di Gabriele Di Fronzo
Vi sono profumi freschi come carni di bimbi,
dolci come oboi, verdi come i prati,
e altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
aventi l'espansione delle cose infinite,
come l'ambra, il muschio, il benzoino e l'incenso
che cantano il trasporto dello spirito e dei sensi.
(da Correspondances, Les Fleurs du Mal, Charles Baudelaire)
Quantunque sia orribile rivederti coperta così;
quantunque non sia mai stata fatta di una città
un’ulcera più fetida al cospetto della verde Natura,
il Poeta dice: Splendida è la tua bellezza.
(Paris se repeuple, Arthur Rimbaud)
Like a Rolling Stone
Once upon a time you dressed so fine
You threw the bums a dime in your prime
Didn’t you?
Peopled called say beware doll
You’re bound to fall
You thought they were all
Kidding you
You used to laugh about
Everybody that was hanging it out
Now you don’t talk so loud
Now you don’t seem so proud
About having to be scrounging
For your next meal
How does it feel?
How does it feel?
To be without a home
Like a complete unknown
Like a rolling stone
You’ve gone to the finest school
Allright miss lonely
But you know you only used to get
Juiced in it
Nobody’s ever taught you
How to live on the street
And now you’re gonna have to get
Used to it
You say you never compromise
With the mistery tramp
But now you realize
He’s not selling any alibis
As you stare into the vacuum of his eyes
And say do you want
Make a deal
How does it feel?
How does it feel?
To be on your own
With no direction home
A complete unknown
Like a rolling stone
You never turned around to see the frowns
On the jugglers and the clowns
When they all did tricks for you
You never understood that it ain’t no good
You shouldn’t let other people
Get your kicks for you
You used to ride on the chrome horse
With your diplomat
Who carried on his shoulder a Siamese cat
Ain’t it hard when you discover that
He really wasn’t where it’s at
After he took from you everything
He could steal
How does it feel?
How does it feel?
To hang on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone
Princess on the steeple
And all the pretty people
They’re drinking thinking
That they got it made
Exchanging all precious gifts
But you’d better
Take a diamond ring
You’d better pawn it babe
You used to be so amused
At napoleon in rags
And the language that he used
Go to him now he calls you
You can’t refuse
When you ain’t got nothing
You got nothing to lose
You’re invisible now
You got no secrets to conceal
How does it feel?
How does it feel?
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone
Come una pietra che rotola
Un tempo vestivi così bene
Gettavi una moneta ai pezzenti nella tua primavera
Non e’ vero?
La gente ti gridava attenta ragazza
Finirai col cadere
Ma tu pensavi che ti prendessero in giro
Ridevi ti divertiva
La gente che cercava di stare a galla
Ora non parli più così forte
Ora non appari più così fiera
Ora che devi racimolare
Il tuo prossimo pranzo
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere senza casa
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
Sei stata nelle migliori scuole
D’accordo Signora Solitudine
Ma sai che ti piaceva
Ti ubriacavi soltanto
Nessuno ti ha mai insegnato
A vivere per la strada
Ed ora ti ci dovrai
Abituare
Dicevi che non avresti mai trattato
Con il misterioso vagabondo
Ma ora ti rendi conto
Che lui non vende alibi
E tu guardi nel vuoto dei suoi occhi
E chiedi vuoi che
Ci mettiamo assieme
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere per conto proprio
Senza avere dove andare
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
Non ti sei mai voltata vedere la fronte aggrottata
Dei giocolieri e dei pagliacci
Quando tutti facevano trucchi per te
Non hai mai capito che non è bello
Che non dovresti lasciare che gli altri
Ti divertano
Andavi a spasso sul cavallo cromato
Con il tuo diplomatico
Che portava sulla spalla un gatto siamese
Non è duro adesso capire
