LA REPUBBLICA INVISIBILE DI BOB
DYLAN
INTERVISTA A GREIL MARCUS DI PAOLO VITES PER LA RIVISTA "JAM"
Quando uno dei più grandi critici rock del mondo scrive un libro su uno
dei più grandi musicisti rock di tutti i tempi, accade per forza di cose
qualcosa di speciale.
E infatti La Repubblica Invisibile, il volume di Greil Marcus dedicato a
Bob Dylan e ai Basement Tapes, è un libro davvero speciale, un evento nel
mondo della letteratura rock. Ne parliamo con l'autore.
"Non hai bisogno di una chitarra per essere un eroe del rock'n'roll"
(Paul Williams)
Bill Flanagan, Peter Guralnick, Dave Marsh, Paul Williams, Robert Palmer e
lui, l'oggetto di questa intervista, Greil Marcus. Se questi nomi non vi
dicono niente, vi siete sicuramente persi qualcosa: un vero articolo di
musica rock, o un vero libro dedicato al rock. Sono loro che hanno creato
dal nulla (perché prima di loro neanche esisteva) il concetto stesso di
'critica rock', e ancora oggi la loro lezione è talmente debordante che
non teme confronti.
Specie nella nostra Italietta musicale. Grazie a loro il rock è stato
valorizzato (in America, naturalmente) come una delle forme d'arte e di
cultura più rilevanti del Novecento, al pari della letteratura, della
poesia, della politica, della sociologia.
Degli esempi? Scritto nell'anima di Bill Flanagan ancora oggi insegna cosa
vuol dire fare un'intervista con dei contenuti che non siano il solo
pettegolezzo; Performing Artist di Paul Williams ci dice che per
cominciare a capire qualcosa di Bob Dylan non basta avere tutti i suoi
dischi allineati sullo scaffale, ma bisogna prima aver studiato a fondo
Pablo Picasso e William Shakespeare; Robert Palmer, per spiegare cosa è il
rock'n'roll, è andato a girare per tutti i luridi juke joint rimasti
ancora nel Delta del Mississippi (Deep Blues); Greil Marcus, per
raccontare la storia del punk, ha scritto la storia del movimento dada e
dei fermenti culturali dell'Europa degli anni Venti e Trenta (Lipstick
Traces, in ItaliaTracce di rossetto).
Il critico rock, grazie a loro e a pochi altri, è oggi in America
rispettato, interrogato, valorizzato, gira per le Università a tenere
conferenze al pari dell'editorialista che scrive di politica o del
sociale. Una chimera, per l'Italia? Lo lasciamo giudicare al lettore.
Greil Marcus ha da poco pubblicatoInvisible Republic - Bob Dylan's
Basement Tapes, oggi pubblicato in italiano da Arcana. L'occasione è un
tale evento nella storia della critica musicale per non cercare di
raggiungerlo a Berkeley, dove vive, per intervistarlo.
Nato nel 1945 a San Francisco, Greil Marcus comincia a collaborare con
Rolling Stone nel 1969 e poco dopo a insegnare all'Università di Berkeley.
Di suo pugno è una di quelle recensioni che sono rimaste negli annali
della critica rock, quando, a proposito di Selfportrait, album di Bob
Dylan del 1970, esordì con: "Cos'è 'sta merda?" (alla faccia del
politically correct). Dal 1983 al 1988 è Direttore del National Book
Critics Circle, mentre presta la sua collaborazione a riviste come Village
Voice, New Yorker, Creem, New Musical Express e altre. Ha scritto "Mystery
Train: Images Of America In Rock'n'Roll Music", "Dead Elvis: A Chronicle
Of A Cultural Obsession", "Lipstick Traces: A Secret History Of The 20th
Century".
Attualmente pubblica rubriche musicali su Artforum e Interview.
JAM: Come è cominciata la sua carriera di giornalista e di critico
musicale?
