Bob Dylan Like a Rolling
Stone
Metafora cucita su carta
di Gabriele Di Fronzo
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"Vi sono profumi freschi come carni di bimbi,
dolci come oboi, verdi come i prati,
e altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
aventi l'espansione delle cose infinite,
come l'ambra, il muschio, il benzoino e l'incenso
che cantano il trasporto dello spirito e dei sensi."
(da Correspondances, Les Fleurs du Mal, Charles Baudelaire)
"Quantunque sia orribile rivederti coperta così;
quantunque non sia mai stata fatta di una città
un’ulcera più fetida al cospetto della verde Natura,
il Poeta dice: Splendida è la tua bellezza."
(Paris se repeuple, Arthur Rimbaud)
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«E’ importante stare alla larga dalla trappola della celebrità. Il trip
della fama-per-un-minuto alla Andy Warhol. I media sono un enorme
tritacarne, sempre insoddisfatto e continuamente bisognoso di essere
nutrito; sono l’oscurità ed il tenere nascoste le cose ad avere un
notevole potere. Pensate a Napoleone. Napoleone aveva conquistato
l’Europa, e nessuno sapeva neppure che aspetto avesse; di questi tempi, la
gente diventa famosa troppo in fretta, e questo conduce unicamente
all’immediata distruzione dell’individuo. Vi e’ molta verità
nell’affermare che la fama sia nient’altro che una maledizione.»
Dylan,1985.
«Il pubblico tratta tutte le celebrità alla stessa maniera. Non importa
affatto il motivo che ha reso famosa una certa persona; puoi essere famoso
per avere sparato al Presidente o per qualsiasi altra cosa, e
ciononostante sei famoso e loro metteranno le tue foto sulle pagine di
tutti i giornali. Puoi essere uno stilista, o una star del cinema, oppure
un famoso finanziere di Wall Street, puoi comunque contare su un certo
livello di celebrità. Sono parecchie le persone che rincorrono la fama ma
in realtà ciò che inseguono è il denaro… E’ come passare davanti ad un
pub, e guardare aldilà dei vetri-si vede che tutti sono impegnati a
mangiare, intenti a chiacchierare… aldiquà della vetrata, tutti ti
sembrano autentici, concreti… Ma si tratta di una realtà fittizia, perché
una volta che entri nel pub, è tutto finito - non ti sembreranno più
autentici» Dylan, 1986.
Nel 1949, mentre tentava con scarsi risultati di affermarsi come
sceneggiatore, Raymond Chandler si era posto la questione. “Credo che
essere molto poveri e molto belli sia probabilmente più un fallimento
morale che un successo artistico”, aveva scritto, aggiungendo che uno come
Shakespeare se la sarebbe cavata in qualsiasi contesto, avrebbe fatto bene
con qualunque mezzo di comunicazione si fosse trovato ad usare. Avrebbe
anche corso il rischio di produrre opere di bassa qualità, perché senza
una dose di volgarità non si dà un uomo completo; la raffinatezza fine a
sé stessa è sempre sintomo di fuga.
Il sogno radicalmente democratico di una fama e di una ricchezza che
possono toccare a tutti, e che genera grandi imprenditori, grandi politici
e grandi criminali, si estende anche all’artista, con la differenza che la
disciplina a lui richiesta è, se possibile, ancora più ardua. Non si
tratta in alcun modo di essere condiscendenti con il pubblico.
Quattro giorni dopo l’uscita di Like a Rolling Stone Dylan si presentò al
Newport Folk Festival. I ritmi tradizionalmente tranquilli e prevedibili
della manifestazione, in quel 1965 furono sconvolti, irreparabilmente
incendiati dalla decisione del cantautore di eseguire amplificati i suoi
nuovi brani.
La stragrande maggioranza dei musicisti che si esibivano al festival erano
tradizionalisti folk convinti sostenitori dei valori democratici, ed il
pubblico, che ignorava le intenzioni di quello che considerava il Vate
della rivolta sociale, si aspettava di ascoltare canzoni di protesta.
