MAGGIE'S FARM

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Italian maestro to be stuck inside of Moville

 

 

DYLAN FEST 2010 a MOVILLE (Storia di un inaspettato successo)
 

Si è da poco concluso quello che probabilmente verrrà ricordato come una delle migliori edizioni del "Dylan Fest" di Moville (Irlanda), sicuramente quella che, più di tutte le precedenti, ha avuto un carattere internazionale.
Tralasciando le vicende relative al nostro viaggio (solo per arrivare a Belfast, da Cagliari, sono stati necessari 3 voli), per quello che ci riguarda possiamo dire che le già alte premesse ed aspettative sono state poi superate dalla realtà.
Arriviamo a Derry (ovvero Londonderry) con il pullman proveniente dall'aeroporto di Belfast, come da programma di viaggio, e ci fermiamo a mangiare in attesa del bus successivo che ci avrebbe portato a destinazione nel primo pomeriggio; squilla il telefono, rispondo e dall'altro capo sento una voce parlare in inglese.. è Gerry McLaughlin, l'organizzatore del "Dylan Fest", il quale, pur sapendo che saremmo arrivati volentieri in albergo per riposarci dalle fatiche del viaggio, ci propone un cambiamento di programma.
 

Un po' titubanti, ma incuriositi, accettiamo, anche perchè si tratta di andare in radio, in diretta; ci raggiunge Gerry e con il taxi arriviamo nel cortile della radio e con stupore ci rendiamo conto che si tratta nientemeno che della sede di Londonderry della BBC.
Emozione a mille ovviamente, ma, consci del ruolo che ci viene affidato, facciamo appello a tutta la nostra esperienza e 'professionalità' ed entriamo nello studio vero e proprio, dopo un po' di attesa; la sala da dove viene mandata in onda la trasmissione è un insieme immenso di apparati elettronici di altissima qualità, mixers, monitors, microfoni ovunque e quanto di meglio ci può essere in uno studio radiofonico.
 

Su indicazione dello speaker (Mark Patterson), dopo una sua breve presentazione, attacchiamo la prima delle due canzoni, "Tomorrow is a long time".
Notiamo la soddisfazione nei volti di Mark e di Gerry, entrato in sala con noi per pubblicizzare l'evento; poi è proprio il turno di Gerry nel rispondere alle domande di Mark, non riusciamo a capire tutto, ma è nell'aria la consapevolezza che questa sarà un'edizione qualitativamente importante.
 

E' il nostro momento, rispondiamo ad un paio di domande di Mark prima di attaccare la nostra seconda canzone, "One more cup of coffee"; al termine è chiaro che, pur con tutta la stanchezza del viaggio, abbiamo reso una performance apprezzabile, salutiamo e ringraziamo dell’accoglienza mentre ci aspetta il taxi che finalmente, in una giornata tipicamente nordica con il cielo coperto, ci porta alla meta, Moville.
 

