BELLUNO - 24 MAGGIO 2003
BOB DYLAN - 41 ANNI DI CANZONI
Il party di compleanno per Bob organizzato dal club "Forever Young" di
Belluno
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In questa pagina gli interventi di Paolo Vites e
Alessandro Cavazzuti durante il dibattito a Belluno.
Un grazie da parte mia a Paolo e Alessandro per avermi permesso di
proporli su Maggie's Farm.
Michele "Napoleon in rags"
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Il mistero Dylan
Su Bob Dylan negli anni è stato
scritto tantissimo, di tutto e il contrario di tutto: al proposito, un
ottimo scrittore inglese con cui ho avuto la fortuna di condividere una
breve amicizia perchè scomparso prematuramente e a cui devo molto in
termini di conoscenza di Dylan e di capacità di scrivere su Dylan, alcuni
anni fa intitolò un suo libro: "Oh no! Non un altro libro su Bob Dylan" ed
è una cosa a cui pensai quando mi fu proposto di scrivere un libro su Bob
Dylan.
Il fatto è che quello di Bob Dylan è ancor oggi un mistero irrisolto.
La parola che più troverete ricorrente leggendo uno qualunque dei
tantissimi libri che sono stati pubblicati nel corso degli anni su Bob
Dylan, così come si ritrova anche nel mio, è la parola "mistero".
"Bob Dylan è un mistero". "Il mistero di Bob Dylan è completo e
irrisolto", dice il cantautore Elliott Murphy nell'introduzione al mio
libro.
E' questo il motivo del fascino che ancora oggi questo artista sprigiona
in modo così vivo, attirando giovani e giovanissimi che non erano ancora
nati quando incideva i suoi primi capolavori, così come continua a
richiamare tante di quelle persone che lo ascoltavano allora.
Non è il solo, naturalmente, tra i tanti artisti degni di nota che quasi
cinquant'anni ormai di storia del rock hanno espresso, a destare ancora
tanto interesse e 'mistero', ma sicuramente Bob Dylan è 1'uomo che ha
lanciato le sfide più ardite e che continuamente non solo ha messo in
discussione se stesso ma ha messo in discussione tutti noi e le nostre
certezze, siano esse certezze politiche, ideologiche, religiose.
Di tutti Dylan è quello che ha preservato uno sguardo vivo e attento al
mistero che è la vita stessa, Dylan è il cantante che dialoga con il
mistero.
Nei suoi momenti più alti, la musica rock, è la ferita dell'uomo che cerca
di afferrare il mistero: "La presenza della tua assenza", intitolava
alcuni anni fa un suo articolo il critico musicale americano Paul
Williams.
"La solitudine", dice ancora Williams, "è una verità universale. La
musica, sia classica che popolare, è uno dei tre grandi tentativi da parte
del genere umano per cercare di coprire, riempire questo gap, di dare una
forma a questa grande sete dell'animo umano".
Bob Dylan ha affascinato e continua ad affascinare, caso unico se si
eccettuano tra i suoi coetanei i Beatles ma lì si tratta più di un fascino
esclusivamente musicale e di una nostalgia per 'come era bello essere
giovani' dopo 40 anni di carriera, Bob Dylan invece è l'artista rock che
più ha saputo esprimere il desiderio di pienezza e di felicità dell'uomo,
di tutti gli uomini, a tutte le latitudini: universale bisogno.
Bob dylan parte da una tradizione, quella di Woody Guthrie e del suo
popolo, la folk song e il blues, perchè "se non hai questo tipo di
fondamenta, se non sei storicamente legato a questa tradizione, allora ciò
che fai non sarà forte come dovrà essere", come ha detto lui stesso pochi
anni fa.
Bob dylan ha fallito tutte le volte che si è allontanto da questa
tradizione di popolo, ed è lì che falliscono la stragrande maggioranza di
esponenti della musica rock di oggigiorno: perchè essi non hanno più
radici, non sono più legati a una tradizione.