Lo shock provocato da quanto stava per accadere non avrebbe potuto essere
più violento.
Dylan si presentò sul palco con un giubbotto di pelle e gli occhiali scuri
ed affiancato da una vera band. Prima una versione acida di Maggie’s Farm,
poco lontana dall’essere semplice rumore, seguita poi da una versione
fragorosa, rimbombante di Like a Rolling Stone.
Il pubblico fischiava. La folla, sino a pochi istanti prima adorante,
riconobbe nella scena propostagli un affronto ai valori democratici del
folk.
Il passaggio dal folk al rock elettrico rappresentava un inaccettabile
tradimento. Non è scorretto sostenere che la chitarra elettrica
rappresentasse il capitalismo e la gente che ad esso si era venduta.
Il significato percepito ed attribuito alla svolta di Newport sancì la
rottura; Dylan aveva preferito il materialismo, la fama e la ricchezza,
l’egoismo del capitalismo moderno rispetto all’impegno politico, alla
poesia del quotidiano propri di quel mondo infinitamente bello e giusto
che era cantato dal folk.
Così come Dylan anche Pasolini veniva da un mondo puro ed onesto per
definizione, quello della Poesia. Anche Pasolini era passato all’elettrico
quando aveva deciso di dedicarsi al Cinema. Anche Pasolini portava giacche
di pelle ed occhiali scuri e si faceva circondare da un entourage di
fedelissimi. Come Dylan, Pasolini non si era mai liberato da una certa
naïveté politica, ed interpretava i mutamenti degli anni sessanta più
attraverso l’istinto che con la ragione. E come il Pasolini del 1975
vedeva solo marciume e corruzione nell’Occidente, così Dylan poco dopo,
non avrebbe fatto che predicare l’imminente apocalisse, e da allora in poi
non ha mai veramente smesso. Nessuno dei due è mai riuscito a tenere la
bocca chiusa, nessuno dei due ha mai potuto fare a meno di tradire
incessantemente tutti coloro che credevano di averli inchiodati al muro,
di averli dalla loro parte, di averli assimilati alla loro causa. Questa
immagine proposta in un recente saggio dal prof. Carrera, docente di
Letteratura Italiana presso la New York University, avvicina due figure
che apparentemente hanno ben pochi tratti in comune. Pasolini e Dylan. La
realtà nuda, cruda del quotidiano di cui si fa cronista sublime il poeta
italiano e la cultura dei Beat. Carrera dimostra in questo caso di essere
in possesso di una illuminante lungimiranza; è notizia di questi giorni il
progetto di Ferlinghetti, una tra le maggiori voci della Beat Generation,
di portare per i teatri dell’America la vita di Pier Paolo Pasolini
ribadendo la forte attrazione tra l’autore di Ragazzi di vita e l’
universo Beat.
Entrambi, per usare la felice espressione di Dylan, temevano di fare la
fine di “una farfalla trafitta da uno spillo”.
Il passaggio dalla chitarra acustica a quella elettrica celava un ben più
incisivo riposizionamento del menestrello di Duluth; dalle finger-pointing
songs come The Time They Are A-Changin’, che puntavano il dito contro
l’ingiustizia e indicavano la via della rivolta, Dylan era passato ai
truth attacks, alle “offensive di verità”, scoppi di veemenza accusatoria
a metà strada tra esistenzialismo e paranoia, conclusi i quali assai
raramente si voltava indietro a controllare l’entità dell’offesa inflitta.
Ciò che colpisce in canzoni come Positively 4th Street e It’s All Over
Now, Baby Blue è la calma soprannaturale con cui Dylan pronuncia la sua
requisitoria. “Parla gentilmente, come in presenza di un morto; lascia le
prove indiscutibili sul tavolo, prende la porta e se ne va.” In questo
modo, trasudante anch’esso un’irraggiungibile pacatezza, Alessandro
Carrera descrive il modus operandi del cantastorie americano.