Greil Marcus: Ho cominciato a scrivere di rock'n'roll sul giornale del mio
college, all'incirca nel 1965, ma il vero inizio fu qualche anno dopo,
quando fui attratto sempre più da quella incredibile scena musicale che
allora era San Francisco alla fine degli anni Sessanta. In quel periodo
Jann Wenner fondò la rivista Rolling Stone. Lo conoscevo da tempo perché
anche lui, come me, era uno studente dell'Università di Berkeley, ma non
mi piaceva assolutamente il loro modo di recensire i dischi di
rock'n'roll, usavano lo stesso approccio che si usava con la vecchia
musica folk: si parlava solo dei testi delle canzoni, non della musica. Un
giorno comprai un disco che non mi piacque per niente, e rimasi deluso
soprattutto dal fatto che questo disco veniva pubblicizzato bene, mentre
invece era una schifezza. Decisi allora di scriverne la recensione e la
inviai a Rolling Stone: quando la settimana dopo comprai il giornale, vi
trovai dentro la mia recensione. Pensai: ma allora è davvero semplice fare
il giornalista musicale! Mi misi a scriverne altre, e un giorno Jann
Wenner mi chiamò a casa dicendomi: "Ho sentito che ti lamenti del modo in
cui Rolling Stone recensisce i dischi, perché non diventi il nostro
responsabile delle recensioni?". Okay, risposi, e così iniziò la mia
carriera da professionista, a trenta dollari alla settimana.
JAM: Una di queste sue recensioni è passata alla storia, come esempio
di coraggio e spregiudicatezza, in un campo dove difficilmente i
giornalisti hanno il coraggio di parlar male di un grande nome del rock.
Nel 1970, la sua recensione del disco di Bob Dylan, Selfportrait,
cominciava con la frase "Cos'è 'sta merda?". Non ebbe paura di qualche
reazione da parte dell'artista o della casa discografica?
G.M.: Assolutamente no, riportai semplicemente quello che tutti dicevano
di quel disco. Credo che ebbe tanta eco perché era la prima volta che un
giornalista usava quell'espressione.
Non volevo imporre il mio giudizio personale con quella frase, era
piuttosto come l'inizio di una conversazione tra amici che ascoltano un
disco, tanto che nel corso della recensione riportavo i commenti di amici,
di colleghi giornalisti e della gente per la strada a proposito di
Selfportrait. Bisogna ricordare che, a quei tempi, un disco così da parte
di Bob Dylan fu un vero shock nella società americana: pessime canzoni,
quasi tutte di altri cantanti... Per essere precisi, poi, la frase "Cos'è
'sta merda?" era il commento alla prima canzone del disco, All The Tired
Horses. Se avessi cominciato con una frase tipo "Molta gente è turbata dal
nuovo disco di Bob Dylan", credo che nessuno sarebbe rimasto colpito da
quella recensione, fu davvero un inizio efficace...
JAM: Non ci fu nessuna reazione da parte di Bob Dylan?
G.M.: Ci fu, seppur indiretta, quando circa un anno dopo, durante una
intervista, un giornalista chiese a Bob Dylan cosa ne pensasse di Greil
Marcus. Lui rispose: "Greil Marcus è pieno di merda" (oggi Marcus e Dylan
sono ottimi amici, ndr).
JAM: In America c'è una incredibile tradizione di grandi scrittori di
musica rock, a differenza di quanto accade in Europa, dove scrivere di
musica vuol dire scrivere di pettegolezzi, mode passeggere e chi è in
testa alle classifiche. Come si spiega questa differenza? Come nasce
questo approccio unico alla critica musicale che avete in America?
G.M.: Non so esattamente come mai succeda questo. Sono rimasto davvero
sorpreso delle reazioni che la gente ha avuto in Italia a proposito
dell'ultimo disco di Bruce Springsteen, The Ghost Of Tom Joad, e anche del
suo tour acustico. La reazione del pubblico italiano è stata più forte,
più attenta al significato e più emotiva anche di quella da parte del
pubblico americano.
Questo vuol dire che in Italia esiste un pubblico, esiste un'audience
attenta alla musica. Per questo non mi so spiegare
perché non esiste da voi una generazione di critici attenta alle esigenze
della gente, soprattutto pensando che la critica jazz è nata, negli anni
Venti, in Francia mentre in America neanche esisteva e furono i
collezionisti e gli appassionati inglesi di blues negli anni Cinquanta a
capire, ancor prima che in America, che il blues era una musica speciale,
una musica viva. Così non so spiegarmi perché non esiste in Francia o in
Inghilterra una critica musicale legata al sociale, a quello che la gente
vorrebbe veramente sapere.