Che non era come lui ti diceva
Adesso che ti ha portato via ogni cosa
Che poteva rubare
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere per conto proprio
Senza avere dove andare
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
La principessa sulla guglia
E tutta la gente graziosa
Beve e pensa
Che loro sono arrivati
Regalandosi doni preziosi
Ma tu faresti meglio
A prendere il tuo anello di diamanti
Faresti meglio ad impegnarlo
Ti divertiva tanto
Napoleone in stracci
Ed il linguaggio che usava
Va da lui adesso ti chiama
Non puoi rifiutarti
Quando non hai più nulla
Non hai nulla da perdere
Sei invisibile adesso
Non hai segreti da nascondere
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere per conto proprio
Senza sapere dove andare
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
«E’ importante stare alla larga dalla trappola della celebrità. Il trip
della fama-per-un-minuto alla Andy Warhol. I media sono un enorme
tritacarne, sempre insoddisfatto e continuamente bisognoso di essere
nutrito; sono l’oscurità ed il tenere nascoste le cose ad avere un notevole
potere. Pensate a Napoleone. Napoleone aveva conquistato l’Europa, e nessuno
sapeva neppure che aspetto avesse; di questi tempi, la gente diventa famosa
troppo in fretta, e questo conduce unicamente all’immediata distruzione
dell’individuo. Vi e’ molta verità nell’affermare che la fama sia
nient’altro che una maledizione.» Dylan,1985.
«Il pubblico tratta tutte le celebrità alla stessa maniera. Non importa
affatto il motivo che ha reso famosa una certa persona; puoi essere famoso
per avere sparato al Presidente o per qualsiasi altra cosa, e ciononostante
sei famoso e loro metteranno le tue foto sulle pagine di tutti i giornali.
Puoi essere uno stilista, o una star del cinema, oppure un famoso finanziere
di Wall Street, puoi comunque contare su un certo livello di celebrità. Sono
parecchie le persone che rincorrono la fama ma in realtà ciò che inseguono è
il denaro… E’ come passare davanti ad un pub, e guardare aldilà dei vetri-si
vede che tutti sono impegnati a mangiare, intenti a chiacchierare… aldiquà
della vetrata, tutti ti sembrano autentici, concreti… Ma si tratta di una
realtà fittizia, perché una volta che entri nel pub, è tutto finito - non ti
sembreranno più autentici.» Dylan, 1986.
Nel 1949, mentre tentava con scarsi risultati di affermarsi come
sceneggiatore, Raymond Chandler si era posto la questione. “Credo che essere
molto poveri e molto belli sia probabilmente più un fallimento morale che un
successo artistico”, aveva scritto, aggiungendo che uno come Shakespeare se
la sarebbe cavata in qualsiasi contesto, avrebbe fatto bene con qualunque
mezzo di comunicazione si fosse trovato ad usare. Avrebbe anche corso il
rischio di produrre opere di bassa qualità, perché senza una dose di
volgarità non si dà un uomo completo; la raffinatezza fine a sé stessa è
sempre sintomo di fuga.
Il sogno radicalmente democratico di una fama e di una ricchezza che possono
toccare a tutti, e che genera grandi imprenditori, grandi politici e grandi
criminali, si estende anche all’artista, con la differenza che la disciplina
a lui richiesta è, se possibile, ancora più ardua. Non si tratta in alcun
modo di essere condiscendenti con il pubblico.
Quattro giorni dopo l’uscita di Like a Rolling Stone Dylan si presentò al
Newport Folk Festival. I ritmi tradizionalmente tranquilli e prevedibili
della manifestazione, in quel 1965 furono sconvolti, irreparabilmente
incendiati dalla decisione del cantautore di eseguire amplificati i suoi
nuovi brani.
La stragrande maggioranza dei musicisti che si esibivano al festival erano
tradizionalisti folk convinti sostenitori dei valori democratici, ed il
pubblico, che ignorava le intenzioni di quello che considerava il Vate della
rivolta sociale, si aspettava di ascoltare canzoni di protesta.
Lo shock provocato da quanto stava per accadere non avrebbe potuto essere
più violento.
