PARTE UNDICESIMA
Guitar World Magazine - March, 1999
Profile: Bob Dylan
MAXIMUM BOB
In poco più di un anno, ha vinto un Grammy, è sopravvissuto ad una
pericolosa malattia, è stato in rapporti con personalità religiose ed ha
fatto concerti senza fine.
E' Bob Dylan, il sempre giovane principe del rock and roll.
A cura di Murray Engleheart
Bob Dylan, che a lungo nella sua leggendaria carriera è stato il più
all'avanguardia, ha ora speso più
di un anno ad essere anche il più caldo. E' l'uomo più ricercato, da Eddie
Vedder, suo dichiarato fan, fino a Papa Giovanni Paolo II, per il quale
Dylan ha cantato tre canzoni a Bologna. Dylan ha
perfino influenzato le vendite online di Amazon.com, che ha recentemente
votato " Bob Dylan Live 1966: The Royal Albert Hall Concert" come il miglior
album del 1998. E' proprio straordinario ,
uno dei più vitali artisti post-grunge nel rock è il cinquantottenne Bob
Dylan. Dopo quasi un decennio in leggera discesa, l'icona della folk-music
degli anni sessanta, contro tutte le speranze, ha
rivitalizzato la sua carriera spazzando via gli anni novanta con due album
che rientrano tra i migliori della sua carriera.
Insieme alla fortemente acclamata ristampa di "Albert Hall", il lavoro di
Dylan vincitore di un Grammy del 1997 (nota di Napoleon: ad esser precisi i
grammies sono stati 3!), " Time Out of Mind", prodotto da Daniel Lanois. Ha
rimesso il cantante all'avanguardia del rock.
E forse, ancora più eccezionali degli album di Dylan sono stati i suoi
brillanti show live, vetrina per la sua arrabbiata lead guitar e per la sua
straordinaria band. Dopo essere scampato alla minacciosa
infezione al cuore a metà del '97, Dylan ha tenuto oltre 200 concerti,
eseguendo ardenti, imprigionanti re-interpretazioni delle sue migliori
canzoni, a volte ricordando l'armata ferita delle
tre chitarre di "Free Bird" di Lynrd Skynrd. E' stato un totale distaccarsi
dai deludenti e vacillanti
show che divennero il suo "ferro del mestiere" negli ottanta e nei primi
anni novanta.
Quando Bob Dylan Parla - che è già una cosa rara - la gente sta ad
ascoltare. Specialmente in questi giorni. Abbiamo recentemente avuto
l'opportunità di avere una breve chiacchierata con l'enigmatica
leggenda, che finalmente si è dato una pausa dal suo "Never Ending Tour".
Dylan sembrava rilassato, ed era abbastanza gentile da ripensare ai
turbolenti eventi della sua recente carriera, e di fare congetture sul suo
futuro.
Guitar World: Bruce Springsteen una volta ha detto che senza di te non ci
sarebbero stati "Sgt. Pepper's" dei Beatles, "Pet Sounds" dei Beach Boys,
"God Save the Queen" dei Sex- Pistols
Bob Dylan: Bè ..., sai, puoi influenzare ogni tipo di persone, ma a volte
accade e basta - specialmente se qualcuno ti accusa di stare influenzando
qualcuno che non hai alcun interesse di influenzare in primo luogo. Non ci
ho mai dato tanta importanza comunque, davvero. Non mi interessa influenzare
nessuno in questo momento, e se ho influenzato qualcuno, che posso farci ?
GW: Alcuni tuoi album - "Blood on the Tracks", "Infidels", "Highway 61
Revisited" - hanno ispirato grossi consensi critici, ai loro tempi, e sono
sopravvissuti alla prova del tempo. Dal tuo punto di vista, questi dischi
mantengono la loro buona fama ?
BD: Bè, questi dischi sono stati fatti tanto tempo fa, e sai, sinceramente,
i dischi che erano fatti in quei giorni ed in quegli anni erano tutti buoni.
Tutti avevano qualcosa di magico perché la tecnologia non andava oltre
quello che stava facendo l'artista. Questo rendeva più facile fare un buon
album allora rispetto ad adesso. Allora ho fatto dei dischi proprio come
tanta altra gente della mia età, ed abbiamo tutti realizzato buoni dischi.
Quei dischi sembrano gettare una lunga ombra. Ma quanto di questo è dato
dalla tecnologia e quanto dal talento e dall'influenza, davvero non lo so.
So che non si possono più fare dischi che suonano in quel modo. La maggiore
priorità ce l'ha la tecnologia, ora. Non è l'artista o l'arte, è la
tecnologia che li supera. Da questo è stato concepito "Time Out Of Mind" ...
non si prende molto sul serio, ma ancora, il suono è molto significativo in
questo disco. Se questo disco fosse stato realizzato più per caso, non
avrebbe suonato in questo modo. Non avrebbe avuto l'impatto che ha. I
ragazzi che mi hanno aiutato a farlo hanno cercato di far venire fuori un
disco che fosse stato registrato con un vecchio registratore.
Non c'è alcuno sforzo sprecato su "Time Out Of Mind", e non penso ce ne
saranno in nessun altro mio disco
GW: Uno scrittore una volta notò che i dischi del bluesman del Delta Skip
James si sentivano meglio di notte. Lo stesso si potrebbe dire di "Time Out
Of Mind".
BD: Pensi che suoni alla Skip James ?
GW: In un certo senso. "Time Out Of Mind" si ascolta meglio a notte fonda.
BD: Questo è un magnifico complimento per me, di sentire che è anche in una
specie di ... che sarebbe in una specie di reame con Skip James.
GW: In termini di umore ed atmosfera, è quasi come se ci fossero dei
fantasmi a percorrerlo. Sono fantasmi di, o per, qualcuno in particolare ?
BD: No. Non sono pratico per la parte psicologica di esso. Non lo so. I
fantasmi di cui probabilmente parli sono solo probabilmente di come gli
strumenti sono piazzati nel mix. Alcuni sono più in sottofondo come in
opposizione ad essere in primo piano. O forse senti solo i differenti eco
emanati dal suono completo del disco.
GW: Jim Dickinson, che ha suonato le tastiere in "Time Out Of Mind", qualche
anno fa disse una cosa che ricordo molto affascinante. Disse che un sacco di
persone non si rendono conto che il processo di registrazione è una serie di
congelamento - inscatolamento dell'anima.
BD: Si, il processo di registrazione è molto difficile per me. Perdo
l'ispirazione molto facilmente in Studio, ed è davvero molto difficile per
me pensare che sto per mettere in ombra tutto quello di buono fatto
precedentemente. Mi annoio facilmente, e la mia missione, che incomincia
molto ampia, si affievolisce dopo poche cose andate male...
GW: Ci sono elementi di country blues e della qualità della produzione della
Sun Record sull'album.
BD: Bè, ci sono sempre stati. Ma in passato, quando erano registrati i miei
dischi, il produttore, o chiunque supervisionasse la mia session, pensava
fosse già abbastanza farmi cantare una canzone originale. Non c'era mai
abbastanza lavoro mirato allo sviluppo della musica, e questo mi ha sempre
reso molto disilluso verso il registrare dischi. "Time Out Of Mind" è più
illuminato, migliore sotto l'aspetto della canzone e del suo suono. Gli
arrangiamenti e le strutture sono realmente una parte integrante del tutto.
GW: "Time Out Of Mind" è stato registrato poco prima che tu ti ammalassi.
BD: Si, giusto.
GW: Il disco l'hai considerato come un soddisfacente ultimo capitolo ?
BD: No, non la penso così. Penso che stiamo solamente incominciando a
mettere il mio sound su disco, e penso ci sia molto altro da fare. Abbiamo
solamente aperto una porta in un particolare periodo, e con il passare del
tempo ci torneremo per estendere il tutto. Ho pensato fosse più un inizio.
GW: Hai menzionato Buddy Holly in relazione con l'album. Cosa ha portato il
suo spirito al disco ?
BD: Buddy Holly. Sai, non so esattamente cosa ho detto su Buddy Holly, ma
mentre lo stavamo registrando, ovunque mi girassi c'era Buddy Holly. Sai
cosa intendo ? Era una di quelle cose. Ogni posto in cui ti giravi.
Camminavi per un corridoio e sentivi dischi di Buddy Holly tipo ""That'll Be
the Day ". Poi ti mettevi in macchina per andare allo studio e c'era "Rave
On". Poi arrivavi allo studio e qualcuno aveva messo la cassetta di "It's So
Easy". E questo accadeva giorno dopo giorno.
Frasi musicali di Buddy Holly venivano fuori dal nulla. Era una cosa
paurosa. (Sorrisi). Ma dopo aver registrato ed essere andati via, sai, era
rimasto nella nostra mente. Bè, lo spirito di Buddy Holly doveva essere da
qualche parte a sollecitare quel disco.
GW: Sembra esserci un rinnovato interesse verso la tua musica, specialmente
tra i giovani. Hai notato un cambiamento anagrafico nel tuo pubblico ?
BD: No, non ho notato alcun cambiamento, ma ho trovato un pubblico diverso.
Non sono tanto bravo a capire come sono le vecchie persone, ma il mio
pubblico sembra essere più vivace di quanto lo fosse 10 anni fa. Reagiscono
immediatamente a quello che faccio, e non vengono con un sacco di
preconcetti su come vorrebbero che io sia, o su quello che pensano io sia.
Mentre pochi anni fa non reagivano così velocemente. Avevano da comunicare
troppo ...
GW: Bagaglio ?
BD: Mentale, sì, mentale, roba mentale, perciò (sospiro) ero ancora
impantanato in un certo tipo di folla. Ci ha messo un sacco di tempo a
scoppiare quella folla. Anche l'ultima volta che sono stato in Tour con Tom
Petty, eravamo di fronte allo stesso vecchio pubblico. Ma ora è diverso.
Sembriamo attrarre un nuovo pubblico. Non solo persone che mi conoscono come
una specie di figura da un'altra era o come un simbolo generazionale. Non ho
più niente da dividere con questo, se mai l'ho fatto.
GW: Trovi che lo scegliere le canzoni per i tuoi show live diventa sempre
più difficile o più facile col passare degli anni ?
BD: Bè, ho così tante canzoni che trovarle è l'ultimo dei miei problemi. Ci
sono canzoni che non ho mai suonato live. Ho 500, 600, 700 canzoni. Non ho
problemi con le canzoni rimaste indietro. Alcune scompaiono e si riducono
con il tempo, ma altre prendono il loro posto.
GW: Mentre sembra ci sia un grosso spazio per improvvisare, i tuoi show live
di questi giorni sembrano essere molto meglio arrangiati degli scorsi anni.
BD: Se stai per chiedermi qual è la differenza tra gli show di ora e quelli
dei '70, degli '80 o indietro ai '60, bè, le canzoni non erano arrangiate.
L'arrangiamento è l'architettura della canzone. Ecco perché le nostre
performance sono così efficaci oggi, perché a poco a poco ci siamo
avvicinati all'attuale struttura della canzone. Ed una volta che
l'architettura di una canzone è a posto, una canzone può essere fatta in
infiniti modi. Questo è quello che tiene i miei show attuali genuini.
Perché non sono allungati o non nascono per caso. Non sono affannati, non
sono solo un mucchio di urla ... un conglomerato di suoni. E' come Skip
James, che hai menzionato prima, che una volta disse: "Io non voglio
intrattenere. Quello che voglio è impressionare con abilità e calma la mente
dei miei ascoltatori." Se ascolti i suoi dischi - i suoi vecchi dischi -
vedi che riesce a farlo. Ma se ascolti i dischi fatti nei '60, quando lo
riscoprirono, scopri che manca qualcosa. E quello che manca è quel filo che
lega la struttura della canzone.
GW: Quale era la natura della tua infezione cardiaca ?
BD: Era una cosa chiamata istoplasmosi che viene dall'inalare
accidentalmente una quantità di sostanze che venivano fuori da uno dei fiumi
presso i quali vivo. Forse un mese o due o anche solo tre giorni all'anno,
gli argini lungo il fiume diventano sudici, e poi il vento soffia ed un
mucchio di sporcizia va nell'aria. Mi è successo di inalare qualcosa del
genere. Questo è quello che mi ha fatto ammalare. E' andato nella zona del
cuore, ma non era niente che veramente attaccasse il mio cuore.
GW: Eri seriamente ammalato, comunque ?
BD: Oh, ero seriamente ammalato, si.
GW: Questo ti ha fatto fare una pausa e ripensare a qualcosa ?
BD: Non l'ho fatto davvero, sai, perché era qualcosa che portavo su di me.
Non era come quando ho avuto bisogno di tempo per rallentare ed esaminare la
mia vita. Era solo una di queste cose.
Sono stato fermo per circa 6 mesi, ma non ricordo di aver avuto nessuna
particolare illuminazione in questo periodo.
GW: La performance per il Papa al Congresso Eucaristico Mondiale di Bologna
deve essere stata tremendamente toccante per te.
BD: Bè, era surreale, sai ? Ma si, era toccante. Voglio dire, è il Papa.
(Risate) Sai cosa intendo ? C'è solo un Papa, giusto ?
GW: Ti ha toccato in quel momento l'ironia del cantare "Knockin' on Heaven's
Door" in quella situazione ?
BD: No, perché era la canzone che volevano ascoltare. Sembrava essere in
giusta armonia con la situazione.
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How Does It Feel? Non chiedetelo.
Un Bob Dylan ringiovanito dal punto di vista creativo discute della sua vita
e delle sue canzoni.
Lo stato attuale della pop music è un altro discorso.
di ROBERT HILBURN
"Cinque stelle!"
Ecco le prime parole di Bob Dylan mentre entro nella suite del suo hotel a
Santa Monica per parlare con lui del suo nuovo album "Love and Theft".
"E' il giudizio che Rolling Stone ha dato al mio nuovo album. Quanti artisti
hai intervistato negli ultimi 15 anni che hanno ricevuto una recensione da
cinque stelle?".
Credendo che mi voglia prendere in giro rispondo "Beh, non hai cinque stelle
sul Los Angeles Times".
Silenzio.
Mi affretto a spiegargli che noi abbiamo un sistema di votazione che prevede
solo quattro stelle.
E' possibile che il più acclamato songwriter dell'era moderna si preoccupi
davvero per una singola recensione?... Non riesco nemmeno ad immaginare che
si emozioni per la vittoria di un Grammy o di un Oscar come di recente gli è
successo per "Things have changed" dalla colonna sonora di "Wonder Boys".
Mi controbatte: "Tu non saresti emozionato se vincessi il Premio Pulitzer?".
E' un momento quintessenziale alla Dylan. Ogni volta che pensi di averlo
capito lui ti schernisce con la sua ambiguità.
Per 40 anni è stato l'uomo del continuo cambiamento che ordisce persuasione
e contraddizioni nel suo lavoro con abili giochi di prestigio.
Su "Love and Theft", che ha ricevuto una recensione da quattro stelle la
scorsa Domenica nel Los Angeles Times ed è stato distribuito Martedì, ci
sono momenti di lotta e confusione. Ma questi sentimenti sono accompagnati -
spesso nell'ambito della stessa canzone - da momenti di disarmante brio
(incluso lo scherzo del "knock-knock") ed esultante ottimismo, quando gli
dèi sembrano schierati dalla sua parte.
Il messaggio di "Love and Theft", ad ogni modo, è tanto negli arrangiamenti
che nei testi. La bussola musicale di Dylan è sempre stata orientata verso i
suoni del country, del blues e del folk che lo hanno fatto fremere quando
era giovanissimo in Minnesota, e lui e la sua abbagliante road band suonano
con l'arroganza dei true believers che sentono che la pop music è stata
rilevata da ciarlatani.
Nella strumentazione alternativamente gentile ed ululante, Dylan ci riporta
indietro all'inizio del rock'n'roll, ricordandoci l'innocenza e l'energia
dei tempi e sfida coloro i quali pensano che il rock sia finito in quanto
forma d'arte.
Non riuscirete a fare in modo che Dylan lo ammetta in un'intervista ma lui
allude a ciò. Come al solito è riluttante in relazione a domande relative
alla sua vita privata ed al significato di particolari versi delle sue
canzoni, ma parla in maniera appassionata del suo retaggio e delle sue
radici musicali. Mai estremista, Dylan è colpevole di sottostimare alcuni
dei comportamenti del rock e dell'hip-hop di oggi, ma i suoi punti di vista
sono provocatori come i suoi testi in "Love and Theft".
Dylan, che ha compiuto da poco 60 anni, sta lavorando alla sua autobiografia
e sta già alludendo al fatto che gli
avvenimenti raccontati nel libro potrebbero essere un pò sfocati. "La mia
memoria non è buona come dovrebbe", dichiara con solo una vaga traccia di
sorriso.
L'intervista
Los Angeles Times: Nel tuo nuovo album la musica sembra quasi sia stata
trasportata da un'altra epoca. Non sei ispirato dall'odierno panorama
musicale?
Bob Dylan: So che ci sono delle band in vetta alle classifiche che sono
acclamate come i salvatori del rock'n'roll o cose di questo tipo, ma sono
soltanto dei dilettanti. Non sono consapevoli esattamente dell'origine di
quella musica... Io sono stato fortunato. Sono cresciuto in un'altra epoca.
Un'epoca in cui c'erano dei grandi artisti blues, country e folk e la spinta
a fare quel tipo di musica mi venne quando ero giovanissimo. Non mi sarebbe
mai passato per la mente di fare musica se fossi nato al giorno d'oggi.
Non ascolterei nemmeno la radio. Sono una persona severa. Non sono un
"ragazzo della festa". Non mi
interessano i balli rave e tutto il mucchio di altra roba simile che si vede
in giro.
L.A. Times: Che cosa pensi che ti sarebbe interessato oggigiorno se escludi
la musica?
BD: Probabilmente mi interesserebbe la matematica. Ecco cosa mi
interesserebbe. O forse l'architettura. O qualcosa di questo tipo.
L.A. Times: Ti ha sorpreso il ritorno in auge di quel tipo di pop così soft
che era stato uno dei primi bersagli del rock'n'roll?
BD: Non ritengo che quella che si definisce oggigiorno col nome di musica
pop sia peggiore di quanto non lo fosse un tempo. Non ho mai amato la musica
pop. Negli anni '50 non avevo capito che Bing Crosby era in auge 20 anni
prima che io lo ascoltassi. Non avevo mai ascoltato il Bing Crosby di venti
anni prima. Il Louis Armstrong che io
ascoltavo era il tipo che cantava "Hello, Dolly!". Non lo avevo mai sentito
cantare "West End Blues".
L.A. Times: E' parso che "Time Out of Mind" costituisse una tua resurrezione
dal punto di vista creativo. Ti eri reso conto a quell'epoca che si trattava
di qualcosa di speciale?
BD: E' stato un disco alquanto incompleto per quanto mi riguarda. Dopo
averlo registrato ero consapevole del fatto che, quando e se mi fossi deciso
a realizzare un nuovo album, sicuramente non avrei escluso canzoni ritmate.
Un mucchio di mie canzoni sono delle ballate lente. Ne posso scrivere un
mucchio di questo tipo. Se però se ne mettono troppe su un solo disco si
confonderanno le une con le altre e qualcosa di simile è avvenuto per "Time
out of mind". Ho fatto in modo che questa volta non mancassero canzoni con
ritmo. Se noti qualche differenza in questo nuovo disco, per il fatto che è
più scorrevole, il motivo è dovuto al fatto che non appena una canzone
veloce è finita c'è poi un rallentamento e subito di nuovo un'accelerazione.
C'è più ritmo.
L.A. Times: Come funziona il tuo processo creativo? Scrivi in maniera
costante?
BD: Scrivo troppo. Se so di dover registrare una canzone scrivo sempre più
di quello di cui ho bisogno in realtà. Nei tempi passati questo è stato un
problema perchè ho sbagliato le scelte. Devo stare attento a non ricadere
nell'errore. Su questo nuovo album "Lonesome Day Blues" ad un certo punto
durava il doppio. "Highlands" [una canzone della durata di 17 minuti apparsa
su "Time Out of Mind"] originariamente era lunga il doppio.
L.A. Times: Come mai questa volta c'è così tanto sense of humour sull'album?
Ha qualcosa a che fare con quello che provi attualmente?
BD: Cerco di scrivere canzoni il più tridimensionali possibile. Una canzone
che sia unidimensionale o bidimensionale non resiste per molto tempo. E'
importante usare l'umorismo quando si può. Persino il rapper più violento
utilizza un pò di humour.
L.A. Times: Dove sei solito scrivere per lo più? Durante i tour o quando sei
a casa per un pò di settimane?
BD: Non so. Certe cose mi arrivano come in sogno. Ma potrei scrivere un
sacco di materiale appena te ne sei andato... magari su come sei vestito.
Guardo le persone come se fossero dei concetti. Non le guardo come semplici
persone. Intendo da un punto di vista di osservazione superficiale. Chiunque
io osservi lo osservo come un'idea... l'idea di quello che questa persona
rappresenta. Questo è il modo in cui io vedo la vita. Come una cosa
utilitarista. Allora si escludono delle cose finchè si arriva alla sostanza
di quello che conta davvero.
L.A. Times: Ti ha interessato la campagna Bush/Gore del 2000?
BD: Intendi dire se ho seguito le elezioni? Certo, le ho seguite per vedere
chi avrebbe vinto. Ma in uno schema più ampio chi va al Governo non ha
rilevanza. Tutti possono essere comprati e venduti.
L.A. Times: E' alquanto pessimisitico per qualcuno che tutti credevano fosse
ottimista ed ispiratore negli anni 60...