La cittadina è una specie di bomboniera, incastonata sulle rive del Lough Foyle, molto tempo fa doveva essere uno dei tipici villaggi di pescatori del mare del nord, dove il freddo ed il grigiore del clima viene compensato abbondantemente dal calore della gente ed, anche nel nostro caso, l'accoglienza è stata davvero amichevole; sentirsi subito 'a casa' non è facile e non sempre può accadere, specialmente in un posto dove arrivi per la prima volta e dove trovi persone mai viste prima, una cultura diversa, una lingua diversa.
La musica però ha il vantaggio di essere un linguaggio universale e va oltre la semplice parola, è fatta di emozioni, di vibrazioni, quelle che si trasmettono vicendevolmente tra chi è sul palco e chi ascolta dalla platea.
Questa è la magia che si viene a creare la sera stessa a Derry per quella che diventa una succosa anteprima del festival, in un locale prestigioso, il Masons Bar, ben attrezzato per la musica live (molti dei nostri locali se la sognano una organizzazione ed una struttura del genere).
Un taxi mini-van ci ha accompagnato, partendo da Moville, fino a destinazione insieme a Gerry e Paddy McLaughlin, saliamo al primo piano e prepariamo la set-list di canzoni da fare per l’occasione e verifichiamo l’accordatura delle chitarre, nel frattempo facciamo conoscenza con gli altri musicisti.
Inizia la serata, aprono i Cannibals, sotto forma di duo acustico che, alla fine si sarebbero ripresentati sul palco come band completa; loro, essendo nativi del posto, giocano in casa e l'applauso del pubblico lo dimostra, segue James O'Connor, affiancato dalla superba violinista Audrey Trainor... quando, dopo alcuni brani, attaccano "Hurricane" sembra proprio di sentire Scarlet Rivera, le stesse armonie, le stesse progressioni, lo stesso 'colore' sulle note, semplicemente fantastici insieme.
Audrey scende dal palco per lasciare posto a Ruth Corey, la cui voce incanta e commuove, le vibrazioni sono insieme intense e delicate allo stesso modo; ma non si fa a tempo a gustare fino in fondo le armonie vocali di Ruth che è già il nostro turno, avevamo previsto di fare quattro o cinque pezzi al massimo, ma arrivati al termine del nostro set, la gente ci incita ad andare avanti e non possiamo smettere, soprattutto non possiamo deluderli, anche in considerazione del fatto che siamo stati scelti per essere gli 'headliners' del "Dylan Fest".
Gli applausi fanno sempre piacere e quelli a cui siamo abituati di solito non sono gli stessi di cui siamo oggetto in questa serata al Masons Bar: abbiamo di fronte persone assolutamente competenti, appassionate e di madre lingua, le nostre teste sono sotto i riflettori, non possiamo sbagliare.
 

A fine serata tante le persone che ci hanno fatto i complimenti, chi veniva per farsi fare la foto insieme a noi e chi ci prometteva di assistere anche alle serate successive.
Termina la prima giornata, densa di emozioni, abbiamo la sensazione di aver conquistato la fiducia della gente di Moville, ci aspetta il meritato riposo, ma è solo l'inizio, da domani il "Dylan Fest" entra nel vivo e tocca a noi aprire le danze.

E' giovedì 1° luglio, il tabellone prevede la nostra serata al Rosato's Pub , ma prima di questo, in teoria, avevamo appuntamento per delle prove importanti; prima di partire per l'Irlanda infatti, nei 2 mesi che sono intercorsi tra i primi contatti con l'organizzazione e la nostra partenza del 29 giugno, siamo stati coinvolti nella partecipazione ad uno show teatrale, in due atti, denominato "Long Time Gone", autore il canadese Peter Landecker che ha assemblato con cura monologhi e interviste originali di Bob Dylan, alternate con canzoni che ripercorrono la carriera del Maestro dai primi anni 60 ai giorni nostri, o quasi.
E' doveroso dire che lo spettacolo è stato autorizzato da Dylan stesso, personalmente a Peter, e che lo stesso è precedentemente andato in scena a Toronto e San Francisco, questa è la première europea.
Aspettiamo tutto il giorno che si faccia vivo qualcuno, ma nessuna notizia arriva da Egon Callery che ha curato personalmente la realizzazione dello spettacolo a Moville.
Ne approfittiamo per girare alcune scene destinate alla realizzazione del video di "What was it you wanted", la canzone che abbiamo registrato in primavera per la "Battle of the Dylan cover bands"; la registrazione è di buona qualità e man mano che si avvicinava l'appuntamento con Moville, ha preso corpo l'idea di sfruttare una location straordinaria come quella irlandese per inserire immagini assolutamente uniche nel videoclip.
Ne approfittiamo anche per dare un'occhiata al centro abitato, davvero piccolo, lo popolano poco più di mille anime, ma suggestivo... e fa anche effetto vedere in tutte le vetrine dei negozi le locandine del festival con i nostri nomi, questo ci da l'idea di quanto questo evento sia sentito dalla popolazione locale e anche, sicuramente, da tutti coloro che , da altre parti del paese, arrivano a Moville con la passione di Dylan nel sangue.
 