L’artista dalla sua torre d’avorio percepisce la realtà sottostante e la
modifica attraverso i suoi cambiamenti. Metafora delle svolte sociali,
metafora dei mutamenti culturali. La Poesia appare, prima tra le Arti, non
più proprietà della raffinatezza intellettuale, ma significato di
quell’inconsapevolezza propria dell’infanzia; la metafora in Dylan sta
nella sua capacità nel fornire un senso e passione a cose insensate.
Nel 1965 Dylan affitta una casa a Woodstock dove scrive di getto una
poesia priva di titolo, “quasi un attacco di vomito” come avrà modo di
dire in seguito.
«Era lunga dieci pagine, non aveva un nome, era solo un ritmo messo su
carta, tutta sul mio odio specifico diretto ad un punto che era onesto.
Alla fine non era odio, era un dire a qualcuno qualcosa che non sapeva,
dirgli che era fortunato. Vendetta, è una parola migliore. Non l’avevo mai
pensata come una canzone, finché un giorno ero al pianoforte, e mi ha
cantato dalla carta, “How does it feel?”in un movimento lento, un
movimento lentissimo, come se seguisse qualcosa. Era come nuotare nella
lava. Vedi la tua vittima che nuota nella lava. Che si appendono con le
braccia ad un albero di betulla. Che scivoli, che scalci l’albero, che
colpisci un chiodo con il piede. Vedi qualcuno immerso nel dolore al quale
prima o poi è destinato. L’ho scritta. Non ho sbagliato. E’ andata dritta
al suo scopo.»
Da lì a breve questa visione seriamente dantesca di anime dannate
destinate a nuotare in un viscoso mare di fuoco acquisisce una forma
distinta, una metrica ed un ritmo incandescente, e diviene Like a Rolling
Stone. La registra tra il 15 ed il 16 giugno del 1965.
L’idea che rincorreva era quella di “un personaggio molto elisabettiano,
con tanto di giarrettiere ed un corno da pastore, che sta venendo giù
dalla collina al mattino presto, con il sole che si alza dietro le sue
spalle”.
Se vogliamo fare nostre le parole di Humboldt, per cui il linguaggio si
situerebbe al limite tra l’espresso ed il non espresso ed il suo scopo
ultimo sarebbe quello di spingere questo limite sempre poco più lontano,
Dylan ha dato prova in questo caso, come in infiniti altri, di poter
spostare il confine per un lungo tratto del percorso.
Il soggetto di Like a Rolling Stone è la strada: la strada dove i sassi
rotolano presi a calci o vengono sparati oltre i limiti dall’urto con i
pneumatici o con le scarpette dei ragazzini. E per fare la fine del sasso
sono più che sufficienti una deviazione, una sosta anticipata o ritardata,
o un qualsiasi errore.
Non c’è un secondo atto nella vita americana, diceva F.S.Fitzgerald;
questi sarà poi citato da Dylan nell’amara Ballad of Thin Man, come mero
feticcio letterario con il chiaro intento di esemplificare la mezza
cultura della classe media americana. La società americana è da
considerarsi una one-mistake-society, un ambiente nel quale è sufficiente
commettere un errore per ritrovarsi nel fossato.
Dylan canta la strada della desolazione con l’interminabile Desolation
Row, abitata da personaggi e situazioni surreali, sul cui sterrato
polveroso Cenerentola subisce le attenzioni di uno sbadato Romeo, Einstein
si traveste da Robin Hood e una bancarella vende cartoline
dell’impiccagione; in Highway 61 Revisited narra le assurde vicende che si
susseguono su una delle principali arterie del continente americano e con
ciò fornisce un amaro, disperato simbolo del fallimento nella società
contemporanea.
La strada, luogo degli amori e disamori evocataci dal poeta, ambisce
paradossalmente alla fisionomia del vicolo cantato dai bluesman. La strada
non ha in sé nulla di romantico, si rivela una condanna senza appello. Ne’
Muddy Waters, né tanto meno Dylan si commuovono, o intendono commuovere il
fruitore del loro messaggio.