BD: Non sono certo che la gente abbia capito esattamente in merito a cosa
scrivevo. Non sono nemmeno sicuro se l'avrei capito io se avessi dato
credito a tutto quello che è stato scritto al riguardo da idioti che nemmeno
conoscevano i primi rudimenti di come si scrivono canzoni. Ho sempre
sostenuto che i media mi hanno spacciato per qualcosa che non ho mai voluto
essere... tutti quei discorsi sulla coscienza. Un mucchio di canzoni che ho
scritto sono state assolutamente fraintese da gente che non ne capiva nulla,
e succede ancora oggigiorno.
L.A. Times: Mi faresti un esempio di canzone che è stata largamente
fraintesa?
BD: Prendiamo "Masters of War". Tutte le volte che la canto c'è qualcuno che
scrive che si tratta di una canzone contro la guerra. Ma non c'è nessun
sentimento contro la guerra in quella canzone. Io non sono un pacifista.
Credo di non esserlo mai stato. Se presti attenzione alla canzone scopri che
si tratta di quello che Eisenhower andava dicendo in merito ai rischi del
complesso bellico-industriale nel nostro Paese. Credo profondamente che sia
diritto di tutti difendersi in tutti i modi necessari.
L.A. Times: Però di fatto esisteva molto idealismo nel Paese e nelle tue
canzoni negli anni '60...
BD: Beh, in quanto scrittore e persona sei influenzato dalla cultura e dallo
spirito dei tempi. Ero sulla lunghezza d'onda dello spirito di quei tempi
allora così come sono sulla lunghezza d'onda di quello attuale oggi. Nessuno
è immune allo spirito dei tempi. Ci influenza senza che nemmeno ce ne
accorgiamo, ci piaccia o meno. C'è qualcosa dello spirito culturale odierno
su questo disco. Penso che ci sia stato un cambiamento nel Paese all'incirca
intorno al 1966. Bisogna leggere i libri di storia per accorgersene
veramente, ma ci sono persone che hanno distorto la Guerra del Viet-Nam.
Chiunque fossero hanno tradito gli Stati Uniti d'America. E' stato l'inizio
del rilevamento corporativo dell'America.
L.A. Times: In che modo descriveresti lo spirito degli anni '50 e '60?
BD: Mi risultava che fosse uno spirito instabile e ribelle.
L.A. Times: Ed oggigiorno?
BD: Non saprei veramente. Non sono uno capace di prevedere i tempi. Ma se
non facciamo attenzione ci ritroveremo in uno stato di polizia
multinazionale e multietnico irreversibile per l'America. Coloro i quali
hanno creato l'America furono le più grandi menti che mai si siano viste e
coloro i quali comprendono di cosa parla la Dichiarazione di Indipendenza e
la Carta dei Diritti andranno in prima linea presto o tardi.
L.A. Times: Come ti sei sentito ad essere idolatrato in certi momenti e
fischiato in altri, come ad esempio nel tour di "Slow Train Coming" negli
anni '70?
BD: Ricordati che sono stato fischiato anche prima, a Newport. Non ci si può
preoccupare per cose simili. E' stato fischiato anche Miles Davis. Ed anche
Hank Williams. Non sei nessuno se non ti fischiano qualche volta.
L.A. Times: Questa cosa ti influenza in quanto artista? Ti rende le cose più
o meno facili?
BD: Dipende dal tipo di artista. Ci sono artisti superficiali, artisti
naturali ed artisti sovrannaturali.
L.A. Times: Come si fa a distinguerli?
BD: Un artista naturale è chi semplicemente mostra il suo talento sul palco
sera dopo sera dando il meglio che può entro certi limiti. Un artista
superficiale è chi non dovrebbe essere lì sopra soprattutto perchè non ha
nulla da dirti.
L.A. Times: E l'artista sovrannaturale?
BD: E' qualcuno che va in profondità, e più va a fondo e più dèi sepolti
trova.
L.A. Times: E tu come ti definiresti?
BD: [ridendo] In realtà dovrei utilizzare questo sistema per definire gli
altri piuttosto che me stesso. Non sono certo su dove collocarmi. Mi si può
inserire in una qualsiasi delle tre categorie. Però ho sempre pensato che se
devo fare qualcosa nella vita voglio andare il più in profondità possibile.
L.A. Times: Hai sempre vissuto con questo scopo? O ti sei sentito a volte
solo un artista superficiale?
BD: Certo. Credo che il tour che ho fatto con The Band nel 1974 fosse
superficiale. Mi ero dimenticato di come si canta e come si suona. Il mio
tempo era impegnato a mettere su famiglia e c'è voluto molto tempo perchè
ricatturassi il mio scopo come performer. Puoi ritrovarlo per un certo
periodo e poi sparisce di nuovo per un pò.
L.A. Times: Sei in un periodo di creatività in questo momento. Quando è
iniziato?
BD: All'inizio degli anni '90, quando sono riuscito a sfuggire ai media. Mi
hanno lasciato in pace. Mi hanno considerato irrilevante il che era la cosa
migliore che mai potesse capitarmi. Aspettavo solo quel momento. Non esiste
artista che possa evolversi anche solo per un breve periodo se è sempre
nell'obiettivo dei media, chiunque egli sia. Se i giornali soppesassero ogni
singola parola che tu abbia mai scritto immàginati cosa potrebbe succederti.
L.A. Times: Ti preoccupa il fatto che tutti i premi e riconoscimenti recenti
possano far sì che i media si focalizzino di nuovo su di te?
BD: No, quel tempo è finito. Una volta che hanno perso le tue tracce non ti
prenderanno più. Sono in cerca di qualcuno su cui attaccare una nuova
etichetta.
L.A. Times: Ti vedi in tour a tempo indeterminato?
BD: Non mi vedo a fare nulla a tempo indeterminato. Penso di adempiere agli
impegni attuali per il momento. Questo prima di tutto, il tempo dirà cosa
succederà in futuro.
L.A. Times: In conclusione, come ti senti? C'è molto spirito nel nuovo
album. Le cose ti vanno bene?
BD: Ogni giorno da vivo è un buon giorno.
Robert Hilburn
Copyright 2001 Los Angeles Times
traduzione di Giovanni "Clean-cut-kid" e Michele "Napoleon in rags"
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"Scriverò la mia storia per questo tempo irreale"
da "La Repubblica"
Intervista esclusiva con il grande cantautore americano che, appena compiuti
i sessanta, pensa a una autobiografia e pubblica un nuovo disco
GINO CASTALDO
Bob Dylan parla, a lungo, ed è già una novità di rilievo. In Italia, in
particolare, non era mai successo.
Racconta di sé , del nuovo disco, del suo passato, del mondo che lo
circonda, di come scrive le sue canzoni.
E rivela a sorpresa che per la prima volta nella sua vita si è messo a
scrivere una sorta di autobiografia.
L'occasione di questo incontro esclusivo ci viene offerta dalla
pubblicazione del nuovo album, "Love and theft" (dal 10 settembre nei
negozi) la sua prima raccolta di nuove canzoni dopo quattro anni. Con "Love
and theft" Bob Dylan torna brillantemente sulla scena, appena compiuti i
sessant'anni, dopo il diluvio di premi che lo ha sommerso recentemente
(compresi un Oscar e una candidatura per il Nobel) e con queste canzoni
inaugura il nuovo millennio e la sua quinta decade di musica.
È un disco denso di immagini e racconti, musicalmente molto vario, di gran
lunga più estroverso di quanto non fossero le sue ultime produzioni, un
album immediato, suonato come se fosse davanti a un pubblico, ricco di
influenze di vario genere, compresi alcuni accenti swing e melodie da
languido intrattenitore che non mancheranno di sorprendere gli appassionati.
Ha deciso di concedere una sola intervista in Italia e ha scelto La
Repubblica.
L'incontro si è svolto nella suite di un albergo romano con una terrazza
panoramica da cui si vedeva la scalinata di Piazza di Spagna, la stessa che
ha cantato in una sua vecchia canzone intitolata "When I paint my
masterpiece".
ROMA - Qualche volta succede di incontrare la Storia. Anche fuori dai musei.
Bob Dylan è lì, entra nella stanza vestito come un gentiluomo del vecchio
West. Nero e grigio. È invecchiato, ovviamente, ma il tempo
gli ha ammorbidito il volto, che oggi è più ironico, asimmetrico, saggio di
quanto fosse un tempo. Si siede davanti a noi sul divano della suite con
espressione cortese, ma è intimorito, perplesso di fronte a qualcosa
che non gli è familiare, malgrado tutti questi anni di musica: parlare di se
stesso. Ogni ruga racconta un decennio, ma in mezzo a quel volto ombreggiato
da ricci disordinati, ci sono due occhi celesti spaventosamente grandi e
attenti, guizzanti come le finestre di una grande mente che lavora
instancabilmente. Dylan si apre, ha voglia di parlare, arriva perfino a
sorridere. Forse la sua è una vera e propria rinascita.
Ci sono molti libri pubblicati sul suo conto. Li ha letti?
"Non ne ho più letti dopo che uscì la biografia di Shelton. È difficile
leggere di se stessi perché nella propria mente le cose non accadono mai in
quel modo. Sembra tutto fittizio".
Non ha avuto la tentazione di scrivere su se stesso?
"Sì... in realtà lo sto facendo".
Crede che ora sia il momento giusto per riflettere sul suo passato, o stava
preparando questo libro da anni?
"Credo che quello che sto scrivendo stesse cercando da tempo la strada per
uscire, non è una storia del passato a mio uso e consumo.
Nelle canzoni di Love and Theft ci sono versi che potrebbero sembrare
autobiografici...
"Probabilmente, non vedo come potrebbe essere altrimenti... Ma non c'è nulla
di premeditato. Molte di queste liriche sono state scritte in una sorta di
stream of cosciousness. Non mi capita di sedermi a un tavolo e meditare su
ogni singolo verso".
Teme le analisi compiute da altri?
"No, non so cosa la gente possa trovare in quello che faccio. Oppure intende
analisi di tipo freudiano, o idealistica o marxista? Non ne ho la più
pallida idea".
Una volta ha scritto: "Il futuro per me è già una cosa del passato".
"L'ho detto per tutti. Non sono forse il portavoce di una generazione? Lo
dico per tutti noi".
Dal vivo canta spesso vecchie canzoni, come Song to Woody. È qualcosa di più
che un rapporto astratto con il passato?
"È perché sono contento di aver scritto quella canzone. Al di là di tutto,
Woody Guthrie rimane un fenomenale performer. È come Charlie Parker, Hank
Williams o altri di quella statura".
Beh, neanche le sue canzoni possono essere considerate un semplice
sottofondo.
"No, le mie canzoni sono tutte cantabili. Sono attuali. Questa è l'età del
ferro, ma prima c'era dell'altro e noi possiamo ancora percepirlo. Se
cammini nelle strade di una città come Roma, ti rendi conto che qui c'era
gente prima di te e forse erano a un livello più alto di quanto noi possiamo
essere".
Sente l'influenza di alcuni poeti?
"In realtà, non studio molto la poesia".
Ma è in cerca di nuovi scrittori?
"Sì, ma non credo che ce ne siano, perché viviamo in un'altra epoca. I media
sono molto invasivi. Cosa si può pensare di scrivere che non si veda ogni
giorno sui giornali o in televisione?"
Ma ci sono emozioni che devono essere espresse.
"Sì, ma i media muovono le emozioni della gente in ogni caso. Quando c'erano
tipi come William Blake, Shelley o Byron, non c'era probabilmente alcun tipo
di media, solo bollettini. Potevi sentirti libero di mettere giù ogni cosa
che avevi in mente".
Non si sente libero quando scrive?
"Come ho detto, non sono abituato a sedermi e scrivere. I miei versi vanno
nelle canzoni e quelle hanno una determinata struttura e devono conformarsi
a un preciso idioma. Non sono forme libere, non c'è modo di buttarci dentro
cose ideologiche. Non puoi farlo in una canzone".
Eppure lei lo ha fatto.
"Se è successo, è capitato de-facto ma non sono mai partito con questa
intenzione. Forse altri lo fanno, ma non io".
Crede che la Tv e i media abbiano ucciso la poesia?
"Oh, assolutamente. Perché la letteratura è scritta per un pubblico. Nessuno
è come Kafka, e si siede a scrivere qualcosa senza desiderare che qualcuno
la legga".
Tutti gli scrittori?
"Sì, certo, ma i media fanno questo per tutti. Non puoi vedere cose più
orribili di quelle che propongono i media. Le news mostrano alla gente tutto
quello che neanche hanno potuto sognare e anche i pensieri che
pensavano di poter sopprimere, però li vedi e così non puoi più neanche
sopprimerli. Quindi cosa può fare uno scrittore se ogni idea è già esposta
nei media prima che si possa coglierla e farla evolvere?".
Come reagisce a tutto ciò?
"Noi viviamo in un mondo di fantascienza nel quale ha vinto Disney, la
fantascienza di Disney. È tutta fantascienza. Per questo dico che se uno
scrittore ha qualcosa da dire, deve assolutamente farlo. Questo è un mondo
reale. La fantascienza è diventata il mondo reale. Che noi ce ne accorgiamo
o no".
In un suo scritto, ha parlato del mondo contemporaneo come una nuova epoca
di oscurità.
"L'età della pietra, mettiamola in questo modo. Noi parliamo dell'età
dell'oro, che credo sia quella di Omero, poi abbiamo avuto un'età
dell'argento, e poi del bronzo, e c'è un'età eroica da qualche parte. Poi
abbiamo quella che chiamiamo età del ferro, ma potrebbe essere l'età della
pietra".
Forse l'età del silicio?
"Oh sì (ride), proprio così".
Ci sono mutamenti nella sua carriera. Uno di questi è avvenuto nel pieno dei
Sessanta, dopo Blonde on blonde, quando ha avuto l'incidente in moto. Tempo
dopo è uscito John Wesley Harding, e molta gente ha pensato che fosse un
Dylan diverso. Era il tempo di "love and peace", e il disco era
completamente diverso da tutto il resto. È stato l'incidente a farla
cambiare?
"È difficile per me sapere quando ho preso una decisione consapevolmente o
no. Ma ovviamente a quel tempo non avevo molta voglia di uscire fuori e
suonare. Non mi sentivo parte di quella cultura".
Una volta Springsteen ha detto che Elvis aveva liberato il corpo e Dylan la
mente.
"Ha detto così? Liberare la mente? È bene essere liberati da qualsiasi
cosa... Tutti dovremmo pensarla così".
Non crede che ci sia una sorta di feeling religioso tra lo zoccolo duro dei
suoi fans?
"Io non penso di avere uno zoccolo duro di appassionati. C'è un po' di gente
che vediamo in molti concerti...
E poi che religione sarebbe la loro? Che sacrifici compiono e verso chi? Se
lo fanno allora è vero che abbiamo uno zoccolo duro religioso e allora
vorrei sapere dove e quando compiono sacrifici, perché vorrei esserci anche
io".
Una volta ha scritto un romanzo, Tarantula. Non sentiva una contrapposizione
con la musica?
"Le cose in quel periodo correvano selvaggiamente: non avevo mai avuto
intenzione di scrivere un libro.
Avevo un manager a cui fu chiesto: scrive tutte quelle canzoni, cos'altro
scrive? Forse scrive libri? E lui deve avere risposto: naturalmente, certo
che scrive libri, anzi, stiamo per pubblicarne uno. Credo sia stata una di
quelle occasioni in cui lui ha predisposto tutto e così ho dovuto scrivere
il libro. L'ha fatto spesso. Una volta mi ha proposto come attore in uno
show, e io non ne ho saputo nulla fino al giorno in cui è avvenuto.
Pensavo di dover cantare. Queste cose accadevano ai vecchi tempi del secolo
scorso".
Ci sono state fasi nella sua vita che lei considera difficili?
"Di sicuro ce ne sono state molte. Ci sono dei momenti strani, in cui devi
assumere un diverso carattere per sopravvivere".
In quale momento, in quali anni?
"Fondamentalmente bisogna sottomettere le proprie ambizioni in funzione di
quello che hai bisogno di essere".
Che tipo di ambizioni?
"È proprio quello che uno deve scoprire".
Qualcuno dice che è più felice nel suo bus col quale va in tour, piuttosto
che in una delle sue 17 abitazioni. È così?
"Beh, il bus è diventato piuttosto di lusso ora. Per come mi sento quando
sono a casa, non posso dire di non sentirmi a casa ovunque. Non desidero
qualcosa che non sia quello che al momento presente ho davanti".
Suo figlio Jacob ha ascoltato il nuovo disco?
"Credo che l'abbia avuto da uno dei suoi fratelli. Ma non ne sono certo,
sono in viaggio da molto tempo".
Com'è essere Dylan, oggi. Più facile di quanto lo fosse in passato?
"Non sono la persona giusta a cui chiederlo. È una domanda filosofica per
questioni di ordine filosofico".
Lei ha dichiarato che non ama andare a riascoltare le cose del passato. Ma
questo lavoro autobiografico non la costringe a farlo?
"Sto solo guardando il tutto da un nuovo punto di vista. Molte cose vanno da
un punto all'altro senza che ci sia un motivo. Perché sono successe,
potevano succedere se qualcos'altro non fosse successo? E se sembravano così
brutte all'epoca, perché hanno portato a un beneficio sul lungo termine? Mi
piace scriverlo. Ma non sono affatto scrupoloso".
Ripensando ai suoi 43 dischi, quale pensa sia quello che ha avuto più
successo dal suo personale punto di vista?
"Successo? In realtà non li ascolto mai! Sono sicuro che hanno tutti avuto
successo a loro modo e sono sicuro che a loro modo hanno tutti fallito".
Eppure ci devono essere dei dischi che lei ritiene migliori di altri.
"Non li ascolto perché non penso che le canzoni siano state perfezionate.
Spesso pensavo che una canzone non fosse stata registrata bene, o almeno non
nel modo in cui l'ascoltavo nella mia testa. Sei o sette mesi dopo la
canzone veniva pubblicata così com'era, da gente di cui mi fidavo. È
successo troppe volte. Mi è stato chiesto, come fai essere un così cattivo
giudice del tuo materiale, non metti le cose migliori. Non so chi
può giudicare cosa è meglio, io non giudico il materiale, piuttosto amo
inserire alcune cose. È capitato con l'album Time out of mind. Non era
registrato particolarmente bene, ma per fortuna non è stato pubblicato
subito, e così ho potuto registrarlo da capo. Ma anni fa non sarebbe mai
potuto accadere".
Per questo nuovo album non c'è un produttore. Come mai?
"Quando lavori con un produttore, lo sai che può portarti in quella o
quell'altra direzione se non sei particolarmente determinato. Molti miei
dischi sono stati alterati. Spesso i produttori e i tecnici sono prigionieri
del mito. Non pensano a come realmente le mie cose dovrebbero suonare.
Quando suono dal vivo la gente dice: ma le canzoni non suonano come nel
disco. Naturalmente no, anche perché non erano state incise nella maniera
giusta".
Nel nuovo album la sua voce sembra più scura del solito.
"Credo che non sia mai stata registrata in modo più accurato. Non credo di
aver cantato meglio che in passato".
Pensa che sia difficile registrare la sua voce?
"Non credo. Anche se mi sembra che nessuno l'abbia capito. Per il nuovo
disco ho trovato un giovane tecnico che ha capito. Non ho bisogno di effetti
o trucchi. Il fatto è che la mia voce va su e giù, è irregolare, e sovverte
i sistemi classici di registrazione. Ma in realtà credo che la via giusta
sia la più semplice. Basta una registrazione analogica, realistica".
Pensa che ci siano preconcetti su certe voci come la sua e quelle di Lou
Reed o Cohen?
"Credo che la voce di Leonard sia facilmente comprensibile perché il suo
raggio vocale è basso e lineare.
Lou ha un suo modo di cantare e parlare allo stesso tempo. La registrazione
non dovrebbe essere un problema"
Sembra che il suo pubblico stia crescendo. Ci sono molti giovani che
ascoltano i suoi concerti, oltre ai vecchi fan?
"Non credo che ci siano molti vecchi fan. Il fatto è che la gente della mia
età muore, o cambia vita. A un certo punto della vita partono nuove
problematiche, la famiglia i figli, altre priorità rispetto
all'intrattenimento".
Si considera un intrattenitore?
"No, ma devo confrontarmi col mondo dell'intrattenimento".
Pensa di andare a trovare George Harrison?
"Sono in contatto con lui, ma ora non ho tempo. Se ne avrò la possibilità,
lo farò".
Crede che il gruppo dei Traveling Wilburys nel quale lei era insieme a
Harrison potrà tornare?
"Chi può dirlo? È difficile da sapere".
Quando va sul palco ha in mente a chi si rivolge?
"Sì, io suono per la gente che è più lontana in platea. Non guardo chi mi
sta di fronte, perché di solito è la gente che ritrovo a ogni concerto. A
loro il concerto piacerà in qualsiasi caso".
Dopo tanti anni lei ancora va in giro per concerti. Qualcuno l'ha definito
il never ending tour.
"Mi irrita sentir parlare di never ending tour. Naturalmente ogni cosa deve
finire. Ciò che ci lega tutti e ci rende eguali è la mortalità. Le cose
devono avere una fine".
Riflette spesso sulla morte?
"Non direi spesso, ma certamente mi succede quando la gente che mi è vicina
scompare".
E sulla sua mortalità?
"Beh, posso vedere me stesso negli altri, questo è il modo in cui posso
rifletterci sopra. Non ci penso più di quanto non facciano tutti. Non appena
una persona entra nel mondo è vecchia abbastanza per lasciarlo".