Dylan si presentò sul palco con un giubbotto di pelle e gli occhiali scuri
ed affiancato da una vera band. Prima una versione acida di Maggie’s Farm,
poco lontana dall’essere semplice rumore, seguita poi da una versione
fragorosa, rimbombante di Like a Rolling Stone.
Il pubblico fischiava. La folla, sino a pochi istanti prima adorante,
riconobbe nella scena propostagli un affronto ai valori democratici del
folk.
Il passaggio dal folk al rock elettrico rappresentava un inaccettabile
tradimento. Non è scorretto sostenere che la chitarra elettrica
rappresentasse il capitalismo e la gente che ad esso si era venduta.
Il significato percepito ed attribuito alla svolta di Newport sancì la
rottura; Dylan aveva preferito il materialismo, la fama e la ricchezza,
l’egoismo del capitalismo moderno rispetto all’impegno politico, alla poesia
del quotidiano propri di quel mondo infinitamente bello e giusto che era
cantato dal folk.
Così come Dylan anche Pasolini veniva da un mondo puro ed onesto per
definizione, quello della Poesia. Anche Pasolini era passato all’elettrico
quando aveva deciso di dedicarsi al Cinema. Anche Pasolini portava giacche
di pelle ed occhiali scuri e si faceva circondare da un entourage di
fedelissimi. Come Dylan, Pasolini non si era mai liberato da una certa
naïveté politica, ed interpretava i mutamenti degli anni sessanta più
attraverso l’istinto che con la ragione. E come il Pasolini del 1975 vedeva
solo marciume e corruzione nell’Occidente, così Dylan poco dopo, non avrebbe
fatto che predicare l’imminente apocalisse, e da allora in poi non ha mai
veramente smesso. Nessuno dei due è mai riuscito a tenere la bocca chiusa,
nessuno dei due ha mai potuto fare a meno di tradire incessantemente tutti
coloro che credevano di averli inchiodati al muro, di averli dalla loro
parte, di averli assimilati alla loro causa. Questa immagine proposta in un
recente saggio dal prof. Carrera, docente di Letteratura Italiana presso la
New York University, avvicina due figure che apparentemente hanno ben pochi
tratti in comune. Pasolini e Dylan. La realtà nuda, cruda del quotidiano di
cui si fa cronista sublime il poeta italiano e la cultura dei Beat. Carrera
dimostra in questo caso di essere in possesso di una illuminante
lungimiranza; è notizia di questi giorni il progetto di Ferlinghetti, una
tra le maggiori voci della Beat Generation, di portare per i teatri
dell’America la vita di Pier Paolo Pasolini ribadendo la forte attrazione
tra l’autore di Ragazzi di vita e l’ universo Beat.
Entrambi, per usare la felice espressione di Dylan, temevano di fare la fine
di “una farfalla trafitta da uno spillo”.
Il passaggio dalla chitarra acustica a quella elettrica celava un ben più
incisivo riposizionamento del menestrello di Duluth; dalle finger-pointing
songs come The Time They Are A-Changin’, che puntavano il dito contro
l’ingiustizia e indicavano la via della rivolta, Dylan era passato ai truth
attacks, alle “offensive di verità”, scoppi di veemenza accusatoria a metà
strada tra esistenzialismo e paranoia, conclusi i quali assai raramente si
voltava indietro a controllare l’entità dell’offesa inflitta.
Ciò che colpisce in canzoni come Positively 4th Street e It’s All Over Now,
Baby Blue è la calma soprannaturale con cui Dylan pronuncia la sua
requisitoria. “Parla gentilmente, come in presenza di un morto; lascia le
prove indiscutibili sul tavolo, prende la porta e se ne va.” In questo modo,
trasudante anch’esso un’irraggiungibile pacatezza, Alessandro Carrera
descrive il modus operandi del cantastorie americano.