Dostoevsky in un suo racconto dal titolo "Storia di un uomo ridicolo"
narra le vicende di un uomo che, nell’istante stesso in cui sta per porre
fine alla sua vita, è colto da una visione in seguito alla quale è
costretto ad ammettere di essere stato certamente più colpevole che
vittima delle sue circostanze; deciderà di rinunciare ad ogni aspetto
della sua precedente esistenza e di "camminare, camminare" vestendo gli
scarni, umili panni del predicatore itinerante in completa povertà. La
strada richiede il suo crudele pedaggio alla fintamente ingenua signorina
cantataci, o meglio urlataci, dal poeta del jukebox e non troppo
diversamente pretende dall’ uomo ridicolo fattoci conoscere dalla penna
dello scrittore russo di saldare l’esoso conto che indubbiamente gli
spetta.
Lo scenario che si cela dietro la via asfaltata sulla quale entrambi i
personaggi vivono, è in ultima analisi terreno privilegiato per il
conseguimento della personale salvezza.
Ancora una volta Dylan privilegia la forza trasgressiva della metafora,
quella che Eco avrebbe definito con il termine “sommovimento”; muovendo
dal di fuori del linguaggio,Dylan giunge ad un lussuoso surplus di senso,
fatto di ambiguità e ricchezza presenti nelle singole immagini.
Il risultato da lui inseguito ed infine raggiunto, la ragione più profonda
che preme affinché Dylan racconti questa storia, sta proprio nel fatto che
dalla viltà propria della strada, si apre la possibilità di una
liberazione violenta dal destino prestampato della austera borghesia
americana, una elezione insieme dostoevskiana e dionisiaca.
Quali siano le ragioni per cui l’ex signora elegante non può fare ritorno
a casa, al narratore preme mettere in chiaro subito una cosa: l’unica
colpevole, padrona indiscussa ed indiscutibile del proprio avvenire, è
lei, ed unicamente lei.
La verità di cui Dylan si fa portatore in questo momento non è più che i
mascherati signori della guerra della potente Masters of War sono cattivi
e bugiardi, ma che ciò che realmente interessa al poeta Beat è ridefinire
l’importanza, la centralità dell’uno, dell’individuo e delle sue scelte.
Hai fatto buone scuole, come no, Madama Malinconia, incalza Dylan, ma sii
sincera, non facevi che ubriacarti. Nessuno ti ha mai insegnato a vivere
per strada, e te ne rendi conto solo adesso che ti ci devi abituare.
Dicevi che non saresti mai scesa a compromessi con il vagabondo
misterioso, ma adesso l’hai capito che quello che ti vende non è un alibi,
mentre lo guardi nel bianco degli occhi e gli fai: ci mettiamo d’accordo?
Così come nei classici, in questo caso lo scarto tra la figura proposta
dall’autore ad il senso rincorso e’ estremamente ridotto; l’assurdità
logica enfatizzata da Beardsley, il violento e sanguinoso scontro tra
significati letterali nello stesso contesto, tanto cara a Dylan, appare
ora a riposo.
L’attacco paralizzante mosso da rabbia e desiderio di vendetta pare
leggibile sin dal mero livello letterale del testo; nient’altro che il
Sentimento, espresso dalle parole che inseguono indefesse l’eccitazione
dei sensi. Tutto muove in una unica direzione, dal principio alla fine
rispettata: urlare disperato il proprio intimo Sentire, più o meno celato
dietro le parole, effettivo strumento dell’intelletto dell’autore per
raggiungere tale scopo.
Con Like a Rolling Stone, Dylan alzava spudoratamente il leggero coperchio
degli anni sessanta ed aveva fatto fuggire Eris, la dea della Discordia,
quella che, come splendidamente riportato dall’Iliade, comincia il suo
cammino debole e zoppicante per poi crescere ad ogni passo e farsi più
alta delle montagne. Ancora una volta la capacità di sintesi propria delle
immagini avanzate dal prof. Carrera chiarisce la situazione meglio di
decine di insulsi commenti. Like a Rolling Stone è una crociata dai toni
forti ed impronunciabili condotta da uno strano moralista, mosso da un
imprescindibile impeto vendicativo.