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Intervista a Bob Dylan
di Dave Fanning (traduzione di Emilia Benghi)
Tratta dal supplemento della Repubblica, "Musica"
uscito nella settimana dei concerti italiani di Dylan (2003)
E’ più facile oggi essere Bob Dylan rispetto al passato?
Non deve chiederlo a me. E’ una domanda filosofica.
Si sente libero quando scrive?
Non sono il tipo che si mette a tavolino a scrivere. I miei versi vanno
inseriti nel contesto di brani musicali e hanno una struttura che deve
uniformarsi a un determinato linguaggio. Non sono liberi da vincoli di forma
ed è inutile tentare di inserirvi qualche pensiero ideologico. Non lo si può
fare in una canzone.
Ma lei l’ha fatto.
Davvero? Se l’ho fatto non è stato intenzionale. Forse qualcun altro ci ha
provato, ma non io.
Allora è corretto affermare che la tv e i media in generale hanno ucciso la
poesia e la letteratura…
Certo. Persino la letteratura è destinata a un pubblico. Non è fine a se
stessa. Non tutti si siedono a tavolino a scrivere, come Kafka, qualcosa da
non far vedere neppure all’analista. La maggior parte di quelli che scrivono
vogliono essere letti. Vogliono suscitare la reazione di un individuo.
Vogliono essere in un certo senso accettati. Ma i media fanno questo per
tutti oggi. Così anche i film e la tv. Soprattutto nei notiziari si vedono
immagini terribili, fuori dalla portata dell’immaginazione.
E cosa deve fare uno scrittore se tutte le idee sono già in bella mostra su
i media prima ancora che le possa avere o sviluppare? Di che cosa può
scrivere?
E’ un mondo di fantascienza, un mondo conquistato da Disney. Parchi a tema,
strade alla moda, è tutto fantascienza. Così direi che se uno scrittore ha
qualcosa da esprimere deve farlo nell’ambito di questo mondo di
fantascienza. La fantascienza è diventata realtà.
C’è stata nell’aria una candidatura al Nobel.
Si. Ma chi mi metterebbe mai in compagnia di Hemingway?
Non è Steinbeck uno dei suoi autori preferiti?
Non sono sicuro di appartenere a questa categoria di personaggi.
Si sente inferiore o superiore?
E’ tutto molto relativo.
Che peso ha la leggenda Dylan su quello che fa?
Per il 95% non influisce affatto sulla mia vita. Il resto? Chi ha raggiunto
la fama deve imparare a gestirla.
Non si chiede mai: perché è successo proprio a me?
Non più. So quello che ho fatto per diventare famoso.
Per che cosa scambierebbe la fama?
In realtà non frequento il mondo dei ricchi e famosi. Non mi sento affatto
parte di quella cultura.
Le succede mai di trovarsi in un posto dove non la riconoscono?
Ormai mi riconoscono ovunque. Non ricordo neppure l’ultima volta che non mi
hanno riconosciuto.
Guardando indietro, pensa che quello che ha scelto di fare sia un bel
mestiere?
Non sono stato io a scegliere. Se fosse dipeso da me sarei diventato forse
uno scienziato, un ingegnere, un medico. Sono questi i miei modelli. Non ho
mai avuto un uomo di spettacolo come modello. Questa gente non significa
niente per me.
Ha nostalgia del passato?
Credo di rimpiangere molte cose ma non sono in realtà un gran nostalgico.
E’ un artista che riflette i suoi tempi?
Non credo di poter riflettere un periodo di tempo diverso da quello che sto
vivendo. Rifletto i miei tempi e reagisco. Entrambe le cose.
Se Bob Dylan fosse oggi un esordiente avrebbe qualche possibilità di
emergere?
Credo di si: basta avere le capacità, la preparazione la forza di farlo.
So che potrei ritagliarmi un posto se volessi. Ma se arrivassi oggi sulla
scena vorrei forse fare qualcosa di diverso.
Come ai tempi in cui si tuffò a lavorare coi Traveling Wilburys (Tom Petty,
Roy Orbison, George Harrison)?
Abbiamo inciso qualche disco, fu un periodo di grandi imprese.
Molti furono sorpresi di vederla far parte di una band del genere.
Sorprese anche me.
Si sente ancora parte di una band?
Cerco sempre di avere una band, un gruppo di musicisti per eseguire i miei
brani, non sai mai per quanto tempo riuscirai a tenere insieme una band o in
che modo cambierà. Sono cose imprevedibili ma il gruppo attuale è molto
competente e in grado di esplorare vari percorsi musicali.
Per quanto tempo ancora si immagina sul palco?
Non saprei dirlo; finchè il pubblico non diminuisce… ma può anche darsi che
un giorno io decida che ne ho abbastanza.
Mai navigato su internet?
Mi fa paura. Temo che qualche pervertito mi attiri da qualche parte.
Ascolta molta musica oggi?
Qualcosa. Non più di quanto fosse mia abitudine.
Musica nuova?
Non so, mi faccia un esempio…
Eminem?
Non saprei dirle niente.
A livello di testi potrebbe mutuare qualcosa dall’hip hop?
E chi lo sa! Non ho mai prestato attenzione a questo fenomeno.
Lei è stato un ammiratore di Bono fin dall’inizio della carriera negli U2.
E’ vero che ha passato un intera serata con lui a suggerirgli di prendere
ispirazioni dalle canzoni e dalle storie del suo passato di Irlandese?
Può essere, non ricordo un luogo e una data precisi, ma non lo nego.
Elvis ha avuto una forte influenza su di lei?
Si', da ragazzo si'.
Che sensazione ha provato quando Elvis Presley ha inciso il suo brano
“Tomorrow is a long time”?
Che dire! Quando un personaggio di quel livello incide una tua canzone… sono
certo che qualunque cantautore si sentirebbe gratificato.
L’ha mai incontrato?
Ehm (lunga pausa). Non ci siamo mai incontrati (pausa). Beh, è quello che si
presume che io dica
grazie a Michele "Scorpion" e Veruschka "Weasel" per la trascrizione
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Intervista a Bob Dylan
di Robert Hilburn
L'enigmatico poeta del rock apre una porta da lungo tempo chiusa
traduzione di Michele Murino
Amsterdam - "No, no, no, " dice con tono acuto Bob Dylan quando gli chiedo
se gli aspiranti songwriters dovrebbero imparare il loro mestiere studiando
i suoi album, che è poi esattamente quel che migliaia di loro hanno fatto
per decadi.
"E' semplicemente un fatto naturale quello di adattare te stesso e quel che
fai a quel che hanno fatto altri," mi dice, aprendo una porta su un
argomento che lungamente è stato off-limits per i reporter: il suo processo
di scrittura delle canzoni. "Se avessi voluto fare il pittore, avrei potuto
pensare di provare ad essere come Van Gogh, o se invece fossi diventato un
attore, avrei tentato di recitare come Laurence Olivier. Così come, se fossi
diventato un architetto, probabilmente mi sarei ispirato a Frank Gehry."
"Ma naturalmente non puoi limitarti semplicemente a copiare qualcuno. Se ami
il lavoro di qualcuno, la cosa importante è quella di essere esposto a tutto
quello a cui quella persona è stata esposta. Chiunque desideri essere un
songwriter dovrebbe ascoltare quanta più musica folk possibile, studiare la
forma e la struttura di un materiale che è stato in circolazione per 100
anni. Io torno a Stephen Foster."
Per quattro decadi Dylan è stato un grande paradosso americano: un artista
che ha rivoluzionato la canzone popolare con la sua personalissima e
tuttavia provocatoria opera ma che ci ha tenuti ad una tale distanza dalla
sua vita privata - e dalla sua tecnica creativa - che non deve aver guardato
troppo lontano per trovare il titolo del suo recente film: "Masked and
Anonymous."
Mentre i fans ed i biografi potrebbero leggere le sue centinaia di canzoni
come una cronaca che parla di amore e di perdita, di celebrazione e di
oltraggio, Dylan non rivisita le storie dietro le canzoni, mentre parla
della sua arte questa sera. Quel che è più confortevole, e forse più
interessante per lui, è il modo in cui il suo talento gli permette di
trasformare la vita, le idee, le osservazioni e le catene di immagini
poetiche in canzoni.
Mentre se ne sta seduto nella quiete di un grande albergo che domina uno dei
pittoreschi canali della città, Dylan dipinge un'immagine molto differente
della sua evoluzione come songwriter rispetto a quella che ci si potrebbe
aspettare da un artista che è sembrato arrivare sulla scena pop degli anni
'60 con la sua visione ed abilità completamente intatti. Le liriche che
Dylan scrisse per la sua "Blowin' In The Wind" furono pubblicate sulle
pagine di Broadside, la rivista di musica folk, nel mese di maggio del 1962,
il mese in cui egli compì 21 anni.
La storia che Dylan racconta è una storia di tentativi e di errori, di false
partenze e di duro lavoro - un giovane uomo in una remota distesa del
Minnesota che trova una tale libertà nella musica del cantautore folk Woody
Guthrie da pensare di poter passare la propria vita anche solo a cantare
canzoni di Guthrie - fino a che non scoprì la sua vera vocazione grazie ad
una semplice casualità del destino.
Dylan ha spesso dichiarato di non aver mai pensato deliberatamente di poter
cambiare il modo di scrivere canzoni della musica popolare o di poter
cambiare la società, ma è chiaro che inizialmente egli era pieno di quel
nobile scopo teso ad essere all'altezza degli ideali che aveva visto
nell'opera di Guthrie. A differenza delle rockstar venute prima di lui, il
suo obiettivo principale non era semplicemente scalare le classifiche.
"Ho sempre ammirato i veri artisti, così ho imparato da loro," dice Dylan,
oscillando lentamente sulla sedia della stanza dell'hotel. La cultura
popolare termina solitamente molto rapidamente. Viene gettata nella tomba.
Ho desiderato fare qualcosa che si levasse in piedi accanto ai dipinti di
Rembrandt"
Anche dopo tutti questi anni, i suoi occhi ancora si illuminano alla
menzione di Guthrie, il poeta del "Dust Bowl", le cui canzoni migliori, come
"This Land Is Your Land," hanno parlato in maniera così eloquente a
proposito dell'abisso che Guthrie aveva visto fra gli ideali dell'America e
quello che realmente avveniva nel Paese.
"Per me, Woody Guthrie è stato l'inizio e la fine di tutto, " dice Dylan, 62
anni, mentre i suoi capelli ricci ancora incorniciano la sua testa in
maniera maestosa proprio come sulle copertine degli album di quattro decadi
fa. "Le canzoni di Woody parlavano di tutto nello stesso momento. Parlavano
del ricco e del povero, del nero e del bianco, degli alti e dei bassi della
vita, le contraddizioni fra quel che insegnavano a scuola e quel che
realmente stava accadendo. Diceva tutto nelle sue canzoni, tutto quel che io
sentivo ma che non sapevo come dire."
"Non si trattava soltanto delle canzoni, comunque. Era la sua voce - che era
come uno stiletto - e la sua dizione. Non avevo mai sentito qualcuno cantare
così. Il suo modo di suonare la chitarra era più complesso di quanto
sembrasse. Tutto quel che sapevo era che volevo imparare le sue canzoni."
Dylan suonò così tanto Guthrie durante i suoi primi giorni nei club e nelle
coffee house che venne soprannominato il "juke box di Woody Guthrie".
Perciò, si provi ad immaginare lo shock quando qualcuno gli disse che un
altro cantante - Ramblin' Jack Elliott - stava facendo esattamente la stessa
cosa. "E' come essere un medico che ha passato tutti questi anni per
scoprire la penicillina e scoprire all'improvviso che qualcun'altro già lo
aveva fatto", ricorda.
Un giovane meno ambizioso non avrebbe visto la cosa come un grosso problema
- c'era un sacco di spazio per due cantanti che ammiravano Guthrie. Ma Dylan
era troppo indipendente. "Sapevo di possedere qualcosa che Jack non aveva "
dice, "anche se mi ci volle un bel po' prima di capire di cosa si trattava."
Lo scrivere canzoni, capì infine, era quel che avrebbe potuto distinguerlo.
Dylan si era trastullato con quest'idea già in precedenza, ma sentiva di non
avere abbastanza esperienza di vita nè un sufficiente vocabolario.
Tentando di distinguersi sulla scena dei club di New York nel 1961, Dylan
provò ancora a sfondare. La prima canzone da lui composta che gli valse
l'attenzione fu "Song to Woody, " che includeva i versi "Hey, hey, Woody
Guthrie... So che tu conosci / Tutte le cose che dico e molte altre ancora."
Nel giro di due anni, avrebbe scritto e registrato diverse canzoni, comprese
"Girl From The North Country" e "A Hard Rain's A-Gonna Fall," che aiutarono
a fare elevare la musica pop da semplice intrattenimento ad arte.
"Le canzoni sono la star"
Dylan, la cui opera e la cui vita personale sono state analizzate in un
numero di libri sufficiente a riempire la parete di una biblioteca, sembra
accogliere favorevolmente la possibilità di parlare della sua arte, non di
se stesso o della sua storia. E' come se desiderasse demistificarsi.
"Per me il performer non ha importanza" ha detto una volta. "Sono le canzoni
la star dello spettacolo, non io."
Inoltre odia fossilizzarsi sul passato. "Ho sempre cercato a rimanere
focalizzato sul momento. Non voglio diventare nostalgico o narcisistico come
scrittore o come persona. Penso che la gente di successo non viva nel
ricordo del passato. Penso che soltanto i perdenti lo facciano."
Tuttavia il suo senso della tradizione è forte. Gli piace pensare a sè
stesso come al componente di una confraternita di scrittori le cui radici
risiedono nella rude eredità country, blues e folk di Guthrie, della Carter
Family, di Robert Johnson e dei compositori di ballate scozzesi ed inglesi.
Nel corso della serata, Dylan offre barlumi di come il suo orecchio ed il
suo occhio mettono insieme parti di canzoni usando di tutto, dalla poesia
beat alle notizie dei giornali alle lezioni raccolte dai contemporanei.
Dylan è talmente impegnato a parlare della sua arte che ha una chitarra di
fianco nel caso decida di dimostrare un argomento specifico. Quando il suo
road manager bussa alla porta dopo 90 minuti per vedere se tutto è OK, Dylan
gli fa segno con la mano di sì. Dopo tre ore, si offre di rivederci ancora
dopo il concerto della sera successiva.
"Ci sono così tanti modi per scrivere una canzone, " dice. "Uno è dare vita
agli oggetti inanimati. Johnny Cash è eccellente in questo. Aveva un verso
che recita: "A freighter said, "She's been here, but she's gone, boy, she's
gone." E' grande. "A freighter says "She's been here." E' arte pura."
Il processo che descrive è più pratico che non bloccare un lampo in una
bottiglia. Nel lavorare a "Like A Rolling Stone," dice, "non pensavo a
quello che volevo dire, ma soltanto "Va bene per la metrica?"
Ma c'è ugualmente un elemento innegabile di mistero. "E' come se fosse stato
un fantasma a scrivere una canzone come quella. Ti dà la canzone e va via,
se ne va via. Tu non sai che cosa significa. Tranne che il fantasma ha
scelto te per scriverla."
Alcuni ascoltatori nel corso degli anni hanno protestato per il fatto che le
canzoni di Dylan sono troppo ambigue - che sembrano essere semplicemente
un'esercitazione narcisistica. Ma la maggior parte dei critici sostiene che
le immagini di Dylan siano in realtà la sua forza più grande.
Pochi nel pop americano hanno scritto versi ossessivamente belli e
pienamente di sfida come la sua "Just Like a Woman,", una canzone della metà
degli anni '60:
She takes just like a woman, yes, she does
She makes love just like a woman, yes, she does
And she aches just like a woman
But she breaks
just like a little girl.
Dylan osserva impassibile un foglio con il testo di "Just Like A Woman" che
gli è stato passato. Come per molti dei suoi lavori, la canzone sembra
essere molte cose contemporaneamente.
"Non sono bravo a definire le cose, " dice. "Anche se potessi dirti che cosa
riguardava la canzone non lo farei. Tocca all'ascoltatore capire che cosa
significa per lui."
Mentre osserva la pagina nella quiete della stanza, tuttavia, si sbilancia
un poco. "Questa è una canzone molto ampia in quanto a significati. Un verso
come "Breaks just like a little girl" è una metafora. E' come in un sacco di
canzoni basate sul blues. Qualcuno può parlare di una donna, ma non parla
realmente di una donna. Si possono dire molte cose usando metafore."
Nobody feels any pain
Tonight as I stand inside
the rain
Ev'rybody knows
That Baby's got new clothes
But lately I see her ribbons and her bows
Have fallen from her curls.
Dopo un'altra pausa, aggiunge: "E' una canzone di città. E' come osservare
qualcosa estremamente potente, ad esempio l'ombra di una chiesa o qualcosa
del genere. Io non penso in termini laterali (sic) come scrittore. Quello è
un difetto di un sacco di vecchi scrittori di Broadway... Sono così
laterali. Non c'è nente di circolare, niente che possa essere imparato
ascoltando la canzone, niente che ispiri l'ascoltatore. Provo sempre a far
girare una canzone su se stessa. Altrimenti, penso di far sprecare
tempo all'ascoltatore."
Scoprendo la Musica Folk
Le sensibilità pop di Dylan sono state modellate molto prima che egli
compisse il suo viaggio verso est nell'inverno del 1960-61.
Crescendo nell'isolamento ghiacciato di Hibbing, Minnesota, Dylan, che
allora era ancora Robert Allen Zimmerman, trovò conforto nel country, nel
blues e nel primo rock 'n' roll che ascoltava di notte sulle frequenze di
una stazione radiofonica della Louisiana il cui segnale arrivava forte e
chiaro. Era avanti anni luce rispetto alla stazione locale di Hibbing, che
trasmetteva il pop tradizionale di artisti come Perry Como, Frankie Laine e
Doris Day.
Dylan ha rispetto per molti dei songwriters dell'era pre-rock, Cole Porter,
per citarne uno, che egli descrive come un rimatore "senza paura". La
canzone "Don't Fence Me In" , di Porter è una delle sue preferite. Ma
sentiva che la maggioranza delle star dell'era pre-rock non stavano parlando
a lui.
"Quando ascoltavi le canzoni di Porter o di Gershwin e Rodgers e
Hammerstein, che hanno scritto alcune grandi canzoni, sentivi che stavano
scrivendo per la loro generazione, non per la mia", dice. "Io capii ad un
certo punto che la cosa importante non è come scrivere le canzoni, ma il
tema, il tuo punto di vista."
La musica che parlava per lui in quanto adolescente negli anni '50 era il
rock 'n' roll - specialmente Elvis Presley. "Quando entrai nel mondo del
rock 'n' roll pensavo che nemmeno esistesse un'altra scelta o un'altra
alternativa, " dice. "Esso mi ha mostrato il mio futuro, proprio come alcune
persone sanno che diventeranno medici o avvocati o interbase per i New York
Yankees."
Egli divenne uno studioso di quel che ascoltava.
"Chuck Berry ha scritto canzoni stupefacenti che tessevano insieme parole in
un modo notevolmente complesso, " dice. "Le canzoni di Buddy Holly erano
molto più semplificate, ma quel che mi piaceva di Buddy e che ho preso da
lui è che si potevano prendere influenze da qualsiasi parte. Come nel suo
brano "That'll Be the Day." Ho letto da qualche parte che era una frase che
aveva sentito in un film, ed ho cominciato a capire che si potevano prendere
le cose dalla vita di tutti i giorni, da quello che sentivi dire alla gente.
"Cosa che ancora trovo vera. Potete andarvene in giro dovunque nel corso
della vostra vita quotidiana e tenere aperte le orecchie e sentire qualcosa.
Qualcosa che qualcuno dice a voi o qualcosa che sentite casualmente
attraverso la stanza. Se ha risonanza, potete usarlo in una canzone."
Dopo che il rock intraprese un tono più blando verso la fine degli anni '50,
Dylan cercò una nuova ispirazione. Cominciò ad ascoltare il Kingston Trio,
che ha contribuito a diffondere la musica folk con le versioni levigate di
"Tom Dooley" e di "A Worried Man." La maggior parte dei puristi del folk
ritennero che il gruppo era più "pop" che autentico, ma Dylan, nuovo del
genere folk, rispose ai messaggi nelle canzoni.
Egli si ispirò nel suo lavoro ad altri eroi folk come Odetta e Leadbelly
prima di focalizzarsi su Guthrie. Scambiando la sua chitarra elettrica con
una chitarra acustica, trascorse alcuni mesi a Minneapolis, esibendosi nei
club e preparandosi per il viaggio verso est.
Andare a New York piuttosto che nell'altro centro musicale, Los Angeles, era
un obbligo, dice, "...perchè tutto quello che conoscevo proveniva da New
York. Ascoltavo le partite degli Yankees alla radio, e quelle dei Giants e
dei Dodgers. Tutti i programmi radiofonici, come "The Fat Man" della NBC -
provenivano da New York. Così come tutte le case discografiche. Era come se
New York fosse la capitale del mondo."
Divorando Poesia
Dylan seguì la propria musa a New York affamato di qualunque cosa egli
ritenesse lo aiutasse a migliorare il suo mestiere, sia imparare vecchi
blues o canzoni folk, sia assorbire letteratura.