Ci siamo, è il nostro momento, dobbiamo aprire il "Dylan Fest" con la serata al Rosato's, l'appuntamento è di quelli importanti, il vestito migliore è d'obbligo; sistemo la videocamera per la ripresa (tutto, o quasi, sarà documentato a proposito di questo festival) e nel frattempo si fa vivo Egon, certamente un po' rammaricato, se non addirittura risentito, del fatto che non abbiamo partecipato alle prove teatrali, ma riusciamo a far comprendere le nostre motivazioni sull'accaduto, l‘appuntamento è per l‘indomani.
Il Rosato's è un pub non tanto grande, arredato con cura, parecchi oggetti, qualcuno realmente d'epoca, fanno bella mostra di se sulle pareti o sono appesi alle travi in legno che compongono la struttura del soffitto; la birra, ottima, comincia a scorrere ad un ritmo sempre più consistente, ma senza però mai sfociare in manifestazioni deteriori che l'eccessivo uso di alcool può provocare: è un'altra cultura, un altro modo di approcciare la vita ed i rapporti umani.
Inizia la serata, partono le prime note e vediamo la gente che annuisce, riconoscono la canzone ("Don't think twice"), qualcuno ci guarda con curiosità, c'è chi ci scruta forse un po' perplesso, qualcuno ci applaude, timidamente all'inizio, poi in modo sempre più convinto.
Riusciamo a conquistare i presenti, la maggior parte sono persone appassionate della musica di Bob Dylan, forse qualcuno ancora si chiede com'è possibile che due italiani riescano a dare voce e anima a quelle canzoni nel più profondo spirito dylaniano, trasformandosi in qualcosa che probabilmente non hanno mai ascoltato prima; la serata sembra non avere termine, anche perchè il bis è d'obbligo, gli applausi e i complimenti vanno anche oltre le migliori aspettative, un successo inaspettato quindi, almeno in questi termini.
Al momento dei saluti finali, dopo le brevi esibizioni di Marianne, Paddy e qualche altro musicista, sembra quasi non vogliano lasciarci andar via, qualcuno si offre anche di aiutarci a portare le nostre cose in albergo, peraltro non tanto distante dal pub, l'aria è fresca e si respira bene, profondamente... la notte ha sempre un profumo particolare, anche in questa regione del Donegal, o forse soprattutto qui.
 

 

Venerdì 2 luglio, qui il cielo continua ad essere coperto, un vento forte spira da sud-ovest, il Lough Foyle è coperto da una schiuma bianca, piccole onde che frangono ripetutamente sulla superficie, ogni tanto il cielo si apre, e ci illude, per poi richiudersi in un grigio classico da queste parti, sembra quasi una coperta di lana.
Questa volta non manchiamo all'appuntamento con le prove in teatro, pochi passi e ci siamo, saliamo al primo piano e ci immergiamo in un'atmosfera un po' mistica, le poltroncine sono vuote, il solo Egon è lì, sul palco, vi accediamo tramite l'ingresso laterale ed osserviamo la platea dall'alto.
Già immaginiamo gli attimi che vedranno il nostro ingresso in scena, sale l'emozione, e se si chiudono gli occhi si possono già vedere le persone che ci ascoltano, in silenzio.
Poco alla volta il palco si popola di tutti coloro che saranno i protagonisti dello spettacolo, insieme a noi, Gary Raymond il batterista, Ruth, la meravigliosa vocalist ascoltata due giorni prima a Derry, James ed infine proprio lui, l'autore, Peter Landecker.
Alle 11,30 iniziamo e si avverte già quella sensazione tutta particolare dove, all'abbassarsi delle luci in sala, la poesia entra in scena e si materializza; suoni e parole si alternano in un ordine preciso e delicato, l'emozione quasi ci sfiora la pelle e ci riempie di orgoglio: essere lì in quel momento è il frutto di tanti attimi di attesa, di speranze e di volontà messi in campo da più di due mesi.
Siamo anche degnamente assistiti dal punto di vista tecnico, le regolazioni del tecnico audio sono veramente buone e la ragazza addetta al mixer luci, posto tra le quinte, segue il ritmo perfetto del susseguirsi delle scene; durante le pause sediamo vicino a lei, non si può non notare il suo viso delicato e gentile, molto carina davvero.
Il gioco di squadra sembra funzionare: tutte le preoccupazioni di Egon per le prove saltate il giorno precedente svaniscono al cospetto di tanta magia, anche Peter sembra soddisfatto e fiducioso della buona riuscita del nostro lavoro.
L'appuntamento è per le 22,00 , o meglio quello è l'orario d'inizio dello show, noi saremo arrivati al St. Eugine Hall, questo il nome del teatro, circa un'ora prima.
Si è già fatta l'ora di andare a mangiare e scegliamo di recarci al Rosato's, il pub che ha ospitato l'apertura del festival; siamo piacevolmente sorpresi dalla qualità della cucina, il mangiare è abbondante e gustoso, carne ottima ovviamente e le ragazze che ci servono sono sempre molto gentili.
Il Rosato's ha una antica origine italica, forse anche questo ha contribuito a rendere molto appetibili i piatti che di volta in volta arrivano sul nostro tavolo.
Saremo sicuramente tornati nei giorni successivi per il nostro pranzo quotidiano, una garanzia; difficilmente infatti si tende ad abbandonare un posto conosciuto e nel quale ci si trova bene e questo è uno di quei casi.
Anche nella stampa locale abbiamo riscontrato gli elogi della gente comune per il nostro pub preferito: è stato definito infatti come quello che possiede il “fattore WOW”; apre alle 12 e tira avanti ininterrottamente fino alle 3 del mattino, all'apertura trovi le famiglie con i bambini, si pranza e nel primo pomeriggio cominciano ad arrivare persone a cui piace bere qualche birra in compagnia, la nera Guinnes la fa da padrona, a pieno titolo.
 