Ed il suo successo, il suo continuo passaggio alla radio, la sua
indiscussa vittoria nel jukebox conduce al paradosso, di chi canta
disperato l’ipocrisia di una società e viene issato ad idolo dalla stessa.
L’unica accettabile,e degna di studio, tra le sempre tante morali che si
affacciano premurose, sta nella tragica americana bellezza del fallimento.
Pavese riconosceva nella vita adulta due distinte esperienze, il successo
ed il fallimento. O si provvede all’uccisione di Moby Dick o si porta al
naufragio l’intero equipaggio del Pequod.
Ma in realtà si può insieme uccidere la balena e far naufragare la nave,
oppure prendere coscienza del fatto che l’uccisione della balena non
sempre é catalogabile sotto la parola successo, mentre indiscutibilmente,
inopinatamente il naufragio della nave, in ogni modo questo possa
accadere, e’ sempre e comunque un fallimento.
Non si mira certo ad equiparare successo e fallimento; neanche la più
mirabile tra le metafore riuscirebbe a colmare l’enorme distanza di
significato che è insita tra i due concetti.
Dylan però riesce, almeno, ad insinuare tale vicinanza; un verso del brano
Love Minus Zero/No Limit così recita: “She knows there’s no success like
failure/And that failure‘s no success at all.” Lei lo sa che non c’è
successo come il fallimento/E che il fallimento non è per nulla un
successo.
Il fallimento, per quanto non venga inseguito, è definito più importante
del successo, in quanto porta con sé maggiori implicazioni ed
insegnamento. Soprattutto rispetto al successo effimero, debole alla Andy
Warhol, il più desiderato ed afferrabile.
“Il linguaggio nella sua interezza è metafora; la nostra mente è un organo
associativo, si limita a lavorare per via di associazioni”. Avrebbe forse
permesso Richards, una tale “associazione”? Neanche gli infiniti versi
rimbaudiani, occupati da pesci ridenti, amici sanguinari che pugnalano le
sue foto, le scarpe da ginnastica con i tacchi, l’artista che può togliere
il buio della notte e dipingere il giorno di nero, il ragazzo che entra in
banca per chiede la cauzione di Achab, l’ago della bussola arrugginito dal
tempo, il Presidente degli Stati Uniti che deve mostrarsi nudo, la
parrucca calva per Jack lo Squartatore, il consiglio ad una giovane sposa
di ingoiare l’orgoglio che non è mica veleno, il naso sul pavimento, i
pagliacci morti in battaglia, il pubblicitario che per creare la prossima
guerra mondiale intende mettere delle panchine al sole, il monaco
immacolatamente geloso, il fantasma dell’opera travestito da prete che
imbocca casanova, lo spettro dell’elettricità che urla nelle ossa del suo
volto, il grido solitario dello spremiaranci, il giudice che cammina sui
trampoli, la bocca di mercurio e le visioni di tram dell’amata, il mazzo
di carte senza l’asso ed il fante, lui che cerca di spellare la luna ed
accusarla, nemmeno queste immagini allucinate prive di ogni logica, prese
singolarmente o in un insieme, tutto fuorché organico, riescono ad avere
l’assurdo grado di assurdità proprio del tentativo di accostare successo e
fallimento.
Like a Rolling Stone é una gracchiante, disarticolata invettiva, che
utilizza la triste e penosa vicenda di Miss Lonely come puro pretesto
intorno al quale Dylan erige un edificio impossibile da abbattere fatto di
continue scariche elettriche con le quali il cantautore in ogni occasione
esegue, capitalmente, il proprio pubblico.