"Avevo letto un sacco di poesie quando iniziai a scrivere quelle prime
canzoni, " dice. "Mi piacevano i poeti hard-core. Li leggevo nello stesso
modo in cui la gente legge Stephen King. Inoltre avevo visto crescere un
sacco di questi poeti. Il materiale di Poe mi colpì moltissimo, più di
quanto possa spiegare a parole. Byron e Keats e tutti gli altri. John
Donne."
Le cose che scriveva Byron continuavano a ronzarmi in testa senza sosta
anche se non si capiva la metà delle cose di cui parlava nè a chi le
indirizzasse. Ma si poteva apprezzare il linguaggio."
Si trovò fianco a fianco con i poeti beat. "L'idea che la poesia venisse
recitata nelle strade e pubblicamente era una cosa davvero eccitante, "
dice. "C'erano sempre poeti nei club e si potevano ascoltare poesie. Allen
Ginsberg e Gregory Corso erano poeti molto influenti."
Dylan una volta disse che negli anni '60 egli scriveva canzoni così
velocemente che non andava a dormire la notte perché aveva paura che gliene
potesse scappare qualcuna di mente. Allo stesso modo, assorbiva così
velocemente le influenze che era duro spegnere la luce la notte.
"Qualcuno mi diede un libro di poesie di Francois Villon," racconta Dylan,
riuscendo ancora a trasmettere l'eccitazione di attingere l'ispirazione
dalla Francia del quindicesimo secolo. "Era una cosa incredibile e ti faceva
domandare perchè non si potesse fare la stessa cosa con una canzone."
"Potevo vedere Villon che parlava di andare con una prostituta. Io non
voglio andare con una prostituta. Parlerò di salvare una prostituta. Ancora
una volta significa rovesciare le cose, come "il vizio è salvezza e la virtù
conduce alla rovina."
Quando sentite che Dylan ancora si meraviglia di frasi come quella qui sopra
di Machiavelli o come quella tratta da Shakespeare che recita "fair is foul
and foul is fair," (bello è sporco e sporco è bello) potete capire perchè
egli colorisse le sue canzoni con frasi che da sempre ci chiedono di mettere
in discussione i nostri presupposti - versi classici come "There's no
success like failure and failure's no success at all," (Non c'è successo
come il fallimento ed il fallimento non è affatto un successo) da "Love
minus Zero/No Limit", del 1965."
Come sempre, Dylan è rapido a dare credito alla tradizione.
"Non ho inventato io tutto questo, lo sapete. Robert Johnson potrebbe
cantare una canzone e dal nulla spunterebbe una qualche specie di Confucio
che direbbe: "Wow, da dove viene fuori?."
Esplorando i suoi temi
Alcuni scrittori si siedono ogni giorno per due o tre ore, almeno, per
scrivere, sia che siano nell'umore giusto per scrivere sia che non lo siano.
Altri aspettano l'ispirazione. Dylan ride della disciplina della scrittura
quotidiana.
"Oh, non sono così serio come songwriter," dice, con un sorriso sulle
labbra. "Le canzoni non mi vengono semplicemente. In genere si vanno
formando poco alla volta e tu capisci che è importante tenere insieme i
pezzi finchè non sono formate completamente e tutti i pezzi si vanno
incastrando l'uno con l'altro."
A volte scrive con la macchina da scrivere ma in genere usa la penna perchè
in questo modo scrive più velocemente. "Non passo molto tempo a rimaneggiare
i testi", dice Dylan. "A volte faccio qualche cambiamento ma in genere no.
Le prime canzoni, per esempio, erano tutte prime bozze."
Non insiste che le sue rime siano perfette. "Quello che faccio, e che molti
altri scrittori non fanno, è prendere un concetto ed una frase che voglio
davvero mettere in una canzone e se non capisco come semplificarlo
semplicemente lo prendo tutto - lo chiudo, lo immagazzino e lo metto in
barile - e penso a come posso cantarlo sì da farlo adattare allo schema
delle rime. Preferisco fare così piuttosto che perderlo solo perchè non
riesco a farlo stare in rima."
I temi, dice, non sono mai stati un problema. Quando iniziò a scrivere, la
guerra di Corea era appena finita. "Quella era una nuvola pesante sulla
testa di tutti noi", dice. "Il comunismo era ancora una grossa cosa ed il
movimento dei diritti civili stava venendo su. Perciò c'era un sacco di
argomenti su cui scrivere."
"Ma non ho mai pensato di scrivere di politica. Non volevo essere un
moralista politico. C'erano artisti che già lo facevano. Phil Ochs focalizzò
la sua attenzione sui temi politici, ma esistono molti lati ed io volevo
seguirli tutti. Si può essere molto generosi un giorno e molto egoisti
un'ora dopo."
Dylan trovava materia per le canzoni anche nei giornali. Come nel caso della
canzone del 1964 "The Lonesome Death of Hattie Carroll," la storia di un
potente uomo di Baltimora che fu condannato a soli sei mesi per l'omicidio
di una cameriera a colpi di bastone. "Ho semplicemente lasciato che la
storia si raccontasse da sola in quella canzone," dice. "Chi non si sarebbe
indignato per un episodio del genere, un uomo che picchia a morte una donna
anziana e se la cava con un buffetto sulla mano?"
Altre volte egli reagiva alle proprie ansie.
"A Hard Rain's A-Gonna Fall" servì a definire il suo ruolo nel pop con un
racconto apocalittico di una società lacerata a molti livelli.
I heard the sound of a thunder, it roared out a warnin'
Heard the roar of a wave that could drown the whole world.
Heard one hundred drummers whose hands were a-blazin'
Heard ten thousand whisperin' and nobody listenin' ...
And it's a hard rain's a-gonna fall.
La canzone ha catturato l'immaginazione degli ascoltatori per generazioni, e
come molte delle canzoni di Dylan, ha un testo ricco e poetico tale che ha
resistito al tempo. Gli studiosi di Dylan hanno spesso sostenuto che la
canzone fu ispirata dalla crisi missilistica Cubana.
"Tutto quello che mi ricordo a proposito della crisi dei missili di Cuba è
che c'erano bollettini che venivano diffusi alla radio. La gente li
ascoltava nei bar e nei caffè, e la cosa più spaventosa era che città come
Houston ed Atlanta dovevano essere evacuate."
"Qualcuno ha fatto notare che fu scritta prima della crisi dei missili, ma
non importa in realtà da dove viene una canzone. Importa solo dove ti
porta."
I suoi costanti cambiamenti
Il sentiero della carriera di Dylan non è stato liscio. Durante uno sforzo
creativo senza precedenti che sfociò in tre album capolavoro ("Bringing It
All Back Home," "Highway 61 Revisited" e "Blonde on Blonde") pubblicati nel
giro di 15 mesi, Dylan si ricongiunse con il rock 'n' roll della sua
giovinezza. Impressionato dall'energia che sentiva nei Beatles e desideroso
di parlare con un linguaggio musicale proprio della sua generazione,
dichiarò la sua indipendenza dal folk diventando elettrico al Newport Folk
Festival nel 1965.
La sua musica divenne presto un nuovo standard per il rock influenzando non
solo i suoi contemporanei, Beatles inclusi, ma quasi tutti gli artisti
dell'epoca.
La pressione su di lui divenne presto così intensa che egli si isolò dal
mondo nel 1966 e non riprese a pieno ritmo la sua carriera fino alla metà
degli anni '70 quando tenne un celebrato tour con The Band e registrò uno
dei suoi più osannati album, "Blood on the Tracks." Alla fine della decade
sconcertò molti dei vecchi fans passando alla musica gospel.
Ci furono gemme anche nei '70 e negli '80, ma Dylan sembrò per gran parte
dei '90 essere stufo di scrivere canzoni o, forse, semplicemente stufo di
doversi sempre misurare con i suoi standard degli anni '60.
Nei primi anni '90 sembrò trovare conforto solo nei tour, perdendosi nella
tradizione dei trovatori, rifiutandosi perfino di parlare di scrivere
canzoni o del suo futuro. "Forse ho scritto troppe canzoni", dichiarò
allora. "Forse è il turno di qualcun altro adesso."
In qualche modo, tuttavia, tutti quei concerti gli ridiedero la voglia di
scrivere - come dimostrò il suo album del 1997 "Time out of mind" vincitore
di tre grammy awards; così come la canzone dolceamara dal film "Wonder
Boys", "Things have changed", che vinse un Oscar nel 2001 ed il suo osannato
album del 2001, "Love and Theft". Dylan ha trascorso gran parte dello scorso
anno lavorando ad una serie di cronache autobiografiche. La prima parte è
prevista per questo autunno pubblicata da Simon & Schuster.
Ma forse la rinnovata passione di Dylan non è evidente in nessun altra cosa
se non nei suoi show dal vivo. Dylan è passato dalla chitarra alla tastiera
ed ora guida la sua band di quattro elementi con l'intensità di un giovane
punk.
Dylan - che vive nella California del Sud sin da quando lui e la sua
ex-moglie Sara Lowndes si trasferirono a Malibu alla metà degli anni '70 con
i loro cinque figli - era ad Amsterdam per due concerti da tutto esaurito in
una sala da 6000 posti. Tiene più di cento concerti all'anno.
Il pubblico di questa sera invernale è diviso tra gente dell'età di Dylan
che lo hanno seguito sin dagli inizi della sua carriera negli anni '60 e
giovani che chiedono non solo i suoi classici ma anche le sue nuove canzoni.
Riscrivendo le Melodie
Tornato in hotel Dylan sembra soddisfatto come può esserlo un uomo con il
suo spirito creativo senza pace.
Sono quasi le due di notte ed un altro bricco di caffè si raffredda. Si
passa una mano tra i capelli ricci. Dopo tutte queste ore mi rendo conto che
ancora non gli ho fatto la domanda più ovvia: Viene prima la musica o le
parole?
Dylan si allunga e prende la chitarra acustica.
"Beh, devi capire che io non sono un melodista," dice. "Le mie canzoni sono
basate o su inni Protestanti o su canzoni della Carter Family o su
variazioni di blues."
"Le cose funzionano così. Prendo una canzone che conosco e semplicemente
inizio a suonarla nella mia testa. E' il mio modo di meditare. Un sacco di
gente guarda una crepa nel muro e medita, o conta le pecore o gli angeli o
il denaro o cose del genere ed è un fatto provato che questo aiuta a
rilassarsi. Io non medito su niente del genere. Medito su una canzone."
"Ad esempio suono "Tumbling Tumbleweeds" di Bob Nolan costantemente nella
mia testa - mentre guido l'auto o parlo ad una persona etc. La gente crede
che stiano parlando con me e che io risponda, ma non è così. Ascolto la
canzone nella mia testa. Ad un certo punto, alcune delle parole cambiano ed
io inizio a scrivere una canzone."
Strimpella lentamente la chitarra, ma è difficile riconoscere il motivo.
"Ho scritto "Blowin' in the Wind" in 10 minuti, ho messo solo le parole ad
un vecchio spiritual, forse qualcosa che ho imparato sui dischi della Carter
Family. Questa è la tradizione musicale folk. Usi quello che è stato
tramandato. "The Times They Are A-Changin'" probabilmente è la
rielaborazione di una vecchia canzone folk Scozzese."
Mentre continua a suonare, la canzone comincia a diventare vagamente
familiare.
Voglio sapere di "Subterranean Homesick Blues," una delle sue canzoni più
radicali. Questa canzone del 1965 fuse folk e blues in una maniera che
costrinse tutti quelli che l'ascoltarono a riascoltarla in continuazione.
John Lennon una volta disse che la canzone era così affascinante su tutti i
livelli che si chiese come avrebbe mai potuto competere con un brano del
genere.
Le liriche, ancora una volta, parlavano di una società in rivoluzione, un
racconto di droga e di abuso di autorità e di tentare di capire ogni cosa
quando poco sembrava aver senso:
Johnny's in the basement
Mixing up the medicine
I'm on the pavement
Thinking about the government
Anche la musica rifletteva la paranoia del tempo - rombando dagli
altoparlanti con la forza di una cannonata.
Da dove veniva?
Senza pausa, Dylan dice, quasi con una strizzata d'occhi, che l'ispirazione
risaliva alla sua adolescenza. "Viene da Chuck Berry, un po' di "Too Much
Monkey Business" e qualche canzone scat degli anni '40."
Mentre la musica della chitarra si fa più forte capisco che Dylan sta
suonando una delle più famose canzoni del 20mo secolo, "Blue Skies" di
Irving Berlin.
Lo guardo negli occhi per percepire un segnale.
Ha scritto una nuova canzone mentre parlavamo?
"No," dice con un sorriso. "Ti ho solo mostrato come faccio."
Robert Hilburn dal "Los Angeles Times" - 4 aprile 2004
traduzione di Michele Murino
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Q&A: Bob Dylan
da "Rolling Stone"
Non gli dispiace per lo spot pubblicitario di Victoria's Secret
e non è sicuro che si possa chiamare Chronicles un libro
di AUSTIN SCAGGS
Bob Dylan ha dimostrato che la sua prosa può essere elegante come la sua
poesia. Nel suo nuovo libro
di memorie, Chronicles: Volume One, Dylan ci conduce in un viaggio circolare
attraverso i periodi più
intensi della sua vita professionale, dal Greenwich Village nel 1961 fino al
suo ritiro a Woodstock nel
1968 ed alla sua rinascita nei tardi anni Ottanta.
Più che una autobiografia è un documento storico, un'analisi filosofica e
personale della vita in America,
e vi farà girare la testa. Signore e signori, ecco a voi l'artista della
Columbia Bob Dylan, durante una
pausa del suo tour a Manhattan, Kansas.
Domanda: In Chronicles scrivi a proposito della tecnica chitarristica che
Lonnie Johnson ti ha insegnato.
Solo un musicista esperto può comprendere il linguaggio che tu adotti.
Perchè hai scelto di entrare così
tanto nei dettagli?
Bob Dylan: Credo che possa essere di aiuto alla gente capire che il mio
stile ha una struttura alla base.
Può darsi che lo abbia scritto per la gente che suona. Qualcuno potrebbe
servirsene. Perchè? Lo trovi
in qualche maniera irrilevante?
D: Tutt'altro.
BD: Non sono in grado di dire se un guidatore di autobus potrebbe trovarlo
di un qualche interesse. Ma
per me è stato molto importante.
D: Hai anche descritto la visione del film La Dolce Vita "attenta, pensando
che non lo avrei potuto
vedere una seconda volta". Hai una memoria fotografica?
BD: Io lascio aperta la mia mente. Non la riempio di un mucchio di roba. Sto
molto attento a quello da
cui mi faccio distrarre. Con il libro, quel che ho provato a fare è stato di
trasmettere un sentimento. Non
è il tipo di libro che parla di una vita corta e felice. E' qualcosa di più
astratto, estratto da lunghi periodi
di tempo. Ho lavorato al libro, se lo vuoi chiamare così, come ad una serie
di bozzetti. Ho dipinto la vita
come fosse un gioco d'azzardo. Funziona su diversi livelli, proprio come
succede per le canzoni migliori.
D: Scrivi a proposito della sera in cui Woody Guthrie ti ha mandato nella
sua casa di Coney Island per
prendere una scatola con le sue liriche. Cosa sarebbe successo se tu le
avessi trovate?
BD: Non so se sarei stato capace di fare molto con quelle liriche, in
realtà, sebbene suppongo di sì,
forse. Non credo che ci avrei fatto un disco con quel materiale, come il
disco che in effetti è poi uscito
(Billy Bragg and Wilco's Mermaid Avenue Vols. 1 e II). Chi davvero avrebbe
sentito parlare di me?
D: Hai dato poco peso ad un bel pezzo della tua carriera in Chronicles. Sono
un pazzo ad amare Street
Legal, Slow Train Coming e Infidels?
BD: No, affatto. Posso suonare quelle canzoni, ma probabilmente non
riuscirei ad ascoltare quei dischi.
Ci sentirei troppi errori. Ero semplicemente trascinato dalla corrente
quando ho realizzato quei dischi.
Non credo che il mio talento fosse sotto controllo. Ma c'è probabilmente del
buon materiale su tutti quei
dischi. Shelley disse che il punto era fare arte non premeditata. Non credo
che quei dischi rientrino in
quella categoria.
D: Da un punto di vista del testo, si può far meglio di "It's Alright, Ma"?
BD: E' dura tenere il livello di quel tipo di cosa. Non ce la puoi fare a
superare quel livello -- non è
questo il punto. Da un punto di vista delle liriche non ce la puoi fare, no.
Posso ancora suonare quella
canzone, e so quel che quella canzone può fare. Quel brano è stato scritto
con una rabbia che può far
crollare i muri. Quella è stata la motivazione.
D: Hai mai incontrato Little Richard?
BD: Sì!
D: Com'è stato? Gli hai detto che nel tuo diario scolastico al liceo
scrivesti che la tua ambizione era
quella di entrare a far parte della sua band?
BD: E' una persona fantastica. Un tipo davvero eccitante da avere vicino,
come puoi immaginare. Non
mi sembra di ricordare di avergli detto di quel diario -- non penso che
fosse necessario. Lo sa bene che
sono stato un suo fan.
D: Nel libro non parli molto del fatto che suoni l'armonica. Quali sono le
tue performance all'armonica di
cui sei maggiormente orgoglioso?
BD: Un sacco, davvero. Non so però se orgoglioso è il termine adatto...
Suono l'armonica come suono il
pianoforte. Non ho bisogno realmente di ascoltare quello che sto suonando.
Naturalmente sono in grado
di dire se sto suonando male quando vedo che quel che suono non piace. Può
succedere da un punto di
vista tecnico, ma non è così da un punto di vista viscerale. Se io riesco a
mettere quel che suono nel
ritmo, formerà una struttura melodica da sè. Qualcuno potrà suonare meglio,
ma ho sentito un sacco di
grandi musicisti che sembravano suonare benissimo mentre li sentivo ma che
ho dimenticato due minuti
dopo. Cerco di star lontano da quel tipo di esibizionismo.
D: Ecco come la vedo io: tu voli fino in Italia, te ne vai in giro con delle
bellissime donne e poco dopo sei
in una pubblicità di Victoria's Secret.
BD: Sì. Non avrei dovuto farlo?
D: A me è piaciuto.
BD: Vorrei averlo visto. Forse potrei dire qualcosa al riguardo. Ma non
guardo quel tipo di cose.
D: Perchè tieni la statuetta dell'Oscar sull'amplificatore della tua
chitarra?
BD: Penso che ora sia saldato. Quelli che lavorano con me nel backstage sono
così eccitati di vederla
che continuano a tenerla lì.
D: Qual è l'ultima canzone che ti piacerebbe ascoltare prima di morire?
BD: Che ne dici di "Rock of Ages"?
D: Ho sentito che hai scritto delle canzoni per un nuovo album.
BD: Sì, ne ho pronte un po'.
D: Quando le farai uscire?
BD: Forse all'inizio dell'anno. Non sono sicuro dove e quando.
D: Me ne puoi parlare?
BD: No, non potrei spiegartele. Quando le avrai sentite richiamami. E'
difficile trovare delle parole per descriverle o dirti in che tipo di stile
sono inseribili. Non resterai sorpreso.
D: Perchè no?
BD: La struttura musicale che sei solito ascoltare -- potrebbe essere un po'
riarrangiata. Le canzoni
parleranno da sole.
D: Ti ho visto suonare al Newport Folk Festival un paio di anni fa. Perchè
avevi quella parrucca e
quella barba finta?
BD: Ero io quello che hai visto?
17 Novembre 2004
traduzione di Michele Murino
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BOB DYLAN INTERVISTA ALLA CBS
nell'ambito del programma televisivo "60 Minutes" condotto da Ed Bradley
traduzione di Michele Murino
Presentazione di Ed Bradley: Fin da quando ho iniziato a presentare “60
Minutes” ho desiderato intervistare Bob Dylan. Nei suoi 43 anni di carriera
non c'è musicista vivente che abbia maggiormente esercitato la propria
influenza. Il suo distintivo suono nasale e le sue liriche poetiche hanno
prodotto alcune delle più memorabili canzoni che mai siano state scritte.
Nel corso degli anni Sessanta le sue canzoni di protesta e di rivolta hanno
parlato ad una intera generazione. Se da un lato la sua vita è stata oggetto
di innumerevoli interpretazioni, dall'altro Dylan è stato il più delle volte
laconico al riguardo. Ora che ha compiuto 63 anni ha scritto un libro di
memorie chiamato “Chronicles Volume 1”, e finalmente ho ottenuto
personalmente di poter sedere di fronte a lui per la sua prima intervista
televisiva in quasi 20 anni. Quello che vedrete stasera è puro Dylan,
misterioso, vago, affascinante. Proprio come la sua musica.
D: Ho letto da qualche parte che hai scritto "Blowin’ In The Wind" in soli
dieci minuti. E' vero?
Bob Dylan: Può darsi.
D: Davvero?
BD: Già.
D: E da dove è venuta fuori?
BD: E' semplicemente venuta fuori da... come se... come se fosse venuta
fuori da una sorta di magica fonte perpetua di creatività, sai.
Commento della voce fuori campo: Quella “magica fonte perpetua di
creatività” ha dissetato Bob Dylan per oltre 40 anni ed ha prodotto 500
canzoni e più di 40 album.
D: Ti è mai capitato di dare uno sguardo alla musica che hai scritto e
guardandoti indietro esclamare: "Accidenti! Incredibile!"?
BD: Qualche volta sì, in passato. Ma ora non più. Non sono consapevole di
come scrivere quelle canzoni.
D: Che cosa intendi dire con l'espressione "Non sono consapevole..."?
BD: Tutte quelle canzoni di un tempo erano quasi scritte per magia.
