MAGGIE'S FARM

sito italiano di BOB DYLAN

 

FANTARACCONTI  DYLANIANI

 
 

 

La “Malattia”

 

di "A Man with no name"

 

Tutto era cominciato come una semplice influenza stagionale sottovalutata dalle autorità. L’allarme si diffuse quando la gente cominciò a morire , ma ormai era troppo tardi. La Medicina Internazionale sapeva che non si trattava di un semplice virus influenzale, nei laboratori le analisi avevano mostrato che il virus era quello della terribile peste bubbonica mutato e potenziato di quasi 100 volte. Rimedi non ce n’erano e allora che fare? I Governanti ritennero cosa completamente inutile diffondere il panico, l’umanità sarebbe stata in ogni modo quasi cancellata dalla faccia della terra, perciò i Potenti decisero di non dire niente, ogni loro intervento sarebbe stato solamente dannoso e completamente inutile. La gente cominciò a morire a migliaia, poi a milioni e poi a miliardi, il mondo era sconvolto da un’immane catastrofe di proporzioni bibliche che stava cancellando la razza umana dalla faccia del pianeta. Qualcuno però si era salvato, quelle poche persone che erano casualmente forniti degli anticorpi adatti per il virus si ammalarono, ma dopo una settimana i loro corpi cominciarono a riacquistare la salute, le difese immunitarie avevano sconfitto il virus, e loro erano sopravvissuti, tristi sopravvissuti potremmo dire, ma comunque soprtavissuti, obbligati a constatare di persona la indescrivibile calamità che si era abbattuta sul mondo. Sopravvissuti a che pro? Il mondostava andando alla deriva abbandonato a se stesso, la natura ridiventava padrona degli spazi che l'uomo le aveva rubato, ora i conti andavano rifatti da capo, l’uomo era quasi sparito e la vendetta della natura si poteva dire quasi compiuta.
 

Le città erano diventate immensi agglomerati fantasma, giganteschi cimiteri all’aria aperta, le automobili, le navi, gli aeroplani, tristi e muti megamonumenti testimoni della capacità dell’uomo di cambiare le cose stavano ora abbandonati in ogni luogo della terra, niente funzionava più perchè non c’era più nessuno in grado di far funzionare qualcosa, niente luce, niente acqua, niente gas, niente energia nucleare, niente di niente. Il mondo era diventato uno sterminato magazzino di cibarie, vestiti, attrezzi, e qualunque altra cosa l’uomo aveva costruito, ma con un limite ben preciso, la natura stava rendendo inutilizzabile tutta quella roba, rovinata dal freddo, dalla muffa, dall'abbandono e dagli animali.
Il mondo era ritornato all’era dei dinosauri, era stracolmo di dinosauri abbandonati, immobili megacattedrali avvolte nella solitudine totale, anche Dio sembrava essere sparito, se mai c’era stato.
Alcuni anni dopo il mondo aveva assunto un’altro aspetto, terribile e indescrivibile, la natura stava facendo piazza pulita delle opere umane avvolgendo tutto nelle sue spire impietose. Le strade venivano distutte prima dal gelo, poi dal caldo, dalle inondazioni, dai fiumi, dalle frane, i ponti spazzati via dalla furia delle acque, contorti e giganteschi rottami che nessuno mai avrebbe più rimesso a posto. Piante, erbe e radici si infilarono nelle case, sbrecciando i muri, immense foreste di verde e cemento coperte dal gelido silenzio della morte.

I sopravvissuti si erano riuniti in piccoli gruppi e dopo qualche anno, marciti gli immensi depositi di cibo e vestiario, avevano dovuto rimboccarsi le maniche e ricominciare a seminare la terra per produrre gli alimenti necessari alla sopravvivenza. L’umanità ripartiva dall’uomo di Heidelberg o forse più indietro, e chissà quante migliaia di anni ci avrebbe messo per raggiungere il livello di vita del prima della “Malattia”.
 

Jimmy era nato dopo tre o quattro anni dall’anno “0” della malattia, viveva con un gruppo di circa trenta persone ai confini tra California ed Oregon, nella lussureggiante zona dell’ormai inutile e deserto parco del Shasta National Forest. Ormai aveva quasi 15 anni ed il suo compito era quello di piazzare trappole per conigli o per qualunque altro tipo di animale commestibile che potesse fornire cibo al suo gruppo. Jimmy girava per i boschi ed era diventato un bravo “trappeur”, stimato e benvoluto da tutta la sua piccola comunità. Un giorno si spinse oltre le solite zone per cercare nuovi territori di caccia, armato di fucile e trappole come al solito. Sbucando da una fitta radura vide una collina con in cima un rustico casolare dal camino del quale usciva un filo di fumo. Incuriosito si avvicinò senza farsi vedere alla casetta protetto dalla fitta vegetazione. Un uomo molto anziano era seduto sotto un piccolo portico fumando tranquillamente un sigaro che chissà dove aveva recuperato.
Jimmy, rassicurato da quella bucolica visione, uscì allo scoperto e si fece incontro all’uomo.

“Buongiorno – disse – mi chiamo Jimmy, Jimmy Bostromm “.
“ Hummm....Buongiorno a te ragazzo, ........vieni avanti....., hummmm...., fatti vedere....., quanti anni hai ?” chiese il vecchio.
Jimmy si sedette all’ombra del portico, il sole estivo era forte.
“Ho quasi quindici anni signore, e voi come vi chiamate ?”
“Jack.....humm - rispose il vecchio - Jack Frost“.
“E che facevate prima della......voglio dire negli anni prima della malattia ?”.
“Gia....hummm.......prima della malattia...........suonavo rock and roll - disse il vecchio abbozzando un sorriso - .....sai cos’era il rock and roll ragazzo?”.
“No signore, non ne ho idea, ma se lei me lo spiega starò volentieri ad ascoltarla” rispose Jimmy.
“Va bene, siediti ed ascolta” disse il vecchio al ragazzino mentre raccoglieva da terra una vecchia chitarra.
Passò quasi un’ora, poi il vecchio rimise la chitarra a terra e disse: “Capito adesso?”.
“Certo Signor Frost, ho capito e mi piace, le andrebbe di insegnarmi qualcuna delle canzoni e magari a suonare un pochino la chitarra?”.
“Vieni quando vuoi ragazzino, hummmm....Jimmy vero ? Tutto il tempo che mi resta ancora te lo posso dedicare, ne sarò felice, ma ti prego, non dire a nessuno che sono qui, ormai sono abituato alla solitudine ed alla tranquillità e non vorrei che qualcuno venisse a disturbare i miei ricordi, i ricordi di una vita, preferisco gustarmeli nella mia solitudine, capisci?”.
“Sarò muto come un pesce, allora arrivederci signor Frost”.
“Chiamami pure Jack” disse il vecchio.
“Grazie Jack, a domani allora “ disse il ragazzino andandosene tutto galvanizzato.

I mesi passavano veloci, il ragazzino aveva un talento naturale per la chitarra e per scrivere canzoni. Jack era soddisfatto, il ragazzo prometteva bene, “Forse il Rock non morirà con me” pensò il vecchio con un mezzo ghigno, “Vuoi vedere che la fotto ancora la vecchia Signora...E si mia cara vecchia puttana da strapazzo, quando sarà il momento, la tua falce fermerà solo la mia vita, ma la musica no, quella proprio non la fermerai, eh no, non ce la farai, brutta vecchia schifosa...!”.
Jimmy aveva imparato molte canzoni, la sua mano sembrava accarezzare la chitarra, “Un dono di natura” pensò il vecchio, “Un vero talento, come Michael, Robert, Grorge ed Eric”.
Jimmy suonò alcuni pezzi che aveva imparato e poi sottopose all’attenzione del vecchio alcune cosette che aveva scritto lui.
“Cristo ! – esclamò il vecchio – Ragazzo, hai la mano del povero Michael, che Dio l’abbia in gloria, le tue canzoni sono stupende, e soprattutto i testi, sembra che ragioni con la mente di un musicista navigato!”.
“Beh Signor Frost, non è proprio tutta farina del mio sacco, il babbo a casa conserva ancora con gelosia un libro di canzoni scritte da un certo Bob Dylan prima....insomma, anni fa, prima che il flagello colpisse tutti, lei che era un musicista, lo conosceva?”.
“.Mhhhh......Si ragazzo....., l’ho incontrato qualche volta, ma non ne vale la pena parlarne, era scontroso e scorbutico come nessuno, lo chiamavano la voce della sua generazione, il profeta del folk, il poeta laureato del rock n’ roll, tutte buffonate ragazzo, la verità è che lui non ha mai accettato di farsi etichettare”.
“Perchè, era un ingrato ?”.
“No ragazzo, era un timido che diceva cose che altri avevano già detto, ma aveva il pregio di dirlo con parole diverse, a volte poetiche.....ma tutto questo lo portò sull’orlo dell’abisso, ad un passo dalla morte, allora lui si ritirò dalle scene per qualche anno, poi quando tornò era diventato un’altro”.
“Non capisco – disse Jimmy – in che senso era diventato un altro”.
“Fu una situazione strana, a vent’anni era diventato l’icona musicale della sua generazione, ogni suo gesto, ogni sua parola veniva strumentalizzata della stampa e dalla televisione, lo paragonavano a questo ed a quello, la pressione mediatica divenne insopportabile, per sostenere quel ritmo di vita cominciò ad abusare di droghe fino al giorno che si accorse che la sua vita era appesa ad un filo. Allora decise di sparire e diventare un’altro per sopravvivere”.
 