William Empson che definisce la metafora come la figura che permette di
uscire dall’ambito ordinario della parola, avrebbe riconosciuto all’autore
di Mr Tambourine Man una rara forza immaginativa. Ferlinghetti, riconobbe
in lui un’immaginazione furiosa ed immagini tremendamente brillanti, “e il
fraseggio un po’ folle di molte delle sue canzoni è qualcosa che parecchi
poeti vorrebbero possedere.” Lo spettacolo da lui proposto agli
ascoltatori, ben prima di essere un gentile invito al Caos (“Io accetto il
caos. Non sono sicuro se il caos accetti me.”) è una danza circense,
scombinata, con parole che alludono, si limitano ad essere presenti, si
nascondono acquattandosi o non significano nulla. Allen Ginsberg, autore
di “Howl” manifesto in versi della nascente generazione di battuti e
beati, così definiti da un’eccellente raccolta proposta da Einaudi e
curata splendidamente da Emanuele Bevilacqua, constatò come Dylan fosse
riuscito a fare grande arte con un jukebox.
Dylan sarà sempre molto vicino alle tecniche di scrittura ed alle
tematiche dei Beat; la prosa spontanea, la lettura di testi come Mexico
City Blues risalta viva dai suoi versi, e ciò è ancor più vero nell’unico
esempio di prosa del cantautore. Di Tarantula l’autore dice: “Sono cose
senza rima, frammenti messi insieme con la tecnica del cut-up (William
Burroughs), cose senza valore, salvo il fatto che hanno preso forma di
parole”; senza neanche troppa ironia si può riconoscere in questa breve
frase di Dylan, un’eccezionale recensione valida ad illuminare gran parte
della sua produzione musico-letteraria.
Il monito avanzato dallo studioso Kames per cui nella costruzione della
metafora lo scrittore dovrebbe attenersi all’uso di parole riconducibili
letteralmente alla natura dell’oggetto in questione, appare un consiglio
disatteso, un appunto stacciato e gettato fulmineamente nel cestino della
carta.
Piuttosto in Dylan si susseguono, indomite, immagini sorprendenti e
totalmente inaspettate, se non addirittura sconcertanti, portatrici di una
falsità palese, se non addirittura di assurdità.
Ritorniamo al nostro discorso sui versi furibondi della celeberrima Like a
Rolling Stone.
Principessa in cima alla guglia e tutta la bella gente che beve, pensa di
avercela fatta e si scambia regali preziosi, conclude Dylan, farai meglio
a toglierti il tuo anello di diamanti e a portarlo al banco dei pegni. Ti
faceva così ridere Napoleone in stracci ed il gergo che usava. Và da lui
adesso, ti chiama, non puoi dirgli di no. Non possiedi ormai più nulla, e
quindi non hai niente da perdere. Sei invisibile adesso. Ormai non esisti,
non hai alcun segreto da nascondere.
“Like a Rolling Stone è un’ode al fallimento, anche se scritta come solo
il successo poteva scriverla.” Alessandro Carrera dimostra perfettamente
con questa sua affermazione di aver compreso la natura stessa dell’opera
dell’americano.
Il poeta giunge a deflagrare l’intera mitologia del sogno americano, fatta
di lucente successo ed imperdonabile, buio fallimentare.
Le immagini bizzarre, furiose, sconcertanti, crudeli, immancabilmente
folli di Dylan rincorrono, ora con grazia, ora meno, ma sempre con
indomita passione (patior), insperate associazioni. Solo sognati abbracci.
Suggestivo lavoro di un incantevole sarto.
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Like a Rolling Stone
Once upon a time you dressed so fine
You threw the bums a dime in your prime
Didn’t you?
Peopled called say beware doll
You’re bound to fall
You thought they were all
Kidding you
You used to laugh about
Everybody that was hanging it out
Now you don’t talk so loud
Now you don’t seem so proud
About having to be scrounging
For your next meal
How does it feel?
How does it feel?