La stanza del Caiseal Mara Hotel è tranquilla, posta nella parte interna, il corridoio per accedervi è stretto e, sotto la moquette, si può sentire chiaramente che il pavimento è in legno e che qualche asse, un po' 'rumorosa', si muove sotto i nostri passi; certo la vista dalla nostra finestra non è granché, ma ci consente comunque di osservare che il vento continua a soffiare abbastanza forte. Per fortuna non disturba il nostro riposo, necessario a ricaricare le energie, ma anche ad aumentare la concentrazione in vista della sera.
Siamo in teatro.
Attacchiamo le nostre chitarre ai cavi sul palco e le posizioniamo con cura, la tensione cresce, siamo felici di essere lì, ma c’è anche la preoccupazione di non sbagliare nulla poiché, anche un solo piccolo particolare cha va storto, può rendere inefficace tutto il lavoro fatto in precedenza, l’attenzione è massima.
La gente comincia ad arrivare, la osserviamo da dietro le quinte; dato l’esiguo numero di abitanti di Moville, e dato che altri locali sono inseriti nella programmazione del “Dylan Fest” con il medesimo orario, la platea che si compone conta non più di trenta persone, ma va bene lo stesso, in fondo sappiamo che sono lì perché quella musica è parte della loro vita, come della nostra.
Peter entra in scena e da voce al brano che è anche il titolo dello show, seguito da James; si alternano i primi monologhi con le canzoni del primo periodo, quello in cui Bob era appena arrivato a New York, nel freddo inverno del 1961.
A Ruth tocca l’incombenza di cantare forse la canzone più famosa di Dylan, “Blowing in the wind”, e lo fa con una soavità incredibile e, anche se siamo dietro le quinte ed il suono non è certamente altrettanto buono rispetto ad un ascolto dalla platea, rimaniamo a bocca aperta e ci chiediamo se veramente siamo all’altezza di far parte di questo spettacolo.
Il terzo monologo precede il nostro ingresso in scena, attacchiamo “Masters of war”, molto ritmata, lenta, coinvolgente, calda; al termine l’applauso arriva caloroso a confortare i nostri timori che svaniscono in un attimo: se siamo lì c’è una ragione ben precisa e diamo il nostro meglio affinchè il fluire dello spettacolo abbia effetto sul pubblico in sala.
Stavolta sono da solo per le due canzoni successive, solo chitarra e voce, proprio così come Bob aveva iniziato nelle prime fasi della sua lunga carriera artistica; il silenzio si riempie di passaggi delicati e parole che si susseguono armoniose fino ad arrivare alla prima delle canzoni che avremmo cantato in gruppo, con una strofa ciascuno, “The times they are a-changing”.
La lunga intervista che Peter propone, e che fa riferimento alla conferenza stampa del 1965, ammalia gli spettatori, ma anche noi che siamo seduti ai lati, fuori dal palco; sentire Peter è come sentire l’intervista originale, la stessa voce, le stesse inflessioni… davvero bravo il nostro canadese !
La musica torna a dominare per un set di sei canzoni, di volta in volta affidate alle voci di Ruth, James e Peter, noi chiudiamo il primo atto, insieme alla band, con la classicissima “Like a rolling stone”… standing ovation ed una breve pausa prima di riprendere con il secondo atto.
Durante la pausa siamo lì, sulle scale che portano in platea e, più in basso, nel seminterrato; c’è chi approfitta per ripassare le sequenze del secondo atto, chi mangia un po’ di frutta, la maggior parte di noi riprende fiato ed un po’ di fresco… le luci sul palco sono forti e ci hanno fatto sudare.
 