“Riuscì davero a diventare un altro ?”.
“Mhhhh.....Si....lui si.....ma la gente continuava a non accorgersene, lo considerava sempre allo stesso modo,....fu dura per lui....cercò anche di farsi dimenticare facendo uscire dischi orrendi, cercando di annullarsi come artista.....ma servì a poco.....lui scriveva canzoni col cuore e la gente, gli intellettuali, i parlatori di professione spezzettavano le sue parole come faceva loro comodo......merda......quante ne dovette passare!”.
“ E ce la fece ?”.
“Si, alla fine riuscì a crescere, a diventare uomo, a sopravvivere alla gogna che tutti i giorni lo faceva a pezzettini, si fece una famiglia, ebbe dei figli, una casa in campagna, respirando la tranquillità del silenzio e l’aria fresca dei boschi intorno a Woodstock”.
“E poi ?”.
“Poi riprese la solita vita, canzoni e concerti, concerti e canzoni, ebbe momenti alti e momenti bassi, come tutti del resto, col tempo perse la famiglia e gli rimasero i concerti......”.
Jimmy era muto, quella storia l’aveva colpito, la difficoltà di vivere esprimendo le proprie idee gli parve di colpo evidente, pensò al suo futuro, in quel mondo in rovina, all’abbandono totale di Dio che aveva lasciato gli uomini, o quello che era rimasto della sua superba creazione, nell’abbandono più totale.
“Jack......pensi che Dio ci sia ancora ?”.
“Mhhhh.....Si ragazzo.....Credo di si....Dio ci sarà sempre, ma la nostra vita non dipende dalla sua volontà ma dalle nostre scelte, capisci?”.
“Credo di aver capito, la colpa della “malattia” non è di Dio, non è stata la vendetta di Dio, è stato un errore degli uomini....”.
“Così la penso io – disse il vecchio – un maledetto e fottuto errore irrimediabile, forse solo la misericordia di Dio potrà far rinascere il mondo.....chi lo sà.....la speranza morirà con l’ultimo uomo che rimarrà in vita, poi l’oblio dell’eternità avvolgerà tutto nella sua coperta scura, il silenzio tornerà padrone dell’universo, e più nessuna voce umana si leverà a discutere di esso...”.
“Speriamo che non sia così” disse Jimmy rattristato dalle parole di Jack.
“Gia.....speriamo che non sia così.....”.
Altri mesi passarono lentamente, la vita era sempre più dura ma i pochi rimasti cercavano di sopravvivere nel migliore dei modi per affrontare l’ipotetica sfida col futuro.
Un giorno Jimmy tornò alla capanna del vecchio, ma nessun filo di fumo usciva dal camino. Il silenzio intorno a lui sembrava pesargli addosso come una montagna, e capì.
Si avvicino lentamente alla casa, sotto il portico il vecchio era seduto sulla sua sedia a dondolo, gli occhi rivolti al cielo, la vita se n’era andata, l’aveva abbandonato per sempre.
Jimmy era forte, aspirò col naso una lunga ventata d’aria fresca, asciugò quella maledetta lacrima che gli era sfuggita da un occhio, cercò una pala e comincio a scavare la fossa per il vecchio. Poi lo trascino dentro con molta fatica, ripose la terra sul suo corpo, nel ripostiglio del vecchio prese due pezzi di legno e fece una rudimentale croce. Accese il fuoco e con un pezzo di ferro arroventato scavo nel legno il nome del vecchio: Jack Frost a.k.a. Bob Dylan.
Jimmy si allontanò dalla capanna con il cuore gonfio di dolore. “Non morirai mai vecchio” pensò “ ci sarà sempre qualcuno ad ascoltare e cantare le tue canzoni, stai sicuro”.

A Man with no name

 

 

 

 

Bob Dylan and his Empire Burlesque

Scritto da Dean Spencer

Estate 2012, Dylan è in tour in Europa, sdraiato nel suo tourbus stava leggendo alcune poesie di Joyce per passare il tempo. Il Bus con la band lo seguiva da vicino quando, all’improvviso, appena passata la frontiera italiana, una gomma esplose ed il bus, dopo aver sfondato il guardrail uscì di strada.

“Allora ?” chiese Bob a Jeff.

“Allora siamo nella merda ! Sono ridotti abbastanza male , nessuno che possa cavarsela in meno di due mesi” rispose Jeff Rosen.

“Cazzo Jeff......disse Dylan davvero preoccupato - abbiamo ancora 15 date, come facciamo ?”.

“Annullarle non possiamo assolutamente, dobbiamo far arrivare dei musicisti entro 4 giorni, non abbiamo alternative, annullare il tuor ci costerebbe qualcosa come un sacco di milioni”.

“Già....adesso prendo il telefono e faccio venire qualcuno che non suona più con me da anni.....sono anni che suono con questi ragazzi.....le canzoni sono tutte diverse...le tonalità anche....no, è impossibile, dobbiamo annullare il tour!” disse Bob.

“Bob, io non ho fatto il calcolo preciso, ma credo che questa cosa ti costerebbe dai 6 agli 8 milioni.........puoi permetterti una spesa simile?”-

“No, andrei sul lastrico e alla mia età non è bello, senza contare il resto della faccenda, sai cosa voglio dire.....”

“Senti Bob......io non saprei proprio cosa fare.......forse una soluzione ci sarebbe....se sei disposto a rischiare...........”.

“E’ una vita che rischio Jeff, cosa vuoi che sia una volta in più ? Stiamo parlando di qualche milione di dollari dei miei.....sputa l’idea” disse Bob.

“Bhe..........teoricamente è semplice.......prendiamo una tribute band italiana......quello che troviamo di meglio........loro suonano e tu canti adattandoti ai loro arrangiamenti....”.

“Per la miseria, tu devi essere pazzo Jeff.....ma come cazzo fano a venirti certe idee ?..........Va bene, accetto, ho qualche altra scelta?”.

“No!” disse laconico Jeff.

“Forza allora, trovami questa cazzo di tribute band e mettiamoci sotto” concluse Bob.

Jeff Rosen telefonò all’agente italiano di Bob spiegando l’idea.

“E’ pazzesco – disse l’agente – ma potrebbe funzionare”.

L’agente chiamò al telefono Michele Murino, il creatore del sito italiano di Bob Dylan, e dopo avergli spiegato la faccenda rimase in attesa delle parole di Michele.

“Senz’altro gli Empire Burlesque – gli disse Michele - con loro andrete sul sicuro!”.

Mick stava lavando la sua motocicletta quando squillò il cellulare.

“ Pronto chi è ?” chiese dopo aver visto il numero sconosciuto sul display.

“Mick...Mick Dylan ?” chiese la voce dall’altro lato.

“Sono io, con chi parlo ?”.

“Sono Mimmo Xxxxxxxxxxxx, l’agente italiano di Bob Dylan”.

“Piacere di conoscerla – rispose Mick – in cosa posso esserle utile?”.

“E’ una cosa piuttosto strana....non so da dove cominciare”.

“Perchè non prova dall’inizio?”