To be without a home
Like a complete unknown
Like a rolling stone
You’ve gone to the finest school
Allright miss lonely
But you know you only used to get
Juiced in it
Nobody’s ever taught you
How to live on the street
And now you’re gonna have to get
Used to it
You say you never compromise
With the mistery tramp
But now you realize
He’s not selling any alibis
As you stare into the vacuum of his eyes
And say do you want
Make a deal
How does it feel?
How does it feel?
To be on your own
With no direction home
A complete unknown
Like a rolling stone
You never turned around to see the frowns
On the jugglers and the clowns
When they all did tricks for you
You never understood that it ain’t no good
You shouldn’t let other people
Get your kicks for you
You used to ride on the chrome horse
With your diplomat
Who carried on his shoulder a Siamese cat
Ain’t it hard when you discover that
He really wasn’t where it’s at
After he took from you everything
He could steal
How does it feel?
How does it feel?
To hang on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone
Princess on the steeple
And all the pretty people
They’re drinking thinking
That they got it made
Exchanging all precious gifts
But you’d better
Take a diamond ring
You’d better pawn it babe
You used to be so amused
At napoleon in rags
And the language that he used
Go to him now he calls you
You can’t refuse
When you ain’t got nothing
You got nothing to lose
You’re invisible now
You got no secrets to conceal
How does it feel?
How does it feel?
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone
Come una pietra che rotola
Un tempo vestivi così bene
Gettavi una moneta ai pezzenti nella tua primavera
Non e’ vero?
La gente ti gridava attenta ragazza
Finirai col cadere
Ma tu pensavi che ti prendessero in giro
Ridevi ti divertiva
La gente che cercava di stare a galla
Ora non parli più così forte
Ora non appari più così fiera
Ora che devi racimolare
Il tuo prossimo pranzo
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere senza casa
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
Sei stata nelle migliori scuole
D’accordo Signora Solitudine
Ma sai che ti piaceva
Ti ubriacavi soltanto
Nessuno ti ha mai insegnato
A vivere per la strada
Ed ora ti ci dovrai
Abituare
Dicevi che non avresti mai trattato
Con il misterioso vagabondo
Ma ora ti rendi conto
Che lui non vende alibi
E tu guardi nel vuoto dei suoi occhi
E chiedi vuoi che
Ci mettiamo assieme
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere per conto proprio
Senza avere dove andare
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
Non ti sei mai voltata vedere la fronte aggrottata
Dei giocolieri e dei pagliacci
Quando tutti facevano trucchi per te
Non hai mai capito che non è bello
Che non dovresti lasciare che gli altri
Ti divertano
Andavi a spasso sul cavallo cromato
Con il tuo diplomatico
Che portava sulla spalla un gatto siamese
Non è duro adesso capire
Che non era come lui ti diceva
Adesso che ti ha portato via ogni cosa
Che poteva rubare
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere per conto proprio
Senza avere dove andare
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
La principessa sulla guglia
E tutta la gente graziosa
Beve e pensa
Che loro sono arrivati
Regalandosi doni preziosi
Ma tu faresti meglio
A prendere il tuo anello di diamanti
Faresti meglio ad impegnarlo
Ti divertiva tanto
Napoleone in stracci
Ed il linguaggio che usava
Va da lui adesso ti chiama
Non puoi rifiutarti
Quando non hai più nulla
Non hai nulla da perdere
Sei invisibile adesso
Non hai segreti da nascondere
Come ci si sente?
Come ci si sente?
Ad essere per conto proprio
Senza sapere dove andare
Una completa sconosciuta
Come una pietra che rotola
Bibliografia delle fonti
- Carrera, Alessandro; La voce di Bob Dylan. Una spiegazione dell’America,
Feltrinelli, Milano 2001.
- Rizzo, Stefano (a cura di); Bob Dylan. Blues, ballate e canzoni, Newton
Compton editori, Roma 1972.
- Sounes, Howard; Down the Highway, Tea Saggistica, Milano 2005.
- Bevilacqua, Emanuele (a cura di); Battuti & Beati. I Beat raccontati dai
Beat, Einaudi, Torino 1996.
- Conte; Metafora, Feltrinelli, Milano
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