All’apertura del secondo atto c’è “I shall be released”, le nostre due chitarre acustiche e le nostre voci creano un’atmosfera magica, uno di quei momenti in cui vuoi solo chiudere gli occhi ed ascoltare perché tutto il mondo è lì, in quelle note, in quelle armonie.
Le canzoni che seguono sono dedicate ad un tema universale e mai abbastanza affrontato e mai abbastanza profondamente: l’amore.
Ci sono pochi artisti che descrivono bene l’amore così come fa Dylan con le sue parole, a volte taglienti, a volte fatte di una delicatezza inaspettata; scava sempre nel profondo, portando a galla emozioni che nella maggior parte degli esseri umani sono sempre lì, sopite in qualche angolo nascosto della propria coscienza, lui ha questo potere, un dono straordinario e unico.
Cantare insieme a Peter “All along the watchtower” è un grande privilegio nonché un piacere straordinario, a lui la prima strofa, a me la seconda e la terza insieme: è un pugno nello stomaco, di quelli che ti lascia senza respiro, ti stordisce e ti fa rialzare, la band supporta il tutto in un crescendo sempre più convinto.
Per l’ultimo set di canzoni indosso la giacca e cambio il cappello, quasi a significare che stiamo entrando in un periodo dylaniano diverso rispetto a quelli rappresentati in precedenza; si attacca con “Gotta serve somebody” fino ad arrivare alla conclusione affidata alla voce di Ruth con “Make you feel my love” nella quale si inserisce delicatamente la mia armonica in sottofondo.
Siamo giunti al temine, tutti al centro del palco a ricevere l’applauso finale.
Grande senso di soddisfazione, è questa la sensazione predominante tra di noi, siamo consci di aver fatto un bel lavoro, in fondo era la prima volta che si partecipava ad uno spettacolo teatrale; bisognava stare attenti ai tempi ed a non commettere errori, in linea di massima è andato tutto molto bene e le conferme ci arrivano dalle persone che incontriamo in platea, oltre che tra di noi.
La soddisfazione si legge chiaramente anche nel volto di Peter, rimane giusto un piccolo rammarico per non aver avuto la sala con tutte le poltroncine occupate: sarebbe stata un’ulteriore gratificazione rispetto a quelle che già, in questo momento, ci pervadono nel profondo.
L’adrenalina è tanta e non si può andare a dormire così, non si riuscirebbe neanche a prendere sonno; il ‘nostro’ Rosato’s è lì come un richiamo irresistibile, ci piace il calore di questa gente e l’atmosfera che si respira, oltre alla birra naturalmente, pochi passi e ci siamo, la gente è tanta, allegra ed amichevole, qualcuno ci riconosce mentre entriamo, i volti sono tutti sorridenti.
In fondo, il giorno dopo, non dobbiamo svegliarci presto per andare a lavorare perciò possiamo ancora tirare tardi nella notte che, tra pioggia leggera e brevi squarci di luna, accompagna in modo cadenzato il ritmo della nostra anima.