“Bene.....sono stato incaricato da Bob Dylan di contattare lei ed il suo gruppo, in sostanza....”.

“Scusi Signor Xxxxxxxxxxxx, non vorrei sembrarle scortese, ma non le sembra di essere un pò fuori tempo per gli scherzi di carnevale ?”.

“Non è uno scherzo Mick, Bob vuole che l’accompagnate per il resto della sua tournee europea....”.

Mick interruppe la comunicazione, “Cretino lui ed i suoi scherzi del cazzo”, pensò.

Il telefono squillò ancora.

“Signor come cazzo si chiama, lo scherzo non è riuscito, devo ammettere che era bello, ma non trova sia un pò troppo grosso per essere credibile?”.

“E’ proprio questo il fatto, la cosa è dannatamente grossa e capisco che risulti incredibile, ma è la verità, Bob vuole che suonate per lui, avrà sentito dell’incidente nel quale sono stati coinvolti i suoi musicisti..”

“Si certo, ne hanno parlato tutte le TV....così dovrei credere che Bob vuole che noi sostituiamo i suoi musicisti ? Non ci crederei nemmeno se me lo chiedesse lui in persona” disse Mick.

“Bene, allora glielo passo, conosce l’inglese?”.

“Oh Cristo santissimo, a livello molto scarso.....”

“Hi Mick, can you help me ?” chiese la inconfondibile voce di Bob.

Dopo un pò Bob riuscì a convincere Mick che non aveva altra soluzione per continuare il tour.

“Ragazzi – disse Mick agli altri componenti degli Empire Burlesque – so che penserete ad uno scherzo, ma vi prego di prendere sul serio le mie parole, non ho intenzione di scherzare ne di prendervi in giro, quello che sto per dirvi è la maledetta verità!”. Mick spiegò tutta la faccenda.

“Cazzo – Mick, inventane un’altra disse Darius.

“Ci hai presi per scemi ?” chiese Riki.

“Non è possibile!” commentò Lanny.

“L’idea è assolutamente pazzesca, comunque mi sembra che non abbiamo molta scelta, io ci sto” disse Frank.

Il giorno dopo raggiunsero la località dove Bob ed il suo staff soggiornavano.

“Salve ragazzi, sono Jeff Rosen, il manager di Bob, avete portato gli strumenti ?”.

“Si – rispose Mick con le ginocchia che gli tremavano, che facciamo?.

“Tutti sul tour bus, Bob vi aspetta in un teatro che abbiamo noleggiato per cominciare le prove”.

Fuori dal teatro c’era un vero esercito di bodyguards, la voce si era sparsa in fretta e curiosi e giornalisti cominciavano ad arrivare in massa.

“Avanti dentro – disse Jeff – non preoccupatevi, siamo ben protetti, nessuno ci disturberà”.

“Cazzo , lo credo” disse Mick.

Quando si trovarono al cospetto di Bob i ragazzi degli Empire Burlesque sentirono che le forze stavano per abbandonarli, ma la curiosità fu più forte della paura.

“Ciao a tutti – disse Bob facendo un cenno di saluto col braccio – benvenuti a bordo”.

Bob era seduto in platea e stava bevendo un bicchiere di vino, sembrava molto rilassato ed impaziente, sul palco era montato di tutto, l’amplificazione che avrebbero usato nel resto del tour.

“ Bene – disse Bob dopo aver stretto la mano a tutti – non perdiamo tempo, salite sul palco e fatemi sentire una canzone”.

Gli Empire Burlesque, col terrore dipinto sul volto e le ginocchia tremanti, salirono sul palco ed attaccarono Highway 61. L’inizio fu tremendo, ma da metà canzone in poi sembravano un treno in piena corsa.

Alla fine del pezzo un silenzio di tomba scese sopra il teatro, Bob si alzò, salì sul palco, si pose davanti al microfono e disse “Bene, cominciamo da capo, adesso la canto io”.

Le prove durarono 4 giorni, Bob era soddisfatto e gli Empire Burlesque sembravano toccare il cielo con un dito, stavano vivendo un sogno, un’esperienza che non si sarebbe più ripetuta nella loro vita.

Finita una travolgente All along the watchtower stile Hendrix, Bob disse “ Credo che siamo pronti, la cosa funzionerà!”.

Quella sera ci fu una gran baldoria nell’albergo dove alloggiavano tutti.

“ MMMM......Bene, questa festa ci voleva – disse Bob alzandosi – ha stemperato la tensione, questo è il clima che dobbiamo avere sul palco, non preoccupatevi ragazzi – disse rivolgendosi agli Empire Burlesque – voi andate forte, quello che aveva più paura ero io, ma permettetemi di farvi i miei complimenti e di dirvi che voi me l’avete fatta passare, domani saremo in concerto a Roma, nessuno di noi vuol fare una brutta figura, giusto ? Perciò suonate come sapete e di problemi non ce ne saranno”.

“Diamo il benvenuto al Columbia Recording Artist Bob Dylan, accompagnato da questa sera da una nuova band italiana, The Empire Burlesque!”

La gente era stupita, nessuna notizia in merito era stata fatta trapelare dal management di Bob e la novità tolse il fiato di gola a tutti.

Il concerto inizio con Stuck inside of Mobile, poi seguì I shall be released, Hurricane, Highway 61, Mississipi e quando fini una magnifica versione di Workingman's blues # 2 il pubblico esplose in una vera ovazione. Tutti si erano alzati in piedi per omaggiare quei 5 ragazzi che avevano avuto il coraggio di salire sul palco con il "solo ed unico" Bob Dylan dando allo show un sapore nuovo e diverso.

Il concerto fu chiuso in maniera epica da LARS e Watchtower, Bob ed i ragazzi lasciarono il palco in un bagno di sudore ed una gioia immensa nel cuore.

Le stesse scene si ripeterono fino all’altimo dei 15 show rimanenti per chiudere il tour.

Dopo l’encore di Like a rolling stone, quando gli applausi si furono calmati, Bob disse alla folla “ Voglio presentarvi 5 musicisti validi e coraggiosi che mi hanno dato una mano a togliermi dalla merda”.

Bob li presentò al pubblico andando a stringere la mano ad ognuno dei ragazzi dopo aver detto il loro nome. La folla commossa si spellava le mani, Mick, Darius, Frank, Riki e Lanny stavano piangendo, ma la folla capì il perchè, l’emozione questa volta li aveva fregati davvero, anche Bob era emozionato come mai lo era stato da anni, ma lui era abituato a dissimulare.

Suonò la sveglia, Mick aprì gli occhi dicendo “Cazzo...è già ora di andare al lavoro, ....cazzo però, ....che bel sogno, grazie Bob !”.

Dean Spencer

 

 

 

 