L’artista dalla sua torre d’avorio percepisce la realtà sottostante e la
modifica attraverso i suoi cambiamenti. Metafora delle svolte sociali,
metafora dei mutamenti culturali. La Poesia appare, prima tra le Arti, non
più proprietà della raffinatezza intellettuale, ma significato di
quell’inconsapevolezza propria dell’infanzia; la metafora in Dylan sta nella
sua capacità nel fornire un senso e passione a cose insensate.
Nel 1965 Dylan affitta una casa a Woodstock dove scrive di getto una poesia
priva di titolo, “quasi un attacco di vomito” come avrà modo di dire in
seguito.
«Era lunga dieci pagine, non aveva un nome, era solo un ritmo messo su
carta, tutta sul mio odio specifico diretto ad un punto che era onesto. Alla
fine non era odio, era un dire a qualcuno qualcosa che non sapeva, dirgli
che era fortunato. Vendetta, è una parola migliore. Non l’avevo mai pensata
come una canzone, finché un giorno ero al pianoforte, e mi ha cantato dalla
carta, “How does it feel?”in un movimento lento, un movimento lentissimo,
come se seguisse qualcosa. Era come nuotare nella lava. Vedi la tua vittima
che nuota nella lava. Che si appendono con le braccia ad un albero di
betulla. Che scivoli, che scalci l’albero, che colpisci un chiodo con il
piede. Vedi qualcuno immerso nel dolore al quale prima o poi è destinato.
L’ho scritta. Non ho sbagliato. E’ andata dritta al suo scopo.»
Da lì a breve questa visione seriamente dantesca di anime dannate destinate
a nuotare in un viscoso mare di fuoco acquisisce una forma distinta, una
metrica ed un ritmo incandescente, e diviene Like a Rolling Stone. La
registra tra il 15 ed il 16 giugno del 1965.
L’idea che rincorreva era quella di “un personaggio molto elisabettiano, con
tanto di giarrettiere ed un corno da pastore, che sta venendo giù dalla
collina al mattino presto, con il sole che si alza dietro le sue spalle”.
Se vogliamo fare nostre le parole di Humboldt, per cui il linguaggio si
situerebbe al limite tra l’espresso ed il non espresso ed il suo scopo
ultimo sarebbe quello di spingere questo limite sempre poco più lontano,
Dylan ha dato prova in questo caso, come in infiniti altri, di poter
spostare il confine per un lungo tratto del percorso.
Il soggetto di Like a Rolling Stone è la strada: la strada dove i sassi
rotolano presi a calci o vengono sparati oltre i limiti dall’urto con i
pneumatici o con le scarpette dei ragazzini. E per fare la fine del sasso
sono più che sufficienti una deviazione, una sosta anticipata o ritardata, o
un qualsiasi errore.
Non c’è un secondo atto nella vita americana, diceva F.S.Fitzgerald; questi
sarà poi citato da Dylan nell’amara Ballad of Thin Man, come mero feticcio
letterario con il chiaro intento di esemplificare la mezza cultura della
classe media americana. La società americana è da considerarsi una
one-mistake-society, un ambiente nel quale è sufficiente commettere un
errore per ritrovarsi nel fossato.
Dylan canta la strada della desolazione con l’interminabile Desolation Row,
abitata da personaggi e situazioni surreali, sul cui sterrato polveroso
Cenerentola subisce le attenzioni di uno sbadato Romeo, Einstein si traveste
da Robin Hood e una bancarella vende cartoline dell’impiccagione; in Highway
61 Revisited narra le assurde vicende che si susseguono su una delle
principali arterie del continente americano e con ciò fornisce un amaro,
disperato simbolo del fallimento nella società contemporanea.
La strada, luogo degli amori e disamori evocataci dal poeta, ambisce
paradossalmente alla fisionomia del vicolo cantato dai bluesman. La strada
non ha in sé nulla di romantico, si rivela una condanna senza appello. Ne’
Muddy Waters, né tanto meno Dylan si commuovono, o intendono commuovere il
fruitore del loro messaggio.