Il sabato 3 luglio è un giorno impegnativo, i timori per un abbassamento della voce ancora resistono, purtroppo, dal giorno prima: sono tre giorni consecutivi che cantiamo e mettiamo sotto stress le corde vocali; oltretutto oggi abbiamo due appuntamenti nell‘arco di poche ore, la replica del “Long Time Gone”, nel pomeriggio, e, a seguire, la serata con la band, sempre nello stesso teatro.
Siamo un po’ preoccupati soprattutto per l’ultima delle due cose: non abbiamo fatto neanche mezza prova con gli altri due elementi della band (Gary, il batterista, ed Egon, il bassista), almeno per lo show di Peter una prova è stata fatta.
Ci diciamo semplicemente “incrociamo le dita e… vada come vada !”
Non avendo programmi particolari per la mattina, ne approfittiamo per fare due passi fuori dal paese, lungo le rive del Lough Foyle, arriviamo al molo distante poco più di un kilometro; durante il percorso osserviamo da prima la chiesa presbiteriana, risalente al 1863, e facciamo alcune riprese con la videocamera, poi passiamo a fianco al Moville Community College ed alcune belle ville che sicuramente godono di una vista straordinaria.
Il molo non è tanto grande, vi sono alcune imbarcazioni da pesca, ormeggiate per lo più nella parte terminale, una a fianco dell’altra e si muovono lentamente, ottime per delle belle riprese da inserire nel video che andrò a creare e che sarà per noi quasi un oggetto di culto per i nostri ricordi, negli anni a venire.
Siamo al pomeriggio e ci ritroviamo in teatro per la replica del “Long Time Gone”, la sensazione di essere ‘in famiglia’ è sempre più forte, sappiamo di poter contare su quelle persone e loro lo dimostrano altrettanto nei nostri confronti, lo leggiamo nei volti e negli sguardi delle persone, quando non hai bisogno di dire con le parole ciò che l‘anima esprime con lo sguardo e con i gesti.
 

Lo show inizia e, nonostante il numero ancora più esiguo di spettatori, ci immergiamo nelle nostre rispettive parti, tutto scorre alla perfezione, adesso c’è anche la sicurezza che viene da quello che abbiamo fatto il giorno prima, i tempi teatrali sono ancora migliori; sarebbe davvero bello se lo spettacolo avesse un vero produttore così da poter essere portato in giro nei teatri degli Stati Uniti, durante la pausa ne parlo con Peter ed anche lui ne conviene che il prossimo anno, per il 70° compleanno di Bob, sarebbe fantastico portare lo show a Manhattan… per adesso è un sogno, vedremo se sarà possibile renderlo reale !
Al termine lasciamo tutti gli strumenti al loro posto sul palco, ci servono ancora per la sera, insieme alla band, un po’ di riposo in albergo e una visita veloce al Rosato’s prima di tornare in teatro.
A volte diventa difficile salire sul palco ed andare in scena anche dopo molte prove, l’emozione c’è sempre, ma questa volta è al massimo livello: con Egon e Gary non abbiamo mai suonato insieme se non nelle due occasioni precedenti del “Long Time Gone”, la set list di canzoni da fare però è molto più ampia e diversa.
La partenza è forse un po’ incerta, ovviamente non c’è la sicurezza che si sarebbe potuta avere facendo almeno una prova, questa volta si va in scena un po’ alla cieca.
Le canzoni si susseguono, la gente comincia ad arrivare, tra gli spettatori possiamo riconoscere anche Peter Landecker… c’è anche Gerry, l’organizzatore del Dylan Fest e sicuramente molti appassionati, tant’è che gli applausi si fanno sentire; è particolarmente piacevole quando dal pubblico si levano quei vocalizzi acuti che stanno ad indicare che hanno riconosciuto la canzone dalle prime note, o magari appena si iniziano a cantare i primi versi, capisco cosa può provare Bob in ogni suo concerto.. quella è la vera linfa vitale, quella che ti fa fare cento concerti all’anno anche in un’età che sarebbe da pensionato, il palco, e la gente che ascolta ed è lì, tutta per te, sono una forza straordinaria !
Al termine è un vero piacere poter constatare come il lavoro fatto abbia creato magia in una serata per pochi intimi, siamo stanchi ma soddisfatti, in fondo non ci era mai capitato di fare due spettacoli nello stesso giorno; smontiamo gli strumenti e raccogliamo tutte le nostre cose, andiamo a depositarle in albergo, mentre il vento ancora urla nella notte umida.
Stanno suonando anche nella hall del Caiseal Mara Hotel, ci tratteniamo un po’ ad ascoltare, ed è piacevole, ma il ‘solito’ richiamo è più forte di qualsiasi altra cosa, il nostro pub preferito è la meta naturale dopo una giornata così impegnativa; ovviamente andiamo a piedi, vesto con il mio giubotto di pelle nera ed il cappello texano, qualcuno mi riconosce da poco lontano ed urla ..”Booobb” ..mi giro, giusto per cortesia, le persone ci salutano a grandi gesti, rispondiamo al saluto molto volentieri, riusciamo a sentire il loro calore..che sensazione ! Sinceramente non mi era mai capitato e vorrei fermare per sempre questo attimo.
Il pub è pienissimo, si fa fatica ad entrare, figuriamoci ad arrivare al banco per ordinare due birre, ma alla fine la volontà viene premiata; sul ‘palco’ del Rosato’s sono di scena James O’Connor ed Audrey Trainor, la violinista, c’è molta confusione e questo non ci fa apprezzare fino in fondo quello che stanno suonando, ma l’atmosfera nella quale ci immergiamo è davvero unica, è notte alta e le persone hanno già bevuto un bel po’, difficile trovare qualcuno che sia sobrio anche soltanto un po’, a quest‘ora, di sabato, quelli che camminano sbandando pericolosamente vengono rimessi ‘in linea’ dagli astanti ed aiutati a proseguire i loro passi incerti, ci si diverte davvero da queste parti e la cosa bella è che ci si diverte con poco, basta stare insieme in armonia e condividere insieme le piccole grandi cose piacevoli della vita… la musica, l’amicizia, un sorriso…
Quando James ed Audrey terminano qualcuno vorrebbe che suonassimo anche noi un paio di canzoni, ma sinceramente dobbiamo declinare l’invito, siamo esausti dopo due spettacoli già sulle spalle nello stesso giorno e diamo loro appuntamento alla sera dopo, per la chiusura del festival che faremo proprio qui al Rosato’s.
L’aria è fresca e piovigginosa, mentre ci incamminiamo verso l’albergo, ma questa volta non importa se scende qualche goccia in più, non intacca minimamente tutto il calore ricevuto e di cui la nostra anima è colma.