Bob Dylan, per costruire la sua musica, si è addentrato profondamente
nella tradizione del suo popolo, andando a riscoprire le sue antiche
ballate e le sue canzoni, cancellate con violenza dal sorgere della
società dei consumi di massa, e ha scoperto che sotto a tutto c'era un
mistero, e qual è il mistero più grande che l'uomo ha sempre cercato di
indagare se non quello della morte: "la morte", diceva Dylan nel '66, "non
è, ovviamente, accettata universalmente. Nella musica tradizionale la
gente poteva accettare, attraverso le canzoni, che il mistero è un fatto,
un fatto tradizionale".
"L'accettazione della morte", dice invece Greil Marcus, "che Dylan trovò
nella musica tradizionale, nelle antiche ballate della mountain music, è
semplicemente l'insistenza del cantante sul concetto di mistero come fatto
inseparabile da ogni onesta concezione di ciò che è la vita; è il terrore
quieto di un uomo che sta fissando il vuoto che lo fissa a sua volta".
Bob Dylan ha sempre eluso critici e fans: ha sfuggito sempre ogni
tentativo di rinchiuderlo nelle riserve: prima ancora che scoppiasse il
'68, lui aveva già abbandonato la politica perchè aveva capito che essa
non era la risposta; quando tutti gli attivisti, tramontati i sogni di
rivoluzione, scoprivano la fuga nel privato e nei rapporti di coppia come
ancora di salvezza, lui si era già sposato da tempo e aveva messo al mondo
quattro figli, ritirandosi in campagna e anticipando anche le scelte
ecologiste di pochi anni dopo; quando anche il rapporto di coppia si
rivela una nuova illusione, incapace come è 1'uomo da solo a preservare
intatte anche le cose più belle, lui va al fondo delle sue radici ebraiche
e si scopre cristiano, convertendosi clamorosamente; insomma, nessuno ha
mai appiccicato Bob Bylan come si fa con un farfalla con uno spillo.
È questo che ce lo rende così affascinante e unico, in lotta caparbiamente
contro il sistema, da qualunque parte esso sia girato, a destra come a
sinistra, per difendere il valore più profondo dell'uomo, la sua
possibilità di afferrare il volto del mistero.
La mole del lavoro di Bob Dylan, attraverso le sue canzoni, è immensa,
attraverso 40 anni di storia della musica moderna e 40 di storia della
società americana moderna: essa corrisponde alla grandezza dell'animo
umano, che questo cantante ha indagato in tutte le sue espressioni più
vere e autentiche: il bisogno di una risposta di fronte alle grandi
ingiustizie dell'uomo (guerra, diritti civili, segregazione razziale,
violenza), rifiuto dei valori e dei codici imposti dalla società borghese
e benpensante; l' inevitabile fallimento dei tentativi dell'uomo di darsi
una risposta da solo; la ricerca della salvezza nella donna e in una
relazione salvifica: un po' come Dante vedeva Deatrice, Dylan ha avuto la
sua musa nella moglie Sara, tranne 1'inevitabile divorzio; le proprie
radici ebraiche e la scoperta della fede cristiana e della possibilità di
una salvezza attraverso una comunità, una chiesa; e tutto questo
attraverso lo scandaglio delle formule musicali più genuine del suo paese,
dalla canzone folk al blues, dal rock'n 'roll al gospel.
Naturalmente ognuno può scegliere di questo straordinario cammino il
momento musicale e poetico che più gli aggrada, quello che sente più
vicino alla propria indole, ed è la dimostrazione della grande arte
"democratica" di Bob Dylan, o magari lo potrà prendere, tutto in blocco.
Sicuramente non ci sarà almeno un singolo momento, scandagliato nelle sue
canzoni, che non sia proprio a qualunque essere umano, a qualunque
latitudine.
Il cammino poetico di Bob Dylan si riassume brevemente in queste fasi
principali.