La curiosa vita di Numero 3

La navicella si stava pigramente allontanando dall’astronave madre che stazionava nello spazio fungendo da base di partenza e di arrivo di tutte le missioni che Numero 1 assegnava ai suoi subalterni.
“Bene , questa volta che dovrò fare di bello ?” chiese Numero 3.
“Questa volta ti ho assegnato un compito divertente mio caro Numero 3!” fu la risposta del Capo Supremo delle 6 galassie, una federazione di pianeti che da qualche miliardo di anni si era assunta l’incarico di mantenere stabile l’equilibrio spaziale in quel settore dell’universo.
“Come quella volta che mi avete fatto fare Socrate ?” chiese ridendo Numero 3.
“Non sempre si può fare quello che si vuole, a volte bisogna anche adattarsi” disse gravemente Numero 1.
“D’accordo , ma perchè sempre a me le cose più sgradevoli ? Una volta mi avete mandato nel bel mezzo di un’era glaciale, a vivere in una caverna, a combattere contro uomini che erano più scimmie che umani, animali fpiù che feroci, orsi delle caverne, tigri dai denti a sciabola, bufali grandi come la nostra navicella, Mammut alti come un palazzo di tre piani, ed io dovevo abbatterli con dei pezzi di legno con una pietra appuntita legata in cima, e poi non so cos’altro ancora...ah....un freddo pazzesco, coperto in qualche modo da rozze e puzzolenti pelli di animali, fumo a volontà negli antri oscuri dove gli occhi piangevano anche se non ne avevano voglia.....”
“Numero 3, non essere così disfattista, la tua presenza è stata più che utile, hai insegnato a quella gente il senso di appartenenza tribale, hai mostrato loro come costruire asce, lance, arco e frecce servendosi di legno, pietra e nervi d’animali, hai insegnato loro a mangiare la carne cotta, ad avere un senso di rispetto per gli dei e, soprattuto hai insegnato loro una delle più nobili arti che un uomo possa imparare, la pittura” disse compiaciuto Numero 1.
“Si, va bene, intanto però voi ve ne stavate al caldo nella vostra stanza sull’astronave madre, in mezzo alla neve e al ghiaccio c’ero io, è stato forse bello, forse utile, ma per niente divertente. Per non parlare poi delle altre impossibili cose che mi avete dato il compito di realizzare a beneficio di questo minuscolo pianeta, è la trentesima volta che mi mandate giù a mettermi nei panni di quello che insegna le cose, e tutti mi hanno sempre guardato come un qualcosa di sovrannaturale, uno stregone, un mago, ho evitato il rogo un sacco di volte, ma voi non capite queste cose“.
“Caro numero 3, prima di diventare Numero 1 sono stato anch’io un numero qualunque, e ben peggio di numero tre, le cose che tu stai facendo qui io le ho fatte milioni di anni fa in altre tre galassie, non lo sapevi ?” chiese alquanto seccato Numero 1.
“Chi l’avrebbe mai detto – esclamò Numero 3 – ho sempre pensato che voi siate nato Numero 1, senza far la trafila che abbiamo dovuto fare io e Numero 2, perdonatemi questa sciocchezza“.
“Non preoccuparti Numero 3, un giorno anche tu diventarai Numero 1 di qualche altra galassia, ma qui ne abbiamo ancora per 500.000 anni terrestri, perciò mettiti il cuore in pace, l’attesa non sarà vana ma sarà certamente lunga”.
“Meno male, sono già morto una ventina di volte e non è una cosa piacevole, la morte in se stessa non conta perchè mi fa tornare al mio stato attuale, ma le torture ed i supplizzi sono una cosa dura da sopportare, le pugnalate poi non fanno per niente piacere“.
“Si ricordo – disse Numero 1 – quando ti ho mandato a fare Giulio Cesare, hai costruito un impero, non sei stato contento della tua opera?”
“Della mia sì, ma di quella di Bruto e Cassio mica tanto !" esclamò ridendo Numero 3.
“Sei stato grande quando ti ho mandato a costruire le piramidi, incredibile il sistema usato per sollevare quei giganteschi blocchi ad altezze potremmo dire per quei tempi vertiginose “ commentò Numero 3.
“Si , l’idea di sfruttare la forza del vento combinata con quella dell’acqua fu veramente geniale, un’ispirazione che mi venne così, sui due piedi, senza stare a pensarci sopra per lungo tempo, l’idea giusta al momento giusto“.
“Come ti chiamavi quella volta?” chiese Numero 1.
“Imothep, primo architetto del regno dall’Alto e del Basso Egitto, venerato e stimato da tutti, Faraone compreso....e...sì....fu una grande impresa, gigantesca, oggi gli uomini, con tutta la tecnologia moderna a disposizione, non sarebbero ancora in grado costruire una piramide come ho fatto io!”.
“Questo è vero, ma il ruolo più bello in assoluto che hai interpretato qual’è stato ?” chiese curioso Numero 1.
“Umh.....senz’altro Leonardo da Vinci, il più affascinante.....in quel periodo mi venivano le idee come mai, mi svegliavo e qualcosa di nuovo appariva ai miei occhi, sensazioni direi uniche, profonde, che hanno lasciato un’impronta indelebile nell’umanità”.
“Ora hai un’altra occasione di questo genere, sei pronto ?” chiese Numero 1.
“Prontissimo – rispose Numero 3 – chi devo fare stavolta?”.
“Dovrai dare una svolta alla musica, scrivere un capitolo indelebile nella storia musicale dell’umanità“.
“Interessante, davvero interessante, credo che mi piacerà “ disse Numero 3.
“Ti chiamerai Bob Dylan – disse Numero 1 – e dovrai essere il meglio di tutti“.
“State tranquillo Numero 1, sono perfettamente all’altezza di questo incarico, credo che questa volta mi divertirò”.
“Sono d’accordo con te Numero 3, allora buon viaggio, ci vediamo fra qualche anno “.
“Va bene Numero 1, allora arrivederci......comincia un'altra avventura, andiamo a cambiare la musica sulla terra, a fare questo........come si chiama.....ah si, Bob Dylan“ disse Numero 3 con il cuore gonfio di felicità.

( A man with no name )

 

 