La domenica 4 luglio si apre con una cosa un po’ particolare, e siamo fortunati ad essere capitati qui proprio in questo periodo: c’è una sfilata di auto d’epoca che parte dal centro di Moville e si snoderà tra le strade del Donegal.
Le auto si radunano poco a poco nella piazza centrale, in realtà fanno anche un po’ di fatica a starci tutte, la piazza non è tanto grande, così che qualcuna viene sistemata nel viale principale; personalmente adoro i veicoli delle epoche passate, le loro forme sinuose, le carrozzerie tirate a lucido come se fossero appena uscite dal concessionario, è come un viaggio nel tempo, davvero affascinante.
C’è una Ford T degli anni ‘20 con targa della California, una elegantissima Bentley color nero e crema, alcune Mini Morris degli anni ‘60, una Ford Anglia color turchese degli anni ‘50 e tante altre tra cui anche una Fiat 125 perfettamente conservata, sembra nuovissima; tra le cose curiose e che attirano molta attenzione ci sono le repliche delle auto provenienti dai telefilm americani come la Ford Gran Torino di Stursky & Hutch, il furgone nero, dall’aspetto cattivissimo, di A-Team e la classica auto della polizia americana, con tanto di sceriffo col fucile.
Dopo questa passeggiata in mezzo a queste bellezze tecnologiche appartenenti ormai al secolo scorso andiamo a mangiare, il Rosato’s è proprio a due passi; ci gustiamo l’ultimo pranzo a Moville prima di un bel riposo che ci avrebbe portato alla serata conclusiva.
Alle 21,00 arriviamo al locale, ma ci rendiamo conto che forse è troppo presto, le persone stanno ancora mangiando e niente è stato predisposto per la nostra serata (mixer, microfoni ecc.) così si decide di tornare in albergo ed arrivare al locale più tardi; mentre Pino è in camera che ripassa alcune canzoni, io ne approfitto, data la bella luce che c’è poco prima del tramonto, per girare altre scene per il video di “What was it you wanted”, scelgo diversi punti della zona dove ci sono le barche tirate in secco e faccio diverse ‘takes‘.
Passano i minuti che quasi non mi rendo conto dell’orario se non fosse per le luci che cominciano a scendere; è già ora di abbandonare il set ‘cinematografico’ per raggiungere quello musicale, il Rosato’s.
Giusto in tempo, poso le mie cose e preparo chitarra ed armoniche; questa volta non metto la videocamera in registrazione, c’è troppa confusione rispetto alla prima sera e temo che l’audio della nostra performance ne possa risultare penalizzato oltre misura, e poi, in fondo, mi voglio anche godere la serata senza la preoccupazione della ripresa video.
E’ una festa, semplicemente: man mano che andiamo avanti vediamo che tutti partecipano con grande gioia al susseguirsi delle canzoni, sempre di più cantano, applaudono, ci dicono cose a volte incomprensibili, è un frastuono di voci che ti ubriaca anche senza aver bevuto… fa caldo, ma diamo il meglio di noi, le birre arrivano copiose, offerte dagli spettatori che, in questo modo, ci ringraziano delle canzoni che proponiamo dal nostro repertorio.