Eccetto per Simon Fricke e Jon Savage, in Inghilterra non esiste un vero
concetto di critica musicale. Per quello che riguarda noi, gente come me,
Paul Williams o Robert Palmer, abbiamo tutti cominciato a scrivere negli
anni Sessanta, e credo che l'influenza di quel particolare periodo storico
abbia generato il nostro approccio alla critica musicale. Esiste però oggi
in America una nuova generazione di scrittori e di critici, specialmente
donne, che ha cominciato negli anni Ottanta e nei Novanta, che ha trovato
un proprio stile personale per portare avanti questa tradizione. Per
quanto riguarda l'Italia, credo che uno scrittore come Umberto Eco sarebbe
un perfetto critico musicale.
JAM: Uno dei caratteri distintivi del suo modo di scrivere, è il modo
in cui lei sa connettere il rock'n'roll alla storia politica e sociale del
suo Paese, ed è evidente in modo particolare nel libro La Repubblica
Invisibile. Come nasce questo approccio alla scrittura?
G.M.: Non è mai stato un approccio intenzionale, non sono mai stato capace
di scrivere in modo
differente da questo. Mentre andavo al college e anche quando ho
cominciato a scrivere di musica,
era un periodo particolare della storia americana, in cui le istanze
politiche erano all'ordine del
giorno; qualunque cosa si studiasse ai corsi universitari, era messo in
relazione con la contestazione
studentesca o con il movimento per i diritti civili. Al mattino si
discuteva di politica e al pomeriggio si
ascoltava musica, non c'era separazione tra questi due mondi. Per me era
normale, e rimasi davvero
sorpreso quando, cominciando a scrivere, mi accorsi che nessuno teneva
conto di questo, separando la musica dalla politica o dalla vita sociale.
Eppure capita a ciascuno di noi: quando stai ascoltando una canzone, ti
sembra per un momento che nulla è più grande del rock'n'roll, tutto il
mondo con tutte le sue esigenze viene in quel momento contenuto in una
canzone. E allora non puoi fare a meno di chiederti: come è possibile
questo, come è possibile che tutto il mondo sia contenuto in una canzone?
E' così che nasce il mio modo di scrivere e anche se oggi sono costretto a
spiegare questo concetto, allora, negli anni Sessanta, era ovvio e
scontato che fosse così, era naturale.
C'è un capitolo di La Repubblica Invisibile dedicato interamente a una
sola canzone dei Basement Tapes, Lo And Behold!. Ma quella canzone è solo
la motivazione di partenza per partire alla scoperta di un intero mondo:
il blues di Frank Hutchison degli anni Venti, quindi la situazione dei
minatori della West Virginia in quel periodo per poi ritornare al blues e
alla canzone di Bob Dylan. Ascoltando una canzone, possiamo parlare allora
di politica, di sociale, di cultura: tutto il mondo è dentro una canzone.
JAM: Il punto di partenza per scrivere La Repubblica Invisibile è stato
l'ascolto di una serie di
bootleg (dischi pirata, non ufficiali, ndr) che raccolgono tutte le
registrazioni effettuate da Bob Dylan a Woodstock. Non si è mai
preoccupato di una possibile reazione da parte di Bob Dylan o della sua
casa discografica per del materiale che, a termine di legge, dovrebbe
essere considerato proibito?
G.M.: Sì, il libro dipende da questi cinque CD dedicati ai Basement Tapes
e anche da molti altri bootleg contenenti i concerti che Dylan e The Hawks
tennero nel corso del 1965 e del 1966.
Senza quel materiale non avrei mai potuto lavorare. Prima di cominciare a
scrivere contattai l'editore di Bob Dylan spiegandogli cosa volevo fare e
il permesso di citare dei versi dalle canzoni dei Basement Tapes. La
risposta fu sorprendente: dissero sì, puoi usare i testi di Dylan, ma
facci un favore, non citare quelle poche canzoni che sono uscite in forma
ufficiale, usa le canzoni contenute nei bootleg!
