NOTE SUL SENSO DI DESIRE
di Lillo
Desire. Desiderio. Di poter ricostruire/preservare il suo rapporto
famigliare (e insieme ad esso il potere della donna come fonte di
salvezza).
Cos’è Desire? Un’apologia del rapporto amoroso contro il richiamo della
strada. Un esorcismo fascinoso quanto strano, “innaturale”, che richiese
l’aiuto di un altro scrittore per mettere a punto i pensieri confusi.
Una lunga teoria fatta di storie di ribelli, i cui eroi finiscono male e
pagano con la loro libertà e con la vita. Nulla di nuovo forse, se non per
il momento particolare. I carcerati Hurricane e Joey, l’anonimo ladro di
tesori tentatore del protagonista di Isis, Ramon e tutti gli avventurieri
in fuga dal proprio passato ritrovatisi in un albergo sulla baia del Nero
Diamante. Lunghi racconti, o brevi sceneggiature riscritte sui vecchi film
di serie B che i tanti pomeriggi del giovane Bobby avevano riempito coi
loro sogni senza pretese, e in cui pure convivono lo spirito avventuroso e
anarchico del periodo elettrico e quello moralistico del periodo folk.
Mentre quella assunta dal narratore Dylan è la posizione un tempo assolta
dal coro nelle antiche tragedie greche: insieme “nella storia” ma di
parte, intoccabile osservatore e pure voce in campo. Dylan è colui che è
venuto a scrutare, a rendersi conto dei rischi impliciti, per decidere il
da farsi.
Le canzoni si muovono appaiate, e piene di rimandi fra di loro. Il fulcro
del disco può considerarsi Isis, la “canzone sul matrimonio”. Dylan, eroe
e vittima è in bilico, ha riassaporato in viaggio la libertà della strada,
ma ancora non sa staccarsi, non riesce a separarsi da Isis, dea sposa, e a
lei ritorna, a lei rende conto della sua fuga. Canta Dylan, ed è una
cronaca la sua, non fantasia:
Lei disse, “Dove sei stato?” Io dissi, “In nessun posto speciale.”
Lei disse, “Sembri differente.” Io dissi, “Beh, lo credo.”
Lei disse, “Te ne sei andato.” Io dissi, “È solamente naturale.”
Lei disse, “Ora resterai?” io dissi, “Se ancora mi vuoi, si!”
In One more cup of coffee, che è lo stesso tipo di canzone di Isis, Dylan
si dice pronto a partire, ma ancora prende tempo, si concede “un’altra”
tazza di caffè, attende dei segni. Sistemata com’è fra le due, Mozambique
assume un valore particolare ai nostri occhi. Mozambique è il classico
jingle di una pubblicità per turisti idioti, col suo invito a recarsi
nella bella “magical land”, presto sconvolta da una guerra civile. È come
se Dylan dicesse, parodiando, a se stesso: si lo so che “devo” partire,
che “devo” andare, ma lì oltre l’esotico misterioso paesaggio c’è solo la
fine del mondo, la guerra e il disastro. Mi conviene davvero partire?
La catastrofe incombe sui suoi fratelli di strada, quelli da lui descritti
come mai completamente buoni, seppure innocenti, e sempre un po’ cattivi,
ma non ha importanza per Dylan. La strada è un luogo spietato, dato per
viverci ai lupi e ai giocatori. La catastrofe attende anche lui dunque, ne
è consapevole. Ma lo stesso non riesce a resistere al suo fascinoso
richiamo.
Pure tentenna. Prova a far pace. Cerca di riavviare una conversazione
perduta con la moglie, anche se è lui il primo a tradire: Sorella, dammi
un’altra occasione… Sara, non scordarti del nostro passato… Non mi
abbandonare o dammi tu la forza di non lasciarti… Questo si legge fra le
righe.
Ancora di più tutto assume un senso se lo si contestualizza nella sua
produzione degli anni ’70. Pat Garrett & Billy the Kid, Planet Waves,
nonostante le date, sono ancora riaccostabili alla sua produzione
precedente, quella da lui definita “romantica”. Wedding song è l’apice di
questa produzione. Ma sempre su Planet Waves, in Dirge, Dylan dà
ufficialmente inizio a una nuova fase. Brucia il terreno dietro di sé. Poi
verranno Before the flood, prima della tempesta, lì dove comincia a
ricaricarsi l’odio, la furia necessaria a tornare in giro. Le lezioni di
Raeben per rinnovare/ridefinire la propria visione e la successiva
incomunicabilità con la moglie sono una conseguenza e non semplici fatti
avvenuti dopo per caso. Blood on the tracks descrive la crisi di un amore,
o meglio di un ideale d’amore ormai finito, perché cambiati sono i tempi.
Non dimentichiamo che il punk è lì a nascere. Che Lou Reed aveva inciso
Berlin. E John Lennon Walls and Bridges.
Pure Dylan tentenna. Dibatte, non si dà pace. Il passo è grave, perché non
implica solo la fine del matrimonio. Bensì di tutto un modo di vita. Qui
si situa Desire. Desiderio. Di certezze, di almeno una sicurezza in quello
stato di dubbio. Canzoni di redenzione, le definì Ginsberg acutamente.
Ma Dylan, lo sappiamo, sceglierà la strada. E si porterà dietro per un po’
gli strascichi del suo amore in crisi a ispirarlo. Verrà Hard Rain,
documento in diretta della notte in cui (secondo la leggenda) il
matrimonio finì: fine sublimata nella drammatica interpretazione di Idiot
wind. Poi Renaldo & Clara, film pittorico, o quadro in movimento di quei
due anni terribili e mirabolanti. Verrà infine Street legal, estrema
sintesi del dopo matrimonio e tramite (per mezzo del gospel, e non solo
per appropriarsi di esso, come molti hanno sostenuto) verso quella
conversione che tenterà di sostituire al potere “romantico” della donna
come angelo salvatore, quello superiore di un Dio/Señor che non ponesse
ricatti morali all’artista, ma solo affrancasse lo spirito tribolato del
viandante in corsa per il mondo. O che magari gli offrisse un breve
passaggio sul suo treno…
|