Arriviamo in fondo alla nostra set-list ed il locale è ancora pieno, forse è troppo presto per smettere, accenniamo timidamente al fatto che “I shall be released” dovrebbe essere l’ultima e sentiamo un “nooooo” generale … il bis è inevitabile, ma non sarà l’unico; due bis di tre canzoni ciascuno, al termine dei quali sentiamo il coro dei presenti..”one more, one more, one more..” la gola è secca, le corde vocali sono al limite, ma non possiamo lasciare le cose a mezz’aria, una brevissima pausa, giusto per riprendere un po’ di fiato, e nel imbracciare di nuovo le chitarre arriva l’ovazione del pubblico, commovente.
Questa volta siamo categorici, questa sarà l’ultima canzone; mi sarebbe piaciuto poterla dedicare ad una persona in particolare, la quale, purtroppo, non era presente, quindi niente dedica, solo la delicata progressione della melodia e delle parole di “Make you feel my love”, veramente ispirata e che chiude degnamente una delle più belle esperienze musicali in assoluto.
Diventa difficile descrivere tutte le sensazioni e ciò che accade al termine di questo concerto… ma tante le persone che sicuramente ci ascolterebbero con gioia fino all’alba se fosse possibile suonare per tutta la notte, firmiamo autografi … mai accaduto prima, le pacche sulle spalle ed i complimenti si accavallano e ci sommergono, ovunque ci giriamo ci sono persone che ci ringraziano per aver partecipato a questo Dylan Fest, in particolare Gerry che, con gli occhi lucidi continua a dirci che questa è stata la miglior serata di tutta la manifestazione e non solo di quest‘anno, “Moville loves you..” è l‘altra sua frase ricorrente nel giro di pochi minuti, tutti ci chiedono di tornare il prossimo anno.
L’indomani però è lunedì, ed è il giorno della nostra ripartenza per l’Italia, sveglia presto, neanche la colazione in albergo, c’è il bus che ci aspetta per arrivare a Derry e, da qui, quello per l’aeroporto di Belfast.
A quest’ora di mattina il paese è vuoto, giusto qualche automobile passa ogni tanto, qualcuno che deve andare a lavorare probabilmente; nelle nostre orecchie c’è ancora il suono della serata precedente, con tutta la gente che cantava insieme a noi, nella nostra mente le immagini dei loro volti allegri e soddisfatti, nel nostro cuore invece portiamo il loro calore, quello di amici veri, di persone che hai la sensazione di aver conosciuto da sempre, disposti a renderti le cose più facili possibile, ed anche con la ferma convinzione che il prossimo anno si possa tornare ed immergersi ancora una volta in questa atmosfera surreale, paradisiaca che solo una piccola comunità di persone, appassionate di musica, ti sa regalare.
Mentre vedo Moville allontanarsi alle nostre spalle, mi piace concludere questo racconto con le parole di una canzone che sicuramente utilizzerò per il video dedicato a questa straordinaria esperienza: è tratta dalla colonna sonora di “Gods & generals” (per la quale Bob Dylan ha scritto “Cross the green mountain”), si intitola “Going home” ed è meravigliosamente interpretata dalla voce di Mary Fahl.

“They say there's a place “ - Dicono che c’è un posto
where dreams have all gone  - Dove sono andati a finire tutti i sogni
They never said where  - Non hanno mai detto dove sia
but I think I know  - ma io penso di saperlo
It's miles through the night -  E’ ad alcune miglia, attraverso la notte
just over the dawn  - Poco oltre l’alba
on the road that will take me home” - Sulla strada che mi porterà a casa.”
 

Al Diesan