Bob Dylan - I giorni del
Tuono
di Riccardo Bertoncelli
E' passato un altro Nobel e di Bob Dylan nessuna traccia. Gli Accademici
di Svezia premiano ungheresi, caraibici, africani e non si avventurano mai
dove mezzo mondo vorrebbe, dalle parti di un vecchio idolo rock che in
gioventù coltivò molto e bene la poesia (da grande un po' meno, a dire il
vero). Secondo me fanno benissimo a girare al largo, ma il discorso è
lungo e porterebbe lontano. Stiamo più vicini. Stiamo al fatto che gli
appassionati non sono poi così delusi, se è vero che il loro campione
continua a girare in tour, come fa implacabilmente da 15 anni, e per
questo fine d'anno ha deciso di aprire almeno un po' la porta dei suoi
favolosi archivi - che è una specie di Giubileo molto gradito e non così
frequente.
Lo sanno tutti che Dylan ha un forziere che neanche Zio Paperone; un
personale Fort Knox, un deposito con qualche fantastiliardo di nastri live
e in studio che si può solo immaginare, con la bocca aperta. Forse li ama
troppo, proprio come Uncle Scrooge, o al contrario li disprezza, o non
gliene importa niente. Fatto sta che se li tiene stretti e solo ogni tanto
allunga qualche diecino di mancia ai collezionisti con cervellotiche
compilazioni che han preso il nome di "Bootleg Series". Gli appassionati
incassano l'elemosina e mugugnano; ci vuole ben altro per soddisfare la
loro fame ma, in assenza di meglio, va bene anche quella dieta poverissima
- però, che avarizia.
Il quinto volume della "Bootleg Series" è previsto per questo Natale e
riguarda un'avventura musicale di tanti anni fa, 27 per l'esattezza: la
"Rolling Thunder Revue". E' una storia favolosa di quando Dylan era più
giovane e aveva idee che gli fiorivano improvvise come temporali d'estate:
dal sole alla pioggia in un batter di ciglia. Così, nell'estate del 1975,
il suo umore virò di botto verso il nostalgico. Si ricordò di quand'era
stato un ragazzetto folk al Greenwich Village, una dozzina d'anni prima,
gli venne voglia di ritrovare gli amici di quei giorni, da Joan Baez a
Arlo Guthrie, di tornare a fare musica con loro.
Ne convocò una serie in uno studio sulla 54a Strada per fare insieme delle
"prove", senza spiegare bene dove sarebbero andate a parare. Con altri
amici fu un po' più chiaro. Telefonò ad Allen Ginsberg alle 4 di notte,
dopo che non lo vedeva da tre anni, e lo esortò a uscire dal guscio:
"Vieni anche tu, si va in giro."
"In giro" voleva dire una tournée da circo, anzi, una "Turné" tipo quella
di Salvatores, da commedianti poveri. Un giro in pullman per piccoli
centri americani, in teatri da 2-3000 posti, senza tanta pubblicità e le
zanzare dei media; a suonare quel che capitava con amici, recuperando un
po' dello spirito semplice e informale dei primi anni. Sembrava un'idea
bislacca, invece, tempo un mese, la Revue partì sul serio; prima data il
30 ottobre al War Memorial Auditorium di Plymouth, Massachusetts. Si
imbarcarono vecchi amici del Village come Joan Baez, Jack Elliott, Allen
Ginsberg ma anche i collaboratori nuovi con cui Dylan aveva appena finito
di registrare "Desire": Jacques Levy, la violinista Scarlet Rivera e
T-Bone Burnett, che diventò il capo della banda di accompagnamento.
Saltarono sul carro anche il commediografo Sam Shepard e una troupe agli
ordini di Howard Alk per un progetto cinematografico che poi sarebbe
diventato "Renaldo & Clara". Per strada si unirono altri compagni: Joni
Mitchell, Robbie Robertson, Roger McGuinn, l'attrice Ronee Blakely che
tutti conoscevano in quei giorni per la sua partecipazione a "Nashville"
di Robert Altman. A Toronto, il primo dicembre, si fece viva addirittura
la mamma, la signora Beatrice, detta "Beatty"; che, in barba al mistero
che ha sempre circondato il su' figliolo, salì sul palco e si lasciò
ammirare nella sua tipicità yiddish.
Fu un carnevale molto dylaniano, variopinto e confuso, che durò un mese e
mezzo non senza polemiche. Qualcuno si risentì per essere stato escluso
(così Phil Ochs, che di lì a pochi mesi si sarebbe suicidato), altri
avanzarono sospetti sullo sincerità dell'iniziativa, facendo notare che i
piccoli teatri di provincia dell'idea originale erano in breve diventati
capienti sale di città medie o grandi. Dylan, come d'abitudine, non badò
troppo alle critiche: siamo quasi in 100, mandò a dire, servono soldi
anche solo per divertirsi. Tutto culminò al Madison Square Garden l'8
dicembre, per una serata di beneficenza: Dylan aveva appena scritto
"Hurricane", per protestare l'innocenza di un pugile nero ingiustamente
condannato a morte, e volle che l'atto finale della Revue fosse una serata
un po' meno festaiola e più polemica - la Notte dell'Uragano.