(Recitando i versi): "Darkness at the break of noon / shadows even the
silver spoon / the hand-made blade the child’s baloon..." (nota: versi
tratti da "It's all right ma (I'm only bleeding)").
Commento della voce fuori campo mentre scorrono le immagini di Dylan che
canta il brano in questione: Questo classico di Bob Dylan, "It’s Alright,
Ma", è stato scritto nel 1964.
BD: Beh, provare a sedersi al tavolino e scrivere qualcosa del genere... E'
una cosa che ha del magico, e non alludo al tipo di magia di Siegfried e
Roy, sai, è un genere differente di penetrante magia. E, sai, io questa cosa
l'ho fatta una volta.
D: E credi di non essere in grado di rifarlo, oggi?
BD (facendo segno di no con la testa): Mh-mh.
D: E questo ti rende deluso oppure...?
BD: Beh, sai, non si può essere in grado di fare una cosa per sempre, ed io
una volta l'ho fatto. Ora posso farne altre, ma non quella.
Commento della voce fuori campo: Dylan ha iniziato a scrivere musica fin da
quando era un adolescente nella sperduta città di Hibbing, Minnesota. Bob
era il più grande dei due figli di Abraham e Beatty Zimmerman.
D: Hai trascorso una vita felice, una infanzia felice mentre crescevi?
BD: In realtà non potevo considerare me stesso felice o infelice. Ho sempre
saputo che c'era qualcosa da qualche parte di cui avevo bisogno e sapevo che
non l'avrei trovata dove vivevo in quel particolare momento.
D: Non era nel Minnesota...
BD: No.
Commento della voce fuori campo: Era a New York. Come scrive nella sua
autobiografia egli si sentì vivo quando, all'eta di 19 anni, si trasferì al
Greenwich Village che all'epoca era il centro vitale della controcultura
degli anni Sessanta. Nel giro di pochi mesi Dylan firmò un contratto per
incidere un disco con la Columbia Records.
D: Hai usato il termine "capitale del mondo" in riferimento alla città di
New York, ma quando hai comunicato a tuo padre la tua decisione egli pensò
che tu stessi scherzando. I tuoi genitori approvarono la tua scelta di
diventare un cantante ed autore di canzoni e quella di recarti a New York?
BD: No, mio padre e mia madre non avrebbero voluto questa vita per me. I
miei genitori non sono mai andati da nessuna parte. Mio padre probabilmente
pensava che la capitale del mondo fosse dove si trovava lui in quel momento.
Non avrebbe potuto essere in nessun altro posto. Dove c'era lui e sua moglie
e la loro casa... quella per loro era la capitale del mondo.
D: Che cosa ti rendeva diverso da loro? Che cosa ti spinse lontano da quel
luogo?
BD: Beh, ascoltavo moltissimo la radio, me ne andavo in giro nei negozi di
dischi suonando la chitarra a piu' non posso, e suonavo il pianoforte, ed
imparai canzoni che venivano da un mondo che non esisteva intorno a me.
Commento della voce fuori campo: Dylan scrive persino che egli era
consapevole del fatto che sarebbe stato destinato a diventare una leggenda
della musica. "Ero diretto verso le fantastiche luci ed il destino stava
guardando solo me e nessun altro".
D: Utilizzi la parola "destino" in continuazione nel tuo libro. Che
significato ha per te questo termine?
B: E' quella sensazione che tu hai di conoscere qualcosa di te che nessun
altro conosce... l'immagine che hai di te stesso e che sai che si
realizzerà. E' un tipo di sensazione che in qualche modo devi tenerti dentro
perchè è molto fragile e se la esterni qualcuno la distruggerà. Meglio
dunque tenerla per sè stessi.
Commento della voce fuori campo: Quando gli abbiamo chiesto perchè abbia
cambiato il proprio nome ha risposto che anche quello era destino.
D: Quindi non riuscivi a pensare a te stesso come a Robert Zimmerman?
BD: Per qualche motivo non l'ho mai fatto.
D: Anche prima che tu iniziassi ad esibirti?
BD: No, nemmeno allora. Alcune persone nascono con nomi sbagliati, genitori
sbagliati... Succede.
D: Puoi dirmi come mai hai deciso per Bob Dylan?
BD: Ognuno si dà il nome che più gli piace. La nostra è la terra della
libertà.
Commento della voce fuori campo: Bob Dylan creò un vero e proprio mondo che
traeva ispirazione dalla vecchia musica folk con l'innesto di testi poetici,
come nel caso di canzoni come "A Hard Rain’s A-Gonna Fall". Canzoni che
erano il riflesso delle tensioni e delle inquietudini del Movimento per i
Diritti Civili e dei movimenti contrari alla guerra degli anni Sessanta. Si
trattava di una miscela esplosiva che trasformò Dylan a soli 25 anni in una
vera e propria icona culturale e politica, che lo portò a suonare in sale da
concerto da tutto esaurito in tutto il mondo, assediato da persone dovunque
egli si recasse. Venne definito "la voce della sua generazione" e venne
dipinto come un profeta, un messia. Ma egli vedeva se stesso come un
semplice musicista.
BD: Ti senti un impostore quando... quando... quando la gente pensa che tu
sia qualcuno che in realtà non sei...
D: Che immagine aveva la gente di te, e qual era la realtà?
BD: L'immagine che si aveva di me certamente non era quella di un autore di
canzoni o di un cantante. Era piuttosto quella di una "minaccia per la
società", in un certo qual modo.
D: E quale era la cosa più dura da affrontare per te?
BD: Era un po' come ritrovarsi in un racconto di Edgar Allan Poe in cui tu
non sei affatto la persona che tutti pensano che tu sia, sebbene ti chiamino
così in continuazione, profeta, redentore... Non ho mai pensato di essere un
profeta o un redentore. Forse Elvis. Potrei forse più facilmente vedere me
stesso diventare lui, ma profeta no.
D: Posso accettare che tu non veda te stesso come la voce di quella
generazione, ma alcune delle tue canzoni divennero per la gente dei veri e
propri inni, e la gente le interpretava come canzoni di protesta. Erano una
parte importante delle loro vite, infondevano entusiasmo al Movimento.
Voglio dire che forse tu non le hai mai viste in quel modo ma quello era il
modo in cui vennero viste. (Dylan scuote la testa) Come riesci a conciliare
le due cose?
BD: Quello che scrivevo erano canzoni, non erano sermoni. Se tu analizzi
attentamente le canzoni non credo che troverai mai qualcosa che dica che io
sono un portavoce di qualcuno o di qualcosa, davvero.
D: Ma la gente le vedeva così...
BD: Sì, ma...
D: Loro...
BD: Sì ma non devono aver ascoltato le canzoni.
D: E' ironico, sai, che la maniera nella quale la gente ti vedeva era
l'esatto opposto di come tu vedevi te stesso...
BD: Buffo, vero?
Commento della voce fuori campo: Dylan fece pressochè di tutto per
frantumare l'immagine permeata di nobiltà che la gente aveva di lui. Scrive
che realizzò deliberatamente brutti dischi, che una volta si versò del
whisky sulla testa in pubblico e, come trovata pubblicitaria, si recò in
Israele e fece in modo di essere fotografato davanti al Muro del Pianto con
in testa uno zucchetto.
D: Quando ti recasti in Israele, hai scritto, "i giornali mi trasformarono
in un Sionista e la cosa mi aiutò grandemente". In che modo?
BD: Guarda, se la percezione comune che si aveva di me in pubblico era
quella per cui ero un ubriacone o un pazzoide (1), o un Sionista, o un
Buddista, o un Cattolico, o un Mormone, tutto quanto era meglio che
"arcivescovo dell'anarchia".
D: (risate) Il portavoce di una generazione...
BD: Esatto
D: ... contro ogni cosa!
BD: (annuendo) Mh-mh.
Commento della voce fuori campo: In particolar modo Dylan era contro i media
che - dice Dylan - cercavano sempre di etichettarlo infilzandolo con uno
spillo.
Voce di un giornalista dal video della conferenza stampa tenuta da Dylan nel
1965 a San Francisco: "Ti consideri in primo luogo un cantante o un poeta?
Risposta di Dylan nel video: "No... Penso a me stesso come ad un
song-and-dance man". [risate dei giornalisti]
D: Ma consentimi di parlare un po' del tuo rapporto con i mezzi di
comunicazione. Immagino che tu abbia mentito alla stampa. Perchè?
BD: Mi resi conto all'epoca che la stampa, i media, non sono i giudici.
L'unico giudice è Dio. Le uniche persone cui devi pensare se dire bugie sono
te stesso e Dio. La stampa non è nè l'una nè l'altra cosa e la ritengo
irrilevante.
Commento della voce fuori campo: Bob Dylan tentò di fuggire da tutto questo.
Alla metà degli anni Sessanta si ritirò con sua moglie ed i suoi 3 bambini a
Woodstock, New York. Ma anchè lì non fu in grado di sfuggire alle legioni di
fans che si presentavano davanti casa sua per essere ricevuti dalla leggenda
in persona.
D: Così la gente veniva davvero a casa tua?
BD: (annuendo) Mh-mh.
D: E a che fare?
BD: Per discutere con me di politica, di filosofia, di agricolutra organica
e cose del genere, sai.
D: E tu quanto ne sapevi di agricoltura organica?
BD: Niente...
D: (risate)
BD: Un bel niente
D: Cosa intendi dire quando scrivi che "la cosa divertente della celebrità è
che nessuno crede a quel che tu sei"?
BD: La gente dice: "Sei quello che penso che tu sia?", ed io rispondo "Non
lo so"... E allora la gente dice "Tu sei quello lì!", e tu dici "Ok"... E la
cosa seguente che dicono è "No! Sei davvero quello lì?!!", "No, tu non sei
lui!" e... sai possiamo andare avanti all'infinito.
D: Frequenti i ristoranti ora?
BD: Non mi piace mangiare nei ristoranti.
D: A causa della gente che si alza da tavola, viene da te e ti chiede: "Tu
sei quello lì?"
BD: Quello succederà sempre, sì.
D: E non ti sei mai abituato?
BD: No.
Commento della voce fuori campo: Giunto all'apice, la fama chiese il
pedaggio a Bob Dylan. Di lì a poco avrebbe divorziato da sua moglie Sara.
Sul palco si dipingeva la faccia con una maschera bianca ma le sue canzoni
rivelavano il suo dolore.
D: Hai scritto: "Mia moglie, quando ci sposammo, non aveva idea di quello
che stava per succederle..."
BD: Beh, all'epoca lei era con me nella buona e nella cattiva sorte, sai. E'
solo che quello non era il genere di vita che aveva immaginato per sè, non
più di quanto fosse il genere di vita che io stesso avevo immaginato per me.
Commento della voce fuori campo: Alla metà degli anni Ottanta Dylan sentì di
essere esaurito.
D: Hai anche scritto: "Io sono un trovatore degli anni Sessanta, una
vestigia del folk-rock, un fabbro di parole dei tempi andati. Sono
nell'inferno dell'oblio culturale". Parole alquanto severe...
BD: Oh, sono termini che ho trovato scritti, e parlavano di me, sai.
D: E hai cominciato a crederci?
BD: Beh, comunque ci ho creduto, sai. Non trovavo più alcuna emozione ad
esibirmi, sai. Pensai che fosse tempo di farla finita.
D: Hai davvero pensato di mollare tutto? Di chiudere il sipario?
B: Ci ho pensato per un po'. Ho cominciato a pensare che fosse abbastanza,
sai.
Commento della voce fuori campo: Ma Dylan ci ha detto che nel giro di pochi
anni recuperò il proprio lampo creativo e ritornò "on the road", esibendosi
in oltre 100 concerti all'anno.
Voce dal video dei Grammy: And the album of the year is...
Commento della voce fuori campo: Nel 1998 si aggiudicò 3 Grammy Awards.
Voce del video dei Grammy: Time Out Of Mind.
Commento della voce fuori campo: All'età di 63 anni Bob Dylan rimane una
voce unica e potente come mai ce ne sono state nella musica Americana. I
suoi amici musicisti gli hanno pagato tributo quando Dylan è stato inserito
nella "Rock’n Roll Hall Of Fame", accompagnandolo in una stupefacente
versione delle sue più celebri canzoni.
D: Come forse saprai, la rivista "Rolling Stone" ha appena votato la tua
canzone "Like A Rolling Stone" come la numero uno di tutti i tempi. 12 delle
tue canzoni sono nella loro lista delle migliori 500 canzoni di sempre. Deve
essere bello lasciare una tale eredità...
BD: Oh, forse questa settimana è così ma sai, la lista... cambiano i nomi
abbastanza di frequente, ed io non presto davvero molta attenzione a queste
cose.
D: Ma è una pacca sulla spalla, Bob!
BD: Questa settimana è così, ma sai, chi può dire quanto durerà?
D: Beh, è durato tantissimo per te. Voglio dire che sei ancora in giro a
cantare queste canzoni...
BD: Beh, sai...
D: ...sei ancora in tour.
BD: E' vero, ma non la considero una cosa scontata
D: Perchè ancora lo fai, perchè sei ancora in giro?
BD: Beh, torniamo al discorso del destino. Ho fatto una specie di patto di
ferro col destino... sai, un sacco di tempo fa. Sto cercando di ritardare la
fine.
D: E qual era il tuo patto?
BD: Arrivare dove ... uh... dove sono adesso.
D: O forse dovrei chiedere con chi hai fatto il patto?
BD: (Risate) Con... con... con il capo, il comandante in capo!
D: Su questa terra?
BD: (Risate) Su questa terra e... e nel mondo che non possiamo vedere.
Ed Bradley al termine dell'intervista: Bob Dylan è stato nominato quest'anno
per il premio Nobel per la Letteratura. Il suo nuovo libro è stato un
best-seller nelle ultime 7 settimane. E' stato pubblicato da Simon&Shuster
che è di proprietà di Viacom, la compagnia madre della CBS. Dylan ha in
programma di scrivere altri 2 volumi delle sue memorie.
traduzione di Michele Murino
Note:
(1) "Sicko" e' una deformazione di "sick" e qui sta per "pazzoide".
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BOB DYLAN
L'intervista di Rolling Stone
di Jonathan Lethem - settembre 2006
"Davvero, non è che io abbia un branco di astrologi che mi dicono quello che
succederà. Faccio semplicemente un passo dopo l'altro, per cui questo porta
a quello."
Vi è familiare questa voce? Sono seduto in una suite di un albergo di Santa
Monica, di fronte al mare, ignorando un vassoio con fette di ananas e dei
biscotti con zucchero a velo, mentre Bob Dylan se ne sta seduto di fronte al
mio registratore, facendo del proprio meglio per rispondere alle mie
domande.
L'uomo che ho davanti è spasmodico nella sua poltrona, non impaziente, ma
pungentemente vivo, e pronto a farmi ridere e per ridere egli stesso. Le
espressioni sul volto di Dylan sembrano comprimere e racchiudere versioni
della sua persona attraverso gli anni, un sessantacinquenne con una vivacità
di un diciannovenne celato da qualche parte dentro di sè. Soprattutto, però,
è il tono della sua voce che sembra un caleidoscopio che si muove attraverso
il tempo: ora il guaito del cucciolo folk, ora il sarcastico tamburellare a
tempo dell' idolo hip, ora il tono seducente del sex symbol degli anni
Settanta, ora - e sempre - la voce ghiaiosa del vecchio 'statesman', con
quella voce da bluesman antidiluviano, quello così leggendariamente invocato
dal giovane aspirante all'inizio della propria carriera e nel quale egli si
è gradualmente trasformato con l'età.
E' quella voce, la voce di un vagabondo senza età in decrepitezza, che è
alla base del paradosso della realizzazione di Modern Times, il suo
trentunesimo album in studio. Questi sono i nostri "tempi moderni," oppure
un qualche vecchio sogno di un film muto, una fuga musicale in bianco e
nero? Modern Times, come "Love and Theft" e Time Out of Mind prima di lui,
sembra contemplare un mondo distrutto attraverso il prisma di un cuore che è
consumato e mondano, ancora decisamente non
spezzato. "I been sitting down studying the art of love/I think it will fit
me like a glove," afferma Dylan in "Thunder on the Mountain," la canzone di
apertura, un blues allegro e fracassone che avete sentito un milione di
volte in passato e che ancora magicamente sembra annunciare un ennesimo
"nuovo" Dylan.
"I feel like my soul is beginning to expand," dice la canzone."Look into my
heart and you will sort of understand."
Quello che è chiaro, se ascoltiamo attentamente, è che gli ultimi tre album
fanno parte di un rinascimento di Dylan che sempre più risulta come un
periodo da porre al fianco di qualsiasi dei suoi periodi del passato.
Come fece con Bringing it all back home quando Dylan rivestì le sue visioni
all'anfetamina nei panni gloriosamente grunge del blues elettrico e del
primo rock and roll, le glorie musicali di questi ultimi tre album affondano
le proprie radici nel retaggio del blues che include il fatto che i primi
blues, così come i primi musicisti di questo genere, erano più strani di
qualsiasi purista, e difficilmente si autorelegavano a lamenti in dodici
battute ma presentavano recitazioni narrative, spiritual, canzoncine porno,
ballate popolari ed altro. Dylan ci offre un nutrimento che viene dalla
cantina delle radici della vita culturale Americana. Perchè la società
soffre di amnesia.
E con il passare del tempo e dei dischi pubblicati la convergenza di Dylan
con le proprie muse cresce sempre più in maniera naturale e senza sforzo.
Come fa Dylan a richiamare a sè una tale eterna autorità? "Ho realizzato
Modern Times senza tenere conto di quello che succede nel mondo", mi dice
Dylan. "Ho scritto queste canzoni in uno stato niente affatto meditativo, ma
piuttosto come se fossi in trance, in uno stato ipnotico. Sono queste le
cose che provo? E perchè? E chi è il me stesso che prova queste cose? Non
potrei risponderti a queste domande. Ma so che queste canzoni sono nel mio
patrimonio genetico e non potevo impedire che venissero fuori".
Ma questo non vuole dire che Modern Times o Dylan siano immemori del momento
attuale. Il disco è fornito o dovrei dire tormentato con riferimenti ad
eventi mondiali come la tragedia dell'11 settembre e l'Uragano Katrina,
sebbene a chiunque cerchi una morale, per parafrasare Mark Twain,
bisognerebbe sparare. Ma per rassicurare l'ascoltatore contemporaneo che la
deriva musicale di Dylan nelle forme musicali pre-rock and roll - blues,
ragtime, rockabilly - non è il marchio di un nostalgico, "Thunder on the
Mountain" annovera nei suoi versi anche il nome di una certa cantante
contemporanea: "I was thinking 'bout Alicia Keys, I couldn't keep from
crying / When she was born in Hell's Kitchen, I was livin' down the line."
Quando ho chiesto a Dylan come mai Alicia Keys fosse entrata "nel suo
pantheon," si è limitato a ridere tra sè alla mia preziosa domanda. "Ricordo
di avere visto Alicia alla serata dei Grammy. Credo che fossi con lei in
quello show, non l'ho però incontrata o cose del genere. Ma mi sono detto
'Non c'è niente di quella ragazza che non mi piaccia'"
Piuttosto che analizzare i testi, Dylan preferisce indugiare sulle canzoni
in quanto prodotti musicali e descrive il processo che lo porta a realizzare
tali prodotti. Come è successo nel caso di altri esempi del passato, per
citare dischi come quello del 1974, Planet Waves, o quello del 1978, Street
Legal e quello del 2001 "Love and Theft", il cantante ed artista noto per il
suo rapporto di odio-amore con lo studio di registrazione ("Non mi piace
fare dischi," mi dice con semplicità. "Li faccio con riluttanza") ha inciso
il suo nuovo album con la band che lo accompagna attualmente in tour.
E Dylan stesso è il produttore del disco, accreditato con il nome fittizio
di Jack Frost. "Non volevo più avere qualcuno che sovraproducesse le mie
canzoni," mi dice. "Ho come la sensazione di aver sempre prodotto da solo i
miei dischi, solo che avevo qualcuno tra i piedi. Sento che nessuno sa come
dovrei suonare io, tranne me stesso; nessuno tranne me stesso sa quel che
bisogna ottenere dai musicisti, nessuno tranne me può dire ad un musicista
cosa sta facendo di sbagliato, nessuno come me è in grado di trovare un
musicista capace di suonare. Io sono in grado di farlo anche nel sonno."
Come sempre, Dylan gira intorno all'argomento, definendo quel che è
separandolo da quel che non è, da quel che non vuole, da quel che non ama,
da quel che non gli serve, con un processo di eliminazione.
Tale strategia retorica risale almeno ai tempi di "It Ain't Me, Babe" e di
"All I Really Want to Do" ("I ain't looking to compete with you," etc.), e
possiede ancora un sacco di vero succo.
E quando Dylan giunge ad un'asserzione positiva dalle distese desolate di
così tanti dubbi, raggiunge la forza di una giubilante vanteria. "Questa è
la band migliore che io abbia mai avuto ed in cui io sia mai stato, membro
per membro. Quando suoni con delle persone un centinaio di volte ogni anno,
sai quello che puoi fare e quello che non puoi fare, come utilizzarle, se ne
hai bisogno. Ci vuole un sacco di tempo per trovare un gruppo composto da
musicisti individuali. La maggior parte dei gruppi sono delle gang. Sia che
si tratti di un gruppo "metal" o di un gruppo "pop" o "rock", c'è sempre
quella mentalità da gang. Ma per quelli tra noi che c'erano tanti anni fa,
le gang erano i delinquenti. Nessuno di noi aspirava a diventare una gang.