La prima, che va pressappoco dagli esordi (1961/64) in cui gli stilemi
espressivi sono essenzialmente quelli mutuati dal linguaggio della canzone
folk e blues (elementi che rimarranno comunque in modo imprenscindibile
per tutto il percorso dell'artista, fino ai giorni nostri, ora mascherati,
ora a livello sublimale, ora palesemente avvertibili) più evidenti
elementi derivativi dalla poetica della letteratura beat, in particolare
Ginsberg e Kerouac (momento più significativo "A hard rain's a-gonna
fall") un secondo momento (1965/66) in cui sono le sostanze allucinogene a
dar corpo alla poetica dylaniana, un vero e proprio linguaggio
psichedelico che Dylan è fra i primissimi a forgiare, un linguaggio
immaginifico, ricco di visionarietà, in cui gli elementi precedenti
vengono mescolati in totale anarchia e con un risultato felicissimo e
originale, dando vita a una influenza pressochè decisiva su tutto il
linguaggio rock degli anni successivi (momento clou "Desolation row e
"Stuck inside of Mobile with the Memphis blues again"). Un terzo momento
(1974) che è quello confinato alla scrittura di "Blood on the tracks",
dove Dylan tenta una via nuova e originale, grazie agli insegnamenti
filosofici del guru Norman Raeben, ("Mi insegnò a formulare una linea
narrativa non in termini di struttura temporanea consequenziale, ma
mischiando insieme passato, presente e futuro in modo da ottenere un focus
unico sul soggetto in questione"), una fase sperimentale che comunque
rimarrà presente ancor oggi nella poetica dell'artista (momento clou
"Tangled up in blue").
Un quarto e ultimo passaggio, quello che va dal 1989 (Oh mercy) ad oggi,
in cui confluiscono tutti gli elementi sperimentati da Dylan in
precedenza, con una forte caratterizzazione letteraria e una ricerca quasi
ossessiva di ogni possibile uso della parola, smontando e ricostruendo
come un puzzle il sistema narrativo stesso della canzone, vedi l'esempio
di "Highlands" o quello recentissimo di "Love & Theft", in cui Dylan
prende a prestito elementi tra i più diversi ad opera di altri scrittori
(nonchè dalla tradizione folk e blues), incastrandoli uno sull'altro quasi
a ripetere il cut and past di William Burroughs.
Ecco come lo stesso Dylan parla di se stesso come poeta: "Ho sempre
sentito il bisogno di scrivere in rima per dire quello che avevo bisogno
di dire ma non so se definirmi un poeta, non so come mi definirebbero TS
Eliot o Keats; per me si tratta maggiormente di un bisogno di visualizzare
i miei pensieri, sarei in grado ad esempio di dire il colore di una
canzone".
I testi delle canzoni rock non si possono intendere senza la musica, hanno
bisogno di essa. Anche i migliori testi di Dylan letti senza la musica
sono piuttosto deboli: il successo di un autore di testi di canzoni non è
quanto i suoi testi siano in grado di evocare Shakespeare o Baudelaire, ma
quanto lui sia in grado mettendo insieme delle parole e una melodia di
evocare dei sentimenti e delle emozioni o di formulare un messaggio. Un
messaggio che parla nel profondo al mio IO e suscita il mio bisogno
ineluttabile di avvicinarmi al Mistero. In questo, Dylan ha centrato il
bersaglio in più di una occasione.
("La poesia è tornata nei jukebox" dirà Ginsberg parlando di Dylan; "le
mie prime impressioni su Dylan avvennero quando qualcuno mi fece ascoltare
le sue prime canzoni, Masters of war e Hard rain. Fui affascinato. Mi
sembrò come se la torcia fosse stata passata da Keoruac a una nuova
generazione, che ne aveva fatto qualcosa di assolutamente originale.
Ricordo che scoppiai a piangere".
"Una canzone rock è capace di contenere tutto il mondo", diceva un altro
grandissimo critico rock americano, forse il più grande di tutti, Greil
Marcus. Per quei pochi minuti che una canzone dura, essa ha il potere di
congelare ogni cosa intorno a noi, fermare il tempo e consegnarci a
un'altra realtà; essa ci può inquietare, porci domande, divertirci, ma ci
apre a una realtà più grande di noi.