A raccontare per bene la "Rolling Thunder" non basterebbe un libro, forse
un'enciclopedia; e siccome tutti i concerti e le prove furono registrati
(e filmati), immaginate quanto è grande la sala del deposito di Zio Bobby
che ne contiene i reperti. E quanto ci spetta di questo bendidio? Due CD,
due ore di musica; che per quanto siano belli e ispirati, restano pur
sempre una mancia. Peccato, perché la "Revue" cadde in un momento di
grazia della storia dylaniana, fra due dischi straordinari come "Blood On
The Tracks" e "Desire", con una musica che cercava nuovi orizzonti oltre
il classico folk rock e respirava country, gospel, Tex Mex. Per molto
tempo Dylan non avrebbe più toccato quei cieli.
Un giornalista di "Rolling Stone" gli domandò: "Perché Rolling Thunder?".
Lui socchiuse per un attimo gli occhi da vipera e ridiventò l'oracolo di
dieci anni prima: "Un giorno ero sulla veranda fuori casa mia e stavo
giusto pensando al nome da dare al tour. Alzai gli occhi al cielo e sentii
un boato, bum bum bum, un tuono che si ripercuoteva da occidente a
oriente. Tuono che rotola', mi sembrò il nome giusto." "Lo sai cosa vuol
dire nel linguaggio dei Nativi Americani?", incalzò il giornalista. "No",
fece lui. "Che significa?"
"Significa 'la verità che parla'." Dylan stese una specie di sorriso. Bel
colpo, aveva sempre avuto un talento per i titoli.
Riccardo Bertoncelli
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Sulle piste del tuono
di Riccardo Bertoncelli
Ventisette anni fa, Bob Dylan non andava così spesso in giro per concerti
come oggi. Anzi, tutto il contrario. Era stato fermo otto anni, dal 1966
al 1974, e dopo la famosa rentrée con la Band ("Before The Flood") si era
limitato a qualche esibizione sparsa. Così fece scalpore quando, alla fine
dell'estate 1975, annunciò al mondo la sua intenzione di ritornare in
scena; anche perché quello che aveva in programma non era un tour
tradizionale ma una specie di circo itinerante, un "rock medicine show",
come qualcuno lo chiamò, che lo avrebbe portato in giro in angoli sperduti
d'America, con amici, senza formalità.
Il circo andò a chiamarsi "Rolling Thunder Revue" ed ebbe una lunga e
complicata storia che i dylaniani ben conoscono. Oggi, appunto 27 anni
dopo, la Columbia ne rinfresca la memoria con un doppio CD d'archivio,
naturalmente gradito e naturalmente fonte di polemiche; visto che due CD
per una storia tanto ricca e complessa sembrano un po' poco, anche perché
negli anni i bootleggers hanno inondato il mercato con nastri e nastri di
quegli eventi.
Comunque, immaginatevi un Dylan ancora giovane, nei suoi trent'anni, nel
periodo felice tra "Blood On The Tracks" e "Desire". Fate conto che abbia
un accesso di nostalgia e che voglia riprendere per la coda i suoi anni
giovani, quelli del Village, con molti degli amici di allora: Joan Baez,
Bobby Neuwirth, Jack Elliott, anche Allen Ginsberg.
La "Rolling Thunder" nasce così: come un gioco, un sogno, una rimpatriata.
L'idea originale è quella di tenere concerti senza preavviso, in piccoli
teatri, con biglietti a basso costo. Dura poco però: gli ospiti lungo la
strada si fanno numerosi (Joni Mitchell, Roger McGuinn, Robbie Robertson),
le spese aumentano e presto gli spazi diventano più grandi, fino al
Madison Square Garden dove l'8 dicembre la Revue chiude con una serata
benefica per Rubin Carter, il pugile nero condannato a morte di cui Dylan
protesta l'innocenza in "Hurricane". In realtà non è una chiusura
definitiva ma uno stop provvisorio. La "Rolling Thunder" tornerà a
muoversi qualche mese dopo, tra gennaio e maggio 1976, con una serie di
show che culmineranno a Fort Collins, Colorado, dove verranno registrati
il live di "Hard Rain" e uno stravisto TV special.
L'antologia Columbia si ferma ai primi concerti della "Rolling Thunder",
soprattutto Boston e Toronto, ed è meglio così. C'è più entusiasmo, più
schiettezza negli show del 1975, si coglie ancora l'idea del gioco che
aveva spinto quella carovana a muoversi. Dylan sta cambiando pelle, con
l'innesto di nuovi elementi country e latini sulla solida base del suo
rock blues, aiutato da una band guidata dal giovane e impetuoso T-Bone
Burnett, con la chitarra di Mick Ronson e il caldo violino di Scarlet
Rivera. Ha mille idee per la testa e qualcuna lo manderà in confusione;
come "Renaldo & Clara", il film, che nasce proprio in quei mesi di felice
caos, con lo sceneggiatore Sam Shepard e una troupe guidata dal regista
Howard Alk che seguono passo passo la "Revue" e ne documentano i momenti
più importanti.
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