In questo ultimo disco non avevo bisogno di insegnare niente a nessuno. Ora
ho nel mio gruppo delle persone che sono in grado di afferrare qualsiasi
cosa, tanto che sorprendono persino me." La cadenza di Dylan assume la
qualità di una recitazione all'impronta, piena di schemi interni fatti di
rime, tanto che quando più tardi trascriverò questo nastro mi troverò
tentato di metter giù le frasi in forma di testo di canzone. "Stavolta
sapevo che non sarebbe stato inutile scrivere qualcosa che davvero amavo ed
a cui pensavo con tenerezza, e poi andare in studio di registrazione e venir
fuori con una sorta di cosa incoerente che non avesse alcuna risonanza. Di
questo ero consapevole. Sentivo di essere libero di fare praticamente
qualsiasi cosa mi piacesse fare."
Ma l'avere il gruppo dei suoi sogni in studio di registrazione è solo la
metà dell'opera. "I dischi che ero solito ascoltare e che ancora amo, beh
non puoi più fare un disco che suoni come quelli," spiega. E' come se aver
registrato il suo nuovo materiale in studio di registrazione non abbia reso
sicuro Dylan che fare questo sforzo ne sia valsa la pena.
"Brian Wilson ha realizzato tutti i suoi dischi con un quattro piste, ma non
sei più in grado di fare dischi come i suoi oggi anche se hai cento piste. A
tutti noi piacciono i dischi che facevamo suonare sui giradischi ma
ammettiamolo, quei giorni sono an-da-ti. Fai il meglio che puoi, combatti
quella tecnologia in tutti i modi, ma non conosco nessuno che abbia
realizzato un disco che suoni in maniera decente negli ultimi venti anni,
davvero. Ascolti questi dischi moderni e ti accorgi che sono atroci, hanno
il suono dappertutto, non c'è definizione di nulla, nè della voce, nè di
niente, sono come statici. Anche queste canzoni di Modern Times
probabilmente erano dieci volte meglio quando le abbiamo registrate in
studio. I compact disc sono piccoli. Non hanno spessore. Ricordo quando è
venuto fuori quel tipo di Napster a dire una roba tipo "Tutti possono avere
la musica gratis". Io pensai "Beh, perchè no? Non vale comunque niente..."
Ascoltare la parola "napster" dalla bocca di Bob Dylan mi fa azzardare una
domanda a proposito dei "bootleg". Per me The Bootleg Series, una superba
sequenza di materiale d'archivio autorizzato da Dylan e pubblicato dalla
Columbia, rappresenta una sorta di tacito assenso alla tradizione pirata, un
riconoscimento del fatto che le takes escluse, le versioni alternative, le
canzoni bocciate e le performance dal vivo di Dylan costituiscono da sole
un'opera che gli ascoltatori fedeli meritano di ascoltare. Come dice Michael
Gray nel volume The Bob Dylan Encyclopedia, i primi tre dischi di outtakes
pubblicati "potrebbero anche da soli conferire a Dylan il posto di miglior
autore ed artista della sua epoca ed uno dei più grandi artisti del
ventesimo secolo." Sull'album "Love and Theft" c'è una canzone, "Sugar Baby"
in cui un verso recita: "Some of these bootleggers, they make pretty good
stuff" che qualcuno ha interpretato come una conferma di questo punto di
vista. Oggi per lo più quel verso sembra avere come soggetto soltanto i
distillatori clandestini di whiskey. "Non mi piacciono i dischi pirata. C'è
stato un periodo in cui la gente piratava tutto quello che mi riguardava
perchè non c'era nessuno che si occupava di controllare il materiale delle
sedute di registrazione. Tutto quel che ho fatto è stato piratato in tutte
le forme in lungo ed in largo. Si trattava di canzoni che non erano state
registrate per essere pubblicate ma tutti le compravano. E allora la mia
etichetta discografica si è detta: "Beh, tutti stanno comprando questi
dischi allora perchè non li pubblichiamo direttamente noi?".
Ma Dylan non può essere dispiaciuto se il mondo ha avuto il beneficio di
ascoltare - ad esempio - "Blind Willie McTell" - una canzone scartata dal
disco del 1983 Infidels, un brano che è salito ai primi posti nel pantheon
delle canzoni di Dylan e che egli stesso ha suonato dal vivo molte volte. O
sì? "Ho iniziato a suonare quella canzone dal vivo perchè ho sentito The
Band che la
faceva. La mia era solo un nastro dimostrativo, probabilmente serviva ai
musicisti per mostrare loro com'era il brano. Non è mai stata sviluppata
pienamente e non l'ho mai completata. Non ci sarebbe stato nessun motivo
altrimenti per lasciarla fuori dall'album. E' come prendere un dipinto di
Manet o Picasso - andare a casa loro e trovare un dipinto a metà e
impossessarsene e venderlo ai fans di Picasso. I soli fans che so di avere
sono le persone del mio pubblico, sera dopo sera."
Dylan e la sua band preferita di sempre solo tra pochi giorni inizieranno un
nuovo tour, un tour che cade a fagiolo visto che Modern Times è stato
pubblicato a fine agosto. Avevo sempre voluto chiedergli: quando una canzone
improvvisamente fa la propria comparsa in una scaletta di un concerto già
consolidata, ripescata tra centinaia di canzoni del suo catalogo, ciò
avviene perchè Dylan ha riascoltato un suo vecchio disco? "Non ascolto
nessuno dei miei vecchi dischi, sarebbe come ascoltare una
replica... Non so perchè qualcuno dovrebbe ad esempio rivedere i film che ha
fatto - tu ad esempio non rileggi i libri che hai pubblicato, giusto?" Un
punto a favore. Dylan amplia la spiegazione che ha offerto per "Blind Willie
McTell": "Abbastanza stranamente capita che ascoltiamo una cover di una
canzone e pensiamo di essere in grado di farla altrettanto bene. Pensiamo:
'Se qualcuno è in grado di farla così bene allora perchè non io?'.
Semplicemente io riprendo alcuni di questi arrangiamenti. I Dead hanno fatto
un sacco di canzoni mie e noi semplicemente riprendiamo l'intero
arrangiamento, perchè i Dead le
hanno fatte meglio di quanto le avevo fatte io. Jerry Garcia aveva ascoltato
le canzoni in tutte quelle mie brutte registrazioni, dove le canzoni erano
sepolte. Perciò se voglio cantare qualcosa di diverso tiro semplicemente
fuori uno dei dischi dei Dead per vedere quale ho voglia di fare. Ma questo
non lo faccio mai con i miei dischi."
E a questo proposito: "Ho sentito dire, anche tu probabilmente lo hai
sentito, che tutti gli arrangiamenti cambiano sera dopo sera. Beh, queste
sono un mucchio di cazzate, non sanno di che stanno parlando. Gli
arrangiamenti non cambiano sera dopo sera. Sono le strutture ritmiche ad
essere differenti, questo è tutto. Non puoi cambiare gli arrangiamenti sera
dopo sera, è impossibile."
Dylan sottolinea che a volte una canzone viene fuori una determinata sera
per un determinato pubblico a seconda del luogo.
"Non sopporto di suonare nelle grandi arene, ma lo faccio. Ma so che non
sono quelli i luoghi in cui si suppone che la musica debba essere suonata.
La musica non è fatta per essere ascoltata negli stadi di football, non è
una cosa del tipo 'Ehi, come va stasera, Cleveland?' A nessuno importa un
cazzo come va stasera a Cleveland." Poi si tuffa più in profondità. "Dicono
'Dylan non parla mai'. Che accidenti c'è da dire? Non è quella la ragione
per cui un artista sta di fronte alla gente."
Le parole sembrano insolenti ma il tono è quasi supplicante. "Un artista ha
uno scopo differente. Forse che un gruppo "self-help" - magari un Dr. Phil -
direbbe 'Come state'? Io non voglio essere insensibile e dire che non me ne
importa niente. Ti importa, ti importa molto altrimenti non saresti lì. Ma
c'è un diverso tipo di connessione. Non è una cosa leggera." Poi fa
un'ulteriore considerazione. "E' vivere ogni sera, o sentirsi vivi ogni
sera." Pausa. "Diventa rischioso. Voglio dire, rischi la tua vita suonando
musica, se lo fai nella maniera giusta."
Gli chiedo degli stadi di baseball in cui suonerà in questo nuovo tour:
forniranno il sound che cercate? "No, affatto, non lo ottieni all'aria
aperta. Il suono migliore che puoi ottenere è in un piccolo locale quando
hai quattro mura intorno ed il suono rimbalza. E' questo il modo in cui si
dovrebbe ascoltare questo tipo di musica."
Poi Dylan diventa nuovamente un comico, il tipo recentemente familiare agli
ascoltatori del suo programma radiofonico satellitare per la stazione XM, i
cui occasionali giochi verbali culminano in battute da vaudeville. "Certo
non mi piacerebbe suonare in un locale troppo piccolo, tipo di dieci
persone. A meno che non si vendessero biglietti da 50.000 dollari o giù di
lì..."
seconda parte
Concedetemi un minuto per presentare di nuovo il vostro intervistatore e la
vostra guida in questo articolo. Ho quarantadue anni e sono uno scrittore di
romanzi, oltre ad essere un fan di Dylan da una vita, ma sono uno che, è
giusto rimarcarlo, non ha memoria degli anni Sessanta. Non sono più giovane
ma sono giovane per il lavoro che sto facendo qui. I miei genitori erano
fans di Dylan ed il mio primo assaggio della sua musica è venuto attraverso
i LP che appartenevano a loro. Scelsi di ascoltare per primo Nashville
Skyline perchè aveva un aspetto "amichevole". Il primo disco di Dylan che
sono stato in grado di acquistare appena arrivò nei negozi e di cui fui
testimone "diretto" leggendo le critiche sui giornali, fu Slow Train Coming,
del 1979. A poco più di venti anni avevo digerito tutto il catalogo di Dylan
ed ero giunto alla conclusione che la sua panoplia di stili e di
atteggiamenti era essa stessa la più sincera misura del suo genio.
Chiamateci la generazione di Biograph, se volete.
In altre parole, lo sforzo di catturare Dylan e la sua arte come fumo in una
particolare bottiglia o in un'altra mi è sempre sembrato risibile,
un'erronea schermaglia combattuta prima che fosse chiaro che quella
sensibilità mercuriale - ancorata soltanto all'impegno esistenziale
nell'atto di connessione al momento presente - era il dono di libertà che le
sue canzoni promettevano. Negare ciò in presenza dell'uomo in questione
sarebbe assurdo.
Quando arrivai al punto che avevo richiesto tutto da Bob Dylan eravamo alla
metà degli anni Ottanta ed a quel punto io semplicemente gli chiedevo di
realizzare buone cose. Il che, alla metà degli anni Ottanta, in un certo
senso Dylan non realizzava. Ricordo quando tornai a casa con Empire
Burlesque sotto il braccio e mi sforzai di discernere la grandezza della sua
arte di songwriter sotto la patina luccicante della produzione di Arthur
Baker, una battaglia che persi. La prima volta che vidi Dylan in concerto
fu, sì, in uno stadio di football ad Oakland, e Dylan era insieme ai
Grateful Dead. A quell'epoca, la peggior canzone dell'album del 1988, Down
in the Groove, sembrava descrivere bene il mio impegno come fan: infatti "I
was in love with the ugliest girl in the world" ("Ero innamorato della più
brutta ragazza al mondo", un verso della canzone "Ugliest girl in the
world", dall'album citato, ndt).
Nondimeno fu il Dylan degli anni Ottanta il mio Dylan e al contrario di
quanto potreste aver letto ad esempio in Chronicles, Volume Uno, o in altri
scritti di detrattori, in quel periodo c'era acqua in quel deserto. A
partire da canzoni sparse quali "Rank Strangers to Me," "The Groom's Still
Waiting at the Altar" e "Brownsville Girl," a miracoli da audiocassette come
"Lord Protect My Child" e "Foot of Pride" (entrambi brani che sarebbero
riaffiorati in seguito in The Bootleg Series), fino ad una versione di "San
Francisco Bay Blues" che ero stato abbastanza fortunato da catturare dal
vivo a Berkeley, e ancora ad una ustionante versione della canzone di Sonny
Boy Williamson, "Don't Start Me to Talkin' ", eseguita da Dylan nel corso
del programma "Late Night With David Letterman". E l'ironia non consiste
solo nel fatto che il "pessimo" Dylan era spesso stupefacentemente ottimo.
Consiste anche nel fatto che la sua esplorazione della musica delle radici
che a quel tempo sembrava apparentemente casuale e senza una rotta precisa,
oggi può essere vista chiaramente condurre infallibilmente ai trionfi di là
da venire, intendo
cioè i trionfi attuali. Ma questo non vuol dire che allo stesso Dylan
importi di ripercorrere i propri passi. Infatti quando gli ho ricordato con
tenerezza quel momento dedicato a Sonny Boy Williamson al Letterman, ha
aperto la bocca chiaramente sorpreso e mi ha detto "L'ho suonata davvero?"
Perciò in quegli anni il dramma del mio rapporto con il mio eroe, per quanto
possa sembrare un dramma di poco conto agli occhi di coloro che rimasero
impregnati dalla sensazione di ascoltatori pluri-traditi negli anni Sessanta
e Settanta (Dylan era diventato Elettrico! Country-Domestico-Non
Disponibile! Cristiano!) era il solo dramma descritto da Dylan a David Gates
sulla rivista Newsweek nel 1997, e nel capitolo dal titolo "Oh Mercy"
contenuto nella sua autobiografia, Chronicles Vol. 1, ovvero il ricollocare
ed il reimpossessarsi della sua voce e della sua volontà di comporre e di
esibirsi, cosa che è avvenuta
gradualmente nel corso degli anni Novanta.
All'inizio di quel decennio si poteva quasi avere la sensazione che Dylan
avesse mollato, o quanto meno che trovasse rifugio e conforto nei dischi
acustici da solista che aveva cominciato a realizzare nel suo garage: Good
As I Been to You e World Gone Wrong.
Gli spettacoli dal vivo, in quello che sarebbe poi diventato noto come "The
Never Ending Tour", erano sempre più potenti in quegli anni, ma le nuove
canzoni erano scarse. Poi è arrivato Time Out of Mind, un album unitario e
ricco come qualsiasi altro avesse registrato in precedenza.
Quando poi ad esso fece seguito "Love and Theft", e poi Chronicles, un
ragionevole fan di Dylan avrebbe potuto concludere di star vivendo nel
migliore dei mondi possibile. Infatti, con lo spettacolo radiofonico via
satellite irradiato nelle nostre case - Dylan ha promesso di farne cinquanta
puntate! - si può ben dire che nell'ultimo decennio Dylan abbia concesso al
suo pubblico, della sua voce e del suo cuore, più di quanto abbia mai fatto
prima, e più di quanto chiunque avrebbe mai osato ragionevolmente
sperare.
"Beh, non è buffo?" sbuffa Dylan quando gli menziono il "mito
dell'inaccessibilità". "Ho appena visto un libro pubblicato da Wenner Books,
un libro che pubblica mie interviste, ed è enorme." Allunga le mani per
mostrarmelo. "Cosa è successo a questa inaccessibilità? Non ti sembra che ci
sia una dicotomia qui?"
Tuttavia è terribilmente facile, indossando i panni dell'intervistatore di
Dylan, cadere nella tentazione di sentirsi portavoce di un pubblico che non
ha mai mollato, costringendo il suo eroe a mantenere un impossibile livello:
più Dylan ci dà, più ne vogliamo. Il più grande artista della mia epoca mi
ha dato tutto quello che mai avrei potuto chiedergli e tuttavia io sono
seduto qui, a fare in qualche modo da mediatore tra lui e le aspettative che
nessuno di noi due può fingere che non esistano.
"Se mai io avessi una sorta di posizione riguardo me stesso - o quello che
faccio, o come mi esibisco sul palco, o quello che canto, a qualsiasi
livello - la mia posizione è quella di paragonare tutto ciò a qualcun altro!
Non lo paragono a me stesso. Forse che tu paragoneresti Neil Young a Neil
Young? Lo paragoni invece a qualcun altro, lo paragoni a Beck - che mi piace
- o a chiunque altro sia al suo livello. Questo disco dovrebbe essere
paragonato ad artisti che lavorano sullo stesso terreno. E' questo il modo
in cui qualsiasi disco di qualunque artista dovrebbe essere analizzato, se
gli artisti in questione hanno fatto con
serietà quel che hanno fatto. Ammettiamolo, o fai con serietà quel che fai,
o non lo fai con serietà. Le due cose insieme sono impossibili. E la vita è
breve."
Non posso fare a meno di chiedere a Dylan se di recente sia stato
condizionato dal successo del documentario No Direction Home di Martin
Scorsese, e se non sia stato spinto a provare di nuovo il vivido disagio
determinato dal suo non voluto ruolo di redentore. "Sai, tutti fanno un gran
parlare degli anni Sessanta. Gli anni Sessanta sono come i giorni della
Guerra Civile. Ma, capisci, tu stai parlando con una persona che possiede
gli anni Sessanta. Forse che ho mai voluto comprarli? No. Ma li posseggo,
chi ne vuole discutere con me?"
Mi incanta con un'altra battuta: "Se li vuoi te li regalo. Sono tuoi." Per
Dylan, come sempre, quel che conta è il lavoro, non nel senso di una cosa
d'archivio ma nella sua vita presente. "Le mie vecchie canzoni, certo
posseggono qualcosa - sono d'accordo, qualcosa posseggono. Credo che le mie
canzoni siano state cantate da altri artisti... beh, forse non come 'White
Christmas' o 'Stardust'... ma c'è una lista lunga almeno 5000 versioni. E'
un sacco la gente che canta le mie canzoni, allora devono possedere davvero
qualcosa. Fosse per me, anche io canterei cover delle mie canzoni. Un sacco
di queste canzoni che ho scritto nel 1961 e nel 1962 e nel 1964, e nel 1973,
o nel 1985, le posso ancora suonare... Beh, quanti altri artisti hanno fatto
canzoni durante tutti quegli anni? Eppure quante ne senti ancora oggi di
quelle canzoni? Io adoro Marvin Gaye, amo tutto quel materiale, ma quanto
spesso ti capita di sentire 'What's Going On'? Voglio dire, chi la canta?
Chi canta 'Tracks of My Tears'? Dov'è che la cantano stasera?"
Prova ancora a scandagliare la piena verità a proposito delle sue avventure
in studio di registrazione.
"Ho avuto periodi duri in studio. Riuscivo a scrivere le canzoni ma poi
avevo periodi duri in studio di registrazione. Ma forse era così che doveva
andare, perchè di altre canzoni fatte da altri artisti, tutta roba che
suonava incredibilmente bene, roba che ti commuoveva fino alle lacrime, beh,
quante di quelle canzoni erano davvero buone? O non era piuttosto solo la
registrazione del disco che era grande? Beh, la registrazione era grande,
era una forma d'arte e, sai, forse io non ho mai fatto parte di quella forma
d'arte perchè i miei dischi non erano per niente artistici. Erano solo
documentazione forse realizzata con cattivi musicisti eppure qualcosa veniva
fuori. E quel qualcosa che veniva fuori, per me oggi, era il fatto che si
trattava di roba reale, che ti mostrava davvero com'era realmente."
Dylan medita sul fato dell'arte nella posterità. "Quanta gente guarda Monna
Lisa? Ci sei mai stato? Voglio dire, forse possono vederla tre persone per
volta... Eppure da quanto tempo è in giro quel dipinto? C'è più gente che ha
visto quel quadro di quanta abbia mai ascoltato... dimmi un nome... non
voglio dire Alicia Keys... diciamo Michael Jackson. C'è più gente che ha
visto Monna Lisa di quanta mai abbia ascoltato Michael Jackson. E la possono
vedere solo tre persone per volta. A proposito di impatto..."
La discussione a proposito dei quadri porta il discorso su altre forme
d'arte. "Quello che mi piace dei libri è che sono silenziosi. Qualsiasi cosa
tu metta su pagina è come realizzare un quadro. Nessuno lo può cambiare.
Scrivere un libro è uguale, è scritto nella pietra, non cambierà mai. Uno
non avrà un tono differente dall'altro, non devi alzare il volume per
leggerlo."
Dylan si gusta l'accoglienza avuta da Chronicles. "Gran parte della gente
che scrive di musica non ha idea di cosa sia suonare. Ma per quanto riguarda
il libro che ho scritto, ho pensato 'La gente che ha scritto recensioni di
questo libro, Dio, sanno davvero di cosa stanno parlando.' Sanno come si
scrive un libro. Ne sanno più di me. Le recensioni di questo libro, alcune
mi hanno fatto piangere, in senso positivo. Non ho mai sentito qualcosa di
simile leggendo le recensioni di un critico musicale."
terza parte
Mentre la mia personale congettura al riguardo era che con Chronicles,
Volume Uno, Dylan avesse soddisfatto l'impulso a scrivere (o come canta in
Modern Times: "I've already confessed / No need to confess again"), di fatto
sembra che invece egli sia già al lavoro ed in fase avanzata per progettare
un Chronicles, Volume Due. "Penso che andrò indietro nel tempo fino
all'album Blonde on Blonde - e probabilmente non andrò più indietro di quel
periodo nel prossimo libro. Da quel punto probabilmente andrò solo in
avanti. Ho pensato in particolare ad un periodo di tempo interessante. Avevo
realizzato
questo disco, Under the Red Sky, insieme a Don Was, ma nello stesso tempo
stavo anche registrando un disco dei Traveling Wilburys. Non so com'è che è
successo che mi fossi trovato al lavoro su due album contemporaneamente.