Coda di volpe

Avevo litigato con mio padre , testa di mulo Irlandese , così avevo deciso di andarmene di casa , all’avventura , in cerca di qualcosa di diverso , stanco di una vita polverosa. Dico polverosa perchè abito a Mexicali , all’inizio del grande deserto rovente , con le sue leggende Navajo , la più nota racconta che ogni cento anni nel deserto infuocato nasce una rosa , chi la trova vivrà felice per tutta la vita , io non l’avevo mai trovata la rosa . Mio padre aveva un piccolo shop di souvenirs indiani , cattura-pensieri , denti di crotalo , calumets della pace , abbigliamento indiano , cose per i turisti , ma gli affari non giravano bene , si trascinavano stancamente sotto il sole rovente di Mexicali , e per me non c’era futuro in quel luogo dimenticato da Dio , dove un Navajo vive di quello che il deserto offre , dove un bianco può morire nel giro di 48 ore.
Avevo suonato chitarra e banjo in piccoli gruppi locali , ma sapevo che come musicista non avrei mai sfondato ! Saltato a bordo del mio suburban , cominciai a guidare verso l’ignoto , esattamente non sapevo dove andare , non seguivo un percorso programmato, seguivo gli occhi , loro mi guidavano , senzazioni istantanee , visive , gli occhi analizzavano il paesaggio che mi circondava , andavo dove piaceva a loro , dove lo sguardo si sposa con la fantasia , la mente col paesaggio , i pensieri con la natura , come se volessero rifiutare la civiltà. Sensazioni ancestrali, abbastanza infantili , ma in quel momento per me importanti , volevo andarmene e lo stavo facendo seguendo i miei sogni di bambino , come se invece di un suburban fossi in sella ad un mustang impazzito , alla ricerca di non so che cosa.
Passai il confine con l’Arizona , con i suoi sterminati pianori dove non c’è niente , terre ancora selvagge che ti affascinano , che fermano il tempo , incapaci di stare al passo con la civiltà , meglio , proprio quello che stavo cercando , buttato alle spalle il passato affrontavo il futuro con ottimismo.
Passati i monti del Cimarron puntai su Phoenix e Flagstaff , e dopo qualche ora passai il confine col New Mexico diretto verso Albuquerque.
Avevo intenzione di guidare ancora per qualche ora prima di fermarmi in qualche motel per riposare.
Stavo fischiettando un motivetto che mi era venuto in mente e che mi piaceva , poteva uscirne qualcosa di buono , forse una canzoncina , quando sul bordo della strada , accanto ad un vecchio pick-up Ford grigio e pieno di ammaccature , un ragazzo , occhiali scuri e una gran massa di capelli riccioli nascosti sotto un cappello da cow-boy Sloop John B. , faceva il segno dell’autostop. Frenai fermandomi proprio davanti a lui.
“ Che ti è successo ?” gli chiesi.
“ Finito l’olio , motore fuso , andato , dannazione !”.
Guardai il vechio pick-up , “ Non hai perso molto “ dissi ridendo.
“Già..”
“ Prendi la tua roba e sali”.
L’uomo si avvicinò al furgoncino , prese una valigetta ed una custodia rigida per chitarra , buttò tutto sul sedile posteriore della mia auto e salì.
“ Mi chiamo Coda di volpe , sono nato e abito a Mexicali” dissi.
“ Jake , Jake Frost , Santa Ana California” rispose l’uomo “ Dove sei diretto ?”
“ Non lo sò – risposi , lontano “.
“ Mhhh...che vuol dire esattamente lontano ?”
“ Non te lo saprei dire , lontano da qualcuno e da qualcosa”.
“ Bella risposta , ci si potrebbe fare un romanzo.....FBI. , CIA ?”.
“ No – risposi ridendo – solo mio padre , dice che perdo il mio tempo con la chitarra ed il banjo e che se continuo così non diventerò mai nessuno”.
“ Non si può mai dire , indiano ? “
“ Mezzosangue , mia madra è una Navajo e mio padre è Irlandese”.
“Perchè ti fai chiamare Coda di volpe ?”
“Mia madre mi chiamava così da piccolo , vecchie tradizioni , ormai sono abituato , non mi dispiace quel nome”.
“E tuo padre ?”.
“Lui si chiama McLoud , Harlam McLoud , ed io Jason , abbiamo un piccolo negozio di souvenirs per i turisti giù al villaggio ma si fa la fame , così ho deciso di tentare l’avventura , lavoro non ce n’era , poi un bastardo di indiano non lo vuole nessuno , nemmeno per pulire i cessi delle stazioni di benzina”. “ Non andremo mai abbastanza lontano per liberarci di questi pregiudizi e vivere la nostra vita , come le foglie portate dal vento spaziamo nel cielo , attraversiamo pianure , montagne e vallate , deserti e praterie , e quando ci posiamo loro sono lì , ci guardano e dicono “ Dove cazzo sei stato sporco indiano? – scosse la testa ridendo – Pensi di tornare ?”.
“ Chi può dirlo , sei un poeta ?”.
“ Non nel vero senso della parola , mi piace scrivere e ho delle idee , un pò alla Rimbaud , non mi porteranno lontano..”
“ Chi è questo Rimbaud ?” gli chiesi.
“Uno che chiamavano il poeta maledetto , contropoesia....esasperazione delle cose...sballato....finocchio...grande testa...morto giovane”.
“ Mai sentito....suoni la chitarra vedo...”.
“ Si , mi tiene compagnia e mi aiuta a non perdermi nel nulla...”
“ Cazzo , credevo di essere il solo ad avere problemi..”dissi.
“ Tutti hanno problemi , ricchi e poveri , forse i poveri ne hanno meno...”.
“ Preferiresti essere povero ?”.
“ Ti sembro ricco ? Non era una Cadillac quella che mi ha mollato in mezzo al deserto”.
“ Certo , quel camioncino valeva si e no duecento dollari , però mi piacerebbe provare ad avere i problemi dei ricchi” dissi.
“ Un ricco è una persona strana , uno che ti dice cosa fare , cosa dire , dove andare...tutte queste cose insomma...uno che prende decisioni al tuo posto....come se la tua vita fosse sua...come succedeva nel Sud con gli schiavi....o forse potremmo dire come succede nel Sud....come succede nel nord con gli indiani......non credo che le cose siano cambiate di molto dopo la guerra civile e le guerre indiane.....sono cambiati i metodi ma il risultato è sempre quello”.
“ La vedi sempre così nera ?” gli chiesi.
“ No , è solo la realtà che è nera , solo che io cerco di vederla grigia , forse per ottimismo”
“Già , senti Jake , nella borsa frigo sul sedile posteriore ci sono birre fresche , ne dai una anche a me ?”.
“ Ottima idea....Coda di volpe , con questo caldo una birra gelata è proprio Shangri-là”.
“ Che sarebbe questo Shangri-là ?”.
“Mhhh....è un paese immaginario.....irreale....che non c’è in pratica....esiste solo nella fantasia dei sognatori...roba da idealisti....romanzieri....e ricchi , per loro è sempre Shangri-là......ti spiace se cerco di fare un pisolino ?”.
Così , mentre Jake dormiva , io guidavo verso l’avvenire fischiettando allegro quel motivetto che avevo in testa , avevo trovato anche un compagno di viaggio , diceva cose fuori dall’ordinario , ma mi piaceva quel che diceva e come le diceva , davvero un gran bel tipo quel Jake Frost di Santa Ana California.
Ci fermammo ad un motel per la notte , dopo aver mangiato qualcosa , ci sedemmo sotto il portico con le nostre chitarre .
“ Com’era quel motivetto che fischiettavi in macchina ? “mi chiese Jack.
Glielo fischiettai di nuovo.
“ Buono , hai anche le parole ?”.
“Cazzo Jack , non scrivo canzoni , suono la chitarra ed il banjo e male anche , poi è solo un motivetto e niente più”.
“Potrebbe diventare una canzone se ci scrivi le parole” disse lui.
“ Non sono capace , fallo tu se ti piace , non ho niente in contrario”.
“Avevi per caso pensato a qualcosa ?”.
“Avevo in mente la Highway 61, il refrain si sposa bene con le parole “down on the Highway 61”.
“Vero , mancano solo le strofe - disse Jack – forse le scriverò, OK?
“OK , andiamo a dormire , domani sarà un’altra giornata di fuoco , ricordiamoci di fare il pieno di birre prima di partire”.
Ci svegliammo presto , la brezza mattutina era piacevole da sentire sul volto , caricammo le nostre cose e via di nuovo verso il futuro.
Jack si accorse del mio strano modo di procedere.
“ Non hai una meta precisa ?” mi chiese.
“ No , vado dove mi portano gli occhi , tutto quello che mi incuriosisce voglio vederlo”.
“Ottima idea – disse Jack – mi piace questo tuo modo di fare molto neorealista , ai confini del surreale , sempre in bilico fra realtà e la fantasia sfrenata , senza inibizioni , come un fiume in piena che scorre lento verso il mare senza sapere dove il mare lo porterà , come un fulmine che cade dal cielo e non sà dove andrà a fermarsi . Visioni bibliche del domani , senzazioni reali dei tempi che stanno per cambiare , una nuova guerra , James Dean , Elvis , il rock n’ roll , questa è la nuova frontiera , la nuova dimensione della vita che ci attende al confine del passato , al crocevia col futuro , la società stà cambiando rapidamente e noi con essa , dove va lei andiamo noi , piccoli granelli di sabbia trasportati non sappiamo dove dal vento che alimenta la vita , in attesa del nuovo diluvio , della nuova caduta di Babilonia , con gli angeli della vendetta pronti a distruggere l’empietà della razza umana.”
Guardai Jake con gli occhi strabuzzati “ Parli sempre così ? Non ho capito un cazzo di quello che hai detto, però mentre ti ascoltavo senza capire quello che stavi dicendo , ero come trasportato in un mondo irreale , le tue frasi hanno generato delle visioni nella mia mente , cazzo Jake , diventerai un grande !”.
“Non so , a volte le parole vengono fuori da sole , come se le avessi sempre avute dentro il cervello , solo che non sono in grado di contrallarle , quando vengono fuori non posso oppormi , comandano loro”.
“ Sai scivere una canzone ?” gli chiesi.
“ Sto facendo allenamento , sono un musicista ed un poeta all’inizio della strada , per ora mi accontento di prendere le melodie dei vecchi traditionals e cambiare le parole , a volte modifico leggermente la melodia originale e qualcosa riesco a tirar fuori”.
“ Me ne canteresti qualcuna?” gli chiesi spegnendo la radio.
“ Va bene” disse prendendo la chitarra.
Io guidavo rilassato e Jake cantava le sue canzoni , chissà dove ci avrebbe portato la strada.
“Tutte canzoni tue?” gli chiesi quando ebbe finito il piccolo concerto.
“ No , sono di Bob Dylan “ rispose lui.
“ Mai sentito , chi cazzo è questo Bob Dylan ?”.
“ Sono io – mi disse Jake – Bob Dylan è il nome che ho scelto quando diventerò un cantante a tutti gli effetti , anche Jake Frost è inventato , è un nome momentaneo , capisci..?”.
“ Mhhhh...capisco , e il tuo vero nome ?”.
“Robert Allen Zimmerman , di Duluth , Minnesota “.
“Cazzo Jake , che idea , cambierò nome anch’io , Coda di volpe diventerà.......Abramo Jefferson......che ne dici ?....suona bene ?”.
“ No , è una vera merda , un nome da schiavo , non da fiero indiano , vuoi chiamarti come uno schiavo ?”.
“ No , ma non ho molta fantasia per i nomi “.
“Allora McCloud va bene , McCloud Coda di volpe suona bene...”.
“ Mi piace , McCloud Coda di volpe , mi sta bene , sembra il nome di uno di quegli indiani ricchi che hanno trovato il petrolio su nel Texas ”. Jake prese due birre dal frigo “ Alla salute e alla fortuna di McCloud Coda di volpe”.
“D’accordo Jake , alla nostra , alla mia e alla tua......e a quel.....come si chiama.....?
“ Bob Dylan “
“Alla salute di Bob Dylan - dissi ridendo – se diventerai ricco ricordati di me “.
Passò qualche anno da quell’incontro , avevo quasi scordato Jake del quale avevo ancora l’indirizzo scritto da qualche parte . Nel frattempo, il mio occasionale compagno di quel viaggio , Jake Frost , vero nome Robert Allen Zimmerman di Duluth Minnesota , aveva sfruttato la sua occasione col nome di Bob Dylan , era passato il treno giusto e lui ci era saltato su , adesso , dopo un paio di dischi , era considerato il più promettente cantautore americano , “la voce della sua generazione” lo chiamavano. Non avevo mai raccontato a nessuno di quel viaggio , tanto non ci avrebbero mai creduto.
Stavo passando davanti ad un negozio di dischi , un manifesto in vetrina diceva - Il nuovo disco di Bob Dylan “ Highway 61 Revisited ” , entrai e lo comprai.
La sera lo ascoltai in compagnia di alcuni miei amici e quando sentii la canzone che dava il titolo all’album esplosi in un urlo.
Gli altri mi guardarono come se fossi stato uno scemo impazzito improvvisamente.
“ La canzone è OK – disse uno di loro – ma non mi sembra il caso di mettersi ad ululare come un coyote”.
Sapevo di aver fatto la figura del cretino , ma decisi di non dire niente per chè non volevo che oltre al cretino mi dessero anche del bugiardo.
Bene , passò qualche mese , una mattina Morrison , il postino , mi avvisò che c’era una raccomandata importante per me. Andai all’ufficio postale e la ritirai , chiedendomi quale nuova rogna potesse portarmi quella missiva.
La aprii , conteneva un assegno di 50.000 dollari !
La lettera che l’accompagnava diceva “ Te li sei meritati Coda di volpe , fatti una Cadillac , quel suburban era una vera merda , Bob Dylan “.

