EMPIRE BURLESQUE
di Salvatore Esposito
Ho scoperto "Empire Burlesque" per caso.
Mi è stato regalato, senza nemmeno la copertina, ed al primo ascolto mi è
sembrato quasi assurdo che Dylan potesse suonare qualcosa di simile (n.b.
: ero fermo al "Bootleg Series Vol. IV", a "Pat Garrett & Billy The Kid"
ed a "The Times They Are A-Changing").
Insomma non mi è piaciuto subito, ma quando l’interesse per Dylan è
aumentato (è stata un'impennata incredibile dopo aver ascoltato l'album
"Highway 61 revisited"), l’ho riascoltato e, poi, ho trovato canzoni
splendide che sono subito diventate il "leit-motiv" di molti momenti con
la mia ragazza.
Sono legato a questo disco, in modo particolare, per via di ricordi legati
alla mia vita sentimentale (da allora, ogni volta che ci scriviamo
qualcosa, ci firmiamo "Emotionally Yours").
Forse non è un capolavoro assoluto come "Oh Mercy" o "Blonde On Blonde",
ma "Empire Burlesque" contiene ottime prove, considerando il periodo non
felice per la produzione di Dylan.
Se si escludono "Oh Mercy" e, forse, "Infidels", resterebbe ben poco degli
anni ottanta; tuttavia "Empire burlesque" è uno dei dischi più
sottovalutati e meno apprezzati di Mr. Zimmerman.
"Empire Burlesque" nasce dall’idea di fare un disco divulgativo, se
vogliamo commerciale, accessibile.
Insomma un disco da vendere. Tuttavia a Dylan queste idee sono costate
sempre care; anche in questo caso la critica e le vendite non gli rendono
giustizia e, soprattutto, anche i fedelissimi sembrano propendere verso
l’idea di "work in progress", o di una delusione.
Ogni disco di Dylan ha una storia a sè ed il suo strascico di influenze
fatte da ascolti o da situazioni che lo stesso Dylan cerca di
cristallizzare su disco; ottimamente gli era riuscito con il "wild mercury
sound" di "Blonde on Blonde", o con "Highway 61 Revisited".
Purtroppo, a volte, con il passare le giornate in studio, questo è andato
scemando e, dall’idea di partenza, spesso si è giunti ad un prodotto
finale che nemmeno Dylan stesso immaginava.
Forse è così per tutti i dischi o, meglio, spesso la produzione di questi
ultimi è affidata a perfezionisti, manieristi.
La voce e lo stile di Dylan necessitano di un suono un po’ sporco, ruvido,
quasi di una cattiva registrazione.
E' per questo che ascoltare un suo bootleg dà sempre la sensazione di
sentirlo ad un passo, o meglio, spesso, fa venire letteralmente la pelle
d’oca.
Mi sembra assurdo stare lì a cercare di capire come possa essere un disco
di Dylan se si fosse scelta, ad esempio, la versione con la E-Street di
"When the Night Comes Falling from the Sky", piuttosto che quella su
disco.
O, ancora, se si fossero scelte le out-takes da "Infidels" con
l’eccellente chitarra di Knopfler.
Il fatto è che i dischi, specie quelli di Dylan, devono essere ascoltati
per come sono, ed "Empire Burlesque" ne è la dimostrazione.
"Empire Burlesque" non potrebbe essere diverso o non sarebbe più lo
stesso; un disco ancora impregnato dalle scelte religiose, ma contaminato
con un sound strano, poco attuale per l’epoca e che suona più balordo e
vecchio adesso.
Certo la vena soul non si addice alla voce di Dylan, ma resta il fatto che
anche questo disco sembra avere molti problemi di produzione.
Nell'album c'è il romanticismo di "I’ll remember you" o di "Emotionally
Yours" (in seguito grandiosa hit degli O’Jays), la forza espressiva di
"Dark Eyes" o l’apparente invito al ballo di "Tight Connection to My Heart
(Has Anybody Seen My Love?)", con un testo profondo e pieno di
significati.
La produzione, affidata ad Arthur Baker, fa calare questo disco di qualche
spanna, ma senza dubbio la qualità resta, anche se celata.
Il disco si apre, come detto, con un pezzo incalzante quale "Tight
Connection to My Heart", un bel pezzo davvero, che cela liriche tratte dal
"Cantico dei Cantici" della Bibbia, un pezzo molto melodico con un
ritornello potente che ti resta dentro sin dal primo ascolto.
La chitarra di Mick Taylor sembra un po’ in ombra ma la parte importante è
quella riservata al coro, molto soul, che ricorda vagamente qualche
canzone di Bruce Springsteen del periodo di "Wild, Innocent & E-Street
Shuffle".