Lavoravo con George [Harrison] e Jeff [Lynne] durante il giorno - tutto
doveva essere fatto in un giorno, la musica e le parole dovevano essere
scritte in un solo giorno, e poi andavo da Don Was, e mi sentivo come se
stessi camminando attraverso un muro. Don aveva per me un gruppo di
musicisti differente con il quale suonavo ogni giorno, un gruppo composto
tutto da stelle, anche se non per un motivo particolare. A quel tempo ero
completamente disilluso per quanto riguardava il lavoro in studio e lasciavo
che qualcun altro prendesse il controllo di tutto ed io arrivavo
semplicemente con le parole adatte alla melodia di una canzone. Don mi
chiedeva: 'Che cosa vuoi registrare?' - beh, io non avrei voluto registrare
niente, ma ero così abbattuto perchè ero stato così bene con i Wilburys che
semplicemente arrivavo con qualche traccia e tutti si mettevano in riga
dietro quella traccia, oh mio Dio." Ride. "Era un po' il contrario della
scena dei Wilburys, che si svolgeva in una casa sulle colline. Poi scendevo
giù in città per queste altre sedute di registrazione che si svolgevano in
uno studio che era un po' come una caverna, giù ad Hollywood, dove passavo
il resto della notte e cercavo di dormire un po'. Entrambi i progetti ne
hanno sofferto. Troppa gente nella stanza, troppi musicisti, troppi ego,
musicisti spinti dall'ego che volevano suonare solo la loro parte, e di
certo non era il mio modo di fare..."
Ora, questo potrebbe essere il momento buono per dire che trovo il secondo
lato di Under the Red Sky uno dei tesori nascosti dell'intero catalogo di
Dylan. La canzone che chiude l'album, un garrulo ma misterioso jump-blues
intitolato "Cat's in the Well," in particolar modo, non avrebbe sfigurato su
"Love and Theft" o Modern Times. Ma, come mi ha detto, Dylan non ascolta i
suoi dischi. E a differenza di me non ha familiarità con la Bob Dylan
Encyclopedia. ("Non sono quelli i circoli in cui mi muovo,
davvero," ridacchia quando glielo chiedo. "Non è qualcosa che ha a che fare
con la mia vita.") Ma quando Dylan loda la sua band attuale come la sua
migliore in assoluto - una valutazione fatta dagli ammiratori di Mike
Bloomfield ed Al Kooper, per non menzionare Garth Hudson, Rick Danko ed
altri potrebbe mettere in discussione la cosa - sento che le rapide
semplificazioni di Dylan della propria carriera sono eminentemente robuste.
Punzecchiare i miti, boicottare le analisi e ignorare la cronologia
sono parte di una campagna lunga (e che di recente ha avuto abbastanza
successo) per non essere incarcerato dentro la sua stessa leggenda.
La conclusione più grande a proposito di Dylan fin dall'apoteosi degli anni
Sessanta potrebbe semplicemente essere che egli ha reclamato che la propria
storia fosse solo sua (pensate a come ulula il primo verso di "Most Likely
You'll Go Your Way and I'll Go Mine" al suo ritorno sul palco durante il
tour del 1974: "You say you love me and you're thinkin' of me / But you know
you could be wroooonngg!").
Personalmente prendo la nostra conversazione di oggi come ho preso
Chronicles, e come ho preso la lunga canzone-giornale "Highlands": come il
resconto vivido e generoso sullo stato di Bob Dylan e sui suoi sentimenti al
momento attuale.
In altre parole, non importa che io pensi che Under the Red Sky sia un buon
disco.
Dopo quella disillusione dei primi anni Novanta, com'è che Dylan ha deciso
di registrare Time Out of Mind?
"Mi hanno fatto un altro contratto, che io in realtà non volevo. Non volevo
registrare più, non ne vedevo lo scopo, ma - meraviglia delle meraviglie -
mi hanno fatto un'offerta che era difficile rifiutare. Avevo lavorato in
precedenza con [Daniel] Lanois, e credevo che sarebbe stato capace di dare
magia al disco. Pensavo 'Proviamoci'. Ma c'era un qualcosa come dodici o
quindici musicisti in quella stanza, con quattro batteristi. Veramente non
lo so come sia venuto fuori qualcosa da tutto quello."
Fa una pausa per riflettere sull'accoglienza ricevuta dal disco. Pubblicato
subito dopo un problema di salute iper-pubblicizzato, l'album aveva dei
testi che sono stati unanimemente letti come se parlassero di un uomo che
lotta contro l'angelo della morte.
"Voglio dire, sono stati percepiti come se io fossi una sorta di malato
terminale o se strisciassi con le ginocchia sanguinanti. Ma non è mai stato
il mio caso."
Menziono a Dylan il fatto che già qualcuno descrive il nuovo album come il
terzo di una trilogia iniziata con Time Out of Mind.
Dylan obietta: "Time Out of Mind mi vedeva tornare in pista e combattere per
uscire dall'angolo. Ma quando ho fatto "Love and Theft" invece ero fuori
dall'angolo. E su questo disco non vado da nessuna parte, non puoi trovarmi
da nessuna parte perchè sono già lontano dall'angolo. Piuttosto penso a
"Love and Theft" come all'inizio di una trilogia, se una trilogia ci sarà.
Se deciderò di ritornare in studio di registrazione."
In una giornata di conversazione continua in cui si tornava sugli argomenti,
siamo tornati a parlare del nuovo album e gli ho chiesto nuovamente a
proposito di alcuni motivi. Modern Times oscura il tono scherzoso ed
affettuoso di "Love and Theft" e lo porta in un territorio più sinistro, il
linguaggio delle "murder ballads" ("ballate di assassinio") ed in quello di
Edgar Allan Poe:
nemici e carneficine, giardini infestati e fantasmi. I vecchi blues e le
vecchie ballate sono citate liberamente, come una seconda natura.
"Questa volta non mi sono sentito limitato, o mi sono sentito limitato in
una maniera tale da volere che ogni verso fosse chiaro e che avesse uno
scopo, senza che le cose si complicassero inutilmente. E' così che mi sento,
nella mia genealogia - un sacco di gente non ha istinti omicidi ma non si
preoccuperebbe di possedere una licenza di uccidere. Lascio semplicemente
che le liriche vadano e quando le canto sembra che abbiano una presenza
antica."
Dylan sembra provare la sensazione di dimorare in un corpo che è posseduto
come una casa dai fantasmi dei suoi precursori musicali. "Queste canzoni
sono nei miei geni, e non posso impedire che vengano fuori. Forse in una
maniera legata in qualche modo alla reincarnazione. Le canzoni hanno una
sorta di lignaggio."
Gli dico che, a dispetto del fatto che parla di nemici, ho trovato in questo
nuovo disco una generosità di spirito, persino un senso di accettazione. Ne
conviene apertamente. "Già. Devi accettarlo da solo prima di aspettarti che
lo accetti qualcun altro. E poi in fin dei conti è solo un disco. I testi
passano velocemente."
Quando tutto è stato detto e fatto, Bob Dylan è interessato ad assicurarsi
che io abbia capito da dove viene. E, perchè io lo capisca, devo riuscire ad
afferrare quel che lui ha visto negli artisti che sono venuti prima di lui.
"Se pensi a tutti gli artisti che hanno inciso dischi negli anni Quaranta e
negli anni Trenta, e negli anni Cinquanta... certo trovi grandi gruppi ma
erano tutti la visione di un solo uomo. Voglio dire, la band di Duke
Ellington era la visione di un solo uomo, la band di Louis Armstrong era la
voce individuale di Louis Armstrong. E passando a tutta la musica rhythm &
blues, o a quella rockabilly, tutta quella musica che mi ha spinto a fare
quello che faccio, era basata tutta su singoli individui. Era quella la
cosa che tu sentivi, il grido individuale nel deserto. Ed in qualche modo
questo si è perduto. Voglio dire, chi è l'ultimo artista individuale al
quale puoi pensare? Forse Elton John? Sto parlando di artisti che hanno la
forza di volontà di non conformarsi alla realtà di qualcun altro, ma solo
alla propria. Patsy Cline e Billy Lee Riley. Platone e Socrate, Whitman ed
Emerson. Slim Harpo e Donald Trump. E' una forma d'arte che è andata
perduta. Ad essere sincero non saprei proprio chi altri la pratica ancora, a
parte me."
E' soddisfatto? "Ho sempre voluto fermarmi quando ero al top. Non volevo
scomparire pian piano. Non volevo essere una vecchia gloria, volevo essere
qualcuno che non sarebbe mai stato dimenticato. Sento che, in un modo o in
un altro, adesso è OK, ho fatto quel che volevo per me stesso."
Queste osservazioni, va notato, sono ancora un'altra occasione per ridere.
"Penso che potrei smettere di andare in tour ad ogni momento ma poi in
realtà non sento che questo debba avvenire ora."
La promessa di una terza parte di una trilogia "in progress" è una notizia
che per me è sufficiente.
Possa il Tour Senza Fine non avere mai una fine. "Credo di essere nei miei
anni di mezzo, ora", mi dice Bob Dylan. "Non ho progetti per ritirarmi dalle
scene."
*NOTA A MARGINE: Allora, qual è la squadra di baseball preferita di Bob
Dylan, comunque? "Il problema con le squadre di baseball è che tutti i
giocatori cambiano divisa, per cui magari ti piace una squadra perchè ami un
paio di giocatori ma poi quei due all'improvviso non sono più nella tua
squadra e quindi non riesci più a pensare a quella squadra come la tua
favorita. E' più una cosa di divisa preferita. E allora... sì... mi piace
Detroit. Anche se mi piace Ozzie [Guillen] come manager. E non so come a
qualcuno possa non piacere Derek [Jeter]. Vorrei avere lui nella mia squadra
piuttosto che chiunque altro."
traduzione di Michele Murino
Questa intervista è stata presentata in settembre sulla rivista "Rolling
Stone".
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Jann Wenner intervista
BOB DYLAN
da Rolling Stone - 2007
In blu Jann. In rosso Bob.
BEATLES
"Parliamo dei Beatles, Bob. Dimmi di George Harrison..." - "George è stato
bloccato dal fatto di essere uno dei Beatles. Doveva combattere per riuscire
a mettere delle canzoni su quegli album, per via di Lennon e McCartney. E
chi non sarebbe rimasto bloccato con autori come Lennon e McCartney? Se
George avesse avuto un gruppo suo ed avesse scritto le canzoni a quei tempi,
probabilmente sarebbe stato grande come gli altri. George aveva
un'incredibile abilità a suonare degli accordi che proprio non sembravano
connessi in alcun modo e se ne veniva fuori con una melodia ed una canzone.
Non conosco nessun altro che sia in grado di fare lo stesso. Cosa posso
dirti, Jann? Faceva parte della
vecchia scuola in cui ogni singola nota contava." - "Eravate molto intimi,
vero?" - "Sì." - "Qual era la natura della vostra amicizia?" - "Ci
conoscevamo fin dai vecchi tempi. Ho conosciuto tutti e quattro i Beatles
fin dagli inizi." - "Com'era il tuo rapporto con John Lennon? C'era
competizione, in qualche modo?" - "Sì. Solo entro un certo limite, ma in
realtà non eravamo davvero in competizione. Lui e McCartney erano degli
straordinari cantanti. E' dura trovare ai giorni nostri un cantante migliore
di quanto lo fosse Lennon, o di quanto lo fosse McCartney ed ancora lo sia
oggi..."
"Bob, perchè credi che quel periodo di tempo negli anni Sessanta sia stato
così considerevolmente creativo?" - "E' stato un periodo molto singolare.
L'esplosione della prima bomba atomica negli anni quaranta è stata una cosa
esplosiva che ha dato l'inizio al sorgere di un tipo differente di
personalità. Ad un certo punto vedevi gente pronta a prendere fuoco, mentre
in epoche precedenti era tutto più nascosto, tutto più riservato. Le stesse
cose succedevano anche in quelle epoche in realtà, solo che erano più
isolate oppure avevano luogo nella stanza al piano di sopra. Questo è quello
che penso io, comunque. Non saprei dire perchè gli anni Sessanta siano stati
un periodo di tempo più ricco di energia. Non penso che fosse meno
disagevole di oggi." - "Come descriveresti l'influenza che hai avuto sugli
altri quando sei venuto alla ribalta?" - "Forse allo stesso modo in cui la
descrivono i libri, cioè che le cose che facevo io hanno permesso ad altra
gente di scrivere ed eseguire cose che avevano voglia di cantare e che non
erano mai state ascoltate prima. Ma non ritengo poi questa cosa una così
grande influenza." - "Hai solo dato loro la possibilità di allargare il loro
modo di pensare?" - "Sì, ma io non ho mai allargato il mio modo di pensare.
Quello che cantavo non riguardava mai me stesso, in sè, per cui chiunque sia
venuto dopo e abbia pensato che quel materiale parlava di me, in sè, o che
riguardava loro, in sè, si sbagliavano" - "Pensi di avere ancora una qualche
influenza sulle cose, oggi?" - "Beh, quanti artisti esistono che facciano
quel che facciamo noi sera dopo sera? Quanti concerti vai a vedere? Noi
suoniamo in alcuni di questi festival ed io e la mia band siamo i soli
artisti che facciano qualcosa che anche solo lontanamente si avvicina al
tipo di musica che facciamo. E' quasi come Tony Bennett o qualcosa del
genere. E' qualcosa di arcaico. Bisogna essere grati di avere ancora un
pubblico folto."
BONO
"Bob, quando vedi Bono fare la sua opera in soccorso dell'Africa oppure
Bruce Springsteen andare in concerto e proporre il suo tour "Vote for
change" ("Vota per cambiare", ndt), pensi che la musica rock possa avere una
funzione di cambiamento?" - "Forse per alcune persone sì. Una persona si
sente meglio se fa un'opera di carità. Quello che fa Bono è una cosa buona.
Bruce ha un certo grado di potere e può usare quel potere in qualsivoglia
maniera egli desideri. Bisogna fargli un plauso per questo. Non è un
traditore, e sa quel che dice." - "Ma tu pensi che la musica rock sia una
voce per il cambiamento?" - "Forse un cambiamento nello stile di vita. Non
saprei. E' una cosa che non mi ha mai riguardato, quindi non saprei,
davvero..." - "Ma quando tu eri ragazzino ed ascoltavi musica hai avuto una
vocazione al tuo talento, ma non hai avuto anche una vocazione del tipo 'La
mia vita può essere diversa'"? - "Sì, ma quella era una vocazione. La gente
che ha una vocazione a suonare è differente da quelli che suonano solo per
vanità, persone che hanno... le cui motivazioni non sono sincere. Se parli
di musicisti, forse uno su mille vale la pena di essere ascoltato. In base a
quel che hanno da dire, in base a quel che propongono, in base al mondo in
cui sono coinvolti, in base alla loro capacità di farti muovere da qui a lì.
Non ci sono molti musicisti capaci di farlo."
NEIL YOUNG
"Bob, che ne pensi di Neil Young?" - "Neil è molto sincero, se non altro. E'
sincero e ha un talento dato da Dio, con quella sua voce, e con quello stile
melodico che attraversa assolutamente tutto quello che fa. Potrebbe essere
al massimo del suo "thrashy" ma sarebbe comunque elevato da una qualche
melodia. Neil è l'unico che faccia qualcosa del genere. Non c'è nessuno come
lui nella sua categoria"
LIVE
"Bob, l'altra sera hai scelto di chiudere il tuo concerto con All along the
watchtower, che ora è diventato uno dei tuoi inni..." - "Chi l'avrebbe
detto?" - "Hai riscoperto questa canzone grazie ad Hendrix?" - "Può essere"
- "Avevi mai sentito prima nella tua mente quella canzone nel modo in cui
l'ha fatta lui?" - "No. Quel disco comunque per me resta un mistero. Quando
lui ha fatto All along the watchtower mi ha costretto a sedermi e a prestare
attenzione a quell'album. Del tipo: 'Oh, potrebbe esserci dentro più di quel
che avevo sognato'..." - "Perchè l'altra sera hai scelto di fare, da
"Highway 61 Revisited", "Just like Tom Thumb's Blues"? Perchè hai scelto
quella? Amo il nuovo arrangiamento..." - "Beh, sai, in realtà non è un nuovo
arrangiamento. Si tratta solo di una dinamica differente. La dinamica in
tutte quelle canzoni può variare da sera a sera per via dello stile di
musica con il quale io sono cresciuto ed al quale sono avvezzo. E' che non
si riesce a fare tutto, non si riesce a mostrarlo tutto in una sola
volta..."
MODERN TIMES
"Hai appena pubblicato questo fantastico nuovo album, "Modern Times", che
sembra essere una dichiarazione di intenti molto deliberata."
"Beh, non saprei. Riesci a pensare a un titolo migliore?"
"Highway 61 Revisited". Come hai deciso di dare quel titolo?"
"I titoli sono qualcosa che arriva dopo che hai fatto qualsiasi cosa tu
abbia fatto. Non è che io mi ci metta a pensare ai titoli. Fu qualcosa che
probabilmente mi passò per la testa in quel momento. Perchè? Ha un qualche
impatto?"
"A me sembra che tu in qualche modo voglia fissare l'immagine dell'America
in questo nuovo disco... C'è un tema di fondo in questo nuovo lavoro?"
"Dovresti chiedere ad ogni singolo individuo che l'abbia ascoltato, cosa
significa per lui... Probabilmente significa molte cose a molti livelli per
molte e differenti categorie di persone..."
"A me sembra che parli di morte e corruzione..."
"Beh, tutti i miei dischi, ad un certo livello, sono così. E' quella la loro
natura."
"I tuoi dischi parlano di potere, conoscenza, salvezza..."
"Non è così facile per me rapportarmi a quel che un disco significa. E' una
dichiarazione, è la sua propria dichiarazione, la sua propria entità,
piuttosto che essere qualcosa a proposito di qualcos'altro. Se io fossi un
pittore... non dipingerei una sedia, ma le sensazioni a proposito di quella
sedia..."
MODERN TIMES 2/ANNI SESSANTA
"Bob, sei sorpreso di aver realizzato un album come Modern Times? Un album
che è così vitale, rilevante e creativo come quelli che hai realizzato in
passato negli anni '60?" - "No. No, ero consapevole del fatto che lo stavo
realizzando. Sono sorpreso che abbia venduto un numero così alto di copie,
questo sì. E così un sacco di gente deve aver provato una sensazione
simile." - "Perchè credi che la gente abbia reagito in maniera così forte
verso di te negli anni Sessanta? Che cosa avevi toccato nelle persone? Cosa
aveva avuto una risonanza così profonda?" - "Perchè avevo - e forse ancora
ho oggi - quell'originalità che altri non hanno. Perchè provenivo da
un'epoca in cui dovevi essere originale, in cui dovevi avere una sorta di
talento donatoti da Dio con il quale iniziare. Non potevi costruirtelo.
Quasi tutti quelli che c'erano negli anni Cinquanta e Sessanta avevano un
certo grado di originalità. Era l'unico modo per poter entrare dalla porta.
Era semplicemente una parte necessaria che bisognava possedere. Le cose che
io facevo non erano mai state sentite o viste prima, ma non è che venissero
fuori dal nulla. Esiste una diretta correlazione tra qualcosa come "Highway
61 Revisited" ed il "Blue Yodel N. 9 " di Jimmie Rodgers. Non era qualcosa
che spuntava fuori dalla terra di punto in bianco." - "Nessuno aveva sentito
prima cose dette in quel modo." - "Ma nessuno aveva sentito le cose che
avevamo sentito noi. Anche tu sei cresciuto negli anni Cinquanta. Allora
c'era più libertà di pensiero, non c'era così tanto conformismo di massa
come c'è oggi. Oggi una persona con libertà di pensiero viene ridicolizzata.
All'epoca erano in un certo senso ostracizzati o evitati. Il consenso
popolare, a quell'epoca, ai tempi di cui stiamo parlando, era una forma
molto leggera di divertimento; era noioso e poco interessante. Sotto quella
superficie, però, c'era un mondo intero completamente differente." - "E tu
sei penetrato in quel mondo?" - "Tutti noi l'abbiamo fatto. Alcuni di noi
hanno deciso che potevano vivere in quel mondo. Altri decisero, beh, che
potevano visitarlo una volta ogni tanto, ma che non era necessariamente il
loro mondo." - "Tu invece hai vissuto dentro quel mondo?" - "E' così." - "E
tutti gli altri facevano solo una visita?" - "Sì, come dei turisti, come
andare ad un 'sock hop'" - "Dunque la gente entrava nel tuo mondo e ne era
soggiogata ma non poteva viverci?" - "No. Non credo che qualcuno avrebbe
potuto farlo. Non più di quanto... hai presente Little Richard quando si
esibiva? Tu potevi essere soggiogato da quella esibizione ma non potevi
diventare parte di quella cosa. A meno che naturalmente tu non volessi
diventarne parte. Allora era aperta per te." ("Sock Hop": feste da ballo
sponsorizzate diffuse nei licei Americani dopo l'avvento del r'n'r negli
anni '50)
CHRONICLES
"Bob, hai resistito per anni e anni senza parlare del tuo passato. In
"Chronicles" e "No direction home", invece, hai finalmente parlato del tuo
retaggio. Perchè ti sei deciso a farlo ora?"- "Beh, probabilmente è successo
perchè molte cose si sono risolte da sole ed ho trovato un editor che è
stato anche un buon alleato. Probabilmente l'avrei fatto prima ma
semplicemente non ero stato incoraggiato a farlo."