( A man with no name )
 

 

 

Bob Dylan's Dreams - di Paolo Vites

 

Nell'aprile 2009 Internet non esisteva più. Un attacco di hacker, una mossa degli uomini in nero, nessuno lo sapeva con precisione, ma era ormai da circa otto, nove mesi che era impossibile collegarsi. Ovviamente, il flusso globale di notizie, di ogni genere, anche quelle musicali, era anch'esso nel black out completo. Panico? Piuttosto, anche perché la notizia, un anno prima circa, a gennaio 2008, che Bob Dylan aveva smesso di fare concerti senza dire se si trattava del tanto temuto ritiro dalle scene, la fine del Never Ending Tour, aveva lasciato tutti, fan e non, con un macigno sullo stomaco.
Fu così che la notizia, giunta sui giornali, la vechia carta stampata che adesso era tornata ad essere la fonte primaria di news come ai vecchi tempi, che Bob Dylan sarebbe tornato sulle scene proprio con un concerto, il 15 aprile, al teatro Arcimboldi di Milano, venne accolta con un boato virtuale di gioia. I cinici commentarono bah, la venue è finalmente decente, invece di quella merda di Forum di Assago, però sarà il solito concerto con quella band di sfigati e poi lui non ha più voce e non si cura di arrangiare un po' le sue vecchie canzoni. Che poi fa sempre quelle.
Nonostante ciò, i circa 2mila biglietti venduti alla cifra record, per l'Italia, di 200 euro andarono via nel giro di 5 minuti (non si poterono comprare su Internet, ovviamente, ma facendo file di ore e ore davanti alle vecchie rivendite).
Perché Dylan tornava sulle scene proprio dall'Italia? Nessuno lo sapeva. Qualcuno ricordò che una volta, durante un concerto a Torino, nel 1998, aveva a un certo punto bofonchiato un "è bello essere di nuovo nel più bel paese del mondo". E tanto bastava.
Chi giunse al teatro vide un palco spoglio, con uno sgabello al centro, un microfono davanti e un vecchio pianoforte verticale sulla sinistra. Alcuni cominciarono a fremere: vuoi vedere che questo fa un concerto da solo, come non ne fa più dal 1965? Alle 9 precise le luci in sala si spensero. Il palco era nel buio più completo, il silenzio era qualcosa di fisico. Si sentirono dei passi sulle assi di legno e una piccola torcia, sulla destra illuminò un paio di stivali. Si sentì il rumore metallico di corde di chitarra acustica sfregate, poi una luce bianca sul retro del palco illuminò una figura aggrappata allo sgabello. Nessuna luce lo illuminava sul volto, si poteva solo scorgere una silouhette nera che attaccò a suonare una vecchia Martin acustica. Lo sferragliare di note era magia pura, poi la voce, bella, forte, rotonda e piena, attaccò Most of the Time, suonata come la si può sentire su Tell Tale Signs, acustica e con tanto di lunghi parti di armonica.
Il pubblico in sala era esterefatto che quasi si dimenticò di battere le mani alla fine del pezzo. Sempre al buio, con le luci dietro, Bob Dylan attaccò una dolente, meravigliosa, To Ramona. A questo punto tutti i presenti si alzarono in piedi tributando una standing ovation che durò oltre 5 minuti.
L'uomo sul palco venne finalmente illuminato: indossava una corta giacchetta nera stile messicano, con decorazioni varie; una t-shirt bianca, un paio di jeans, stivaloni a punta. Bob Dylan sorrideva compiaciuto. Si mise a parlare, sereno, rilassato, dicendo come aver lasciato i palchi per più di un anno gli avesse fatto bene alla mente ma anche alla voce, e scoppiò a ridere divertito.
Si alzò, si diresse al pianforte sula sinistra e ne uscì una vigorosa, piena di sentimento soul, versione di Dignity, seguita da una trascendentale Queen Jane Approximately e una, nella sua intensità vocale, stordente If you see her say hello.
"Adesso devo chiamare qualche amico" disse tornando al centro del palco. Giunsero, uno dopo l'altro, Larry Campbell che imbracciava una fisarmonica; Marty Stuart con un mandolino; il leggendario bassista inglese Danny Thompson e Jim Keltner a una batteria che era solo un rullante e un charleston. "Questa canzone parla di una ragazza che ho lasciato sulla riva del fiume rosso" e le note inconfondibili e purissime di una catartica Red River Shore si alzarono alte nel teatro.
I presenti, ancora oggi, fanno fatica a ricordare che canzoni furono poi eseguite. Quasi sicuro che fece Tomorrow's Long Time, così come Corrina, Corrina, piena di sentimento. Al pianoforte fece anche When He Returns e prima dell'ultimo bis una dolcissima Sad Eyed Lady of the Lowlands. Tra un brano e l'altro raccontava lunghi anedotti su come e perché aveva scritto queste canzoni.
Tornò sul palco per i bis accompagnato da "un'amica speciale", come definì la sempre bellissima Emmylou Harris. Tributarono un ricordo a Gram Parsons, ovviamente, con una delicata e toccante Love Hurts, poi fecero One More Cup Of Coffee.
Rimasto di nuovo da solo, per l'ultimo pezzo decise di ricordare l'unico, grande e vero amore della sua vita, e lasciò scivolare una Sara da incanto.
Nel camerino, dopo il concerto, incontrando alcuni giornalisti, al perché questo ritorno sulle scene e questo tipo di spettacolo, disse semplicemente: "Avevo smesso di fare concerti perché mi ero rotto le scatole di vedere le scalette dei miei show pubblicate ogni giorno, e i commenti dei fan, e la gente che si mandava le canzoni con il cellulare. Adesso che Internet non c'è più, posso riprendere la strada. Aspettatevi altre sorprese, sto già pensando di fare alcune date in America in duo, con il mio amico Bruce Springsteen. Io e lui e basta, pensate che alla gente piacerà?".
 

 

 

 

“E aspetterò Domani per avere Nostalgia”

 

Una romantica dissertazione sull’Attesa

 

Oh, i gentiluomini stanno conversando. E la luna di mezzanotte è sulla riva del fiume
Stanno bevendo e passeggiando. Ed è il momento per me di scivolare via
Io vivo in un altro mondo, dove la vita e la morte vengono fissate nella memoria
Dove la terra è legata con perle di innamorati. E tutto quello che vedo sono i miei occhi scuri                                     
(Bob Dylan   “Dark Eyes”)

Qualcosa di selvaggio si rimuoveva attorno al suo dolore. Le reti dei pescatori tiravano diamanti e rare conchiglie, ma solo un cercatore di bellezza scorge perle preziose negli occhi della notte o nella sfortuna di un addio. Ci sono momenti che possono protrarsi all’infinito, e rimanere perfetti nel loro flusso di Memoria. A volte oltre a castelli di sabbia, anche il pensiero sa disfarsi, come lacrime sul bagnasciuga o come un biglietto aereo che ti piacerebbe stracciare e ripartire da una notte di sospesa comunione.