JAM: Perché, secondo lei, Dylan non autorizza la pubblicazione
ufficiale di tutto questo materiale di enorme valore, musicale e storico?
G.M.: Per quanto riguarda i concerti dal vivo di Dylan And The Hawks nel
1966, un paio di anni fa la Columbia aveva lavorato a lungo su quei nastri
per una uscita ufficiale sicura, tanto che avevano chiesto a Tony Glover,
un musicista vecchio amico di Dylan, di scrivere le note di
accompagnamento al disco. Il progetto è stato cestinato, e la mia opinione
è che la casa
discografica, ancora non sapendo dell'uscita di un nuovo disco di canzoni
di Dylan che ormai mancava da oltre cinque anni, abbia avuto paura che
l'emissione di materiale di trenta anni fa potesse affossare
definitivamente l'immagine di Bob Dylan, relegarlo per sempre al suo
passato, come dire: guardate come era bravo una volta, guardate cosa
sapeva fare mentre oggi non pubblica più niente di notevole. L'uscita di
Time Out Of Mind, con l'incredibile interesse che ha suscitato nella
critica mondiale e nel pubblico, ha fortunatamente riportato Dylan alla
considerazione dei suoi contemporanei. Adesso potrebbe essere il momento
buono per l'uscita di quei concerti di trent'anni fa, o dei Basement Tapes
originali (nota di Michele : ovviamente i "concerti di trent'anni fa" come
li chiama Marcus hanno poi visto la luce in Bootleg series IV con il
mitico concerto della "Royal Alber Hall", che era in realtà quello di
Manchester).
JAM: Per una strana coincidenza, contemporaneamente a La Repubblica
Invisibile, è stata ristampata per la prima volta su CD The Anthology Of
American Folk Music, che insieme ai Basement Tapes costituisce il nucleo
da cui si è sviluppato il suo libro. Era al corrente di questo progetto
mentre scriveva il libro?
G.M.: No, non lo sapevo. Sono stato aiutato molto dall'Amministratrice
degli archivi di Harry Smith (l'uomo che pubblicò The Anthology) che mi ha
dato parecchie informazioni, ma non mi disse niente di questo progetto.
JAM: Come pensa che questa ristampa possa essere recepita dalle nuove
generazioni di musicisti? Potrà avere una parte dell'enorme impatto che
ebbe, negli anni Sessanta, su artisti come Bob Dylan e tutta la sua
generazione?
G.M.: Non so dire se l'impatto sui musicisti sarà adeguato, ma sicuramente
posso dire che mostrerà ai giovani che il loro paese, e il mondo in
generale, è molto più ricco, più complesso e più interessante di quanto
hanno mai potuto immaginare. Perché questa antologia non è solo una
raccolta di musica, ma racchiude l'America, è un ritratto dell'America, ma
anche un ritratto della vita in se stessa.
JAM: Qual è la sua opinione riguardo alla nomination di Bob Dylan al
premio Nobel?
G.M.: Bé, se Dario Fo ha vinto il premio Nobel, credo che anche Bob Dylan
lo possa vincere... Seriamente, come non credo che quella di Dario Fo sia
vera letteratura, non credo neanche che le canzoni di Dylan siano vera
letteratura.
JAM: Per concludere, quali sono, oltre ai suoi naturalmente, i libri
dedicati al rock'n'roll che lei considera imprescindibili?
G.M.: Spero di non dimenticarne qualcuno... Sicuramente il libro che mi ha
ispirato quando ho cominciato la mia carriera, uno dei migliori in
assoluto ancora oggi, e cioè Rock From The Beginning. QuindiPsychotic
Reactions And Carburetor Dung di Lester Bangs; The Heart Of Rock And Soul
(Thousands And One Greatest Rock'n'Roll Singles) di Dave Marsh; Louie
Louie ancora di Dave Marsh; England's Dreamingdi Jon Savage; Hell Fire, la
biografia di Jerry Lee Lewis, che credo sia la miglior biografia, e anche
la più breve, di un musicista rock mai scritta.
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