Bob Dylan, infine, è un artista americano: "In tutte le mie canzoni", ha
detto recentemente, "non ho fatto altro che navigare in quel grande mare
che è l'America". Lo dimostra perfettamente il recente "Love & Theft", un
disco che è un compendio strepitoso della storia della musica popolare del
novecento di questa nazione. Proprio come il suo primo disco di canzoni
autografe, Freewheelin' , anche "Love & Theft" non contiene alcuna musica
originale di Bob Dylan, benchè così non sia accreditato: tutte le canzoni,
musicalmente, come si sta appurando grazie a sempre nuove scoperte da
parte di alcuni musicologi super esperti, prendono in prestito le linee
melodiche e musicali da antichi blues, gospel, bluegrass, folk tunes ante
guerra, quasi a concludere un cerchio, a completare un cammino iniziato 40
anni prima quando Bob Dylan, giovanissimo, cercava di imitare la voce di
un vecchio che aveva vissuto e viaggiato per le strade polverose d'
America. Oggi è come se si fosse tolto quella maschera, e il volto di Bob
Dylan, oggi, è proprio quello di quel vecchio viaggiatore misterioso che
sognava di diventare da giovane. Si è impossessato completamente
dell'idioma popolare del suo paese e lo sta misteriosamente ancora
cantando e, con esso, Bob Dylan ancora canta l'America, come nessun altro
autore americano fa.
Paolo Vites
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Dylan Live
La dimensione live di Dylan è un
territorio sconfinato ed assolutamente unico nel panorama musicale degli
ultimi 40 anni.
Per una questione puramente quantitativa, tanto per cominciare.
Oltre 2000 concerti (ed è una stima per difetto) è un traguardo che
pochissimi altri artisti possono dire di aver raggiunto. Ma questo,
naturalmente, è solo un dato che, preso a sé, non significa molto.
Altri fattori definiscono in modo più determinante la sua unicità. Il
format dei concerti, ad esempio, è sempre stato caratterizzato, pur con le
dovute eccezioni, da una decisa variabilità nella scelta delle canzoni,
basta dare un'occhiata anche solo alle scalette degli ultimi 15 anni per
averne un’idea.
Nemmeno questo fattore però, ancorché importante, è sufficiente a definire
appieno la sua unicità.
Se vogliamo veramente comprendere l’originalità del Dylan performing
artist, dobbiamo andare più a fondo e soffermarci sul suo approccio
all’esibizione live, a prescindere dalle canzoni.
Spontaneità, estro, imprevedibilità, improvvisazione sono state le
caratteristiche dominanti nell’approccio live di Dylan nel corso di tutta
la sua carriera. A turno, questi fattori possono essere stati più o meno
intensi, più o meno evidenti, così come si sono presentati sotto forme
diverse; ma sono sempre stati presenti, e non può essere altrimenti
perché, di fatto, costituiscono il DNA del suo essere performer.
Istinto e imprevedibilità, si diceva. Non mi vengono in mente altri
termini che possano definire meglio una tipica esibizione live di Dylan.
L’approccio di Dylan è sempre stato istintivo. Per lui, quello che conta è
QUEL momento, QUELLO stato d’animo, QUELLE sensazioni. Con questo fattori
come guida, Dylan ci canta la sua canzone, plasmandola, rivoltandola a
seconda del momento in cui la esegue. Per Dylan conta l’ADESSO, non il
prima o il dopo. E le canzoni, per lui, non sono forme strutturate,
codificate e cristallizzate ma traccie vaghe e poco definite, da plasmare,
su cui lavorare.
Vi sono miriadi di esempi che testimoniano di questo approccio. Quello più
eclatante è di sicuro Tangled Up In Blue, una canzone letteralmente
riscritta almeno 3 volte sia nel testo che nell’arrangiamento.
Ma anche per canzoni che in qualche modo hanno mantenuto nel tempo una
struttura costante, è evidente la diversità nell’approccio, a volte anche
nell’ambito dello stesso tour (come nel caso, ad esempio, di Positively
Fourth Street che a seconda della versione esprime disprezzo, ironia,
sarcasmo, noncuranza...).
Seguire il proprio istinto può portare a scelte rischiose e certo Dylan di
rischi ne ha presi molti.
Dalla svolta elettrica di Newport, al tour del '66 con la Band con un set
di canzoni che tutto dicevano ed esprimevano tranne ciò che il suo
pubblico si aspettava in quel momento, al gospel tour del 79-80 dove sfidò
il pubblico presentando solo canzoni religiose, perché in quelle credeva
in quel momento, perchè esprimevano il suo stato d’animo (?). Non
sorprendentemente, si tratta di uno dei migliori tour di Dylan di sempre,
quanto ad intensità .
Ancora, l’approccio glamour e solo apparentemente ‘superficiale’ del 78,
le canzoni riarrangiate in modo forse un po pomposo, con tanto di fiati e
percussioni, cui fu presto affibbiato lo sprezzante appellativo di ‘Las
Vegas sound’.