"Ti sei divertito?" - "Mentre lo facevo sì, mi sono divertito. Ma quello che
non mi piaceva era la costante rilettura e correzione di quel che scrivevo
perchè non sono abituato a farlo. Una canzone non è niente se paragonata ad
un'opera letteraria di un qualche tipo. Una canzone te la puoi portare
dietro anche quando sei via da casa in giro per il mondo, la puoi
canticchiare fra te e te, la puoi ripetere a memoria. E' piccola. Invece con
un libro non puoi farlo. Se lo vuoi controllare, allora devi rileggertelo,
rivedere ciò che hai scritto. E' una cosa che ti porta via un sacco di
tempo. E' questa la parte che non mi è piaciuta del lavoro. Se non ero
ispirato a farlo, allora in quei momenti non lo facevo. Mi arrivavano questi
lampi davvero grandi. Queste ondate di ricordi mi venivano in mente e allora
o le buttavo giù in appunti dovunque mi trovassi oppure tornavo qua e là
dove potevo avere a disposizione una macchina da scrivere. Ma è stato
piacevole perchè lo facevo solo quando ero ispirato e non ho mai messo mano
a niente se non lo ero. Non ho mai provato a costruire l'ispirazione." -
"Sono rimasto colpito dal tuo racconto di quando sei arrivato a New York
quando eri giovane e ti sei recato alla biblioteca pubblica. E dal modo
molto deliberato e metodico con il quale hai imparato la tua arte e ti sei
costruito la tua conoscenza." - "Ma io imparavo tutto quello di cui avevo
bisogno dalla gente reale che realmente viveva in quel periodo, per cui era
una cosa che imparavo direttamente in prima persona. Credo che sia da lì che
vengono i miei sentimenti, per quanto riguarda tutte quelle prime canzoni. E
anche le canzoni successive sono del tipo: "Com'è davvero la natura umana?".
Non del tipo: "Come sono io? Cosa mi piace? Cosa non mi piace?" Non si
trattava di quel genere di cose ma di: "Cosa sono tutti questi spiriti
invisibili?" Credo che sia da lì che vengono canzoni come "Blowin' in the
wind"... E' una lotta più antica di quel che comunemente può esser visto
come il fulcro da cui derivano quelle liriche."
"Bob, mi sembra che in Modern Times tu parli del fio da pagare..."
"Il fio? Intendi che ogni giorno è un giudizio? Tutto questo è una cosa che
è instillata dentro di me. Non saprei proprio come fare a farne a meno..."
"Com'è che si è instillata dentro di te?"
"Si è instillata dentro di me per il modo in cui sono cresciuto, dal luogo
in cui sono cresciuto, da quei primi antichi sentimenti, da quelle
sensazioni che provavo..."
"E' un qualcosa che tu ritieni arriverà in futuro o qualcosa che sta già
succedendo in questi giorni?"
"Non ne sappiamo molto davvero del grande Giorno del Giudizio che sta per
arrivare perchè nessuno è mai tornato dalla morte per dircelo. Possiamo solo
dedurre delle cose sulla base di quello che ci è stato insegnato..."
"E tu cosa deduci che stia avvenendo nel mondo intorno a noi mentre cammini
nel 'mystical garden'"?
"(Correggendolo) Mystic garden."
"Vedi i nostri giorni che stanno arrivando al termine? Vedi la tenebra che
sta arrivando?"
"Avrei potuto scrivere quel verso (da "Ain't talkin'", ndt) già trent'anni
fa. Si tratta delle stesse cose viste da angolazioni differenti."
"E' come il paesaggio di 'Desolation Row', solo che tu sei passato
dall'offesa all'accettazione?"
"Penso che diventando vecchi tutti noi arriviamo a provare quella
sensazione, in un modo o nell'altro. Ne abbiamo viste succedere troppe per
non capire che le cose vanno in un certo modo, e anche se vengono cambiate,
vanno comunque sempre in quel modo."
"Dunque dobbiamo limitarci ad accettarle?"
"Io le ho sempre accettate. Non credo di aver mai pensato alle cose in
maniera differente da quando sono al mondo, davvero."
CULTURA AMERICANA
"Bob, quando parli della cultura Americana che hai nel sangue ti riferisci
agli anni '20 e '30?" - "Non avrebbe avuto senso parlare con qualcuno che a
quell'epoca avesse una cinquantina d'anni chiedendogli com'era vivere alla
fine dell'800 o nei primi del 900. Non avrebbe interessato nessuno. Ma per
qualche ragione invece gli anni '50 e '60 del 900 sono di interesse per la
gente ora. Una parte del motivo, se non il motivo principale, è la bomba
atomica. La bomba atomica ha alimentato l'intero mondo che è venuto dopo di
essa. Ha dimostrato che erano possibili uccisioni indiscriminate di massa,
mentre se tu guardi le guerre avvenute fino a quel periodo, dovevi arrivare
a vedere qualcuno per potergli sparare o per poterlo mutilare. Dovevi
guardare queste persone. Ora invece non ce n'era più bisogno." - "Con la
bomba atomica l'uomo, improvvisamente e per la prima volta, aveva il potere
di distruggere totalmente il genere umano..." - "La penso così. Credo che
questa cosa abbia alimentato tutti gli aspetti della società. So che ha dato
origine alla musica che suonavamo. Se guardi tutti quei primi artisti erano
tutti alimentati dalla bomba atomica. Jerry Lee, Carl Perkins, Buddy Holly,
Elvis, Gene Vincent, Eddie Cochran..." - "Com'erano alimentati dalla bomba
atomica?" - "Erano pieni di velocità e di furia e le loro canzoni erano
tutte sul filo del rasoio. La musica non era mai stata così prima. Dal punto
di vista dei testi c'erano stati i cantanti blues ma Ma Rainey non cantava
quella roba che cantava Carl Perkins, o Jerry Lee. Nessuno cantava quel tipo
di fuoco e di distruzione. E hanno pagato un prezzo altissimo per tutto ciò,
perchè naturalmente le generazioni più vecchie cercarono di sbarazzarsi di
loro il più in fretta possibile. Jerry Lee fu ostracizzato, Chuck Berry finì
in galera, Elvis - beh - naturalmente sappiamo tutti cosa gli successe.
Buddy Holly in un incidente aereo, Little Richard, e tutto il resto..." -
"Dunque in questo tuo nuovo disco, Modern Times, hai ancora a che fare con
gli effetti culturali della bomba atomica?" - "La vedo così." - "Ma,
parlando da un punto di vista musicale, rifacendoti agli stili delle prime
generazioni? A me non sembra di vedere molto rock in Modern Times..."- "Non
senti rock in questo disco perchè non è una forma musicale a me familiare.
Non è qualcosa che io ho assimilato. E' troppo spaziale, contiene troppo
spazio, non arriva abbastanza velocemente al nocciolo, se un nocciolo c'è.
Io non so come mettercelo l'elemento del rock'n'roll nelle canzoni. O ti
arriva o non ti arriva. Io preferisco le canzoni più vecchie." - "Che ne
pensi del momento storico che stiamo vivendo? Sembra che siamo diretti alla
distruzione. Ti preoccupa il surriscaldamento del pianeta?" - "E dov'è? Qui
fa freddo." - "Si tratta di una prospettiva molto terrorizzante" - "So dove
vuoi arrivare, che aspettiamo che i politici risolvano tutti i nostri
problemi. Io non mi aspetto che i politici risolvano i problemi di
qualcuno." - "E chi deve risolverli?" - "Noi da soli. Dobbiamo prendere il
mondo per le corna e risolvere i nostri problemi da soli. Il mondo non ci
deve niente, a nessuno di noi, il mondo non ci deve una singola cosa. Nè i
politici nè chiunque altro." - "Pensi che l'America sia una forza per il
bene nel mondo di oggi?" - "In linea teorica sì." - "Ma in pratica..."- "La
pratica è sempre differente dalla teoria." - "E quale credi che sia la
pratica oggi?" - "Dici in base a quello che accade nel mondo? La natura
umana non è davvero cambiata in 3000 anni. Forse cambiano gli ostacoli, le
realtà e le abitudini quotidiane, ma non la natura umana. Non può cambiare.
Non è fatta per cambiare."
ON THE ROAD/MONDO ATTUALE
"Bob, sei stato sulla strada quasi in continuazione per quarant'anni."
"Mi piace l'originalità di essere sulla strada. E' vita reale, in tempo
reale."
"Cosa c'è di così piacevole?"
"Le groupie, le bevute e le feste dietro le quinte... (Ride) Perchè chiunque
fa qualsiasi cosa? Gli artisti sono artisti. Tu perchè pubblichi la tua
rivista, Jann?"
"Perchè è qualcosa che faccio bene. E uno trae piacere da qualcosa che fa
bene."
"Esatto. E' la sola cosa nella vita che scopri di poter fare bene."
"Hai detto che andare sulla strada ti fa scrivere di più."
"Sì. Può essere vero da un certo punto di vista. Ma se non devi scrivere
canzoni, allora perchè scriverle? Specialmente se ne hai già così tante che
non riesci a cantarle. Non ci sarebbe abbastanza tempo per suonarle tutte,
in ogni caso. Ne ho già abbastanza per cui davvero non sento la necessità di
scrivere qualcosa in più."
"Tu sei uno studioso di Storia. Se tu dovessi prendere il momento attuale e
collocarlo in un contesto storico, dove pensi che ci troviamo?"
"E' difficile dirlo, a meno di non riuscire a proiettarci dieci anni nel
futuro. Non è la natura di una canzone ad implicare quel che sta succedendo
sulla base di qualsivoglia filosofia del momento, non più di quanto... come
posso spiegare? Come tutta la musica che è venuta fuori dalla Prima Guerra
Mondiale, o dalla Seconda Guerra Mondiale. Hai mai fatto caso a quanto fosse
spensierata? Se ascolti le canzoni di quel periodo, sei portato a pensare
che non ci fosse niente di tenebroso alle viste."
"E pensi che ora ci sia qualcosa di tenebroso alle viste?"
"In che senso?"
"(Spazientito bonariamente, ammiccante) Bob, suvvia!"
"(Serio ed intransigente) No, tu suvvia! In che senso? Se intendi in senso
politico..."
"(Serio, interrompendo bruscamente) In un senso generale, politico,
spirituale, storico. Tu parli della fine dei tempi in Modern Times. Hai una
visione molto tenebrosa del mondo. Dici "Sto guardando la fine della mia
vita e nel guardare tutto ciò...?"
"E non lo facciamo tutti?"
"(Secco) No, alcune persone cercano di eluderlo. Ma io sto cercando di
intervistarti, e tu non sei molto collaborativo."
"Jann, quando mai sono stato collaborativo?"
"In passato lo sei stato. Hai dato diverse grandi interviste negli scorsi
anni."
"Già, ma allora non ero in tour. Potevo essere pienamente presente. Ma ora
il mio pensiero sono gli amplificatori che non funzionano e..."
"E non hai gente che se ne interessa al posto tuo?"
"Speraci."
"Non riesci a trovare un buon road manager, è quello il problema?"
"Già! (Ride)"
"Che posso fare perchè tu faccia la persona seria?"
"Ma io sono serio!"
"No, non lo sei."
"Sì, lo sono, senza dubbio. Tu sei l'unico qui in questa stanza che debba
essere celebrato. Quarant'anni... Quarant'anni di una rivista che ovviamente
ora ha anche un riconoscimento intellettuale. Quando hai iniziato avresti
mai pensato che saresti arrivato fin qui?"
"Stavo cercando di essere serio."
"(Continuando senza ascoltarlo) Guarda quanto sei andato lontano. Sei
l'unico che dovrebbe essere intervistato. Io voglio sapere di te altrettante
cose di quante ne vuoi sapere tu di me. Mi piacerebbe averti ospite nel mio
spettacolo radiofonico ed intervistarti per un'ora."
"Va bene, lo farò appena abbiamo finito con questa. Invertiremo le parti e
la faremo."
"Jann, tu hai visto più cambiamenti musicali di quanti ne abbia visti io."
"(Spazientito/bonario)Ma per favore!"
"(Serio) No, no, niente per favore. Tu per favore! Tu hai visto tutto dalla
vetta. Io l'ho visto forse... quasi da vicino alla vetta."
L'AMERICA DI UN TEMPO
"Che visione hai del mondo oggi? Modern Times non è un album da prendere a
cuor leggero. E sembra che tu sia preoccupato a proposito dei tempi che
stiamo vivendo e a proposito di quel che possiamo o non possiamo avere
imparato come Paese. Non sembra una visione poi così distante da "Highway
61" o dai tuoi primi dischi in cui descrivi una situazione molto difficile
del Paese; ma niente in questo nuovo
disco indica che qualcosa è migliorato - anzi forse è peggiorato..."
"Beh, l'America è un posto differente rispetto a quello che era quando quei
vecchi dischi sono usciti. Assomigliava più a quella che un tempo era
l'Europa, dove ogni territorio era differente, ogni Paese era differente,
ogni stato era differente. Una diversa cultura, una diversa architettura,
cibo differente. Potevi attravesare l'America per centinaia di miglia ed era
come andare da Stalingrado a Parigi o qualcosa del genere. Oggi non è più
così. Oggi tutto è omogeneizzato. La gente indossa gli stessi vestiti,
mangia lo stesso cibo, pensa le stesse cose. Questo stile di musica, lo
stile che punteggia la mia musica, proviene da epoche più antiche, da
un'epoca che io ho vissuto in prima persona. E dunque per me è molto
accessibile. Mentre non è così accessibile per coloro che non hanno vissuto
quei tempi. Per queste persone dunque si potrà trattare più che altro di un
fatto revivalistico o storico. Anche tu provieni da quell'epoca, Jann. Sono
sicuro che anche tu le conosci tutte queste cose che sto dicendo. La prima
volta che io sono andato a Londra, ed erano i primi anni Sessanta, il '61,
avevano ancora le macerie ed i palazzi sventrati dalle bombe di Hitler. Ecco
com'è che la completa distruzione dell'Europa era così vicina al periodo in
cui io sono cresciuto. Robert Johnson era appena morto, tre anni prima che
io nascessi. Tutti i grandi ed originali artisti erano ancora lì per essere
ascoltati e per essere visti. Una volta che ti entrava nel sangue non era
facile liberartene."
"Cosa, ti entrava nel sangue?"
"Quella cultura, quell'epoca, quella vecchia America."
RELIGIONE
"Senti di essere diventato una persona più religiosa, oggi?"
"Una persona religiosa? Si suppone che la religione sia una forza che serva
per fare del bene. E dov'è che, se guardi al mondo, puoi trovare una
religione che sia stata una forza che sia servita per fare del bene? Dov'è
che, se guardi alla storia dell'umanità, puoi dire: 'L'umanità è stata
elevata dal collegamento con un potere divino?'"
"Intendi, una religione organizzata?"
"Le corporazioni sono religioni. Dipende da cosa intendi tu quando parli di
religione. Qualsiasi cosa è religione."
"Ad un certo punto hai seguito il Cristianesimo in maniera molto seria, e
poi l'Ebraismo. Qual è la tua posizione oggi?"
"La religione è qualcosa che è per lo più apparenza esteriore. La fede è
qualcosa di differente. Quante religioni esistono al mondo? Un bel numero,
direi."
"E qual è la tua fede oggi come oggi.?"
"La fede non ha un nome. Non rientra in una categoria. E' qualcosa di
obliquo. E' qualcosa di inesprimibile. La degradiamo la fede, se parliamo di
religione..."
"Quando scrivi canzoni in cui dici di camminare 'in the mystical garden',
c'è molto dell'immaginario religioso."
"(Correggendolo nuovamente) 'In the mystic garden'. Quel tipo di linguaggio
figurato mi viene naturale come respirare. Perchè il mondo delle canzoni
folk mi ha avviluppato da sempre. La mia terminologia viene tutta dalle
canzoni folk. Non viene dalla radio, nè dalla TV, nei dai computer, nè da
niente del genere. E' incastrata nella musica folk di lingua inglese."
"Gran parte della quale viene dalla Bibbia."
"Sì, molta di quella musica viene dalla Bibbia, molta è trobadorica, molta è
musica che Uncle Dave Macon avrebbe cantato a memoria."
"Da cosa trai la fede?"
"Dalla natura. Solo dagli elementi naturali. Ancora oggi faccio passeggiate
a piedi nella foresta, davvero, faccio escursioni ogni giorno. La natura non
cambia e se c'è una guerra oggi, ad un alto livello, è quella contro la
natura."
VECCHIAIA
"Cosa provi diventando più vecchio? Ti senti più saggio? Più felice? Più
cigolante nelle ossa?"
"Cominciano a succedere cose che prima non avevi mai considerato. Ti rendi
conto di quanto sia fragile un essere umano, e di quanto sia insignificante,
tipo "cosa è successo alle dita delle tue mani, o a quelle dei tuoi piedi?"
o cose del genere... Il che può essere davvero sufficiente a farti sedere
per un po'... E' certo che io ho problemi da questo punto di vista... Mentre
vai avanti nella vita, ti rendi conto che quest'ultima va ad un'andatura
molto veloce; e allora tu devi rallentare un po' tutto quanto, perchè tutto
quanto va troppo veloce per te... Credo che tutti noi ci rendiamo conto di
come tutto vada troppo veloce e non siamo più agili come lo eravamo un
tempo..."
"Senti di essere più saggio?..."
"Più saggio? Non necessariamente..."
"Più felice?..."
"Più felice non credo... Per me la felicità è essere capaci di respirare..."
"A me sembra che tu sia più felice, meno arrabbiato ed annoiato..."
"Dipende a che ora del giorno mi trovi. Va meglio per poi andare peggio..."
PUBBLICO
"Cerchi ancora di raggiungere il tuo pubblico ogni sera? Ogni singola
persona presente?"
"Nella stessa maniera in cui potevano farlo gli Stanley Brothers o Chuck
Berry: cercare di mostrare talento in una maniera che possa essere
concepibile..."
"Pensi alla persona in ultima fila. O magari a quella sulla balconata?"
"No, non lo faccio. Conosco un sacco di artisti che dicono di farlo ma non
so quanto sia vero. Per me il rapporto tra un artista che si esibisce sul
palco ed il pubblico è decisamente qualsiasi cosa tranne che una cosa tra
amici, non più di quanto io possa andare ad ammirare un quadro di Van Gogh e
pensare che lui ed io siamo allo stesso livello solo perchè mi piace il suo
quadro..."
"Quindi tu sei lì solo per fare la tua arte e loro sono lì per apprezzarla
tentando di capirla e basta?"
"Spero di sì, penso di sì.."
PAUL McCARTNEY, IL PIU' GRANDE
"Ho conosciuto i Beatles davvero agli inizi... Li ho conosciuti tutti e
quattro... Oggigiorno è dura trovare un cantante migliore di quanto lo fosse
Paul McCartney, e di quanto ancora lo sia oggi... Provo un timore
riverenziale nei confronti di McCartney. E' forse l'unico nei confronti del
quale provo timore riverenziale. Paul è in grado di fare tutto. E non è mai
calato... Ha il dono innato della melodia, ha quello del ritmo, è in grado
di suonare qualsiasi strumento. Può fare brani urlati o ballate, le sue
melodie gli vengono facilmente... A Paul viene tutto così dannatamente
facile... Vorrei quasi che avesse lasciato la scena (ride). Tutto quel che
esce dalla sua bocca è melodia..."
CANZONI MODIFICATE
(Parlando del modo differente in cui esegue le sue canzoni sera dopo
sera)"Il fatto è che ho scritto così tanti e differenti tipi di canzoni,
parlando da un punto di vista musicale... Ballate veloci, ballate lente,
canzoni in dodici battute in chiave minore, canzoni in dodici battute in
chiave maggiore, pezzi in dodici battute che differiscono notevolmente in
quanto a dinamica del ritmo. Tutto questo ha conseguenze sul testo, sul modo
in cui canto le liriche, sul fatto che le cambio sera dopo sera. Tutto è
basato su un sistema infinito in cui non è che uno debba necessariamente
stare bene per suonarlo, ma basta che segua le regole e può fare cose
differenti ogni sera..."
"Prendiamo It's All Over Now Baby Blue, per esempio, che tu hai suonato la
sera scorsa... Non credi che la gente venga al concerto e voglia ascoltare
la versione originale, quella molto triste...?"
"Non so chi lo vorrebbe... A meno che non si tratti di qualcuno che ha
comprato quel disco nel sessanta e quel che era. Ma si tratta sempre della
stessa canzone, ed io sono sempre la stessa persona. Quelle prime canzoni le
ho scritte e cantate solo con la chitarra acustica. In un certo senso sono
solo dei demo, delle prove, perchè è quello che fanno gli artisti quando
incidono dei demo di una canzone... Semplicemente vanno e suonano la canzone
con la chitarra acustica, e questo è quanto. La canzone, poi, la sviluppano
in un secondo tempo..."
"Pensi che eseguire la canzone in questo modo le dia un differente
significato? In origine era una canzone dannata e triste... Ora invece è
assertiva..."
"Sì, da un punto di vista astrologico ogni giorno tu hai a che fare con un
giorno differente della settimana. Ogni giorno ha un colore differente, ogni
giorno viene governato da un pianeta differente. Potresti dire la stessa
cosa, scrivere la stessa cosa, sentire la stessa cosa, ma se è Martedì
allora sarà differente da come verrà fuori Venerdì. E' un dato di fatto.
Chiedilo a qualunque astrologo.."
traduzione di Michele Murino
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