 

Gloria era una donna matura. Gloria aveva sofferto e ne aveva viste tante. E sempre coi suoi occhi blu. Eterni, mistici. Occhi che sanno reggere i colpi con coraggio e vigoria. Era una persona libera da schemi e canoni prefissati. Indipendente; forse un po’ pazza. Un giorno sulla sua strada si affacciò uno stordito trentenne. Di quelli come ce ne sono tanti, pensò Lei. Aveva visto nascere un nuovo giorno di sofferenza e rancore, aveva bussato ad ogni porta senza ricevere risposta alcuna. Dopo un lungo cammino e anni d’intimo dolore; come ruggine su un parabrezza di sogni ostruiti da ogni capacità lenitiva, si fermò per riprender fiato, soltanto per un momento.  

Qualcosa d’ancestrale e chimico si scatenò nello sguardo di queste due creature. E lei da persona dolce, ma decisa, lo fermò per chiedergli: - Ciao, come va?

Lui reagì con finta spavalderia e sapida timidezza. Aveva lo sguardo fiero da autentico uomo del Sud. Una pelle calda e sensuale di mare e Sole. La voce pastosa e il timbro da gaglioffo di periferia.

Lei non badò alle apparenze. Senza avvisare né chieder permesso s’intromise con vigore nella malinconica disperazione di questo austero figuro.

S’erano gia incontrati in un noioso party spagnolo, dal quale entrambi volevano scappare, per noia o solo per apatia.

Well, if you're travelin' in the north country fair, Where the winds hit heavy on the borderline,
Remember me to one who lives there. She once was a true love of mine.

Demetrio, in un capitolo precedente della sua vita, era stato una giovane promessa meridionale, ma da otto anni sopravviveva con decadente abbandono. Aveva smesso di lottare e di credere, di sperare in un futuro roseo. Quando ogni bocciolo dischiuso si trasformava in fiele e la sua faccia, ad ogni colpo mutava l’espressione fino a renderlo una caricatura involontaria, cesellata da due fessure che altri chiamavano occhi. In passato ebbe una fulgida chioma, ridotta adesso a sparute ciocche d’abbandono e solipsismo.

Aveva osservato la pioggia cadere da sola, in solitudine, e come i suoi capelli, era svanito il sorriso e il meglio di se. A tenergli compagnia c’erano adesso dieci chili di grasso. Insomma gli Dei avevano maledetto il suo futuro, forse a causa della sua sterminata accidia, o del suo menefreghismo imperante. A Demetrio interessava solo il suo intimo clamore, tutto il resto era oscura chincaglieria.

Ascoltava al buio “Pink Moon”, del bardo Nick Drake, disperandosi sul com’era possibile concepire tanta grazia, tutto quel feeling da parte di un sol uomo, mentre lui era un guscio vuoto. Che senso aveva tutto, e perché la vita si accanisce sempre con i sognatori fannulloni?

Senza decretare loro nemmeno una piccola pensione d’infedeltà, un misero barbaglio di Calore. Una promessa infranta, una gravidanza indesiderata e anche il suo amore adesso era sfuggito dalla rete. A nulla serviva il profumo selvatico né la sua natura generosa e grezza.

Dove la ricompensa, dove il giaciglio d’Asilo Perpetuo? La vita è una battaglia senza quartiere fra la noia e il dolore e ogni guerriero senza scudo e senza armatura ha il diritto di arrendersi prima di essere sopraffatto, pensava fra se, ma poi si perdeva dentro i suoi blues e da lì era difficile tentare una risalita.

L'aria si sta scaldando, c'e' un brontolio nel cielo. Ho camminato a stento nelle alte acque fangose
con il calore negli occhi che aumentava. Ogni giorno il tuo ricordo si indebolisce, non mi tormenta piu' come un tempo. Ho camminato nel mezzo del nulla
cercando di arrivare in paradiso, prima che chiudano la porta

E poi, quando ormai aveva smesso di credere, e forse anche di sopravvivere, giunse Lei. Gloria era una persona appassionata, ma non lo dava a vedere più di tanto. Il suo libro preferito era L’insostenibile Leggerezza dell’Essere di Kundera, di cui condivideva il romantico senso di disfacimento e vacuità. Adorava Ultimo Tango a Parigi, ed in particolare l’interpretazione di Marlon Brando. Il suo poeta e cantante preferito era Leonard Cohen, una canzone su tutte, So long Marianne. E questo non le impediva di vivere con slancio facendo buffe espressioni capaci di trasformare una giornata monotona in un dì di festa.       

Rapiti nella folla in mezzo ai: - Ciao, come stai? Io e te e nessuna voce distinta. Camminiamo rapiti dal crepuscolo, mentre la nostra vita è una sempiterna notte di lacrime. Dolore e malinconia.

Io e te separati da un sentimento più grande della vita e di quest’epoca turbinosa; sulle rive del Fiume del Silenzio, finché la corrente tornerà alla solennità del suo originario silenzio.

Oh, tu sei veramente simile ad una graziosa creatura. Ho visto che sei andata e hai cambiato il tuo nome ancora. E proprio quando scalai quest’intero lato della montagna, per lavare le mie palpebre nella pioggia! Le tue lettere mi dicono che sei accanto a me ora. Quindi perchè mi sento solo?
Io sono sulla sporgenza e il tuo bel tessuto di ragnatela sta legando le mie caviglie ad una pietra

Gloria non accettava compromessi e odiava ogni tipo d’ipocrisia. Viveva con energica consapevolezza e tale coerenza si tramutava spesso in disillusione. Ma aveva una forza d’animo invincibile che la faceva rialzare anche dopo che un uragano le sconquassava l’anima. I suoi sogni non erano stati compressi in mp3, per fare spazio ad inutili segmenti di pragmatismo e scelte obbligate. Ma nessuno aveva domato questo bellissimo puledro selvatico destinato alla fuga. Eppure nel suo vagare c’era un alone di tristezza e di vitale smarrimento. Incantevole letizia, unguento d’espiazione.

E un giorno simile a molti, Demetrio e Gloria uscirono da soli, scambiando sorrisi e complicità. Lui la ascoltava, rapito dalla sua voce melodiosa e suadente più divina di quella dell’Arpa d’Eolo, e più dolce di tutte le cose. Quando lei disse: - …l'oggettivo trascendentale in forma cognitiva… lui ebbe una breve esitazione, e non capì, forse perché doveva partire. Era scritto che quel feeling dovesse interrompersi. Erano stati toccati da un lieve soffio di Calore, ma vincolati nella pausa eterna di un nuovo incontro. Si sa che l’attesa per un uomo violento è un letto di dolore…

Per tutti questi giorni s’era considerato più un inseguitore che un corridore. Forse sbagliando senza pentirsi. E s’era pentito senza tornare indietro. Qualche volta, senza casco, s’era lanciato nel vuoto, conoscendo le vertigini e la stratosfera della Solitudine. E in vetta ci si sente soli, si dice, però Demetrio si sentiva solo e non ero certo salito sul Bus dei Vincitori. Aveva pagato dazio senza batter ciglio. Scambiando per troppo tempo la rassegnazione coi propri sentimenti. Confondendo i propri genitali con l’orgoglio ferito. Camminò allora, fino a secernere acido lattico dai propri pensieri. Poi meditò su una cosa: l’isolamento, il dolore, erano forse il carburante per Questa Farsa in tre Atti, mentre si ritrovava in un soliloquio senza battute da declamare; pronto a barattare gli Ideali per delle Vele Inesistenti! E allora? Allora resterà pur sempre il Domani, e il sole bagnerà ancora le lumache malinconiche. Forse.

