Due pezzi sul Newport Folk
Festival e la contestazione al Dylan elettrico
Newport Folk Festival, 1965/1
di Irwin Silber Newport Folk
Festival, 1965, su "Sing Out!", novembre 1965.
La scena più controversa del festival ha avuto luogo sul palcoscenico
gigante, drammaticamente illuminato, a metà del concerto finale, quando
Bob Dylan è emerso dall'aura misterica imposta dal suo culto per dare una
dimostrazione del suo nuovo folk rock, un genere d'espressione che già ha
iniziato a farsi strada nelle classifiche dei Top Forty, quelle che danno
la misura quantitativa del successo. A molti è parso che non sia
stato un gran bel "rock", mentre legioni di altri delusi hanno trovato che
non sia stato un gran bel Dylan. Gran parte di costoro si sono
sfogati restando in silenzio al termine delle canzoni di Dylan, mentre
qualcuno ha fischiato l'idolo d'un tempo. Altri hanno applaudito e chiesto
bis, trovando nel "nuovo" Dylan un'espressione di se stessi, proprio come
gli attivisti sociali adolescenti del 1963 s'erano trovati rispecchiati
nella visione del giovane poeta arrabbiato. Colpito e in qualche
modo disorientato dalla reazione disomogenea della folla, Dylan è tornato
in lacrime sul palco, senza strumenti elettrici, stanco e teso, per
comunicare la sua sensazione d'inatteso spiazzamento con le parole e la
musica di una canzone che ha reso paurosamente appropriata: "It's
all over now, Baby Blue...”
Newport Folk Festival, 1965/2
di Paul Nelson, Newport Folk Festival, 1965, su "Sing Out!",
novembre 1965
Per tutta la sua enfasi sulla tradizione e i suoi tranquilli pezzi
forti (Roscoe Holcomb e Jean Ritchie che cantano Wandering Boy era fra
tanti il mio favorito), Newport è ancora un luogo adatto al Grande
Momento, il minuscolo secondo di Dramma supremo che gela il sangue e
illumina il cervello in quel genere d'eccitazione che s'imprime
definitivamente nella memoria. Nulla di simile a un tale momento è
accaduto a Newport 1964 (uno stupido circo) ma Bob Dylan ce lo ha fornito
quest'anno, nella serata di domenica: la scena più drammatica cui abbia
mai assistito nella musica folk. Eccone due rendiconti, il primo schizzato
frettolosamente, sul momento, nei mio taccuino. "Dylan con
quella nuova roba R & R, R & B, R & ?, mi ha messo al tappeto;
credo che le sue cose nuove siano entusiasmanti più di qualunque cosa
abbia sentito di recente, in ogni campo. La folla di Newport,
dal canto suo, ha fischiato le sue esibizioni con la chitarra elettrica e
poi è seguito il fatto più drammatico che abbia visto: Dylan che se ne
andava dal palcoscenico, con il pubblico che fischiava e urlava: "Butta
via quella chitarra elettrica", Peter Yarrow che cercava di convincere il
pubblico ad applaudire e Dylan a tornare indietro, George Wein che
chiedeva a Yarrow in tutta incredulità: "Sta tornando indietro?", Dylan
che tornava indietro con le lacrime agli occhi e cantava It's All Over
Now, Baby Blue, una canzone che ho considerato il suo addio a Newport,
un'incredibile tristezza sopra Dylan e il pubblico che ora infine
applaudiva perché la chitarra elettrica era scomparsa...".
(Dylan suonò solo le prime tre canzoni con chitarra elettrica e
gruppo). La seconda narrazione è tratta da un lungo reportage su
Newport di Jim Rooney, di Cambridge, Massachusetts.
"Nient'altro, nel festival, ha causato tante controversie. La sua [di
Dylan] apparizione è stata l'unica a rivelarsi davvero disturbante. Ha
distrutto la Vecchia Guardia, penso, per diverse ragioni. Bob
non è più un neo-Woody Guthrie con cui possano identificarsi. Ha buttato
via i vestiti rustici e le giacche ispide. Ha smesso di cantare
talking blues e canzoni che parlano di qualche "causa" - pace o diritti
civili. L'autostrada che percorre adesso è sconosciuta a quanti
vagabondavano negli anni '30 durante la Depressione. Viaggia in
aereo. Indossa scarpe a tacco alto e vestiti europei d'alta classe. Le
montagne e le valli che conosce sono quelle della mente - una mente ben
conscia della violenza del mondo interiore. Ed esteriore. "La gente" amata
da Pete Seeger è "la folla" tanto odiata da Dylan. Di fronte alla violenza
ha scelto di salvaguardare se stesso, soltanto se stesso. Nessun altro. E
sfida chiunque altro ad avere il coraggio di essere altrettanto solo,
altrettanto privo di connessioni... quanto lui. Grida attraversa l'organo
e la batteria e la chitarra elettrica: "Come ci si sente a essere da
soli?". E non c'è da sbagliarsi, l'ostilità la sfida il disprezzo sono
diretti alle migliaia di persone che siedono davanti a lui e non sono da
soli. Che non ci riescono. E loro, a quanto pare, sono riusciti
a capire per la prima volta quella sera quanto Dylan ha cercato di dire
per oltre un anno - che lui non appartiene a loro né ad altri - e non
hanno apprezzato quello che hanno sentito e hanno risposto a fischi.
