerità personale è fuori discussione ma la cui carriera pubblica, come quella dell'altro vecchio radicale Max Eastman, sembra sempre più scivolare verso una versione Reader’s Digest - Norman Rockwell della realtà delle cose (l'idea di Pete, di cantare inni di pace a un neonato fa sembrare le idee piu piccoloborghesi del Digest estremiste quanto un'opera di William Burroughs!); o se prendere per vero il mondo Donleavy-West-Brechtiano di Bob Dylan, in cui le cose non sono quasi mai graziose, in cui di rado c'è speranza, in cui l'uomo non è sempre nobile ma in cui, ed è la cosa più importante, esiste una realtà che coincide con quella del pianeta. 
Doveva essere malvasia e zucchero filato o carne e patate? 
Specchi sfumati di rosa o specchi che ingrandiscono le cose? Una brava persona che ha soggiogato e indebolito la propria arte per la sua costante insistenza su un mondo che non è mai stato e mai potrà essere oppure un poeta rabbioso e appassionato che chiede alla propria arte di essere tutto, che chiede di non essere posseduto, di non essere limitato o prevenuto ma soltanto, come Picasso, di essere lasciato in pace dalle critiche infantili per fare il proprio lavoro, dovunque lo possa portare ? 
Non c'era da sbagliarsi, gli ascoltatori dovevano fare una scelta netta e l'hanno fatta: Pete Seeger. Hanno scelto di fischiare Dylan e allontanarlo dal palco per qualcosa di sciocco e superficiale come una chitarra elettrica o per qualcosa di stagnante e nauseabondo come la loro idea di possedere un artista. Hanno scelto la sicurezza dei buoni pensieri volonterosi invece della stilettata dolorosa, sempre ardua, dell'arte. Hanno forse creduto d'avere scelto l'umanità in luogo d'un temerario atteggiamento io-per-me, ma non era vero. Hanno scelto il soffocamento in luogo dell' invenzione e dell'avventura, hanno scelto di restare indietro invece di andare avanti, hanno scelto la morte piuttosto che la vita. 
Avevano paura, come del resto Pete Seeger (a sua volta profondamente disturbato dall'esibizione dylaniana), di fare il gran 
balzo, di ammettere, di considerare, di pensare. Invece si sono rifugiati nella visione di Seeger, rielaborata dagli altri cantanti assai-meno-puri-di-cuore in programma, in verità tutti a parte Seeger: l'orripilante seconda metà del programma di domenica sera, che ha visto fuoriuscire senza il minimo ritegno tutte le possibili forme di Significato Sociale, una nauseabonda esibizione di egomania e un disperato tentativo di agguantare pubblicità e fama. La seconda metà della serata domenicale (secondo tutti i resoconti) è stata più brutta e isterica di qualunque punto di canzone di Dylan; e, si badi, l'impulso verso tutto ciò veniva non da Dylan ma da Pete Seeger (per ironia, nonostante il pubblico avesse scelto la visione di Seeger, è stata una vittoria di Pirro per Pete, che ne ha riportato la sensazione di un brutto fallimento). 
E stata una triste separazione per molti, me incluso. Io ho scelto Dylan, ho scelto l'arte. Seguirò Dylan e le sue "nuove" canzoni, e scommetto la mia reputazione di critico (per quel che può valere) che ho ragione.