Le parole di questa canzone sembrano rivelare una sorta di incapacità ad
amare da parte di Dylan, a cui è unito un senso quasi sfinente di continua
ricerca.
Un cammino senza fine che lo costringe, nella sua vita, a scegliere ed a
rinunciare.
Sembra quasi che la sua sia una ricerca continua di amore e di
comprensione, ma che in lui risieda la coscienza di non saper apprezzare
quello che la vita gli offre, di gettare all’aria qualsiasi cosa il
destino gli metta sotto gli occhi, come una sorta di ribellione a tutto.
Ecco che, alla fine della canzone, c’è un verso che dice “Non ho mai
imparato a bere quel sangue e chiamarlo vino”, come ad indicare una totale
rinuncia alla completa conversione al cristianesimo.
Si ricollega così al precedente "Infidels", che aveva segnato un ritorno
all’ebraismo.
Il tema del vino ritorna, come in "All Along The Watchtower", ma ora segna
la sua incapacità ad accettare il cambiamento e la rinuncia alla fede
ebraica.
Così, anche nell’amore, sembra incapace di rinunciare al suo essere per
una donna.
"Seeing The Real You At Last", è un pezzo molto valorizzato di recente dal
vivo; un pezzo che va ascoltato più volte per essere compreso davvero.
Le parole sono coinvolgenti, come la musica che sembra uscire dal disco e
sembra avvolgere l’ascoltatore in un'atmosfera da sogno, con il sax di
David Watson a creare un assoluto tappeto sonoro.
Anche in questo caso le somiglianze con Springsteen sembrano riemergere.
"I'll Remember You" è un classica canzone romantica la cui musicalità e
melodia sono fuori discussione.
Risente un po’ della sovraproduzione ma è un bel pezzo; decisamente
superiore è la versione suonata nel tour con Tom Petty, davvero
eccellente.
In "Cleancut Kid" ritroviamo un ritmo molto sostenuto, con il solito coro
a fare da cammeo alla voce di Dylan.
Il brano parla di un ragazzo mandato in una "stazione termale al napalm
per allenarsi"; lui, in fondo, era solo un "ragazzo per bene", diventato
un assassino.
Chiarissimo è il riferimento alla guerra del Viet-Nam.
Sappiamo che Dylan si è dichiarato, a fasi alterne, al riguardo; spesso ha
espresso pareri, sempre soggetti a modifiche nel corso delle interviste,
ma sembra chiaro, in questa canzone, la punta ironica che nasce come
critica all’organizzazione militare ed a come la vita in guerra possa
modificare le persone.
"Never Gonna be the Same Again" e "Trust yourself" sono i pezzi più deboli
dell’album.
Risentono troppo della sovraproduzione, e probabilmente sono i pezzi che
meno si avvicinano all’idea di partenza di Dylan.
Tuttavia, nell’economia generale dell’album, risultano essere ottimi
riempitivi che preparano alla seconda parte, più sentita e calda della
prima.
"Emotionally yours" è una perfetta "love ballad"; un testo semplice ma
altamente poetico, una voce a livelli eccellenti che si misura su uno
standard soul, lontano dal suo stile, una melodia eccellente sostenuta da
una sezione ritmica ottima; anche la sovraincisione di archi sembra dare
maggiore forza a questo bellissimo pezzo.
A metà canzone, al bellissimo piano viene sostituito un "sint" e questo
spezza un po’ l’atmosfera; ma, in sintesi, è un ottimo pezzo. Non a caso è
stato suonato nella serata del "30th Anniversary Concert Celebration"
dagli O’Jays e, sempre loro, ne hanno fatto un hit.
"When the Night Comes Falling From the Sky" è un pezzo epico, ottimo al
punto da resistere alle incursioni quasi disco music di Arthur Baker; ma,
senza dubbio, resta memorabile la sua forza trascinante e la sezione
ritmica ancora una volta ottima.
Questi elementi ne fanno un pezzo spettacolare, una cavalcata sonora.
Il disco, virtualmente, si chiude con "Something's Burning Baby" che è un
pezzo quasi superfluo.
Questa volta la vera pecca è nella sezione ritmica che mi ricorda alcuni
pezzi degli ultimi anni, in cui il batterista produce un suono ripetitivo,
senza cambi di tempo, con troppi colpi sui "tom" escludendo quasi i
piatti.
Ma la vera perla del disco è "Dark Eyes", la prima canzone eseguita su
disco, da moltissimo tempo a quella parte, con la sola chitarra acustica e
l’armonica.
In massima evidenza è la voce di Dylan, sicura, dolce, profondissima; il
cantato è perfetto ed il testo è di altissimo livello, forse uno dei
migliori di quel periodo, insomma un vero capolavoro.
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le immagini sono tratte dal videoclip di "Tight Connection to My Heart
(Has Anybody Seen My Love?)"
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