E così ora sto di nuovo tornando indietro, forse domani, o forse l'anno prossimo. Devo trovare qualcuno tra donne ed uomini dal destino incerto. Alcuni sono Maestri dell'illusione, altri sono Ministri del commercio Tutti con grandi delusioni, sfatti tutti i loro letti. Ma io ancora cammino in direzione del sole, cercando di starmene fuori dalla mischia…Aggrovigliato nella tristezza

Demetrio, tipo dissoluto, di quelli che prendono senza mai dare. Il suo libro preferito era Il Processo di Kafka. Cresciuto con la letteratura del primo Novecento. Niente e nessuno avevano eguagliato la vertigine e lo stordimento procurati dalle letture kafkiane. Adorava Apocalypse Now, perchè mentre Guaiva il suo saluto al Mondo sugli schermi di un cinema di periferia, stavano proiettando la pellicola interpretata da un magistrale Marlon Brando. Il cantante che più d’ogni altro aveva influito sulla sua formazione sentimentale, umana e morale, era stato Bob Dylan, in particolare le intime liriche degli anni settanta. Adesso però l’adolescenza sembrava sopita nelle sue vesti da ordinario debosciato. Dentro, alle volte, sentiva ancora la fiamma e la brama dei suoi sedici anni reclamar vendetta, bruciando come una Supernova.

“Si, l'ubriaco è al volante. La fame paga un prezzo troppo grosso alla caduta degli Dei della Velocità e dell'Acciaio. Oh, il tempo è breve ed i giorni sono dolci. E la passione guida la freccia che vola. Un milione di facce ai miei piedi, ma tutto quello che vedo sono lacrime di sangue e metallo, attraverso i miei occhi scuri. “
 

Almeno per questa notte siamo ancora salvi! (Pensava fra sé) E nessun demone toccherà queste lenzuola d’effimera attrazione. Mi sento Umido & sono nudo con me stesso. In ogni futuro c’è un brandello di Mare. Quindi, oh cielo, se ti piace tanto: piovi pure! Chi sarebbe poi il sapiente? Forse colui che trasformerà la sofferenza in sorrisi? Resto qui, sospeso tra Chaos e Redenzione.

Finché la vita fuggirà dai nostri pensieri.

E Gloria era un simbolo di rinascita e di trasformazione. Rappresentava il passaggio allo stato spirituale, il superamento dell’individuo. Indicava la libertà dai condizionamenti, l’idealismo, l’apertura a valori di Comunione e Affinità. Forse era solo una Gran Dama, capitata per sbaglio sotto lo sguardo di un sopravvissuto alla propria disfatta. Ricordava vagamente Janis Joplin, non perché cantasse, anzi se ne guardava bene dall’esibirsi, ma aveva un modo di fare, un romanticismo coriaceo e univoco che la rendeva audace: immensamente bella, fascinosa e solare come un intenso mattino di maggio…

Dicono che tutti hanno bisogno di protezione e dicono che tutti devono cadere
e tuttavia giuro che vedo il mio riflesso da qualche parte al di là di questo muro
Vedo la mia luce che splende da ovest ad est e da un momento all'altro
Sarò Liberato!

 C’era un anziano pianista, su St Patrick ’s Street, col suo strumento scardinato e poetico, che come una nave in rotta nel vasto Oceano eseguiva una struggente versione strumentale di “The times they are a changing”. Proprio in quell’istante gli occhi di Gloria e di Demetrio si incrociarono, lui abbassò lo sguardo per la vergogna di farsi scoprire ancora una volta vulnerabile e nudo ai suoi occhi. Aveva la barba incolta, i capelli sporchi e puzzava di solitudine e dolore. Lei si fece avanti e lo salutò, lui finse un innaturale distacco che il suo cuore trasformò subito in malinconia. Avrebbe voluto dirle tante cose, quanto fosse preso e quanto gli sarebbe piaciuto stringerle le mani in senso di resa e di lesa maestà. Ma era troppo tardi per la Tenerezza. Lungo la strada, l’Esercito assoldava legionari e coscritti, c’era disfacimento nell’aria, quasi come se l’umore di Demetrio stesse contaminando ogni cosa. Quanto tempo ancora la sua ferita avrebbe bruciato, nello stesso luogo in cui se l’era auto inflitta e dove lei l’aveva baciata e osservata con compassione.

Una ragazza scalza intonava il suo grido di speranza, “I shall be released”. Demetrio si chinò e gli porse una moneta, poi gli disse: - “Play another Dylan ’s song”

E lei eseguì con slancio una poderosa All along the watchtower: la canzone preferita di Demetrio…

"There must be some way out of here," said the joker to the thief, "There's too much confusion, I can't get no relief. Businessmen, they drink my wine, plowmen dig my earth, None of them along the line know what any of it is worth ... “No reason to get excited," the thief, he kindly spoke ...

Quel canto di sirena imperiosa lo spinse oltre le barriere dell’infinito e per una volta non sentì rimpianto né sconfitta. Per la prima volta avvertì che essere battuto non era questa gran Tragedia. Sacrificherà se stesso all’Altare della Passione. Darà ogni cosa per poter vivere a modo suo Questa Farsa in tre Atti, senza accumulare tesori. E adesso, trascinando a fatica una bisaccia di cianfrusaglie e cattivi ricordi, scopre di aver trovato un Diamante Grezzo ed è pronto a barattare la sua brama di rivalsa e di libertà, pur di restare ancora un momento con Lei. Non rinuncerà al suo calore: vorrebbe sconfiggere i Demoni di Desolazione senza nessun’arma che non sia il suo Feeling.

A mani nude, fino all’ultimo respiro.

Our flesh and blood, it ties you and me right up, tie me down. Celebrate we will because life is short but sweet for certain. Hey we climb on two by two, to be sure these days continue. Things we cannot change! Hey, my love, I came to you like wine comes to this mouth Grown tired of water all the time You quench my heart and, you quench my mind...

Demetrio ansima, faticosamente provato da strade di puro delirio e consapevolezza. E’ uscito da un labirinto di Mistico Livore, ha sospinto i suoi demoni nel baratro infinito della vacuità. Adesso sente di poter divenire profeta delle nuvole: cantore delle stelle e della luna. S’abbandona in un urlo di liberazione, consapevole che le Strade di Solitudine e Libertà sono state battute già altre volte, ma mai con tale abbandono.

La gente muore, le persone si lasciano vivere e sopraffare da titaniche conseguenze e vicissitudini, ma chi diviene Foresta sa resistere al peso del tempo, alla forza della Natura; taluni sopravvivono portando marchiati a fuoco i segni dello sfacelo e della sofferenza. C’è chi reagirà piangendo e chi inseguirà Il Vello Umido della Notte, mentre ogni cosa si fa largo nell’oscurità rendendoci liberi e prigionieri in egual misura…

Venite scrittori e critici che profetizzate con le vostre penne e tenete gli occhi ben aperti. L'occasione non tornerà, e non parlate troppo presto perché la ruota sta ancora girando e non c'è nessuno che può dire chi sarà scelto. Il perdente adesso, sarà il vincente di domani, perché i Tempi stanno cambiando.

Quasi trentenne e quasi sconfitto, osserva le luci della città e bagna il viso con una delle sue ultime lacrime di solitudine, sente un brivido percuoterlo per tutto il corpo;

E adesso aspetterà domani per avere nostalgia, Signora Libertà, Signorina Fantasia!

Così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza, con la sua nuvola di dubbi e di bellezza…

“Vengo da una razza nota per la forza della fantasia e l’ardore della Passione. Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale”
(Edgar Allan Poe “Eleonora” 1835)

"Vorrei dire tutto ciò che c'e' da dire in una sola parola, e con semplicità"                                                            (Leonard Cohen “The Favorite Game”)

 

7 Maggio 2008 Marri, Catena Costiera Tirrenica

Special thanks to:

Fabrizio De Andrè, Bob Dylan, Leonard Cohen, Nick Drake, Dave Matthews e Edgar Allan Poe

 

Canzoni

Pink Moon -   Se ti tagliassero a pezzetti   -   So Long Marianne   -    Two Steps

 

Canzoni dylaniane estrapolate nel racconto                                                                                                               Dark Eyes -  Trying to get heavens – Girl from the north country – Tangled up in blue  - I shall be released – All along the watchtower - The times they are a changin’

 

A Monia,

al suo essere autentica e selvaggia, al suo cuore folle e alla sua tenerezza…

 

Una storia irlandese di Dario Twist of Fate