Dostoevsky in un suo racconto dal titolo "Storia di un uomo ridicolo" narra
le vicende di un uomo che, nell’istante stesso in cui sta per porre fine
alla sua vita, è colto da una visione in seguito alla quale è costretto ad
ammettere di essere stato certamente più colpevole che vittima delle sue
circostanze; deciderà di rinunciare ad ogni aspetto della sua precedente
esistenza e di "camminare, camminare" vestendo gli scarni, umili panni del
predicatore itinerante in completa povertà. La strada richiede il suo
crudele pedaggio alla fintamente ingenua signorina cantataci, o meglio
urlataci, dal poeta del jukebox e non troppo diversamente pretende dall’
uomo ridicolo fattoci conoscere dalla penna dello scrittore russo di saldare
l’esoso conto che indubbiamente gli spetta.
Lo scenario che si cela dietro la via asfaltata sulla quale entrambi i
personaggi vivono, è in ultima analisi terreno privilegiato per il
conseguimento della personale salvezza.
Ancora una volta Dylan privilegia la forza trasgressiva della metafora,
quella che Eco avrebbe definito con il termine “sommovimento”; muovendo dal
di fuori del linguaggio,Dylan giunge ad un lussuoso surplus di senso, fatto
di ambiguità e ricchezza presenti nelle singole immagini.
Il risultato da lui inseguito ed infine raggiunto, la ragione più profonda
che preme affinché Dylan racconti questa storia, sta proprio nel fatto che
dalla viltà propria della strada, si apre la possibilità di una liberazione
violenta dal destino prestampato della austera borghesia americana, una
elezione insieme dostoevskiana e dionisiaca.
Quali siano le ragioni per cui l’ex signora elegante non può fare ritorno a
casa, al narratore preme mettere in chiaro subito una cosa: l’unica
colpevole, padrona indiscussa ed indiscutibile del proprio avvenire, è lei,
ed unicamente lei.
La verità di cui Dylan si fa portatore in questo momento non è più che i
mascherati signori della guerra della potente Masters of War sono cattivi e
bugiardi, ma che ciò che realmente interessa al poeta Beat è ridefinire
l’importanza, la centralità dell’uno, dell’individuo e delle sue scelte.
Hai fatto buone scuole, come no, Madama Malinconia, incalza Dylan, ma sii
sincera, non facevi che ubriacarti. Nessuno ti ha mai insegnato a vivere per
strada, e te ne rendi conto solo adesso che ti ci devi abituare. Dicevi che
non saresti mai scesa a compromessi con il vagabondo misterioso, ma adesso
l’hai capito che quello che ti vende non è un alibi, mentre lo guardi nel
bianco degli occhi e gli fai: ci mettiamo d’accordo?
Così come nei classici, in questo caso lo scarto tra la figura proposta
dall’autore ad il senso rincorso e’ estremamente ridotto; l’assurdità logica
enfatizzata da Beardsley, il violento e sanguinoso scontro tra significati
letterali nello stesso contesto, tanto cara a Dylan, appare ora a riposo.
L’attacco paralizzante mosso da rabbia e desiderio di vendetta pare
leggibile sin dal mero livello letterale del testo; nient’altro che il
Sentimento, espresso dalle parole che inseguono indefesse l’eccitazione dei
sensi. Tutto muove in una unica direzione, dal principio alla fine
rispettata: urlare disperato il proprio intimo Sentire, più o meno celato
dietro le parole, effettivo strumento dell’intelletto dell’autore per
raggiungere tale scopo.
Con Like a Rolling Stone, Dylan alzava spudoratamente il leggero coperchio
degli anni sessanta ed aveva fatto fuggire Eris, la dea della Discordia,
quella che, come splendidamente riportato dall’Iliade, comincia il suo
cammino debole e zoppicante per poi crescere ad ogni passo e farsi più alta
delle montagne. Ancora una volta la capacità di sintesi propria delle
immagini avanzate dal prof. Carrera chiarisce la situazione meglio di decine
di insulsi commenti. Like a Rolling Stone è una crociata dai toni forti ed
impronunciabili condotta da uno strano moralista, mosso da un
imprescindibile impeto vendicativo.