E ancora, l’approccio da puro rock and roller del 1986, accompagnato da
quella che probabilmente era allora la miglior r'n'r band del momento, gli
Heartbreakers).
Nel corso degli anni scelte molto diverse fra loro, quindi, e stili poco
riconciliabili. Alcuni naturalmente possono piacere più o meno di altri,
ma a prescindere da ogni valutazione di ‘gradimento’, il vero punto è che
non furono mai forzate, dettate da qualsivoglia regole. Sono sempre state
scelte convinte, partecipate, sentite.
Questo spiega perché Dylan è un’artista da palcoscenico, molto più che da
studio di registrazione, dove ha sempre cercato di non restare un minuto
più del necessario, spesso anche meno… Gli album registrati ‘dal vivo’ ,
senza troppe sovraincisioni e/o molteplici ripetizioni dei brani, non si
contano (valga l'esempio di Street legal, per tutti).
E la sua sfera live è quasi sempre stata ben distinta da quella dei
dischi. Molti dei suoi album, appena usciti, spesso non hanno avuto
un’adeguata promozione dal vivo. E non l’hanno avuta semplicemente perché
a Dylan non importava. Quando Dylan va su un palcoscenico, lo fa (entro
certi limiti) per presentare musica che per lui, in quel preciso momento,
ha un senso cantare e suonare, che ha un significato, qualunque esso sia,
qualunque sia la canzone, sua o di altri. Non si spiegherebbe, altrimenti,
l’ampio ricorso a cover che nel corso degli anni hanno costellato le
scalette dei suoi concerti (2002, Neil Young, Rolling Stones, Warren
Zevon… 2001-99, tutti i country- gospel….. 92-96, i Grateful Dead,
ecc...).
Se queste sono le premesse, non credo sia esagerato affermare che la
produzione ufficiale di Dylan non è assolutamente sufficiente a
‘raccontare tutta la storia’. Se Dylan (molto più di chiunque altro ) è un
artista in continuo movimento, evoluzione, la comprensione, seppur
parziale, del suo fenomeno, non può certo essere limitata all’ascolto dei
dischi ufficiali, per quanto rappresentativi essi possano essere.
Ed è curioso, nonché alquanto deludente, che un artista con queste
caratteristiche abbia pubblicato pochi album dal vivo, e spesso, tra
l’altro, frutto di scelte quanto meno discutibili, perché non sempre
rappresentative. Basti pensare che del NeverEndingTour (ultimi 15 anni)
non è stato pubblicato niente se non alcune canzoni sparse in qualche
raccolta.
Scegliere i 100 migliori concerti di un artista così originale è
un’operazione sicuramente arbitraria e soprattutto non definitiva. Perché
niente è definitivo con Dylan, ma può servire da guida a chi si avvicina
alla musica di Dylan per la prima volta, così come a chi lo conosce già da
un po’, facendogli magari riscoprire concerti o tour che al primo ascolto
sono stati sottovalutati . Si perché, con Dylan, l’ascolto di un concerto
è un’esperienza unica che richiede particolare attenzione. Dylan, infatti
ci può sorprendere improvvisamente come nel caso di concerti mediocri
‘riabilitati’ anche da una sola canzone.
Proprio per questo, ho cercato di rappresentare tutti i tour. Mi fossi
attenuto al titolo in modo letterale (I cento concerti imperdibili di Bob
Dylan), probabilmente avrei incluso parecchi concerti di determinati anni
e nessuno di altri. Non mi è sembrato giusto. Lo scopo, in fondo, è quello
di divulgare e far conoscere l’importanza della sua musica. Ed essendo
Dylan un artista a 360°, era necessario includere anche gli anni ed i tour
a mio parere meno validi da un punto di vista artistico, perché
indispensabili per comprendere l’artista nella sua totalità.
Alessandro Cavazzuti
Foto ricordo da Belluno. In
piedi da sinistra: Michele Talo, organizzatore della serata, Michele
"Napoleon in rags", Paolo Vites e Alessandro Cavazzuti. In basso Carlo
Talamini, vicepresidente del Club "Forever Young" di Belluno
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