Volevano scacciarlo. Pete (Seeger) aveva dato inizio alla serata facendo
ascoltare i vagiti di un neonato e chiedendo a tutti di cantare per quel
bambino e dirgli in che genere di mondo gli sarebbe toccato in sorte di
crescere. Ma Pete sapeva già che cosa voleva che gli altri cantassero.
Avrebbero dovuto cantare che era un mondo d'inquinamento, bombe, fame e
ingiustizia ma che la GENTE avrebbe infine VINTO... Ma non ci possono
essere canzoni violente quanto la nostra epoca? Una canzone folk deve per
forza parlare di monti, vallate e amore tra il mio fratello e la mia
sorella su tutta questa terra! La disperazione è permessa soltanto nel
blues!... Tutto ciò è assai comodo e tranquillo. Ma è proprio
quello che dovremmo cantare a quel bambino? Forse sì e forse no. Ma
dovremmo porre la domanda. E l'unico in tutto il festival che abbia messo
in forse la nostra posizione è stato Bob Dylan. Forse non l'ha fatto nel
modo più diplomatico. Forse è stato rude; ma ci ha scosso. Ed è per questo
che esistono i poeti e gli artisti". E' proprio per questo che
esistono poeti e artisti. Newport 1965, ed è un fatto piuttosto
interessante, ha separato per sempre i due più bei nomi della musica folk:
Pete Seeger, che aveva visto nella serata di domenica un'occasione di
proiettare la propria visione del mondo e cercava di fare in modo che
tutti trasmettessero la stessa impressione (limitando cosi le proprie
esibizioni) e Bob Dylan, simile a un fiero giovane fuorilegge spagnolo in
giacca di cuoio, un uomo che non poteva più accettare il vago, generico
umanesimo del cantante più anziano, un uomo che, come Nathaniel West,
aveva la sua personale visione arrabbiata da proiettare, in canzoni
elettriche e vigorose come Like A Rolling Stone, e Maggie´s Farm.
E, che gli piacesse o meno, il pubblico doveva scegliere. Se, da un
lato, accettare la parola di un umanitarista grande e dignitoso la cui
sincerità personale è fuori discussione ma la cui carriera pubblica, come
quella dell'altro vecchio radicale Max Eastman, sembra sempre più
scivolare verso una versione Reader’s Digest - Norman Rockwell della
realtà delle cose (l'idea di Pete, di cantare inni di pace a un neonato fa
sembrare le idee piu piccoloborghesi del Digest estremiste quanto un'opera
di William Burroughs!); o se prendere per vero il mondo
Donleavy-West-Brechtiano di Bob Dylan, in cui le cose non sono quasi mai
graziose, in cui di rado c'è speranza, in cui l'uomo non è sempre nobile
ma in cui, ed è la cosa più importante, esiste una realtà che coincide con
quella del pianeta. Doveva essere malvasia e zucchero filato o
carne e patate? Specchi sfumati di rosa o specchi che
ingrandiscono le cose? Una brava persona che ha soggiogato e indebolito la
propria arte per la sua costante insistenza su un mondo che non è mai
stato e mai potrà essere oppure un poeta rabbioso e appassionato che
chiede alla propria arte di essere tutto, che chiede di non essere
posseduto, di non essere limitato o prevenuto ma soltanto, come Picasso,
di essere lasciato in pace dalle critiche infantili per fare il proprio
lavoro, dovunque lo possa portare ? Non c'era da sbagliarsi, gli
ascoltatori dovevano fare una scelta netta e l'hanno fatta: Pete Seeger.
Hanno scelto di fischiare Dylan e allontanarlo dal palco per qualcosa di
sciocco e superficiale come una chitarra elettrica o per qualcosa di
stagnante e nauseabondo come la loro idea di possedere un artista. Hanno
scelto la sicurezza dei buoni pensieri volonterosi invece della stilettata
dolorosa, sempre ardua, dell'arte. Hanno forse creduto d'avere scelto
l'umanità in luogo d'un temerario atteggiamento io-per-me, ma non era
vero. Hanno scelto il soffocamento in luogo dell' invenzione e
dell'avventura, hanno scelto di restare indietro invece di andare avanti,
hanno scelto la morte piuttosto che la vita. Avevano paura, come
del resto Pete Seeger (a sua volta profondamente disturbato
dall'esibizione dylaniana), di fare il gran balzo, di ammettere,
di considerare, di pensare. Invece si sono rifugiati nella visione di
Seeger, rielaborata dagli altri cantanti assai-meno-puri-di-cuore in
programma, in verità tutti a parte Seeger: l'orripilante seconda metà del
programma di domenica sera, che ha visto fuoriuscire senza il minimo
ritegno tutte le possibili forme di Significato Sociale, una nauseabonda
esibizione di egomania e un disperato tentativo di agguantare pubblicità e
fama. La seconda metà della serata domenicale (secondo tutti i resoconti)
è stata più brutta e isterica di qualunque punto di canzone di Dylan; e,
si badi, l'impulso verso tutto ciò veniva non da Dylan ma da Pete Seeger
(per ironia, nonostante il pubblico avesse scelto la visione di Seeger, è
stata una vittoria di Pirro per Pete, che ne ha riportato la sensazione di
un brutto fallimento). E stata una triste separazione per molti,
me incluso. Io ho scelto Dylan, ho scelto l'arte. Seguirò Dylan e le sue
"nuove" canzoni, e scommetto la mia reputazione di critico (per quel che
può valere) che ho ragione. |