Ed il suo successo, il suo continuo passaggio alla radio, la sua indiscussa
vittoria nel jukebox conduce al paradosso, di chi canta disperato
l’ipocrisia di una società e viene issato ad idolo dalla stessa.
L’unica accettabile,e degna di studio, tra le sempre tante morali che si
affacciano premurose, sta nella tragica americana bellezza del fallimento.
Pavese riconosceva nella vita adulta due distinte esperienze, il successo ed
il fallimento. O si provvede all’uccisione di Moby Dick o si porta al
naufragio l’intero equipaggio del Pequod.
Ma in realtà si può insieme uccidere la balena e far naufragare la nave,
oppure prendere coscienza del fatto che l’uccisione della balena non sempre
é catalogabile sotto la parola successo, mentre indiscutibilmente,
inopinatamente il naufragio della nave, in ogni modo questo possa accadere,
e’ sempre e comunque un fallimento.
Non si mira certo ad equiparare successo e fallimento; neanche la più
mirabile tra le metafore riuscirebbe a colmare l’enorme distanza di
significato che è insita tra i due concetti.
Dylan però riesce, almeno, ad insinuare tale vicinanza; un verso del brano
Love Minus Zero/No Limit così recita: “She knows there’s no success like
failure/And that failure‘s no success at all.” Lei lo sa che non c’è
successo come il fallimento/E che il fallimento non è per nulla un successo.
Il fallimento, per quanto non venga inseguito, è definito più importante del
successo, in quanto porta con sé maggiori implicazioni ed insegnamento.
Soprattutto rispetto al successo effimero, debole alla Andy Warhol, il più
desiderato ed afferrabile.
“Il linguaggio nella sua interezza è metafora; la nostra mente è un organo
associativo, si limita a lavorare per via di associazioni”. Avrebbe forse
permesso Richards, una tale “associazione”? Neanche gli infiniti versi
rimbaudiani, occupati da pesci ridenti, amici sanguinari che pugnalano le
sue foto, le scarpe da ginnastica con i tacchi, l’artista che può togliere
il buio della notte e dipingere il giorno di nero, il ragazzo che entra in
banca per chiede la cauzione di Achab, l’ago della bussola arrugginito dal
tempo, il Presidente degli Stati Uniti che deve mostrarsi nudo, la parrucca
calva per Jack lo Squartatore, il consiglio ad una giovane sposa di ingoiare
l’orgoglio che non è mica veleno, il naso sul pavimento, i pagliacci morti
in battaglia, il pubblicitario che per creare la prossima guerra mondiale
intende mettere delle panchine al sole, il monaco immacolatamente geloso, il
fantasma dell’opera travestito da prete che imbocca casanova, lo spettro
dell’elettricità che urla nelle ossa del suo volto, il grido solitario dello
spremiaranci, il giudice che cammina sui trampoli, la bocca di mercurio e le
visioni di tram dell’amata, il mazzo di carte senza l’asso ed il fante, lui
che cerca di spellare la luna ed accusarla, nemmeno queste immagini
allucinate prive di ogni logica, prese singolarmente o in un insieme, tutto
fuorché organico, riescono ad avere l’assurdo grado di assurdità proprio del
tentativo di accostare successo e fallimento.
Like a Rolling Stone é una gracchiante, disarticolata invettiva, che
utilizza la triste e penosa vicenda di Miss Lonely come puro pretesto
intorno al quale Dylan erige un edificio impossibile da abbattere fatto di
continue scariche elettriche con le quali il cantautore in ogni occasione
esegue, capitalmente, il proprio pubblico.
William Empson che definisce la metafora come la figura che permette di
uscire dall’ambito ordinario della parola, avrebbe riconosciuto all’autore
di Mr Tambourine Man una rara forza immaginativa. Ferlinghetti, riconobbe in
lui un’immaginazione furiosa ed immagini tremendamente brillanti, “e il
fraseggio un po’ folle di molte delle sue canzoni è qualcosa che parecchi
poeti vorrebbero possedere.” Lo spettacolo da lui proposto agli ascoltatori,
ben prima di essere un gentile invito al Caos (“Io accetto il caos. Non sono
sicuro se il caos accetti me.”) è una danza circense, scombinata, con parole
che alludono, si limitano ad essere presenti, si nascondono acquattandosi o
non significano nulla. Allen Ginsberg, autore di “Howl” manifesto in versi
della nascente generazione di battuti e beati, così definiti da
un’eccellente raccolta proposta da Einaudi e curata splendidamente da
Emanuele Bevilacqua, constatò come Dylan fosse riuscito a fare grande arte
con un jukebox.
Dylan sarà sempre molto vicino alle tecniche di scrittura ed alle tematiche
dei Beat; la prosa spontanea, la lettura di testi come Mexico City Blues
risalta viva dai suoi versi, e ciò è ancor più vero nell’unico esempio di
prosa del cantautore. Di Tarantula l’autore dice: “Sono cose senza rima,
frammenti messi insieme con la tecnica del cut-up (William Burroughs), cose
senza valore, salvo il fatto che hanno preso forma di parole”; senza neanche
troppa ironia si può riconoscere in questa breve frase di Dylan,
un’eccezionale recensione valida ad illuminare gran parte della sua
produzione musico-letteraria.
Il monito avanzato dallo studioso Kames per cui nella costruzione della
metafora lo scrittore dovrebbe attenersi all’uso di parole riconducibili
letteralmente alla natura dell’oggetto in questione, appare un consiglio
disatteso, un appunto stacciato e gettato fulmineamente nel cestino della
carta.
Piuttosto in Dylan si susseguono, indomite, immagini sorprendenti e
totalmente inaspettate, se non addirittura sconcertanti, portatrici di una
falsità palese, se non addirittura di assurdità.
Ritorniamo al nostro discorso sui versi furibondi della celeberrima Like a
Rolling Stone.
Principessa in cima alla guglia e tutta la bella gente che beve, pensa di
avercela fatta e si scambia regali preziosi, conclude Dylan, farai meglio a
toglierti il tuo anello di diamanti e a portarlo al banco dei pegni. Ti
faceva così ridere Napoleone in stracci ed il gergo che usava. Và da lui
adesso, ti chiama, non puoi dirgli di no. Non possiedi ormai più nulla, e
quindi non hai niente da perdere. Sei invisibile adesso. Ormai non esisti,
non hai alcun segreto da nascondere.
“Like a Rolling Stone è un’ode al fallimento, anche se scritta come solo il
successo poteva scriverla.” Alessandro Carrera dimostra perfettamente con
questa sua affermazione di aver compreso la natura stessa dell’opera
dell’americano.
Il poeta giunge a deflagrare l’intera mitologia del sogno americano, fatta
di lucente successo ed imperdonabile, buio fallimentare.
Le immagini bizzarre, furiose, sconcertanti, crudeli, immancabilmente folli
di Dylan rincorrono, ora con grazia, ora meno, ma sempre con indomita
passione (patior), insperate associazioni. Solo sognati abbracci. Suggestivo
lavoro di un incantevole sarto.
Bibliografia delle fonti
- Carrera, Alessandro; La voce di Bob Dylan. Una spiegazione dell’America,
Feltrinelli, Milano 2001.
- Rizzo, Stefano (a cura di); Bob Dylan. Blues, ballate e canzoni, Newton
Compton editori, Roma 1972.
- Sounes, Howard; Down the Highway, Tea Saggistica, Milano 2005.
- Bevilacqua, Emanuele (a cura di); Battuti & Beati. I Beat raccontati dai
Beat, Einaudi, Torino 1996.
- Conte; Metafora, Feltrinelli, Milano
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